16.5.2008   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 120/19


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema I lavoratori agricoli transfrontalieri

(2008/C 120/05)

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 16 febbraio 2007, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di formulare un parere sul tema:

I lavoratori agricoli transfrontalieri

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 31 ottobre 2007, sulla base del progetto predisposto dal relatore SIECKER.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 13 dicembre 2007, nel corso della 440a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 104 voti favorevoli, 3 voti contrari e 1 astensione.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

In Europa la migrazione dei lavoratori ha carattere economico ed è la conseguenza della libera circolazione dei lavoratori fra Stati membri caratterizzati da livelli di vita assai diversi. Il flusso costante di persone in cerca di lavoro è imputabile all'elevato tasso di disoccupazione in diversi nuovi Stati membri e alla domanda di manodopera poco costosa e poco qualificata nei 15 vecchi Stati membri.

1.2.

Nel 2004 e nel 2007 sono state convenute misure transitorie per consentire ai vecchi Stati membri dell'Unione europea di regolare l'immigrazione proveniente dai nuovi Stati membri. Tali misure sono state fra l'altro motivate dalla volontà dei vecchi Stati membri di evitare tensioni sul mercato del lavoro per via di un afflusso eccessivo di lavoratori migranti, con il rischio che questi vengano reclutati in maniera illegale.

1.3.

Le misure transitorie hanno finito per provocare proprio i risultati che si volevano evitare. Nella Relazione sul funzionamento delle disposizioni temporanee di cui al Trattato di adesione del 2003, la Commissione constata che le restrizioni al lavoro legale dei lavoratori immigrati dai nuovi Stati membri hanno determinato una proliferazione del lavoro non dichiarato, del lavoro «indipendente» fittizio, nonché della fornitura fittizia di servizi e di subappalti.

1.4.

Nell'UE a 15 si è creata una situazione paradossale in base alla quale per molti lavori agricoli stagionali non si riesce a trovare un numero sufficiente di lavoratori residenti. Per quanto ci siano abbastanza lavoratori migranti dei nuovi Stati membri disposti a fare questi lavori, molti di essi non possono a causa delle restrizioni transitorie. I flussi di manodopera agricola variano a seconda dei paesi d'origine e di accoglienza, e tali variazioni sono legate soprattutto all'esistenza o meno di misure transitorie totali o parziali.

1.5.

Di conseguenza questo tipo di lavoro spesso finisce nel circuito del lavoro informale. Su questo argomento è difficile ottenere informazioni precise, dato che ognuna delle tre parti in causa ha le proprie ragioni per non renderle note. Vi sono datori di lavoro che vogliono pagare meno di quanto prescritto dalla legge o dai contratti collettivi in vigore; vi sono lavoratori che si accontentano di una remunerazione inferiore a quella alla quale avrebbero diritto a norma di legge o in virtù dei contratti collettivi; e vi sono intermediari di pochi scrupoli, fin troppo desiderosi di procacciare questo tipo di affari, i quali possono fruttare loro grossi guadagni.

1.6.

Molti intermediari offrono manodopera a prezzi stracciati, ma a pagare per questa guerra dei prezzi sono in definitiva i lavoratori migranti che devono accontentarsi di redditi al di sotto del minimo sociale. Accade anche che per i lavoratori stagionali i datori di lavoro versino agli intermediari retribuzioni adeguate al mercato, ma che questi non provvedano al versamento né delle imposte sui redditi né dei contributi sociali. Senza dimenticare che, il più delle volte, questi intermediari trattengono anche una parte della remunerazione che spetta ai lavoratori migranti. Esistono inoltre siti Internet con numeri di telefono dell'Europa sia occidentale che orientale, che offrono lavoratori autonomi per i quali non vanno versati né contributi sociali né imposte.

1.7.

Questo stato di cose è deprecabile da molti punti di vista. Si deve anzitutto garantire che i lavoratori migranti ricevano, sotto ogni profilo, lo stesso trattamento di cui godono i loro colleghi residenti. Occorre assicurare che a lavoro uguale corrisponda una remunerazione uguale e che i lavoratori migranti godano di migliori condizioni di accesso alla sicurezza sociale. Va tenuto presente che la questione non riveste un interesse sociale solo per i lavoratori, e che anzi è importante anche per i datori di lavoro sotto il profilo economico (parità di condizioni ai fini di una concorrenza leale) e per gli Stati membri sotto il profilo finanziario (gettito fiscale).

