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Parere del Comitato economico e sociale sul tema "Integrare ambiente e sviluppo sostenibile nella politica di cooperazione economica e allo sviluppo"

Gazzetta ufficiale n. C 014 del 16/01/2001 pag. 0087 - 0091


Parere del Comitato economico e sociale sul tema "Integrare ambiente e sviluppo sostenibile nella politica di cooperazione economica e allo sviluppo"

(2001/C 14/18)

La Commissione europea, in data 18 maggio 2000, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale in merito al tema di cui sopra.

La Sezione "Relazioni esterne", incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il parere sulla base del rapporto introduttivo del relatore Ribbe (Correlatore: Gafo Fernandez), in data 10 ottobre 2000.

Il Comitato economico e sociale ha adottato il 19 ottobre 2000, nel corso della 376a sessione plenaria, con 83 voti favorevoli e 6 astensioni, il seguente parere.

1. Introduzione

1.1. L'articolo 177 del Trattato di Amsterdam fa della promozione allo sviluppo sostenibile un obiettivo primario della cooperazione allo sviluppo della Comunità europea.

1.2. Il Consiglio europeo, al vertice di Cardiff del giugno 1998, ha sottolineato l'importanza di integrare la protezione dell'ambiente e lo sviluppo sostenibile in tutte le politiche della Comunità e ha invitato la Commissione e il Consiglio, in tutte le composizioni pertinenti, ad elaborare le strategie necessarie.

1.3. La Comunicazione della Commissione "Integrare ambiente e sviluppo sostenibile nella politica di cooperazione economica e allo sviluppo"(1) rientra nel quadro della suddetta strategia di integrazione.

1.4. Il Comitato economico e sociale è al corrente delle deliberazioni del Consiglio "Sviluppo" dell'11 novembre 1999 e del 18 maggio 2000 e della Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo intitolata "La politica dello sviluppo della Comunità europea"(2).

2. Osservazioni generali

2.1. Il Comitato si compiace che la Commissione abbia presentato il documento in esame, con cui essa non solo dimostra il proprio impegno nell'attuare le disposizioni del Trattato di Amsterdam e del vertice di Cardiff, ma sottolinea anche l'estrema importanza di un tema per il quale vi è ancora molto da fare.

2.2. Sia nella Comunicazione in esame che nel documento generale sulla politica di sviluppo(3), la Commissione ha constatato ripetutamente e a giusto titolo che alla società civile spetta un ruolo fondamentale nell'affrontare quanto ancora resta da compiere. Da tale punto di vista il Comitato, che costituisce uno dei rappresentanti della società civile organizzata, si rammarica di essere stato finora solo parzialmente coinvolto nelle riflessioni della Commissione. Fa osservare alla Commissione, al Consiglio e al Parlamento che i contributi del Comitato possono essere utili allo sviluppo di questo importante settore della politica comunitaria solo se il Comitato non viene consultato in riferimento a singole parti o a singoli documenti, ma coinvolto in tutto il processo di sviluppo di questa politica. Si invita la Commissione a comunicare al Comitato le modalità future della sua integrazione nel prosieguo della politica di cooperazione economica e allo sviluppo.

2.3. Il Comitato segue con preoccupazione l'attuale sviluppo a livello globale. Constata che la promessa delle nazioni industrializzate, già formulata all'Assemblea generale delle Nazioni Unite del 24 ottobre 1970 e ribadita più volte successivamente, di investire almeno lo 0,7 % del rispettivo prodotto nazionale lordo nell'aiuto allo sviluppo, non è stata mantenuta dalla maggior parte dei paesi e che attualmente tale percentuale in media non supera lo 0,23 %.

2.4. Il divario fra ricchi e poveri si allarga sempre più. Il circolo vizioso nel quale si trovano molti paesi in via di sviluppo - e che i termini sottosviluppo economico, povertà, basso livello di istruzione, crescita della popolazione e insufficiente protezione dell'ambiente riescono a descrivere solo in modo inadeguato - è noto da tempo, anche alla coscienza del mondo sviluppato. Non si è ancora riusciti a spezzarlo, in parte anche perché manca la volontà politica di farlo.

2.5. La situazione ambientale nei singoli paesi e regioni in via di sviluppo è ovviamente molto diversificata e non si può pertanto generalizzare. Si deve tuttavia spesso parlare di una situazione drammatica: a molti manca l'acqua potabile, il trattamento delle acque di scarico e di conseguenza spesso anche le condizioni igieniche sono catastrofiche, la gestione ordinata dei rifiuti è quasi sconosciuta e la situazione dell'aria è spesso drammatica, non solo nei grandi centri urbani. Le risorse naturali vengono spesso sfruttate in modo eccessivo, sia per rispondere a bisogni interni che per soddisfare la domanda esterna.

2.5.1. Un ulteriore esempio della problematicità della situazione ambientale sono il sovrapascolamento e l'eccessiva coltivazione dei terreni marginali con il conseguente calo di fertilità e di produttività. Un altro esempio è costituito dal disboscamento di ampie superfici. Anche le conseguenze ambientali possono essere molto varie. Vanno dai cambiamenti climatici ad un aumento della desertificazione, alle inondazioni di vaste zone. Possono avere conseguenze globali o regionali/locali. In altre parole: la maggior parte dei paesi in via di sviluppo sono ben lontani da una situazione ambientale sana e da uno "sviluppo sostenibile". Questa situazione non riguarda solo i paesi in via di sviluppo, ma ha ripercussioni anche sui paesi industrializzati, per cui l'iniziativa della Commissione è particolarmente importante anche per motivi di legittimo interesse proprio.

