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Parere del Comitato economico e sociale in merito a "Il coordinamento della politica economica come conseguenza dell'UEM"

Gazzetta ufficiale n. C 139 del 11/05/2001 pag. 0060 - 0072


Parere del Comitato economico e sociale in merito a "Il coordinamento della politica economica come conseguenza dell'UEM"

(2001/C 139/13)

Il 2 marzo 2000, conformemente al disposto dell'articolo 23, paragrafo 3 del proprio Regolamento interno, il Comitato economico e sociale ha deciso di elaborare un supplemento di parere sul tema di cui sopra.

La Sezione "Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale", incaricata di preparare i lavori in materia, ha formulato il parere sulla base del rapporto introduttivo del relatore Nyberg, in data 12 dicembre 2000.

Il Comitato economico e sociale ha adottato il 1o marzo 2001, nel corso della 379a sessione plenaria, con 87 voti favorevoli e 1 voto contrario, il seguente parere.

1. Introduzione

1.1. Attraverso il mercato interno e l'introduzione della moneta unica, l'integrazione economica dell'UE ha fatto grandi passi avanti. Ciò ha creato nuove opportunità anche per lo sviluppo economico. Quando queste decisioni politiche inizieranno a produrre i loro effetti, i problemi persistenti saranno ancora più palesi. Come potranno il mercato interno e la moneta unica avere un effetto veramente tangibile sulla crescita e sull'occupazione?

1.2. Attraverso il proprio osservatorio specifico, il Comitato emette regolarmente pareri sugli sviluppi del mercato unico. Affinché le altre politiche abbiano successo è indispensabile portare finalmente a termine il progetto del mercato unico. In diversi pareri del Comitato sono inoltre stati trattati vari aspetti della moneta unica. In tali pareri sono state descritte le difficoltà insorte nel processo di convergenza, ad esempio in termini di disoccupazione e crescita mancata, ma anche i risultati ottenuti in materia di riduzione dell'inflazione e del deficit di bilancio. La riduzione del deficit di bilancio rappresenta un ottimo presupposto per conseguire una crescita sostenibile e aumentare l'occupazione. I continui contrasti tra gli ormai 12 paesi dovuti alle oscillazioni dei tassi di cambio sono cessati e ciò ha avuto effetti positivi sulla coesione. Le discussioni riguardano ora lo sviluppo del tasso di cambio dell'euro. Il presente parere mira a completare il quadro dei precedenti pareri concentrandosi in particolare sulle esigenze di maggiore coordinamento della politica macroeconomica derivanti dall'introduzione dell'euro.

1.3. In due pareri del marzo 1998(1) e del marzo 2000(2), il Comitato parlava della fluttuazione del dollaro e dello yen: "Negli ultimi venti anni, le fluttuazioni tra ecu e dollaro hanno raggiunto punte di 1,7 e di 0,6, da cui si evince che il recente andamento è lungi dall'essere eccezionale". Nel grafico sottoriportato si possono osservare le fluttuazioni dell'euro rispetto al dollaro fino ad oggi. Anche se l'entità dell'aumento del valore del dollaro non è un caso unico, tale aumento è stato molto rapido. Queste considerazioni esulano tuttavia dall'argomento del presente parere.

Grafico 1: Il valore dell'euro rispetto al dollaro USA

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Fonte:

Bollettino mensile della BCE (ottobre 2000).

1.3.1. Nel parere del 1998 si menzionava un altro aspetto, ovvero quello dell'effetto positivo dell'unione monetaria: "Quel che è comunque positivo nell'Unione monetaria è il fatto che la dipendenza esterna degli Stati membri diminuirà in modo considerevole, dato che gli scambi tra i partecipanti avranno luogo sostanzialmente in euro. Il valore esterno dell'euro costituirà quindi un problema molto meno importante di quanto non sia stato sino ad ora...". Tale pensiero si è concretizzato in un parere sulla situazione economica 2000(3): "Bisogna infatti ricordare che una delle caratteristiche della zona dell'euro è la forte dipendenza dalla domanda interna, la cui quota sul PIL è di circa il 90 %". Il tema è stato sviluppato in un parere del Comitato economico e sociale sul tema "L'Europa in quanto entità economica - Una sfida politica"(4).

1.3.2. Nel parere del 2000(5) si menziona inoltre che, sullo sfondo della situazione attuale, la politica della BCE per combattere l'inflazione potrebbe "rendere meno rapido il miglioramento congiunturale che in alcuni paesi membri era appena all'inizio". Questo è il punto di partenza della nostra riflessione sul significato del coordinamento della politica economica. Si parte inoltre dalla constatazione che "La disoccupazione rimane la preoccupazione principale del Comitato, che ha già precedentemente espresso l'opinione che, se si vuole ottenere un calo soddisfacente della disoccupazione, l'UE deve avere un obiettivo di crescita economica di almeno il 3,5 % nel medio termine(6)." L'importanza di coordinare i processi politici(7) è stata definita dal Comitato come "un policy-mix macroeconomico adeguato - comprendente la politica di bilancio, la politica monetaria e la politica dei redditi - per creare un clima di fiducia che stimoli i consumi e gli investimenti e per rilanciare così l'occupazione in modo sostenibile(8)."

1.3.3. Nel parere sul tema "Le ripercussioni dell'attuazione dell'UEM sulla coesione economica e sociale"(9) si parla di come l'UEM consentirà di realizzare guadagni di produttività attraverso l'aumento della concorrenza e si osserva che ciò potrebbe comportare il rischio di perdere posti di lavoro. "... ma se gli operatori nell'Unione europea riescono a coordinare le diverse politiche economiche, ne potrebbe risultare una domanda sufficientemente vigorosa. In questo caso gli effetti totali sull'occupazione potrebbero essere positivi." Uno degli effetti dell'UEM che consente agli Stati membri maggiori opportunità di attuare una politica attiva è costituito dal fatto che i tassi più bassi riducono gli interessi dello stato e hanno un effetto positivo sul bilancio.

