31.1.2006   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 24/79


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di dichiarazione congiunta del Consiglio, del Parlamento europeo e della Commissione La politica di sviluppo dell'Unione europea «Il consenso europeo»

(COM(2005) 311 def.)

(2006/C 24/16)

La Commissione, in data 29 luglio 2005, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Relazioni esterne, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 8 settembre 2005, sulla base del progetto predisposto dal relatore ZUFIAUR.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 29 settembre 2005, nel corso della 420a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 84 voti favorevoli, 5 voti contrari e 6 astensioni.

1.   Introduzione

1.1

L'iniziativa della Commissione e del Consiglio di rivedere la dichiarazione del 2000 sulla politica di sviluppo e, più in generale, di ridefinire il futuro di detta politica è molto importante da tutti i punti di vista. I cambiamenti sulla scena mondiale, le nuove posizioni e i consensi emersi nei confronti della politica di sviluppo in seno alla comunità internazionale e le stesse trasformazioni all'interno dell'Unione consigliano tale revisione. Al tempo stesso, l'aggravarsi dei problemi del sottosviluppo, specialmente in Africa, e l'aumento delle disparità tra i vari paesi che vengono generate nel contesto della globalizzazione, rendono necessario un riesame della politica comunitaria di sviluppo.

1.2

Tra i cambiamenti internazionali che hanno in un modo o nell'altro influenzato le politiche di sviluppo si possono citare: l'interesse crescente per le questioni di sicurezza dopo l'11 settembre; l'esito della riunione tenuta dall'OMC a Doha nel 2001 e il processo che ne è seguito (la cosiddetta Agenda del ciclo di sviluppo); il recente consenso internazionale raggiunto nel Vertice del Millennio ed emerso, tra l'altro, nelle conferenze di Monterrey, Johannesburg, il Cairo, nei confronti dello sviluppo e in particolare su temi quali il finanziamento, l'ambiente, la parità tra i sessi o l'HIV/AIDS; il processo di armonizzazione delle politiche di sviluppo dei paesi donatori, avviato nel Comitato per gli aiuti allo sviluppo dell'OCSE e il consolidamento di alcuni tra i nuovi strumenti di programmazione e applicazione degli aiuti, ad esempio i documenti di strategia per la riduzione della povertà (Povertà Reduction Strategy Papers — PRSP in inglese), il sostegno settoriale (SWAP) o quello finanziario. Più di recente, il Forum ad alto livello sull'armonizzazione degli aiuti, svoltosi a Parigi nel marzo 2005, ha rappresentato un passo avanti in questo senso nella misura in cui i paesi donatori hanno sottoscritto una serie di impegni in materia di appropriazione, armonizzazione, gestione basata sui risultati e responsabilità condivisa.

1.3

Un altro fattore che ha inciso su tale decisione sono gli scarsi risultati raggiunti, in base alla maggioranza degli indicatori, nella realizzazione degli obiettivi di sviluppo del Millennio (OSM) fissati cinque anni fa. Per evitare un fallimento di qui alla scadenza fissata nel 2015, è necessaria una revisione delle varie politiche e la definizione di una vera e propria terapia d'urto da parte della comunità internazionale. Deve trattarsi di un piano che sia in grado di generare risorse aggiuntive per gli aiuti pubblici allo sviluppo e comprendere sia gli aiuti economici sia la politica commerciale, il debito, la proprietà intellettuale, la considerazione degli effetti dell'immigrazione o il rafforzamento delle organizzazioni della società civile.

1.4

Nello stesso periodo alcune questioni di grande importanza hanno inciso sulla cooperazione allo sviluppo a livello comunitario, tra queste: il processo di riforma degli aiuti esterni, iniziato nel 2000 con il consolidamento di EuropeAid e i processi di decentramento a tutti i livelli in atto nelle delegazioni della Commissione, l'entrata in vigore dell'Accordo di Cotonou nel 2003 (è appena stata firmata una versione riveduta dell'accordo, in base alla quale i paesi ACP beneficeranno di un importo minimo garantito, a prescindere dall'esito dei negoziati relativi alle prospettive finanziarie 2007-2013) e il processo, già avviato, tendente alla iscrizione in bilancio del FES. Più generalmente, l'ampliamento a 25 Stati membri, l'avvio della strategia europea di sicurezza e della politica estera e di sicurezza comune (PESC), nonché il dibattito sul Trattato costituzionale con l'introduzione della politica di sviluppo nel mix delle politiche comunitarie in materia di relazioni esterne, conferiscono agli aiuti allo sviluppo una nuova dimensione che rende necessario un cambiamento in termini di approccio da seguire. Infine, il dibattito sulle prospettive finanziarie 2007-2013 dovrebbe approfondire tali questioni e trasformare le loro implicazioni in impegni concreti.

1.5

Il processo di consultazione avviato a tale scopo è anch'esso un elemento molto positivo in quanto rafforza la partecipazione democratica di tutte le parti interessate.

1.6

Nel gennaio 2005, all'inizio di questo esercizio di riflessione, la Commissione prevedeva di adottare una comunicazione nel corso del primo trimestre dell'anno in corso. La comunicazione è stata poi pubblicata nel luglio scorso e la Commissione ha consultato in merito ad essa il Comitato, che ha elaborato il presente parere. Poiché in settembre si svolgerà la conferenza delle Nazioni Unite sullo stato di avanzamento nella realizzazione degli obiettivi del Millennio, il CESE ritiene che sarebbe opportuno che la Commissione, dopo che saranno rese note le conclusioni di detta conferenza, riavviasse il processo di consultazione prima di definire il contenuto finale della dichiarazione, che sarà esaminata nel Consiglio di novembre. Il fatto che tale processo abbia coinciso con l'elaborazione della posizione di altre istituzioni comunitarie (tra cui il CESE) in merito agli obiettivi di sviluppo del Millennio (il cosiddetto «pacchetto di OSM» (1) di cui il Consiglio ha proposto di accelerare la realizzazione) può favorire un maggiore impegno di tutta l'Unione europea a favore dello sviluppo e rappresenta un'opportunità per consolidare il ruolo di protagonista svolto dall'UE con i paesi in via di sviluppo. Il CESE giudica della massima importanza il consenso di tutte le istituzioni comunitarie circa le linee generali della politica di sviluppo.

1.7

La dichiarazione sulla politica di sviluppo, adottata nel 2000, è stata elaborata congiuntamente dalla Commissione e dal Consiglio, il che ha garantito un forte sostegno e consenso nei suoi confronti. La Commissione ha ora intenzione di coinvolgere in tale processo anche il Parlamento. Il CESE esprime la sua ferma volontà di dare un contributo decisivo a tale processo, in quanto ritiene che la politica di sviluppo debba poter contare su un maggiore sostegno dei cittadini e delle organizzazioni rappresentative della società civile.

1.8

Il Comitato ritiene che sarebbe stato utile se il documento della Commissione intitolato Riflessioni sulla futura politica di sviluppo dell'Unione europea, recentemente oggetto di consultazione e di dibattito in materia, avesse dedicato più spazio ad un esame della validità degli aiuti comunitari sin dalla loro creazione e analizzato in maniera più particolareggiata gli ostacoli e i problemi che ne hanno condizionato l'efficacia nel corso degli anni (2). Tra questi ostacoli e problemi figurano la lenta attuazione dei programmi, gli elevati costi, amministrativi e non, rispetto alle somme destinate ai progetti, l'obbligo di vincolare gli aiuti, lo scarso protagonismo dei paesi beneficiari e l'imprevedibilità e volubilità dei flussi di aiuti. Sarebbe stato inoltre importante sapere, anche per sommi capi, in che modo la Commissione valuti l'impatto della dichiarazione del 2000, le varie difficoltà cui ha fatto fronte la cooperazione comunitaria e infine i risultati finora conseguiti e le lezioni tratte in questo periodo. Esistono però altri studi recenti (3) realizzati con il sostegno della Commissione europea che sono stati un utilissimo riferimento in tale contesto. Il CESE ritiene che la scarsa efficacia degli aiuti allo sviluppo nella lotta alla povertà indichi la necessità di un'autocritica e di una revisione della futura politica di sviluppo. Sarà inoltre opportuno proseguire gli sforzi già intrapresi dalla Commissione per migliorare la qualità e l'efficacia degli aiuti comunitari.

