18.8.2006 |
IT |
Gazzetta ufficiale dell'Unione europea |
C 195/48 |
Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Flessicurezza: il caso della Danimarca
(2006/C 195/12)
Il Comitato economico e sociale europeo, in data 14 luglio 2005, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere sul tema Flessicurezza: il caso della Danimarca.
La sezione specializzata Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 28 aprile 2006, sulla base del progetto predisposto dalla relatrice Anita VIUM.
Il Comitato economico e sociale europeo, in data 17 maggio 2006, nel corso della 427a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 98 voti favorevoli, 1 voto contrario e 1 astensione.
1. Conclusioni e raccomandazioni
1.1 |
La versione danese della flessicurezza sembra essere un esempio di come sia possibile conseguire il triplice risultato della crescita economica, dell'occupazione elevata e della sostenibilità delle finanze pubbliche senza stravolgere gli equilibri sociali. Si tratta di un approccio in linea con il processo di Lisbona, inteso a garantire contemporaneamente una crescita, un'elevata occupazione e un benessere sociale sostenibili. |
1.2 |
La flessicurezza danese, che, grazie a efficienti meccanismi di sicurezza sociale e ad un'attiva politica in materia di occupazione e di formazione, consente di realizzare un mercato del lavoro mobile, sembra contribuire positivamente alla competitività del paese. Insieme ad altre caratteristiche tipiche della società danese, la flessicurezza ha dato al mercato del lavoro danese una forza ed una flessibilità tali da mettere il paese nelle condizioni ottimali per affrontare le sfide del futuro. L'elevato tasso di occupazione, le generose indennità di disoccupazione e il diffuso ottimismo dimostrano che i datori di lavoro e i lavoratori, di comune accordo, sono disposti ad accettare l'insicurezza e gli svantaggi del sistema, grazie alla contropartita di cui beneficiano. |
1.3 |
La chiave per comprendere la flessicurezza danese è l'accettazione del fatto che flessibilità e sicurezza non sono necessariamente contrapposte. I datori di lavoro possono desiderare relazioni di lavoro stabili e sicure, e nel contempo i lavoratori possono desiderare un maggiore grado di flessibilità in materia di orari, organizzazione e sistemi di remunerazione. |
1.4 |
Nel quadro della globalizzazione e della delocalizzazione dei posti di lavoro la flessicurezza offre inoltre ai cittadini un elevato grado di sicurezza economica e sociale, grazie ai nuovi paradigmi «sicurezza dell'occupazione» piuttosto che «sicurezza del posto di lavoro» e «essere disponibili al cambiamento per avere nuove opportunità personali» piuttosto che «assumersi il rischio minimo». Certamente il rischio di perdere il posto di lavoro esiste; ma, a breve termine, la rete di sicurezza sociale garantisce mezzi di sussistenza per tutti e, a più lungo termine, le misure positive intraprese sul mercato del lavoro, insieme all'elevato tasso occupazionale, accrescono le probabilità di trovare una nuova occupazione. |
1.5 |
Per il singolo lavoratore ciò significa che non esiste una grande sicurezza dell'occupazione, e che nel corso della vita professionale è possibile perdere il lavoro più volte. Nonostante questo, grazie alle garanzie insite nella flessicurezza, che si concretizza, da un lato, in sussidi di disoccupazione elevati, finanziati da fondi pubblici e dallo sforzo contributivo di tutti i cittadini e, dall'altro, nella sicurezza dell'occupazione, i cittadini danesi si sentono generalmente sicuri e soddisfatti (cfr. allegato 2). |
1.6 |
Considerando la flessicurezza danese nel contesto europeo, è evidentemente impossibile copiare il sistema nella sua totalità, viste le differenze culturali, strutturali ed economiche. È tuttavia possibile mutuare alcune delle sue caratteristiche generali e adottarle come strategia politica in altri Stati membri, soprattutto in quelli dove l'acquis sociale, inteso come insieme di norme, reti e fiducia tra i cittadini e tra le organizzazioni, si è sviluppato, a livello nazionale, in maniera analoga a quanto è accaduto in Danimarca, secondo tradizioni di cooperazione tra il governo e le parti sociali e di disponibilità al cambiamento da parte dei cittadini. La flessibilità geografica, tuttavia, può comportare anche problemi molto seri per le famiglie, le coppie e la carriera scolastica e di formazione dei giovani, soprattutto nei paesi molto grandi e in quelli a struttura federale. |