2. Osservazioni preliminari

2.1. Si parte dal presupposto che l'UEM è un dato di fatto. Oggetto di discussione non sono le possibili riforme istituzionali, quanto la ripartizione dei poteri tra la BCE, il Consiglio dei Ministri e il Parlamento. Alla luce delle regole e dei criteri di convergenza di Maastricht, integrati dal patto di crescita e di stabilità, vedremo come il coordinamento della politica economica può consolidare gli effetti positivi dell'UEM(10). In questo contesto occorre segnalare anche l'importanza del Trattato di Amsterdam e del vertice di Lisbona.

2.2. In conformità del Trattato, la politica dei tassi viene gestita dalla BCE. In pratica la BCE influisce sul tasso a breve. Tale tasso deve essere fissato tenendo conto dell'inflazione, ma anche della crescita e dell'occupazione purché ciò non si ripercuota sull'obiettivo della stabilità dei prezzi(11).

2.2.1. Il SEBC(12) gestisce la quota comune delle riserve ufficiali in valuta estera e quindi gli strumenti per indirizzare il tasso di cambio dell'euro, ma per utilizzare tale strumento occorre informare il Consiglio dei Ministri (Euro-12). Questa interazione potrebbe essere oggetto di una riflessione specifica.

2.2.2. Per raggiungere la terza fase del UEM, ossia l'introduzione della moneta unica (euro), sono stati adottati i criteri di convergenza ai quali gli Stati membri si sono dovuti attenere. Per gli Stati membri che non sono ancora entrati nella terza fase tali criteri sono in sostanza ancora validi.

2.3. Tuttavia, per i 12 paesi che hanno introdotto l'euro, il livello dei tassi e l'inflazione non sono più soltanto parte degli obiettivi politici nazionali. Essi vengono al contrario stabiliti in base a valori medi dalla BCE. Quest'ultima ritiene che l'inflazione debba essere mantenuta al di sotto del 2 %. Spetta al Consiglio vigilare sullo sviluppo del tasso di cambio dell'euro. Il livello nazionale deve tuttora garantire il rispetto di due dei criteri di convergenza, ossia l'equilibrio di bilancio e il debito pubblico. I criteri vengono ora stabiliti mediante il patto di stabilità e di crescita. Per quanto riguarda il debito pubblico, il criterio prevede tuttora un livello massimo pari al 60 % del PIL. Il criterio relativo all'equilibrio di bilancio è diventato molto più severo. Il deficit massimo autorizzato è rimasto inalterato (- 3 % del PIL), ma si menziona che è auspicabile l'equilibrio o il saldo attivo. Il motivo viene espresso chiaramente: avere risorse necessarie per incentivi economici in periodi di congiuntura negativa nel futuro senza rischiare di raggiungere il limite (- 3 %). In realtà, l'UE non indica alcun obiettivo per quanto riguarda l'equilibrio di bilancio in quanto tale. L'obiettivo è piuttosto di creare risorse sufficienti per consentire di introdurre incentivi economici in periodi di congiuntura sfavorevole.

2.4. Il passo formale per quanto riguarda il coordinamento delle politiche economiche viene definito all'articolo 99 del Trattato: "Gli Stati membri considerano le loro politiche economiche una questione di interesse comune e le coordinano nell'ambito del Consiglio". Per le politiche anticongiunturali degli Stati membri esiste infatti soltanto un limite negativo (- 3 % del PIL) con possibilità di sanzioni se non si tratta di una caduta eccezionale del PIL. Per quanto riguarda l'attivo di bilancio, l'obiettivo deve essere quello di costituire le riserve finanziarie necessarie appena la situazione economica lo permette. In questo caso né il Trattato né il patto stabiliscono criteri o sanzioni fisse. Lo sviluppo auspicato per i prossimi anni è illustrato nel contesto degli indirizzi di massima per le politiche economiche (BEPG, Broad Economic Policy Guidelines). Formalmente essi non contengono alcune norme vincolanti, ma sono già diventati uno strumento di pressione molto forte per la politica economica.

3. Soggetti interessati e loro impatto

3.1. Con il Trattato di Maastricht, il Consiglio Ecofin è diventato il protagonista principale a livello dell'UE nell'ambito della politica economica. I criteri di convergenza imponevano requisiti che influivano sia in ambito monetario sia in ambito economico. Lo strumento di intervento è costituito dagli indirizzi di massima (BEPG) e dai rispettivi programmi di convergenza e di stabilità. I governi nazionali definiscono gli strumenti di politica economica in termini di entrate e uscite dello stato ma queste ultime, oltre a influire sullo sviluppo economico, ne sono a loro volta influenzate. In questo modo, una politica intesa a realizzare tali programmi può raggiungere risultati inferiori o superiori agli obiettivi a seconda dello sviluppo della congiuntura economica.

3.2. Dal 1o gennaio 1999, la BCE ha assunto interamente il ruolo di gestore della politica monetaria e di conseguenza tale politica è diventata formalmente comune. Lo strumento principale è il tasso a breve. Per quanto riguarda il tasso di cambio i ruoli sono ancora divisi. Nei paragrafi successivi torneremo sul tema del "potere" della BCE in materia di tassi e dello sviluppo economico.

3.3. Il terzo elemento della politica economica comune è costituito dalla politica salariale. Quest'ultima dipende dalle parti sociali dei rispettivi paesi, talvolta in collaborazione con i governi. Esistono diversi esempi di come a livello nazionale si è potuta creare una solida base per l'occupazione e la crescita, ad esempio mediante patti sociali. Anche a livello di UE si comincia a delineare il coordinamento tra le parti. Sebbene la politica salariale venga definita a livello nazionale, le organizzazioni a livello europeo svolgono un ruolo importante nelle discussioni con la BCE, il Consiglio Ecofin e il Parlamento europeo. Le discussioni tra i governi, la BCE e le parti sociali sono state formalizzate attraverso il processo di Colonia nell'ambito del quale il dialogo si svolge sia sul piano tecnico sia su quello politico.

3.4. L'andamento delle retribuzioni nei paesi confinanti ha assunto un'importanza maggiore rispetto al passato. Il buon coordinamento delle trattative fra i vari soggetti a livello nazionale non è più sufficiente. Occorre tenere conto anche degli sviluppi a livello europeo.