2.   Finalità e obiettivi della politica di sviluppo dell'UE

2.1

Sia le comunicazioni relative al pacchetto sugli obiettivi di sviluppo del Millennio sia gli impegni di Barcellona del 2002 relativi alla realizzazione degli obiettivi di Monterrey trattano i due aspetti fondamentali delle politiche di sviluppo: l'ammontare delle risorse pubbliche assegnate e la loro efficacia. Sul piano internazionale, esiste un importante consenso che si concretizza negli OSM, appoggiati da 189 paesi (4). La riduzione e, a lungo termine, l'eliminazione della povertà, devono guidare tutte le politiche di sviluppo. Il consenso intorno agli obiettivi del Millennio diventa a volte troppo retorico e si finisce per dimenticare che tra essi figurano otto obiettivi di sviluppo sociale, economico e ambientale, il più importante dei quali è la riduzione del tasso di povertà estrema di circa il 50 % entro il 2015, e che i vari obiettivi si articolano a loro volta in 18 traguardi, ciascuno dei quali è quantificabile mediante uno o più indicatori. L'impegno europeo nei confronti di ognuno degli OSM deve essere coerente con la loro dimensione concreta e operativa. L'esistenza di traguardi e di indicatori specifici per gli obiettivi del Millennio può inoltre contribuire ad aumentare la necessaria affidabilità e trasparenza della cooperazione in generale e degli aiuti europei in particolare (5).

2.2

Per la prima volta da decenni, i paesi sviluppati e quelli in via di sviluppo dispongono di un'Agenda comune di sviluppo per gestire la globalizzazione cercando di renderla più inclusiva e favorevole alla coesione sociale. In qualsiasi caso, lo sviluppo deve essere affrontato in maniera globale e integrata, tenendo conto che la lotta contro la povertà è influenzata da una serie di diverse politiche, da quelle commerciali a quelle ambientali, passando dalle politiche dell'immigrazione o della sicurezza. Anche la dimensione di genere fa ormai parte di qualsiasi azione di lotta alla povertà.

3.   Orientamenti e vettori della politica europea di sviluppo

3.1

Le cause profonde della povertà sono numerose e variano a seconda del contesto. Inoltre, la povertà non è solo funzione di un determinato reddito. È una situazione di estrema vulnerabilità causata dalla mancanza di mezzi fisici, finanziari e umani. Per agire contro la povertà non basta aumentare il volume globale degli aiuti. È necessario anche creare le condizioni per un aumento nonché per una corretta distribuzione della ricchezza, ripensare le politiche commerciali e finanziarie dei paesi sviluppati, ampliare i mercati locali dei paesi poveri, promuovere le istituzioni democratiche, potenziare le organizzazioni della società civile, e infine attuare una correlazione efficace ed equilibrata tra il ruolo dello Stato e quello del mercato. Negli ultimi decenni è stato dimostrato che senza uno Stato capace di promuovere le infrastrutture materiali e immateriali, è impossibile favorire lo sviluppo.

3.2

Le esperienze di formalizzazione dei diritti di proprietà per i settori più poveri (concernenti beni apparentemente senza valore come le favelas in alcuni paesi dell'America Latina) hanno dimostrato che tali diritti possono avere effetti positivi sullo sviluppo. Il CESE ritiene pertanto che la politica europea di sviluppo debba prenderli in considerazione.

3.3

Il CESE vuole mettere in risalto inoltre l'importanza dell'istruzione e della formazione come beni pubblici. L'istruzione genera effetti positivi per tutta la società e non solo per chi la riceve. L'istruzione in tutte le sue modalità, comporta un incremento del capitale umano che facilita il miglioramento della crescita, dell'occupazione e dei redditi. Dalla realizzazione dell'istruzione primaria per tutti, compresa nell'obiettivo 2, si deve avanzare verso altre componenti dell'istruzione media e professionale quanto più rapidamente possibile. Le istituzioni comunitarie e degli Stati membri dovrebbero raddoppiare i loro sforzi in materia.

3.4

La crescita economica e l'aumento dell'occupazione sono, nei paesi poveri, condizioni essenziali per lo sviluppo. Ma non vi è crescita senza un numero di infrastrutture di base, sistemi di distribuzione del reddito, di accesso all'istruzione e all'assistenza sanitaria, di qualità istituzionale e di consenso sociale. In mancanza di questo capitale sociale, è impossibile garantire al tempo stesso sviluppo economico e coesione sociale. La povertà è, a sua volta, un ostacolo insormontabile per la crescita. La creazione di un tessuto produttivo, le azioni per fare emergere l'economia informale (promozione del lavoro autonomo e dell'economia sociale, sviluppo delle PMI, adeguati sistemi di previdenza sociale) e lo sviluppo di un importante mercato locale e regionale sono, secondo il CESE, alcuni degli interventi in grado di contribuire allo sviluppo economico dei paesi poveri.

3.5

Grazie alla liberalizzazione del commercio mondiale è possibile offrire ai paesi in via di sviluppo un grosso aiuto ad uscire dalla povertà e dal sottosviluppo. Tuttavia, le attuali norme del commercio globale favoriscono i paesi sviluppati a scapito di quelli più poveri. Il CESE ha molto insistito su questo aspetto in diversi pareri, il più recente dei quali affronta il tema della dimensione sociale della globalizzazione (6). Per tale motivo sarebbe opportuno migliorare, nel quadro dell'attuale round di negoziati dell'OMC, la cui prossima riunione ministeriale si svolgerà a dicembre a Hong Kong, e dei negoziati bilaterali dell'Unione europea, l'accesso dei paesi in via di sviluppo ai mercati dei paesi sviluppati, ridurre o eliminare tutte le sovvenzioni, ad esempio in agricoltura, che abbiano un effetto distorsivo sugli scambi commerciali, oltre alla grande limitazione costituita dalle barriere alle esportazioni dei paesi in via di sviluppo e riformare l'accordo sui diritti di proprietà intellettuale legati al commercio (TRIP). In tale contesto, è opportuno che gli aiuti allo sviluppo dell'UE non siano condizionati alle posizioni che i paesi in via di sviluppo assumono nei negoziati commerciali multilaterali, evitando di imitare il modo di agire di alcune istituzioni finanziarie internazionali.

3.6

I paesi più poveri e meno sviluppati sono, d'altra parte, molto vulnerabili all'integrazione nei mercati esterni e non dispongono di mezzi per far fronte alle varie trasformazioni economiche. Le politiche di sviluppo dovrebbero pertanto essere orientate ad una integrazione graduale nei mercati mondiali, favorendo gli investimenti nelle infrastrutture, nell'istruzione e nella sanità, lo sviluppo di istituzioni democratiche e la creazione sia di mercati interni propri e ben funzionanti sia di mercati a dimensione regionale.

3.7

In diverse occasioni, il CESE si è espresso a favore dell'inserimento di una dimensione sociale negli accordi di partenariato  (7) commerciale, politico e di cooperazione dell'UE. La dimensione sociale minima deve comprendere la promozione di un lavoro decoroso per tutti, lo sviluppo di sistemi pubblici e privati di previdenza sociale e il rispetto effettivo dei diritti dei lavoratori (le otto convenzioni fondamentali dell'OIL (8), la convenzione n. 168 sulla promozione dell'occupazione, la convenzione n. 183 sulla protezione della maternità e la convenzione n. 155 sulla sicurezza e la salute dei lavoratori).

