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Parere del Comitato economico e sociale sul tema "I servizi sociali privati senza scopo di lucro nel contesto dei servizi d'interesse generale in Europa"

Gazzetta ufficiale n. C 311 del 07/11/2001 pag. 0033 - 0038


Parere del Comitato economico e sociale sul tema "I servizi sociali privati senza scopo di lucro nel contesto dei servizi d'interesse generale in Europa"

(2001/C 311/08)

In data 1o marzo 2001, il Comitato economico e sociale ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 23, paragrafo 3 del Regolamento interno, di formulare un parere sul tema di cui sopra.

La Sezione "Occupazione, affari sociali, cittadinanza", incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il parere in data 18 luglio 2001 (Relatore: Bloch-Lainé).

Il Comitato economico e sociale ha adottato il 12 settembre 2001, nel corso della 384a sessione plenaria, con 92 voti favorevoli e 1 astensione, il seguente parere.

1. Introduzione

1.1. L'iniziativa presa dal Comitato di presentare il presente parere non è casuale. Essa si situa - e trae origine - nel contesto della convergenza di correnti sempre più forti che poco per volta plasmano, forgiano ed arricchiscono ciò che si suole definire "il modello sociale europeo". Si tratta di progressi promettenti, le cui linee principali possono riassumersi brevemente come segue:

a) la volontà di fare in modo che l'Unione europea sia più di una costruzione economica e monetaria dotata di un mercato unico, più di uno "spazio di libertà, di sicurezza e di giustizia". Attualmente vi è l'ambizione di dimostrare che la politica sociale non è qualcosa di accessorio, non è un campo di azione giustapposto, secondario e assoggettato a quello della politica economica, bensì un fattore di efficacia e di potenza produttiva, e ciò soprattutto perché è foriera di fermenti di coesione;

b) la volontà di gestire nel miglior modo possibile la complessità dell'evoluzione delle nostre società moderne, di trarre il maggior profitto possibile dalla diversità delle loro istanze, dei loro valori, delle loro energie, della molteplicità dei loro impegni e delle loro elargizioni, di considerare e di trattare il loro pluralismo come un vantaggio piuttosto che come un ostacolo e, in questo spirito, di lasciare il maggior spazio possibile ai ruoli e alle responsabilità della "società civile organizzata";

c) la volontà di conciliare, non come dati contraddittori, ma come esigenze complementari, concetti come Unione e sussidiarietà, differenze e disposizioni comuni, concorrenza e interesse generale.

1.2. Su istanza del Consiglio europeo di Lisbona(1), il 20 settembre 2000 la Commissione ha aggiornato la comunicazione del 1996 sui "Servizi d'interesse generale in Europa". Tale testo chiarificatore, in linea con le preoccupazioni evocate in precedenza, fa riferimento (cfr. segnatamente il paragrafo 30) ad una categoria di servizi di interesse generale "le cui funzioni sono principalmente sociali, che non realizzano profitti e non si prefiggono di svolgere un'attività industriale o commerciale". Ciò vale per organismi quali "i sindacati, i partiti politici, le chiese e associazioni religiose, le associazioni di consumatori, le accademie, le organizzazioni umanitarie o di beneficenza".

1.3. Il presente parere, come si evince dal titolo, verte sui "servizi sociali", che sono solo una parte dei servizi di interesse generale, ma la cui azione contempla importanti elementi caratteristici del "modello sociale europeo".

L'espressione(2), soprattutto in questa sede, comprende una categoria di organismi privati senza scopo di lucro, con statuto diverso a seconda degli Stati (associazioni, fondazioni), il cui scopo è di agire nel settore sanitario e dell'assistenza sociale senza astenersi dal compiere, se del caso, azioni economiche subordinate alle loro finalità sociali fondamentali. L'espressione "senza scopo di lucro" sta ad indicare che, qualora vengano realizzati degli utili, essi non sono distribuiti ma reinvestiti nello sviluppo delle missioni sociali d'interesse generale di tali organismi. Significa anche, beninteso, che il primo scopo di tali organismi non è quello di massimizzare gli utili.