3.4.1. In caso di divergenza della situazione congiunturale di un determinato paese, la politica monetaria comune presuppone necessariamente una maggiore esigenza di flessibilità nella determinazione delle retribuzioni. Esistono esempi di accordi tra le parti sociali concernenti la creazione di fondi per far fronte a tali situazioni nei quali vengono versate risorse disponibili per manovre salariali negli anni di congiuntura favorevole per poi utilizzarle nei periodi difficili. Quando le finanze dello stato sono floride vi è inoltre un'altra possibilità: lo stato, sovvenzionando temporaneamente il sistema di previdenza sociale, può sostenere le parti sociali in modo tale da mantenere il livello delle retribuzioni anche in tempi difficili.

3.4.2. In periodi di variazione della situazione concorrenziale di un paese più a lungo termine, in passato esisteva la possibilità di svalutazione. Quando tale possibilità viene meno occorre sviluppare nuovi metodi. Un'altra possibilità potrebbe essere il contenimento degli aumenti salariali rispetto agli altri paesi. Tuttavia, in uno spazio dotato di moneta unica tale provvedimento produce lo stesso effetto negativo delle svalutazioni del passato. L'onere del necessario adeguamento viene trasferito in parte ad altri paesi. Se ciò avviene in diversi paesi che concorrono in termini di contenimento dell'aumento delle retribuzioni per ricuperare competitività, ci si ritrova ancora una volta nella situazione della corsa alla svalutazione. Una tale situazione va assolutamente evitata.

3.5. Per contribuire ad uno sviluppo durevole la politica salariale deve invece essere oculata e dinamica. L'unica base di riferimento adeguata per la fissazione delle retribuzioni è perciò la produttività. Un aumento della produttività superiore alla media nella zona euro dà origine ad un migliore sviluppo delle retribuzioni. Se l'aumento della produttività a lungo termine è inferiore alla media, ciò deve riflettersi sulle retribuzioni in rapporto agli altri paesi. In tale situazione, le misure in grado di stimolare l'aumento della produttività sono ovviamente auspicabili. La politica della formazione e l'aumento degli investimenti sono elementi centrali di questa politica. Con il progressivo ravvicinamento delle economie degli Stati membri è necessario un maggiore coordinamento a livello politico e, in tale contesto, il decentramento della determinazione delle retribuzioni non appare un metodo adeguato.

4. UEM e politica dei tassi

4.1. Il tasso d'interesse e l'aggregato monetario influiscono sulla domanda economica. La banca centrale regola questi elementi modificando il livello dei tassi. Quando il tasso sale la domanda diminuisce e viceversa. Per la BCE, il principale indicatore dell'attività economica è il livello d'inflazione. A causa del notevole aumento del prezzo del petrolio di quest'anno, la BCE si è trovata di fronte ad un dilemma dato che l'inflazione totale non costituisce più un indicatore dell'attività interna.

4.2. Oltre agli effetti nazionali diretti dovuti alla modifica dei tassi, è possibile attrarre gli investitori finanziari stranieri con tassi d'interesse elevati e quindi un elevato rendimento. Per fare ciò essi acquistano euro facendo salire il tasso di cambio. L'inverso avviene quando i tassi scendono rispetto ad altre zone monetarie. In questo senso anche il tasso di cambio è collegato agli interessi e all'aggregato monetario. Se l'aggregato monetario è eccessivo si manifestano tendenze inflazionistiche e di conseguenza gli operatori tentano di disfarsi degli euro in loro possesso e il tasso di cambio precipita. Il costo del lavoro, delle merci e dei servizi europei diminuisce per il resto del mondo, ma nello stesso tempo i prezzi delle importazioni aumentano.

4.3. A breve termine i prezzi e i salari nominali sono scarsamente mobili. Il tasso di rifinanziamento della BCE può invece essere efficacemente utilizzato per stimolare o limitare la domanda economica dato che influisce direttamente sui tassi di mercato a breve termine. Come illustra il grafico che segue, vi è una forte correlazione tra il livello del tasso di rifinanziamento e dei tassi a breve.

Grafico 2: Il tasso a breve e il tasso di rifinanziamento della BCE

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* I tassi del mercato monetario al 01/99 e al 04/99 sono basati sulla media annuale. Per il mese di settembre 2000 il tasso di rifinanziamento si riferisce al periodo dal 6 settembre in poi, mentre il tasso del mercato monetario al periodo dall'8 settembre.

Fonte:

Bollettino mensile della BCE (settembre 2000).

4.4. I tassi a lungo termine sono influenzati dalle previsioni concernenti i tassi a breve e la politica economica. Come indica il grafico che segue, tra il livello del tasso di rifinanziamento e i tassi a lungo non esiste la stessa relazione illustrata sopra. Al contrario, in alcuni mesi, i tassi a breve sono scesi mentre il tasso di rifinanziamento è aumentato. Ciò indica che i mercati finanziari ritengono che in futuro la politica monetaria sarà più rigorosa al fine di evitare tendenze inflazionistiche. I premi di rischio vengono perciò ridotti e i tassi d'interesse sono più bassi di quanto sarebbero se le previsioni indicassero una politica monetaria espansiva con maggiore rischio di inflazione e di surriscaldamento.

Grafico 3: Tasso a lungo e tasso di rifinanziamento della BCE

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* I tassi del mercato monetario al 01/99 e al 04/99 sono basati sulla media annuale. Per il mese di settembre 2000 il tasso di rifinanziamento si riferisce al periodo dal 6 settembre in poi, mentre il tasso del mercato monetario, al periodo dall'8 settembre.

Fonte:

Bollettino mensile della BCE (settembre 2000).

4.5. Nonostante la BCE sia formalmente indipendente, in pratica essa non può agire del tutto autonomamente. I mercati valutari mondiali sono dominati dal dollaro americano e i capitali internazionali sono perfettamente mobili. Le differenze di rendimento degli investimenti tra Europa e Stati Uniti hanno un impatto diretto sui flussi di capitale. La BCE non può quindi basarsi unicamente sulle esigenze della situazione economica dell'UE nello stabilire la propria politica in materia di tassi. Se i tassi e il rendimento da capitale nell'UE sono inferiori a quelli degli USA, i capitali investiti si trasferiscono negli USA(13). Il grafico 4 illustra l'andamento divergente del tasso di interesse reale tra gli Usa e la zona euro negli ultimi tempi. Occorre trovare un equilibrio tra tale effetto, dovuto alla forte dipendenza a livello internazionale dal mercato finanziario, e la necessità di stimolare l'economia che impone la riduzione dei tassi perché per stimolare l'economia occorrono capitali d'investimento.