3.8

Data l'importanza di un lavoro decoroso (vale a dire un lavoro a condizioni decorose, dal punto di vista sia degli obblighi contrattuali sia delle condizioni reali di svolgimento) ai fini dello sviluppo, il CESE ritiene che per rendere effettivi questi diritti umani sul lavoro, sarebbe opportuno introdurre un capitolo sociale nelle disposizioni fondamentali dell'OMC.

3.9

Gli OSM, dal canto loro, non integrano a sufficienza questa dimensione fondamentale in un contesto in cui risultano evidenti gli effetti della globalizzazione sulle condizioni sociali in generale e su quelle lavorative in particolare. Il CESE propone che la valutazione intermedia degli OSM, attualmente in atto, preveda l'analisi della situazione nel campo dei diritti sociali e professionali e che, in futuro, un lavoro decoroso per tutti diventi il nono obiettivo di sviluppo del Millennio.

3.10

Lo sviluppo e la sicurezza umana devono essere concetti della politica di sviluppo dell'UE che si completano e rafforzano l'un l'altro. La sicurezza e la creazione di un contesto pacifico sono di certo condizioni necessarie per la realizzazione di una strategia di sviluppo incentrata sull'eliminazione della povertà. Lo sviluppo economico e sociale costituisce, d'altro canto, una garanzia essenziale a favore della sicurezza. Per il CESE, la causa dei diritti umani (tenendo particolarmente conto dei diritti della donna nella lotta alla povertà) deve essere una delle priorità fondamentali della politica di sviluppo dell'UE. Questo darà un notevole contributo alla riduzione della povertà e all'aumento della sicurezza globale.

3.11

In tale contesto, il CESE ribadisce (9) la necessità di introdurre, nella politica di sviluppo dell'UE, misure volte a proteggere i difensori dei diritti umani, compresi i diritti umani sul lavoro (10), nelle varie parti del mondo.

3.12

In un mondo in cui l'estrema vulnerabilità di numerose popolazioni e l'esistenza di nuove e vecchie minacce hanno fatto aumentare il rischio di disastri di carattere naturale o provocati dall'uomo, la politica di sviluppo deve prendere coscienza di tali pericoli e adottare un approccio maggiormente preventivo. Nei contesti in cui possono sorgere conflitti di carattere violento, le azioni nell'ambito della politica di sviluppo devono essere programmate in base ad un'analisi approfondita delle cause di conflitto e orientate in gran parte al sostegno nei confronti della società civile, la quale si sforza di consolidare la pace e di risolvere e prevenire conflitti e minacce.

3.13

Il CESE ritiene che la protezione ambientale, in quanto uno dei tre pilastri dello sviluppo sostenibile, dovrebbe occupare una posizione analoga a quella della dimensione economica e sociale. In tale contesto, sottolinea la necessità di inserire la dimensione ambientale tra gli indicatori di efficacia nell'applicazione delle strategie di sviluppo. Inoltre, la realizzazione di studi d'impatto ambientale dovrebbe essere un prerequisito obbligatorio nei progetti e nelle azioni di una certa importanza.

3.14

Il CESE ritiene, d'altro canto, che non sarà possibile far fronte alle sfide ambientali mondiali solo attraverso le strategie nazionali dei paesi beneficiari. I paesi sviluppati devono assumersi le loro responsabilità e sostenere la maggior parte dei costi per la soluzione dei problemi ambientali mondiali. L'UE dovrebbe mettere ulteriori risorse finanziarie a disposizione di programmi orientati alla soluzione di tali problemi.

3.15

La semplice integrazione dei paesi in via di sviluppo nel commercio internazionale molto probabilmente non basterà a risolvere la situazione di povertà e di disparità in cui si trovano. Pertanto, in tali paesi è necessario creare le condizioni per lo sviluppo, realizzando progressi economici e politici, e adottare una politica di ridistribuzione della ricchezza dai paesi ricchi a quelli poveri. Bisogna inoltre contribuire a far sì che i paesi donatori capiscano che gli aiuti allo sviluppo non favoriscono solo i paesi poveri, ma sono anche fondamentali per il futuro dei paesi ricchi in quanto la povertà e le disparità sono una minaccia alla loro sicurezza e al loro sviluppo potenziale. Questo è, secondo il CESE, un compito che la società civile organizzata può svolgere meglio di chiunque altro.

3.16

La politica di sviluppo dell'UE può pertanto contribuire in modo positivo all'integrazione dei flussi migratori  (11) e favorire una politica di sviluppo comune con i paesi di origine dell'immigrazione. La collaborazione con i paesi di origine è essenziale per la gestione dell'immigrazione legale e per il rispetto di tutti i diritti degli immigrati, in quanto tali e in quanto cittadini a tutti gli effetti (12). L'emigrazione deve inoltre contribuire allo sviluppo dei paesi di origine degli immigrati (13). Per tale motivo, è necessario definire politiche di compensazione per la fuga dei cervelli, impedire l'applicazione di tassi onerosi alle rimesse che gli immigrati inviano alle loro famiglie nei loro luoghi di origine e facilitare il ritorno di questi ultimi nel loro paese affinché possano contribuire al suo sviluppo creando, ad esempio, attività produttive.

4.   Criteri d'azione della politica europea di sviluppo

4.1

La questione della coerenza delle politiche dell'UE, un tema già ampiamente trattato nell'ambito degli aiuti comunitari e che trova la sua base giuridica nei Trattati, assume nuova importanza nell'attuale contesto internazionale caratterizzato dalle questioni di sicurezza e dagli effetti della globalizzazione in settori quali il commercio, l'agricoltura, l'occupazione e i flussi migratori. La recente comunicazione della Commissione illustra bene l'importanza del tema e la volontà dell'UE di trovare una soluzione adeguata. L'iniziativa EBA Tutto fuorché le armi ha imposto una maggiore coerenza nella politica commerciale a favore dei paesi in via di sviluppo.

4.2

La politica di sviluppo dell'UE non è concepita come uno strumento palliativo orientato a ridurre i danni potenziali allo sviluppo dei paesi poveri causati da altre politiche, ad esempio la politica commerciale o di sicurezza. Per rendere più efficace questo orientamento, il CESE ritiene che sarebbe opportuno coordinare più adeguatamente le diverse direzioni generali della Commissione europea (ad esempio le DG Commercio e Occupazione, affari sociali e pari opportunità) e valutare regolarmente l'impatto delle politiche comunitarie sulla coesione sociale dei paesi in via di sviluppo, procedura quest'ultima alla quale la società civile organizzata dovrebbe prendere parte attivamente.

4.3

Tale coerenza, auspicabile in qualsiasi politica comunitaria, non dovrebbe tuttavia essere usata per limitare il contenuto della politica di sviluppo ponendola al servizio di altre azioni dell'UE oppure dimenticando la specificità e gli obiettivi delle sue azioni. In una Unione sempre più aperta all'esterno e in piena evoluzione, la politica di sviluppo deve conservare una certa autonomia rispetto agli altri elementi della politica estera, onde poter raggiungere le proprie finalità e i propri obiettivi.

4.4

Per il CESE, è necessario armonizzazione ulteriormente la politica di sviluppo dell'UE e quelle dei 25 Stati membri. L'appoggio fornito da questi ultimi agli obiettivi del Millennio e alle posizioni del Comitato per gli aiuti allo sviluppo dell'OCSE dovrebbe agevolare tale processo. È indispensabile a tale proposito improntare le politiche, spesso contraddittorie, dei paesi donatori ad una maggiore armonizzazione e coerenza. La mancanza di coerenza tra dette politiche produce infatti alti «costi di transazione», sprechi, un raddoppiamento degli sforzi, una disparità di approcci e comporta una serie di complicazioni nei paesi beneficiari. Nel vertice europeo di Barcellona del marzo 2002, l'UE si è impegnata ad adottare misure concrete relative al coordinamento delle politiche e all'armonizzazione delle procedure prima del 2004, a livello sia dell'Unione europea sia degli Stati membri. Nonostante questo, le raccomandazioni formulate in seguito a tale impegno hanno avuto scarsa applicazione pratica. Il CESE giudica un'armonizzazione efficace tra le politiche di sviluppo degli Stati membri e dell'UE essenziale per il futuro della politica comunitaria di sviluppo. Nei limiti delle sue possibilità, il CESE promuoverà un dibattito con le organizzazioni della società civile europea a favore di una piattaforma europea comune per la politica di sviluppo. Il CESE è d'accordo con la Commissione sull'opportunità di una politica di sviluppo a livello europeo che impegni sia gli Stati membri sia la stessa Commissione.