1.4. L'iter che ha portato al presente parere è tanto necessario quanto complesso. Infatti:

a) le realtà che rientrano in una simile definizione variano considerevolmente da uno Stato membro all'altro e derivano da storie e culture che non possono essere ridotte ad un'identità univoca, circostanza che complica le cose. Il loro esame, però, rivela indubbiamente dei tratti comuni, delle costanti in ordine alle loro finalità, alle modalità delle loro azioni, al posto loro riservato e alle loro prestazioni. Pertanto vanno considerate ben altro che una miscellanea di moduli sparsi di carattere unicamente ausiliario e vanno viste per quello che sono, vale a dire come un insieme al tempo stesso forte e vulnerabile, ben noto e poco conosciuto.

b) In questo come in altri campi la comprensione delle realtà è ostacolata dalla vaghezza dei termini e delle definizioni: "interesse generale", "servizi sociali", "mercato sociale", "economia", "caritativo", "utilità sociale" ecc.: nessuna espressione di questo tipo indica esattamente le stesse cose, de jure e de facto, in tutti gli Stati membri (e nemmeno all'interno di ciascuno Stato membro). Ma non è un buon motivo per aggirare l'ostacolo o fermarsi; la saggezza obbliga a prendere atto delle incertezze semantiche e ad adattarvisi il meglio possibile, a cercare - certo - di ridurle continuamente e a concentrarsi su delle realtà sicure in quanto vissute e verificate.

1.5. Questa è l'intenzione alla base del presente parere, che si prefigge:

- di sottolineare i contributi dei "servizi sociali" considerati (cap. 2);

- di precisare le preoccupazioni che essi sentono e che li riguardano (cap. 3);

- e di suggerire un percorso (cap. 4).

2. Il contributo dei servizi sociali all'interesse generale in Europa

2.1. Con la dichiarazione n. 23 allegata al Trattato di Maastricht l'Unione europea riconosce "le associazioni e le fondazioni di solidarietà sociale, in quanto organismi responsabili di istituti e servizi sociali" e la necessaria cooperazione con le associazioni del settore sociale. L'importanza di tale cooperazione è d'altronde sottolineata nel Libro bianco sul futuro della politica sociale europea. Stranamente, però, il posto che occupano tali organizzazioni è relativamente poco conosciuto. Negli Stati membri esse esercitano ruoli le cui modalità variano a seconda di come è organizzata, in un luogo o nell'altro, la tutela dei diritti politici, civili, economici e sociali degli individui e di come è concepito e strutturato il sistema di protezione sociale. La loro posizione dipende dai principi storici, culturali, ideologici nazionali e dai rispettivi modi di intervento dello Stato, degli enti locali, del settore privato a scopo di lucro e del settore privato non profit. Tuttavia, indipendentemente dall'eterogeneità dei meccanismi osservati, vi sono delle costanti.

a) La costante principale è che, in numerosi paesi, agli organismi sociali e ai membri della società civile incombe di fatto la responsabilità di fornire dei servizi e di gestire degli istituti nel campo della solidarietà sanitaria e sociale: case di riposo, istituti per bambini e adulti handicappati, strutture per l'assistenza ai minori, attività sociali in campo pedagogico, comunità alloggio e centri di reinserimento sociale, asili nido, scuole materne, centri di assistenza sanitaria, centri sociali, case di cura private senza fini di lucro, servizi di aiuto a domicilio, servizi infermieristici e di assistenza sanitaria, di aiuti domestici, e di aiuto alla vita.

b) In molti paesi dell'Unione, da decenni gli enti pubblici hanno saggiamente scelto di appoggiarsi ad organismi sociali privati senza scopo di lucro nel settore sanitario e dei servizi sociali. L'attuale e persistente necessità di contenere la spesa pubblica (vale a dire di ridurne il ritmo di crescita) a fronte delle necessità che aumentano e si complicano rafforza il ruolo effettivo e potenziale di tali operatori, che possono essere definiti "collaboratori privati non profit dell'interesse generale".

c) Gli organismi privati senza fini di lucro contribuiscono allo sviluppo della ricchezza delle economie e dei paesi e svolgono un ruolo importante in termini di creazione di posti di lavoro e di sviluppo locale.

2.2. I servizi sociali di cui nel presente parere sono una componente indispensabile e un ingranaggio essenziale dei meccanismi di protezione sociale in tutti gli Stati membri dell'Unione. In loro mancanza le prestazioni pecuniarie, anche quelle meglio concepite e più sostanziali, non raggiungerebbero e non realizzerebbero in modo soddisfacente gli obiettivi fissati e non avrebbero lo stesso effetto a causa della mancanza di strumenti di attuazione adeguati. Per realizzare i loro obiettivi in modo ottimale i sussidi hanno bisogno di collegamenti, amplificatori, accompagnamento, sostegno, complemento, prossimità e flessibilità. È altresì importante che i servizi sociali di cui trattasi siano associati il più possibile, tramite gli enti pubblici, agli orientamenti strategici definiti da questi ultimi.

