52004DC0811

Libro verde sull’approccio dell’Unione europea alla gestione della migrazione economica /* COM/2004/0811 def. */


Bruxelles, 11.1.2005

COM(2004) 811 definitivo

LIBRO VERDE

SULL’APPROCCIO DELL’UNIONE EUROPEA ALLA GESTIONE DELLA MIGRAZIONE ECONOMICA

(presentato dalla Commissione)

INDICE

1. Introduzione 3

2. Sviluppo di un approccio dell’Unione europea alla migrazione della forza lavoro 5

2.1. A quale livello di armonizzazione dovrebbe mirare l’UE? 5

2.2. Procedure di ammissione per l’occupazione retribuita 6

2.2.1 Preferenza per il mercato del lavoro interno 6

2.2.2 Sistemi di ammissione 8

2.3. Procedure di ammissione per il lavoro autonomo 9

2.4. Domande di permesso/i di lavoro e di soggiorno 10

2.5. Possibilità di cambiare datore di lavoro/settore 10

2.6. Diritti 11

2.7. Misure di accompagnamento: integrazione, rimpatrio e cooperazione con i paesi terzi 11

3. Conclusione 13

Allegato 14

1. INTRODUZIONE

Il presente Libro verde mira ad avviare un dibattito approfondito, con la partecipazione delle istituzioni dell’UE, degli Stati membri e della società civile, sulla forma più appropriata che dovrebbe avere la normativa comunitaria in materia di ammissione dei migranti per motivi economici e sul valore aggiunto dell’adozione di questa disciplina comune. La Commissione intende organizzare un’audizione pubblica nel 2005 per discutere della questione con tutte le parti interessate.

Il presente Libro verde ha per oggetto le procedure di ammissione dei cittadini di paesi terzi che migrano per motivi economici e non tratta della libera circolazione dei cittadini dell’UE all’interno dell’Unione. Le discussioni sul completamento del mercato comunitario del lavoro hanno luogo in un altro contesto.

Ai sensi dell’articolo 63, paragrafo 3, del trattato CE, il Consiglio adotta “ misure in materia di politica dell’immigrazione nei seguenti settori: (a) condizioni di ingresso e soggiorno e norme sulle procedure per il rilascio da parte degli Stati membri di visti a lungo termine e di permessi di soggiorno” . È dal Consiglio europeo di Tampere, svoltosi nell’ottobre 1999, che la Commissione cerca di avviare approfondite discussioni su un progetto strategico in materia di migrazione economica. Nel 2001 la Commissione ha adottato una proposta di direttiva relativa alle “ condizioni d’ingresso e di soggiorno dei cittadini di paesi terzi che intendono svolgere attività di lavoro subordinato o autonomo ”[1]. Mentre le altre istituzioni europee hanno espresso parere favorevole[2], la discussione in seno al Consiglio si è limitata ad una prima lettura del testo.

La Commissione ritiene che sia giunto il momento di riesaminare questa questione alla luce degli sviluppi compiuti in materia di immigrazione negli ultimi tre anni. A livello politico, il Consiglio europeo di Salonicco del 19-20 luglio 2003 ha sottolineato “ l’esigenza di ricercare mezzi legali per l’ingresso di cittadini di paesi terzi nell’Unione, in considerazione delle capacità ricettive degli Stati membri [...] ” . Il Trattato che istituisce una Costituzione per l’Europa, convenuto nel corso del Consiglio europeo di Bruxelles del 17-18 giugno 2004, statuisce: “ L’Unione sviluppa una politica comune dell’immigrazione intesa ad assicurare, in ogni fase, la gestione efficace dei flussi migratori [...]”[3].

Nel frattempo, prendendo atto dell’incidenza del calo e dell’invecchiamento demografico sull’economia, la Commissione ha evidenziato la necessità di rivedere le politiche in materia di immigrazione a più lungo termine[4], soprattutto alla luce delle ripercussioni che una strategia in materia di immigrazione economica avrebbe sulla competitività e quindi sulla realizzazione degli obiettivi di Lisbona. Sono proprio le tendenze demografiche che hanno stimolato il dibattito sull’immigrazione nell’UE, senza mettere in discussione il diritto degli Stati membri di stabilire il numero di migranti da ammettere. Di fatto, anche se gli obiettivi occupazionali di Lisbona fossero conseguiti entro il 2010, i livelli generali di occupazione sarebbero comunque destinati a subire un calo a causa del cambiamento demografico. Nel periodo 2010-2030, al ritmo degli attuali flussi migratori, il calo della popolazione in età attiva nell’UE-25 comporterà una riduzione del numero degli occupati di circa 20 milioni di unità. Questi sviluppi avranno un forte impatto sulla crescita economica generale, sul funzionamento del mercato interno e sulla competitività delle imprese dell’Unione.

