52006PC0472




[pic] | COMMISSIONE DELLE COMUNITÀ EUROPEE |

Bruxelles, 30.8.2006

COM(2006) 472 definitivo

Proposta di

REGOLAMENTO DEL CONSIGLIO

che istituisce un dazio antidumping definitivo e dispone la riscossione definitiva dei dazi provvisori istituiti sulle importazioni di alcuni tipi di calzature con tomaie di cuoio originarie della Repubblica popolare cinese e del Vietnam

(presentata dalla Commissione)

RELAZIONE

CONTESTO DELLA PROPOSTA |

110 | Motivazione e obiettivi della proposta La presente proposta riguarda l'applicazione del regolamento (CE) n. 384/96 del Consiglio, del 22 dicembre 1995, relativo alla difesa contro le importazioni oggetto di dumping da parte di paesi non membri della Comunità europea (nel seguito “il regolamento di base”), modificato da ultimo dal regolamento (CE) n. 2117/2005 del Consiglio del 21 dicembre 2005, nel procedimento relativo alle importazioni di alcuni tipi di calzature con tomaie di cuoio originarie della Repubblica popolare cinese e del Vietnam. |

120 | Contesto generale La proposta è presentata nel quadro dell’attuazione del regolamento di base ed è il risultato dell’inchiesta svolta in conformità dei requisiti sostanziali e procedurali di cui al regolamento di base. |

139 | Disposizioni vigenti nel settore della proposta Non vi sono disposizioni in vigore nel settore interessato dalla proposta. |

141 | Coerenza con altri obiettivi e politiche dell'Unione Non pertinente. |

CONSULTAZIONE DELLE PARTI INTERESSATE E VALUTAZIONE DELL'IMPATTO |

Consultazione delle parti interessate |

219 | In conformità delle disposizioni del regolamento di base, le parti interessate coinvolte nel procedimento hanno avuto la possibilità di difendere i loro interessi nel corso dell'inchiesta. |

Ricorso al parere di esperti |

229 | Non è stato necessario ricorrere a perizie esterne. |

230 | Valutazione dell'impatto La presente proposta scaturisce dall'attuazione del regolamento di base. Il regolamento di base non prevede una valutazione d'impatto generale, ma l’obbligo che le misure non siano contrarie all’interesse della Comunità significa che la valutazione dell’impatto più ampio delle stesse costituisce parte integrante dell’inchiesta. |

ELEMENTI GIURIDICI DELLA PROPOSTA |

305 | Sintesi delle misure proposte Il 7 luglio 2005, con un avviso ("avviso di apertura") pubblicato sulla Gazzetta ufficiale dell’Unione europea[1], la Commissione ha annunciato l’apertura di un procedimento antidumping relativo alle importazioni nella Comunità di alcuni tipi di calzature con tomaie di cuoio originarie della Repubblica popolare cinese ("RPC") e del Vietnam. Il procedimento antidumping è stato avviato in seguito ad una denuncia presentata il 30 maggio 2005 dalla Confederazione europea dell’industria calzaturiera ("CEC") contenente elementi di prova dell’esistenza del dumping e del pregiudizio notevole da esso derivante. Il 6 aprile 2006, con il regolamento (CE) n. 553/2006, la Commissione ha istituito un dazio antidumping provvisorio sulle importazioni nella Comunità di alcuni tipi di calzature con tomaie di cuoio originarie della Repubblica popolare cinese e del Vietnam. La proposta di regolamento del Consiglio avanzata qui di seguito dalla Commissione contiene le conclusioni definitive in merito al dumping, al pregiudizio, al nesso di causalità e all’interesse della Comunità. Gli Stati membri sono stati consultati nel corso dei comitati antidumping del 19, 20 e 27 luglio 2006. 9 Stati membri si sono espressi a favore delle misure proposte, mentre 14 hanno espresso un parere contrario. Si propone che il Consiglio adotti l'allegata proposta di regolamento, da pubblicare sulla Gazzetta ufficiale dell'Unione europea entro e non oltre il 6 ottobre 2006. |

310 | Base giuridica Regolamento (CE) n. 384/96 del Consiglio, del 22 dicembre 1995, relativo alla difesa contro le importazioni oggetto di dumping da parte di paesi non membri della Comunità europea, modificato da ultimo dal regolamento (CE) n. 2117/2005 del Consiglio del 21 dicembre 2005. |

329 | Principio di sussidiarietà La proposta è di esclusiva competenza della Comunità. Pertanto il principio di sussidiarietà non trova applicazione. |

Principio di proporzionalità La proposta è conforme al principio di proporzionalità per le ragioni di seguito esposte. |

331 | Il tipo di intervento è descritto nel regolamento di base sopra indicato e non consente decisioni nazionali. |

332 | Non sono necessarie indicazioni su come ridurre e rendere commisurato all'obiettivo della proposta l'onere finanziario e amministrativo a carico della Comunità, dei governi nazionali, degli enti locali e regionali, degli operatori economici e dei cittadini; il regolamento di base limita tuttavia il livello dei dazi che possono essere istituiti a quanto necessario per eliminare il pregiudizio causato dal dumping accertato. |

Scelta degli strumenti |

341 | Strumento proposto: regolamento. |

342 | Altri mezzi non sarebbero adeguati per la ragione di seguito esposta. Il regolamento di base sopra indicato non prevede altre opzioni. |

INCIDENZA SUL BILANCIO |

409 | La proposta non ha alcuna incidenza sul bilancio comunitario. |

1. Proposta di

REGOLAMENTO DEL CONSIGLIO

che istituisce un dazio antidumping definitivo e dispone la riscossione definitiva dei dazi provvisori istituiti sulle importazioni di alcuni tipi di calzature con tomaie di cuoio originarie della Repubblica popolare cinese e del Vietnam

IL CONSIGLIO DELL’UNIONE EUROPEA,

visto il trattato che istituisce la Comunità europea,

visto il regolamento (CE) n. 384/96 del Consiglio, del 22 dicembre 1995, relativo alla difesa contro le importazioni oggetto di dumping da parte di paesi non membri della Comunità europea ("regolamento di base")[2], modificato da ultimo dal regolamento (CE) n. 2117/2005[3], in particolare l'articolo 9,

vista la proposta presentata dalla Commissione, sentito il comitato consultivo,

considerando quanto segue:

A. PROCEDIMENTO

1. Misure provvisorie

(1) Il 23 marzo 2006, con il regolamento (CE) n. 553/2006 (“regolamento provvisorio”)[4], la Commissione ha istituito un dazio antidumping provvisorio sulle importazioni nella Comunità di alcuni tipi di calzature con tomaie di cuoio originarie della Repubblica popolare cinese e del Vietnam (“i paesi interessati” o “i paesi esportatori”). Tale regolamento è entrato in vigore il 7 aprile 2006.

(2) Si ricorda che l’inchiesta relativa al dumping ha riguardato il periodo compreso tra il 1° aprile 2004 e il 31 marzo 2005 (“periodo dell’inchiesta” o “PI”) e che l’analisi delle tendenze necessarie a valutare il pregiudizio ha riguardato il periodo compreso tra il 1° gennaio 2001 e la fine del periodo dell’inchiesta (“periodo considerato”).

2. Procedimento successivo

(3) Dopo l'istituzione del dazio antidumping provvisorio sulle importazioni di alcuni tipi di calzature con tomaie di cuoio dai paesi interessati, tutte le parti sono state informate dei fatti e delle considerazioni alla base del regolamento provvisorio. A tutte le parti è stato concesso un lasso di tempo entro il quale comunicare eventuali osservazioni sulle suddette informazioni.

(4) Alcune parti interessate hanno presentato le loro osservazioni per iscritto. Le parti che ne avevano fatto richiesta hanno anche avuto la possibilità di essere sentite. La Commissione ha continuato a raccogliere e verificare tutte le informazioni ritenute necessarie ai fini delle conclusioni definitive.

(5) I servizi della Commissione hanno quindi illustrato i principali fatti e considerazioni in base ai quali intendevano raccomandare l'istituzione di misure antidumping definitive e la riscossione definitiva degli importi depositati a titolo di dazio provvisorio. Dopo la comunicazione delle suddette informazioni, alle parti interessate è stato concesso un lasso di tempo entro il quale comunicare eventuali osservazioni. Le osservazioni comunicate oralmente e per iscritto dalle parti sono state esaminate e, ove ritenuto opportuno, le conclusioni sono state modificate di conseguenza. Sono state inoltre fornite informazioni supplementari relative a una modifica della forma delle misure prevista.

(6) Varie parti interessate hanno ribadito che i loro diritti di difesa non erano preservati poiché l’identità dei denuncianti non era stata comunicata. La questione era già stata sollevata in precedenza (cfr. considerando 8 del regolamento provvisorio). Essa è stata riesaminata nella fase definitiva e va osservato quanto segue: il volume di produzione dei denuncianti, suddiviso per paese, è stato comunicato alle parti interessate che avevano sollevato obiezioni in relazione alla loro rappresentatività. Si ritiene pertanto che il diritto di difesa della parti interessate sia stato adeguatamente preservato. Tali informazioni sono poi state comunicate a tutte le parti interessate.

B. PRODOTTO IN ESAME E PRODOTTO SIMILE

1. Prodotto in esame

(7) Si ricorda che, come indicato nel considerando 10 del regolamento provvisorio, il prodotto oggetto del procedimento è costituito da calzature con tomaie di cuoio naturale o ricostituito originarie della RPC e del Vietnam diverse dai seguenti prodotti:

- calzature per lo sport ai sensi della nota di sottovoci 1 del capitolo 64 della nomenclatura combinata, ossia i) calzature appositamente ideate per la pratica di un’attività sportiva e che sono o possono essere munite di punte, ramponi, attacchi, barrette o accessori simili e ii) calzature per il pattinaggio, lo sci, il surf da neve, la lotta, il pugilato e il ciclismo;

- pantofole ed altre calzature da camera (classificate ai codici NC 6403 59 50, 6403 99 50 ed ex 640510 00);

- calzature con puntale protettivo, ossia calzature munite di un puntale protettivo e dotate di una resistenza all’impatto di almeno 100 joule[5] (classificate ai seguenti codici NC: ex 6403 30 00, ex 6403 51 11, ex 6403 51 15, ex 6403 51 19, ex 6403 51 91, ex 6403 51 95, ex 6403 51 99, ex 6403 59 11, ex 6403 59 31, ex 6403 59 35, ex 6403 59 39, ex 6403 59 91, ex 6403 59 95, ex 6403 59 99, ex 6403 91 11, ex 6403 91 13, ex 6403 91 16, ex 6403 91 18, ex 6403 91 91, ex 6403 91 93, ex 6403 91 96, ex 6403 91 98, ex 6403 99 11, ex 6403 99 31, ex 6403 99 33, ex 6403 99 36, ex 6403 99 38, ex 6403 99 91, ex 6403 99 93, ex 6403 99 96, ex 6403 99 98 e ex 6405 10 00).

(8) In base agli elementi di cui ai considerando da 12 a 27 del regolamento provvisorio, è stato inoltre provvisoriamente deciso di escludere da tale definizione alcune calzature sportive ad alto contenuto tecnologico, le cosiddette “STAF” ( Special Technology Athletic Footwear ).

(9) È stato inoltre deciso di trattare provvisoriamente le calzature per bambini come parte del prodotto in esame, con riserva dei futuri sviluppi dell’inchiesta e delle considerazioni elaborate nella fase definitiva del procedimento.

(10) Le parti interessate sono state invitate a presentare osservazioni sulle suddette questioni specifiche. Tenuto conto delle osservazioni da esse formulate relativamente a quanto sopra e delle ulteriori richieste di esclusione di altri tipi specifici di calzature, nel seguito si analizzano dettagliatamente le obiezioni presentate.

1.1. Calzature sportive con tecnologie speciali (“STAF”)

(11) Si ricorda che le STAF, quali definite nel considerando 13 del regolamento provvisorio, sono state escluse dalla definizione del prodotto in esame.

(12) Tale esclusione si basa sul fatto che questo tipo di calzature presenta caratteristiche fisiche e tecniche di base diverse, è commercializzato attraverso canali di vendita diversi, è destinato ad un uso finale diverso ed è percepito diversamente dai consumatori.

(13) L’industria comunitaria delle calzature ha contestato l’esclusione delle STAF dalla definizione del prodotto affermando che le calzature STAF sono commercializzate attraverso gli stessi canali di vendita del prodotto in esame e sono percepite dai consumatori allo stesso modo. Qualora le calzature STAF debbano comunque essere escluse dalla definizione del prodotto in esame, è stato inoltre sottolineato che il loro valore minimo, pari a 9 euro nell’attuale definizione TARIC, dovrebbe essere aumentato per tenere conto della svalutazione del dollaro nei confronti dell’euro avvenuta nel corso degli anni.

(14) In risposta a tali osservazioni, si fa notare anzitutto che l’industria comunitaria non ha contestato il fatto che le STAF presentino caratteristiche fisiche e tecniche di base diverse. In secondo luogo, per quanto riguarda i canali di vendita, l’uso, la percezione da parte dei consumatori e l’andamento delle importazioni, l’industria comunitaria delle calzature non ha presentato alcuna argomentazione debitamente documentata tale da modificare le conclusioni di cui ai considerando da 15 a 18 del regolamento provvisorio. La richiesta di aumentare la soglia dei 9 euro, inoltre, non è stata ulteriormente corroborata da alcun elemento di prova.

(15) Numerosi importatori hanno chiesto una diminuzione del valore minimo delle STAF da 9 euro a 7,50 euro a causa principalmente delle diverse circostanze dovute all’adozione di processi produttivi che permettono di ridurre i costi.

(16) Anche queste osservazioni sono state oggetto di un’analisi approfondita. Si ricorda che la soglia dei 9 euro è stata fissata nella nomenclatura TARIC nel 1994, quando le STAF sono state introdotte nel quadro del contingente applicato alle calzature originarie della Cina, vale a dire 12 anni fa. Gli importatori hanno inoltre fornito sufficienti prove del fatto che le nuove tecnologie di produzione hanno permesso sia una riduzione significativa dei costi delle STAF per unità che una riduzione delle perdite di materiali ed energia. Insieme all’aumento della concorrenza dovuto a una maggiore offerta di calzature STAF, fattore che ha ulteriormente contribuito alla diminuzione dei prezzi, quest’evoluzione ha in effetti un impatto sul livello dei prezzi rispetto alla situazione di 12 anni fa che non può essere trascurato. Una riduzione moderata di 1,5 euro della soglia fissata per le calzature STAF è ritenuta ragionevole e necessaria per riflettere tali cambiamenti.

(17) Vari esportatori hanno inoltre affermato che la definizione delle STAF doveva essere ampliata per includere tutte le calzature con tomaie di cuoio e suole in etilene-acetato di vinile (EVA) e/o a stampaggio diretto.

(18) In risposta a tali osservazioni, occorre tuttavia sottolineare che l’uso della tecnica a stampaggio EVA in quanto tale non permette una distinzione chiara fra il prodotto finale e il prodotto in esame. È stato inoltre spiegato che la tecnica di stampaggio, quale applicata alle suole EVA, può essere impiegata anche per calzature che chiaramente non sono di tipo STAF. Non sono stati inoltre forniti elementi di prova tali da indicare che la distinzione basata sulle differenze a livello di caratteristiche fisiche e tecniche, canali di vendita, uso, percezione da parte dei consumatori e andamento delle importazioni non sia appropriata. Infine, le definizioni dell’EVA proposte dai vari importatori erano chiaramente in contraddizione fra loro. La proposta relativa alla definizione delle calzature STAF è stata quindi respinta.

(19) In conclusione, l’esclusione delle STAF dalla definizione del prodotto in esame di cui al regolamento provvisorio è confermata. È opportuno inoltre diminuire il valore minimo delle STAF da 9 euro a 7,50 euro. In assenza di ulteriori osservazioni, vengono confermate le conclusioni sulle calzature STAF di cui ai considerando da 13 a 19 del regolamento provvisorio. Le STAF il cui valore non è inferiore a 7,5 euro sono quindi definitivamente escluse dal procedimento.

1.2. Calzature per bambini

(20) Le calzature per bambini, vale a dire le scarpe con suola interna di lunghezza inferiore a 24 cm e con una combinazione di suola e tacco di altezza pari o inferiore a 3 cm classificate ai seguenti codici NC: ex 6403 20 00, ex 6403 30 00, 6403 51 11, 6403 51 91, 6403 59 31, 6403 59 91, 6403 91 11, 6403 91 91, 6403 99 31, 6403 99 91 ed ex 6405 10 00, non sono state oggetto di misure antidumping provvisorie poiché le conclusioni provvisorie non erano tali da giustificare tali misure per salvaguardare l’interesse della Comunità.

(21) Nei considerando da 28 a 31 del regolamento provvisorio non era ancora stata raggiunta una conclusione definitiva sulla necessità o meno di includere le scarpe per bambini nella definizione del prodotto in esame. Pur essendo stati considerati alcuni argomenti a favore di un’eventuale esclusione delle calzature per bambini dalla definizione del prodotto in esame, in quella fase del procedimento tali argomenti non consentivano di giungere ad una conclusione definitiva. Era stato quindi deciso di trattare le scarpe per bambini come parte del prodotto in esame in attesa dei futuri sviluppi dell’inchiesta e delle considerazioni elaborate nella fase definitiva.

(22) In seguito alla comunicazione delle conclusioni provvisorie, alcune parti interessate hanno affermato che le calzature per bambini dovevano essere escluse dalla definizione del prodotto in esame. Tali affermazioni si basavano sul presupposto che in particolare per stile, concezione, canali di vendita e servizio alla clientela, come indicato nei considerando 30 e 31 del regolamento provvisorio, le scarpe per bambini si distinguevano chiaramente dagli altri tipi di calzature oggetto dell’inchiesta.

(23) Queste affermazioni sono state tuttavia giudicate insufficienti per escludere le calzature per bambini dalla definizione del prodotto in esame, non essendo corroborate da elementi di prova sufficienti tali da indicare che, nel quadro dell’inchiesta, fosse possibile tracciare una linea di distinzione netta fra calzature per bambini e altri tipi di calzature oggetto dell’inchiesta. In realtà, è stato invece constatato che le caratteristiche fisiche e tecniche essenziali che le calzature per bambini hanno in comune con il prodotto in esame – una combinazione di tomaie di cuoio con diversi tipi di suole per proteggere i piedi – sono molto più importanti delle eventuali differenze (in sostanza, le dimensioni). Lo stile, la concezione, i canali di vendita e il servizio alla clientela non sono inoltre essenzialmente diversi da quelli di altri tipi di calzature oggetto dell’inchiesta. Il semplice fatto che le calzature per bambini costituiscano un sottogruppo distinto nel quadro della definizione del prodotto in esame non ne giustifica l’esclusione dalla definizione del prodotto. Si è constatato in effetti che non esiste una linea di distinzione netta fra le calzature per bambini e il prodotto in esame, quanto piuttosto notevoli coincidenze per quanto riguarda la definizione del prodotto in esame, che è un dispositivo destinato a coprire e proteggere i piedi delle persone, essenzialmente per camminare.

(24) In risposta alla comunicazione delle conclusioni del regolamento provvisorio, l’industria comunitaria ha affermato che le calzature per bambini dovevano far parte del prodotto in esame. In particolare, sono stati forniti elementi di prova da cui risulta che nella Comunità si registra ancora un’importante produzione di calzature per bambini.

(25) Le osservazioni dell’industria comunitaria non fanno altro che confermare le conclusioni definitive. Si conclude pertanto in via definitiva che le calzature per bambini devono essere incluse nella definizione del prodotto in esame.

1.3. Altre richieste di esclusione

(26) Numerose parti interessate hanno affermato che altre calzature classificate in questi codici NC erano troppo diverse, soprattutto in termini di utilizzo, per appartenere alla stessa categoria di prodotti. Tali affermazioni sono analizzate nel seguito.

i) Calzature da escursione, alpinismo e altre calzature per uso esterno

(27) A termini della nomenclatura combinata le calzature da escursione, le calzature da alpinismo e le altre calzature per uso esterno (“calzature da escursione”) non sono considerate calzature per lo sport e non rientrano quindi nella definizione delle calzature STAF quale enunciata nel considerando 13 del regolamento provvisorio. Alcune parti interessate, tuttavia, hanno chiesto che tale prodotto venisse escluso dal procedimento in quanto i) le prescrizioni relative a queste calzature da escursione sarebbero molto simili alle specifiche che si riferiscono alle STAF, ii) le calzature da escursione si distinguerebbero chiaramente da altri tipi di calzature in termini di canali di vendita e di percezione da parte del consumatore e iii) il pagamento di dazi più elevati sulle calzature da escursione si ripercuoterebbe negativamente su questo mercato specifico.

(28) Non sono state fornite prove aggiuntive sugli aspetti tecnici specifici e sulle caratteristiche delle calzature da escursione tali da modificare le conclusioni del considerando 34 del regolamento provvisorio, vale a dire che anche se vari tipi di calzature, come ad esempio le calzature da escursione, possono effettivamente presentare caratteristiche specifiche supplementari diverse le loro caratteristiche di base sono comunque identiche. È stato inoltre constatato che esiste una vasta produzione di calzature da escursione nella Comunità e che risulta impossibile tracciare una linea di distinzione netta fra calzature da escursione importate e produzione comunitaria. Ciò è stato confermato anche dalla decisione di includere lo stesso tipo di calzature nella definizione del prodotto concernente il regolamento (CE) n. 2155/97 del Consiglio[6]. Benché possano talvolta presentare caratteristiche specifiche, le calzature da escursione hanno le stesse caratteristiche fisiche e tecniche di base delle altre calzature che rientrano nella definizione del prodotto. Quanto al loro utilizzo e alla percezione da parte del consumatore, è stato inoltre constatato che esistono notevoli coincidenze con altri tipi di calzature che rientrano nella definizione del prodotto. Si ritiene pertanto che le calzature da escursione non debbano essere escluse dall’inchiesta.

ii) Calzature con applicazioni meccanoterapeutiche

(29) Un importatore ha chiesto l’esclusione di alcuni tipi di calzature con applicazioni maccanoterapeutiche. Benché il prodotto sia attualmente classificabile ai codici NC 6403 99 93, 6403 99 96 e 6403 99 98, è stato affermato che questo tipo di calzature doveva essere escluso dal procedimento in quanto presenterebbe caratteristiche chimiche e fisiche diverse, canali di vendita diversi e sarebbe percepito diversamente dai consumatori, in quanto medicinale certificato la cui vendita è autorizzata come dispositivo medico destinato ad applicazioni meccanoterapeutiche.