2.3. I "servizi sociali" in parola contribuiscono all'interesse generale da tre punti di vista principali:

a) Rivelano una domanda sociale in costante evoluzione e tutelano le persone più vulnerabili:

- grazie alla loro capacità di osservazione individuano e mettono in luce lacune, necessità sociali, situazioni di indigenza che hanno un peso sempre maggiore, cause sempre più disparate e presentano una complessità di contenuti e di espressioni sempre più accentuata;

- intervengono presso gli enti pubblici affinché migliorino il riconoscimento e la tutela dei diritti fondamentali di tutti gli individui;

- si sforzano di andare oltre il concetto limitato di assistenza e di incoraggiare i loro assistiti ad assumersi le proprie responsabilità e a riprendere in mano il corso della propria vita;

- hanno una grande capacità innovativa nel trattare le diverse necessità.

b) Creano o ripristinano il tessuto sociale:

- senza accontentarsi di fornire un servizio, privilegiano il concetto di "legame", associando le persone e le famiglie all'azione pubblica;

- sviluppano una logica di collegamento in rete, superando le costrizioni dei risultati immediati;

- creano un sistema di condivisione delle conoscenze e delle esperienze tra le persone di tutti i ceti sociali, siano essi dei volontari, oppure lavorino nel settore o siano degli utenti.

c) Sono in grado di mobilitare la solidarietà civile:

- stimolano la capacità della società di assumersi le proprie responsabilità, di dialogare con le strutture che detengono il potere (enti pubblici, forze economiche);

- sono aperti a tutte le persone e non solo a talune categorie;

- testimoniano che la coesione, la solidarietà e la lotta contro l'esclusione non possono incombere solo ai sistemi di previdenza degli enti pubblici, nonostante il loro ruolo di garanti resti essenziale, ma che spetta alla società civile adempiere a tali compiti su basi volontarie e consensuali;

- si fondano in misura diversa sulla beneficenza, su impegni che non si limitano alla contribuzione fiscale o alle offerte in denaro, sul volontariato;

- tuttavia, a causa della loro dipendenza dai finanziamenti pubblici, si teme che si affievolisca la capacità di lotta contro l'emarginazione e d'innovazione di taluni fornitori di servizi sociali.

3. Alcune preoccupazioni

I "servizi sociali" di cui nel presente parere provano una profonda inquietudine(3). È fondata? In caso affermativo, per quale motivo?

Attualmente nel settore sanitario e dei servizi sociali di molti Stati membri intervengono tre tipi di attori: gli enti pubblici, gli operatori aventi fini di lucro, i servizi privati senza scopo di lucro. Aprendo il settore alla libera concorrenza (tranne in taluni settori che non sono interessanti per gli operatori commerciali) occorre prestare attenzione a che le peculiarità del terzo tipo di operatori non vengano dimenticate o offuscate. È altresì importante far sì che le disposizioni relative agli appalti pubblici non si applichino in modo troppo brusco.

La conoscenza relativamente limitata o la sottovalutazione del loro peso e del loro ruolo non bastano a spiegarne i timori. La cosa problematica - e il problema è reale - è la questione del loro futuro per quanto riguarda il diritto europeo in materia di concorrenza.

3.1. A prima vista ci si potrebbe chiedere se la loro inquietudine sia giustificata.

a) Nella Comunicazione della Commissione sui servizi d'interesse generale si legge (paragrafo 30): "Più generalmente, stando alla giurisprudenza della Corte di giustizia, molte attività esercitate da enti le cui funzioni sono principalmente sociali, che non realizzano profitti e non si prefiggono di svolgere un'attività industriale o commerciale, sono di norma escluse dall'applicazione delle norme comunitarie in materia di concorrenza e di mercato interno"(4).

b) La Comunicazione specifica che, laddove gli organismi di cui trattasi si impegnino in attività economiche, l'applicazione delle norme comunitarie avverrà "nel rispetto in particolare dell'ambiente sociale e culturale nel quale tali attività sono esercitate".

c) La Comunicazione segnala inoltre che, in linea di principio, le norme in materia di concorrenza non si applicano qualora le attività degli organismi considerati rientrano nel campo:

- delle prestazioni che prevedono l'obbligo di adesione ai sistemi di base della previdenza sociale;

- delle attività di istituzioni che espletano compiti sociali per la maggior parte senza fini di lucro e il cui obiettivo non è l'esercizio di un'attività commerciale;

- di attività circoscritte sotto tutti i punti di vista ad uno Stato membro in particolare e che non ostacolano, nel loro svolgimento, il commercio tra gli Stati membri.