4.5

Il principale valore aggiunto di una politica comunitaria di sviluppo dovrebbe essere quello di rafforzare il coordinamento e la complementarità con le politiche perseguite dagli Stati membri. L'UE dispone di alcuni vantaggi comparativi (dimensioni, immagine di neutralità, contributo ai fondi mondiali) di cui è necessario approfittare.

4.6

Al tempo stesso il CESE giudica necessario garantire una maggiore partecipazione autonoma dell'UE a tutti i forum multilaterali che hanno un'incidenza sullo sviluppo. L'UE deve partecipare attivamente alla riforma del sistema multilaterale adottando una posizione comune. Tale approccio deve riguardare non solo il sistema delle Nazioni Unite, nell'ambito del processo avviato dal suo Segretario generale, ma anche le istituzioni finanziarie internazionali e altri forum multilaterali, ad esempio il Comitato per gli aiuti allo sviluppo, il Club di Parigi, il G8 o l'OMC. La capacità dell'UE di esercitare un'influenza come protagonista internazionale dotata di potere reale dipende da questa possibilità di conciliare le diverse prese di posizione negli organismi multilaterali. L'UE deve inoltre potenziare i dispositivi di concertazione e coordinamento sul campo con le agenzie specializzate dell'ONU e con altri organismi donatori.

4.7

La dimensione istituzionale dello sviluppo è fondamentale, così come il rafforzamento delle capacità delle istituzioni locali. Il potenziamento delle istituzioni è la soluzione per una corretta amministrazione che consenta di assegnare e gestire le risorse in modo tale da rispondere ai problemi mediante criteri di partecipazione, trasparenza, rendicontazione, lotta alla corruzione, uguaglianza e Stato di diritto. Potenziare le capacità e i mezzi a disposizione delle organizzazioni della società civile è fondamentale perché tali paesi possano prendere nelle loro mani il processo di sviluppo.

4.8

L'UE dovrebbe capitalizzare e trarre insegnamento dai programmi di cooperazione con i nuovi Stati membri che in poco tempo sono passati da una condizione di destinatari degli aiuti a quella di membri di una comunità di donatori. La loro sensibilità e la loro visione del problema in qualità di beneficiari possono essere estremamente utili al fine di apprendere metodi innovativi di gestione degli aiuti stessi.

4.9

L'elevato grado di decentramento nei paesi destinatari della cooperazione comunitaria impone un miglioramento dei meccanismi di partecipazione dei diversi partner e la definizione di sistemi di coordinamento locali che tengano conto di questo approccio «dal basso verso l'alto».

4.10

Il miglioramento dei dispositivi di coordinamento e concertazione dovrebbe comportare un aumento dell'efficacia e dell'efficienza degli aiuti, nella misura in cui diminuiscono i costi di transazione. Sull'efficacia, tuttavia, influiscono diversi altri elementi e il suo monitoraggio dovrebbe dunque formare parte integrante di tutta la cooperazione comunitaria. La Commissione ha definito sistemi eccellenti per valutare e controllare la qualità degli aiuti, sistemi che dovrebbero essere generalizzati e servire non solo per la necessaria rendicontazione, ma soprattutto per le lezioni che se ne possono trarre. L'analisi svolta dalle istituzioni comunitarie dovrebbe includere altre questioni di carattere più generale, ad esempio lo studio sulla fungibilità degli aiuti (14).

4.11

Il principio di appropriazione, finora messo in atto in maniera differenziata a seconda dei contesti geografici, dovrebbe essere armonizzato approfittando delle eventuali buone pratiche e traendo profitto dalla sua applicazione. La partecipazione e l'appropriazione dovrebbero riguardare tutte le fasi di pianificazione delle azioni, dei programmi e dei progetti: dalla discussione dei programmi indicativi nazionali fino alla valutazione ex post dei risultati.

5.   Protagonisti della politica di sviluppo

5.1

La politica comunitaria di sviluppo è una politica pubblica che prevede la partecipazione di numerosi protagonisti. Questo aspetto dovrebbe essere maggiormente riconosciuto dalle istituzioni comunitarie, le quali dovrebbero concedere alle varie organizzazioni europee la possibilità di partecipare più attivamente a tale politica. La concertazione tra i diversi operatori, pubblici e privati, è un requisito fondamentale ai fini dell'efficacia e della coerenza della politica di sviluppo.

5.2

L'applicazione dei principi di partenariato, partecipazione e appropriazione ha comportato un miglioramento della cooperazione allo sviluppo, un processo che va perseguito e approfondito attraverso un maggiore coinvolgimento di altri operatori sociali, tra cui le organizzazioni sindacali, imprenditoriali e dell'economia sociale, e non solo di quelli governativi.

5.3

La definizione di politiche a lungo termine contro la povertà e un migliore uso dei trasferimenti previsti dagli aiuti allo sviluppo richiedono un effettivo impegno tra le autorità democratiche dei paesi beneficiari e le forze economiche e sociali presenti in questi paesi.

5.4

Secondo il CESE, il potenziamento delle organizzazioni della società civile (lavoratori, datori di lavoro, consumatori, organizzazioni attive nella difesa dei diritti umani, ecc.) nei paesi del Sud dovrebbe diventare una priorità fondamentale della politica di sviluppo dell'UE. La riduzione della povertà e delle disparità dipende in larga misura da una maggiore capacità di rivendicare, negoziare, impegnarsi e partecipare della società civile organizzata. Di conseguenza, la politica di sviluppo dell'UE dovrebbe favorire non solo la partecipazione effettiva della società civile alle azioni previste dagli aiuti allo sviluppo ma anche il potenziamento delle sue organizzazioni più rappresentative e il loro riconoscimento come protagonisti dello sviluppo all'interno delle loro stesse società (15). Per questo obiettivo, dovrebbero essere previste apposite linee di finanziamento.

5.5

D'altra parte, la politica di sviluppo dell'UE dovrebbe promuovere nei paesi beneficiari la creazione di un quadro giuridico che permetta di coinvolgere le organizzazioni della società civile di detti paesi. Tale quadro giuridico comprende la messa a disposizione di risorse economiche per rafforzare la capacità di queste organizzazioni, il consolidamento di strutture che agevolino la partecipazione e il dialogo permanente, la definizione di procedure relative alla consultazione di dette organizzazioni in tutte le fasi dei programmi indicativi nazionali e regionali e la diffusione di buone pratiche. Allo stesso modo, anche le organizzazioni europee dovrebbero essere consultate per quanto concerne le azioni sostenute dall'Unione.

5.6

Solo i paesi ACP riconoscono finora la partecipazione ufficiale delle organizzazioni della società civile in tutte le fasi della cooperazione allo sviluppo. Tale obbligo, previsto dall'Accordo di Cotonou, non esiste nell'ambito della cooperazione con altre regioni, in cui si effettuano unicamente consultazioni di carattere informale (16). Il CESE chiede che nella futura politica di sviluppo dell'UE tale esperienza venga estesa ad altre regioni, definendo meccanismi ufficiali di coinvolgimento della società civile nella programmazione, realizzazione e valutazione delle politiche di sviluppo.

5.7

L'Accordo di Cotonou offre inoltre agli operatori non statali l'opportunità unica di accedere ad una parte dei fondi comunitari destinati a ciascun paese (fondi FES per i programmi indicativi nazionali e regionali). L'obiettivo di detti fondi è potenziare la capacità della società civile e consentirne la partecipazione attiva all'applicazione delle strategie regionali o nazionali volte a ridurre la povertà.