(30) È stato concluso che questo tipo di calzature debba far parte del prodotto in esame. Benché il prodotto sia caratterizzato da una tecnologia e da applicazioni particolari, adatte a scopi medici, queste caratteristiche specifiche non sono nettamente e strutturalmente diverse da quelle del prodotto in esame. Ciò è confermato dal fatto che alcuni consumatori acquistano questo tipo di calzature non tanto per ragioni mediche specifiche quanto per convenienza personale, come riconosceva persino l’importatore nella sua richiesta.

(31) Per i motivi indicati sopra si ritiene che la richiesta di escludere le calzature con applicazioni meccanoterapeutiche debba essere respinta.

iii) Sandali da spiaggia in EVA

(32) I sandali da spiaggia in EVA sono scarpe la cui tomaia si limita ad una striscia di cuoio fissata da entrambi i lati ad una spessa suola leggera costituita da una combinazione di EVA e di altri materiali. Alcune parti interessate hanno affermato che questi prodotti dovevano essere esclusi dall’inchiesta in quanto presenterebbero caratteristiche fisiche e tecniche di base molto specifiche e distintive tali da farli riconoscere facilmente come sandali da spiaggia: essi sarebbero pertanto destinati ad un uso finale diverso rispetto ai tipi di calzature che rientrano nella definizione del prodotto e sarebbero percepiti diversamente dai consumatori. La tecnologia di fabbricazione dei sandali da spiaggia in EVA sarebbe stata inoltre completamente delocalizzata al di fuori dell’Europa.

(33) A tale proposito si è constatato che, malgrado presentino effettivamente alcune caratteristiche specifiche, i sandali da spiaggia in EVA hanno le stesse caratteristiche fisiche e tecniche di base delle altre calzature che rientrano nella definizione del prodotto. Quanto al loro utilizzo e alla percezione da parte del consumatore, si è inoltre constatato che esistono notevoli coincidenze con altri tipi di calzature interessate dalla definizione del prodotto, come ad esempio le infradito e gli zoccoli. I canali di vendita, la commercializzazione, la moda ecc. sono inoltre gli stessi degli altri tipi di calzature che rientrano nella definizione del prodotto. L’industria comunitaria ha peraltro fornito elementi di prova da cui risulta che nella Comunità esiste ancora una cospicua produzione di sandali da spiaggia in EVA. Si ritiene pertanto che questa richiesta di esclusione debba essere respinta.

iv) Scarpe in pelle di maiale

(34) Una parte interessata ha affermato che le calzature con tomaie in pelle di maiale dovevano essere escluse dall’inchiesta per le presunte differenze di qualità e prezzo e per la presunta inesistenza di una produzione comunitaria con questo tipo di tomaie.

(35) Non è stato tuttavia possibile operare una distinzione chiara fra calzature in pelle di maiale importate e produzione comunitaria poiché entrambe presentano le stesse caratteristiche fisiche e tecniche di base e hanno lo stesso uso. I canali di vendita sono inoltre risultati essere di norma gli stessi, il che è corroborato dal fatto che i consumatori non hanno una percezione diversa delle scarpe in pelle di maiale. L’affermazione di cui sopra è stata quindi respinta.

v) Calzature con tecnologie brevettate

(36) Una parte interessata ha affermato che alcune calzature con tecnologie brevettate dovevano essere escluse dall’inchiesta: si tratta di una tecnologia che consiste in un tacco speciale che attutisce gli urti e in una suola intermedia imbottita nonché di una tecnologia speciale che aumenta la flessibilità di questo tipo di calzature.

(37) Il confronto tra questo tipo di calzature e il prodotto in esame non ha tuttavia consentito di tracciare una linea di distinzione netta per quanto riguarda le caratteristiche fisiche e tecniche di base e gli usi dei due tipi di prodotti. Benché si riconosca che una tecnologia brevettata possa contribuire ad accrescere il comfort, di per se stessa essa non modifica sostanzialmente le caratteristiche per le quali le calzature sono destinate ad un uso normale. Inoltre, il fatto che alcune tecnologie siano brevettate non è in quanto tale un motivo per giustificare l’esclusione di queste calzature dalla definizione del prodotto. Benché si riconosca che questo prodotto possa presentare caratteristiche particolari, esso resta pertanto in concorrenza con la produzione comunitaria del prodotto in esame. L'affermazione di cui sopra è stata pertanto respinta.

vi) Calzature per lo sport diverse dalle STAF

(38) Alcune parti interessate hanno affermato che tutti i tipi di calzature per lo sport, e quindi non solo le STAF e le calzature per lo sport a termini della nota di sottovoci 1 del capitolo 64 della nomenclatura combinata, dovevano essere esclusi dal procedimento. Queste affermazioni si basano sugli stessi argomenti addotti per l’esclusione delle STAF e sulla presunta scarsità di alcune calzature non STAF sul mercato comunitario qualora questo tipo di calzature non venisse escluso. Quest’ultima affermazione non è stata suffragata da elementi di prova concreti. Non sono state pertanto presentate nuove informazioni valide tali da giustificare una modifica delle conclusioni di cui al considerando 27 del regolamento provvisorio per quanto riguarda gli altri tipi di calzature non STAF. La richiesta è stata quindi respinta.

1.4. Conclusioni

(39) Le conclusioni provvisorie, modificate in conformità del punto B. 1.1. di cui sopra, sono pertanto definitivamente confermate. Ai fini del presente procedimento e in conformità di una prassi costante della Comunità, si ritiene che tutti i tipi del prodotto in esame debbano essere considerati come un unico prodotto.

2. Prodotto simile

(40) Poiché non sono state ricevute osservazioni sul prodotto simile, il contenuto e le conclusioni provvisorie sono confermati.

(41) In base alle considerazioni che precedono, si conclude in via definitiva che, conformemente all’articolo 1, paragrafo 4 del regolamento di base, il prodotto in esame e tutti i tipi corrispondenti di calzature con tomaie di cuoio prodotti e venduti in Brasile, scelto come paese di riferimento, così come quelli prodotti e venduti dall’industria comunitaria sul mercato della Comunità sono simili.

C. CAMPIONAMENTO

1. Campionamento dei produttori esportatori della RPC e del Vietnam

(42) Alcune parti interessate hanno obiettato che, data l’esclusione delle STAF e delle calzature per bambini, i campioni non erano rappresentativi.

(43) Come indicato nel considerando 61 del regolamento provvisorio, l’esclusione dei prodotti STAF non ha influito significativamente sulla rappresentatività del campione. Per quanto riguarda le calzature per bambini, vista la decisione di non escludere questo tipo di calzature dall’ambito dell’inchiesta, l’argomento non è pertinente.

(44) Sono state formulate alcune osservazioni sulle percentuali dei campioni, quali stabilite nell’ambito delle misure provvisorie. Queste osservazioni sono state prese in considerazione. Comprese le calzature per bambini, è stato stabilito che le società selezionate nei campioni rappresentavano rispettivamente più del 12% e più del 15% delle quantità esportate nella Comunità dai produttori esportatori cinesi e vietnamiti del prodotto in esame che hanno cooperato. Il campione è quindi chiaramente rappresentativo. Si vedano anche gli argomenti esposti nel considerando 56 nel seguito.

(45) È stato inoltre affermato che la selezione dei campioni non era coerente con l’accordo antidumping dell’OMC dal momento che alcuni grandi esportatori erano stati scelti a scapito di società le cui vendite nella Comunità sono meno importanti o nulle, ma le cui vendite nel mercato interno sono relativamente consistenti.

(46) Come già spiegato nel considerando 60 del regolamento provvisorio, la metodologia applicata doveva garantire la maggiore rappresentatività possibile dei campioni e includere nel massimo volume rappresentativo di esportazioni, tale da poter essere ragionevolmente esaminato nel periodo di tempo disponibile, alcune società che effettuano vendite rappresentative nel mercato interno. Questa metodologia doveva permettere di calcolare un valore normale su questa base qualora alcuni produttori esportatori selezionati per il campione avessero avuto diritto al trattamento riservato alle imprese operanti in condizioni di economia di mercato ("TEM"). I campioni non sono stati selezionati in contrasto con le norme dell’OMC né con l’articolo 17 del regolamento di base, il quale dispone che i campioni debbano essere statisticamente validi o includere il massimo volume rappresentativo della produzione, delle vendite o delle esportazioni che possa essere adeguatamente esaminato entro il periodo di tempo disponibile. Le norme di cui sopra consentono pertanto di utilizzare le vendite, sul mercato interno e/o per l’esportazione, quale criterio di selezione.

(47) Si ricorda inoltre che, come indicato nei considerando 57 e 58 del regolamento provvisorio, le autorità dei paesi interessati hanno approvato pienamente i campioni selezionati.

(48) Alcune parti interessate hanno inoltre sostenuto che l’accordo circa la composizione del campione riguardante la RPC avrebbe piuttosto dovuto essere cercato con le autorità di Hong Kong e di Taiwan dal momento che le società di produzione cinesi appartengono per la maggior parte ad azionisti di tali paesi. Gli operatori residenti in tali paesi avrebbero quindi dovuto essere oggetto del procedimento.

(49) Questa argomentazione ha dovuto essere respinta. È prassi costante della Comunità cercare un accordo con le autorità del paese esportatore e/o con le associazioni di produttori nei procedimenti antidumping in cui si utilizzano tecniche di campionamento, conformemente all’articolo 17, paragrafo 2 del regolamento di base. Nel caso in questione, inoltre, le autorità governative dei paesi interessati erano strettamente in contatto con le associazioni di produttori dei paesi. I paesi esportatori nell’ambito del procedimento in corso sono la RPC e il Vietnam. Pertanto, l’accordo di queste autorità circa la composizione dei campioni è stato effettivamente richiesto ed ottenuto.

(50) Un produttore esportatore vietnamita non selezionato per il campione ha ribadito che, avendo debitamente compilato un questionario antidumping, avrebbe dovuto beneficiare di un esame individuale. Il fatto che un operatore non selezionato per il campione risponda ad un questionario antidumping non comporta tuttavia automaticamente un esame individuale. In realtà, come indicato nel considerando 64 del regolamento provvisorio, date le dimensioni straordinarie dei campioni la Commissione è giunta alla conclusione che l’esame individuale di altri produttori esportatori sarebbe stato indebitamente gravoso e avrebbe impedito la tempestiva conclusione dell’inchiesta.

(51) Infine, alcune parti hanno sostenuto che non era appropriato inserire nel campione vendite rappresentative sul mercato interno poiché nessuno degli esportatori aveva diritto al TEM. Tale argomentazione non è stata giudicata pertinente dal momento che la decisione relativa al TEM viene adottata dopo la selezione del campione.

(52) L’affermazione di cui sopra è stata quindi respinta e, in assenza di ulteriori osservazioni sulla questione, è stato concluso che i campioni erano rappresentativi.

2. Campionamento dei produttori comunitari

(53) Varie parti interessate hanno indicato una presunta violazione dell’articolo 17 del regolamento di base, sostenendo che il campione di produttori comunitari non è rappresentativo. Tale affermazione si basa sul fatto che nel campione sono state selezionate solo dieci società, le quali rappresentano unicamente il 10% del volume di produzione globale dei denuncianti e solo una parte limitata della produzione totale della Comunità (meno del 5%) poiché nella fattispecie i denuncianti rappresentano poco più del 40% della produzione comunitaria totale. È stato inoltre affermato che alcune tendenze osservate per i produttori comunitari inclusi nel campione non corrispondono a quelle osservate per la totalità dei denuncianti e che il campione non sarebbe quindi rappresentativo.

(54) Un’associazione di importatori ha inoltre affermato che il campione di produttori comunitari non è statisticamente valido e che pertanto una proporzione trascurabile di produttori comunitari è stata oggetto di visite di verifica.

(55) A tale proposito si ricorda che, a norma dell’articolo 17 del regolamento di base, le inchieste possono essere limitate a campioni statisticamente validi o tali da costituire il massimo volume rappresentativo della produzione, delle vendite o delle esportazioni che possa essere adeguatamente esaminato.

(56) Dal testo di questa disposizione risulta chiaramente che non esiste un’indicazione o una soglia quantitativa rispetto al livello del volume rappresentativo. L’unica indicazione è che tale volume dovrebbe essere limitato a quanto può essere adeguatamente esaminato entro il periodo di tempo disponibile.

(57) Tenuto conto delle circostanze specifiche della fattispecie, ossia della forte frammentazione che caratterizza l’industria comunitaria, è inevitabile che le società incluse nel campione rappresentino una proporzione relativamente ridotta della produzione comunitaria totale. Come indicato nel considerando 65 del regolamento provvisorio, la Commissione ha selezionato un campione basato principalmente sulle dimensioni in termini di volume di produzione, ma ha anche tenuto conto dell’ubicazione geografica delle imprese di produzione per garantire che il campione fosse rappresentativo a tale riguardo. Il numero di società selezionate nel campione ha tuttavia dovuto essere limitato a quanto poteva essere adeguatamente esaminato entro il periodo di tempo disponibile, nella fattispecie a dieci società. Vista la notevole frammentazione dell’industria e dato che i grandi produttori sono stati selezionati nel campione, un ulteriore aumento del numero di società non avrebbe comunque avuto effetti significativi sulla proporzione del campione rispetto alla produzione comunitaria totale. In tale contesto si osserva inoltre che, contrariamente a quanto affermato da alcune parti interessate, non esiste l’obbligo giuridico di includere nel campione piccole e medie imprese, quali definite dalla legislazione comunitaria pertinente, come si evince dal testo dell’articolo 17, paragrafo 1 del regolamento di base.

(58) Come spiegato sopra, il campione deve essere statisticamente valido o corrispondere a un volume rappresentativo. Poiché nella fattispecie è stato adottato il secondo metodo, l’affermazione secondo cui il campione non è statisticamente valido è stata respinta. Analogamente, il fatto che alcune tendenze osservate per i produttori comunitari inclusi nel campione non corrisponderebbero a quelle osservate per la totalità dei denuncianti e che un numero ridotto di produttori comunitari sarebbe stato oggetto di visite di verifica non rappresenta un argomento giuridicamente valido tale da mettere in causa la validità del campione.

(59) Per i motivi enunciati sopra, le obiezioni sollevate dalle varie parti interessate sono state respinte e la validità giuridica del campione è confermata, trattandosi di un campione rappresentativo che è stato selezionato in piena conformità dell’articolo 17 del regolamento di base.

D. DUMPING

1. Trattamento riservato alle imprese operanti in condizioni di economia di mercato ("TEM")

1.1. Osservazioni generali

(60) Alcune parti interessate hanno asserito che la Commissione ha omesso di comunicare individualmente a ciascuno degli esportatori cinesi e vietnamiti non inclusi nel campione i motivi per cui non hanno ottenuto il TEM. In base a tale affermazione, che è stata ribadita dopo la divulgazione delle conclusioni definitive, la Commissione è tenuta a prendere decisioni individuali in merito alle richieste di TEM indipendentemente dal fatto che un esportatore sia selezionato o meno per il campione. Queste parti interessate sostengono che la metodologia applicata privi le società non incluse nel campione del loro diritto a ricevere una valutazione individuale e costituisca una violazione dell’articolo 2, paragrafo 7, lettere b) e c) del regolamento di base.

(61) Si ritiene tuttavia che la situazione delle società che richiedono il TEM rientri completamente nelle disposizioni esistenti in tema di campionamento (articolo 17 del regolamento di base). In effetti, tanto nei paesi ad economia di mercato quanto nelle economie in transizione, gli esportatori, per la natura stessa dell’operazione di campionamento, non possono beneficiare di una valutazione individuale e le conclusioni raggiunte per il campione vengono estese anche a loro. L’articolo 17 del regolamento di base stabilisce un metodo generale per le situazioni in cui, a causa del numero assai elevato di società coinvolte, non è più possibile effettuare esami individuali, metodo che consiste nell’uso di un campione rappresentativo. Non vi è ragione che impedisca di applicare il metodo del campionamento anche nel caso in cui il numero elevato di società interessate comprenda numerose società che hanno richiesto il TEM/trattamento individuale (“TI”). Come in qualsiasi altra operazione di campionamento, viene stabilita una media ponderata di tutte le società inserite nel campione, indipendentemente dalla metodologia applicata per il calcolo del dumping di ogni società a seguito della valutazione relativa al TEM/TI. La concessione del TEM/TI non dovrebbe quindi impedire l’applicazione delle normali tecniche di campionamento. Il concetto fondamentale alla base del campionamento è quello di conciliare la necessità amministrativa di procedere a una valutazione del caso in tempo debito e nel rispetto delle scadenze imperative con un’analisi individuale il più completa possibile. Si ricorda infine che, nella fattispecie, il numero di richieste di TEM era così elevato che il loro esame individuale, effettuato talvolta in altri casi, sarebbe risultato impossibile dal punto di vista amministrativo. È stato quindi ritenuto ragionevole applicare anche a tutte le società non incluse nel campione il margine medio ponderato calcolato per tutte le società del campione, senza operare una distinzione fra le società che avevano ottenuto il TEM/TI e quelle che non lo avevano ottenuto. È stato inoltre obiettato che il calcolo del dumping non era sufficientemente attendibile poiché si era fatto ricorso al campionamento delle richieste di TEM. Questa obiezione non può essere accolta. In primo luogo, il campionamento non ha riguardato le richieste di TEM, ma i produttori esportatori. In secondo luogo, le disposizioni sul campionamento sono intese a garantire una determinazione sufficientemente attendibile dell’esistenza o meno di dumping qualora vi sia un numero elevato di produttori esportatori. In terzo luogo, nei casi in cui i produttori esportatori hanno anche richiesto il TEM, non vi è motivo di concludere che la tecnica di campionamento utilizzata abitualmente produca un calcolo non sufficientemente attendibile. In realtà, va contro il concetto stesso di campionamento sostenere che, poiché gli esportatori non inseriti nel campione vanno classificati come beneficiari o meno del TEM, il campione di tale popolazione non sarebbe di per sé rappresentativo. Come in ogni altra inchiesta antidumping, la situazione individuale degli esportatori non è mai identica. Anche in caso di notevoli differenze fra i produttori è possibile applicare il metodo del campionamento. In quarto luogo, il fatto di classificare una società come non beneficiaria del TEM significa soltanto che il valore normale non può essere calcolato utilizzando come base i dati della società stessa, ma che è necessario ricorrere a una valida alternativa. Il ricorso a valide alternative è tuttavia necessario anche in altri importanti ambiti della determinazione del dumping, come risulta ad esempio dall’articolo 2, paragrafi 1 e 6 del regolamento di base. In quinto luogo, la rappresentatività del campione è ulteriormente comprovata dal fatto che i governi stessi dei paesi esportatori hanno proposto la maggior parte delle società inserite nel campione. In altre parole, gli stessi governi hanno considerato questi campioni come rappresentativi della totalità dei loro produttori esportatori.

(62) Alcuni produttori esportatori della RPC e del Vietnam hanno insistito che la Commissione aveva effettuato valutazioni individuali circa la concessione del TEM in casi precedenti in cui il numero di produttori esportatori era elevato. In questi casi, come quello delle confezioni in filamenti di poliestere (si veda il regolamento (CE) n. 1487/2005 del 12 settembre 2005)[7], erano state effettuate valutazioni individuali in merito alla concessione del TEM, ma ai fini dell’accertamento del dumping erano state utilizzate tecniche di campionamento conformemente all’articolo 17 del regolamento di base.

(63) A tale proposito si ricorda tuttavia che, nel caso summenzionato, si era ritenuto possibile procedere ad un esame individuale delle richieste di TEM, mentre tale esame era risultato impossibile nella presente inchiesta. Si osserva inoltre che nel caso summenzionato, conformemente alle norme sul campionamento, alle società non inserite nel campione, che avevano però ottenuto il TEM, è stato attribuito il margine medio ponderato stabilito per le società del campione con diritto al TEM, ossia non è stato attribuito loro un margine individuale, bensì questo margine medio ponderato.

(64) In casi precedenti in cui era stato utilizzato il campionamento e in cui gli esportatori che avevano collaborato avevano chiesto il TEM, il numero di società consentiva di effettuare un esame individuale di ogni richiesta. Dato il numero senza precedenti di richieste di TEM, in questa occasione non è stato possibile procedere ad una valutazione individuale di ogni domanda. Altri esportatori, inseriti o meno nel campione, hanno ribadito che avrebbero dovuto beneficiare del TEM. A sostegno delle loro affermazioni, alcuni di essi hanno presentato il loro statuto per dimostrare che la loro situazione non era diversa da quella della Golden Step, la sola società che aveva ottenuto il TEM.

(65) A tale proposito si osserva che nel presente procedimento sono state applicate le disposizioni di campionamento di cui all’articolo 17 del regolamento di base. Le osservazioni presentate successivamente dai produttori esportatori non inseriti nel campione non sono state esaminate poiché, conformemente all’articolo 17, paragrafo 3 del regolamento di base, tale esame sarebbe risultato indebitamente gravoso e avrebbe impedito la tempestiva conclusione dell’inchiesta. Quanto alle obiezioni sollevate successivamente dalle società incluse nel campione, esse sono oggetto dei pertinenti paragrafi che seguono, che riguardano punti specifici di ciascuno dei due paesi interessati dal presente procedimento.

(66) Alcuni produttori esportatori hanno asserito che la Commissione non si era pronunciata sulle richieste di TEM entro tre mesi dall’avvio del procedimento, come stabilito all’articolo 2, paragrafo 7, lettera c), ultimo comma del regolamento di base.

(67) Benché la valutazione in merito al TEM sia stata realizzata dopo tre mesi dall’avvio dell’inchiesta, i produttori esportatori inclusi nel campione hanno ricevuto separatamente la comunicazione relativa alla loro situazione e hanno potuto esercitare pienamente il loro diritto di difesa. Ovviamente, le parti non sono pregiudicate da un’eventuale decisione circa il TEM presa prima dell’istituzione di misure provvisorie.

(68) Alcuni produttori esportatori che avevano chiesto un esame individuale hanno rinnovato la loro richiesta. Tuttavia, per i motivi già esposti nel considerando 64 del regolamento provvisorio, non è stato possibile accordare un esame individuale ai produttori esportatori cinesi e vietnamiti.

