20.9.2005   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 231/69


Parere del Comitato delle regioni in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica della direttiva 2003/88/CE concernente taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro

(2005/C 231/10)

IL COMITATO DELLE REGIONI,

vista la proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica della direttiva 2003/88/CE concernente taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro (COM(2004) 607 def. — 2004/0209 (COD)),

vista la decisione del Consiglio, in data 20 ottobre 2004, di consultarlo sull'argomento, a norma dell'articolo 137, paragrafo 2, del Trattato che istituisce la Comunità europea,

vista la decisione del proprio Presidente, del 3 novembre 2004, di incaricare la commissione Politica economica e sociale di elaborare un parere sull'argomento,

vista la direttiva 93/104/CE, concernente taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro, modificata dalla direttiva 2000/34/CE,

vista la comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni relativa al riesame della direttiva 93/104/CE concernente taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro,

vista la seconda fase delle consultazioni delle parti sociali a livello comunitario circa il riesame della direttiva 93/104/CE concernente taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro,

vista la giurisprudenza della Corte di giustizia delle Comunità europee a proposito dell'interpretazione di alcune disposizioni della direttiva nelle cause C-303/98, Sindicato de Médicos de Asistencia Pública (SIMAP) contro Consellería de Sanidad y Consumo de la Generalitat Valenciana e C-151/02, Landeshauptstadt Kiel contro Norbert Jaeger,

visto il principio della sussidiarietà, sancito dall'articolo 5 del Trattato che istituisce la Comunità europea (articolo 5 TCE),

vista la direttiva del Consiglio del 12 giugno 1989 sull'introduzione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori durante il lavoro (89/391/CE),

visto l'obiettivo stabilito dal Consiglio europeo di Lisbona del 23 e 24 marzo 2000 di fare dell'UE l'economia basata sulla conoscenza più competitiva e più dinamica del mondo, in grado di realizzare una crescita economica sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore coesione sociale,

visto il proprio progetto di parere (CdR 329/2004 riv. 2) adottato l'11 febbraio 2005 dalla commissione Politica economica e sociale (relatrice: Baronessa Joan HANHAM, presidente del consiglio del distretto reale di Kensington e Chelsea, UK/PPE),

ha adottato il seguente parere in data 14 aprile 2005, nel corso della 59a sessione plenaria.

1.   Punto di vista del Comitato delle regioni

IL COMITATO DELLE REGIONI

1.1

Accoglie con favore l'iniziativa della Commissione di modificare la direttiva sull'orario di lavoro, dato l'urgente bisogno di risolvere varie questioni relative all'interpretazione ed all'applicazione della direttiva sull'orario di lavoro a livello di Stati membri;

1.2

ricorda alla Commissione, al Parlamento ed al Consiglio che nell'UE gli enti locali e regionali sono datori di lavoro importanti e svolgono un ruolo fondamentale nella gestione di servizi pubblici quali i servizi previdenziali e di protezione civile;

1.3

esprime preoccupazione circa il fatto che l'assenza di una soluzione soddisfacente al problema si sommerà ai problemi della carenza di manodopera specializzata nei servizi previdenziali di tutta l'UE, conducendo a breve termine, per questi settori, ad un'intensificazione dell'emigrazione economica dai nuovi Stati membri e dai paesi terzi più poveri verso gli Stati membri «consolidati», la quale andrà a scapito, sia nel breve che nel lungo termine, dei settori dei servizi previdenziali dei nuovi Stati membri così come dei paesi terzi più poveri;

1.4

ritiene che gestire il problema dell'orario di lavoro presenti sì un aspetto tecnico, ma al tempo stesso abbia un impatto sul tipo di società che l'Europa intende costruire. Di conseguenza, poiché la maniera in cui tale problema viene gestito ha riflessi su tutte le aspirazioni dell'Europa per quanto riguarda la promozione dell'imprenditorialità, della creatività e della cittadinanza attiva, contestualmente al migliore equilibrio fra attività lavorativa e vita privata per i singoli, il suo impatto andrà tenuto presente in questo contesto;