1.8.

Una recente proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio introduce sanzioni contro i datori di lavoro che impiegano cittadini di paesi terzi soggiornanti illegalmente nell'UE. Essa prevede l'armonizzazione delle sanzioni contro i datori di lavoro e misure preventive, come pure l'individuazione e lo scambio di buone prassi fra gli Stati membri sull'applicazione delle sanzioni contro i datori di lavoro.

1.9.

Fintanto che permangono le restrizioni nei confronti dei lavoratori immigrati dai nuovi Stati membri, il Comitato economico e sociale europeo (CESE) chiede che la direttiva summenzionata si applichi anche a quei datori di lavoro che, in violazione della legge, reclutano manodopera degli Stati membri tuttora soggetti a restrizioni. Il Comitato giudica altresì essenziale che l'Unione europea vigili per assicurare che la direttiva sia non solo recepita nelle legislazioni nazionali, ma anche effettivamente applicata in tutti gli Stati membri.

1.10.

La lotta contro il lavoro nero sarebbe agevolata se si definisse in modo univoco a livello europeo il rapporto di lavoro, ossia se si distinguesse chiaramente fra l'assunzione di compiti (prestazione di servizi) e lo svolgimento di un'attività in un contesto gerarchico (contratto di lavoro). In proposito l'OIL si è pronunciata chiaramente in una raccomandazione che riconosce ai veri lavoratori autonomi, le cui capacità vanno ben al di là della fornitura di manodopera non qualificata e a buon mercato, uno status più chiaro nel mondo del lavoro e garantisce al tempo stesso ai lavoratori dipendenti la protezione cui hanno diritto. Il CESE si compiace che la Commissione europea abbia approvato una proposta relativa a uno studio sul lavoro indipendente (fittizio) a cura delle parti sociali europee del settore edilizio. Osserva poi con soddisfazione che tale studio sarà finanziato dalla Commissione stessa.

1.11.

Viste le conseguenze delle restrizioni imposte al lavoro legale, per i futuri allargamenti dell'UE sarà forse preferibile evitare misure transitorie del genere. Il CESE invita inoltre la Commissione ad esaminare la possibilità di sopprimere tutte le restrizioni cui sono assoggettati i lavoratori dei 12 paesi che hanno aderito all'Unione europea nel 2004 e nel 2007. La grande maggioranza delle parti sociali europee è peraltro favorevole a tale mossa, a condizione che a livello comunitario e nazionale, come pure al livello delle stesse parti sociali, ci si attivi realmente per assicurare la parità di trattamento dei lavoratori migranti.

2.   Introduzione

2.1.

La strategia di Lisbona prevede che l'UE in futuro dovrà essere un'economia della conoscenza molto competitiva, basata su produzione e consumo sostenibili e caratterizzata da un grado elevato di coesione sociale.

2.2.

Attualmente l'UE è caratterizzata da un'economia della conoscenza abbastanza competitiva, con modelli di produzione e di consumo non ancora abbastanza sostenibili e con un grado di coesione sociale nient'affatto soddisfacente.

2.3.

Il presente parere tratta soprattutto di quest'ultimo aspetto: la coesione sociale. L'UE è molto attenta allo sviluppo economico e alla sostenibilità, soprattutto della produzione, mentre la coesione sociale, vittima della scarsa attenzione delle politiche comunitarie per il terzo pilastro della strategia di Lisbona, anziché migliorare sta finendo per indebolirsi.

2.4.

I risultati di questo stato di cose sono ben visibili sul mercato del lavoro, dove si assiste ad un aumento del lavoro informale e riappare una tipologia di lavoratori che si credeva ormai estinta da tempo: i lavoratori a giornata.

2.5.

Questa nuova generazione di lavoratori a giornata si offre per strada, in luoghi conosciuti come punti di raccolta per intermediari di pochi scrupoli. Questi lavoratori vengono ingaggiati a giornata senza che per loro si versino imposte sui redditi da lavoro dipendente o contributi sociali, sono costretti a lavorare per un numero eccessivo di ore al giorno per una retribuzione oraria esigua e non godono di alcuna delle tutele garantite dalla legislazione del lavoro, per quel poco che esiste.