Il CESE invita a ricorrere a tale modello di consultazione della società civile anche nelle relazioni tra l'UE e altre regioni, ad esempio l'America Latina o i paesi del partenariato euromediterraneo.

5.8

Inoltre, la revisione della politica di sviluppo dell'UE dovrebbe comportare notevoli sforzi per far sì che i diritti di partecipazione diventino una realtà concreta nei paesi in cui sono riconosciuti. In pratica l'applicazione degli accordi stipulati presenta gravi lacune che impediscono ai rappresentanti della società civile organizzata di avere una buona conoscenza degli accordi stessi e che rendono problematica un'effettiva consultazione. A questo si aggiungono la mancanza di criteri relativi alla rappresentatività delle organizzazioni della società civile e gli ostacoli in termini di accesso ai finanziamenti comunitari.

5.9

La creazione di quadri stabili e democratici di relazioni di lavoro è una condizione essenziale per promuovere l'obiettivo di un lavoro decoroso per tutti, ma risulta indispensabile anche per lo sviluppo economico. Il CESE pertanto ritiene che la promozione di un dialogo sociale equilibrato dovrebbe figurare tra gli obiettivi della politica di sviluppo dell'UE. Data la ricchezza delle esperienze europee in materia, il CESE giudica necessario coinvolgere in questo compito le organizzazioni sindacali e imprenditoriali europee.

5.10

Le imprese devono svolgere sempre di più un ruolo positivo nel realizzare l'obiettivo dello sviluppo sostenibile. È quanto ha riconosciuto l'OCSE nei suoi Codici di comportamento per le imprese multinazionali (17). La politica di sviluppo dell'UE dovrebbe, secondo il CESE, contribuire a favorire la responsabilità sociale delle imprese, in particolare di quelle europee, nei paesi beneficiari degli aiuti. In linea con quanto affermato in precedenti pareri (18), il CESE ritiene che se le imprese applicassero nei paesi beneficiari almeno gli stessi criteri professionali, sociali e ambientali (generalmente) applicati in Europa, contribuirebbero notevolmente allo sviluppo economico e sociale di detti paesi.

5.11

La politica di sviluppo potrà sopravvivere e crescere solo attraverso un adeguato sostegno sociale. In tale contesto, occorre promuovere la sensibilizzazione dei cittadini in merito agli aiuti allo sviluppo. L'emergere di una «coscienza civica mondiale», evidente soprattutto nelle questioni ambientali, dovrebbe essere consolidata e ampliata ai temi della povertà, delle disparità e dei beni pubblici mondiali. Il CESE ritiene opportuno coinvolgere in tale compito le scuole, i mezzi di comunicazione e, naturalmente, le organizzazioni della società civile. Da parte sua, è disposto ad agire come strumento di detta politica in collaborazione con le istituzioni europee.

6.   Priorità, concentrazione e differenziazione nella politica di sviluppo dell'UE

6.1

Per incrementare l'efficacia e l'impatto degli aiuti, è opportuno concentrarsi su quei settori in cui l'UE può fornire un più elevato valore aggiunto o un elemento differenziale rispetto ad altri donatori. L'esperienza tuttavia insegna che non sempre è possibile fissare anticipatamente le priorità o stabilire quale potrebbe essere il valore aggiunto comunitario. La programmazione a livello nazionale andrebbe in ogni caso utilizzata come strumento per la negoziazione tra i partner. I documenti di strategia per la riduzione della povertà dovrebbero essere l'asse fondamentale di questo processo.

6.2

Nella politica di sviluppo contano, secondo il CESE, non solo motivazioni etiche ma anche politiche: se non si eliminano le attuali disparità, la globalizzazione infatti non può funzionare. Il CESE pertanto ritiene che la politica di sviluppo dell'UE non debba limitarsi a correggere i difetti del sottosviluppo. Uno degli elementi di valore aggiunto dell'UE dovrebbe consistere nell'agire a favore di obiettivi strategici mondiali di carattere multisettoriale come ad esempio la sanità (anche per quanto riguarda gli aspetti legati alla riproduzione), l'istruzione, l'uguaglianza tra i sessi, la protezione dell'ambiente, la creazione di imprese produttive e di posti di lavoro, un lavoro decoroso. Per tale motivo è indispensabile che la cooperazione allo sviluppo disponga di risorse economiche in più rispetto a quelle ad essa destinate, provenienti dai nuovi strumenti finanziari.

6.3

La cooperazione comunitaria è stata sempre caratterizzata, sin dall'inizio, da una forte concentrazione geografica, raggiungendo una particolare complessità nel caso dei paesi ACP attraverso l'Accordo di Cotonou. L'esperienza conseguita con le due Convenzioni di Lomé e di Cotonou dovrebbe essere di aiuto ad altre regioni (specialmente dell'Asia) o paesi che si impegnano a raggiungere gli obiettivi del Millennio. È dunque opportuno promuovere, con altre regioni del mondo beneficiarie degli aiuti comunitari, meccanismi più flessibili, permanenti e strutturati che vadano al di là della forma classica di vertici e accordi e offrano una visione più strategica della cooperazione. Al tempo stesso, gli aiuti comunitari dovrebbero coprire tutti i paesi poveri.

6.4

Il CESE si unisce alla volontà di trasformare l'Africa subsahariana in una priorità, nel quadro degli aiuti allo sviluppo dell'UE. Tuttavia, perché sia efficace, tale progetto deve essere affiancato al tempo stesso da una migliore governance in Africa, a livello sia nazionale sia regionale, processo che concerne contemporaneamente le organizzazioni interstatali africane, gli Stati e le organizzazioni della società civile. Queste ultime, grazie alla loro autonomia, alla loro vicinanza ai cittadini e alla loro capacità di reazione, possono favorire l'assunzione effettiva di responsabilità da parte dei cittadini per le politiche di sviluppo che li riguardano direttamente.

6.5

In relazione a quanto precede, il CESE propone di facilitare l'accesso delle organizzazioni africane della società civile ai finanziamenti comunitari, garantendo loro un accesso diretto a livello nazionale. Dovrebbe inoltre essere attuato un programma orizzontale per il finanziamento degli operatori non statali. Bisogna infine assicurare una maggiore e più sistematica partecipazione della società civile alla definizione e all'applicazione delle politiche e delle strategie di cooperazione.

6.6

Per far sì che lo sviluppo economico arrechi un beneficio al maggior numero possibile di persone e non provochi abusi, il CESE auspica che l'attività di aiuto allo sviluppo dell'UE in Africa tenga conto del principio della coesione sociale e dell'obiettivo di un lavoro decoroso per tutti. Per garantire in modo più adeguato il rispetto di tale principio e il conseguimento di detto obiettivo è necessario un vero e proprio dialogo sociale in generale e tra le organizzazioni rappresentative della società civile in particolare. In tale contesto, il CESE collaborerà, come previsto nella comunicazione della Commissione europea (19), con il Comitato economico, sociale e culturale africano nello scambio di esperienze e conoscenze, nei settori ritenuti pertinenti.

6.7

La politica di sviluppo dell'UE dovrebbe prestare maggiore attenzione ai paesi che dispongono di un reddito medio ma che affrontano al loro interno gravi problemi di povertà e disparità. A tale proposito richiama l'attenzione sulla costante riduzione delle percentuali di aiuti comunitari destinati all'America Latina, regione del pianeta in cui i livelli di disuguaglianza sono i più elevati. Paesi dal reddito medio come il Brasile, l'Uruguay o il Messico hanno al loro interno enormi sacche di povertà. Occorrerebbe definire un sistema di indicatori che consenta di seguire l'evolversi della situazione in questi paesi. Il CESE chiede all'UE di attribuire maggiore importanza all'America Latina nell'ambito della sua politica di sviluppo.