In tale contesto, e sebbene l’immigrazione in sé non rappresenti una soluzione al problema dell’invecchiamento demografico, saranno necessari sempre maggiori flussi migratori per far fronte alle esigenze del mercato del lavoro dell’UE e per garantire la prosperità dell’Europa. L’immigrazione, inoltre, incide sempre di più sull’imprenditoria. L’Unione deve inoltre tener conto del fatto che le principali regioni del mondo si stanno già attivando per attirare lavoratori migranti che soddisfino le esigenze delle rispettive economie. È quindi particolarmente importante che una politica comunitaria in materia di immigrazione per motivi economici garantisca alle persone ammesse uno status giuridico certo e una serie di diritti che facilitino la loro integrazione.

Inoltre, un’iniziativa strategica europea è resa ancora più necessaria dal fatto che, se non ci fosse, le probabilità che i flussi migratori possano aggirare le normative nazionali in materia sarebbero ancora maggiori. Pertanto, in mancanza di criteri comuni relativi all’ammissione di migranti economici, il numero dei cittadini di paesi terzi che entrano illegalmente nell’Unione europea e senza garanzia di avere un lavoro in regola – e quindi di integrarsi nelle nostre società – è destinato ad aumentare.

In tale contesto, la Commissione riconosce pienamente che le decisioni relative al numero dei migranti in cerca di occupazione da ammettere sono di competenza degli Stati membri. Il progetto di Trattato costituzionale statuisce: “ Il presente articolo [III-267] non incide sul diritto degli Stati membri di determinare il volume di ingresso nel loro territorio dei cittadini di paesi terzi, provenienti da paesi terzi, allo scopo di cercarvi un lavoro subordinato o autonomo ”. Le decisioni di ammettere questi cittadini di paesi terzi in uno Stato membro incidono tuttavia anche sugli altri Stati membri (diritto di viaggiare nell’area Schengen, prestare servizi in altri Stati membri, trasferirsi in altri Stati membri una volta ottenuto lo status di residente di lungo periodo; incidenza dell’ammissione di lavoratori di paesi terzi sul mercato del lavoro dell’UE) e l’Unione europea è soggetta a obblighi internazionali nei confronti di alcune categorie di migranti per motivi economici. Secondo la Commissione, si tratta di un tipico caso in cui è evidentemente necessario convenire a livello di Unione norme e criteri comuni trasparenti e più armonizzati per l’ammissione di migranti per motivi economici.

Quanto predetto, aggiunto alla riflessione sul valore aggiunto dell’adozione di misure a livello UE, costituisce il fondamento di qualsiasi iniziativa in materia. Qualsiasi misura, inoltre, deve ridurre al minimo l’onere amministrativo per gli Stati membri e i cittadini di paesi terzi.

Il presente Libro verde non mira pertanto né a illustrare le politiche dell’UE-25, né a raffrontarle con quelle di altre regioni del mondo, bensì ad individuare le principali problematiche ed eventuali opzioni per una disciplina legislativa comunitaria in materia di migrazione economica. Nel far ciò, la Commissione ha tenuto conto delle riserve e delle preoccupazioni manifestate dagli Stati membri durante le discussioni che si sono svolte sulla proposta di direttiva del 2001 e propone possibili alternative.

Per concludere, nel programma dell’Aia il Consiglio europeo del 4-5 novembre 2004 ha sottolineato l’importanza del dibattito sul Libro verde che – unitamente alle migliori pratiche negli Stati membri e alla loro importanza per l’attuazione della strategia di Lisbona – dovrebbe fungere da base per “ un programma politico in materia di migrazione legale che includa procedure di ammissione, che consentano di reagire rapidamente alla domanda fluttuante di manodopera straniera nel mercato del lavoro ”[5]. La Commissione presenterà questo programma entro la fine del 2005.

2. SVILUPPO DI UN APPROCCIO DELL’UNIONE EUROPEA ALLA MIGRAZIONE DELLA FORZA LAVORO

Secondo la Commissione, i dibattiti sulla futura politica europea in materia di migrazione devono concentrarsi su alcuni aspetti fondamentali che, sebbene non esaustivi della problematica, sono tuttavia interdipendenti. Le opzioni suggerite possono essere tra loro combinate in vario modo, a seconda dell’obiettivo da realizzare.

2.1. A quale livello di armonizzazione dovrebbe mirare l’UE?

Essendo l’accesso dei cittadini di paesi terzi al mercato del lavoro una questione estremamente delicata, la Commissione ritiene che sia possibile istituire una politica comunitaria efficace in materia soltanto progressivamente, onde consentire un più semplice e graduale passaggio dalla normativa nazionale a quella comunitaria. È pertanto opportuno considerare la normativa comunitaria relativa all’ammissione di migranti per motivi economici come una “prima tappa” e fissare alcune definizioni, criteri e procedure comuni lasciando tuttavia che siano gli Stati membri a far fronte al fabbisogno specifico dei mercati del lavoro nazionali. Va ricordato che il progetto di trattato costituzionale lascia alla discrezionalità degli Stati membri la determinazione del volume di ammissione delle persone giunte ai propri confini in cerca di lavoro. Tuttavia, un sistema di coordinamento grazie al quale quegli Stati membri che utilizzano quote di ingresso nazionali informino la Commissione sull’applicazione e i risultati delle politiche in materia può essere vantaggioso nella valutazione del fabbisogno globale del mercato del lavoro comunitario e contribuire altresì alla formulazione di una politica comunitaria comune in materia di migrazione legale, nonché ad una procedura più efficiente e meglio coordinata, nell’interesse sia degli Stati membri che dei migranti stessi.