(69) Di conseguenza, come enunciato nei considerando da 53 a 63 del regolamento provvisorio, considerato il numero elevato di produttori esportatori cinesi e vietnamiti che hanno collaborato, è stato utilizzato un campione rappresentativo per stabilire il dazio da applicare agli esportatori non inseriti nel campione che hanno collaborato, come in tutti i casi di antidumping.

1.2. Decisione in merito alla concessione del TEM relativamente ai produttori esportatori della RPC

(70) A seguito dell’istituzione di misure provvisorie, i dodici produttori esportatori cinesi selezionati nel campione e oggetto di verifiche in loco hanno affermato che avrebbero dovuto beneficiare del TEM ed hanno ribadito gli argomenti sostenuti in precedenza.

(71) In seguito alla comunicazione delle conclusioni provvisorie, una di questa dodici società, la Golden Step (“GS”), ha inoltre affermato che dopo l’esame della sua richiesta di TEM si erano prodotti importanti cambiamenti e ha fornito elementi di prova al riguardo. Si ricorda che la richiesta di TEM da parte della GS era stata respinta in quanto la società non soddisfaceva il criterio 1 di cui all’articolo 2, paragrafo 7, lettera c) del regolamento di base. Il rifiuto della domanda era motivato, in particolare, dall’esistenza di un obbligo di esportazione per cui la GS non era libera di fissare i propri quantitativi di vendita senza considerevoli interferenze statali. Tuttavia, dopo la comunicazione delle conclusioni relative al TEM, la GS ha presentato, entro i termini imperativi fissati a tale scopo, elementi di prova da cui risulta che la società, de facto e de jure, non è sottoposta ad alcun obbligo per quanto riguarda le vendite all’esportazione.

(72) Tenuto conto delle nuove circostanze della GS e del fatto che il rifiuto di concederle il TEM si era basato unicamente sul mancato rispetto del criterio 1, è stato deciso di rivedere la decisione originale e di accordare il TEM alla GS.

(73) Alcuni produttori la cui richiesta di TEM era stata respinta hanno sostenuto che, in altri procedimenti antidumping, il riferimento a restrizioni delle vendite nello statuto non aveva comportato il rifiuto di concedere tale trattamento. Occorre anzitutto sottolineare che l’analisi delle richieste di TEM viene eseguita caso per caso in base agli elementi comunicati e che questa presunta contraddizione rispetto ad altre recenti analisi effettuate a partire da un insieme di fatti comparabili non esiste. Nel caso in questione, al contrario, il produttore esportatore ha presentato in tempo debito una versione modificata del proprio statuto in cui non figurano restrizioni alle vendite ed ha dimostrato di non essere soggetto, de facto, a restrizioni di questo tipo.

(74) Altre parti hanno obiettato che il rifiuto di accordare il TEM agli esportatori di calzature cinesi non è conforme alle norme dell’OMC, in particolare poiché le esportazioni dalla Cina non sono più soggette a monopolio statale, come richiesto dalla seconda disposizione supplementare relativa all’articolo VI, paragrafo 1 dell’allegato I del GATT 1994 quale condizione affinché le parti contraenti possano derogare dall’accertare il valore normale in base ai dati relativi al valore normale provenienti dai paesi esportatori.

(75) Quando è stata introdotta la disposizione supplementare di cui sopra, la RPC, insieme ad altri paesi, era effettivamente considerata soggetta a un monopolio statale sulle esportazioni. Da allora si è tenuto conto delle riforme economiche attuate dalla Cina che le sono valse un diverso trattamento nei procedimenti di difesa commerciale. Attualmente la sezione 15 del protocollo di adesione della Cina all’OMC contiene disposizioni specifiche sul trattamento applicabile alle esportazioni cinesi nei procedimenti di difesa commerciale. Le disposizioni del protocollo consentono infatti ai membri dell’OMC di utilizzare una metodologia non basata su uno stretto confronto con i prezzi o i costi sul mercato interno in Cina se i produttori oggetto dell’inchiesta non possono dimostrare chiaramente la prevalenza di condizioni di economia di mercato nell’industria produttrice del prodotto simile per quanto riguarda la fabbricazione, la produzione e la vendita di tale prodotto.

(76) Per quanto riguarda le altre undici società incluse nel campione, si fa notare che nessuna nuova motivazione è stata presentata in tempo debito tale da giustificare una modifica della decisione di non concedere il TEM.

(77) In tale contesto, va osservato in particolare che la presentazione, da parte di due produttori esportatori cinesi inclusi nel campione, di statuti modificati, in cui non figuravano più le restrizioni alle vendite, solo dopo la comunicazione delle conclusioni definitive è avvenuta troppo tardi per essere presa in considerazione, poiché in quel momento non rimaneva tempo a sufficienza per procedere alla verifica di cui all’articolo 16, paragrafo 1 del regolamento di base. In ogni caso, le restrizioni alle vendite (criterio 1) non erano l’unico motivo per cui le società interessate non avevano ottenuto il TEM.

(78) Le altre osservazioni formulate da queste società sono già state analizzate nei considerando da 69 a 77 del regolamento provvisorio. I risultati e le conclusioni enunciati nei considerando di cui sopra sono pertanto confermati e la decisione di rifiutare di accordare il TEM alle undici società viene mantenuta.

1.3. Decisione in merito alla concessione del TEM relativamente ai produttori esportatori del Vietnam

(79) A seguito dell’istituzione di misure provvisorie, sette produttori esportatori vietnamiti selezionati nel campione hanno affermato che avrebbero dovuto beneficiare del TEM e hanno ribadito gli argomenti sostenuti in precedenza senza fornire nuovi elementi di prova in misura sufficiente. Queste osservazioni sono già state analizzate nei considerando da 78 a 90 del regolamento provvisorio. Di conseguenza, le conclusioni di cui ai summenzionati considerando del regolamento provvisorio sono confermate e la decisione di rifiutare di accordare il TEM alle otto società viene mantenuta.

(80) Due produttori esportatori vietnamiti inclusi nel campione hanno sostenuto che avrebbero dovuto beneficiare del TEM poiché ad essi si applicavano le stesse motivazioni addotte per accordare il TEM alla società GS. Secondo la loro interpretazione, essi non avevano ottenuto il TEM a causa i) delle restrizioni alle vendite contenute nella licenza commerciale e nello statuto e ii) dell’esistenza di un contratto fra una società collegata e una società appartenente al 100% allo Stato. Le società in questione hanno affermato che tali circostanze erano applicabili anche al produttore esportatore cinese GS e che pertanto le decisioni prese nei loro confronti dovevano essere identiche a quella riguardante tale società.

(81) Va osservato che, in base alle spiegazioni contenute nei considerando da 78 a 90 del regolamento provvisorio, le due società vietnamite non hanno ottenuto il TEM in quanto non soddisfacevano i criteri 1, 2 e 3 di cui all’articolo 2, paragrafo 7, lettera c) del regolamento di base. A tale proposito si osserva che le due società detengono licenze di investimento che impongono restrizioni quantitative alle vendite. Queste restrizioni non sono state eliminate né durante né dopo il PI. Inoltre, come già indicato nel considerando 89 del regolamento provvisorio, le due società non hanno trasmesso il modulo di domanda del TEM per uno dei loro produttori vietnamiti collegati. Non è stato pertanto possibile stabilire che la totalità del gruppo rispetti tutte le condizioni per ottenere il TEM. Il fatto che quest’impresa collegata detenesse un contratto di lavorazione con una società di proprietà statale non è stato preso in considerazione ai fini della decisione relativa al TEM poiché la Commissione non poteva formulare conclusioni su un modulo di richiesta del TEM che non era stato presentato. Si conclude pertanto che la situazione effettiva di questi due produttori esportatori vietnamiti non presenta analogie con quella della società GS. Le argomentazioni presentate sono state quindi respinte.

2. Trattamento individuale (“TI”)

2.1. Trattamento individuale relativo ai produttori esportatori della RPC

(82) A seguito dell’istituzione di misure provvisorie, alcuni produttori esportatori cinesi selezionati nel campione hanno sostenuto che avrebbero dovuto beneficiare del trattamento individuale e hanno ribadito gli argomenti sostenuti in precedenza, senza fornire nuovi elementi di prova in tempo debito. In tale contesto si osserva in particolare che due produttori esportatori cinesi inclusi nel campione hanno presentato statuti modificati, in cui non figuravano più le restrizioni alle vendite, solo dopo la comunicazione delle conclusioni definitive, troppo tardi per procedere alla verifica di cui all’articolo 16, paragrafo 1 del regolamento di base.

(83) Per le ragioni già enunciate nel considerando 94 del regolamento provvisorio, tali argomentazioni sono state quindi respinte.

(84) Altri produttori esportatori cinesi hanno sostenuto che il rifiuto di accordare il trattamento individuale ai produttori esportatori cinesi costituiva una violazione della sezione 15 del protocollo di adesione della Cina all’OMC e dell’articolo 6, paragrafo 10 dell’accordo antidumping.

(85) Questa argomentazione è stata respinta. In primo luogo, l’accordo antidumping non è direttamente applicabile nella Comunità. In secondo luogo, l’articolo 6, paragrafo 10 dell’accordo antidumping stabilisce unicamente la regola generale per cui agli esportatori vengono attribuiti margini individuali. Tuttavia, nei casi in cui non si applicano condizioni di economia di mercato, anche le norme dell’OMC, come ad esempio la seconda disposizione supplementare relativa all’articolo VI, paragrafo 1 dell’allegato I del GATT 1994, prevedono deroghe alla regola generale. La situazione degli esportatori cinesi è disciplinata in maniera più specifica dal protocollo di adesione della Cina all’OMC. Dalla sezione 15 di tale protocollo non deriva tuttavia alcun obbligo di attribuire margini individuali ai produttori esportatori.

(86) Basandosi sulle stesse considerazioni, alcune parti interessate hanno sostenuto che il paragrafo 5 dell’articolo 9 del regolamento di base, contenente le norme relative al trattamento individuale, fosse in contraddizione con la normativa OMC.

(87) Tale affermazione è stata respinta, non solo perché le norme dell’OMC non sono direttamente applicabili nella Comunità, ma anche perché esse non escludono la metodologia in due fasi costituita da i) TEM e ii) TI.

(88) Quattro esportatori cinesi hanno rinnovato la richiesta di un esame individuale, come indicato nel considerando 7 del regolamento provvisorio. Tali esportatori sostenevano che, se era possibile esaminare un campione di dodici società cinesi, doveva essere possibile estendere l’inchiesta ad altre quattro.

(89) Tuttavia, per le ragioni già enunciate nel considerando 64 del regolamento di base, tali richieste sono state respinte.

(90) Un altro produttore esportatore ha richiesto un trattamento individuale dopo l’istituzione di misure provvisorie. Tale produttore aveva avviato la sua attività dopo la conclusione del PI iniziale. Per gli stessi motivi enunciati sopra, non è stato possibile procedere ad una valutazione individuale della fondatezza della sua richiesta. Si è altresì constatato che il suo statuto conteneva un obbligo di esportazione. Questa società beneficiava inoltre di incentivi fiscali qualora le sue esportazioni avessero superato una determinata percentuale delle vendite totali. In tali circostanze, non sarebbe stato comunque possibile concedere a tale impresa un trattamento individuale.

2.2. Trattamento individuale relativo ai produttori esportatori del Vietnam

(91) A seguito dell’istituzione di misure provvisorie, sei produttori esportatori vietnamiti inclusi nel campione hanno sostenuto che avrebbero dovuto beneficiare del trattamento individuale.

(92) Le società cui non è stato accordato il trattamento individuale a norma dell’articolo 9, paragrafo 5, lettera a) del regolamento di base hanno semplicemente ribadito che il loro volume di esportazioni viene deciso liberamente. Si ricorda che i quantitativi delle esportazioni erano fissati nelle licenze di investimento di tali società: non si poteva pertanto ritenere che fossero decisi liberamente dalle società stesse poiché ogni scarto rispetto alla percentuale stabilita nella licenza di investimento avrebbe richiesto una modifica preliminare di quest’ultima che avrebbe dovuto essere approvata dalle autorità. Benché tali esportatori sostenessero che la percentuale veniva stabilita liberamente dalle società in base a considerazioni economiche, si ritiene che non vi sia motivo di fissare una percentuale di esportazioni in una licenza di investimento, vietando così esplicitamente ad un’impresa di vendere parte della sua produzione nel mercato nazionale. In tali circostanze l’impresa in questione non è più libera di decidere se, in un dato momento, preferisca vendere sul mercato interno quantitativi superiori a quelli consentiti nella licenza poiché, per fare ciò, deve ottenere l’accordo preliminare delle autorità.

(93) Una delle società cui non è stato accordato il trattamento individuale a norma dell’articolo 9, paragrafo 5, lettera c) del regolamento di base ha sostenuto che la decisione della Commissione di rifiutare il TI non era adeguatamente giustificata. Tale società è tuttavia interamente detenuta dallo Stato: la maggior parte delle sue azioni non appartiene quindi a privati, ma allo Stato, cui spetta anche la nomina del personale direttivo. La società in questione è inoltre collegata ad un’altra società che non soddisfa i criteri per il TEM né quelli per il TI. Dato il rischio di elusione delle misure qualora si applicassero a queste due società collegate aliquote del dazio diverse e tenuto conto della prassi consolidata di esaminare se la totalità di un gruppo di società collegate soddisfi le condizioni per beneficiare del TEM o del TI, non è stato possibile stabilire che la totalità del gruppo soddisfa tutte le condizioni per il TI.

(94) Si confermano pertanto le conclusioni di cui al considerando 97 del regolamento provvisorio.

(95) Le ultime due società non hanno fornito nuovi elementi di prova.

(96) Di conseguenza, per le stesse motivazioni esposte nel considerando 97 del regolamento provvisorio, si è ritenuto che la decisione di non concedere il TI alle otto società vietnamite dovesse essere mantenuta.

(97) Per quanto riguarda le richieste di TI presentate da produttori esportatori non inclusi nel campione, si rimanda al paragrafo pertinente di cui sopra.

3. Valore normale

3.1. Determinazione del valore normale per i produttori esportatori ai quali è stato concesso il TEM

(98) La determinazione del valore normale per l’unico produttore esportatore cui è stato concesso il TEM deve fondarsi sui dati comunicati da questa società in merito alle vendite sul mercato interno e ai costi di produzione. I dati sono stati verificati presso la sede della società in questione.

(99) Per determinare il valore normale, la Commissione ha dapprima stabilito che il produttore esportatore in questione non aveva effettuato vendite sul mercato interno durante il periodo dell’inchiesta. Di conseguenza, il valore normale non poteva essere determinato in base ai prezzi applicati sul mercato interno dal produttore esportatore, come prevede l’articolo 2, paragrafo 1, primo comma del regolamento di base. È stato quindi necessario applicare un altro metodo.

(100) A tal fine è stato controllato se fosse possibile utilizzare i prezzi di altri venditori o produttori della RPC, conformemente all’articolo 2, paragrafo 1, secondo comma del regolamento di base. Nessun produttore esportatore della RPC aveva tuttavia ottenuto il TEM. Non era quindi possibile basarsi sui prezzi applicati sul mercato interno da tali produttori esportatori.

(101) Poiché non era possibile utilizzare i prezzi applicati sul mercato interno per determinare il valore normale, è stato necessario costruire un valore normale basato sui costi del produttore interessato. Di conseguenza, conformemente all'articolo 2, paragrafo 3 del regolamento di base, il valore normale è stato costruito sommando ai costi di produzione del modello di calzatura esportato, eventualmente adeguati, un congruo importo per le spese generali, amministrative e di vendita (SGAV) e un ragionevole margine di profitto.

(102) Poiché il produttore esportatore cui era stato concesso il TEM non aveva effettuato vendite sul mercato interno e poiché nessun altro produttore esportatore cinese aveva ottenuto il TEM, gli importi relativi alle SGAV e ai profitti dovevano essere calcolati utilizzando qualsiasi altro metodo appropriato conformemente all’articolo 2, paragrafo 6, lettera c) del regolamento di base.

(103) La Commissione ha pertanto utilizzato le SGAV e i tassi di profitto di produttori esportatori cinesi che avevano ottenuto di recente il TEM nel quadro di altre inchieste e che avevano realizzato vendite sul mercato interno nel corso di normali operazioni commerciali, conformemente alle disposizioni dell’articolo 2, paragrafo 2 del regolamento di base.

(104) Le SGAV e i tassi di profitto medi registrati nel corso di tali inchieste sono stati aggiunti ai costi di fabbricazione sostenuti dal produttore esportatore interessato in relazione ai modelli esportati.

3.2. Determinazione del valore normale nel paese di riferimento

(105) Alcune parti interessate hanno sostenuto che non era appropriato scegliere il Brasile come paese di riferimento invocando come unica o principale ragione la rappresentatività delle sue vendite sul mercato interno rispetto a quelle di altri paesi di riferimento proposti in alternativa.

(106) Occorre innanzitutto sottolineare che la rappresentatività delle vendite sul mercato interno non è l’unica ragione per aver scelto il Brasile. Altri fattori, quali la concorrenza sul mercato brasiliano, la differenza dei costi delle strutture di produzione, comprese le condizioni di accesso alle materie prime, e il know-how dei produttori brasiliani, sono stati esaminati nei considerando da 109 a 123 del regolamento di base e hanno portato alle stesse conclusioni. Incidentalmente, la scelta del Brasile risulta ancora più appropriata se si considera la decisione di escludere le calzature STAF dalla definizione del prodotto poiché, a differenza degli altri paesi proposti dalle parti interessate di cui sopra, le società brasiliane quasi non producono STAF. Per quanto riguarda gli altri fattori invocati da tali parti interessate, quali gli sviluppi socio-economici e culturali o i costi della manodopera, essi non sono stati giudicati pertinenti per determinare se il Brasile sia o meno un paese di riferimento appropriato. In termini di sviluppo economico, inoltre, il Brasile non è molto diverso da altri paesi di riferimento proposti, come la Tailandia e l’Indonesia. Pertanto la scelta del Brasile non è stata giudicata inadeguata.

(107) Inoltre, benché il solo fatto che le vendite sul mercato interno del paese di riferimento fossero inferiori alla soglia minima del 5% non significa necessariamente che tale paese non sia appropriato, le vendite sul mercato interno delle società tailandesi e indonesiane proposte da alcune parti interessate, vendite inferiori al 2%, indicano tuttavia che tali mercati sono meno rappresentativi di quello brasiliano.

(108) Il livello di vendite sul mercato interno, pur non essendo l’unica ragione alla base della scelta del Brasile, era inoltre assai pertinente nella fattispecie data la grande varietà di tipi di calzature prodotti nei paesi interessati che devono essere confrontati con le calzature prodotte nel paese di riferimento le quali più assomigliano a quelle fabbricate nei paesi interessati.

(109) Alcune parti interessate hanno sostenuto che l’impiego, da parte della Commissione, di numeri di controllo del prodotto (“NCP”) strettamente comparabili ai fini delle conclusioni provvisorie non permetterebbe un confronto preciso ed equo fra i prezzi all’esportazione e i valori normali. Va osservato che, ovviamente, non tutti gli NCP venduti dai paesi esportatori trovano un corrispondente in Brasile. In questi casi si ritiene che l’approccio più ragionevole consista nell’utilizzare gli NCP maggiormente simili per effettuare un confronto equo. Sono stati inoltre operati adeguamenti (ad esempio, calzature per bambini, qualità del cuoio) per tenere conto delle differenze sostanziali fra le caratteristiche delle calzature esportate dai paesi esportatori e i tipi di calzature molto simili venduti in Brasile. Tali caratteristiche o non erano state previste dal sistema NCP nelle fasi iniziali della sua creazione o non erano state interamente prese in considerazione nei dati disponibili presentati dalle parti interessate.

(110) Si ricorda altresì che le vendite totali di calzature in cuoio da parte dei produttori brasiliani che hanno collaborato sono superiori alle vendite totali dei produttori disponibili a collaborare degli altri paesi di riferimento proposti Indonesia, India e Tailandia. È stato pertanto ritenuto che la gamma di prodotti fabbricati dalle società brasiliane fosse probabilmente più ampia di quella dei prodotti fabbricati negli altri paesi considerati. La probabilità di trovare tipi di calzature brasiliane comparabili con i tipi di calzature cinesi/vietnamite è stata quindi giudicata maggiormente elevata.

(111) In effetti, le sei società tailandesi, le due società indonesiane e la società indiana hanno dichiarato rispettivamente vendite totali (sul mercato interno e all’esportazione) inferiori a 8 milioni di paia (ossia meno del 5% delle esportazioni dei paesi interessati), mentre le otto società brasiliane che hanno collaborato hanno dichiarato vendite totali superiori a 40 milioni di paia, di cui oltre 18 milioni di paia si riferiscono alle sole tre società i cui dati sono stati utilizzati. In tali condizioni, la probabilità di trovare modelli prodotti dalle società brasiliane comparabili a quelli dei paesi interessati risulta ovviamente maggiore che nel caso delle società tailandesi, indiane o indonesiane.

(112) Una parte ha obiettato che la gamma di prodotti brasiliani non è così ampia e diversificata come quella dei paesi interessati. Tuttavia, sulla scorta di quanto precede, si può ragionevolmente supporre che la gamma di prodotti delle società brasiliane che hanno fornito i dati necessari e le cui vendite (sul mercato interno e all’esportazione) sono risultate da 6 a 13 volte superiori a quelle dichiarate dalle imprese indiane, indonesiane e tailandesi sia ampia e diversificata.

(113) Alcune parti interessate hanno inoltre indicato una presunta contraddizione tra il considerando 108 del regolamento provvisorio, che affermava che “il Brasile è parso come la scelta più congrua sotto il profilo della rappresentatività delle vendite sul mercato interno, che consentiva di evitare la costruzione del valore normale e il calcolo di eventuali numerosi adeguamenti”, e il considerando 123 del regolamento provvisorio, che concludeva che la differenza di qualità fra le pelli utilizzate dalle società selezionate nel campione e quelle dei produttori brasiliani “non è un motivo valido per non considerare appropriato il Brasile come paese di riferimento, poiché si può procedere ad un adeguamento per differenze nelle caratteristiche fisiche del prodotto in modo da tener conto della diversa qualità delle pelli”.