2.6.

Fino a pochi anni fa il mercato del lavoro per le mansioni poco o non qualificate aveva una valenza nazionale. Con l'allargamento dell'UE nel 2004 anche questo segmento del mercato del lavoro ha assunto una dimensione europea. Dopo l'allargamento del 2007, l'offerta sul mercato è fortemente aumentata con l'arrivo di lavoratori rumeni e bulgari.

2.7.

Il settore in cui questa tendenza appare più marcata è quello agricolo, tanto più che molte delle persone che cercano lavoro all'estero trovano quasi sempre una prima occupazione proprio in questo settore.

2.8.

Con il presente parere il Comitato desidera mettere questo tema sull'agenda dell'UE, in modo che le istituzioni europee competenti possano cercare soluzioni a questo grande, grave e purtroppo crescente problema insieme agli Stati membri e alle parti sociali.

3.   L'agricoltura

3.1.

Per agricoltura s'intende il complesso delle attività economiche che trasformano l'ambiente naturale per produrre vegetali e animali (1). A seconda del prodotto, del metodo di produzione e del livello di prosperità viene utilizzato un ampio ventaglio di tecniche che va dall'uso di semplici utensili all'impiego di grandi macchine, le quali tendono sempre più a sostituire il lavoro umano.

3.2.

Il settore agricolo comunitario è molto grande: l'UE conta infatti oltre 160 milioni di ettari di terreni coltivati e 11 milioni di aziende agricole che occupano in tutto 15 milioni di persone. Si tratta per lo più degli stessi agricoltori e delle loro famiglie, ma circa 1 milione di aziende occupano un totale di 6,5 milioni di dipendenti. Fra questi, 4,5 milioni sono lavoratori stagionali e non è dato sapere quanti siano occupati in un paese diverso da quello d'origine (2): molti sono polacchi, bulgari e rumeni.

3.3.

Il settore agricolo si articola in tutta una serie di attività: allevamento (produzione di animali), acquacoltura (produzione di pesci), orticoltura (coltivazione in piccole quantità di piante a ciclo breve quali ortaggi, piante ornamentali, frutta, funghi) e agricoltura in senso stretto (la quale, a differenza dell'orticoltura, riguarda le colture vegetali che vengono prodotte in quantità maggiori e richiedono minore manodopera). Nell'UE la silvicoltura commerciale non è classificata ovunque come un'attività agricola, visto che alcuni paesi la considerano come un settore d'attività a sé stante.

3.4.

L'agricoltura non produce unicamente derrate alimentari, bensì anche — e sempre più — beni come fiori, pellicce, cuoio, biocarburanti (biodiesel, etanolo, gas, alberi a crescita rapida per la produzione di legname), enzimi, fibre, ecc. Le piante geneticamente modificate servono anche a produrre medicinali particolari.

3.5.

Stando ai dati forniti sia dall'OIL (3) che da Eurofound (4), quello agricolo è uno dei settori più pericolosi per i lavoratori. Dei circa 335 000 infortuni mortali sul lavoro registrati ogni anno, oltre la metà (170 000) si verifica nel settore agricolo.

4.   Tipologie di lavoro informale

4.1.

La quantità di complicazioni giuridiche esistenti nell'UE non consente una definizione univoca del lavoro informale. Pratiche del tutto correnti in un determinato paese (quando in un determinato ambito nulla è disciplinato, non vi sono disposizioni da rispettare), possono sembrare inconsuete in un altro, o persino essere considerate come una violazione delle normative vigenti.

4.2.

Le definizioni del lavoro informale variano dunque da uno Stato membro all'altro. Si tratta di attività che non figurano nelle statistiche ufficiali dell'economia ufficiale. In realtà le cifre non mancano, ma spesso provengono da un'unica fonte, non sempre sono verificabili e quindi affidabili. Detto ciò, è incontestabile che il lavoro informale sia un fenomeno su vasta scala.

4.3.

Quasi tutte le definizioni nazionali del lavoro informale sottolineano la mancata ottemperanza agli obblighi fiscali, e quasi tutte menzionano anche il non rispetto degli obblighi connessi alla sicurezza sociale. Stranamente, queste definizioni nazionali del lavoro informale non menzionano quasi mai il mancato rispetto di altri obblighi in materia di diritto del lavoro (condizioni di lavoro, orario di lavoro, contratti collettivi a carattere vincolante).