Per quanto concerne il campo di applicazione della futura legislazione comunitaria, secondo la Commissione esistono diverse opzioni. Una prima possibilità sarebbe quella di adottare un approccio orizzontale sulla falsariga della proposta iniziale, disciplinando le condizioni di ingresso e soggiorno dei cittadini di paesi terzi che esercitano attività di lavoro subordinato, autonomo o di altra natura economica per un periodo di oltre 3 mesi nel territorio di uno Stato membro. Alcune disposizioni specifiche potrebbero disciplinare esigenze particolari di determinati gruppi, tra cui i lavoratori stagionali, lavoratori trasferiti all’interno di una stessa società (distacchi intrasocietari), ecc. Il vantaggio consisterebbe nella creazione di una disciplina comune globale, ampiamente flessibile, in materia di migrazione economica.

Sulla scia delle proposte di direttiva relative alle condizioni d’ingresso e di soggiorno dei cittadini di paesi terzi rispettivamente per motivi di studio[6] e a fini di ricerca scientifica[7], un’alternativa è rappresentata da una serie di proposte legislative settoriali . Tali proposte potrebbero concentrarsi sui lavoratori stagionali, sui distacchi intrasocietari, sui lavoratori migranti con qualifiche specifiche (non necessariamente altamente qualificati), sui prestatori contrattuali di servizi e/o altre categorie, tralasciando per il momento qualsiasi tipo di disciplina comune generale relativa all’ammissione di lavoratori di paesi terzi. Il vantaggio, in tal caso, consisterebbe nell’adozione più agevole di norme comuni.

Potrebbero essere esaminati anche altri approcci, ad esempio la creazione di una procedura comune accelerata per l’ammissione di lavoratori migranti nei casi di carenza di manodopera e qualifiche specifiche. Questa procedura verrebbe attivata qualora un certo numero di Stati membri ottenga l’autorizzazione del Consiglio attraverso una procedura rapida. In tal modo si eviterebbero tra gli Stati membri competizioni inutili e suscettibili di recare nocumento quando si tratta di assumere determinate categorie di lavoratori.

- Fino a che punto andrebbe sviluppata una politica europea in materia di immigrazione per lavoro e quale dovrebbe essere il grado di intervento comunitario in materia?

- La normativa europea in materia di immigrazione dovrebbe mirare ad un quadro giuridico globale che disciplini tutti i cittadini di paesi terzi che giungono nell’Unione europea, o dovrebbe concentrarsi preferibilmente su gruppi specifici di immigrati?

- Se si dovesse scegliere un approccio legislativo settoriale, quali gruppi di migranti andrebbero scelti prioritariamente e perché?

- Sarebbe utile analizzare anche altri approcci, come ad esempio una procedura europea accelerata? Quali altre opzioni potrebbero essere proposte?

2.2. Procedure di ammissione per l’occupazione retribuita

In termini generali, prima di ammettere un lavoratore di un paese terzo, gli Stati membri richiedono la prova che il posto vacante in questione non possa essere occupato da chi è già presente sul mercato del lavoro interno (attraverso la cosiddetta ‘prova della necessità economica’). Alcuni Stati membri ammettono categorie speciali di lavoratori – lavoratori altamente specializzati o appartenenti a settori o categorie occupazionali ove si registrano carenze di manodopera – attraverso regimi speciali quali le procedure accelerate, le carte verdi, ecc. Tali approcci possono essere vagliati a livello UE. Da parte sua, l’Unione dovrebbe avvalersi anche dell’esperienza di altre regioni del mondo[8].

2.2.1 . Preferenza per il mercato del lavoro interno

Il principio della “preferenza comunitaria” è così definito: “ Gli Stati membri terranno conto delle richieste di accesso sul loro territorio per fini di occupazione solo qualora l’offerta di posti di lavoro proposta in uno Stato membro non possa essere coperta dalla manodopera nazionale e comunitaria o dalla manodopera non comunitaria che risiede legalmente e a titolo permanente in detto Stato membro e che già fa parte del regolare mercato del lavoro di detto Stato” [9] . Alcuni Stati membri esentano tuttavia dalla preferenza comunitaria alcune categorie di migranti per motivi economici (distacchi intrasocietari, artisti dello spettacolo di fama internazionale, ecc.).