1.7 |
In termini generali, il concetto di flessicurezza si fonda sull'idea che un mix di flessibilità e di sicurezza per i lavoratori dipendenti può essere contemporaneamente fonte di sicurezza sociale e di competitività. La versione danese della flessicurezza crea, da un lato, la sicurezza — grazie a generose indennità di disoccupazione (e a trasferimenti di redditi che possono coprire altre necessità sociali) — e, dall'altra, la flessibilità, grazie a norme liberali in materia di licenziamenti che, ad esempio, prevedono preavvisi molto brevi. La sicurezza sociale e la grande mobilità sono associati ad una attiva politica del mercato del lavoro, grazie alla quale i disoccupati sono realmente pronti ad entrare sul mercato del lavoro, e possono migliorare le proprie chances lavorative ricevendo una formazione adeguata. Ciò significa che l'aspetto più importante della politica occupazionale danese, che prevede contemporaneamente incentivi e sanzioni (ad esempio con il ricollocamento obbligatorio in attività), consiste proprio nell'offerta di formazione di qualità, intesa a migliorare le qualifiche professionali. Una politica occupazionale attiva è lo strumento necessario per garantire l'efficienza del mercato del lavoro, pur mantenendo indennità di disoccupazione così elevate. |
1.8 |
La versione danese della flessicurezza, tuttavia, è inscindibile dal concetto di welfare state e da un solido sistema organizzativo. Il funzionamento del mercato del lavoro danese è condizionato da una serie di altri fattori sociali, quali, ad esempio, il ruolo centrale delle parti sociali nelle decisioni politiche e nell'attuazione della politica occupazionale e di formazione; il sistema di sicurezza sociale — in grandissima parte finanziato dallo Stato -, il livello di competenze dei cittadini e il mix di politiche macroeconomiche applicato nel corso dell'ultimo decennio. |
1.9 |
Nella messa a punto del modello danese un ruolo centrale è stato svolto dalle parti sociali: esse, infatti, sono state protagoniste sia del processo decisionale che dell'attuazione, tra l'altro, della politica di formazione e delle riforme strutturali del mercato del lavoro. In diversi settori, quali ad esempio l'introduzione di regimi pensionistici, a carattere privatistico, legati al mercato del lavoro, l'evoluzione si fonda proprio sugli accordi tra le parti sociali. Il fatto che le parti sociali abbiano un ruolo così forte è dovuto in parte all'evoluzione storica, e in parte alla loro solida organizzazione interna. Questo ruolo dominante delle parti sociali ha permesso di trovare soluzioni creative e di far sì che esse venissero per la maggior parte accettate. Il fatto che le parti sociali ed altri attori della società civile siano molto influenti, tuttavia, presuppone che tutti siano favorevolmente disposti al cambiamento, desiderosi di cooperare e disposti a vedere la realtà da angolazioni diverse, più attente all'interesse generale. Un ruolo più partecipativo e influente delle parti sociali può pertanto rappresentare un vantaggio per la competitività della società e la sua capacità d'adattamento. In questi processi è particolarmente importante anche l'azione di sostegno e la critica costruttiva da parte di altre organizzazioni della società civile, quali ad esempio le associazioni, gli organismi di formazione, ecc. |
1.10 |
Un livello elevato di aiuti ai disoccupati presuppone un livello elevato di competenze professionali: in caso contrario, si rischierebbe infatti di trovarsi in una situazione nella quale molte persone non riescono a trovare un lavoro la cui remunerazione sia superiore alle indennità di disoccupazione. Un elevato livello di competenze ed un atteggiamento positivo nei confronti del cambiamento (anche fra le persone meno dotate di un'istruzione di tipo «formale») contribuiscono in misura decisiva a spiegare il successo del sistema danese di flessicurezza. |
1.11 |
Nel corso della seconda metà degli anni '90, periodo nel quale la Danimarca ha conosciuto importanti riforme strutturali, il rafforzamento della regolamentazione del mercato del lavoro è stato parallelo allo sviluppo di una politica economica d'espansione, che ha fatto aumentare la crescita e l'occupazione. Oltre alla sicurezza del reddito, garantita dal livello degli aiuti ai disoccupati, la Danimarca cerca di dare ai suoi cittadini la sicurezza dell'occupazione. Non si può mai essere certi di mantenere la propria occupazione, ma, grazie all'assistenza delle pubbliche amministrazioni, esistono forti possibilità di trovarne una nuova. Quando le riforme strutturali si realizzano in un ambiente di ottimismo e di crescita favorevole all'occupazione, è inoltre più facile attuarle e ottenere l'adesione necessaria. Il sistema danese di flessicurezza si fonda su un mix di politiche macroeconomiche che favorisce la crescita e l'occupazione. |