Grafico 4: Andamento del tasso reale rispettivamente nella zona euro e negli USA

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Fonte:

Prospettive economiche n° 67, OCSE 2000.

4.5.1. Ciò che colpisce nelle statistiche quotidiane, e che sembra causare la maggior parte delle preoccupazioni, è il conseguente effetto sui tassi di cambio. Ciò influisce sia sulla situazione concorrenziale generale sia sull'inflazione attraverso l'aumento dei prezzi delle importazioni. Guardando al passato, si rileva che le fluttuazioni tra il dollaro americano e le valute europee sono state ancora superiori a quelle del 1999-2000. Ciò significa da un lato che fluttuazioni considerevoli sono un fenomeno normale che può cambiare improvvisamente direzione e, dall'altro, che gli effetti sull'inflazione possono essere notevoli.

4.5.2. In questo modo la situazione economica e la politica economica di altri paesi, in primo luogo degli USA influisce sulle possibilità della BCE di indirizzare le attività economiche. I soggetti implicati sono in altre parole non tre, ma almeno quattro: la BCE, il Consiglio Ecofin, le parti sociali e i gli organismi corrispondenti negli USA. L'opinione che si debbano individuare misure per ridurre l'impatto delle forti fluttuazioni del mercato finanziario internazionale sulle economie è sempre più condivisa.

4.6. Ma i tassi d'interesse non sono determinanti soltanto per lo sviluppo futuro dell'inflazione, ma anche in quanto fattore che influisce sull'attività economica. L'inflazione e la congiuntura sono strettamente collegate. Se tutti gli Stati membri fossero caratterizzati dalla stessa inflazione e dalla stessa situazione congiunturale, una politica dei tassi che mantenesse l'inflazione al livello desiderato sarebbe adeguata alla politica congiunturale di tutti gli Stati.

4.6.1. Ma la situazione è diversa. Il fatto che il livello d'inflazione e la congiuntura siano diversi nei vari Stati membri costituisce la ragione principale per cui l'UEM, accompagnata da una politica monetaria comune, non può funzionare in maniera ottimale senza un coordinamento simultaneo della politica economica. La politica economica serve a correggere, mediante la politica congiunturale, la politica monetaria comune. La politica che deriva da tale coordinamento dipende totalmente dalle attuali differenze tra gli Stati membri.

4.6.2. La grande differenza rispetto al passato consiste nel fatto che la politica monetaria comune, invece di basarsi sul livello di inflazione nazionale, si basa sul livello di inflazione medio (calcolato in base al PIL dei rispettivi paesi).

4.6.3. Il modo peggiore per effettuare il coordinamento sarebbe quello di stabilire anche in campo economico una politica comune analoga in tutti gli stati. Una simile armonizzazione aggraverebbe i problemi creati dalla politica monetaria comune in un contesto caratterizzato da livelli di inflazione e situazioni congiunturali diverse.

4.6.4. Al contrario, il coordinamento deve servire a mettersi d'accordo sulle differenze della politica economica tra quei paesi che meglio possono controbilanciare gli effetti negativi della politica monetaria comune per i paesi la cui situazione è diversa. Se si lasciasse semplicemente che ciascuno stato agisse come meglio crede, partendo da una determinata politica monetaria comune, si creerebbero probabilmente dei conflitti a causa del fatto che, dati gli stretti rapporti economici all'interno dell'UE, la politica di un paese influisce anche sugli altri. Il coordinamento deve perciò consistere nel consentire la formulazione di raccomandazioni per ciascuno stato e nel valutare gli effetti verosimili di tale politica sugli altri stati. La politica deve evolvere dalla cooperazione su base totalmente volontaria al reale coordinamento.

5. La grande importanza del mercato interno

5.1. Come constatato a più riprese dalla Commissione, dal Consiglio nonché dal Comitato, il PIL degli Stati membri dell'UE deriva per circa il 90 % da scambi interni. Con l'ampliamento, tale percentuale si ridurrà ulteriormente. A lungo termine, i rapporti con il resto del mondo grazie allo sviluppo della competitività a livello internazionale, che decide le sorti di quel 10 % che rappresenta gli scambi con il resto del mondo, hanno un'importanza decisiva. Per quanto riguarda le possibilità a breve termine di correggere certi effetti della politica monetaria comune attraverso la politica economica, la percentuale del 90 % indica che esistono possibilità di coordinamento.

5.1.1. La Commissione ha raccolto dati (Relazione economica annuale 1999) al fine di illustrare l'apertura della zona euro al resto del mondo e la dipendenza reciproca degli allora 11 Stati membri. In questo caso, i quattro stati che nel 1999 non facevano parte della zona euro vengono considerati come paesi terzi. Il 13 % del PIL dei paesi della zona euro è costituito da scambi con il resto del mondo. Una quota analoga del loro PIL è rappresentata dagli scambi tra gli 11 Stati membri, che nella prospettiva dell'euro vengono considerati come commercio interno. Le differenze tra gli Stati membri sono quindi considerevoli. La dipendenza dal commercio interno è perciò più un fenomeno tipico dell'UE piuttosto che della zona euro.

5.2. La dipendenza dal commercio comunitario interno totale è molto elevata. Il commercio transfrontaliero interno rappresenta circa il 31 % del PIL ed è costituito rispettivamente per circa il 16 % da esportazioni e per circa il 15 % da importazioni. La percentuale varia notevolmente a seconda dei paesi e naturalmente a quelli più piccoli corrispondono percentuali più elevate.

Tabella 1: Commercio interno all'UE (% del PIL)

>SPAZIO PER TABELLA>

Fonte:

European Economy n. 69.

5.3. La combinazione tra indipendenza dall'esterno e dipendenza dall'interno fa sì che la politica economica di uno Stato membro influenzi in misura molto limitata il resto del mondo. Per quanto riguarda la conformazione del commercio, anche l'influenza esterna sulla maggior parte dei paesi è lieve, ma d'altro canto, gli effetti della politica economica di uno stato sugli altri Stati membri sono considerevoli.