La questione principale si accentra sulla concessione di tale trattamento preferenziale ai lavoratori stranieri già presenti in uno Stato membro rispetto ai cittadini di paesi terzi giunti solo di recente. A partire dal 2006 i residenti di lungo periodo avranno la preferenza rispetto ai migranti giunti solo di recente nello Stato membro di residenza e potranno trasferirsi e stabilirsi in un secondo Stato membro per motivi di studio, lavoro o di altra natura[10]. Questo trattamento preferenziale andrebbe esteso anche ai cittadini di paesi terzi residenti in uno Stato membro diverso da quello in cui si registra la carenza di manodopera (oltre ai residenti di lungo periodo)? Ciò non limiterebbe comunque il diritto del secondo Stato membro di decidere chi ammettere nel proprio territorio, ma semplificherebbe le assunzioni, contribuendo a colmare più rapidamente ed efficacemente le lacune di manodopera e di qualifiche speciali ove esse si verifichino. L’Unione europea potrebbe così fare affidamento su uno “stock” di manodopera che ha già iniziato ad integrarsi.

Questo trattamento preferenziale potrebbe inoltre essere accordato anche a coloro che hanno già lavorato per alcuni anni nell’Unione europea prima di ritornare temporaneamente nel paese d’origine. Ciò consentirebbe quindi di promuovere una cosiddetta “circolazione di cervelli”, visto che si dà la possibilità ai lavoratori extracomunitari di cercare di reintegrarsi nel proprio paese con la consapevolezza che verrà loro riconosciuto un trattamento preferenziale in termini di riammissione nell’Unione qualora manifestassero in futuro l’intenzione di tornarvi per motivi di lavoro.

- Come si può garantire che il principio della “preferenza comunitaria” venga applicato in modo efficace?

- È ancora pertinente l’attuale definizione di preferenza comunitaria? In caso contrario, come andrebbe modificata?

- A quali altri migranti per motivi economici (a prescindere dai distacchi intrasocietari) non si dovrebbe applicare la logica della preferenza comunitaria?

- A prescindere dai residenti di lungo periodo, a quali categorie di cittadini di paesi terzi – se ve ne sono – andrebbe accordato un trattamento preferenziale rispetto ai lavoratori stranieri giunti solo di recente?

- Si dovrebbe concedere un diritto di priorità – a precise condizioni – ai cittadini di paesi terzi che hanno temporaneamente lasciato l’Unione europea dopo avervi lavorato per un determinato periodo?

- Semplificare la mobilità dei lavoratori di paesi terzi da uno Stato membro ad un altro apporterebbe vantaggi all’economia dell’Unione e ai mercati nazionali del lavoro? Come si potrebbe mettere in pratica tutto ciò in maniera efficace? Con quali limitazioni/agevolazioni?

- Come possono, i servizi pubblici dell’occupazione (SPO) e il portale della mobilità occupazionale di EURES[11], contribuire ad agevolare la migrazione della manodopera proveniente da paesi terzi?

2.2.2 . Sistemi di ammissione

A prescindere dal sistema, è necessario affrontare innanzitutto una questione specifica: l’ammissione dei cittadini di paesi terzi al mercato del lavoro dell’UE va consentita solo in caso di uno specifico posto vacante, oppure potrebbero esserci sistemi più flessibili, quali ad esempio le carte verdi, finalizzati ad attirare lavoratori per soddisfare il fabbisogno del mercato del lavoro nel breve e lungo periodo? Vi è inoltre la questione della procedura da seguire per i cittadini di paesi terzi che desiderano essere ammessi nell’Unione europea per svolgere un’attività economica (ad esempio nel caso in cui sia stato concluso un contratto di prestazione di servizi tra il proprio datore di lavoro sito in un paese terzo ed un cliente dell’Unione europea), ma che di fatto non entrano nel mercato del lavoro dell’UE.

- L’ammissione di cittadini di paesi terzi al mercato del lavoro dell’UE va esclusivamente subordinata ad un effettivo posto di lavoro vacante o andrebbe concessa agli Stati membri la possibilità di ammettere cittadini di paesi terzi anche in assenza di tale requisito?

- Quale procedura va applicata ai migranti per motivi economici che non entrano nel mercato del lavoro?

Se l’ammissione va subordinata ad uno specifico posto di lavoro vacante (prova della necessità economica) e presupponendo altresì un approccio orizzontale dell’Unione alla migrazione economica, si potrebbe procedere con una “valutazione individuale”: se un datore di lavoro ha pubblicato un annuncio di lavoro per un periodo minimo ma non ha ricevuto alcuna candidatura appropriata a livello interno del mercato del lavoro UE, potrà assumere qualcuno dall’esterno. Tale sistema – strettamente legato ad uno strumento come EURES per diffondere informazioni sui posti vacanti in ambito UE – renderebbe possibile un certo controllo sulle assunzioni, in modo da limitare gli abusi. Un’altra questione riguarda l’opportunità di ripetere o meno la prova della necessità economica quando un contratto di lavoro a breve termine giunge a scadenza e il datore di lavoro intende rinnovarlo.

- La prova della necessità economica è da ritenersi un sistema efficace? Andrebbe applicata in modo flessibile, tenendo conto, ad esempio, delle caratteristiche regionali e settoriali, o delle dimensioni dell’impresa in questione?