6.8

Il CESE considera infine opportuna la proposta della Commissione di adottare misure specifiche per le situazioni transitorie che permettano di potenziare il collegamento tra gli aiuti, il risanamento e lo sviluppo e che si adattino alla realtà di contesti in cambiamento e a paesi che vivono in un clima di instabilità, tenendo tuttavia conto della necessaria differenziazione. Allo stesso modo, le attività di cooperazione in situazioni del genere dovrebbero poter contare su migliori sistemi di prevenzione e di allarme rapido.

7.   Finanziamento

7.1

L'Unione si è imposta di raggiungere, come minimo, gli obiettivi decisi a Monterrey e tutto sembra indicare la necessità di andare al di là di tale impegno per conseguire gli OSM. Il Consiglio europeo di Barcellona del marzo 2002 ha deciso di aumentare gli aiuti pubblici allo sviluppo (APS) fino allo 0,39 % del PIL nel 2006. Questa cifra, per quanto superiore allo 0,22 % della media attuale, è di gran lunga inferiore allo 0,44 % che gli Stati membri dell'UE garantivano nel 1990. Il Consiglio del 23-24 maggio 2005 ha fissato nuovi obiettivi più ambiziosi in quanto si è impegnato a raggiungere lo 0,56 % del PIL come media UE nel 2010, differenziando tra i 15 vecchi Stati membri e i 10 nuovi paesi. È chiaro tuttavia che per realizzare gli OSM occorre un impegno molto più sostenuto.

7.2

La decisione adottata, nel luglio 2005, dai paesi del G8 di annullare il 100 % del debito multilaterale dei 18 paesi più poveri costituisce un passo significativo in questa direzione, che è necessario promuovere. Si attende una conferma definitiva di questo annuncio e dell'informazione secondo cui un'altra ventina di paesi potrebbero godere di condizioni equivalenti. Per il CESE, queste misure dovrebbero essere estese a tutti i paesi meno sviluppati ed essere finanziate mediante risorse aggiuntive vere e proprie e non con un semplice aggiustamento tra le voci destinate agli aiuti pubblici allo sviluppo.

7.3

In linea con quanto precede, le prospettive finanziarie 2007-2013 dovrebbero tener conto in modo più chiaro e specifico degli impegni finanziari necessari per avvicinarsi agli OSM.

7.4

I sistemi di finanziamento dello sviluppo hanno subito un'evoluzione e si sono via via adeguati alla necessaria appropriazione da parte dei beneficiari. La cooperazione comunitaria deve registrare progressi in termini di prevedibilità a lungo termine e dei meccanismi di pianificazione pluriennale al fine di ridurre al minimo gli effetti negativi di un cambiamento negli stanziamenti di bilancio e della cosiddetta volatilità degli aiuti.

7.5

La necessità di disporre di un aiuto stabile e prevedibile si scontra con il principio dell'annualità del bilancio nazionale. È uno dei motivi a favore di fonti di finanziamento aggiuntive. Ma il motivo fondamentale è quello di poter conseguire risorse addizionali, da aggiungere al finanziamento tradizionale, per finanziare lo sviluppo. La mancanza di un accordo tra gli Stati membri sulle nuove fonti di finanziamento che completino gli aiuti pubblici allo sviluppo (APS) e offrano nuove risorse per la realizzazione degli OSM, sta ritardando l'attuazione di questi ultimi. Due sono, essenzialmente, le possibili innovazioni dei meccanismi aggiuntivi di finanziamento degli aiuti allo sviluppo. Da un lato, la International Finance Facility (IFF), dall'altro l'introduzione di imposte internazionali. A parte la mancanza di volontà politica di mettere in pratica questi strumenti, sul primo dei due pesano ancora grandi interrogativi circa la gestione e l'applicazione dei fondi. In quanto al secondo strumento, il problema principale è quello di conseguire un consenso internazionale sulla sua applicazione. Dato che entrambi gli strumenti possono essere ritenuti fattibili e complementari, il CESE giudica necessario che vengano applicati quanto prima preservandone al tempo stesso il carattere prettamente aggiuntivo.

7.6

Conseguire lo svincolo totale degli aiuti deve continuare ad essere uno degli obiettivi di sviluppo dei prossimi anni. Dopo le numerose proposte in tal senso (20), il CESE invita il Consiglio a fare passi avanti decisivi nell'adozione del regolamento sullo svincolo degli aiuti e a garantire il seguito di questo tema da parte degli Stati membri, andando al di là delle stesse raccomandazioni formulate dal Comitato per gli aiuti allo sviluppo.

7.7

La posizione attuale dei paesi donatori e la politica dell'UE sono orientate a ridurre gli aiuti destinati ai singoli progetti e a finanziare il bilancio dei governi dei paesi beneficiari, al fine di offrire a questi ultimi i mezzi per sviluppare le loro politiche. Il CESE ritiene che questo non dovrebbe mai avvenire a spese del conseguimento degli obiettivi che l'UE vuole raggiungere con il suo aiuto. D'altra parte, questa forma di finanziamento può favorire il principio di appropriazione, purché il precedente controllo dei progetti non venga sostituito con nuovi condizionamenti politici sugli orientamenti delle politiche economiche e sociali da seguire.

7.8

Gli strumenti per finanziare lo sviluppo devono essere coerenti con gli obiettivi da perseguire. Una cooperazione comunitaria più agile e flessibile risulta auspicabile considerando i lunghi tempi di gestione del ciclo di progetti o azioni cha hanno finora contrassegnato gli aiuti europei. D'altra parte, non sembra opportuno unire gli strumenti di cooperazione economica generale a quelli di cooperazione allo sviluppo. La politica di sviluppo ha finalità proprie, le quali esigono anche un certo grado di specializzazione sia degli strumenti di programmazione sia dei meccanismi di assegnazione.

7.9

La flessibilità è ancor più necessaria in caso di ricostruzione post bellica o dopo una catastrofe nonché in una situazione di crisi in cui la lentezza e la rigidità impediscano gli interventi. Iniziative come il Fondo per la pace in Africa rispondono alla necessità di adeguarsi a queste realtà.

7.10

L'UE ha rispettato, nel suo complesso, l'iniziativa HIPC allargata al fine di ridurre il debito estero dei paesi poveri fortemente indebitati. Tuttavia, tale iniziativa non sarà in grado di garantire, a breve scadenza, una soluzione dei problemi di indebitamento e di servizio del debito, che sono problemi a lungo termine, e questo renderà necessario studiare altre alternative. La Commissione ha proposto misure congiunturali a favore dei paesi che sono appena usciti da un conflitto o che vivono gravi disordini ma il problema, che richiede una soluzione a lungo termine, resta ancora in sospeso. Il CESE propone misure più attive in materia di debito, ad esempio lo scambio debito contro istruzione o investimenti sociali, oppure lo studio della cancellazione del debito nelle regioni colpite da catastrofi di grandi entità.

7.11

L'aumento dell'interesse nei confronti dei cosiddetti beni pubblici internazionali dovrebbe permettere un finanziamento specifico destinato alla loro protezione. Per tale motivo, l'UE dovrebbe attuare un piano d'azione sull'importanza di questo aspetto e su eventuali forme di finanziamento, assegnando le necessarie risorse in maniera flessibile. I fondi e le iniziative globali lanciati negli ultimi anni in casi specifici (AIDS, risorse idriche, vaccini, ecc.) sembrano garantire questo elemento di flessibilità. È dunque necessario che la Comunità continui a sostenere questo tipo di azioni che già sono state avviate da alcuni Stati membri (21).

7.12

Infine, come già segnalato, il CESE propone che la strategia europea di sviluppo affronti i problemi specifici dei paesi che dispongono di un reddito medio ma che hanno al loro interno numerose sacche di povertà e in cui molti settori della popolazione vivono in stato di indigenza. Nella fattispecie, tuttavia, le modalità di sostegno più convenienti non sono soltanto gli aiuti non rimborsabili ma anche i prestiti o le altre forme combinate di aiuto. In questi casi, i parametri devono essere complementari agli OSM, e includere la realizzazione dell'obiettivo della coesione sociale (22), come stabilito nel vertice tra Unione europea, America Latina e paesi dei Carabi, svoltosi a Guadalajara nel 2004. La coesione sociale implica l'adozione di riforme nella gestione di bilancio e la realizzazione di un sistema fiscale progressivo.