5.4. Per valutare l'entità di tali rapporti abbiamo chiesto al Erhvervsrådet(14) danese di applicare il suo rinomato modello econometrico alla zona euro. Nella tabella sottoriportata sono stati calcolati gli effetti dell'aumento degli investimenti pubblici in percentuale del PIL.

Tabella 2: Aumento degli investimenti pubblici

Effetto totale nel corso del terzo anno (2000-2002)

(Austria, Irlanda, Portogallo e Lussemburgo non sono inclusi nel modello)

>SPAZIO PER TABELLA>

Fonte:

Consiglio economico del movimento del lavoro, Danimarca.

I dati indicano gli effetti sul PIL e sull'occupazione dopo tre anni. Purtroppo è stato possibile includere nello studio solo 7 dei 12 paesi euro. Se tutti e 12 avessero partecipato l'effetto sarebbe stato più marcato. La colonna A della tabella indica i risultati in un determinato paese quando ciascun paese agisce singolarmente. La colonna B illustra poi gli effetti dell'aumento degli investimenti in ciascuno dei rimanenti 6 paesi inclusi nello studio. Un aumento degli investimenti in Germania induce ad esempio un aumento del PIL degli altri paesi in media dello 0,2 %. La colonna C contiene infine i dati relativi ad un'espansione coordinata degli investimenti, ossia nel caso in cui tutti e 7 i paesi aumentino contemporaneamente i propri investimenti pubblici. Gli effetti sul PIL sono in tal caso circa doppi rispetto al caso in cui i paesi agiscano singolarmente.

5.5. Nonostante l'esattezza dei dati possa essere approssimativa, la tabella fornisce un'immagine chiara di come l'efficacia della politica aumenti grazie al coordinamento delle azioni. Ciò dimostra anche che le azioni di politica economica di un paese possono andare a vantaggio di altri paesi che si trovano nella stessa fase congiunturale ma possono anche creare problemi ad altri paesi che si trovano in una fase congiunturale diversa.

6. Rapida intensificazione del coordinamento

6.1. Il Consiglio europeo si è espresso in varie occasioni a favore di un rafforzamento del coordinamento della politica economica. Data l'esiguità del bilancio della Comunità inteso come percentuale del PIL totale, non vi sono grandi possibilità di stabilizzazione economica. In alcuni casi tuttavia l'UE può aiutare paesi in gravi difficoltà economiche(15).

6.2. I principi fondamentali per il coordinamento delle politiche nazionali stabiliti al vertice di Helsinki (dicembre 1999) sono: 1) la sussidiarietà - anche se la politica di bilancio deve seguire il Trattato e il patto di crescita e stabilità, vi è spazio per scelte politiche nazionali; 2) i diversi soggetti interessati sono indipendenti - la BCE, le parti sociali e i governi; 3) gli stati membri sono tenuti a considerare le loro politiche economiche come una questione di interesse comune (cfr. art. 99 del Trattato).

6.3. Il coordinamento si limita al quadro generale della politica e ciò presuppone che si deve evitare la concorrenza dannosa. D'altro canto, le "buone pratiche" costituiscono un elemento importante nel processo che consiste nell'apprendere dai successi e dai fallimenti reciproci.

6.4. Esistono già svariati metodi di coordinamento: scambi di informazioni, discussione delle "buone pratiche", principi guida comuni, valutazione reciproca e azioni comuni. A seconda della politica di cui si tratta, esistono varie possibilità per ciascun metodo. Ciò che manca è una visione globale dell'insieme delle misure nel quadro di orientamenti comuni prestabiliti.

6.5. Ai sensi dell'articolo 99 del Trattato, gli indirizzi di massima per le politiche economiche costituiscono il punto di partenza per il coordinamento. Tali indirizzi di massima devono comprendere anche altri processi (Lussemburgo, Cardiff e Colonia) e concludono il processo politico per un determinato anno avviando quello dell'anno successivo. Nel corso degli anni, gli indirizzi di massima (Broad Economic Policy Guidelines, BEPG) sono diventati più concreti e più orientati verso le questioni strutturali. Le relazioni presentate dalla Commissione in merito a tutti questi processi, soprattutto in vista dell'elaborazione degli indirizzi di massima per le politiche economiche (BEPG), costituiscono già una base per stabilire come attuare il coordinamento delle politiche economiche. Al fine di migliorare questa base, occorrono dati economici più precisi e tempestivi da parte degli Stati membri.

6.6. Oltre alle disposizioni formali del Trattato e del patto, i 12 ministri della zona euro intrattengono periodicamente scambi di opinione in merito alla politica di bilancio. Il Comitato ritiene importante precisare meglio il ruolo dei ministri dei 12 paesi euro, in quanto organo che dirige le azioni nell'ambito di questa politica.

6.7. I risultati del processo di Cardiff vengono inclusi negli indirizzi di massima e nel 2000 il coordinamento tra i lavori dei ministri dell'occupazione e il processo di Lussemburgo è stato sviluppato a tal punto che i ministri discutono anche gli indirizzi di massima. Attraverso il dialogo macroeconomico si sono create possibilità di discussione che facilitano il coordinamento delle politiche monetarie, economiche e salariali. Oltre a ciò, con il Vertice di Lisbona è stato introdotto un nuovo elemento che consiste in vertici annuali per continuare a discutere soprattutto i temi dell'occupazione e della società dell'informazione.

6.8. In una relazione presentata dal Consiglio Ecofin al Consiglio europeo di Helsinki vengono descritte varie modifiche necessarie per migliorare il coordinamento, ad esempio tramite i cosiddetti indicatori e l'analisi comparativa. Il primo passo consiste nel dedicare più tempo a giungere ad una comprensione comune degli elementi ciclici e strutturali della politica di bilancio. Per riuscire in questo intento bisogna disporre di un maggior numero di dati affidabili.