Alla luce di indicazioni simili si sarebbe tentati di chiedersi: perché dunque preoccuparsi? Non si tratta di rischi immaginari?

3.2. Vista più da vicino la questione non è immaginaria e i servizi sociali in questione non "giocano a gridare al lupo" per i seguenti motivi:

a) molti di loro, per espletare la propria missione, esercitano attività nel settore economico, in campi nei quali operano imprese che hanno fini di lucro che ritengono di essere esposte ai rischi di una certa forma di concorrenza sleale;

b) in molti paesi dell'Unione lo Stato, a ragione, ha ritenuto suo dovere esaminare attentamente - specie sul piano fiscale - la conformità delle deroghe accordate ai servizi sociali con le disposizioni nazionali ed europee del diritto della concorrenza. Questo esame ha dato adito a discussioni che sono ben lungi dall'essere concluse. La posizione di principio adottata dallo Stato in un simile dibattito può infatti sintetizzarsi nei seguenti termini: "l'importante non è chi siete, ma ciò che fate";

c) quanto all'applicazione delle regole della concorrenza, la comunicazione della Commissione enuncia tre principi:

- la neutralità rispetto al regime di proprietà pubblica o privata delle imprese;

- la libertà di definizione degli Stati membri per quanto riguarda i servizi d'interesse generale;

- la proporzionalità atta a garantire che le misure che limitano la concorrenza non eccedano quanto necessario per assicurare la buona esecuzione dei compiti d'interesse generale.

Tuttavia questa affermazione non può bastare a chiarire tutto.

3.3. È pertanto comprensibile che i "servizi sociali" di cui trattasi desiderino ardentemente maggiori chiarimenti in merito alle "regole del gioco" che verranno applicate loro in futuro sul territorio dell'Unione. Per loro si tratta di una questione di visibilità e di certezza giuridica in un settore nel quale è innegabile che attualmente esista un margine molto ampio di incertezza.

4. Alcuni approcci possibili

A tale proposito il Comitato desidera:

- ricordare o raccomandare alcuni riferimenti;

- proporre un percorso da seguire.

4.1. Riferimenti

a) È importante - se ve ne fosse la necessità - ricordare che l'Unione europea e ciascuno degli Stati membri hanno optato per il principio di un'economia di mercato aperta (articoli 4 e 98 TCE) fondata sulla libera concorrenza (articolo 3, paragrafo 1, lettera g) TCE), che deve essere tutelata da eventuali distorsioni indebite. Il principio della concorrenza non è l'unico che l'UE si è imposto. Ne ha fissati anche altri. I membri dell'Unione hanno altresì optato per l'attuazione di una politica nel settore sociale (articolo 136 TCE), per il rafforzamento della coesione economica e sociale (articolo 158 TCE) e per un elevato livello di protezione sociale (articolo 2 TCE).

b) In linea di principio la protezione sociale è di competenza degli Stati membri. Tuttavia la Commissione è il custode dei trattati. Non si può rimettere in discussione la sua capacità di intervenire nel campo di applicazione delle disposizioni relative alle "regole di concorrenza" e al "mercato interno".

c) È compito della Commissione adoperarsi, previa consultazione degli Stati membri, per favorire quanto più possibile la chiarezza e la certezza del diritto, e di sforzarsi di tener conto della posizione dei servizi sociali d'interesse generale nel contesto dello sviluppo comune e della promozione della società civile. Tali servizi, per i motivi esposti nella prima parte del presente parere, si attendono a ragion veduta una delimitazione più netta relativamente alle attività economiche che rientrano specificatamente nel campo della concorrenza, e ciò al fine di avere una maggiore visibilità per espletare appieno la loro missione.

d) Il Comitato ritiene che i servizi sociali debbano essere trattati separatamente dalla massa degli operatori che espletano funzioni d'interesse generale (trasporti, energia, comunicazioni ecc.).

e) La questione, certamente difficile ma fondamentale, relativa al modello sociale europeo è di sapere come riservare, nell'UE, un posto legittimo ed utile ai servizi sociali tra il "totalmente pubblico" e il "solo commerciale". I servizi sociali sono normalmente indotti ad esercitare delle attività economiche in taluni settori. Tuttavia, se si vogliono rispettare il loro apporto e le loro competenze, occorre evitare di banalizzarli e di riservare loro indistintamente lo stesso trattamento riservato alle imprese commerciali che incontrano e cui si affiancano in taluni settori della loro attività.