4.4.

Il lavoro informale viene compiuto dai cosiddetti «lavoratori irregolari», che non sempre sono immigrati privi di permesso di lavoro e/o di soggiorno. Hanno occupazioni informali anche le persone provviste di documenti, o quelle che non ne hanno bisogno perché residenti del paese in cui svolgono illecitamente la loro attività. Le persone prive di documenti validi sono fra l'altro molto più vulnerabili, e quindi più facilmente sfruttabili rispetto a quelle che ne sono provviste. In effetti, mentre queste ultime hanno comunque accesso al lavoro formale, le prime non hanno questa possibilità.

4.5.

Oltre alla tipologia classica del lavoro subordinato c'è anche quella degli «autonomi senza personale». Questi lavoratori «autonomi» vengono considerati come imprenditori e non comportano per i datori di lavoro alcun obbligo in termini di imposte sui redditi o di contributi sociali, al cui versamento devono provvedere direttamente.

4.6.

Questi lavoratori non beneficiano delle tutele previste dalla legislazione sul lavoro a favore dei lavoratori dipendenti, come la retribuzione minima, la durata massima settimanale del lavoro, la sicurezza e la salubrità del lavoro. Dato l'elevato rischio di gravi infortuni tipico di questo settore (cfr. punto 3.5), ciò è inaccettabile. Questi lavoratori autonomi considerati come «imprenditori» sono in pratica liberi di lavorare a qualsiasi condizione o tariffa abbiano convenuto con il loro committente.

4.7.

Inizialmente questi lavoratori erano costituiti da personale esperto e competente con capacità comprovate in attività professionali specifiche. In genere avevano impiegato degli anni per raggiungere il livello di professionista qualificato ed esperto necessario per continuare ad esercitare una professione in maniera autonoma.

4.8.

Attualmente la tendenza verso una sempre più crescente esternalizzazione, anche per la rinuncia alle attività non essenziali delle imprese, significa che si esternalizza molto di più del semplice lavoro specializzato. È sufficiente mantenere un nucleo ristretto di dipendenti stabili e pratici dell'azienda, facendo sempre più ricorso al subappalto per le produzioni e i servizi più semplici, tutte mansioni per le quali si può fare appello a un gran numero di nuovi lavoratori autonomi disponibili sul mercato del lavoro. La «specializzazione» principale di molti nuovi lavoratori autonomi consiste nell'offrire manodopera non qualificata e a buon mercato.

4.9.

In realtà si tratta di un tipo di lavoro autonomo fittizio, utilizzato negli anni '80 del secolo scorso per «esportare» la disoccupazione dall'Irlanda e dal Regno Unito. Fino ad allora la legislazione inglese prevedeva una serie di garanzie che consentivano di verificare se i lavoratori autonomi soddisfacevano realmente a una serie di condizioni, ad esempio essere esperti qualificati in un'attività professionale ben precisa. Il governo britannico dell'epoca soppresse i criteri di verifica, con il risultato che di colpo molti più lavoratori poterono farsi registrare come autonomi e trovare un'occupazione nell'Europa continentale, senza dover ottemperare alle legislazioni locali sul lavoro (5).

4.10.

Non si tratta peraltro più di un fenomeno esclusivamente anglosassone, tant'è vero che, ad esempio, durante un convegno sulla libera circolazione dei lavoratori, un portavoce del governo polacco ha dichiarato che il suo governo invita i cittadini in cerca di lavoro a registrarsi come lavoratori autonomi (6). In questo modo essi possono aggirare le restrizioni vigenti negli altri Stati membri in materia di prestazioni di lavoro — per quel che ne resta — e trovare un'occupazione ovunque. Lo status di lavoratore autonomo viene così sfruttato deliberatamente e regolarmente come pretesto per contravvenire al diritto del lavoro e alle condizioni di lavoro attraverso una catena di subappalti ed esternalizzazioni. Attraverso contratti capestro con questi falsi lavoratori autonomi, i cui servizi vengono spesso procurati da agenzie d'intermediazione, s'indebolisce anche la responsabilità circa il rispetto degli obblighi in materia di imposte sui redditi e di sicurezza sociale.

4.11.