1.12 |
Il modello danese di flessicurezza è in costante discussione ed evoluzione. Questo modello comporta allo stesso tempo vantaggi ed inconvenienti e, benché la flessibilità, la sicurezza e la politica attiva del mercato del lavoro costituiscano indubbiamente un insieme inscindibile, si discute sempre su come trovare il corretto equilibrio tra queste componenti. |
1.12.1 |
L'elevato livello degli introiti fiscali costituisce il fondamento del sistema danese di flessicurezza e di altri meccanismi, importanti ai fini del funzionamento del mercato del lavoro. Nel 2003 alla politica occupazionale è stata destinata una quota della spesa pubblica pari al 4,4 % del PIL, cosa che in Europa costituisce un record (1). La forte pressione fiscale, pari al 49 % circa del PIL, se da un lato è accettata di buon grado dalla popolazione danese, dall'altro è oggetto di un acceso dibattito: pertanto, si suppone che un giorno l'imposizione fiscale sul lavoro conoscerà una diminuzione. Tale forte pressione fiscale, peraltro, si spiega in parte con l'elevato tasso di occupazione, che apporta un contributo positivo alle finanze pubbliche. Una crescita dell'occupazione comporterà pertanto l'ulteriore aumento del gettito fiscale. |
1.13 |
L'importanza del modello danese di flessicurezza per l'Unione europea sta nella disponibilità, insita in questo approccio, ad adattarsi a nuove realtà in maniera proattiva, applicando un nuovo paradigma socioeconomico equilibrato e negoziato con attenzione tra le parti interessate, nel pieno rispetto dei valori di base del modello sociale europeo. |
2. La competitività del sistema danese
2.1 |
La Danimarca è in crescita stabile e le sue finanze pubbliche sono in buono stato. Tra il 2000 ed il 2005, la crescita media è stata pari all'1,7 %, il tasso di occupazione medio al 77,5 % e il surplus del bilancio dello Stato all'1,4 % del PIL. Nel 2004 il debito pubblico globale era pari al 42,7 % del PIL e il surplus del bilancio dello Stato al 2,8 % del PIL. Il surplus delle finanze pubbliche è dovuto in primo luogo all'elevatissimo tasso di occupazione che, attraverso le imposte sul reddito, genera ingenti introiti fiscali. |
2.2 |
Il livello di rotazione (turnover) sul mercato del lavoro è molto elevato: nell'arco di un anno scompare oltre il 10 % dei posti di lavoro, e ne viene creato un numero quasi equivalente. Circa il 30 % dei lavoratori dipendenti cambia lavoro ogni anno, e la Danimarca occupa la seconda posizione fra i paesi con la più bassa anzianità media dei lavoratori, immediatamente dopo il Regno Unito. Questa situazione deve essere vista alla luce delle regolamentazioni vigenti ed in funzione della struttura del settore privato danese, caratterizzato dal gran numero di piccole e medie imprese. |
2.3 |
Gli effetti, da una parte, del mix di politiche macroeconomiche e, dall'altra parte, delle riforme strutturali intraprese dalla Danimarca soprattutto sul mercato del lavoro possono essere rappresentati con la curva di Phillips, che raffigura la relazione tra la disoccupazione e il ritmo di aumento dei salari. La curva relativa alla Danimarca è riportata nell'Allegato 1. Dal 1993 si è riusciti a ridurre drasticamente la disoccupazione, senza aumentare l'inflazione salariale: per questo periodo si constata infatti un'inversione abbastanza marcata della curva di Phillips. Le misure adottate in materia di occupazione e di formazione fanno da contrappeso ai problemi di adattamento e agli ostacoli che potrebbero altrimenti provocare aumenti dei salari e dei prezzi. |
2.4 |
Come è facile prevedere, la Danimarca si situa ai primi posti negli studi sull'attrattività dei vari paesi per gli investitori. Nello studio svolto dalla Economic Intelligence Unit nel marzo 2005 la Danimarca risultava addirittura al primo posto. L'Allegato 2 indica la posizione della Danimarca rispetto al resto dei paesi dell'Unione europea, in funzione di diversi parametri. |
3. Il modello danese di flessicurezza
3.1 |
Il concetto di flessicurezza ha acquisito una grande popolarità negli ultimi anni. Il senso di questa nozione, tuttavia, non è sempre chiaro, e la sua interpretazione varia da un paese all'altro. |