I servizi sociali, e in modo particolare le associazioni, le fondazioni e le opere caritative, quando intervengono nel settore economico, non si accontentano di offrire prestazioni commerciali in determinati segmenti come fanno, peraltro in modo utile ed efficace, le imprese che hanno fini di lucro. Essi creano anche un tessuto sociale di accompagnamento.

f) L'Unione è tenuta a rispettare le regole su cui si fonda, in particolare quelle relative alla concorrenza. Non è questione di suggerire di trascurarle, aggirarle o modificarle. L'obiettivo è quello di interpretarle, gestirle, applicarle nel migliore dei modi e, a tal fine, approfondirne le modalità di attuazione. Sarebbe increscioso, in un tale ambito, creare un conflitto tra le disposizioni comunitarie in materia di diritto della concorrenza e la preoccupazione di riservare un trattamento adeguato, specifico, pertinente ai servizi d'interesse generale. I servizi sociali privati senza scopo di lucro non rivendicano un diritto di "riserva di caccia" così come non rifiutano di essere posti in concorrenza con tutti gli altri operatori relativamente alla qualità delle prestazioni. Chiedono però che i criteri della qualità non siano riduttivi. Fanno valere - e d'altronde devono provarlo continuamente - che al di là delle normali esigenze di sicurezza e di competenza professionale applicabili a tutti gli operatori del settore, si tenga conto della loro attitudine particolare a trattare gli esseri umani come persone: il termine "persona" non è esattamente un sinonimo di "individuo", "amministrato", "assistito", "utente", "cliente" ecc.

Chiedono anche che, nell'ambito della concorrenza, si tenga conto del fatto che essi operano in settori difficili e onerosi che non interessano molto agli operatori privati con fini di lucro. Attirano l'attenzione sul pericolo che gli operatori commerciali - che per altro fanno bene il loro lavoro e sono evidentemente molto utili - (pur beneficiando dei finanziamenti pubblici), si occupino solo delle fasce più agiate, rivendicando al tempo stesso una rigorosa "parità di trattamento" quanto al diritto della concorrenza.

A lungo termine, il "modello sociale europeo" ne risulterebbe indebolito.

g) Se si commettesse un errore simile si arriverebbe necessariamente a ciò che gli esperti di logica definiscono un'aporia, vale a dire ad una contraddizione logica senza via d'uscita, in termini più semplici un'impasse. Sarebbe una situazione deplorevole. Una delle condizioni per risolvere questa aporia è riconoscere, quanto alle modalità di applicazione delle norme in materia di concorrenza, come con il Trattato di Amsterdam gli obiettivi sociali dell'Unione abbiano acquisito un'importanza maggiore.

4.2. Percorso

Per avanzare verso una delimitazione più chiara delle disposizioni applicabili in materia di concorrenza, ai servizi sociali d'interesse generale e alle imprese commerciali con fini di lucro, sono possibili due approcci:

4.2.1. il primo consisterebbe nell'emendare l'articolo 16 del Trattato introducendo una clausola di esenzione generale per talune categorie di servizi sociali forniti esclusivamente da operatori privati non profit. Questa raccomandazione ha una sua logica e trova sostenitori che si riferiscono volentieri alla sentenza del 17 giugno 1997 della Corte di giustizia (causa "Sodemare"):

- detto approccio avrebbe il vantaggio di essere chiaro. Rispecchierebbe la volontà di inserire nei testi primari dell'Unione disposizioni atte a raggiungere un equilibrio tra il principio della concorrenza e la preoccupazione di evitare gli effetti pregiudizievoli di una sua applicazione troppo rigida: indebolimento della coesione sociale, scoraggiamento degli operatori I, selezione dei settori meno rischiosi, ecc.