Questo fenomeno si osserva su grande scala anche nel settore edilizio, il quale è stato studiato molto più diffusamente di quello agricolo. Le analogie tra i due settori sono numerose; in primo luogo essi sono accomunati dai tre principali fattori di rischio che caratterizzano il lavoro informale: alta intensità di manodopera, carattere temporaneo e il fatto di essere svolto principalmente da lavoratori non residenti. Le parti sociali europee del settore edilizio hanno intanto riconosciuto questi rischi e chiesto finanziamenti alla Commissione europea per condurre uno studio sul fenomeno del lavoro autonomo (fittizio) in 18 Stati membri. La Commissione ha risposto positivamente a questa richiesta e la proposta di studio sarà oggetto di una gara d'appalto al livello dell'UE entro la fine di quest'anno.

4.12.

La perdurante assenza di un quadro normativo europeo sui rapporti di lavoro rende possibili pratiche poco pulite sul mercato della manodopera a basso costo, con gravi ricadute negative a livello europeo. Nella Relazione sul funzionamento delle disposizioni temporanee di cui al Trattato di adesione del 2003, la stessa Commissione riconosce peraltro «la probabilità che le restrizioni abbiano incoraggiato i cittadini dell'UE-8 a cercare altri modi per svolgere un'attività economica negli Stati membri dell'UE-15, visto il flusso eccezionalmente elevato di lavoratori in trasferta o di lavoratori che dichiarano di essere indipendenti» (7).

4.13.

Nel medesimo documento la Commissione rileva poi: «Riconoscendo che i flussi di migrazione dall'UE-8 agli Stati membri dell'UE-15 sono stati modesti, molte parti sociali hanno sottolineato la necessità di evitare l'erosione delle normative sul lavoro e il dumping sociale. [Le parti sociali] hanno inoltre indicato che le restrizioni sul lavoro legale comportano effettivamente una proliferazione del lavoro non dichiarato, del lavoro “indipendente” fittizio, nonché [del]la fornitura di servizi e di subappalti fittizi». Più oltre la Commissione corregge l'idea secondo cui i flussi migratori non sarebbero stati consistenti, osservando che «i flussi effettivi di migrazione nell'UE allargata potrebbero essere superiori rispetto ai dati indicati nella presente relazione, poiché il fenomeno del lavoro non dichiarato non è preso completamente in considerazione dalle statistiche ufficiali». Nell'insieme la Commissione rileva inoltre che i vincoli all'accesso al mercato del lavoro possono determinare un maggiore ricorso al lavoro sommerso.

4.14.

Ad esempio, nei Paesi Bassi l'orticoltura, che è il comparto agricolo con il maggior numero di addetti, contava nel 1992 un totale di 54 200 equivalenti a tempo pieno. Circa l'87 % dei lavoratori erano stabilmente occupati, e oltre il 13 % erano legati a un'impresa in qualche altro modo (lavoratori interinali, lavoro a tempo determinato, [falsi] lavoratori autonomi). Nel 2005 il settore contava invece 59 000 equivalenti a tempo pieno, con oltre il 61 % dei lavoratori stabilmente occupati e quasi il 39 % legati in qualche altro modo a un'impresa. Beninteso, queste sono le statistiche dell'economia ufficiale: si stima infatti che nella primavera 2007 altri 40 000 equivalenti a tempo pieno lavoravano informalmente nel settore (8). Tuttavia, dopo la soppressione delle misure restrittive per i cittadini dei paesi che hanno aderito all'UE nel 2004, vi sono forti segnali che la quota di lavoro informale nell'orticoltura sia in costante calo.

5.   Diritto del lavoro sotto pressione

5.1.

Negli scorsi anni si è constatato che imponendo restrizioni all'accesso al mercato del lavoro si ottengono spesso effetti contrari, ad esempio l'aggiramento delle legislazioni sul lavoro e sulle condizioni di lavoro. Fino al 31 dicembre 2008 i cittadini rumeni e bulgari in cerca di lavoro non sono soggetti a restrizioni nei seguenti Stati membri: Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia, Slovacchia, Repubblica ceca, Svezia, Finlandia, Cipro e Slovenia, fermo restando che negli ultimi tre paesi essi sono soggetti all'obbligo d'iscrizione. I cittadini rumeni e bulgari in cerca di lavoro sono però soggetti a restrizioni negli altri 15 Stati membri (9). I cittadini dei 10 paesi che hanno aderito all'Unione europea nel 2004 incontrano ancora restrizioni, ma di minore entità e in un numero di paesi inferiore rispetto a quelle applicabili ai cittadini bulgari e rumeni (10).