1.5

riconosce che la proposta della Commissione circa la definizione dell'orario di lavoro cerca di eliminare l'incertezza giuridica provocata dalle sentenze Jaeger e SIMAP della Corte di giustizia. La legislazione europea deve mirare a far sì che il servizio di guardia resti un fattore determinante per offrire servizi continui e di qualità, inclusa la cura in loco di adulti e bambini vulnerabili;

1.6

riconosce un possibile effetto negativo del ritorno alla posizione precedente alle sentenze SIMAP/Jaeger: potrebbero infatti verificarsi situazioni nelle quali i lavoratori potrebbero trascorrere presso il posto di lavoro lunghi periodi di tempo di guardia. Un abuso di tale situazione potrebbe ripercuotersi sulla salute e sicurezza di tali lavoratori ed eventualmente di altri soggetti, quali i clienti ed il pubblico, nonché sulla capacità del lavoratore di conciliare il lavoro e la vita familiare;

1.7

fa tuttavia presente che la direttiva sull'orario di lavoro è una misura dettata da esigenze di salute e sicurezza, intesa a stabilire un equilibrio tra il lavoro e il riposo. Non si tratta quindi di una misura intesa a definire altri termini e condizioni di impiego, quali ad esempio l'accordo ad effettuare un determinato orario o la compensazione finanziaria per il numero di ore di lavoro prestate: tali questioni devono essere concordate su base individuale o collettiva, in base alle prassi e alle procedure dei singoli Stati membri o dei settori in questione. Inoltre, qualsiasi sia lo schema di lavoro previsto, il datore di lavoro è responsabile della salute e della sicurezza dei lavoratori, e dovrebbe mettere in atto misure per garantire che la loro salute e sicurezza non vengano pregiudicate;

1.8

riconosce che attualmente il prolungamento del periodo di riferimento usato per calcolare la media settimanale delle ore di lavoro è possibile solo in un numero limitato di posti di lavoro, per i quali sono previste deroghe, oppure nel caso in cui ciò sia disposto dal contratto collettivo. Si pronuncia quindi a favore della rapida introduzione di un approccio che tenga conto dell'intero anno, soprattutto per quelle industrie nelle quali la richiesta di prodotti o servizi è soggetta a forti variazioni stagionali. Ciò fornirebbe un utile contributo alla cosiddetta «agenda competitività»;

1.9

osserva che la norma applicabile per il calcolo del tempo medio di lavoro per i contratti più brevi è effettivamente la stessa applicata attualmente per i lavoratori che lavorano per un periodo inferiore al periodo di riferimento standard (quattro mesi);

1.10

osserva che la proposta relativa al riposo compensativo elimina l'obbligo, creato dal caso Jaeger, di concedere immediatamente un riposo compensativo. Ciò eliminerà la confusione creata dalla sentenza. Nella maggior parte dei casi, 72 ore sono un periodo ragionevole nell'arco del quale effettuare un riposo compensativo;

1.11

osserva che la proposta della Commissione riserva sì ai lavoratori la possibilità di opt-out per la media massima di 48 ore settimanali negli Stati membri che adottano questa opzione, ma in alcuni posti di lavoro ciò dipende dai contratti collettivi. Tale aspetto deve essere ulteriormente chiarito, perché prevede la possibilità per i singoli di accettare l'opt-out in assenza di un contratto collettivo. Non è quindi sufficientemente chiaro quali siano le circostanze esatte in cui ci si può avvalere di questa agevolazione: essa potrebbe ad esempio essere destinata solo ai piccoli datori di lavoro negli Stati membri nei quali, tradizionalmente, la contrattazione collettiva non è strutturata, quali il Regno Unito, ma potrebbe interessare anche i nuovi Stati membri nei quali il processo di dialogo sociale, compresi i contratti collettivi, non è ben sviluppato;

1.12

conviene sul fatto che la decisione di opt-out per la settimana lavorativa media di massimo 48 ore è una scelta volontaria dei singoli lavoratori, e che quindi essi non devono essere spinti dai loro datori di lavoro a farla. Si deve perciò prevedere un'adeguata protezione sociale per garantire che ciò non accada, ma anche ulteriori misure che assicurino, in caso di opt-out, la protezione della salute e sicurezza dei lavoratori;