- Tale soluzione potrebbe tuttavia comportare dei rischi: dare adito ad abusi, suscitare resistenze da parte di operatori economici con fini commerciali, offrire ai servizi sociali, mediante un'esenzione incondizionata, vantaggi pericolosi, anzitutto per loro stessi, vale a dire, per quanto riguarda l'etica della chiarezza che reclamano. Il rischio, cioè, di far loro una sorta di "regalo avvelenato" e dunque di danneggiarli.

4.2.2. Un altro approccio, di tipo pragmatico (già stato adottato con un certo successo in taluni Stati membri), consisterebbe nell'approfondire l'analisi e la discussione della questione e nel definire dei criteri più precisi che permettano di tenere maggiormente conto, nelle attività economiche commerciali, dei servizi sociali, di quanto rientra nel campo di applicazione delle norme di concorrenza e di quanto invece merita una deroga.

4.2.2.1. Si potrebbe cercare di realizzare questo secondo approccio senza sofisticherie paralizzanti, nell'ambito di una concertazione che potrebbe essere raccomandata dalla Commissione che ne definirebbe gli obiettivi, gli orientamenti generali e lo spirito. Si tratterebbe, al termine di un tale esercizio, di far sì che le istanze europee diano un'interpretazione chiara ed univoca, riconoscendo talune specificità che comportano la non applicazione di alcune regole che disciplinano la concorrenza, come quelle di cui ai capi I e II del titolo VI del Trattato. A tempo debito, la Commissione, previa abilitazione da parte del Consiglio, potrebbe stabilire delle esenzioni (articolo 89, Regolamento del Consiglio del 7 maggio 1998; articolo 83, Regolamenti nn. 19/65 e 2821/71 del Consiglio) e/o promulgare delle direttive (articolo 86, paragrafo 3 TCE; p. es. direttiva sulla trasparenza).

4.2.2.2. Il Comitato non sottovaluta la portata del lavoro di approfondimento da compiere per progredire in tal senso, ma ritiene che non dovrebbe richiedere tempi troppo lunghi. Se si decidesse di avviare tale iniziativa, il Comitato sarebbe pronto a cooperare attivamente.

5. Conclusione

5.1. È chiaro che non è facile conciliare il rispetto delle regole di concorrenza e la tutela delle specificità delle attività a carattere commerciale espletate dai servizi sociali d'interesse generale.

5.2. I servizi sociali privati d'interesse generale senza fini di lucro non rientrano né nel settore dei poteri pubblici, né in quello con fini di lucro. Ciò nondimeno sono strettamente legati al primo settore in virtù della concertazione e dei finanziamenti erogati loro, e sempre più spesso intervengono nel secondo. Nondimeno, le funzioni che espletano non possono essere ridotte a norme pubbliche e non si limitano all'offerta di prestazioni commerciali.

5.3. In numerosi Stati membri la loro preoccupazione è quella di non venire strumentalizzati né banalizzati. Detto timore è fondato e li induce a chiedere deroghe che talvolta possono risultare inopportune.

5.4. Esortando a tener conto delle loro peculiarità non sfidano la ragione ma l'immaginazione, il che è ben diverso. Si può cercare di immaginare senza calpestare la ragione. Il Comitato - questo è il senso del presente parere - ritiene che, nella fattispecie, date le importanti poste in gioco, ossia la coesione sociale e la lotta contro l'esclusione, sarebbe un errore non compiere alcuno sforzo in tal senso.

Bruxelles, 12 settembre 2001.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale

Göke Frerichs

(1) Va inoltre ricordato che il Consiglio europeo di Nizza ha ribadito il ruolo dei "servizi di interesse generale" e ha sottolineato che l'adozione della Carta dei diritti fondamentali comporta la promozione dell'effettivo esercizio di tali diritti, in modo particolare nel settore dei servizi sociali.

(2) È importante ricordare che in taluni Stati membri dell'Unione (segnatamente l'Italia e la Svezia) le azioni sociali di solidarietà sono spesso svolte da organismi costituiti secondo lo statuto della cooperativa.

(3) Non si tratta della loro unica inquietudine: temono anche di essere "strumentalizzati", ridotti al ruolo di esecutori, di fornitori, di un servizio suppletivo a causa dei finanziamenti pubblici loro elargiti. Ma questo problema esula dal presente parere e potrebbe formare oggetto di un ulteriore parere.

(4) COM(2000) 580 def.