5.2.

Nell'UE la migrazione dei lavoratori ha carattere economico ed è la conseguenza della libera circolazione dei lavoratori fra Stati membri caratterizzati da livelli di vita assai diversi. Il flusso crescente di persone in cerca di lavoro è imputabile all'elevato tasso di disoccupazione in diversi nuovi Stati membri e alla domanda di manodopera poco costosa e poco qualificata nei 15 vecchi Stati membri.

5.3.

Numerose persone in cerca di lavoro trovano un impiego agricolo perché in questo settore la stagionalità dei raccolti determina una domanda consistente di personale supplementare temporaneo. Il settore agricolo presenta anche maggiori possibilità di dumping sociale rispetto ad altri. Ciò è dovuto fra l'altro al fatto che vari Stati membri sono privi di contratti collettivi per il settore agricolo o che spesso, quando ve ne sono, non hanno un carattere vincolante generale.

5.4.

Il lavoro stagionale è un elemento strutturale dell'agricoltura europea. Una produzione agricola sostenibile ed efficiente non è possibile senza una manodopera flessibile. Nel settore agricolo gran parte dei lavori stagionali viene svolta da lavoratori migranti, il che in certi casi provoca problemi tali da mettere a repentaglio la coesione sociale.

5.5.

Spesso i lavoratori migranti occupati nel circuito formale sono meno costosi di quelli residenti perché il datore di lavoro non è tenuto a versare loro taluni tipi di contributi, ad esempio quelli per i fondi settoriali per la formazione e per i fondi pensioni. Gli immigrati dai 10 paesi che hanno aderito all'UE nel 2004, per i quali alcuni dei vecchi Stati membri mantengono tuttora restrizioni sul mercato del lavoro, hanno spesso un'occupazione informale perché non tutte le ore lavorate vengono dichiarate agli effetti fiscali. Di solito i migranti bulgari e rumeni, soggetti a un numero di restrizioni ancor maggiore, sono destinati a finire nel circuito informale, dove non vengono remunerati per tutte le ore lavorate, percepiscono retribuzioni orarie di gran lunga troppo basse, oppure si trovano costretti ad accettare lavoro come lavoratori autonomi (fittizi) a condizioni capestro.

5.6.

L'OIL ha dedicato varie convenzioni ai problemi trattati nel presente parere. Si tratta delle convenzioni n. 97 (Convenzione sui lavoratori migranti [riveduta], 1949), n. 143 (Convenzione sui lavoratori migranti [disposizioni complementari], 1975), n. 181 (Convenzione sulle agenzie per l'impiego private, 1997) e n. 184 (Convenzione sulla sicurezza e la salute in agricoltura, 2001). Le convenzioni n. 97 e n. 181 non sono state ratificate da 17 dei 27 Stati membri dell'UE. La n. 143 non è stata ratificata da 22 di essi, la n. 184 non è stata ratificata da 24 Stati membri. Nessuno dei 27 Stati membri attuali ha ratificato tutte e quattro le convenzioni (11). Nel 2006 l'OIL ha inoltre formulato una raccomandazione sui rapporti di lavoro (12) che essenzialmente consiglia di migliorare le legislazioni nazionali di tutti i paesi allo scopo di operare una distinzione chiara e comune fra lavoratori autonomi e dipendenti. Ciò è necessario per poter far cessare il crescente numero di pratiche fraudolente intese a mascherare da lavoratori autonomi quelli che invece sono lavoratori dipendenti (13).

6.   Rispetto della legislazione sul lavoro

6.1.