8.   Proposte

8.1

Per il CESE, la lotta alla povertà deve rappresentare un fattore essenziale dell'azione comunitaria a favore di una globalizzazione più equa, sicura e responsabile dal punto di vista ambientale. Essa deve essere pertanto il logico prolungamento all'esterno del suo modello interno di sviluppo economico e convivenza sociale (23).

8.2

Il CESE ritiene che la politica europea di sviluppo debba svolgere un ruolo fondamentale sia nella diffusione dei valori costitutivi dell'Unione sia nella prevenzione delle conseguenze negative della povertà e della disuguaglianza (insicurezza, sfruttamento eccessivo delle risorse naturali, migrazioni incontrollate). Per questo propone che la politica europea di sviluppo occupi una posizione equivalente a quella della politica della sicurezza.

8.3

In linea con quanto precede, propone che la promozione del modello sociale europeo — norme sociali, accordi tra le parti sociali, regimi universali di protezione sociale — costituisca, nel nuovo contesto della globalizzazione economica, un asse centrale della politica europea di sviluppo.

8.4

Il CESE ritiene che l'abbassamento delle barriere doganali alle esportazioni dei paesi in via di sviluppo e delle sovvenzioni, comprese quelle in campo agricolo, collegate ai prezzi all'esportazione, potrebbe contribuire (24) notevolmente alla riduzione della povertà, anche se i suoi effetti, nel breve periodo, possono essere ambivalenti (infatti i paesi in via di sviluppo importatori netti possono essere negativamente colpiti da un aumento dei prezzi). Per lo stesso motivo, è favorevole ad una riforma degli accordi sui diritti di proprietà intellettuale legati al commercio. Inoltre auspica che il processo di liberalizzazione commerciale dei paesi in via di sviluppo si orienti ad una loro graduale integrazione nei mercati mondiali e si accompagni a programmi di consolidamento strutturale di detti paesi.

8.5

Il CESE propone di inserire negli Accordi di partenariato tra l'Unione europea e diversi paesi e regioni del mondo una dimensione sociale che comprenda almeno la promozione di un lavoro decoroso per tutti, lo sviluppo di sistemi pubblici e privati di protezione sociale e l'effettiva osservanza delle norme sul lavoro stabilite nelle convenzioni fondamentali dell'OIL. Propone inoltre di fissare, all'interno di tali accordi, meccanismi di partecipazione della società civile organizzata.

8.6

Un lavoro decoroso, così come lo definisce l'OIL, è un elemento inscindibile dall'eliminazione della povertà e dall'incremento della coesione sociale. Di conseguenza il CESE propone che il conseguimento dell'obiettivo di un lavoro decoroso per tutti diventi il nono obiettivo di sviluppo del Millennio.

8.7

La difesa dei diritti umani è uno dei fondamenti della politica europea di sviluppo. Il CESE propone pertanto che tale politica contenga misure dirette a proteggere in modo efficace i difensori dei diritti umani, compresi i diritti umani sul posto di lavoro, nelle regioni in cui porta avanti la cooperazione.

8.8

Il CESE propone di inserire la dimensione ambientale tra gli indicatori di efficacia relativi all'applicazione della strategia di sviluppo. Ritiene inoltre che la realizzazione di studi di impatto ambientale dovrebbe essere un requisito preliminare obbligatorio delle azioni di una certa importanza.

8.9

Il CESE ritiene che la politica di sviluppo dell'UE debba contribuire all'integrazione regolarizzata degli immigrati nel rispetto dei loro diritti. Essa deve altresì favorire una politica di sviluppo comune con i paesi di origine dell'immigrazione, attraverso misure per compensare la fuga di cervelli, l'eliminazione degli ostacoli al trasferimento delle rimesse degli immigrati e il sostegno ad un loro ritorno in patria al fine di crearvi imprese produttive. In ogni caso, le politiche dell'immigrazione non devono costituire nuovi condizionamenti alla politica di sviluppo.

8.10

Il CESE chiede che le varie politiche dell'UE siano coerenti con la strategia di sviluppo. È inoltre favorevole all'autonomia e alla specificità della politica di sviluppo rispetto alle altre politiche. Per il Comitato, l'armonizzazione tra la politica di sviluppo dell'UE e quelle degli Stati membri assume sempre maggiore importanza. Per tale motivo, è indispensabile stabilire una piattaforma o un'agenda comune per la politica europea di sviluppo che fissi termini e sistemi di monitoraggio concreti attuabili da parte degli Stati. Il CESE è inoltre favorevole alla partecipazione degli Stati membri e dell'UE ai forum multilaterali mediante l'adozione di posizioni comuni. Il CESE è infine d'accordo con la Commissione sull'opportunità di una politica di sviluppo a livello europeo che metta sia gli Stati membri sia la stessa Commissione dinanzi alle loro responsabilità.

8.11

L'eliminazione della povertà implica, tra le altre cose, una distribuzione diversa del potere e delle opportunità. Per avanzare verso il conseguimento di questo obiettivo, è essenziale consolidare le istituzioni dello Stato sociale e democratico. Per la stessa ragione è necessario potenziare le organizzazioni della società civile. Il CESE propone, di conseguenza, di creare linee di bilancio destinate al raggiungimento di quest'ultimo obiettivo.

8.12

Tenendo conto dell'esempio ormai consolidato offerto dalla relazioni UE-ACP, il CESE invita la Commissione, il Consiglio e il Parlamento europeo a dare il loro sostegno ad un rafforzamento del ruolo del CESE in relazione agli ambienti socioeconomici di altre regioni, ad esempio l'America Latina o i paesi della zona euromediterranea. Il CESE chiede che gli organi politici si pronuncino a favore del mandato politico e dell'assegnazione di risorse tali da consentire la partecipazione dei gruppi di interesse socioeconomici, del riconoscimento a livello istituzionale del dialogo della società civile e della partecipazione ufficiale e regolare di quest'ultima al monitoraggio degli accordi di partenariato, ai vertici, alle riunioni dei comitati parlamentari paritetici e infine alle politiche rilevanti per la stessa società civile, quali quelle relative alla coesione sociale e a un lavoro decoroso per tutti. Auspica infine un sostegno ai propri sforzi volti a promuovere sia la funzione consultiva sia il dialogo sociale, in collaborazione con l'OIL e altre organizzazioni internazionali. In tale contesto, il Comitato chiede alla Commissione, al Consiglio e al Parlamento europeo di approvare l'inserimento, al punto 2.2 della dichiarazione comune sulla politica di sviluppo dell'UE, di un riferimento specifico al CESE come promotore effettivo e necessario del dialogo con gli ambienti economici e sociali.

8.13

Promuovere quadri stabili e democratici per le relazioni di lavoro e il dialogo sociale e favorire la responsabilità sociale delle imprese devono rappresentare, secondo il CESE, obiettivi essenziali della politica europea di sviluppo.

8.14

Il Comitato ritiene inoltre che il valore aggiunto dell'azione comunitaria dovrebbe orientarsi verso obiettivi strategici globali di carattere multisettoriale. Condivide peraltro la volontà di trasformare il sostegno all'Africa subsahariana in una priorità, a condizione che vengano stabiliti i presupposti per una migliore governance in questa regione. Il Comitato chiede inoltre che gli aiuti comunitari siano destinati a tutti i paesi in povertà.

8.15

È convinzione del CESE che la politica europea di sviluppo dovrebbe prestare una maggiore attenzione ai paesi a reddito medio in cui esistono grandi problemi interni di povertà e disuguaglianza. Di tali paesi fanno parte alcuni Stati dell'America Latina, regione con la quale l'UE intende definire un partenariato strategico, e dell'Asia.

8.16

Il CESE propone che le misure di cancellazione del debito, approvate dai paesi che fanno parte del G8, vengano estese a tutti i paesi poveri e finanziate con risorse realmente aggiuntive.