1.13

rileva che molte delle condizioni che vanno applicate all'opt-out per le 48 ore si applicano già all'opt-out individuale nella sua forma attuale; alcune non offrono tuttavia alcuna ulteriore protezione manifesta ai lavoratori, e vanno pertanto soppresse o riservate agli Stati membri;

1.14

ritiene che l'obbligo di limitare l'opt-out ad un periodo massimo di un anno (rinnovabile) darebbe erroneamente l'impressione che la durata dell'opt-out sia fissata ad un anno, mentre in realtà i singoli lavoratori hanno la facoltà di revocarlo in qualsiasi momento;

1.15

riconosce che la disposizione secondo cui l'opt-out sottoscritto contestualmente al contratto di impiego è considerato nullo fornisce una certa protezione ai lavoratori, che altrimenti potrebbero sentirsi spinti verso l'opt-out. Tuttavia, è possibile che nella fase iniziale di un rapporto di lavoro i singoli desiderino lavorare più a lungo per guadagnare di più: deve quindi essere chiaro in quale fase di un rapporto di lavoro un lavoratore ha il diritto di scegliere l'opt-out. Ciò risulta particolarmente importante quando i lavoratori vengono assunti con contratti di breve durata per far fronte ad un carico di lavoro stagionale. Inoltre, non essendovi un consenso generale sulla nozione di periodo di prova, l'ulteriore requisito secondo cui un lavoratore non può scegliere l'opt-out durante tale periodo rischia non solo di provocare problemi di interpretazione, ma anche di privare il lavoratore della possibilità di accrescere i propri guadagni;

1.16

richiama l'attenzione sull'anomalia insolita creata dalla nuova proposta secondo cui un lavoratore che sceglie l'opt-out nel quadro di un contratto collettivo non può lavorare oltre 65 ore alla settimana, pur riconoscendo che si tratta di un numero insolitamente elevato di ore, che non rappresenta certo la norma; ciò significa che mentre il lavoratore che sceglie l'opt-out non può lavorare più di 65 ore, un lavoratore che non ha scelto l'opt-out ed è quindi soggetto ad una media massima di 48 ore, è autorizzato a farlo. Inoltre, a quanto pare anche i lavoratori che prestano servizio in un luogo di lavoro dove non esistono né contratti collettivi né rappresentanza dei lavoratori, e che scelgono l'opt-out su base individuale, non sarebbero soggetti al limite massimo delle 65 ore alla settimana;

1.17

reputa che il requisito ulteriore di tenere un registro dettagliato di tutte le ore di servizio effettivamente prestate dai lavoratori che hanno scelto l'opt-out farebbe aumentare la burocrazia; in tale contesto ritiene che una soluzione migliore potrebbe essere quella di prevedere che la direttiva attribuisca alle autorità competenti di ogni Stato membro il compito di definire gli obblighi del datore di lavoro. Queste autorità potranno integrare tali requisiti nella strategia globale degli Stati membri in materia di sanità e sicurezza e inserirli fra gli obblighi imposti ai datori di lavoro.

2.   Raccomandazioni del Comitato delle regioni

IL COMITATO DELLE REGIONI RACCOMANDA QUANTO SEGUE:

Urgente necessità di una decisione

2.1

La Commissione, il Parlamento europeo e il Consiglio dovrebbero cercare di raggiungere quanto prima un accordo in merito alle proposte, in modo tale che si crei chiarezza e vi sia fiducia nella direttiva sull'orario di lavoro.

Definizione dell'orario di lavoro

2.2

Andrebbe accettata la nuova definizione di orario di lavoro che prevede due nuove categorie di lavoro: il «servizio di guardia» e il «periodo inattivo del servizio di guardia»; questo significa che durante il servizio di guardia — cioè il periodo durante il quale il lavoratore è obbligato a tenersi a disposizione sul proprio luogo di lavoro, per iniziare ad esercitare la propria attività o le proprie funzioni su richiesta del datore di lavoro — il periodo inattivo non è considerato come orario di lavoro a meno che lo Stato membro non disponga altrimenti o non venga concluso un contratto collettivo al riguardo. I periodi di lavoro effettivo durante il servizio di guardia sono invece considerati come orario di lavoro.