Si deve anzitutto garantire che i lavoratori migranti ricevano, sotto tutti i punti di vista, lo stesso trattamento dei loro colleghi residenti. Occorre assicurare che a lavoro uguale corrisponda anche una remunerazione uguale, e che i lavoratori migranti godano di migliori condizioni di accesso alla sicurezza sociale. Va tenuto presente che la questione non riveste un interesse sociale solo per i lavoratori, e che anzi è importante anche per i datori di lavoro sotto il profilo economico (parità di condizioni ai fini di una concorrenza leale) e per gli Stati membri sotto il profilo finanziario (gettito fiscale). Questo principio però non viene applicato ovunque. All'atto della soppressione delle misure transitorie dirette ai cittadini dei paesi che hanno aderito all'UE del 2004, le parti sociali olandesi si sono dichiarate pronte a collaborare a partire dal 1o maggio 2007 al controllo del rispetto della legislazione e della regolamentazione sociale e del lavoro. Il governo, dal canto suo, si è impegnato ad elaborare una politica di accompagnamento. Finora, tuttavia, non si è visto alcun risultato concreto.

6.2.

Una recente proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio introduce sanzioni contro i datori di lavoro che impiegano cittadini di paesi terzi soggiornanti illegalmente nell'UE (14). Essa prevede l'armonizzazione delle sanzioni contro i datori di lavoro e misure preventive, come pure l'individuazione e lo scambio di buone prassi fra gli Stati membri sull'applicazione delle sanzioni contro i datori di lavoro.

6.3.

Questa proposta è motivata dalla massiccia presenza nell'UE di cittadini di paesi terzi che vi soggiornano illegalmente (stimati fra i 4,5 e gli 8 milioni). La conseguenza di questo stato di cose è il lavoro illegale che, oltre all'agricoltura, tocca principalmente tre settori: l'edilizia, il settore alberghiero e della ristorazione e i servizi di pulizia. Nella proposta il Parlamento europeo e il Consiglio concludono che «il lavoro illegale — come il lavoro sommerso dei cittadini UE — porta a perdite per le finanze pubbliche, può abbattere i salari e deteriorare le condizioni di lavoro, può falsare la concorrenza fra le imprese, e priva i lavoratori non dichiarati di copertura sanitaria e dei diritti alla pensione, che dipendono dal versamento dei contributi».

6.4.

Nella Relazione sul funzionamento delle disposizioni temporanee di cui al Trattato di adesione del 2003 (periodo 1o maggio 2003-30 aprile 2006), le parti sociali europee indicano che «le restrizioni sul lavoro legale comportano effettivamente una proliferazione del lavoro non dichiarato, del lavoro “indipendente” fittizio, nonché la fornitura di servizi e di subappalti fittizia». Vista questa esperienza, sarebbe preferibile rimuovere tutte le restrizioni per i lavoratori dei 12 paesi che hanno aderito all'Unione europea nel 2004 e nel 2007, in modo da mettere tutti su un piano di parità. La stragrande maggioranza delle parti sociali europee è peraltro favorevole a tale mossa, a condizione che a livello comunitario e nazionale, come pure al livello delle parti sociali, ci si attivi realmente per assicurare la parità di trattamento dei lavoratori migranti.

6.5.

Fintanto che le restrizioni permangono, il CESE insiste affinché la direttiva summenzionata, che introduce sanzioni contro i datori di lavoro che impiegano cittadini di paesi terzi soggiornanti illegalmente nell'Unione europea, si applichi anche a quei datori di lavoro che, in violazione della legge, reclutano manodopera degli Stati membri tuttora soggetti a restrizioni. Il Comitato giudica altresì essenziale che l'Unione europea vigili per assicurare che la direttiva sia non solo recepita nelle legislazioni nazionali, ma anche effettivamente applicata in tutti gli Stati membri.

6.6.

Inoltre, la direttiva interviene in merito alle grandi differenze riscontrabili fra gli Stati membri per quanto riguarda la qualità e l'intensità dei controlli e l'entità delle sanzioni: basti pensare che nei Paesi Bassi un datore di lavoro colto a reclutare lavoratori in maniera illegale è passibile di una multa fino ad un massimo di 6 700 euro per lavoratore, importo che sale a 20 000 euro in Belgio e a 50 000 euro nel Lussemburgo. Ci sono però anche Stati membri che non prevedono ancora alcuna sanzione nei confronti dei datori di lavoro che reclutano lavoratori illegali.

6.7.