- È opportuno stabilire un periodo minimo in cui va pubblicato un annuncio di lavoro prima che possa essere preso in considerazione un candidato proveniente da un paese terzo?

- In quale altro modo si può efficacemente dimostrare che sia necessario assumere un lavoratore proveniente da un paese terzo?

- La prova della necessità economica andrebbe ripetuta alla scadenza del permesso di lavoro, nel caso in cui il contratto di lavoro – in virtù del quale il lavoratore straniero è stato ammesso nell’Unione – è stato/sarà rinnovato?

Una maggiore flessibilità potrebbe provenire dai vari sistemi facoltativi: uno Stato membro potrebbe subordinare la prova della necessità economica al superamento di un determinato reddito annuo e/o livello di qualifica e/o potrebbe non essere necessaria la dimostrazione di carenze per determinati/e settori o regioni, individuati/e dallo Stato membro in questione (carte verdi). Si potrebbe applicare lo stesso principio anche a quote di lavoratori, consentendo in tal modo agli Stati membri di far fronte ai propri impegni internazionali nei confronti dei paesi terzi.

- Quali altri sistemi facoltativi potrebbero essere contemplati?

Una possibilità sarebbe quella di applicare un sistema di selezione a livello UE per soddisfare il fabbisogno di qualifiche specifiche, soprattutto in una prospettiva di lungo periodo. A livello UE potrebbe essere istituito quadro di riferimento comune (ad es., anni di esperienza, istruzione, conoscenze linguistiche, esistenza di un’offerta di lavoro/carenza di manodopera, membri di famiglia presenti in quello Stato membro, ecc.) e, a quel punto, ciascuno Stato membro potrebbe decidere se applicarlo o meno: in caso affermativo, spetterebbe sempre allo Stato decidere come renderlo compatibile al fabbisogno del mercato del lavoro nazionale. In alternativa, vi potrebbero essere altri sistemi, ad esempio uno per i lavoratori scarsamente qualificati (ad es., preferenza agli anni di esperienza maturata in un determinato settore) e uno per i lavoratori mediamente/altamente qualificati (ad es., preferenza al grado di istruzione e quindi all’esperienza) e gli Stati membri potrebbero scegliere quale applicare. Tale sistema può coesistere sia con il principio della “valutazione individuale” che con quello delle “carte verdi”. Infine, per quegli Stati membri che intendessero farlo, sarebbe anche possibile introdurre “permessi per le persone in cerca di occupazione” per determinate qualifiche, settori, ecc.

In tale contesto si potrebbe prevedere un “sistema di compensazione”, basato ad esempio sui servizi forniti da EURES, grazie al quale un datore di lavoro potrebbe consultare i CV dei candidati per tutta l’Unione europea quando si presenta la necessità di assumere lavoratori di paesi terzi. Quando si ritiene di aver trovato il candidato giusto, il cittadino straniero potrebbe verificare sul sito web dello Stato membro se è in possesso dei requisiti richiesti e avviare così le procedure per ottenere i permessi.

- Un sistema di selezione può fungere da eventuale regola generale a livello UE per ammettere i migranti per motivi economici al mercato del lavoro e quali dovrebbero essere i requisiti pertinenti?

- Come possono i datori di lavoro avere accesso ai CV dei candidati a livello UE e come andrebbe rafforzato EURES in tale contesto?

- Andrebbe prevista la possibilità di concedere un “permesso per le persone in cerca di occupazione”?

2.3. Procedure di ammissione per il lavoro autonomo

A livello UE potrebbero essere introdotti anche requisiti armonizzati per ammettere cittadini di paesi terzi per quanto concerne il lavoro autonomo. Si tratterebbe di requisiti diversi da quelli previsti alla sezione 2.2: ad esempio, al cittadino di un paese terzo si potrebbe richiedere la presentazione di un programma economico dettagliato e finanziariamente sostenibile, prove concrete dei propri mezzi finanziari e dimostrazione dell’impatto positivo di queste attività sull’occupazione o sullo sviluppo economico dello Stato membro di cui trattasi. Potrebbero essere altresì introdotti diversi gradi di flessibilità, tra cui la possibilità per gli Stati membri di escludere o incentivare taluni settori, ecc.

- L’Unione europea dovrebbe disporre di norme comuni in materia di ammissione di lavoratori autonomi di paesi terzi? Se sì, quali dovrebbero essere le condizioni?

- Dovrebbero essere previste eventuali procedure più flessibili per l’ammissione nell’Unione di lavoratori autonomi per un periodo inferiore a 12 mesi al fine di portare a termine un contratto specifico concluso con un cliente comunitario? Se sì, quali?

2.4. Domande di permesso/i di lavoro e di soggiorno

Le procedure vigenti potrebbero essere snellite grazie ad un’unica procedura di domanda nazionale che porterebbe ad ottenere un permesso combinato di lavoro e di soggiorno (procedura unica). Quando è necessario un visto d’ingresso, gli Stati membri potrebbero scegliere se continuare a richiedere un visto d’ingresso iniziale o ritenere che sia sufficiente il rilascio di questo permesso combinato da parte del consolato.