3.2 |
L'organizzazione danese del mercato del lavoro viene descritta come «il triangolo d'oro» tra norme d'assunzione flessibili (che conducono ad una grande flessibilità numerica), un sistema di sussidi generoso (sicurezza sociale) e interventi efficaci in materia di accesso al mercato del lavoro e di formazione, che inducono i disoccupati a cercare attivamente lavoro e danno loro la formazione necessaria per reinserirsi sul mercato. |
3.2.1 |
Il sistema danese di flessicurezza contribuisce a fare in modo che gli impieghi creati siano di qualità e soddisfacenti. L'elevato livello di sussidi di disoccupazione comporta un elevato livello del «salario di riserva» (ossia del salario minimo richiesto per accettare un'occupazione): ciò significa che i danesi guadagnano abbastanza per vivere. Per questo motivo, almeno sul mercato del lavoro ufficiale, il fenomeno dei «lavoratori poveri» è raro e poco rilevante, anche tra i danesi di diversa origine etnica. |
3.3 |
Riportiamo un'illustrazione del triangolo d'oro. L'Allegato 3 descrive brevemente il sistema danese di sussidi e la politica attiva del mercato del lavoro. Gli assi della flessicurezza danese:
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3.4 |
La flessibilità del mercato occupazionale danese è tuttavia caratterizzata da molteplici dimensioni. Essa è resa possibile non solo da norme liberali in materia di licenziamento, ma anche dalla flessibilità degli orari di lavoro, dato che gli accordi consentono sia di calcolare le ore di lavoro sull'intero anno, e sia di praticare il lavoro ripartito (job-sharing) su periodi brevi. Il fatto che, in linea con i contratti collettivi, la fissazione del salario finale avvenga sempre più frequentemente al livello delle imprese, comporta un certo grado di flessibilità salariale. La flessibilità proviene anche dall'ampiezza del ventaglio di competenze della manodopera: ciò significa che le persone sono autonome, favorevolmente disposte al cambiamento e responsabili e, quindi, anche in grado di convertirsi rapidamente ad un nuovo tipo di produzione o di occupazione. |
3.5 |
La sicurezza che caratterizza il mercato occupazionale danese non deriva esclusivamente dal livello relativamente elevato dei sussidi di disoccupazione, ma anche del fatto che il tasso elevato di occupazione e di rotazione sul mercato del lavoro offre una certa sicurezza dell'occupazione. Questa sicurezza è completata dall'ampia gamma di attività di perfezionamento e di formazione permanente, gestite e amministrate congiuntamente dai pubblici poteri e dalle parti sociali. Inoltre, la società danese, attraverso interessanti opportunità in materia di congedi di maternità e assistenza ai bambini, offre alle famiglie delle garanzie per poter conciliare la vita familiare e la vita professionale. |
3.6 |
La chiave per comprendere la flessicurezza danese è l'accettazione del fatto che flessibilità e sicurezza non sono necessariamente contrapposte. Tradizionalmente, i datori di lavoro desiderano un maggiore grado di flessibilità sul mercato del lavoro, che è inconciliabile con le aspirazioni dei lavoratori in materia di sicurezza dell'occupazione e di indennità elevate in caso di disoccupazione e di malattia. |
3.7 |
Il concetto di flessicurezza segna la rottura con questa idea di contrapposizione. I datori di lavoro possono essere interessati a creare rapporti di lavoro stabili e sicuri e ad avere collaboratori motivati. Analogamente, i lavoratori possono essere interessati a beneficiare della flessibilità degli orari, dell'organizzazione del lavoro e dei sistemi retributivi. Nuovi mercati dell'occupazione così concepiti possono quindi dar vita a nuove forme di interazione tra flessibilità e sicurezza. |
3.8 |
Sul mercato del lavoro, il sistema danese della flessicurezza unisce il dinamismo di un'economia di mercato liberale alla sicurezza sociale del welfare state scandinavo, passando attraverso il servizio pubblico universale e la riduzione dei divari salariali. In una prospettiva più ampia, questo è il risultato di una decisione politica, quella cioè di offrire opportunità professionali a tutti i cittadini e di ridistribuire le risorse tramite il bilancio pubblico e gli interventi dello Stato. A loro volta, il forte livellamento dei redditi e la diminuzione delle tensioni sociali contribuiscono alla coesione sociale e danno ai lavoratori la sicurezza necessaria per potersi riconvertire e sostenere la flessibilità. |