Lo scambio di buone pratiche è una componente indispensabile del processo destinato ad accrescere la coesione sociale. Durante una recente audizione svoltasi a Plovdiv (15) è stata elencata una serie di buone pratiche, ad esempio:

la creazione di un consiglio sindacale internazionale nel Burgenland (16), regione frontaliera fra l'Austria e l'Ungheria. I sindacati austriaci e ungheresi vi collaborano per vigilare affinché il lavoro transfrontaliero si svolga in maniera conforme alle legislazioni vigenti,

il sistema di autorizzazioni previsto nel Regno Unito per l'esercizio dell'intermediazione di manodopera (17) in taluni ambiti di attività, grazie al quale viene esercitato un controllo rigoroso sulle attività dei cosiddetti gangmaster («caporali»), che nel settore agricolo sono i principali intermediari per far fronte alla domanda di manodopera temporanea. Nelle sue pubblicazioni l'OIL menziona esplicitamente questo sistema come esempio di buona pratica,

un sistema efficiente di controlli amministrativi convenuto dalle parti sociali nel settore agricolo belga per evitare il lavoro nero (18),

un sistema di certificazione introdotto nel 2007 dalle parti sociali olandesi per garantire il rispetto delle norme sociali e del lavoro in caso di lavoro interinale (19). Il sistema è ancora a uno stadio embrionale, ma l'intenzione è lodevole e gli sviluppi sono promettenti,

un vasto programma concordato nel settembre 2007 in Italia dalle parti sociali, dal ministero del Lavoro e dal ministero dell'Agricoltura per contrastare la crescita del lavoro informale e del lavoro autonomo fittizio nel settore agricolo (20),

programmi messi a punto dall'OIL per disciplinare le attività degli intermediari di manodopera privati ed evitare che i lavoratori migranti incappino nel circuito della tratta di esseri umani e del lavoro forzato tramite intermediari di pochi scrupoli. Questi programmi sono destinati ai legislatori, ai servizi responsabili delle ispezioni sul lavoro, ai servizi di polizia, ecc.

6.8.

Le situazioni menzionate in alcuni di tali esempi non sono tutte pienamente comparabili a quella in cui vengono a trovarsi i lavoratori rumeni e bulgari che cercano lavoro negli Stati membri dell'UE a 15. In effetti, mentre i lavoratori ungheresi occupati nel Burgenland tornano a casa ogni sera, quelli rumeni e bulgari restano lontani per mesi dalle loro famiglie. Anche in queste situazioni si verificano abusi, sia pure su scala più ridotta, e comunque agevolmente individuabili e sanzionabili, se le autorità si attivano. Detto ciò, nel complesso si ha l'impressione che nel Burgenland le condizioni sociali per i lavoratori siano accettabili.

Bruxelles, 13 dicembre 2007.

Il presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  Nomenclatura generale delle attività economiche nelle Comunità europee (NACE) — Sezione A.

(2)  www.agri-info.eu

(3)  L'Organizzazione internazionale del lavoro, con sede a Ginevra, appartenente alle Nazioni Unite.

(4)  La Fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, con sede a Dublino.

(5)  Istituto europeo per la ricerca sulle condizioni di lavoro nell'edilizia (European Institute for Construction Labour Research).

(6)  Convegno della fondazione FAFO sulla libera circolazione dei lavoratori, svoltosi a Oslo il 1o giugno 2006,

http://www.fafo.no/indexenglish.htm

(7)  COM(2006) 48 def.

(8)  Productschap Tuinbouw (organizzazione del comparto orticolo olandese) http://www.tuinbouw.nl/website/ptcontent.nsf/home?readform

(9)  http://ec.europa.eu/employment_social/free movement/enlargement_en.htm

(10)  http://ec.europa.eu/eures/home.jsp?lang=it

(11)  http://www.ilo.org/ilolex/english/convdisp1.htm

(12)  Raccomandazione R198 sui rapporti di lavoro dell'OIL (2006) (trad. provv.).

(13)  Amsterdam Institute of Advanced Labour Studies.

(14)  COM(2007) 249 def.

(15)  Plovdiv (Bulgaria), 18.9.2007.

(16)  www.igr.at

(17)  www.gla.gov.uk

(18)  www.limosa.be e www.ksz.fgov.be/en/CBSS.htm

(19)  www.normeringarbeid.nl

(20)  www.lavoro.gov.it e www.lavoro.gov.it/NR/rdonlyres/7E345511-29CC-4D81-B502-225F85070D3C/0/new_n12ottobre07.pdf