6.9. Il passo successivo consiste nel rendere più concreti gli indirizzi di massima (BEPG), orientandoli maggiormente verso obiettivi a lungo termine e prestando maggiore attenzione all'attuazione. I progetti concreti per ciascuno Stato membro devono essere dettagliati e confrontabili in modo da consentire di seguire la loro realizzazione. Se i bilanci nazionali vengono presentati in un altro momento rispetto ai piani di convergenza e stabilità, occorre assicurarsi che vi sia un collegamento il più possibile stretto con detti piani. Sia i piani sia i bilanci devono tenere conto delle implicazioni dell'invecchiamento della popolazione. Per essere efficace il coordinamento deve fondarsi anche sull'apertura e sulla volontà di accettare consigli e di modificare la politica.

6.10. Le presenti raccomandazioni sono importanti per individuare metodi efficaci per seguire la politica nei rispettivi paesi.

7. Situazioni congiunturali diverse

7.1. Nella discussione sui problemi che possono insorgere in una zona dotata di una moneta unica domina la questione dei cosiddetti "shock asimmetrici"(16). Questi ultimi sono ovviamente possibili, ma gli sviluppi degli ultimi decenni dimostrano invece che la maggior parte degli shock che si verificano (ad esempio gli aumenti del prezzo del petrolio) colpiscono, sebbene con intensità non proprio identica, la maggior parte dei paesi e sono perciò simmetrici. La scomparsa del commercio con la Russia che ha colpito la Finlandia è l'esempio che si avvicina di più allo shock asimmetrico. Gli aiuti comunitari previsti dall'articolo 100, paragrafo 2, menzionati sopra, permettono di prevenire situazioni estreme in cui un paese o un piccolo gruppo di paesi, ma non la maggior parte degli altri, vengono colpiti da un fenomeno di questo tipo.

7.2. Se gli shock asimmetrici sono rari, le divergenze tra paesi in materia di sviluppo congiunturale sono notevoli. Esse costituiscono il motivo principale dell'esigenza di un coordinamento delle politiche economiche nell'ambito della politica monetaria comune. Per stabilire quale tipo di coordinamento è necessario e più efficace, è indispensabile disporre di maggiori conoscenze sulle differenze congiunturali.

7.3. Nel corso degli ultimi anni abbiamo studiato le differenze tra le situazioni congiunturali degli Stati membri. Da un lato si possono studiare le differenze in condizioni normali e vedere se sono considerevoli o minime, dall'altro si possono osservare le variazioni tra un paese e l'altro. Sono sempre gli stessi paesi che entrano per primi nel ciclo della congiuntura e che si discostano dagli altri? Esistono diversi modi di quantificare la situazione congiunturale di un paese? Abbiamo scelto il più semplice, ovvero la variazione del PIL.

7.4. Il diagramma sottoriportato, basato su dati dell'OCSE, indica che le congiunture economiche dei paesi della zona euro negli ultimi anni hanno mostrato la tendenza a ravvicinarsi. Alcuni paesi deviano tuttavia da tale tendenza, come ad esempio l'Irlanda, la Finlandia e, per motivi legati all'unificazione, la Germania. Tale ravvicinamento probabilmente è dovuto al mercato unico e ai criteri di convergenza e dimostra quindi il significato di questi ultimi per le politiche economiche future nel contesto delle quali il coordinamento può produrre maggiore crescita e occupazione.

Grafico 5a: Variazione del PIL reale

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Grafico 5b: Variazione del PIL reale

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Fonte:

OCSE.

8. Stabilizzatori automatici

8.1. Se in un paese che si trova in una congiuntura che si discosta dalla norma non vengono prese decisioni politiche innovative, l'economia di tale paese si adegua col tempo alle congiunture presenti negli altri paesi grazie a meccanismi di adattamento interni. Il problema consiste nel fatto che tale processo richiede troppo tempo e che nel frattempo intervengono effetti collaterali negativi. Se la congiuntura è favorevole, l'attività economica più intensa provoca inflazione. A causa dell'interdipendenza a livello internazionale, si verifica un deterioramento della competitività e col tempo una riduzione delle attività economiche. Nel caso degli Stati membri, questo adattamento avviene per lo più attraverso il mercato unico. Inoltre, un adattamento del livello dei prezzi nella zona euro porterebbe ad una politica monetaria complementare più restrittiva con l'effetto di rallentare l'attività economica nel suo complesso.

8.2. Poiché un simile meccanismo dei prezzi funziona agendo negativamente sull'occupazione e la crescita, e dato che gli effetti si manifestano in larga misura attraverso altri paesi, questo tipo di adattamento non è accettabile. Tradizionalmente si interviene invece piuttosto aumentando o riducendo le entrate e le uscite del settore pubblico per accelerare il processo e mantenere la congiuntura a un livello "normale". Attraverso lo sviluppo dei nostri sistemi economici sono stati previsti vari fattori che, funzionando correttamente, consentono adeguamenti automatici in caso di lievi variazioni della situazione congiunturale. Ecco alcuni esempi significativi:

- Indennità di disoccupazione. Il fatto che i lavoratori durante periodi di disoccupazione possano conservare una parte del proprio reddito disponibile limita gli effetti negativi dell'aumento della disoccupazione sulla domanda.

- I programmi a favore dell'occupazione intesi a mobilitare i disoccupati al fine di mantenere le loro competenze compensano gli effetti negativi sul mercato nei periodi di disoccupazione. L'offerta di manodopera e il tasso di occupazione sono condizioni necessarie per la crescita, di conseguenza è importante garantire l'offerta di manodopera in attesa dell'inversione della congiuntura.

- Imposizione progressiva e rete di previdenza sociale. Queste ultime limitano l'esclusione e riducono quindi la perdita di potere d'acquisto. In congiunture favorevoli limitano la domanda trasferendo risorse al settore pubblico.

- Anche le sovvenzioni basate sul reddito, come ad esempio la riduzione delle spese per la custodia dei bambini, contribuiscono a sostenere il potere d'acquisto in congiunture negative e a ridurre le spese dello stato in congiunture favorevoli.

- Livello di istruzione. In periodi di trasformazioni strutturali, una manodopera più qualificata ha più facilità a seguire una formazione che le permetta di indirizzarsi verso professioni deficitarie in modo da costituire una "riserva" di manodopera qualificata quando la congiuntura tornerà ad essere favorevole.