8.17

Il CESE segnala la necessità di rendere operative fonti di finanziamento aggiuntive per il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo e la preservazione dei beni pubblici internazionali. A tale proposito, giudica sia l'iniziativa IFF sia la fissazione di imposte internazionali che, per essere efficaci, dovranno contare su un ampio consenso politico, misure sostenibili e complementari per il conseguimento di tale scopo.

8.18

Il CESE considera lo svincolo degli aiuti essere uno degli obiettivi fondamentali della strategia europea di sviluppo. Invita pertanto il Consiglio a proseguire nella modifica dell'apposito regolamento, andando addirittura al di là delle raccomandazioni formulate dal Comitato per gli aiuti allo sviluppo (CAD).

8.19

Il CESE propone di utilizzare nuove forme di scambio del debito, ad esempio contro istruzione o investimenti negli obiettivi di carattere sociale (rientro degli immigrati, potenziamento delle organizzazioni sociali, ecc.).

8.20

Il miglioramento dell'efficacia degli aiuti resta una sfida per tutte le parti coinvolte. Per il CESE occorre proseguire ed intensificare gli sforzi per conseguire nel miglior modo possibile gli obiettivi di sviluppo.

8.21

Il CESE infine giudica indispensabile portare avanti una politica volta ad aumentare il consenso sociale nei confronti della politica di sviluppo e a far crescere allo stesso tempo una coscienza civile mondiale. Il Comitato è disposto ad agire come strumento di tale politica in collaborazione con le istituzioni comunitarie.

Bruxelles, 29 settembre 2005

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  Il «pacchetto», pubblicato nell'aprile 2005, si compone di tre comunicazioni: COM(2005) 132 sul contributo dell'UE, COM(2005) 133 sul finanziamento dello sviluppo e l'efficacia degli aiuti e COM(2005) 134 sulla coerenza delle politiche di sviluppo.

(2)  Vanno tuttavia segnalate la valutazione d'impatto che accompagna il documento della Commissione, la relazione annuale sulla politica per lo sviluppo e l'aiuto esterno della Comunità e le valutazioni tematiche e geografiche della Commissione che comprendono sistematicamente l'applicazione pratica della politica dello sviluppo.

(3)  ODI/CEI/ECDPM Assessment of the EC development policy. DPS Study report, febbraio 2005.

(4)  Risoluzione dell'Assemblea generale A/RES/55/2 dell'8.9.2000.

(5)  Gli OSM sono i seguenti: 1. Eliminare la povertà estrema e la fame; 2. Assicurare l'istruzione elementare universale; 3. Promuovere la parità tra i sessi e l'indipendenza della donna; 4. Diminuire la mortalità infantile; 5. Migliorare la salute materna; 6. Combattere l'HIV/AIDS, la malaria e altre malattie; 7. Assicurare la sostenibilità ambientale; 8. Sviluppare un partenariato globale per lo sviluppo.

(6)  Parere in merito alla Dimensione sociale della globalizzazione - Il contributo della politica dell'UE perché tutti possano beneficiare dei vantaggi GU C 234 del 22.9.2005.

(7)  Parere Come integrare la dimensione sociale nei negoziati sugli accordi di partenariato economico GU C 255 del 14.10.2005, parere La coesione sociale in America Latina e nei Caraibi GU C 110 del 30.4.2004, parere I diritti dell'uomo sul lavoro (CESE 933/2001).

(8)  Convenzione sulla libertà sindacale e la protezione del diritto sindacale (convenzione 87), Convenzione sul diritto di organizzazione e contrattazione collettiva (convenzione 98), Convenzione sul divieto del lavoro forzato (convenzione 29), Convenzione sull'abolizione del lavoro forzato (convenzione 105) e Convenzione sulla discriminazione nell'impiego e nella professione (convenzione 111), Convenzione sulla parità di retribuzione (convenzione 100) Convenzione sull'età minima (convenzione 138), Convenzione sulle forme peggiori di lavoro minorile (convenzione 182).

(9)  Parere La coesione sociale in America Latina e nei Caraibi, GU C 110 del 30.4.2004, pag. 55.

(10)  Di particolare importanza risulta la violazione dei diritti sindacali in diverse regioni del mondo, ad esempio l'America Latina, in cui i rappresentanti sindacali sono perseguitati, arrestati e, spesso, assassinati.

(11)  Cfr. il parere del CESE in merito al Libro verde sull'approccio dell'Unione europea alla gestione della migrazione economica GU C 255 del 14.10.2005.

(12)  Parere del CESE sul tema Integrazione nella cittadinanza dell'Unione europea GU C 208 del 3.9.2003.

(13)  Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni - Migrazione e sviluppo: alcuni orientamenti concreti (COM(2005) 390 def.) (trad. provv.).

(14)  Termine che indica l'utilizzo inadeguato delle risorse da parte del beneficiario.

(15)  Il CESE si rende conto che la rappresentatività delle organizzazioni della società civile è un aspetto molto importante, e un apposito sottocomitato si sta attualmente occupando di questo problema. L'accordo ACP-UE di Cotonou prevede alcuni criteri di ammissibilità per le ONG, in questo caso, per accedere ai fondi del FES. Allo stesso modo, il parere del CESE sul tema La società civile organizzata ed il sistema di governo europeo (governance) - Contributo del Comitato all'elaborazione del Libro bianco elenca i criteri di rappresentatività delle organizzazioni della società civile europea.

(16)  Ad esempio, i forum della società civile organizzati dalla DG RELEX in merito alle relazioni tra UE e Comunità andina, America centrale, Messico o Mercosur.

(17)  Orientamenti dell'OCSE per le imprese multinazionali, OCSE 2000.

(18)  Pareri del CESE in merito al «Libro verde - Promuovere un quadro europeo per la responsabilità sociale delle imprese»GU C 125 del 27.2.2002 e alla «Comunicazione della Commissione sull'Agenda sociale»GU C 294 del 25.11.2005.

(19)  Accelerare i progressi verso la realizzazione degli obiettivi di sviluppo del millennio - Il contributo dell'Unione europea - (COM(2005) 132 def.)

(20)  Cfr il parere GU C 157 del 28.6.2005 sulla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sull'accesso all'assistenza esterna della Comunità (relatore: ZUFIAUR).

(21)  La Commissione europea ha elaborato uno studio sul tema del finanziamento addizionale allo sviluppo nell'aprile 2005: Comission Staff Working Paper. New Sources of Financing for Develepoment; A Review of Options (SEC(2005).467). (Documento di lavoro della Commissione. Nuove fonti di finanziamento per lo sviluppo - Le diverse opzioni), nonché una comunicazione Accelerating Progress Towards achieving The MDG. Financing for Development and Aid Effectiveness (Accelerare i progressi verso la realizzazione degli obiettivi di sviluppo del Millennio - Finanziamento allo sviluppo e efficacia dell'aiuto. (trad. provv.)) (COM(2005) 133 def.). Nei due documenti si presentano diverse iniziative e la posizione degli Stati membri al riguardo. Nonostante tali posizioni non siano definitive, alcuni Stati membri hanno già adottato posizioni più avanzate rispetto a queste nuove fonti di finanziamento per i fondi globali.

(22)  Cfr. il parere GU C 112 del 30.4.2004 sulla coesione sociale in America Latina e nei Caraibi (relatore: ZUFIAUR).

(23)  Cfr. a questo proposito il parere del CESE in corso di elaborazione L'azione esterna dell'Unione europea: il ruolo della società civile organizzata (relatore: KORYFIDIS) — GU C 74 del 23.3.2005 (parere non ancora disponibile in italiano).

(24)  Secondo gli studi di diverse organizzazioni internazionali, l'impatto della riduzione degli aiuti all'esportazione sull'economia dei paesi in via di sviluppo è difficile da valutare e varia in funzione della situazione specifica dei singoli paesi e della struttura dei loro scambi.