(114) La contraddizione tuttavia non sussiste poiché il considerando 108 del regolamento provvisorio afferma solamente che il Brasile è parso la scelta più congrua in quanto avrebbe richiesto meno adeguamenti rispetto ad altri potenziali paesi di riferimento. Inoltre, nella fase iniziale dell’inchiesta non è ovviamente possibile sapere con esattezza quali adeguamenti saranno alla fine necessari per procedere ad un confronto appropriato. Tali adeguamenti sarebbero stati probabilmente necessari anche se si fosse scelto un altro paese come paese di riferimento. Tuttavia, data l’insufficiente rappresentatività delle vendite sul mercato interno degli altri paesi proposti nonché la gamma probabilmente limitata dei loro prodotti, si può ragionevolmente supporre che il loro valore normale avrebbe dovuto essere costruito e che per rendere i modelli tailandesi, indonesiani o indiani comparabili a quelli prodotti nei paesi interessati sarebbe stato necessario un maggior numero di adeguamenti rispetto a quelli necessari per utilizzare i prezzi di vendita sul mercato interno praticati in Brasile.

(115) Per quanto riguarda lo sviluppo economico e il reddito pro capite, benché di norma tali elementi non siano considerati pertinenti, si ricorda che, come indicato nel considerando 115 del regolamento provvisorio, secondo il criterio principale di classificazione delle economie della Banca mondiale, che è il reddito nazionale lordo pro capite, il Brasile figura nella stessa categoria della RPC, della Tailandia e dell’Indonesia. Inoltre, né nella RPC né in Vietnam i costi della manodopera dei produttori esportatori del campione erano tali, se confrontati con quelli dei produttori brasiliani del campione, da richiedere un adeguamento. Va inoltre osservato che le differenze nominali di costi tra il paese di riferimento e il paese esportatore interessato non sono pertinenti in quanto tali. In effetti, poiché di norma i costi e i prezzi non sono considerati come una base valida per la determinazione del valore normale nei paesi di cui all’articolo 2, paragrafo 7 del regolamento di base, tale confronto contrasta con l’obiettivo che consiste nell’applicare i metodi di cui all’articolo 2, paragrafo 7, lettera a) del regolamento di base.

(116) Alcune parti interessate hanno sostenuto che il Brasile non è un paese di riferimento appropriato a causa delle presunte sovvenzioni concesse ai produttori di calzature nei territori settentrionali. Secondo tali parti interessate, queste sovvenzioni avrebbero lo scopo di attirare i produttori di calzature nel nord del paese, il che si ripercuoterebbe sulla competitività del mercato.

(117) Va sottolineato innanzitutto che tale affermazione non è stata corroborata da alcun elemento di prova.

(118) Inoltre, le società utilizzate per la determinazione del valore normale non sono stabilite nei territori settentrionali, bensì nel sud del paese e non avrebbero pertanto potuto ricevere queste presunte sovvenzioni.

(119) Infine, anche se tali interventi statali esistessero veramente come descritti dagli esportatori, questo meccanismo impedirebbe solamente ad altre società di impiantare una fabbrica nella stessa regione, ma non di vendere i loro prodotti in determinate parti del mercato brasiliano. Il mercato delle calzature non è sicuramente un mercato locale né regionale quanto piuttosto un mercato nazionale e anche mondiale. Il fatto che una società possa ricevere sovvenzioni per impiantare una fabbrica in una regione ultraperiferica non impedisce quindi la concorrenza, soprattutto in un mercato da 7 000 produttori. Anche qualora i costi, a termine, fossero influenzati da queste presunte sovvenzioni statali, con ogni probabilità esse comporterebbero solamente un ribasso dei prezzi di vendita, il che tenderebbe a ridurre il valore normale e quindi gli eventuali margini di dumping.

(120) Inoltre, alla luce delle motivazioni esposte nel considerando 109 del regolamento provvisorio e, in particolare, del fatto che il Brasile presenta più di 7 000 produttori, non si è ritenuto che la concorrenza sul mercato brasiliano potesse costituire una ragione per scartare il Brasile come paese di riferimento.

(121) Considerato quanto precede e data l’assenza di ulteriori elementi di prova, l’argomentazione di cui sopra è stata pertanto respinta.

(122) È stato quindi concluso che il Brasile è un paese di riferimento appropriato per stabilire il valore normale, come già concluso nel considerando 124 del regolamento provvisorio.

3.3. Prezzo all’esportazione

(123) In assenza di osservazioni delle parti interessate, si conferma il metodo descritto nei considerando da 128 a 130 del regolamento provvisorio.

(124) Alcune parti hanno sostenuto che, nel calcolo del margine di dumping a livello nazionale, le conclusioni non avrebbero dovuto basarsi sui prezzi all’esportazione delle società incluse nel campione, quanto piuttosto sul volume di esportazioni a livello nazionale (ad esempio, sui dati Eurostat).

(125) Questa argomentazione è stata respinta. Si ricorda che nel presente procedimento sono state applicate le disposizioni di campionamento di cui all’articolo 17 del regolamento di base. Sono stati quindi utilizzati solo i prezzi all’esportazione delle società incluse nel campione. Per le società del campione che non soddisfacevano i criteri per ottenere il TEM/TI è stata calcolata una media ponderata dei margini di dumping. Inoltre, come illustrato nel considerando 135 del regolamento provvisorio, questa media ponderata dei margini di dumping si applica alle società che hanno collaborato all’inchiesta e che non figurano nel campione, conformemente all’articolo 9, paragrafo 6 del regolamento di base. Poiché vi è stata una notevole collaborazione, lo stesso margine di dumping è stato applicato anche a tutti gli altri produttori esportatori cinesi.

3.4. Confronto

(126) Alcune parti interessate hanno sostenuto che non erano stati comunicati tutti i particolari relativi al confronto fra i prezzi all’esportazione. Secondo tali parti interessate, non erano stati quantificati gli adeguamenti operati sui valori normali determinati a partire dai dati brasiliani.

(127) Dopo aver attentamente considerato tutte le osservazioni formulate dalle parti interessate e debitamente riesaminato le pratiche, si è ritenuto opportuno apportare una correzione agli adeguamenti operati a livello di costi delle pelli, come indicato nel considerando 132 del regolamento provvisorio. Si è constatato che i produttori dei paesi esportatori, soprattutto i produttori cinesi, vendevano calzature di cuoio di qualità superiore a quella delle calzature vendute sul mercato interno dai produttori brasiliani. La differenza di qualità delle scarpe era dovuta essenzialmente alla qualità più elevata delle pelli usate. La differenza di qualità si rifletteva anche nel prezzo d’acquisto delle pelli utilizzate: le pelli delle calzature esportate dalla Cina e dal Vietnam erano più care di quelle utilizzate in Brasile per fabbricare calzature destinate al mercato interno. A tale scopo, il valore delle pelli utilizzate come fattori di produzione dai produttori del paese di riferimento è stato confrontato con il valore corrispondente di quelle utilizzate dai produttori cinesi e vietnamiti inclusi nel campione. È emerso che la maggior parte delle pelli utilizzate dai produttori cinesi e vietnamiti era stata importata da paesi ad economia di mercato. Per determinare l’adeguamento è stata quindi utilizzata una media comprendente i prezzi applicati sul mercato mondiale. Il calcolo è stato effettuato separatamente per i due paesi esportatori. La differenza di valore delle pelli utilizzate come fattori di produzione è stata moltiplicata per la quota delle pelli nel costo totale di produzione. Gli adeguamenti al rialzo da applicare al valore normale sono stati del 21,6 % per la RPC e del 16,4 % per il Vietnam.

(128) Alcune parti interessate hanno obiettato che non era appropriato effettuare adeguamenti per tenere conto della qualità delle pelli quando il costo di produzione nei paesi esportatori risultava falsato per il fatto che a tutti gli esportatori di tali paesi, tranne uno, non era stato accordato il TEM.

(129) Tale obiezione è stata respinta. È vero che il TEM era stato rifiutato anche perché si era riscontrata un’influenza dello Stato che incideva sui costi/prezzi. Come indicato sopra, tuttavia, le pelli erano state importate da paesi ad economia di mercato.

(130) Alcune parti hanno obiettato che la Commissione non aveva comunicato le cifre esatte utilizzate per calcolare l’adeguamento né i motivi per cui l’adeguamento destinato a tenere conto della qualità delle pelli aveva dovuto essere rivisto dopo la determinazione provvisoria.

(131) I motivi che hanno portato alla revisione dell’adeguamento sono stati esposti sopra. La Commissione ha inoltre comunicato a tutte le società oggetto del presente procedimento le informazioni necessarie sui fatti e le considerazioni essenziali in base ai quali si intende raccomandare l’istituzione di misure definitive.

(132) Alcune parti interessate hanno affermato che sul valore normale non avrebbe dovuto essere applicato nessun adeguamento per tenere conto dei costi della ricerca e sviluppo (“R&S”) dal momento che i produttori cinesi e vietnamiti sostenevano costi analoghi di R&S.

(133) Si è constatato tuttavia che i costi di R&S sostenuti dai produttori dei paesi interessati inclusi nel campione riguardavano unicamente la R&S relativa alla produzione, mentre in Brasile la R&S riguardava la concezione e i campioni di nuovi modelli di calzature: trattandosi di un tipo diverso di R&S si ritiene pertanto necessario mantenere questo adeguamento.

(134) Un’altra parte ha inoltre affermato che doveva essere effettuato un adeguamento per tenere conto del fatto che i profitti delle vendite ai produttori di equipaggiamenti originali ( original equipment manufacturers – “OEM”) sono inferiori a quelli delle altre vendite.

(135) Quest’affermazione non è stata tuttavia corroborata dalle conclusioni dell’inchiesta condotta presso le società brasiliane, dove tale differenza non esiste. L’eventuale differenza fra le vendite agli OEM e le vendite realizzate con la propria marca è già stata presa in considerazione nell’adeguamento effettuato per tenere conto della differenza dei costi di R&S. L’affermazione è stata quindi respinta.

(136) È stato inoltre necessario operare un adeguamento relativamente alle calzature per bambini. Nessuno dei produttori brasiliani fabbricava calzature per bambini. Si osserva, a partire ad esempio dai dati Eurostat relativi alle importazioni, che le calzature per bambini sono di norma meno care di quelle per adulti. Questo è attribuibile alle dimensioni più piccole delle calzature per bambini e pertanto alla minore quantità di materie prime necessaria per fabbricarle. È stato quindi operato un adeguamento in base alle differenze proporzionali di prezzo fra calzature per bambini e calzature per adulti vendute dall’industria comunitaria. Tale adeguamento è pari al 33,2 % del valore normale.

(137) Alcune parti hanno affermato che tale adeguamento non era stato oggetto di sufficienti spiegazioni. È stato inoltre affermato che l’unico fattore che giustificava la differenza di prezzo era la differenza di dimensioni e quindi di quantità di materie prime utilizzate. Secondo tali parti interessate, questa ipotesi non era corretta. A tale proposito, si osserva che l’adeguamento effettuato in relazione alle calzature per bambini è stato pienamente comunicato alle parti ed è descritto sopra. Le parti che hanno considerato tale adeguamento errato non hanno inoltre proposto alcun metodo alternativo in grado di fornire risultati migliori e di garantire un confronto equo tra prezzi all’esportazione e valori normali.

(138) In assenza di ulteriori osservazioni, si confermano le conclusioni di cui ai considerando da 131 a 133 del regolamento provvisorio.

(139) Alcune parti hanno sostenuto che il sistema degli NCP non consentiva di operare un confronto su base equa. Tali parti hanno affermato, in particolare, che il sistema degli NCP utilizzato era troppo generale e non si basava sulle caratteristiche fisiche specifiche del prodotto. Secondo tali parti, questo avrebbe comportato una violazione dell’articolo 2, paragrafo 4 dell’accordo antidumping. È stato inoltre sostenuto che gli adeguamenti generali (intesi a tenere conto delle differenze di qualità delle pelli) non compensavano sufficientemente questa presunta lacuna.

(140) Tali argomentazioni sono state respinte. In effetti, tanto l’articolo 2, paragrafo 4 dell’accordo antidumping quanto l’articolo 2, paragrafo 10 del regolamento di base introducono l’obbligo di un confronto equo. Tali disposizioni non forniscono tuttavia alcuna precisazione quanto all’elaborazione degli NCP. Si ricorda che è prassi consolidata della Comunità agevolare la comparabilità fra il prodotto in esame e il prodotto simile utilizzando NCP che suddividono il prodotto in tipi/modelli in funzione di determinate caratteristiche o specifiche tecniche. Nella fattispecie sono stati presi in considerazione cinque elementi, ovverosia lo stile della calzature, il tipo di consumatori, il tipo di calzature, il materiale della suola esterna e la fodera. Questi elementi riflettono adeguatamente le caratteristiche essenziali del prodotto in esame. Si osserva inoltre che né il regolamento di base né l’accordo antidumping impongono l’obbligo giuridico di ricorrere a NCP nel corso delle inchieste antidumping. Nel caso in esame, conformemente al principio di un confronto equo, un solo ed unico sistema di NCP è stato utilizzato in maniera uniforme per classificare i modelli del prodotto in esame fabbricati e venduti dai produttori nella Comunità, nei paesi esportatori e nel paese di riferimento allo scopo di confrontare su base equa i prezzi comunitari, i prezzi all’esportazione e i valori normali.

(141) È stato inoltre riscontrato che la questione della qualità delle pelli, di cui non è stato tenuto conto nel sistema degli NCP, aveva effettivamente un’influenza sui prezzi e sulla comparabilità dei prezzi del prodotto in esame. Il cuoio di norma rappresenta il 50% o più del costo totale di produzione di una scarpa in cuoio. In funzione del tipo, della qualità e della quantità, il costo del cuoio utilizzato può variare in misura considerevole, ma si è riscontrato che le differenze di costo si riflettono adeguatamente nei prezzi di vendita. Ai fini del confronto fra il valore normale e i prezzi all’esportazione nonché del calcolo della sottoquotazione e delle vendite sottocosto, è stato effettuato un congruo adeguamento per le differenze inerenti alle caratteristiche fisiche, conformemente all’articolo 2, paragrafo 10, lettera a) del regolamento di base.

(142) Altre parti interessate hanno riscontrato enormi differenze di prezzo nel quadro di alcuni NCP, il che indicherebbe una lacuna di questo sistema.

(143) Le differenze di prezzo potrebbero dipendere da varie ragioni, come le fluttuazioni del mercato, le specifiche pressioni sui prezzi dovute a un eccesso dell’offerta, la volontà di praticare il dumping ecc. In ogni caso, ciò che conta nell’applicazione del sistema degli NCP è che esso venga applicato uniformemente a tutte le parti oggetto del procedimento. Le differenze di prezzo possono essere il risultato di numerosi fattori, come le tendenze della moda e la psicologia del mercato, che non compromettono necessariamente la comparabilità dei prodotti all’interno di uno stesso NCP. Il fatto più importante è che le parti non sono state in grado di proporre un metodo migliore a al tempo stesso pratico per agevolare la comparabilità. Come già evidenziato, le differenze di prezzo dovute alla diversa qualità delle pelli sono state prese in considerazione con appropriati adeguamenti. L’argomentazione è stata pertanto respinta.

(144) Altre parti hanno sostenuto che, poiché si era deciso di escludere le STAF dalla definizione del prodotto in esame, questo tipo di calzature avrebbe dovuto essere identificato separatamente con il sistema degli NCP.

(145) Quando si è ritenuto necessario, nella fattispecie, escludere le STAF dalla definizione del prodotto in esame, per tutti i produttori esportatori è stato utilizzato un metodo ragionevole e coerente allo scopo di escludere le rispettive vendite di STAF dall’ambito dell’inchiesta. L’intenzione di escludere le STAF dalla definizione del prodotto in esame è stata comunicata a tutte le parti interessate molto prima della diffusione delle conclusioni provvisorie. Nessun produttore esportatore ha presentato nuovi dati tali da consentire una migliore identificazione delle sue vendite di STAF negli elenchi delle transazioni, né dopo la suddetta comunicazione né dopo la diffusione delle conclusioni provvisorie. In tali condizioni, il metodo degli NCP utilizzato per escludere le vendite di STAF viene giudicato ragionevole ed appropriato.

3.5. Margini di dumping

3.5.1. Metodologia generale

(146) Alcune parti interessate hanno affermato che l’assenza di distinzione fra società che hanno collaborato e società che non hanno collaborato premia la non collaborazione. Tuttavia, come indicato nel considerando 139 del regolamento provvisorio, il livello di collaborazione è stato alto e di conseguenza, in base a una prassi consolidata, si è ritenuto opportuno fissare il margine di dumping dei produttori esportatori che non hanno collaborato al livello della media ponderata dei margini di dumping calcolati per i produttori esportatori dei paesi interessati che hanno collaborato e che sono inseriti nel campione. In mancanza di osservazioni, viene confermato il metodo generale utilizzato per la determinazione del margine di dumping descritto nei considerando da 134 a 143 del regolamento provvisorio.

3.5.2. Margini di dumping

a) Repubblica popolare cinese

- Il margine di dumping per Golden Step, espresso in percentuale del prezzo all'importazione CIF franco frontiera comunitaria, è pari al 9,7%.

- Il margine di dumping definitivo su scala nazionale, espresso in percentuale del prezzo all’importazione CIF franco frontiera comunitaria, è pari al 28,9%.

b) Vietnam

- Il margine di dumping definitivo su scala nazionale, espresso in percentuale del prezzo all’importazione CIF franco frontiera comunitaria, è pari al 70,1%.

E. PREGIUDIZIO

1. Considerazioni generali

(147) Come nella fase provvisoria e in base alle conclusioni definitive di cui sopra circa la definizione del prodotto, tutte le cifre relative alle STAF sono state escluse dai dati analizzati nel seguito. A seguito delle richieste di alcuni produttori esportatori, si conferma che tale esclusione è stata applicata tanto alle importazioni dai paesi interessati quanto a quelle dagli altri paesi terzi come pure ai dati relativi all’industria comunitaria.

(148) Tuttavia, data la conclusione definitiva di cui sopra in base alla quale le calzature per bambini devono essere inserite nella definizione del prodotto in esame, l’analisi definitiva del pregiudizio è stata effettuata per la totalità del prodotto in esame, comprese le calzature per bambini.

2. Produzione comunitaria

(149) Un’associazione di importatori ha ribadito che se si considerano produttori comunitari i denuncianti che, secondo le sue affermazioni, si limiterebbero ad assemblare nella Comunità componenti di calzature provenienti da fonti non comunitarie, anche gli importatori che svolgono attività di concezione, valorizzazione del marchio, R&S, gestione e rivendita nella Comunità dovrebbero essere considerati produttori comunitari.

(150) Quest’argomentazione era già stata esaminata nel considerando 148 del regolamento provvisorio, in cui si era concluso che solo le imprese che esercitano attività di produzione/fabbricazione nella Comunità potevano essere considerate produttori comunitari. I prodotti commercializzati dagli importatori sono fabbricati, tra l’altro, in Cina e in Vietnam, non soddisfano le condizioni per l’origine CE e sono soggetti a dazi all’importazione: gli operatori comunitari in questione non possono pertanto essere considerati produttori comunitari.

(151) In mancanza di nuove informazioni, le conclusioni di cui sopra sono confermate e si conclude in via definitiva che i produttori di cui al considerando 146 del regolamento provvisorio rappresentano la produzione comunitaria totale a termini dell’articolo 4, paragrafo 1 del regolamento di base.

3. Definizione di industria comunitaria

(152) La definizione di industria comunitaria è stata contestata da numerosi produttori esportatori e importatori, come pure da un’associazione di importatori, per il fatto che le società non incluse nel campione non avrebbero collaborato all’inchiesta (ad esempio, rispondendo al questionario di campionamento) e che l’obbligo giuridico relativo alla rappresentatività della denuncia non sarebbe quindi stato rispettato durante tutta l’inchiesta. Per tali motivi questi operatori hanno affermato che gli 814 denuncianti non potevano rappresentare giuridicamente l’industria comunitaria.

(153) È stato inoltre fatto riferimento ai vari regolamenti del Consiglio in cui i produttori autori della denuncia che non avevano debitamente collaborato erano stati esclusi dalla definizione di industria comunitaria.

(154) A tale proposito, va osservato che, conformemente all’articolo 4, paragrafo 1 del regolamento di base, per industria comunitaria si intende il complesso di produttori nella Comunità le cui produzioni di prodotti simili, addizionate, costituiscono una proporzione maggioritaria a norma dell’articolo 5, paragrafo 4 del regolamento di base. L’articolo 5, paragrafo 4 fornisce inoltre una definizione di proporzione maggioritaria, che sussiste qualora i produttori comunitari che hanno espresso un chiaro sostegno alla denuncia rappresentano almeno il 25% della produzione comunitaria totale e oltre il 50% della produzione totale del prodotto simile attribuibile a quella parte dell’industria comunitaria che ha espresso sostegno od opposizione all’inchiesta.

(155) Nella fattispecie i produttori comunitari autori della denuncia rappresentavano più del 40% della produzione comunitaria e, conformemente ai requisiti giuridici indicati sopra, si ritiene costituiscano l’industria comunitaria. Nessun produttore si è inoltre opposto alla denuncia.

(156) È vero che, secondo la prassi costante delle Istituzioni, i produttori comunitari autori della denuncia che non hanno collaborato adeguatamente all’inchiesta sono di norma esclusi dalla definizione di industria comunitaria e che le soglie indicate sopra devono essere rispettate anche al momento dell’adozione delle misure.

(157) Nella fattispecie si è tuttavia constatato che tutti gli 814 produttori comunitari avevano collaborato adeguatamente all’inchiesta. Di fatto, come chiaramente sottolineato nell’avviso di apertura, i questionari sono stati inviati solo ai produttori comunitari inclusi nel campione, i quali hanno tutti risposto. Pertanto, se i produttori autori della denuncia non inclusi nel campione non hanno risposto al questionario destinato ai produttori inclusi nel campione, questo si spiega semplicemente con il fatto che non erano tenuti a farlo.

(158) Per la natura stessa del campionamento i questionari completi relativi al pregiudizio sono inviati unicamente ai produttori comunitari autori della denuncia inclusi nel campione e, in conformità delle disposizioni di cui all’articolo 6, paragrafo 2 del regolamento di base, solo le parti che ricevono i questionari sono tenute a rispondere. In base a quanto precede le argomentazioni delle varie parti interessate sono state respinte e le conclusioni di cui al considerando 152 del regolamento provvisorio sono confermate: gli 814 produttori comunitari all’origine della denuncia costituiscono l'industria comunitaria a termini dell'articolo 4, paragrafo 1, e dell'articolo 5, paragrafo 4, del regolamento di base e sono denominati in appresso “industria comunitaria”.