Il permesso non interferirebbe né con le prassi interne delle amministrazioni nazionali, né con i requisiti di ammissione. Nella maggioranza degli Stati membri i cittadini di paesi terzi devono essere già in possesso di un permesso di lavoro prima che la loro domanda di permesso di soggiorno possa essere esaminata: si potrebbe quindi avere l’impressione che il rilascio di un permesso di soggiorno – che avviene in base a criteri diversi rispetto al permesso di lavoro – diventerebbe pressoché automatico con la procedura combinata, ciò che non è nelle intenzioni della Commissione.

L’alternativa sarebbe di non disciplinare la questione a livello UE. Una posizione di compromesso potrebbe essere quella di proporre una domanda unica per il permesso di soggiorno e di lavoro, anche se alla fine si otterrebbero due permessi distinti, rilasciati in base alla normativa nazionale.

- Dovrebbe esserci a livello UE un “permesso di lavoro-soggiorno” combinato? Quali sarebbero i relativi vantaggi/svantaggi?

- O si dovrebbe invece proporre una domanda unica (per entrambi i permessi di lavoro e di soggiorno)?

- Ci sono altre alternative?

2.5. Possibilità di cambiare datore di lavoro/settore

La possibilità di cambiare datore di lavoro e/o settore nel corso del primo periodo di lavoro nell’Unione europea è strettamente legata alla questione di chi è titolare del permesso e ai requisiti di ammissione del lavoratore (sezione 2.2). Se il cittadino di un paese terzo è stato ammesso in base ad un regime speciale, la mobilità del lavoratore potrebbe essere temporaneamente limitata per evitare un uso abusivo dei requisiti di ammissione. Non sussistono invece problemi di alcun genere per l’economia del paese di accoglienza se il lavoratore non è stato ammesso in base a regimi speciali e gli viene offerto un lavoro più gratificante (previa la prova della necessità economica, se del caso). Per quanto riguarda i permessi, se il titolare del permesso è il datore di lavoro, il lavoratore potrebbe trovarsi esposto al rischio di essere indebitamente controllato (o persino “posseduto”) dal suo futuro datore di lavoro.

- Dovrebbero essere previste limitazioni alla mobilità dei cittadini di paesi terzi all’interno del mercato del lavoro dello Stato membro di residenza? In caso affermativo, quali (relative al datore di lavoro, al settore, alla regione, ecc.), in quali circostanze e per quanto tempo?

- Chi dovrebbe essere titolare del permesso: il datore di lavoro, il lavoratore o entrambi (permesso congiunto)?

2.6. Diritti

I lavoratori migranti devono avere la garanzia di uno status giuridico certo[12], indipendentemente dal fatto che essi intendano ritornare nel proprio paese d’origine oppure ottenere uno status stabile. Ai lavoratori di paesi terzi va garantito lo stesso trattamento riservato ai cittadini dell’Unione, soprattutto in relazione a determinati diritti fondamentali economici e sociali, prima di ottenere lo status di residente di lungo periodo. Questo status comporta una più ampia serie di diritti, conformemente al principio della differenziazione dei diritti a seconda della durata del soggiorno.

- Quali diritti specifici dovrebbero essere concessi ai cittadini di paesi terzi che lavorano temporaneamente nell’Unione?

- Il godimento di determinati diritti dovrebbe essere subordinato ad un soggiorno minimo? In caso affermativo, quali diritti e per quale periodo minimo?

- Dovrebbero esservi incentivi – ad es., condizioni migliori per il ricongiungimento familiare o per ottenere lo status di residente di lungo periodo – per attirare determinate categorie di lavoratori di paesi terzi? In caso affermativo, per quale motivo e di quali incentivi dovrebbe trattarsi?

2.7. Misure di accompagnamento: integrazione, rimpatrio e cooperazione con i paesi terzi

La Commissione ha già sottolineato in alcune comunicazioni[13], e nelle conclusioni del Consiglio su migrazione e sviluppo del 19 maggio 2003, che un’efficace politica comunitaria in materia di migrazione economica richiede che i flussi migratori siano gestiti in cooperazione con i paesi d’origine e di transito, tenendo conto delle loro realtà e fabbisogni. Le misure adottate non possono prescindere da politiche attive per l’integrazione dei migranti ammessi.