4. Il ruolo delle parti sociali
4.1 |
Le parti sociali occupano da sempre una posizione centrale nelle decisioni in materia di politica del mercato del lavoro e della formazione. Trovandosi nella posizione ideale per valutare i bisogni e per introdurre gli adattamenti necessari a soddisfarli, le parti sociali hanno favorito l'emergere di soluzioni creative ed equilibrate ai problemi legati al mercato ed all'innovazione, e hanno contribuito a preparare il paese ad affrontare i cambiamenti e gli sviluppi conseguenti alla globalizzazione. Uno stretto dialogo tra gli attori sociali consente inoltre di accumulare nel tempo un capitale sociale che si concretizza in un atteggiamento di fiducia, responsabilità e comprensione reciproca. |
4.2 |
Le radici storiche della situazione attuale risalgono a oltre 100 anni fa. Il modello tipico della regolamentazione del mercato del lavoro in Danimarca risale al cosiddetto compromesso di settembre, concluso nel 1899 tra le organizzazioni nazionali sorte poco prima, cioè la Confederazione dei sindacati danesi (LO, Landsorganisationen) e la Confederazione dei datori di lavoro (DA, Dansk Arbejdsgiverforening). Questo accordo è stato il primo contratto collettivo a livello mondiale, e da allora è stato un punto di riferimento per la conclusione di convenzioni collettive e per l'interazione tra le parti sociali. |
4.2.1 |
I datori di lavoro hanno accettato la confederazione dei sindacati come partner legittimo dei negoziati e, per parte loro, i lavoratori hanno riconosciuto ai datori di lavoro il diritto di assumere e licenziare lavoratori, riconoscendo quindi la libertà d'azione della dirigenza. Questa disposizione, di importanza fondamentale, ha contribuito a creare la concezione liberale dei danesi in materia di licenziamenti. Un altro elemento importante del compromesso di settembre è stato l'impegno a mantenere una situazione non conflittuale per tutta la durata del contratto collettivo. La regolamentazione volontaria del mercato del lavoro e la risoluzione dei conflitti da parte delle stesse parti sociali sono stati i pilastri del sistema fino al 2003: nel momento in cui l'Unione europea ha rifiutato di riconoscere il diritto sovrano delle parti sociali ad attuare le direttive, in Danimarca si è resa necessaria una legislazione integrativa. L'Allegato 4 presenta in modo più dettagliato l'evoluzione storica del ruolo delle parti sociali e la progressiva affermazione del modello danese. |
4.3 |
Dopo molti anni caratterizzati da un'inflazione elevata, ma anche da un'evoluzione molto irregolare degli aumenti reali dei salari, a partire dagli anni 1987/1988, le parti sociali hanno riconosciuto che i contratti collettivi dovevano tener conto anche di considerazioni socioeconomiche generali. Esiste ovviamente la possibilità che i datori di lavoro, i lavoratori ed il governo non siano d'accordo; la cultura danese, però, è soprattutto una cultura di dialogo e di consenso, che deve essere considerata parte integrante del capitale sociale. Il fatto che la gerarchia sia poco importante a tutti i livelli della società contribuisce a mantenere questa cultura del consenso. |
4.4 |
Sul piano politico, fin dagli anni '60 la Danimarca ha sviluppato un sistema pubblico completo di formazione professionale (perfezionamento e formazione permanente), rivolto sia ai lavoratori che ai disoccupati, che ha favorito la capacità di cambiamento di tutta la forza lavoro. Durante tutto il XX secolo le parti sociali hanno coperto, e ancora coprono, una posizione importante nelle strutture pubbliche preposte alle decisioni ed alla loro attuazione, ed il loro ruolo si è ulteriormente rafforzato a partire dagli anni 1993/1994, contrariamente a ciò che è avvenuto nella maggior parte degli altri paesi europei. |
4.5 |
Riguardo al contenuto, la politica del mercato del lavoro è passata da un approccio normativo ad un approccio modulato sulle necessità individuali, che prevede interventi su misura. Le parti sociali, insieme ai comuni, hanno assunto un ruolo chiave nei 14 consigli provinciali dell'occupazione, che sono dotati di competenze e di risorse pubbliche tali da consentire loro di mettere al primo posto gli interventi contro la disoccupazione e la politica occupazionale a livello locale. |
4.6 |