4. Consumo nella Comunità

(159) Un esportatore ha contestato il livello di consumo nella Comunità per il fatto che in Europa sembrerebbe essere meno elevato che nei paesi in via di sviluppo. Tale argomentazione non è stata corroborata da alcun elemento di prova ed è stata pertanto respinta. In assenza di altre osservazioni, il metodo utilizzato per il calcolo del consumo nella Comunità è confermato.

(160) Il consumo comunitario apparente, calzature per bambini comprese, si è sviluppato nel modo che segue:

2001 | 2002 | 2003 | 2004 | PI |

Consumo (migliaia di paia) | 718.186 | 646.843 | 669.686 | 699.604 | 714.158 |

Indice: 2001=100 | 100 | 90 | 93 | 97 | 99 |

Fonte: Eurostat, informazioni contenute nella denuncia. |

(161) Tale andamento è comparabile al consumo stabilito nella fase provvisoria, vale a dire calzature per bambini escluse.

5. Importazioni dai paesi interessati

5.1 Valutazione cumulativa degli effetti delle importazioni oggetto di dumping in esame

(162) La tabella che segue indica volumi, quote di mercato e prezzi unitari medi delle importazioni da entrambi i paesi interessati considerati singolarmente, comprese le calzature da bambini:

Volume e quota di mercato delle importazioni

2001 | 2002 | 2003 | 2004 | PI |

RPC (migliaia di paia) | 15.571 | 14.616 | 25.810 | 30.662 | 63.044 |

Indice: 2001=100 | 100 | 94 | 166 | 197 | 405 |

Quote di mercato | 2,2% | 2,3% | 3,9% | 4,4% | 8,8% |

Vietnam (migliaia di paia) | 51.414 | 59.898 | 83.334 | 103.177 | 102.604 |

Indice: 2001=100 | 100 | 117 | 162 | 201 | 200 |

Quote di mercato | 7,2% | 9,3% | 12,4% | 14,7% | 14,4% |

Prezzi medi

2001 | 2002 | 2003 | 2004 | PI |

RPC euro/paio | 11,6 | 11,3 | 8,6 | 7,3 | 7,2 |

Indice: 2001=100 | 100 | 97 | 74 | 63 | 62 |

Vietnam euro/paio | 11,9 | 11,2 | 9,9 | 9,3 | 9,2 |

Indice: 2001=100 | 100 | 94 | 83 | 78 | 78 |

(163) Alcune parti interessate sostengono che la valutazione cumulativa non sia giustificata. Tale considerazione si fonda sul fatto che le tendenze nel volume delle importazioni e nei prezzi sono diverse tra Cina e Vietnam. Si obietta anche che il Vietnam è uno dei paesi più poveri del mondo, che beneficia del Sistema delle Preferenze Generalizzate (SPG) e che, valutando il pregiudizio, non vada perciò cumulato con la Cina.

(164) La prima affermazione era già stata formulata in precedenza e debitamente affrontata nel regolamento provvisorio. In particolare, la tabella di cui al considerando 160 del regolamento provvisorio indica chiaramente che le tendenze delle importazioni in termini di volume e di prezzi hanno un andamento simile. Si noti che anche l’inclusione delle calzature per bambini non altera tali tendenze. Il regolamento provvisorio, comunque, elenca in dettaglio varie ragioni per cui, oltre a tali tendenze delle importazioni, la valutazione cumulativa sia appropriata date le condizioni di concorrenza tra prodotti importati e prodotti simili della Comunità. Ciò avviene, ad esempio, perché i prodotti importati sono simili nelle caratteristiche di base, intercambiabili dal punto di vista del consumatore e distribuiti attraverso gli stessi canali di distribuzione.

(165) Riguardo al Vietnam, il regolamento di base non stabilisce che uno dei paesi oggetto simultaneamente di inchieste antidunping, vada escluso dalla valutazione cumulativa a causa della sua situazione economica complessiva. Tra l’altro, tale interpretazione sarebbe anche incompatibile con l’oggetto e il fine della valutazione cumulativa, che riguarda la questione se le importazioni provenienti da fonti diverse siano in concorrenza tra loro e con il prodotto simile della Comunità. In altre parole, ciò che importa sono le caratteristiche dei prodotti commerciali, non la situazione del paese di provenienza delle importazioni. La situazione dei paesi esportatori si affronta ai sensi dell’articolo 15 dell’ADA e del regolamento di base ma non nel contesto della valutazione ucmulativa. Questo argomento è stato perciò respinto.

(166) Un’associazione di importatori ha anche sostenuto che il cumulo non fosse giustificato a causa della diversa combinazione di prodotti dei due paesi interessati. In proposito, nonostante qualche differenza nella combinazione dei prodotti dei due paesi, sussiste una vasta zona di coincidenza e, nel complesso, i prodotti in esame provenienti dalla Cina e dal Vietnam si possono considerare in concorrenza tra loro. Anche in questo caso si rinvia anche alle conclusioni suesposte, cioè che tutti i tipi di prodotti in esame vanno considerati un solo prodotto ai fini della presente procedura e che tutti i tipi di calzature di pelle prodotti e venduti dall’industria comunitaria sono simili a quelli esportati verso la Comunità dai paesi in esame. Tale argomento è stato perciò respinto.

(167) In base ai risultati provvisori di cui ai considerando da 156 a 162 del regolamento provvisorio e a quanto precede, si conclude in via definitiva che tutte le condizioni del cumulo di cui all’articolo 3, paragrafo 4, del regolamento di base sono soddisfatte e che gli effetti delle importazioni oggetto di dumping provenienti dai paesi in esame vanno perciò valutati cumulativamente ai fini dell’analisi del pregiudizio.

5.2. Volume, quote di mercato e andamento dei prezzi delle importazioni interessate oggetto di dumping

a) Volume e prezzi

(168) La tabella che segue riproduce l’andamento del volume delle importazioni e le quote di mercato del prodotto in esame proveniente dai paesi interessati, calzature per bambini comprese.

2001 | 2002 | 2003 | 2004 | PI |

Importazioni (migliaia di paia) | 66.986 | 74.514 | 109.144 | 133.840 | 165.648 |

Indice: 2001=100 | 100 | 111 | 163 | 200 | 247 |

Quota di mercato | 9,3% | 11,5% | 16,3% | 19,1% | 23,2% |

Fonte: Eurostat |

(169) Le tendenze e le cifre assolute sono comparabili a quelle analizzate nella fase provvisoria: il volume delle importazioni è più che raddoppiato ed è fortemente cresciuta la quota di mercato, passata dal 9,3% nel 2001 al 23,2% durante il PI. Si noti che il 2004 e il PI (aprile 2004/marzo 2005) coicidono largamente: dalla tabella che precede emerge perciò un’accelerazione delle importazioni durante il 1° trimestre 2005. Essa indica che ciò è dovuto soprattutto all’andamento delle importazioni dalla Cina.

(170) I prezzi all’importazione, calzature per bambini comprese, sono diminuiti almeno del 30% nel periodo considerato, analogamente a quanto osservato nella fase provvisoria.

2001 | 2002 | 2003 | 2004 | PI |

Euro/paio | 11,8 | 11,2 | 9,6 | 8,8 | 8,5 |

Indice: 2001=100 | 100 | 95 | 81 | 74 | 72 |

Fonte: Eurostat |

(171) Alcuni importatori hanno sostenuto che la diminuzione dei prezzi all’importazione si spiega con mutamenti nella combinazione dei prodotti. Ciò non è stato provato né è stato confermato dall’inchiesta. L’affermazione è stata perciò respinta.

b) Osservazioni delle parti interessate

(172) Alcune parti interessate hanno lamentato un’infrazione dell’articolo 3, paragrafo 2 del regolamento di base perché la Commissione avrebbe esaminato il volume e i prezzi delle importazioni oggetto di dumping in modo non obiettivo. Essi giustificano la loro supposizione con la mancata considerazione di fattori esterni (soppressione dei contingenti all’importazione, andamento dei tassi di cambio, pretese variazioni nella combinazione dei prodotti e nella moda) nell’esame delle tendenze delle importazioni.

(173) Riguardo specificatamente alla soppressione dei contingenti, tale affermazione è già stata affrontata nel considerando 165 del regolamento provvisorio. La soppressione dei contingenti ha certamente avuto degli effetti sull’andamento delle importazioni. Si noti però che solo uno dei paesi in esame è stato direttamente interessato da tali restrizioni quantitative, che anche le importazioni dal Vietnam sono aumentate, che non tutti i prodotti interessati da questa inchiesta erano soggetti a quote e, infine, che la liberalizzazione totale delle importazioni ha avuto luogo dall’1 gennaio 2005 e che, quindi, il PI (aprile 2004/marzo2005) ne è stato toccato solo in parte.

(174) In generale, l’articolo 3, paragrafo 3 del regolamento di base, stabilisce che l’analisi del pregiudizio comprende la questione specifica se si sia verificato un forte aumento delle importazioni oggetto di dumping accompagnato da una notevole sottoquotazione dei prezzi o se tali importazioni abbiano altrimenti depresso i prezzi in misura sensibile o ne abbiano evitato l’aumento che avrebbe potuto eventualmente verificarsi.

(175) Da quanto precede si evince che la sedes materiae delle suesposte affermazioni si trova in seno al nesso di causalità. Inoltre, l’articolo 3, paragrafo 3 del regolamento di base, non fissa l’obbligo esplicito di provare positivamente per quali ragioni il volume delle importazioni oggetto di dumping sia aumentato e i relativi prezzi siano diminuiti. L’affermazione secondo cui occorre tener conto di fattori esterni nell’esame delle importazioni oggetto di dumping, è stata perciò respinta.

5.3. Sottoquotazione

(176) Sono pervenute varie osservazioni relative al calcolo della sottoquotazione. Le osservazioni sono state analizzate in dettaglio e i calcoli sono stati modificati se ciò è risultato necessario, giustificato e confortato da prove fattuali.

(177) Si noti che nella fase provvisoria sono stati effettuati adeguamenti ai prezzi d’importazione che riflettono costi stimati (design, selezione delle materie prime, ecc.) sostenuti dagli importatori comunitari che non si sarebbero altrimenti riflessi nel prezzo d’importazione. Molti importatori hanno chiesto tale adeguamento Nella fase provvisoria è stato applicato un adeguamento stimato del 15%.

(178) L’associazione che rappresenta l’industria comunitaria ha comunque contestato tale adeguamento, in particolare il livello applicato. Pur concedendo che esistessero delle spese a livello degli importatori, l’associazione contestava il fatto che tutti gli importatori le avessero effettivamente sostenute. Essa sosteneva inoltre che il livello dell’adeguamento fosse giustificato per gli importatori di STAF (che hanno forti spese di R&S) ma, dato che tali calzature erano state escluse dalla procedura, il livello dell’aggiustamento andava diminuito.

(179) Tale argomento è stato esaminato con cura, con le conclusioni che seguono. Innanzitutto, l’adeguamento in sé era stato chiesto da vari importatori e, in generale, l’industria comunitaria non vi si era opposta.

(180) Riguardo al livello dell’adeguamento, va notato che sebbene vari importatori avessero chiesto l’adeguamento, solo uno di essi, oggetto anche di una visita di verifica, ha presentato informazioni dettagliate in proposito. Gli altri importatori del prodotto in esame non hanno potuto mantenere l’affermazione secondo la quale il livello dei loro costi di R&S raggiungeva quello dell’adeguamento applicato nella fase provvisoria. Si noti che alcuni importatori, oggetto di una visita di verifica vendevano soprattutto degli STAF. Data la definitiva esclusione degli STAF dalla gamma del prodotto, le cifre di tali importatori non sono assolutamente rilevanti ai fini dell’adeguamento.

(181) Nella fase definitiva, in mancanza di comprovate giustificazioni da parte della grande maggioranza degli importatori (fossero, o no, oggetto di una visita di verifica), il livello dell’adeguamento è stato diminuito e stimato in base ai soli dati provati emersi durante l’inchiesta.

(182) Da quanto precede, i margini di sottoquotazione rivisti che si sono riscontrati, per paese, espressi in percentuale dei prezzi dell’industria comunitaria, sono i seguenti:

Paese | Sottoquotazioni dei prezzi |

RPC | 13,5% in media ponderata |

Vietnam | 15,9% in media ponderata |

6. Particolarità del settore delle calzature nella Comunità

(183) Il regolamento provvisorio forniva alcune informazioni sulle peculiarità del settore calzaturiero della Comunità. Varie parti interessate hanno sostenuto che non si dovesse tener conto di tali dati o perché inaffidabili o perché privi di fondamento giuridico, non essendo riferiti solo alla situazione dell’industria comunitaria.

(184) In proposito, occorre notare che le informazioni dei considerando da 169 a 173 del regolamento provvisorio erano date solo a titolo indicativo per far conoscere meglio il settore calzaturiero della Comunità. Va precistao perciò che le conclusioni relative al pregiudizio sono ottenute in relazione all’industria comunitaria come sopra definita e che non si farà alcun altro riferimento a questa informazione nell’analisi del pregiudizio.

7. Situazione dell’industria comunitaria

7.1. Osservazioni preliminari

(185) Come già detto, nella fase definitiva l’analisi del pregiudizio comprende dati sulle calzature per bambini.

(186) Come indicato nel considerando 175 del regolamento provvisorio, e secondo una prassi consolidata, gli indicatori di pregiudizio sono stabiliti sia a livello macroeconomico (in base a dati dell’intera industria comunitaria) che a livello microeconomico (in base a dati delle imprese nel campione). Per coerenza, gli indicatori di pregiudizio sono stabiliti esclusivamente a uno di questi due livelli e non a entrambi.

7.2. Indicatori macroeconomici

Produzione, capacità di produzione e indice di utilizzazione degli impianti

2001 | 2002 | 2003 | 2004 | PI |

Produzione (migliaia di paia) | 266.931 | 218.498 | 206.246 | 189.341 | 175.764 |

Indice: 2001=100 | 100 | 82 | 77 | 71 | 66 |

Fonte: informazioni raccolte durante l’inchiesta |

(187) Il volume della produzione dell’intera industria comunitaria è sceso da 267 milioni di paia nel 2001 a 176 milioni di paia durante il periodo dell’inchiesta. Ciò rappresenta una flessione superiore al 30%.

(188) Benché teoricamente uno stabilimento sia progettato per realizzare un determinato livello di produzione, tale livello dipende fortemente dal numero di lavoratori impiegati dallo stabilimento. Infatti, come già detto, la maggior parte del processo di fabbricazione delle calzature è ad alta intensità di manodopera. In queste circostanze, il modo migliore di misurare la capacità di un folto gruppo di imprese è quello di esaminare i loro livelli di occupazione. A tal fine, si rinvia perciò alla successiva tabella sull’andamento dell’occupazione.

(189) Poiché l’occupazione (e quindi la capacità) è diminuita quanto la produzione, a grandi linee, l’indice di utilizzazioneè rimasto grosso modo immutato durante il peirodo.

Volume delle vendite e quota di mercato

2001 | 2002 | 2003 | 2004 | PI |

Vendite (migliaia di paia) | 190.134 | 150.389 | 145.087 | 133.127 | 126.555 |

Indice: 2001=100 | 100 | 79 | 76 | 70 | 67 |

Quota di mercato | 26,5% | 23,2% | 21,7% | 19,0% | 17,7% |

Fonte: informazioni raccolte durante l’inchiesta |

(190) Poiché la produzione avviene su ordinazione, il volume delle vendite dell’industria comunitaria ha seguito una tendenza al ribasso analoga a quella della produzione. Il numero di paia venduto sul mercato comunitario è diminuito di oltre 60 milioni tra il 2001 e il PI, ossia del 33%.

(191) In termini di quote di mercato, ciò corrisponde a una perdita superiore a 9 punti percentuali. Durante il PI, la quota di mercato dell’industria comunitaria è passata dal 26,5% nel 2001 al 17,7%.

Occupazione

2001 | 2002 | 2003 | 2004 | PI |

Numero di addetti | 84.736 | 69.361 | 66.425 | 61.640 | 57.047 |

Indice: 2001=100 | 100 | 82 | 78 | 73 | 67 |

Fonte: informazioni raccolte durante l’inchiesta |

(192) L’occupazione ha subito una flessione drammatica durante tutto il periodo considerato. L’industria comunitaria ha perso oltre 27 000 posti di lavoro, pari al 33% tra il 2001 e il PI.

Produttività

2001 | 2002 | 2003 | 2004 | PI |

Produttività | 3.150 | 3.150 | 3.105 | 3.072 | 3.081 |

Indice: 2001 = 100 | 100 | 100 | 99 | 98 | 98 |

Fonte: informazioni raccolte durante l’inchiesta |

(193) La produttività è stata calcolata dividendo il volume della produzione per la forza lavoro dell’industria comunitaria, come riportato nelle precedenti tabelle. Su questa base, la produttività dell’industria comunitaria è rimasta relativamente stabile durante il periodo considerato.

Crescita, entità del margine di dumping

(194) In mancanza di nuove e circostanziate informazioni o argomentazioni su questo punto, si confermano i considerando da 183 a 184 del regolamento provvisorio.

Ripresa dagli effetti di precedenti pratiche di dumping o sovvenzioni

(195) Nel febbraio 1998 furono istituite misure antidumping nei confronti di importazioni di calzature con tomaie di cuoio o di plastica dalla RPC, dall’Indonesia e dalla Tailandia. Tali misure avevano un campo di applicazione che coincideva con i prodotti oggetto della presente inchiesta. In esito alla pubblicazione di un avviso di prossima scadenza di tali misure non sono pervenute domande di riesame e le misure sono pertanto scadute nel marzo 2003. Mancando una domanda di riesame, nel regolamento provvisorio si pensava che l’industria comunitaria all’epoca si fosse rimessa dagli effetti delle precedenti pratiche di dumping.

(196) L’industria comunitaria confuta questa ipotesi e sostiene che la mancanza di una domanda di riesame non era dovuta al fatto di essersi ripresa dagli effetti pregiudizievoli del dumping, ma al fatto che le misure in atto non fossero abbastanza efficaci. Essa sostiene che, al contrario di ciò che afferma il regolamento provvisorio, la propria situazione economica non le consentiva di riprendersi in misura soddisfacente perché le misure dell’epoca non erano abbastanza efficaci da rimuovere il pregiudizio. Inoltre, le importazioni dai paesi coinvolti nella presente procedura sono aumentate nel periodo dal 2001 al 2003.

(197) L’industria comunitaria non ha però fornito sufficienti elementi per provare l’esistenza di un pregiudizio nel periodo 2001-2003 e ogni supposta inefficacia delle misure precedenti avrebbe potuto essere affrontata in un esame interemedio, che non è stato richiesto.

(198) L’asserzione è stata perciò respinta e si conferma definitivamente la conclusione provvisoria che l’industria comunitaria si è ripresa dagli effetti di precedenti pratiche di dumping, cioè che fino al 2003 essa non aveva ancora subito pregiudizi di rilievo. Si noti però che li subisce a partire dal 2004.

7.3. Indicatori microeconomici

Scorte

2001 | 2002 | 2003 | 2004 | PI |

migliaia di paia | 2.188 | 2.488 | 2.603 | 2.784 | 2.503 |

Indice: 2001=100 | 100 | 114 | 119 | 127 | 114 |

Fonte: Risposte al questionario, verificate. |

(199) Come già detto, le scorte influiscono appena sullo stato dell’industria calzaturiera comunitaria, al fine di determinare il pregiudizio, poiché la produzione avviene su ordinazione. In teoria, non vengono costituite scorte e le giacenze sono dovute solo a ordinativi eseguiti e non ancora consegnati e/o fatturati. Ciò premesso, le scorte sono dapprima cresciute del 27% (2001-2004) per poi diminuire alla fine del PI. Tale diminuzione durante il PI va anche vista nel quadro dei cicli stagionali del settore. Di solito infatti il livello delle scorte è più alto in dicembre che alla fine del primo trimestre dell’anno, che coincide in questo caso con la fine del PI.

Prezzi di vendita

2001 | 2002 | 2003 | 2004 | PI |

Euro/paio | 19,7 | 19,3 | 18,5 | 18,6 | 18,2 |

Indice: 2001=100 | 100 | 98 | 94 | 95 | 92,5 |

Fonte: Risposte al questionario, verificate. |

(200) Nel periodo considerato, il prezzo di vendita unitario medio è costantemente diminuito. In totale la diminuzione è stata del 7,5%. La diminuzione dei prezzi dell’industria comunitaria può sembrare limitata, soprattutto rispetto al calo del 30% dei prezzi delle importazioni in dumping lungo il periodo considerato. Essa va però vista nel quadro di una produzione su ordinazione, in cui i nuovi ordinativi sono normalmente soddisfatti solo se il prezzo corrispondente garantisce almeno la copertura dei costi. In proposito si rinvia alla tabella seguente che indica come, nel PI, l’industria comunitaria non poteva abbassare ulteriormente i suoi prezzi senza subire perdite.

Flusso di cassa, redditività e utile sul capitale investito

2001 | 2002 | 2003 | 2004 | PI |

Flusso di cassa (in migliaia di euro | 13.943 | 10.756 | 8.575 | 10.038 | 4.722 |

Indice: 2001=100 | 100 | 77 | 61 | 72 | 34 |

Redditività percentuale rispetto al fatturato netto | 1,6% | 1,8% | 0,2% | 1,8% | 0,5% |

Utile sul capitale investito | 6,1% | 7,3% | 1,0% | 8,2% | 2,3% |

Fonte: Risposte al questionario, verificate. |

(201) Questi indicatori di rendimento confermano il quadro descritto nel considerando 190 del regolamento provvisorio e mostrano l’evidente indebolimento della situazione finanziaria delle aziende nel periodo considerato. Si noti che il deterioramente complessivo è stato particolarmente pronunciato durante il PI, frutto di sviluppi negativi nel 1° trimestre 2005 (l’ultimo del PI). È insomma ulteriormente drammaticamente diminuito il livello di redditività già basso all’inizio del periodo considerato.

(202) Mancando in proposito nuove, fondate, informazioni o argomentazioni, si confermano le conclusioni di cui ai considerando da 191 a 193 del regolamento provvisorio.

(203) Il livello complessivo degli uitili è restato basso durante tutto il periodo considerato ed evidenzia la vulnerabilità finanziaria delle PMI del settore. Come di seguito mostrato, il livello degli utili ottenuti nel periodo considerato, e soprattutto durante il PI, è latgamente inferiore a quello che l’industria avrebbe potuto raggiungere in circostanze normali.