Ne consegue che la cooperazione con i paesi terzi, volta a facilitare la migrazione legale e l’integrazione sociale ed economica dei potenziali migranti, deve affrontare anche una serie di problematiche quali la fuga di cervelli, il fatto che i paesi d’origine effettuano investimenti per migliorare le qualifiche di persone che lasceranno poi l’economia e la società di origine per andare a lavorare all’estero, le difficoltà per i migranti di mantenere legami sociali e culturali, ecc. È importante riflettere su come affrontare tali problematiche, nonché su misure atte a semplificare il ritorno dei lavoratori temporanei nel paese d’origine una volta scaduto il loro contratto e a consentirne il reintegro nella società nazionale. Tra le possibili misure per incoraggiare le situazioni più vantaggiose, e/o per compensare le eventuali conseguenze negative, si possono citare: fornire informazioni aggiornate sulle condizioni di ingresso e di soggiorno nell’Unione europea; fondare centri di assunzione e formazione nei paesi d’origine per le qualifiche richieste a livello UE, nonché per la formazione culturale e linguistica; creare banche dati per qualifica/occupazione/settore (portafoglio di competenze) dei potenziali migranti; agevolare il trasferimento delle rimesse; offrire compensazioni ai paesi terzi per i costi dell’istruzione di coloro che lasciano il paese per lavorare nell’UE. Un’altra questione riguarda l’eventuale concessione a determinati paesi terzi di un trattamento preferenziale per l’ammissione dei propri cittadini nell’ambito di accordi rafforzati di cooperazione.

Inoltre, come segnalato nel Primo Rapporto Annuale su Migrazione e Integrazione, l’Unione deve proseguire la propria attività di promozione di una migliore integrazione degli immigrati presenti e futuri, sia sul mercato del lavoro che nel tessuto sociale del paese di accoglienza. In tutti gli Stati membri stanno acquisendo sempre maggiore importanza i programmi di inserimento dei nuovi immigrati, che riguardano soprattutto la formazione linguistica, l’educazione civica e l’informazione relativa alle regole e ai valori fondamentali che governano la società ospitante.

- Quali misure di accompagnamento andrebbero previste per agevolare l’ammissione e l’integrazione dei migranti per motivi economici, sia nell’Unione che nei paesi d’origine?

- In linea con le politiche dell’UE per lo sviluppo, cosa potrebbe fare l’UE per incoraggiare la circolazione dei cervelli e prevenire le conseguenze potenzialmente negative della fuga di cervelli?

- I paesi in via di sviluppo dovrebbero ricevere una compensazione (da chi e in che modo) per gli investimenti effettuati nel capitale umano che in seguito partirà per lavorare nell’UE? Come si possono circoscrivere gli effetti negativi?

- I paesi d’accoglienza e d’origine dovrebbero avere l’obbligo di garantire il ritorno dei migranti per motivi economici giunti a lavorare nell’UE solo temporaneamente? In caso affermativo, in che modo?

- Come si può gestire il rimpatrio a vantaggio reciproco dei paesi d’accoglienza e d’origine?

- Si dovrebbe concedere ad alcuni paesi terzi un trattamento preferenziale in termini di ammissione e in che modo?

- Questi trattamenti preferenziali potrebbero essere legati a dei contesti particolari, quali ad esempio la politica europea di prossimità o le strategie di preadesione?

3. CONCLUSIONE

La Commissione ritiene che l’ammissione dei migranti per motivi economici sia la pietra miliare della politica in materia di immigrazione e che sia pertanto necessario affrontarla a livello europeo nel quadro di una progressiva evoluzione di una coerente politica comunitaria dell’immigrazione. Nel presente Libro verde la Commissione ha cercato di delineare i punti principali della questione e ha proposto una serie di opzioni diverse che potrebbero essere incluse in un quadro comunitario comune. Questo sistema dovrebbe essere trasparente, non burocratico, pienamente operativo e agire nell’interesse di tutte le parti in causa: migranti, paesi d’origine e paesi d’accoglienza. Nell’intensificare la politica volta ad attirare i migranti per motivi economici e a facilitarne l’ammissione, l’UE e gli Stati membri devono considerare molto attentamente i possibili effetti negativi che tale deflusso può provocare nel paese d’origine.

L’obiettivo primario del Libro verde consiste nel sollecitare reazioni da tutte le parti interessate e nell’avviare un’ampia discussione fra di esse. Il Consiglio, il Parlamento europeo, il Comitato economico e sociale europeo, il Comitato delle regioni, le autorità nazionali, regionali e locali, le parti sociali (comprese le associazioni imprenditoriali e i sindacati), le organizzazioni non governative, i paesi candidati, i paesi terzi partner, le università, nonché le altre organizzazioni della società civile e gli individui interessati sono invitati a fornire il proprio contributo al dibattito. Non appena ultimato questo processo di consultazione, la Commissione presenterà entro il 2005, come previsto dal programma dell’Aia, un programma politico in materia di migrazione legale che includa procedure di ammissione.