- I fondi "ammortizzatori", come quelli creati in Finlandia (responsabilità delle parti sociali), sono stati pensati per essere alimentati in periodi di prosperità e per essere utilizzati in periodi meno propizi. Vengono costituiti destinando una parte del margine per manovre salariali alla creazione dei fondi durante periodi di congiuntura favorevole per poi finanziare una parte del costo della manodopera in periodi di congiuntura sfavorevole. Il vantaggio di questo sistema consiste nel fatto che consente un aumento più equilibrato del reddito reale nel tempo, evitando tendenze inflazionistiche.

9. Ciò che è corretto dal punto di vista economico non è sempre realizzabile sul piano politico

9.1. Grazie all'UEM la politica dei tassi non è influenzata dall'imminenza delle elezioni. Senza una politica dei tassi resa in questo modo indipendente dalle decisioni politiche quotidiane, soprattutto nei periodi immediatamente precedenti alle elezioni, è quasi impossibile elaborare una politica dei tassi corretta dal punto di vista della situazione congiunturale. In periodi di congiuntura favorevole e di elezioni, in politica economica le probabilità che un governo introduca restrizioni economiche necessarie data la situazione congiunturale sono molto scarse. I politici preferiscono ottenere una vittoria elettorale piuttosto che operare scelte economiche corrette perdendo le elezioni. Non si è mai vista un'opposizione che in tale situazione non sfrutti la possibilità di criticare una politica economica restrittiva. Se tutte le elezioni avvenissero in periodi di congiuntura negativa, le scelte auspicabili dal punto di vista politico sarebbe sempre ottime anche sul piano economico. Ma la realtà purtroppo è un'altra. In un momento in cui parecchi stati dell'UE presentano bilanci in pareggio o addirittura in attivo, può essere allettante per i politici introdurre riduzioni fiscali prima delle elezioni indipendentemente dalla situazione economica generale. Per questi motivi il Consiglio dei Ministri deve promuovere ulteriormente quello che per il momento è soltanto uno sviluppo auspicabile della politica.

9.2. Dopo il Consiglio di Lisbona, la Commissione ha presentato una serie di norme che potrebbero essere introdotte in materia di politica economica nella situazione economica attuale. In precedenza, si era parlato a lungo della necessità di introdurre riduzioni fiscali. Nel suddetto documento, la Commissione osservava che, nella situazione economica attuale tali modifiche sono probabilmente inappropriate, ma se sono comunque previste, sarebbe opportuno seguire alcune delle linee direttrici indicate dalla Commissione stessa. Nell'attuale situazione congiunturale positiva, le economie potrebbero difficilmente sopportare ulteriori stimoli senza produrre tendenze inflazionistiche. In questa situazione esistono buoni motivi per puntare all'obiettivo a lungo termine che consiste nell'alimentare le finanze pubbliche per consentire incentivi economici nel momento in cui la congiuntura peggiorerà. Anche in una situazione economica diversa, la riduzione delle imposte sul reddito deve essere valutata soprattutto in relazione al debito pubblico e allo sviluppo demografico. Questo tipo di modifiche fiscali può essere adottato solo nel quadro di riforme del sistema di previdenza sociale. Tutti questi temi vengono trattati nella relazione della Commissione sulle finanze pubbliche che attualmente non è ancora stata esaminata dal Consiglio.

10. Orientamenti per il coordinamento

10.1. Vi sono dunque molteplici motivi per rafforzare il coordinamento in materia di politica economica ed è necessaria una base di riferimento comune per tutti i metodi a disposizione per realizzare il coordinamento. Il Comitato ritiene che tale coordinamento dovrebbe articolarsi come segue.

10.2. In primo luogo, più che la natura precisa delle misure che verranno adottate, è importante l'orientamento (restrittivo o espansivo) della politica. Nella stessa situazione congiunturale, la modifica delle entrate pubbliche può rappresentare una misura corretta sia dal punto di vista economico sia politico in un paese, mentre la modifica della spesa pubblica nell'altro senso può essere più adeguata in un altro. Se si opta per una riduzione fiscale in due paesi, la scelta più adeguata può essere la riduzione delle imposte sul reddito in uno e la riduzione dell'IVA nell'altro. L'elemento primario è l'orientamento, mentre la scelta delle misure concrete passa in secondo piano.

10.3. In secondo luogo, oltre alla questione dell'orientamento, occorre effettuare una riflessione comune prima di passare alle misure concrete. Si tratta di stabilire in quale misura i diversi provvedimenti influiscono sugli altri Stati membri. In base alla situazione congiunturale precisa si stabilisce se è opportuno scegliere misure che esercitano un impatto forte o più lieve sugli altri stati. Se la maggior parte dei paesi si trova nella stessa situazione, il coordinamento comporta la scelta di misure che esercitino un forte impatto sugli altri stati. In questa situazione, la modifica dell'IVA può ad esempio essere più efficace dato che il ritocco delle aliquote IVA influisce in maniera diretta sui consumi privati (agendo sul reddito disponibile) e quindi anche sulle importazioni da altri paesi. D'altro canto, la modifica della maggior parte delle spese pubbliche influisce solo in maniera indiretta e in misura minore sui consumi privati e sulle importazioni. Se un paese invece si trova in una situazione completamente diversa da quella degli altri, si può allora ad esempio optare per una modifica di quelle spese che influiscono soltanto in maniera limitata sugli altri stati.

10.4. In terzo luogo, le discussioni relative alla scelta delle misure dopo le riflessioni sopracitate dovrebbero essere lasciate agli Stati membri. L'assenza di decisioni comuni non deve però escludere discussioni comuni in seno al Consiglio dei Ministri. Queste ultime devono invece costituire il punto centrale dell'elaborazione concreta di una politica economica coordinata. Poiché è decisamente più difficile formalizzare tali decisioni mediante disposizioni integrative nel Trattato, dovrebbe essere possibile utilizzare una struttura già esistente. Il metodo formale è meno importante rispetto al contenuto concreto dell'azione di coordinamento. Occorre inoltre creare una base di conoscenze relative all'efficacia delle varie misure nelle diverse situazioni congiunturali. In tale contesto, anche nei dibattiti che si svolgono in seno al Consiglio dei Ministri si dovrebbe trarre insegnamento dalle esperienze positive e negative nei diversi paesi.