Capacità di reperire capitali

(204) L’inchiesta mostra che il fabbisogno di capitali di vari produttori comunitari ha subito le ripercussioni della loro difficile situazione finanziaria. Ciò è sottolineato dall’andamento dei singoli livelli degli utili e soprattutto dal deterioramento dei flussi di cassa. Come già detto, le PMI non sempre possono fornire garanzie bancarie sufficienti e può essere difficile per esse sostenere le forti spese dovute a una precaria situazione finanziaria.

Investimenti

2001 | 2002 | 2003 | 2004 | PI |

migliaia di euro | 8.836 | 11.184 | 6.522 | 4.403 | 4.028 |

Indice: 2001=100 | 100 | 127 | 74 | 50 | 46 |

Fonte: Risposte al questionario, verificate. |

(205) La tabella precedente conferma l’andamento degli investimenti, descritto al considerando 194 del regolamento provvisorio. Gli investimenti effettuati dalle imprese sono diminuiti di oltre il 50% tra il 2001 e il PI. Questa flessione va vista in relazione al deterioramento della situazione finanziaria dei produttori comunitari inclusi nel campione.

Salari

2001 | 2002 | 2003 | 2004 | PI |

Salari medi per persona | 14.602 | 15.933 | 18.021 | 17.610 | 17.822 |

Indice: 2001=100 | 100 | 109 | 123 | 121 | 122 |

Fonte: Risposte al questionario, verificate. |

(206) La tabella precedente conferma l’andamento dei salari illustrato al considerando 196 del regolamento provvisorio. In mancanza di nuove informazioni, tali tendenze sono definitivamente confermate.

7.4. Osservazioni delle parti interessate

(207) Molti produttori/esportatori osservano che il margine di profitto dell’industria della Comunità è un indicatore fondamentale della sua situazione pregiudizievole. Si è in particolare sostenuto che, corrispondendo il margine di profitto usato nella fase provvisoria per fissare la soglia di eliminazione del pregiudizio (cioè 2% - cfr. considerando 284 del regolamento provvisorio) a quello di talune imprese presenti nel campione, ciò indicasse che esse non subivano pregiudizio rispetto a tale indicatore.

(208) Ciò non è più rilevante perché, dopo ulteriore analisi (v. considerando 292) il margine di profitto è stato aggiustato al 6% per riflettere adeguatamente quello ottenibile dai calzaturieri comunitari se non ci fosse il dumping arrecante pregiudizio. Ciò premesso, la redditività dell’industria comunitaria è evidentemente calata nel periodo considerato fino a cadere allo 0,5% nel PI. L’esame del pregiudizio avviene inoltre a livello dell’industria comunitaria, o di un suo campione, non a livello delle singole aziende comprese nella definizione di industria comunitaria.

(209) Varie parti interessate sostengono che gli indicatori usati per analizzare il pregiudizio siano inaffidabili o inappropriati. In particolare, gli indicatori economici non sarebbero né verificati né affidabili perché, nell’asserita mancanza di coopperazione, non si riferirebbero a un’industria comunitaria validamente definita. Gli indicatori microeconomici, poi, data la dimensione limitata del campione, non sarebbero rappresentativi. Infine, sono state additate le varie tendenze osservate tra indicatori del pregiudizio fissati a livello macro e micro-economico.

(210) Riguardo al fatto che gli indicatori macroeconomici non sarebbero stati verificati, va detto che, secondo il regolamento di base, le visite di verifica sono a discrezione della Comissione e non esiste l’obbligo giuridico di effettuare di continuo visite di verifica. L’articolo 16 del regolamento di base stabilisce che la Commissione effettui visite di verifica quando lo ritenga opportuno. L’argomentazione è stata perciò respinta. Questi fattori sono stati inoltre comparati, laddove possibile, con informazioni generali fornite dalle associazioni nazionali dei calzaturieri della Comunità.

(211) Date poi le conclusioni di cui sopra sulla definizione di industria comunitaria e sulla rappresentatività del campione, si respingono anche le osservazioni relative a tali elementi. Inoltre, come già detto, per coerenza, viene calcolata ai fini delle conclusioni definitive una sola serie di indicatori del pregiudizio, a livello o macro o micro-economico. Si noti infine che le tendenze emerse nella fase provvisoria a livello macro e micro-economico, pur non seguendo sempre un identico andamento, non divergono neppure in misura significativa.

(212) Infine, alcune parti interessate hanno sostenuto che non tutti i fattori di pregiudizio evidenziano un pregiudizio e in particolare che non è possibile stabilire un pregiudizio a livello individuale per le imprese presenti nel campione. Le prime osservazioni vanno respinte perché nessun indicatore di pregiudizio, secondo il regolamento di base, costituisce necessariamente una base di giudizio determinante. Il fatto che dalla situazione individuale di alcuni produttori non si possa dedurre l’esistenza di un pregiudizio è irrilevante, perché secondo l’articolo 3, paragrafo 1 del regolamento di base, l’esame del pregiudizio avviene a livello di industria comunitaria, o di un suo campione, e non a livello di singola azienda compresa nella definizione di industria comunitaria.

8. Conclusioni in merito al pregiudizio

(213) Quanto precede conferma perciò la conclusione provvisoria secondo cui l’industria comunitaria ha subito un pregiudizio grve ai senso dell’articolo 3, paragrafo 5 del regolamento di base.

(214) Si conferma, in particolare, che, a livello di indicatori macroeconomici, relativi cioè a tutta l’industria comunitaria, il pregiudizio si è concretizzato soprattutto nella diminuzione del volume delle vendite e delle quote di mercato. Poiché le calzature sono fabbricate su ordinazione, esso ha avuto un impatto negativo diretto sui livelli di produzione e di occupazione della Comunità.

(215) Viene anche confermato che, a livello degli elementi microeconomici, la situazione è largamente pregiudizievole. Le aziende comprese nel campione hanno registrato, ad esempio, il livello di profitti più basso nel 2003, il che può in parte essere spiegato con investimenti precedenti relativamente ingenti (effetto degli ammortamenti sui profitti). In seguito, la redditività è diminuita nonostante la forte diminuzione degli investimenti e, di fatto, essa registra durante il PI il livello più basso di tutto il periodo considerato, 2003 escluso: lontana da livelli accettabili e senza altri fattori che la possano spiegare, come precedenti investimenti di livello elevato, essa è frutto di un grave pregiudizio. Analogamente, anche il flusso di cassa è pericolosamente diminuito toccando durante il PI un livello così basso da non poter essere ritenuto che gravemente pregiudizievole. Le aziende comprese nel campione durante il PI non possono più sopportare ulteriori diminuzioni dei prezzi senza subire perdite. E le PMI non possono sopportare perdite per periodi di una certa lunghezza senza essere costrette a chiudere. Nel complesso, anche se prima del 2004 l’industria comunitaria si è trovata in una situazione qualificabile solo come pregiudizievole, dopo il 2004, essa ne ha dovuto sopportare una gravemente pregiudizievole.

F. CAUSE DEL PREGIUDIZIO

1. Effetti delle importazioni in dumping

(216) La quota di mercato dell’industria comunitaria e quella dei paesi in esame, calzature per bambini comprese, si sono sviluppate come segue:

2001 | 2002 | 2003 | 2004 | PI |

Paesi in esame | 9,3% | 11,5% | 16,3% | 19,1% | 23,2% |

Industria comunitaria | 26,5% | 23,2% | 21,7% | 19,0% | 17,7% |

(217) Talune parti interessate hanno contestato la conclusione della Commissione secondo cui esiste un’evidente coincidenza temporale tra aumento della quota di mercato delle importazioni soggette a dumping e diminuzione della quota di mercato dell’industria comunitaria. Esse sottolineano che quando l’aumento delle importazioni dalla Cina e dal Vietnam raggiungeva la punta massima in termini di quote di mercato, l’industria comunitaria registrava diminuzioni delle sue quote di mercato non altrettanto sensibili, e viceversa. Si è anche affermato che la quota di mercato dei denuncianti non è stata rilevata dai paesi in esame, come si vedrebbe analizzando l’andamento delle quote di mercato di altri paesi terzi.

(218) Un’associazione di importatori ha anche affermato che le importazioni soggette a dumping dai paesi in esame non avrebbero causato alcun pregiudizio all’industria comunitaria dato che le calzature importate non concorrerebbero con quelle prodotte nella Comunità.

(219) Riguardo alla coincidenza temporale, nell’analisi delle cause, una correlazione perfetta tra andamento delle importazioni oggetto di dumping e situazione dell’industria comunitaria non è necessaria. È assodato e giuridicamente riconosciuto che, come in questo caso, la semplice coincidenza tra aumento sensibile delle importazioni oggetto di dumping, che causa la sottoquotazione dei prezzi dell’industria comunitaria, e situazione sempre più precaria di quest’ultima è un chiaro indice dell’esistenza di un nesso di causalità. Nella fattispecie, come chiaramente rilevato nei considerando da 203 a 209 del regolamento provvisorio, tale coincidenza temporale è innegabile. Esiste anche una coincidenza quasi simmetrica relativa allo spostamento delle quote di mercato tra il 2003 e il 2004. Inoltre, un aumento, nel periodo considerato, della quota di mercato delle importazioni in dumping maggiore della perdita di quote di mercato dell’industria comunitaria dimostra che tale aumento delle importazioni in dumping è avvenuto non solo a spese dell’industria comunitaria ma anche di altri attori sul mercato della Comunità.

(220) In base alla definizione di prodotto in esame e di prodotto simile, è stato respinto anche l’argomento secondo cui le calzature importate non concorrerebbero con quelle prodotte nella Comunità: le calzature importate dai paesi interessati concorrono a tutti i livelli, ossia in ogni gamma e tipo, con quelle prodotte e vendute dall’industria comunitaria e i loro canali di vendita sono nel complesso identici. Anche l’inchiesta ha chiaramente dimostrato che produttori comunitari ed esportatori sono concorrenti per le vendite sul mercato della Comunità.

(221) Esaurite le osservazioni in materia, si confermano le conclusioni di cui al considerando 209 del regolamento provvisorio: le importazioni in dumping hanno avuto un ruolo decisivo nel grave pregiudizio subito dall’industria comunitaria.

2. Effetti di altri fattori

2.1. Osservazioni delle parti interessate

(222) Dopo l’imposizione delle misure provvisorie, varie parti interessate hanno suggerito che il grave pregiudizio fosse dovuto ad altri fattori. Esse si riferiscono a posizioni già espresse tempo addietro e alle quali il regolamento provvisorio ha già dato una risposta. Tali posizioni si riferivano in particolare alle esportazioni dell’industria comunitaria, alle importazioni da altri paesi terzi, all’effetto della soppressione dei contingenti sulle esportazioni cinesi, delle fluttuazioni dei tassi di cambio, della delocalizzazione delle produzioni comunitarie e alla supposta scarsa competitività dell’industria comunitaria. Non essendo emersi elementi nuovi, le principali conclusioni cui è pervenuto il regolamento provvisorio saranno se necessario qui di seguito chiarite e/o ampliate.

2.2. Andamento delle esportazioni dell’industria comunitaria

(223) Talune parti interessate hanno riproposto l’ipotesi che la cattiva situazione economica dell’industria calzaturiera comunitaria fosse dovuta al deterioramento delle sue esportazioni.

(224) Si noti in proposito che l’eventuale deterioramento dei risultati delle esportazioni non incide in alcun modo sulla maggior parte degli indicatori sopra analizzati (volumi di vendita, quote di mercato, depressione dei prezzi) perché tali fattori sono stabiliti a livello delle vendite nella Comunità. Le cifre sulla produzione hanno carattere globale poiché è impossibile distinguere tra beni destinati al mercato comunitario e beni destinati a quello extracomunitario Dato che le calzature sono fabbricate su ordinazione, un calo delle vendite si traduce per forza in una analoga flessione della produzione. E poiché la maggior parte della produzione sarà venduta sul mercato comunitario, esso confermata la conclusione provvisoria che la flessione della produzione sia dovuta soprattutto al pregiudizio subito sul mercato della Comunità.

(225) È un fatto accertato che, durante il periodo considerato, la diminuzione del volume delle vendite sul mercato comunitario (-34%) corrisponda alla diminuzione della produzione (-33%) nello stesso periodo.

(226) L’argomento è stato perciò respinto e si conclude in via definitiva che i risultati delle esportazioni dell’industria comunitaria non hanno causato alcun pregiudizio grave.

2.3. Importazioni da altri paesi terzi

(227) Le importazioni da altri paesi terzi, calzature per bambini comprese, si sono sviluppate nel modo che segue:

Quote di mercato | 2001 | 2002 | 2003 | 2004 | PI | Variazione 2001/PI (punti %) |

Romania | 5,7% | 7,1% | 7,5% | 7,0% | 6,9% | +1,2 |

India | 3,6% | 4,5% | 4,9% | 5,9% | 5,7% | +2,1 |

Indonesia | 2,7% | 2,4% | 2,0% | 2,0% | 2,0% | -0,7 |

Brasile | 1,2% | 1,4% | 1,7% | 2,2% | 2,5% | +1,3 |

Macao | 1,2% | 1,7% | 2,2% | 3,2% | 2,4% | +1,2 |

Thailandia | 1,0% | 1,0% | 1,2% | 1,3% | 1,3% | +0,3 |

Altri paesi | 9,0% | 10,7% | 10,9% | 12,5% | 11,5% | +2,5 |

Prezzi medi (euro/paio) | 2001 | 2002 | 2003 | 2004 | PI | Variazione 2001/PI (punti %) |

Romania | 13,8 | 14,6 | 14,8 | 15,0 | 14,9 | +8% |

India | 11,3 | 11,3 | 10,3 | 10,2 | 10,2 | -10% |

Indonesia | 11,2 | 10,4 | 9,8 | 8,6 | 8,7 | -23% |

Brasile | 16,8 | 15,7 | 13,5 | 13,0 | 12,6 | -25% |

Macao | 12,9 | 11,5 | 10,6 | 10,2 | 10,5 | -18% |

Thailandia | 14,4 | 12,9 | 11,8 | 11,4 | 11,2 | -22% |

Altri paesi | 14,8 | 14,3 | 13,6 | 12,4 | 12,7 | -14% |

(228) Si noti che nessuno dei paesi della rubrica “Altri paesi” (oltre 150) della precedente tabella supera la quota del 2% delle importazioni totali della Comunità durante il PI.

(229) Si conferma perciò che nessuno dei paesi sopra elencati, presi singolarmente, ha incrementato sensibilmente la propria quota di mercato nel periodo considerato, che il livello assoluto delle loro quote di mercato è stato assai inferiore a quello dei paesi in esame e che queste si sono sviluppate anche in modo diverso. Lo sviluppo dei prezzi va visto alla luce di quanto già detto sul volume delle importazioni e del fatto che sono diminuiti in misura inferiore rispetto a quelli dei paesi in esame; in particolare, il livello assoluto medio dei loro prezzi durante tutto il periodo considerato è stato, con un’eccezione, molto superiore al livello dei prezzi delle importazioni in dumping.

(230) Per le ragioni suesposte, si conclude in via definitiva che le importazioni da altri paesi terzi non hanno inciso sensibilmente sulla situazione dell’industria comunitaria.

2.4. Fluttuazioni dei tassi di cambio

(231) Vari produttori esportatori e importatori hanno sostenuto che il pregiudizio subito dall’industria comunitaria è stato causato dall’apprezzamento dell’euro nei confronti dell’USD e dalla conseguente notevole diminuzione dei prezzi delle importazioni.

(232) Non essendo stati presentati nuovi elementi, si rinvia ai considerando da 220 a 225 del regolamento provvisorio. Si noti anche che anche accettando che le fluttuazioni dei tassi di cambio abbiano influito sui prezzi all’importazione, il volume delle importazioni interessate sarebbe bastato da solo a causare un grave pregiudizio all’industria comunitaria.

2.5. Soppressione dei contingenti

(233) In proposito, non sono pervenuti nuovi elementi. Si noti comunque che l’accelerazione delle importazioni nell’ultimo trimestre del PI può aver acuito l’effetto pregiudizievole delle importazioni oggetto di dumping.

2.6. Mancato ammodernamento, forte frammentazione ed elevati costi del lavoro caratterizzano le aziende all’origine della denuncia

(234) In proposito, non sono pervenuti nuovi elementi. Va anche detto che i margini di dumping sono camparativamente elevati (ben più alti dei margini si sottoquotazione). In altre parole, le esportazioni oggetto di dumping in esame competono con l’industria comunitaria grazie non a vantaggi naturali ma a pratiche sanzionabili ai sensi delle norme internazionali sul commercio. In assenza di dumping, i prezzi delle importazioni in esame sarebbero stati molto più alti e l’industria comunitaria sarebbe stata molto più competitiva di fronte a tali importazioni.

2.7. Delocalizzazione della produzione delle imprese calzaturiere comunitarie

(235) Vari produttori/esportatori e un’associazione di importatori hanno ipotizzato che il regolamento provvisorio non abbia considerato in misura sufficiente l’impatto della delocalizzazione dei produttori CE sulla situazione dell’industria comunitaria.

(236) Essi criticano in particolare le cifre fornite al considerando 171 del regolamento provvisorio, relative all’intero settore calzaturiero della Comnità, perché comprendono dati su produttori comunitari che hanno delocalizzato la produzione. In proposito, si rinvia al paragrafo precedente in cui si conferma che i considerando da 169 a 173 del regolamento provvisorio hanno carattere solo informativo e non sono giuridicamente rilevanti nel quadro delle delle conclusioni definitive sul pregiudizio. Si conferma perciò che i produttori che hanno spostato tutta la loro produzione al di fuori della Comunità non sono inclusi nella definizione di industria comunitaria e che quindi la misura in cui tali aziende avrebbero danneggiato l’industria comunitaria viene analizzato nel contesto delle importazioni da altri paesi terzi.

(237) Riguardo alle aziende che hanno spostato la loro produzione solo in parte, che cioè acquistano anche calzature da fonti non comunitarie, si ricorda che l’analisi del pregiudizio avviene solo sui dati relativi alla loro propria produzione nella Comunità. Anche la questione perciò se e in che misura tali acquisti possano aver causato loro un pregiudizio va vista alla luce dell’analisi delle importazioni da altri paesi terzi.

(238) Infine, per le ragioni spiegate sopra, alle importazioni nella Comunità di parti di calzature (come tomaie) che alcune aziende hanno avviato o incrementato, non può essere addebitato di aver influenzato negativamente la maggior parte degli indicatori di pregiudizio come produzione, vendite, redditività, ecc. È vero, come sottolieano talune parti interessate, che ciò può aver fatto diminuire gli occupati della Comunità ma si tratta di un atto di autodifesa da parte di aziende minacciate dal forte aumento delle importazioni in dumping sul mercato comunitario, legato quindi all’esistenza del dumping più che a una forma di autolesionismo.

3. Conclusioni sulle cause del pregiudizio

(239) Gli argomenti delle parti interessate sono pertanto respinti e vengono confermate le risultanze e le conclusioni del regolamento provvisorio.

(240) Si conclude perciò in via definitiva che le importazioni in dumping originarie dei paesi in esame hanno arrecato, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 6, del regolamento di base, un notevole pregiudizio all’industria comunitaria e che l’analisi, che ha distinto e separato nettamente gli effetti di tutti i fattori noti da quelli pregiudizievoli delle importazioni oggetto di dumping sulla situazione dell’industria comunitaria, conferma che questi altri fattori non bastano di per sé a invalidare il fatto che il grave pregiudizio accertato vada attribuito alle importazioni in dumping.

G. INTERESSE DELLA COMUNITÀ

(241) Si è affrontato il problema se, alla luce delle osservazioni e/o degli elementi aggiuntivi forniti dalle parti interessate in seguito all’imposizione del regolamento provvisorio, si dovesse modificare la conclusione provvisoria secondo cui l’interesse comunitario richiede un intervento per impedire il dumping pregiudizievole.

1. Interesse dell’industria comunitaria

(242) Secondo alcuni importatori ed esportatori l’imposizione di misure non sarebbe nell’interesse dell’industria comunitaria. Essi sostengono di fatto che la produzione dei denuncianti completi le importazioni dai paesi in esame, che l’imposizione di misure antidumping dia luogo a un vasto spostamento delle importazioni dai paesi in esame verso altri paesi terzi, che il pregiudizio subito dall’industria comunitaria non sia dovuto al dumping e che i denuncianti abbiano perso quote di mercato nel corso di vari anni per ragioni diverse dal dumping.

(243) Va innanzitutto notato che il regolamento provvisorio e l’analisi sopra riportata riconoscono l’esistenza di un dumping arrecante pregiudizio all’industria comunitaria, e, dal 2004, ritenuto grave e causato dalle pratiche dei paesi in esame. In linea di principio, pertanto, è nell’interesse della Comunità rimuovere il pregiudizio grave causato dal dumping.

(244) L’argomento secondo cui la produzione dei denuncianti è solo un completamento delle importazioni è stata respinta perché è dimostrato che il prodotto in esame concorre con lo stesso prodotto simile fabbricato e venduto nella Comunità. Il fatto che l’industria comunitaria abbia denunciato le importazioni del prodotto in esame suggerisce anche che esista una concorrenza tra prodotti della Comunità e prodotti importati dai paesi in esame.

(245) L’ipotesi sullo spostamento delle importazioni non è nuova. Il considerando 241 del regolamento provvisorio, cui si rinvia, afferma che se gli importatori si rivolgono ad altri paesi fornitori ciò non è certo un motivo valido per non adottare misure contro un dumping pregiudizievole e che è comunque impossibile anticipare le dimensioni di tale spostamento e conoscerne le condizioni, p. es. se sono oggetto di dumping.

(246) Riguardo all’ultimo argomento, si rinvia alla precedente analisi delle cause del pregiudizio in cui si esaminava l’impatto di fattori diversi dal dumping. È comunque chiaro che la diminuzione dei volumi di produzione dell’industria calzaturiera comunitaria, e quindi delle sue quote di mercato, è stata accelerata dalle importazioni in dumping. Questo è ovvio che avvenga in una situazione di consumo comunitario stabile.

(247) In mancanza di ulteriori fondate osservazioni, si confermano questi risultati provvisori e si conclude in via definitiva che l’imposizione di misure antidumping permetterebbe all’industria della Comunità di riprendersi dagli effetti del dumping arrecante grave pregiudizio accertato.