In vista dell’audizione pubblica sulla migrazione economica che avrà luogo nel 2005, la Commissione invita tutti gli interessati a far pervenire le proprie osservazioni scritte entro il 15 aprile 2005 al seguente indirizzo:

Direttore generale

Direzione generale Giustizia, Libertà e Sicurezza

Commissione Europea

B-1049 Bruxelles

jls-economic-migration@cec.eu.int

ALLEGATO

BIBLIOGRAPHY

A. Legislative instruments and proposals :

Council Directive 2003/86/EC of 22 September 2003 on the right to family reunification (applicable as of 3 October 2005);

Council Directive 2003/109/EC of 25 November 2003 concerning the status of third-country nationals who are long-term residents (applicable as of 26 January 2006);

Proposal for a Council Directive on the conditions of admission of third-country nationals for the purpose of studies, pupil exchange, unremunerated training or voluntary service - COM(2002) 548; political agreement reached in March 2004;

Proposal for a Council Directive on a specific admission procedure for third country researchers - COM(2004) 178;

Proposal for a Council Directive on the conditions of entry and residence of third-country nationals for the purpose of paid employment and self-employed economic activities - COM(2001) 386;

Council Regulation (EEC) n°1612/1968 on freedom of movement for workers (in particular, article 19(2) for the “Community preference”);

Council Resolution of 20 June 1994 on limitations on admission of third-country nationals to the territory of the Member States for employment;

Council Directive 2000/43/EC of 29 June 2000 implementing the principle of equal treatment between persons irrespective of racial or ethnic origin;

Council Directive 2000/78/EC of 27 November 2000 establishing a general framework for equal treatment in employment and occupation;

Council Regulation (EC) No 859/2003 of 14 May 2003 extending the provisions of Regulation (EEC) No 1408/71 and Regulation (EEC) No 574/72 to nationals of third countries who are not already covered by those provisions solely on the ground of their nationality.

B. Commission Communications:

Communication from the Commission "Study on the links between legal and illegal immigration” - COM (2004) 412 final;

First Annual Report on Migration and Integration - COM(2004) 508 final;

Communication from the Commission on immigration, integration and employment - COM(2003) 336 final;

Communication from the Commission on integrating migration issues in the EU's relations with third countries - COM(2002) 703 final.

C. Studies:

Studies on labour migration, Migration Research Group, Hamburg Institute for International Economics (HWWA), Germany; papers prepared for the European Commission, DG Employment and Social Affairs, June 2004, available at: http://europa.eu.int/comm/employment_social/employment_analysis/immigr_new_stud_en.htm. The papers examine best practice regarding recruitment of labour migrants, projecting future labour needs and labour market integration in the European countries as well as in other industrialised countries. They were prepared by experts from the MRG, in cooperation with the Migration Policy Institute, Washington DC.

Admission of third-country nationals for paid employment or self-employed activity, European Commission, Directorate General for Justice and Home Affairs, 2001, ISBN 92-894-1689-0. The study, undertaken by Ecotec Research and Consulting Limited between November 1999 and May 2000, analysed and compared the legal and administrative frameworks in the EU-15 concerning the admission of third-country nationals to the EU Member States for the purposes of paid employment and self-employment.

[1] COM(2001) 386.

[2] Parere del Parlamento europeo del 12.2.2003 (A5-0010/2003); del Comitato economico e sociale europeo del 16.1.2002 (SOC/084, CES 28/2002); del Comitato delle regioni del 13.3.2002 (CdR 386/2001).

[3] Articolo III-267.

[4] COM(2003) 336.

[5] Conclusioni del Consiglio europeo, allegato I, punto III 1.4.

[6] COM(2002) 548.

[7] COM(2004) 178.

[8] “Pratiche efficaci per la selezione dei migranti per motivi economici” (http://europa.eu.int/comm/employment_social/employment_analysis/immigr_new_stud_en.htm): cfr. all.

[9] Risoluzione del Consiglio del 20 giugno 1994, in combinato disposto con il regolamento (CEE) n. 1612/68 del Consiglio. Va rilevato che il Trattato di Adesione del 16 aprile 2003 prevede un trattamento preferenziale per i lavoratori che sono cittadini di uno Stato membro rispetto a quelli che sono cittadini di un paese terzo per quanto riguarda l’accesso al mercato del lavoro di ciascuno degli Stati membri.

[10] Direttiva 2003/109/CE del Consiglio.

[11] I servizi pubblici dell’occupazione (SPO) degli Stati membri sono coordinati a livello UE dalla rete EURES (servizi europei dell’occupazione). EURES ha creato un portale europeo della mobilità occupazionale (http://europa.eu.int/eures) nel quale saranno disponibili, a partire dal 2005, tutti i posti vacanti in Europa pubblicamente registrati. Ciò sarà possibile grazie ad una piattaforma di servizi informatici.

[12] La normativa comunitaria già prevede una serie di diritti, per es. quelli conferiti dalla direttiva 2003/109/CE del Consiglio (soggiornanti di lungo periodo), dal regolamento (CE) n. 859/2003 del Consiglio che estende ai cittadini di paesi terzi le disposizioni del regolamento (CEE) n. 1408/71 (coordinamento dei regimi di sicurezza sociale) e dalle due direttive contro le discriminazioni (direttive 2000/43/CE e 2000/78/CE). Inoltre le direttive comunitarie su materie quali la salute e la sicurezza dei lavoratori o le condizioni di lavoro si applicano per principio a tutti i lavoratori a prescindere dalla loro cittadinanza. Lo stesso vale per la maggior parte degli articoli della Carta europea dei diritti fondamentali.

[13] COM(2004) 412; COM(2002)703.