In questo modo, nel corso degli anni, le parti sociali si sono formate una coscienza collettiva globale, assumendosi le proprie responsabilità sul piano sociale e, nel contempo, i pubblici poteri hanno imparato a valorizzare le proprie risorse e la propria influenza. Le parti sociali conoscono più di chiunque altro il mercato del lavoro, e sono quindi in grado di individuare i bisogni rapidamente e in modo affidabile. Essendo organizzazioni d'interessi i cui metodi di lavoro sono improntati al consenso, le parti sociali apportano alle amministrazioni pubbliche risorse a costo zero, nel senso che, attraverso dibattiti e consultazioni, trovano soluzioni innovative a problemi comuni. Le organizzazioni svolgono inoltre un ruolo decisivo per l'adozione e l'attuazione delle politiche e, soprattutto, per farle accettare. È per questo motivo che nell'applicazione dei dispositivi di flessicurezza i pubblici poteri dipendono dalla cooperazione delle parti sociali. |
5. Il giusto mix delle politiche
5.1 |
Per comprendere appieno il sistema danese di flessicurezza, occorre considerare il contesto sociale nel quale esso si inscrive. Sull'efficienza del mercato del lavoro, inoltre, influiscono sia la politica economica che il settore pubblico: è proprio l'interazione tra questi due elementi (cfr. Allegato 7) che dà corpo al cosiddetto «modello danese». |
5.2 |
Nella seconda metà degli anni '80 e nella prima metà degli anni '90, l'economia danese ha attraversato un momento di crisi. Così, dal 1987 al 1993 la crescita media era pari allo 0,8 % annuo, e nello stesso periodo il tasso di disoccupazione è passato dal 5 % del 1987 al 9,6 % del 1993. Questa crisi era, tra l'altro, imputabile alle manovre economiche adottate per colmare i gravi deficit pubblici degli anni precedenti. |
5.3 |
A partire dal 1993 la politica del mercato del lavoro è diventata più attiva e, nel contempo, l'economia ha beneficiato di tassi d'interesse modesti e di una politica economica espansiva. All'inizio del periodo di crescita, cioè alla metà degli anni '90, il deficit pubblico era tale che, se fossero esistite le regole del patto di stabilità e crescita, la Danimarca le avrebbe violate. In quel periodo, inoltre, sono state modificate le regole sui finanziamenti immobiliari (prolungando la durata dei prestiti e prevedendo la possibilità di rifinanziamento), in modo da aumentare le disponibilità finanziarie dei cittadini. La forte crescita economica, il calo della disoccupazione e la ventata di ottimismo hanno fatto sì che la popolazione accettasse più facilmente l'inasprimento delle norme che disciplinano il mercato del lavoro. |
5.4 |
La spesa pubblica supplementare è servita, tra l'altro, a finanziare un massiccio intervento inteso a garantire l'assistenza all'infanzia, in modo da rendere disponibili sul mercato del lavoro le madri di bambini in età prescolare. |
5.5 |
Questa grande attenzione alla politica occupazionale ha comportato anche un maggiore impegno a favore della formazione e del perfezionamento: lo Stato ha effettuato massicci investimenti affinché tutti, lavoratori e disoccupati, avessero accesso al perfezionamento. Ciò si è tradotto nel finanziamento di azioni di formazione, oppure nella parziale compensazione delle perdite di salario. Nel contempo è stata aumentata a tutti i livelli la disponibilità di posti di formazione destinati ai giovani. |
5.6 |
In genere si deve riconoscere che il sistema danese, basato sull'erogazione di sussidi di disoccupazione molto elevati, e dunque su un salario di riserva elevato, esige una forza lavoro qualificata e produttiva. Se infatti vi fosse un gran numero di lavoratori poco qualificati, dunque non in grado di aspirare ad una retribuzione superiore al loro sussidio di disoccupazione, si verificherebbe un eccessivo aumento del tasso di disoccupazione. |
5.7 |
La strategia economica applicata con successo a partire dagli anni '90 era imperniata sugli investimenti, e consisteva nel creare crescita attraverso profonde riforme e investimenti nella formazione e nei servizi pubblici. La fiducia nel futuro e la forte sicurezza del reddito favoriscono il desiderio di consumo e garantiscono un livello elevato di domanda interna. |
5.8 |
L'attuale strategia economica è stata una reazione alla crisi economica che ha colpito la Danimarca a partire dal 1987, quando il governo riduceva i disavanzi delle finanze pubbliche e della bilancia dei pagamenti introducendo tagli e restrizioni. La strategia di risparmio ha effettivamente risolto i problemi di bilancio, ma ha avuto come risultato una crescita debole ed un tasso di disoccupazione sempre più elevato. La strategia attuale sembra salvaguardare la crescita e l'occupazione, nonché garantire l'equilibrio delle finanze pubbliche e della bilancia dei pagamenti: per ritrovare in Danimarca una situazione altrettanto favorevole, bisogna risalire al periodo precedente la crisi petrolifera degli anni '70. |