2. Interesse degli altri operatori economici

2.1. Interesse dei consumatori

(248) Come nella fase provvisoria, non sono pervenute osservazioni da organizzazioni dei consumatori in seguito alla pubblicazione dell’introduzione di misure provvisorie. La conclusione provvisoria secondo cui i prezzi al consumo di calzature in pelle saranno influenzati solo marginalmente dall’introduzione di misure definitive non è stata contestata da nessuna organizzazione che rappresenti interessi dei consumatori.

(249) Alcuni produttori/esportatori non concordano sul fatto che l’impatto delle misure sui consumatori sarà limitato e ritengono che esse faranno sensibilmente aumentare le spese delle famiglie.

(250) Anche gli importatori ritengono che i prezzi al consumo saliranno a causa delle misure definitive e che il loro incremento potrà anche raggiungere la percentuale di un dazio ad valorem . Tale affermazione si basa sul fatto che gli importatori applicano di solito il loro margine al prezzo d’importazione, dazi compresi, e che quindi lo applicherebbero, tra altri elementi, anche al dazio antidumping. Qualche importatore sostiene invece di non poter trasferire sul consumatore alcun dazio perché è questi che fissa il livello dei prezzi e che non acquisterà alcuna calzatura che ecceda un certo prezzo.

(251) Innanzitutto, secondo le disposizioni in vigore, i produttori/esportatori non sono legittimati a intervenire sull’interesse della Comunità. Per completezza, la loro posizione è stata comunque analizzata. Essi, pur non concordando con le conclusioni della Commissione sulle conseguenze delle misure per i consumatori, non hanno presentato dati o informazioni specifiche a supporto delle loro affermazioni. Come detto sopra, si sono invece limitati a presentare dichiarazioni contraddittorie su dazi da trasferire interamente sul consumatore (e anche di più, applicando un margine al dazio stesso) o sull’assoluta impossibilità di trasferire eventuali dazi. Le loro affermazioni non sono perciò tali da poter modificare le conclusioni provvisorie.

(252) Altri produttori/esportatori affermano poi che l’introduzione delle misure limiterebbe notevolmente la scelta dei consumatori. Il ragionamento si fonda sul presupposto che taluni tipi di calzature in pelle siano prodotti solo in Cina e in Vietnam, che il dazio antidumping ne faccia cessare la produzione e che i fabbricanti comunitari non siano in grado di rifornirne il mercato comunitario.

(253) Le affermazioni sulla scelta delle calzature che verrebbe limitata non sono nuove e sono state affrontate nel considerando 246 del regolamento provvisorio. Che taluni tipi di calzature non siano più prodotti e i fabbricanti comunitari non siano in grado di colmare eventuali lacune così createsi, è una pura supposizione non suffragata da fatti o prove obiettive ed è stata perciò respinta.

(254) È stata infine riconsiderata l’esclusione delle calzature per bambini dati gli argomenti formulati dall’industria comunitaria.

(255) Benché tale esclusione abbia riscosso il favore dai produttori/esportatori e dagli importatori, in assenza di reazioni delle organizzazioni dei consumatori, manca qualsiasi prova o conferma che dimostri che le misure sulle calzature per bambini hanno effetti diversi dalle misure sulle calzature per adulti.

(256) L’industria comunitaria ha invece contestato l’esclusione delle calzature per bambini dalla gamma delle misure provvisorie antidumping, richiamando il fatto che esiste una produzione comunitaria di calzature per bambini e che è stato accertato dumping pregiudizievole nei suoi confronti.

(257) I rilievi definitivi sullo status delle calzature per bambini nella presente procedura ha portato alle conclusioni che seguono. Innanzitutto, un’analisi supplementare che ha portato a conclusioni definitive, ha dimostrato che le calzature per bambini vanno incluse nella definizione del prodotto in esame, cioè che tutti i tipi del prodotto in esame vanno considerati un unico prodotto e che per principio le misure antidumping vanno applicate all’insieme del prodotto in esame. In secondo luogo, sono stati riesaminati i motivi per escludere provvisoriamente, nell’interesse della Comunità, le calzature per bambini dalle misure elencate ai considerando da 250 a 252 del regolamento provvisorio, e riassumibili nella più frequente sostituzione di tali calzature e, quindi, nell’alta incidenza finanziaria delle misure antidumping sulla situazione della famiglia media europea. In proposito, à stato accertato che, secondo le statistiche di Eurostat, i prezzi medi all’importazione delle calzature per bambini sono in genere notevolmente inferiori ai prezzi all’importazione delle calzature per adulti (più del 33%). L’effetto di un dazio antidumping ad valorem sulle calzature per bambini sarebbe perciò proporzionalmente inferiore. Le conclusioni definitive prevedono inoltre dazi definitivi nel complesso inferiori a quelli decisi dalle misure provvisorie. Ciò si risolve, di nuovo, in un indebolimento dell’impatto finanziario delle misure. Già il considerando 249 di reglamento provvisorio illustra quanto sia improbabile che i consumatori debbano sopportare tutto il peso di eventuali misure. Nessuna parte interessata ha presentato prove circostanziate a supporto di un punto di vista diverso. In tale contesto, si noti che nessuna organizzazione dei consumatori ha presentato una qualche osservazione, il che fa pensare che l’impatto delle misure, indipendentemente dal fatto che riguardino calzature per bambini o per adulti, non mette realmente a repentaglio gli interessi dei loro membri. Tenuto conto di quanto sopra, è evidente che non è giustificabile escludere in via definitiva le calzature per bambini dalle misure. Non è affatto provato, pertanto, che, introducendo misure definitive per eliminare il notevole pregiudizio causato dal dumping, l’interesse dei consumatori finisca per contrapporsi a quello della Comunità.

(258) Per queste ragioni, l’argomento viene accolto e si conferma che, per quanto precede, l’introduzione di misure definitive sul prodotto in esame, comprese le calzature per bambini, non sarebbe contrario all’interesse generale dei consumatori.

2.2. Interesse dei distributori/dettaglianti

(259) Nella fase provvisoria, sono giunte pochissime osservazioni di distributori/dettaglianti o di loro organizzazioni: si è manifestato un consorzio di dettaglianti di uno Stato membro e hanno risposto al questionario tre importatori che dispongono di proprie reti di distribuzione, tra cui due catene di supermercati. Solo una di queste quattro parti ha inviato osservazioni dopo l’introduzione di misure provvisorie; non sono pervenuti altri commenti di singoli distributori o dettaglianti.

(260) Un’associazione di importatori, che ha collaborato all’inchiesta fin dall’inizio della procedura, ha contestato la conclusione, secondo cui sarebbero pervenute solo poche osservazioni, poiché tale associazione rappresenta imprese importatrici che sono anche distributrici e dettaglianti. Essa afferma inoltre che almeno due dei suoi membri, situati in due Stati membri diversi, hanno inviato alla Commissione informazioni dettagliate.

(261) La Commissione ammette che l’associazione rappresenti aziende talora in possesso di proprie reti di distribuzione e che perciò le conclusioni sul numero delle osservazioni pervenute andrebbero alquanto sfumate. La missione principale di tali aziende resta comunque l’importazione di calzature. In ogni caso, resta il fatto che oltre a quelli inviati dalle tre imprese summenzionate, distributori e dettaglianti non hanno fatto pervenire alla Commissione altri dati precisi e verificabili che permettano di valutare la loro situazione economica e la misura in cui essi sarebbero colpiti da eventuali misure. Ma è soprattutto in base a tali informazioni che la Commissione può effettuare un’analisi dettagliata.

(262) Quanto alla supposta cooperazione dei due membri dell’associazione, si noti che uno di essi non ha inviato la risposta al questionario nei termini previsiti, impedendone così l’uso.

(263) Nella sua presa di posizione, l’associazione fornisce cifre ed esempi per dimostrare gli effetti delle misure sugli importatori che sono anche dettaglianti. Ma tali cifre sono state inviate ben oltre la scadenza accordata per il loro invio e pare si riferiscano a una sola impresa - di cui non si menziona il nome - che non pare abbia cooperato all’inchiesta. La cifre perciò non hanno potuto essere né convalidate né utilizzate.

(264) L’associazione afferma poi che, per la loro situazione finanziaria, gli importatori che sono anche dettaglianti, non potranno trasferire sui consumatori neppure parzialmente alcun aumento dei prezzi e che taluni dettaglianti, specie quelli che si approvvigionano nei paesi in esame, non sopravviverebbero all’introduzione di misure.

(265) L’argomento secondo cui le imprese non possono trasferire sui consumatori neppure in parte alcun aumento dei costi contraddice chiaramente le affermazioni di varie parti, tra cui l’associazione degli importatori, secondo cui con l’introduzione delle misure antidumping aumentaranno i prezzi al consumo. Le informazioni raccolte durante l’inchiesta, che queste dichiarazioni contradditorie confermano, fanno pensare che almeno una parte dell’effetto delle misure sui prezzi all’importazione sarà trasferito sui consumatori. Certo non è escluso che qualche misura non abbia effetti negativi su taluni dettaglianti che importano in modo diretto ed esclusivo dai paesi in esame. Si ricordi però che l’interesse della Comunità si analizza su una base ampia, che rispecchia la media della situazione in cui versano le parti che, nella Comunità, sono interessate alla procedura; è quindi del tutto possibile che alcune di esse subiscano effetti diversi da quelli subiti da altre. In proposito si rinvia al considerando 275 del regolamento provvisorio in cui si riconosce che le misure possono effettivamente avere riflessi negativi sulla situazione finanziaria di taluni importatori.

(266) Infine, l’associazione lamenta il fatto che la Commissione non avrebbe correttamente inteso le differenze tra i canali di distribuzione al dettaglio. I dettaglianti indipendenti sono riforniti non solo da grossisti comunitari ma talora sono essi stessi importatori. Essa afferma che i dettaglianti compresi nel campione della Commissione sono tutti legati a un marchio e che perciò l’analisi della Commissione non è appropriata.

(267) Mancando informazioni dettagliate sulla situazione finanziaria dei dettaglianti e dei distributori, la Commissione ha effettuato un’analisi generica del settore. Il suo scopo era soprattutto quello di individuare i principali canali di distribuzione e capirne la struttura in modo da sapere in che modo essi avrebbero subito le misure. È possibile che questa analisi generica non rispecchi esattamente la situazione specifica di singoli distributori. Si noti, a titolo informativo, che la descrizione e le conclusioni di questa indagine corrispondono ai risultati della precedente inchiesta antidumping sulle calzature della Commissione[8], e la situazione nel settore della distribuzione delle calzature non pare sia da allora mutata.

(268) In particolare, stando al considerando 260 del regolamento provvisorio, nella Comunità i dettaglianti indipendenti sono di solito riforniti da grossisti. È perciò possibile che tali dettaglianti dispongano anche di altre fonti di rifornimento. Sui dettaglianti legati a un marchio, la Commissione non ha usato campioni; ha invece preferito analizzare tutta l’informazione comunicata dalle parti che hanno collaborato. Si noti in proposito che il regolamento provvisorio sottolinea la scarsa cooperazione dimostrata dalle catene di marca, cioè catene di vendita al dettaglio con un marchio proprio, che sono diverse dai dettaglianti di scarpe di marca, uno dei quali ha davvero collaborato.

(269) Non esistono altre osservazioni che possano modificare le conclusioni del regolamento provvisorio. Si conferma pertanto la conclusione, espressa al considerando 264 del regolamento provvisorio, secondo cui gli effetti delle misure definitive sugli importatori e sui distributori resteranno probabilmente limitati.

2.3. Interesse degli importatori indipendenti nella Comunità

(270) Le osservazioni ricevute dalle varie parti interessate, se adeguatamente suffragate da elementi di prova, sono state vagliate attentamente e qui di seguito spiegatedescritte.

(271) Taluni importatori sostengono che, essendo il loro margine di profitto inferiore al dazio antidumping, non sopravviveranno all’introduzione dei dazi se non potranno dividere tale onere con i grossisti e i dettaglianti. Ciò però non avverrà perché grossisti e dettaglianti non accetteranno alcun incremento di prezzo e si rivolgeranno a operatori che li possano rifornire senza dazi antidumping.

(272) Il fatto che il margine di profitto sia inferiore al livello del dazio antidumping è irrilevante. Di fatto, mentre il livello delle misure antidumping è espresso come percentuale del prezzo d’importazine, il margine di profitto è espresso come percentuale del fatturato, cioè del prezzo di vendita. Data l’ampiezza del divario esistente tra acquisto e rivendita, è evidente che le due grandezze non sono assolutamente comparabili. L’affermazione che grossisti e dettaglianti non accetterebbero alcun aumento di prezzo, contrasta di nuovo con quanto affermano vari importatori secondo i quali gli aumenti di prezzo vengono interamente trasferiti sui consumatori, quindi anche sui distributori, e non può perciò essere accettata. È vero comunque che grossisti e dettaglianti possono rivolgersi a operatori che li riforniscano senza dazi antidumping: l’industria comunitaria finirebbe così per beneficiare delle misure.

(273) Un’associazione di importatori ha contestato la descrizione di due categorie di importatori fatta dalla Commissione, perché lontana dalla realtà del mercato e perché gli importatori vanno differenziati in base alle combinazione dei prodotti e ai canali di vendita. Essa sosteneva inoltre che, per valutare le misure, fosse rilevante il margine netto e non la maggiorazione degli intermediari.

(274) Si noti intanto che non si è usato un campione e che gli importatori hanno attivamente collaborato: la Commissione ha potuto perciò basare le sue conclusioni su fatti provati.

(275) È vero che la combinazione dei prodotti e i canali di vendita sono effettivamente criteri pertinenti per categorizzare gli importatori. L’analisi li ha perciò tenuti nel debito conto. La Commissione ha infatti distinto tra imprese attive nel segmento superiore del mercato e importatori attivi in quello inferiore e ha presupposto che queste due categorie di importatori avessero combinazioni di prodotti e canali di vendita diversi.

(276) I rilievi delle associazioni non hanno potuto modificare la conclusione secondo cui, sugli importatori attivi nel segmento superiore del mercato, il dazio ad valorem incide poco rispetto al prezzo di vendita (e, dunque, al profitto) ben più elevato, mentre il dazio ad valorem causa aumenti solo modesti del prezzo assoluto di vendita a quelli attivi nel segmento inferiore del mercato che, grazie al loro margine di profitto medio, non risentono troppo degli effetti negativi delle misure.

(277) Si confermano pertanto le conclusioni dei considerando da 265 a 275 del regolamento provvisorio. Ciò significa la conferma definitiva che le misure non avranno probabilmente rilevanti effetti negativi sulla situazione generale degli importatori nella Comunità, anche se la loro introduzione potrà avere riflessi negativi sulla situazione finanziaria di qualche singolo importatore. Ma, in generale, si ritiene che tali ripercussioni non avranno conseguenze finanziarie significative sulla situazione complessiva degli importatori.

2.4. Altre considerazioni

(278) Si è anche sostenuto che le misure non fossero nell’interesse della Comunità perché il Vietnam è un paese in via di sviluppo che non può rinunciare a esportare calzature, che i dazi sulle importazioni dalla RPC possono compromettere le buone relazioni economiche con tale paese che è un grande mercato potenziale e perché i lavoratori in Vietnam e nella RPC ne verrebbero penalizzati.

(279) In base all’articolo 21, paragrafo 1, del regolamento di base e secondo la prassi cui si sono attenute le Istituzioni da quando è entrato in vigore l’attuale regolamento di base, questo tipo di argomento non rientra nell’analisi dell’interesse comunitario. Essa è un’analisi di tipo economico incentrata sulle conseguenze economiche per gli operatori comunitari dell’introduzione, o no, di misure antidumping. Non è fatta per strumentalizzare le inchieste antidumping a fini politici generali di politica estera o di politica dello sviluppo. Ciò è confermato anche dall’elenco delle parti legittimate ai sensi dell’articolo 21 del regolamento di base. Pur essendo un elenco incompleto, (in alcune inchieste si sono manifestati anche i fornitori di materie prime per il prodotto in esame e di tali osservazioni si è tenuto conto), la natura delle parti menzionate indica chiaramente che esso riguarda solo i riflessi economici sulle parti nella Comunità. Ma l’analisi dell’interesse comunitario non è neppure un’analisi costi/benefici in senso stretto. È vero che vengono contrapposti vari interessi, ma non come in una equazione matematica, e ciò non solo per l’ovvio problema metodologico di quantificare ciascun fattore con ragionevoli margini di sicurezza nei tempi a disposizione, ma anche perché non esiste solo un modello generalmente accettato di analisi costi/benefici. L’articolo 21, paragrafo 1 del regolamento di base stabilisce perciò di porre particolare attenzione alla necessità di ripristinare un’effettiva concorrenza e di non applicare misure, in base alle informazioni pervenute, se è chiaro che la loro applicazione non è nell’interesse della Comunità. In altre parole, è legittimo che le misure antidumping abbiano taluni effetti negativi sulle parti che per loro natura sono ad esse contrarie. Le misure andrebbero ritenute contrarie all’interesse della Comunità solo se i loro effetti sulle parti summenzionate fossero sproporzionati.

(280) All’inizio dell’inchiesta e nella fase provvisoria, la Commissione ha invitato le parti a inviare informazioni sui possibili effetti che l’introduzione, o meno, delle misure avrebbe su di esse. Come spiegato in dettaglio sia nella fase provvisoria che nel presente regolamento, non sono pervenute informazioni che lamentassero tali effetti sproporzionati. Non esiste nessuna sia pur vaga conferma dell’affermazione di uno Stato membro secondo cui ogni euro guadagnato dai produttori europei gratie ai dazi significherebbe una perdita di 8 euro per i consumatori e le industrie utenti.

(281) Riguardo all’argomento secondo cui l’adozione delle misure penalizzerebbe i paesi in via di sviluppo, la Comunità ha sempre agito indiscriminatamente contro paesi in via di sviluppo e industrializzati, se le misure erano giustificate. Riguardo all’altro argomento, per cui le misure antidumping comprometterebbero le buone relazioni economiche con la RPC, se spinto alle conseguenze estreme, farebbe dipendere l’azione comunitaria antidumping da minacce di rappresaglie da parte di un paese terzo, in caso di adozione delle misure. Un approccio siffatto sarebbe proprio come invitare il paese terzo a minacciare delle conseguenze negative. Infine, i due argomenti non sono compatibili con la nozione di uno strumento basato su regole e con un’inchiesta quasi-giudiziaria.

(282) È stato anche affermato che uno Stato membro dipendesse dalle importazioni di calzature. Ma nulla prova che tali importazioni possano provenire solo dai due paesi in esame. Esistono ampie fonti d’approvvigionamento in seno alla Comunità e in paesi terzi non sotto esame. Le importazioni dalla RPC e dal Vietnam possono anche continuare: l’effetto dei dazi non è quello di precludere il mercato.

(283) Insomma, né la legislazione in vigore né i risultati dell’inchiesta giustificano la rinuncia ad azioni antidumping per uno dei motivi citati all’inizio di questa sezione.

3. Conclusioni in merito all’interesse della Comunità

(284) L’analisi di cui sopra ha tenuto conto ed eventualmente affrontato le osservazioni presentate dalle varie parti interessate. Nessuna di esse ha però modificato le conclusioni tratte nella fase provvisoria.

(285) Si conferma perciò definitivamente che:

- è nell’interesse dell’industria comunitaria introdurre misure che possano almeno contenere il forte afflusso di importazioni a prezzi di dumping, che hanno dimostrato di essere notevolmente pregiudizievoli per la sua situazione finanziaria;

- i consumatori non subiranno l’effetto di misure antidumping o lo subiranno in misura solo molto marginale;

- i prezzi all’acquisto del prodotto in esame potranno aumentare per distributori e dettaglianti, ma, data la loro situazione globali e l’insieme dei loro costi, probabilmente non risentiranno molto delle misure;

- in genere, gli importatori dovrebbero poter assorbire l’introduzione delle misure, benché alcuni, a seconda della loro situazione specifica e se si approvvigionano in calzature esclusivamente dai paesi in esame, possano effettivamente incontrare delle difficoltà;

- altri interessi, anche se se ne dovesse tener conto, non sono tali da modificare l’interesse a prendere misure antidumping.

(286) Nel complesso si ritiene che l’introduzione di misure, cioè rimuovere il dumping gravemente pregiudizievole, consentirà all’industria comunitaria di mantenere le sue attività e di porre fine alla serie di chiusure e licenziamenti da essa subiti negli ultimi anni e che gli effetti negativi delle misure su altri operatori economici della Comunità non saranno sproporzionati rispetto a quelli benèfici per l’industria comunitaria.

H. MISURE ANTIDUMPING DEFINITIVE

(287) Alla luce delle conclusioni raggiunte riguardo al dumping, al pregiudizio da esso causato e all’interesse della Comunità, è necessario introdurre misure sulle importazioni del prodotto in esame originario della RPC e del Vietnam.

1. Livello di eliminazione del pregiudizio

(288) Il livello delle misure antidumping definitive deve essere tale da eliminare il pregiudizio causato all’industria comunitaria dalle importazioni oggetto di dumping, senza superare i margini di dumping rilevati. Nel calcolare l’importo del dazio necessario a eliminare gli effetti del dumping gravemente pregiudizievole, si è ritenuto che le misure dovessero permettere all’industria comunitaria di coprire i propri costi e di ottenere un profitto al lordo delle imposte pari a quello che potrebbe ragionevolmente essere ottenuto in condizioni di concorrenza normali, cioè senza le importazioni oggetto di dumping e considerando i contingenti sulle importazioni provenienti dalla RPC fino alla fine del 2004.

1.1. Sottoquotazione

(289) Nella fase provvisoria un margine di profitto del 2% sul fatturato era stato considerato adeguato: in assenza di dumping gravemente pregiudizievole, l’industria comunitaria avrebbe potuto infatti ottenerlo poiché corrispondeva al profitto massimo da essa raggiunto durante il periodo in esame. L’industria comunitaria ha però vivamente contestato il ragionamento perché la sua situazione economica per tutto periodo considerato non rifletteva il livello di profitto che avrebbe potuto ottenere senza dumping gravemente pregiudizievole: quando infatti l’industria ottennne tale livello di profitto, i prezzi erano già depressi e, con esso, l’industria non avrebbe potuto fare gli investimenti necessari per restare competitiva. L’industria comunitaria riteneva tra l’altro che quel 2% fosse largamente al di sotto del margine di guadagno raggiunto dagli importatori e che il margine minimo non avrebbe dovuto assolutamente essere inferiore al 10%.

(290) L’osservazione è stato attentamente esaminata e la questione di stabilire di livello di profitto da usare per il calcolo del pregiudizio è stata riaperta.