Periodi di riferimento per il calcolo della media delle ore di lavoro settimanali

2.3

Andrebbe accettata la proposta della Commissione, secondo la quale gli Stati membri dovrebbero avere la possibilità di stabilire, se lo desiderano, un periodo di riferimento standard per tutti i lavoratori, di una durata massima di 12 mesi, fermo restando che, nell'interesse dei lavoratori con contratto a termine, esso non può essere più lungo della durata del contratto se quest'ultima è inferiore ad un anno.

Riposo compensativo

2.4

La proposta della Commissione, secondo cui, quando ai lavoratori viene negato il diritto al riposo giornaliero e settimanale, essi devono poter godere di un riposo compensativo di durata equivalente entro un periodo ragionevole, che non può andare oltre le 72 ore, rappresenta un notevole miglioramento rispetto all'attuale situazione creatasi in seguito alla sentenza della Corte di giustizia nella causa Jaeger; ciò nonostante, per tener conto di un ampio spettro di settori e di pratiche lavorative, va considerata seriamente l'ipotesi di prevedere la possibilità di concedere il riposo compensativo entro un periodo più lungo. Bisognerebbe inoltre prevedere, all'articolo 17, la possibilità di prorogare, conformemente alle consuetudini nazionali e attraverso la legislazione o gli accordi collettivi, il termine previsto per la concessione del riposo compensativo.

L'opt-out individuale per le 48 ore

2.5

Se l'Unione europea e gli Stati membri intendono promuovere l'imprenditorialità, la creatività e la cittadinanza attiva facilitando al tempo stesso un migliore equilibrio fra l'attività lavorativa e la vita privata delle persone, andrebbe progressivamente eliminata l'attuale facoltà degli Stati membri di concedere ai lavoratori la possibilità di scegliere liberamente, su base individuale, l'opt-out per la settimana lavorativa media di 48 ore al massimo, optando piuttosto per iniziative intese a favorire la realizzazione di tali altre aspirazioni;

2.6

andrebbe ribadita la disposizione proposta dalla Commissione, in base alla quale la possibilità di opt-out per il limite delle 48 ore sarebbe disponibile soltanto qualora questa opzione fosse prevista da un contratto collettivo o da un accordo tra le parti sociali a livello nazionale o regionale, o tramite contratti collettivi conclusi a livello appropriato.

Ulteriori condizioni sull'opt-out per le 48 ore

2.7

Vanno appoggiati con vigore gli sforzi compiuti dalla Commissione per garantire che la decisione di opt-out sia una libera scelta dei singoli lavoratori, consapevoli del loro diritto di abbandonare liberamente l'opt-out senza timore di essere penalizzati.

2.8

Le seguenti condizioni andrebbero pertanto mantenute:

deve essere ottenuto il consenso del lavoratore,

nessun lavoratore sarà penalizzato se non è disposto ad accettare l'opt-out.

2.8.1

Le seguenti condizioni andrebbero soppresse:

l'accordo deve essere valido per un periodo che non ecceda un anno, cioè deve essere rinnovabile,

nessun lavoratore lavorerà più di 65 ore alla settimana, a meno che il contratto collettivo non disponga diversamente.

2.8.2

Le seguenti condizioni vanno soppresse oppure va riservato agli Stati membri il diritto di applicarle in base alle prassi e alle procedure nazionali, tenendo conto dell'importanza che esse rivestono nel loro ordinamento nazionale e nei loro sistemi di relazioni sindacali:

un accordo dato al momento della firma del contratto di impiego individuale o durante il periodo di prova è nullo,

il datore di lavoro tiene un registro aggiornato di tutti i lavoratori che scelgono l'opt-out e del numero di ore di servizio effettivamente prestate,

il registro è a disposizione delle autorità competenti, che possono, per ragioni di salute o di sicurezza, escludere o limitare la possibilità di superare il numero massimo di ore lavorative alla settimana,

il datore di lavoro fornisce alle autorità competenti, su loro richiesta, informazioni sul numero di ore di servizio effettivamente prestate da tali lavoratori.

Bruxelles, 14 aprile 2005.

Il Presidente

del Comitato delle regioni

Peter STRAUB