10.4.1. È inoltre molto importante tenere presente che un determinato strumento può essere efficace in un paese ma non necessariamente in tutti gli altri. La struttura economica, la conformazione del sistema di previdenza sociale, l'entità delle disparità economiche e così via, sono tra i fattori che possono far sì che un provvedimento risulti efficace in un certo ambiente economico ma non in un altro.

10.5. Come quarto punto, è importante rilevare che la preoccupazione principale è costituita dagli effetti sulla congiuntura reale, poiché il coordinamento delle politiche economiche deve rafforzare gli effetti collettivi della politica monetaria ed economica sulla stabilità, sulla crescita e sull'occupazione. Se si vuole l'armonizzazione dei sistemi politici per altri motivi, ciò non dovrebbe in primo luogo avvenire nel contesto delle regole relative al coordinamento annuale della politica economica. Si tratta del livello fiscale, del livello della spesa e della ripartizione tra le diverse imposte e i vari tipi di spesa. Dette modifiche rientrano perciò nella struttura fissa di coordinamento raccomandata nel presente parere soltanto se sono strettamente collegate alla politica congiunturale attuale.

10.6. Questo genere di interconnessioni esiste. Se ad esempio si vogliono ridurre le differenze tra le aliquote IVA, e quindi anche le occasioni di evadere il fisco non pagando l'IVA, si potranno sfruttare le differenze tra le situazioni congiunturali dei vari paesi per realizzare progressivamente tale obiettivo. Un paese che si trova, contrariamente a tutti gli altri, in una congiuntura favorevole e il cui livello IVA è inferiore alla media, dovrebbe in questa situazione aumentare tale livello. Un paese che si trova, contrariamente a tutti gli altri, in una congiuntura negativa e il cui livello IVA è elevato, dovrebbe analogamente approfittare della situazione per ridurlo. Questi e altri esempi dimostrano che una politica economica coordinata può avere anche conseguenze a lungo termine sull'insieme del coordinamento economico e ridurre le disparità che tra l'altro possono causare problemi sul mercato interno.

10.6.1. Un tipo di fiscalità che prevede basi imponibili facilmente trasferibili da un paese all'altro costituisce uno spazio nel quale le differenze tra le situazioni economiche dovrebbero essere utilizzate soprattutto per neutralizzare le disparità. Un paese che si trova in una congiuntura molto migliore rispetto agli altri, e nel quale vige un sistema di tassazione poco oneroso dei redditi da capitale, dei profitti delle imprese ma anche delle attività rischiose per l'ambiente, dovrebbe approfittare della situazione per eliminare tali differenze. Analogamente, un paese caratterizzato da un regime fiscale oneroso, che si trova in una congiuntura peggiore, dovrebbe cogliere l'occasione per diminuire gli oneri fiscali. Questi aggiustamenti della politica potranno in futuro produrre effetti collaterali positivi tra cui una situazione congiunturale e concorrenziale più omogenea.

10.7. Infine, è importante sottolineare ancora una volta che tutte queste considerazioni concernenti il coordinamento della politica economica presuppongono una certa moderazione in tempi di prosperità. Se tale moderazione non venisse rispettata, ci si ritroverebbe in una situazione analoga a quella degli anni '90, quando l'esigenza di risanare le finanze pubbliche non consentiva interventi rigorosi in periodi di congiuntura negativa. La moderazione non può dunque essere spinta fino a livelli insostenibili. Le opportunità di crescita offerte dalle congiunture favorevoli devono essere sfruttate. Bisogna trovare un equilibrio tra lo sfruttamento delle opportunità di crescita e la necessità di evitare l'insorgere di strozzature che provocano tendenze inflazionistiche.

10.8. Vogliamo incoraggiare i protagonisti della politica economica, ovvero i governi, la BCE, la Commissione e le parti sociali, a sviluppare, partendo dall'analisi e dalle raccomandazioni presentate nel presente documento, il coordinamento delle politiche economiche all'interno dell'UE. In tal modo sarà possibile sfruttare al massimo le condizioni favorevoli create dall'UEM per promuovere la crescita e l'occupazione.

Bruxelles, 1o marzo 2001.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale

Göke Frerichs

(1) GU C 157 del 25.5.1998, pag. 65.

(2) GU C 117 del 26.4.2000, pag. 23.

(3) GU C 140 del 18.5.2000, pag. 44.

(4) GU C 284 del 14.9.1998, pag. 60.

(5) GU C 117 del 26.4.2000, pag. 23.

(6) GU C 140 del 18.5.2000, pag. 44.

(7) Processo di Cardiff concernente la politica strutturale, processo di Lussemburgo concernente la politica occupazionale e processo di Colonia relativo al dialogo macroeconomico.

(8) GU C 209 del 22.7.1999, pag. 53.

(9) GU C 368 del 20.12.1999, pag. 87.

(10) Tale patto consiste formalmente di una risoluzione adottata dal Consiglio europeo ad Amsterdam nel 1997 e di regolamenti per il rafforzamento della sorveglianza delle posizioni di bilancio nonché della sorveglianza e del coordinamento delle politiche economiche (Regolamento CE n. 1466/97) e per l'accelerazione e il chiarimento delle modalità di attuazione della procedura per i disavanzi eccessivi (Regolamento CE n. 1467/97).

(11) Ai sensi dell'articolo 105 del Trattato "L'obiettivo principale del SEBC è il mantenimento della stabilità dei prezzi. Fatto salvo l'obiettivo della stabilità dei prezzi, il SEBC sostiene le politiche economiche generali nella Comunità al fine di contribuire alla realizzazione degli obiettivi della Comunità definiti nell'articolo 2".

(12) Sistema europeo di banche centrali.

(13) Cfr. anche il parere del Comitato "Le sfide poste dall'UEM ai mercati finanziari", GU C 367 del 20.12.2000.

(14) "Economic Council of the Labour Movement" (Consiglio economico del movimento del lavoro).

(15) Articolo 100, paragrafo 2: "Qualora uno stato membro si trovi in difficoltà o sia seriamente minacciato da gravi difficoltà a causa di circostanze eccezionali che sfuggono al suo controllo, il Consiglio, deliberando all'unanimità su proposta della Commissione, può concedere a determinate condizioni un'assistenza finanziaria comunitaria allo Stato membro interessato".

(16) GU C 368 del 20.12.1999.