(291) Si noti innanzitutto che, per la varia natura degli importatori, il livello di profitto da essi raggiunto non è un valore di riferimento adeguato ed è inutile usarlo come tale.

(292) In secondo luogo, riguardo a un margine di profitto ragionevolmente ottenibile, dopo la comunicazione, l’industria comunitaria ha presentato osservazioni documentate che ritenevano adeguato un margine di guadagno non del 2% ma del 6% sul fatturato, livello che l’industria comunitaria avrebbe potuto raggiungere in assenza di dumping gravemente pregiudizievole. In proposito, l’industria comunitaria ha provato di aver effettivamente ottenuto tali margini più elevati per calzature non soggette a dumping gravemente pregiudizievole. Di conseguenza, il margine di profitto applicabile è stato riconsiderato e portato a un livello del 6% sul fatturato.

(293) Alcune parti interessate hanno lamentato che è pratica costante della Commissione calcolare un margine di pregiudizio solo se l’industria comunitaria subisce perdite o, in altri casi, se il livello del pregiudizio va limitato alla sottoquotazione. Il reclamo è stato però respinto perché il margine del pregiudizio viene regolarmente fissato in modo da applicare il principio del dazio inferiore mentre il margine della sottoquotazione è fissato ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 3 del regolamento di base. Il margine del pregiudizio è quindi pertinente quando le importazioni in dumping hanno depresso i prezzi, ciò che può accadere anche se l’industria è ancora in utile.

(294) Infine, come per il margine della sottoquotazione, sono pervenute varie osservazioni relative al calcolo del pregiudizio. Tali reclami sono stati esaminati in dettaglio e, in caso di errori materiali o di prove di fatto a sostegno di talune correzioni, i calcoli sono stati opportunamente modificati.

(295) L’aumento dei prezzi necessario è stato quindi stabilito comparando, allo stesso stadio commerciale, la media ponderata dei prezzi all’importazione, usata per calcolare la sottoquotazione dei prezzi, e i prezzi non pregiudizievoli dei prodotti venduti dall’industria comunitaria sul mercato comunitario. Il prezzo non pregiudizievole è stato ottenuto adeguando il prezzo di vendita di ogni impresa dell’industria comunitaria a seconda del punto di pareggio e aggiungendo il suddetto margine di utile. Le differenze risultanti da tale comparazione sono state espresse in percentuale del valore totale CIF all’importazione. Ne sono risultati margini di sottoquotazione rispettivamente del 23% e del 29,5% per la RPC e il Vietnam.

1.2. Particolarità della presente procedura

(296) Come già detto, la presente procedura è caratterizzata però da elementi particolari ed eccezionali, da considerare adeguatamente nelle misure antidumping. In proposito, si noti innanzitutto che, fino a gennaio 2005, una parte notevole del prodotto in esame era soggetta a restrizioni quantitative.

(297) Va perciò esaminato con particolare cura quello che dovrà essere il livello adeguato delle misure antidumping definitive, date le particolarità di questo caso. Per le misure definitive, andavano quindi escogitati metodi più raffinati, in particolare a causa degli effetti sulla situazione dell’industria comunitaria delle quantità importate nel periodo considerato.

(298) In proposito, il contingentamento delle importazioni dalla RPC ha avuto un effetto di contenimento e, nella stessa misura, ha impedito che l’industria comunitaria subisse un pregiudizio grave, come durante il PI. L’analisi del pregiudizio e delle sue cause, in particolare nei considerando 187 e segg. e 216 e segg., lo dimostra chiaramente. Nel nostro caso, si può osservare che di fatto l’aumento dell’aspetto volume delle importazioni in dumping ha avuto sull’industria comunitaria effetti particolarmente negativi dopo la soppressione del contingente. Gli indicatori congiunturali sulla situazione dell’industria comunitaria si sono infatti deteriorati soprattutto nel primo trimestre del 2005, sebbene chiare indicazioni di pregiudizio grave si trovino già negli ultimi tre trimestri del 2004 che rappresentano il resto del PI.

(299) Secondo il principio del dazio inferiore fissato dall’articolo 9, paragrafo 4 del regolamento di base, date le particolarità del presente caso, come l’esistenza del contingente fino alla fine del 2004, è stata considerato con particolare attenzione l’elemento quantitativo del dumping pregiudizievole. Si ritiene che solo le importazioni il cui volume superi la soglia in vigore prima della soppressione del contingente possano causare pregiudizio grave, per cui la soglia del pregiudizio, fissata in base ai risultati del PI, riflette il fatto che certi volumi importati non hanno causato tale pregiudizio grave.

(300) Le importazioni che non hanno causato pregiudizio grave hanno dovuto perciò essere adeguatamente considerate nelle soglie di eliminazione del pregiudizio.

(301) In proposito, in base a dati di Eurostat, il valore totale dei volumi importati nel 2003 dai paesi in esame è stato ritenuto non ancora gravemente pregiudizievole e in base ad esso sono stati adeguati proporzionalmente i livelli d’eliminazione del pregiudizio, stabiliti sopra. In un secondo tempo, questo valore totale non gravemente pregiudizievole (“VNP”) è stato assegnato alla RPC e al Vietnam in base alle rispettive quote delle importazioni del prodotto in esame dai paesi interessati durante il PI. Successivamente, i due VNP sono stati rapportati, per il rispettivo paese in esame, alle importazioni del 2005, primo e più recente anno completo disponibile non soggetto a limitazioni quantitative riguardo al prodotto in esame. Infine è stato ridotto nella stessa proporzione il livello di dazio per il PI. Ne sono risultati soglie di pregiudizio rispettivamente del 16,5% e del 10% per la RPC e il Vietnam.

(302) Con lo stesso metodo, la soglia del pregiudizio per Golden Step è rimasta ben al di sopra del margine di dumping del 9,7% per questa particolare impresa, per cui in questo caso, secondo il principio del dazio inferiore, di cui all’articolo 9, paragrafo 4 del regolamento di base, il margine di dumping stabilisce il livello del dazio.

(303) Dopo la comunicazione di conclusioni definitive supplementari, varie parti interessate hanno inviato osservazioni sul suddetto modo di procedere. Alcune di esse hanno dichiarato di preferire un sistema di dazio differito (“SDD”), che avrebbe escluso l’applicazione delle misure ad alcuni volumi annuali di importazioni.

(304) Per motivi amministrativi e giuridici, tali SDD non sono stati però attuati.

(305) Altri hanno ritenuto che questo caso non giustificasse l’abbandono dell’approccio standard ad valorem basato solo sui margini di dumping e di sottoquotazione.

(306) Come già detto, si ricorda che proprio il fatto che il prodotto in esame proveniente dalla RPC fosse contingentato fino al 2004 ha richiesto in questo caso particolare un metodo speciale per tenere nel debito conto le importazioni non gravemente pregiudizievoli. Anche questo argomento è stato perciò respinto.

(307) Altre parti interessate, soprattutto cinesi e vietnamite, hanno contestato il metodo per identificare e assegnare il VNP. Esse hanno innanzitutto argomentato che il regolamento di base non prevede in generale tale approccio. Poi, hanno sostenuto che un adeguamento dei margini di sottoquotazione basato su un VNP è inappropriato perché il VNP è un elemento fondato sul volume, mentre i margini di sottoquotazione risultano da comparazioni tra prezzi, cioè fondate solo sul valore. In terzo luogo, è stato affermato che l’impatto economico del VNP non andasse valutato in base alle importazioni del 2005 ma in base a quelle del PI.

(308) In risposta a queste affermazioni si ricorda che il regolamento di base non fissa alcun metodo specifico per stabilire i livelli di eliminazione del pregiudizio. Non esiste perciò alcuna disposizione giuridica che limiti l’analisi al solo stabilimento dei margini di sottoquotazione. Per eliminare il pregiudizio, il quadro giuridico dà invece la possibilità di adottare un calcolo adatto alle specificità di un caso particolare, se le circostanze lo giustificano.

(309) Si ricordi, in secondo luogo, che i dati per il VNP si basano sul valore perché calcolati sul valore delle importazioni del 2003. E chiaro che tali dati si possano usare per correggere i margini di sottoquotazione. Si è applicato un elemento di volume solo nel contesto dell’assegnazione del VNP alla RPC e al Vietnam usando il rispettivo rapporto di volume durante il PI. L’idea dietro questa chiave di ripartizione era di (i) riflettere correttamente la situazione durante il PI e di (ii) eliminare le distorsioni dovute alle differenze tra i valori unitari medi delle importazioni cinesi e vietnamite. Riguardo, infine, alla valutazione dell’incidenza economica del VNP assegnato si è ritenuto necessario riferirsi al più recente periodo annuale completo di importazioni non soggette a contingentamento, cioè il 2005, proprio perché l’adeguamento del VNP ha lo scopo di tener conto delle particolarità rappresentate dal contingente nel periodo considerato. È vero che in genere le informazioni pervenute dopo il PI non andrebbero considerate, ma l’articolo 6, paragrafo 1 del regolamento di base prevede delle eccezioni come nel caso in questione.

(310) Si noti inoltre che il Vietnam non va trascurato nell’operazione di adeguamento perché i contingenti per la RPC ha inciso indirettamente anche sulle importazioni originarie del Vietnam e in generale ha avuto come conseguenza che le importazioni dai paesi in esame fino al 2003 sono state considerate come non gravemente pregiudizievoli.

(311) Alcune parti interessate hanno sostenuto che questo metodo discriminerebbe gli esportatori cinesi. In proposito, sono nate preoccupazioni sul risultato del metodo, sul fatto cioè che nonostante un margine di sottoquotazione più alto per il Vietnam (29.5%) che per la RPC (23%), il metodo porta a livelli di eliminazione del pregiudizio globalmente più bassi per il Vietnam (10%) che per la RPC (16.5%).

(312) Ma il metodo considera solo le diverse tendenze delle importazioni comunitarie dalla RPC e dal Vietnam. La quota vietnamita di importazioni del prodotto in esame durante il periodo considerato era più elevata, per cui anche la quuota di tale paese nelle importazioni non gravemente pregiudizievoli era più elevata. Ciò porta inevitabilmente a un’incidenza maggiore di questo metodo di adeguamento sul margine di sottoquotazione vietnamita. Poiché il metodo considera solo le differenze effettive, esso non discrimina in modo ingiustificato.

(313) Varie parti interessate hanno infine sostenuto che il tempo per presentare osservazioni sulla comunicazione delle conclusioni definitive supplementari era stato breve e non conforme all’articolo 20, paragrafo 5 del regolamento di base.

(314) In proposito, si noti che (i) data l’urgenza della materia e (ii) poiché la comunicazione delle conclusioni definitive supplementari riguardava solo un aspetto specifico e limitato del caso in questione, si è ritenuto necessario, secondo le disposizioni del regolamento di base, fissare un termine di 5 giorni invece di quello solito di 10 giorni. Ma, si noti anche che le richieste motivate di estensione del termine presentate dalle parti interessate sono state esaudite.

2. Impegno

(315) Alcune parti, produttori/esportatori e importatori hanno offerto impegni sui prezzi. In tal caso, un’impresa avrebbe impegnato il rispettivo produttore/esportatore a non vendere a un prezzo inferiore a quello che avrebbe eliminato il dumping pregidizievole.

(316) Nel caso degli importatori, tali richieste sono state considerate irrilevanti perché il dumping è causato dagli esportatori: è l’esportatore che ha la responsabilità e la possibilità effettiva di eliminare il dumping con prezzi appropriati.

(317) Nel caso dei produttori/esportatori, le offerte hanno dovuto essere rifiutate perché sono state fatte da parti che non hanno ottenuto il trattamento di economia di mercato. Inoltre, per un prodotto come le scarpe che cambia continuamente seguendo la moda, sarebbe praticamente impossibile fissare un livello non discriminatorio di prezzi che elimina allo stesso modo il dumping pregiudizievole per una enorme varietà di modelli completamente diversi.

(318) A seguito della comunicazione delle conclusioni definitive un produttore/esportatore vietnamita facente parte del campione ha offerto un impegno sul prezzo. La richiesta è stata rifiutata per le ragioni suesposte.

(319) Altre parti preferirebbero un prezzo minimo generale o un prezzo minimo combinato a un dazio ad valorem , i dazi cioè andrebbero applicati solo a importazioni il cui prezzo fosse inferiore a un importo minimo. Le autorità cinesi e varie altre parti interessate dopo la comunicazione delle conclusioni definitives supplementari, relativa alla forma delle misure, hanno ribadito questa loro preferenza.

(320) Tali proposte hanno dovuto essere rifiutate perché un dazio combinato avrebbe penalizzato in modo ingiustificato le scarpe economiche e favorito quello più costose. È praticamente impossibile individuare adeguate categorie di prezzo per un prodotto così disparato come quello in esame ed evitare un onere così ingiustificato. Inoltre, l’esperienza precedente mostra che un dazio sui prezzi minimi è difficile da controllare e può facilmente essere aggirato. Una soluzione basata su prezzi minimi è stata perciò considerata poco pratica e inadeguata.

(321) Una serie di importatori e di produttori/esportatori vietnamiti non compresi nel campione hanno sostenuto che la linea di condotta proposta non considera lo status di paese in via di sviluppo del Vietnam. In proposito, si noti che scopo delle misure è quello di affrontare obiettivamente pratiche ingiuste di dumping che causano pregiudizio. La situazione economica o il grado di sviluppo di un paese coinvolto in una certa procedura non è considerato pertinente, ai sensi degli articoli 2 e 3 del regolamento di base, per determinare il dumping e il pregiudizio. Adeguamenti, in base a fattori diversi non-precisati nel regolamento di base, possono essere fatti solo se si dimostra che influiscono sulla comparabilità dei prezzi. Poiché ciò non è stato provato dalle parti interessate, il suddetto argomento sullo status del Vietnem come paese in via di sviluppo ha dovuto essere rifiutato.

3. Dazi definitivi

(322) Alla luce di quanto precede, a norma dell’articolo 9, paragrafo 4, del regolamento di base, si ritiene che nei confronti delle importazioni originarie della RPC e del Vietnam vadano introdotte misure antidumping definitive al livello dei margini di dumping e di pregiudizio più bassi, conformemente al principio del dazio inferiore come precisato dal metodo suesposto. In proposito, per i livelli di dazio su scala nazionale, il dazio antidumping non deve superare i livelli di eliminazione del pregiudizio.

(323) Riguardo a Golden Step, l’importo del dazio è stato stabilito in base al suo margine di dumping, che era inferiore al livello di eliminazione del pregiudizio.

(324) Sulla scorta di quanto precede, i dazi definitivi proposti sono i seguenti:

Paese | Impresa | Dazio antidumping |

RPC | Golden Step | 9,7 % |

Tutte le altre imprese | 16,5% |

Vietnam | Tutte le imprese | 10% |

(325) Per ridurre al minimo i rischi di false dichiarazioni o di elusione delle misure, un sistema amministrativo rafforzato di sorveglianza delle importazioni, basato sull’articolo 308, lettera d) del regolamento (CEE) n. 2454/93[9] della Commissione, consentirà di ottenere in anticipo informazioni sull’andamento delle importazioni. Se saranno individuati elementi indicanti una variazione significativa di queste tendenze, la Commissione procederà ad un’inchiesta d’urgenza. In questo contesto si chiarisce che la sorveglianza delle STAF riguarderà ora le calzature il cui valore si situi al di sopra e al di sotto di una soglia di valore pari a 7,5 euro invece della soglia originale di 9 euro.

HA ADOTTATO IL PRESENTE REGOLAMENTO:

Articolo 1

1. Viene introdotto un dazio antidumping definitivo sulle importazioni di alcuni tipi di calzature con tomaie di cuoio naturale o ricostituito, ad esclusione delle calzature che contengono una tecnologia speciale, delle calzature per bambini e delle calzature con puntale protettivo, originarie della Repubblica popolare cinese e del Vietnam, classificate ai seguenti codici NC: 6403 20 00, ex 6403 30 00, ex 6403 51 11, ex 6403 51 15, ex 6403 51 19, ex 6403 51 91, ex 6403 51 95, ex 6403 51 99, ex 6403 59 11, ex 6403 59 31, ex 6403 59 35, ex 6403 59 39, ex 6403 59 91, ex 6403 59 95, ex 6403 59 99, ex 6403 91 11, ex 6403 91 13, ex 6403 91 16, ex 6403 91 18, ex 6403 91 91, ex 6403 91 93, ex 6403 91 96, ex 6403 91 98, ex 6403 99 11, ex 6403 99 31, ex 6403 99 33, ex 6403 99 36, ex 6403 99 38, ex 6403 99 91, ex 6403 99 93, ex 6403 99 96, ex 6403 99 98 ed ex 6405 10 00[10] (TARIC codes 6403 30 00 39, 6403 30 00 89, 6403 51 11 90, 6403 51 15 90, 6403 51 19 90, 6403 51 91 90, 6403 51 95 90, 6403 51 99 90, 6403 59 11 90, 6403 59 31 90, 6403 59 35 90, 6403 59 39 90, 6403 59 91 90, 6403 59 95 90, 6403 59 99 90, 6403 91 11 99, 6403 91 13 99, 6403 91 16 99, 6403 91 18 99, 6403 91 91 99, 6403 91 93 99, 6403 91 96 99, 6403 91 98 99, 6403 99 11 90, 6403 99 31 90, 6403 99 33 90, 6403 99 36 90, 6403 99 38 90, 6403 99 91 99, 6403 99 93 29, 6403 99 93 99, 6403 99 96 29, 6403 99 96 99, 6403 99 98 29, 6403 99 98 99 e 6405 10 00 80).

2. Ai fini del presente regolamento si applicano le seguenti definizioni:

“calzature per lo sport” indica calzature ai sensi della nota di sottovoci 1 del capitolo 64 dell’allegato I del regolamento (CE) n. 1719/2005 della Commissione[11];

per “calzature contenenti una tecnologia speciale” si intendono le calzature che hanno un prezzo CIF uguale o superiore a 7,5 euro/paio, destinate all’attività sportiva, con suola stampata, non per iniezione, a uno o più strati, fabbricata con materiali sintetici appositamente progettati per attutire gli urti dovuti ai movimenti verticali o laterali e con caratteristiche tecniche quali cuscinetti ermetici contenenti gas o fluidi, componenti meccaniche che attutiscono o neutralizzano gli urti o materiali come i polimeri a bassa densità, classificate ai seguenti codici NC ex 6403 91 11, ex 6403 91 13, ex 6403 91 16, ex 6403 91 18, ex 6403 91 91, ex 6403 91 93, ex 6403 91 96, ex 6403 91 98, ex 6403 99 91, ex 6403 99 93, ex 6403 99 96, ex 6403 99 98;

per “calzature con puntale protettivo” si intendono calzature munite di un puntale protettivo e dotate di una resistenza all’impatto di almeno 100 joule[12] classificate ai seguenti codici NC: ex 6403 30 00, ex 6403 51 11, ex 6403 51 15, ex 6403 51 19, ex 6403 51 91, ex 6403 51 95, ex 6403 51 99, ex 6403 59 11, ex 6403 59 31, ex 6403 59 35, ex 6403 59 39, ex 6403 59 91, ex 6403 59 95, ex 6403 59 99, ex 6403 91 11, ex 6403 91 13, ex 6403 91 16, ex 6403 91 18, ex 6403 91 91, ex 6403 91 93, ex 6403 91 96, ex 6403 91 98, ex 6403 99 11, ex 6403 99 31, ex 6403 99 33, ex 6403 99 36, ex 6403 99 38, ex 6403 99 91, ex 6403 99 93, ex 6403 99 96, ex 6403 99 98 e ex 6405 10 00).

per “pantofole ed altre calzature da camera” si intendono calzature classificate al seguente codice NC: ex 6405 10 10.

3. Le aliquote del dazio antidumping definitivo, applicabili al prezzo netto franco frontiera comunitaria, dazio non corrisposto, dei prodotti descritti al paragrafo 1 e fabbricati dalle società sotto elencate, sono le seguenti:

Paese | Impresa | Dazio antidumping | Codice addizionale TARIC |

RPC | Golden Step | 9,7 % | A775 |

Tutte le altre imprese | 16,5% | A999 |

Vietnam | Tutte le imprese | 10% | - |

4. Salvo diversa disposizione, si applicano le norme vigenti in materia di dazi doganali.

Articolo 2

Gli importi depositati a titolo di dazi antidumping provvisori conformemente al regolamento (CE) n. 553/2006 della Commission del 27 marzo 2006, sono percepiti definitivamente al tasso del dazio definitivo introdotto dal presente regolamento. Gli importi depositati sono svincolati nella parte eccedente l’aliquota del dazio antidumping definitivo.

Articolo 3

Il presente regolamento è obbligatorio in tutti i suoi elementi e direttamente applicabile in ciascuno degli Stati membri.

Fatto a Bruxelles, il […]

Per il Consiglio

Il Presidente

[1] GU C 166 del 7.7.2005, pag. 14.

[2] GU L 56 del 6.3.1996, pag. 1.

[3] GU L 340 del 23.12.2005, pag. 17.

[4] GU L 98 del 6.4.2006, pag. 3.

[5] La resistenza all’impatto è misurata conformemente alle norme europee EN345 o EN346.

[6] GU L 289 dell’1.11.1997, pag. 1.

[7] GU L 240 del 16.9.2005, pag. 1.

[8] GU L 60 del 28.2.1998, considerando da 124 a 134.

[9] Regolamento (CEE) n. 2454/93 della Commissione, del 2 luglio 1993, che fissa talune disposizioni d’applicazione del regolamento (CEE) n. 2913/92 del Consiglio che istituisce il codice doganale comunitario, GU L 253 dell'11.10.1993, pag. 1. Regolamento modificato da ultimo dal regolamento (CE) n. 2286/2003 (GU L 343 del 31.12.2003, pag. 1).

[10] Come definiti dal regolamento (CE) n. 1719/2005 della Commissione, del 27 ottobre 2005, che modifica l’allegato I del regolamento (CEE) n. 2658/87 del Consiglio relativo alla nomenclatura tariffaria e statistica ed alla tariffa doganale comune (GU L 286 del 28.10.2005, pag. 1). Il prodotto interessato è determinato combinando la descrizione del prodotto di cui all’articolo 1, paragrafo 1, e la corrispondente designazione del prodotto dei codici NC.

[11] GU L 286 dell’28.10.2005, pag. 11.

[12] La resistenza all’impatto è misurata conformemente alle norme europee EN345 o EN346.