6. Le sfide del presente
6.1 |
Benché in questi ultimi anni il modello danese di flessicurezza abbia dato buoni risultati, esso deve ovviamente far fronte a diverse sfide. |
6.2 |
La globalizzazione e lo sviluppo tecnologico fanno pressione sul mercato danese del lavoro. A risentirne sono soprattutto le persone non qualificate, esposte alla concorrenza dei paesi a basso livello salariale e all'automazione dei processi produttivi. |
6.2.1 |
Finora la Danimarca ha resistito a questa pressione riducendo il numero dei lavoratori non qualificati presenti sul mercato del lavoro: la percentuale di lavoratori non qualificati è infatti maggiore tra i lavoratori più anziani, quelli cioè in uscita dal mercato, piuttosto che tra i più giovani, che sono invece in entrata. Attualmente, tuttavia, numerosi giovani non ricevono una formazione che offra loro qualifiche sufficienti, e ciò potrebbe, nel lungo termine, minare il sistema danese di flessicurezza: se l'offerta di manodopera qualificata non è adeguata alla domanda, la spesa pubblica destinata ai sussidi di disoccupazione e ad altri trasferimenti di reddito rischia infatti di diventare insostenibile. |
6.2.2 |
In Danimarca diverse imprese chiudono e delocalizzano la produzione, completamente o in parte, verso paesi caratterizzati da livelli salariali più bassi: si tratta di un fenomeno problematico soprattutto per le aree periferiche, molto sensibili alla chiusura delle singole imprese. Il mercato danese, strutturalmente dominato da piccole e medie imprese, è tuttavia considerato come un'entità dinamica: anziché cercare di mantenere i posti di lavoro, ci si adopera, a livello politico ed in cooperazione con le parti sociali, per creare nuovi posti di lavoro, più competitivi. |
6.3 |
La rapida rotazione che caratterizza il mercato del lavoro fa sì che i datori di lavoro, non sapendo per quanto tempo potranno mantenere il proprio personale, siano meno propensi a finanziare azioni di perfezionamento. Il problema riguarda soprattutto il personale non qualificato, dato che i datori di lavoro sono più disponibili a investire per mantenere la manodopera specializzata, difficilmente reperibile, e per garantirle una formazione continua, e dato che il personale non qualificato non è sempre motivato a partecipare ad azioni di formazione continua. È per questo motivo che lo Stato, con il contributo obbligatorio dei datori di lavoro, finanzia un vasto sistema di formazione e di perfezionamento destinato sia ai lavoratori qualificati che a quelli non qualificati: una manodopera con livelli di qualificazione adeguati è infatti essenziale per il corretto funzionamento del sistema danese di flessicurezza, ed una vasta azione di riqualificazione professionale è politicamente auspicabile. |
6.4 |
Per molti immigrati è difficile inserirsi sul mercato del lavoro danese, e ciò costituisce un ulteriore limite all'integrazione. I problemi incontrati sul mercato del lavoro sono dovuti, tra l'altro, al fatto che alcune categorie di immigrati ed i loro discendenti non possiedono competenze commisurate al livello dei sussidi e dei salari in Danimarca. Gli immigrati e i loro discendenti hanno dunque un livello di formazione inferiore a quello dei danesi e, in media, rispetto al resto della popolazione, essi partecipano di meno al mercato del lavoro e presentano un tasso di disoccupazione più alto. I problemi incontrati possono essere di natura linguistica o sociale, oppure dovuti alla mancanza di formazione. |
6.4.1 |
La spiegazione risiede forse, almeno in parte, nelle differenze culturali ed in abitudini profondamente radicate. L'esperienza dimostra che per queste categorie il tasso di disoccupazione è più fluttuante che per altre. Quando la disoccupazione è in calo, i datori di lavoro sono più propensi a provare formule nuove e ad assumere lavoratori di origine etnica diversa. Un contesto caratterizzato da un tasso elevato di occupazione e da una bassa percentuale di disoccupazione può, di per sé, offrire agli immigrati ed ai loro discendenti un accesso più facile al mercato del lavoro, senza tuttavia risolvere il problema dell'integrazione nel suo insieme. L'evoluzione demografica induce a pensare che negli anni futuri il mercato occupazionale danese dovrebbe aprirsi maggiormente agli immigrati. |
6.5 |
Il modello danese di benessere si basa su un elevato livello di occupazione femminile, sia per garantire i servizi pubblici necessari sia per mantenere elevato il gettito fiscale. Tale situazione, pur comportando una maggiore indipendenza finanziaria per le donne, implica la necessità di conciliare la vita familiare e la vita professionale. Rispetto a molti paesi europei, la Danimarca è molto avanzata in questo settore: rimane tuttavia molta strada da percorrere, tra l'altro per garantire le pari opportunità in materia di carriera. |
6.6 |
Il sistema danese è molto oneroso per lo Stato, che finanzia gran parte delle indennità di disoccupazione. Nel 2003 la spesa per gli interventi di politica passiva del mercato del lavoro era pari al 2,7 % del PIL, un record nell'Unione europea. In futuro il sistema di finanziamento del welfare state danese si troverà a dover affrontare diversi banchi di prova. Per mantenere il finanziamento del sistema sociale senza aumentare la pressione fiscale sarà necessario accrescere il tasso di occupazione di tutte le persone in età lavorativa. |
6.6.1 |
In Danimarca la pressione fiscale è pari a circa il 49 % del PIL, ed è quindi tra le più elevate dell'Unione europea, dove la media si attesta intorno al 40 %. Particolarmente pesante è soprattutto la tassazione dei consumi, mentre l'imposizione sul reddito non occupa il primo posto. L'imposta sul reddito è elevata e molto progressiva, ma, in genere, non vi sono contributi sociali a carico dei datori di lavoro. Il sistema fiscale danese è descritto in maniera più dettagliata nell'Allegato 5. È possibile che in futuro la globalizzazione comporti la diminuzione di alcune componenti del gettito fiscale. |
6.6.2 |
Lo sviluppo demografico comporta un aumento degli anziani e una diminuzione della popolazione attiva. Ciò è dovuto all'esiguità numerica delle giovani generazioni, alla forza numerica delle generazioni del dopoguerra e all'aumento della speranza di vita media. Nel dibattito sulle possibili riforme del welfare state rientra anche la politica occupazionale e, quindi, i sussidi di disoccupazione. Il sistema pensionistico comunque è, almeno in parte, preparato a questi cambiamenti (cfr. Allegato 6). Potrebbe verificarsi una carenza di manodopera e, dato che la riserva costituita dalle donne è già in gran parte utilizzata, sarà necessario trovare altri strumenti per fare aumentare l'occupazione. Questi mezzi potrebbero essere ad esempio l'aumento dell'età pensionabile o l'aumento dei permessi di immigrazione per chi possiede le competenze richieste. |
6.7 |
Circa un quarto della popolazione in età attiva non svolge un'attività lavorativa e beneficia, in varie forme, di sussidi statali (disoccupazione, collocamento in attività, pensione anticipata, congedi di maternità, studi, ecc.). Quasi la metà di queste persone si è ritirata definitivamente dal mercato del lavoro per stanchezza, disoccupazione o scelta, mentre l'altra metà si trova fuori dal mercato dell'occupazione solo temporaneamente. I sussidi pubblici di cui beneficiano queste persone, oltre ad essere uno dei pilastri del welfare state, rappresentano una sfida per il futuro finanziamento della società del benessere. Per poter garantire il finanziamento della società del benessere nel lungo termine, sarà necessario ridurre la percentuale della popolazione che esce prematuramente dal mercato del lavoro. |
6.8 |
La politica del mercato del lavoro viene regolamentata sempre più in funzione delle disposizioni e delle pratiche dell'Unione europea. In Danimarca il mercato del lavoro è sempre stato disciplinato tramite convenzioni tra le parti sociali, e non per via legislativa. Se la regolamentazione comunitaria diventasse eccessivamente dettagliata, si rischierebbe di compromettere la disponibilità dei cittadini al cambiamento, e di lasciare evolvere la situazione in una direzione diversa rispetto a quella auspicata dalle parti sociali. Grazie al metodo UE di coordinamento aperto, sembra che si sia trovato il modo di sincronizzare la politica europea dell'occupazione con quella del mercato del lavoro, consentendo tuttavia alle tradizioni danesi di continuare a consolidarsi. |
Bruxelles, 17 maggio 2006
La Presidente
del Comitato economico e sociale europeo
Anne-Marie SIGMUND
(1) Cfr. OECD, Employment Outlook (Perspectives de l'Emploi de l'OCDE) 2005, tabella H.