2.6. Si deve riconoscere che non sono i paesi in via di sviluppo, bensì i paesi industrializzati i principali responsabili di molti dei problemi ambientali del nostro pianeta. È un dato di fatto che il 20 % circa della popolazione mondiale utilizza approssimativamente l'80 % delle risorse e che tale consumo di risorse è in parte dovuto anche alla coltivazione abusiva o all'eccessivo utilizzo di risorse rinnovabili e non rinnovabili nei paesi in via di sviluppo.

2.6.1. Quel 20 % di persone che utilizza l'80 % delle materie prime vive prevalentemente nei paesi industrializzati. Sono quindi soprattutto i modelli di produzione, di consumo e di comportamento delle nazioni industrializzate ad essere responsabili della imminente scarsità di risorse, del cambiamento climatico o della drammatica riduzione della biodiversità e quindi della varietà genetica. Se si estendessero tali modelli ai paesi in via di sviluppo, non si farebbe che aggravare pesantemente a livello mondiale la situazione ambientale già molto delicata.

2.6.2. Ciononostante i paesi industrializzati possono dare un notevole contributo alla soluzione dei problemi dei paesi in via di sviluppo trasferendo loro il know-how necessario per sviluppare tecnologie ambientali adeguate.

2.7. Il Comitato sottolinea che integrare ambiente e sviluppo sostenibile nella politica di cooperazione allo sviluppo dell'UE non può voler dire trasferire lo stile di vita europeo ai paesi in via di sviluppo. La Commissione stessa, nella valutazione del suo Quinto programma di azione a favore dell'ambiente(4), ha constatato che in Europa si è ben lungi dall'aver garantito uno sviluppo sostenibile.

3. Osservazioni particolari

3.1. Mancanza di un'impostazione sufficientemente strategica nel documento

3.1.1. Colpisce che, nella sua Comunicazione, la Commissione avanzi delle proposte relativamente poco vincolanti sulle tematiche affrontate. La Comunicazione non fornisce, secondo il Comitato, chiare indicazioni in merito a:

- quale sia precisamente, secondo la Commissione, la causa dei problemi,

- quali siano state finora le maggiori carenze nella cooperazione fra l'UE e i paesi in via di sviluppo,

- e come si possano realmente affrontare in modo efficace.

3.1.2. Nel documento della Commissione non si contano le dichiarazioni sull'ambiente, mentre mancano del tutto affermazioni relative al modo di concepire l'integrazione dello sviluppo sostenibile nel quadro della politica di cooperazione allo sviluppo. Il Comitato non ritiene che la Comunicazione affronti tutti gli "elementi di una strategia globale", come indica il sottotitolo della Comunicazione stessa.

3.1.3. Un tema di importanza fondamentale e determinante per lo sviluppo sostenibile è ad esempio quello dello "sviluppo demografico", completamente trascurato dal documento della Commissione. Il Comitato raccomanda di rivedere il documento individuandone i punti deboli per completare di conseguenza le riflessioni strategiche.

3.1.4. Ciò significa anche cercare delle risposte alle seguenti domande:

- i frequenti casi di esodo rurale e lo sviluppo di megalopoli sempre più grandi, in cui vivono 10, 20 o perfino 30 milioni di persone, sono ritenuti sostenibili a lungo termine?

- Non è in parte contraddittorio promuovere - a giusto titolo - l'istruzione e la formazione degli abitanti dei paesi sottosviluppati dal punto di vista economico, e nello stesso tempo attrarre consapevolmente la loro manodopera specializzata con particolari iniziative pubbliche, quali ad esempio le norme in materia di immigrazione, nuocendo quindi enormemente allo sviluppo e alla competitività delle loro imprese (attraverso le cosiddette "fughe di cervelli")?

- Perché il documento della Commissione non prevede la promozione di meccanismi per accrescere il trasferimento di tecnologie, al di là di quelli contemplati dal Protocollo di Kyoto?

3.1.5. La Commissione constata che "la coerenza delle politiche UE e CE e dell'impatto sui paesi in via di sviluppo non è stata analizzata sistematicamente". Il Comitato accoglie con favore tale autocritica, ma deplora che nel documento non figuri alcun riferimento concreto alla data entro la quale un'analisi tanto necessaria sarà effettuata e presentata.

3.1.6. Per portare avanti e innalzare il livello del dibattito tra Commissione, Consiglio e Parlamento, dibattito al quale il Comitato desidererebbe partecipare (cfr. punto 2.2), sarebbe utile effettuare una chiara analisi degli errori che hanno finora caratterizzato lo sviluppo e la politica mondiale. Il Comitato segnala che il programma delle Nazioni unite per l'ambiente ha già svolto particolarmente su questo punto lavori importanti, i quali andrebbero valutati in modo sistematico e integrati nella strategia.

3.1.7. Il dibattito potrebbe svolgersi in modo più chiaro e anche più comprensibile per l'opinione pubblica, la quale va sensibilizzata a tutti i costi su tali problematiche, se si descrivessero con maggiore esattezza quei processi ritenuti incompatibili con l'ambiente o non "sostenibili", specificando in particolare in quale misura vi contribuiscono gli organismi pubblici e le imprese dei paesi sviluppati.

3.2. Principi per una maggiore protezione ambientale

3.2.1. Nel documento della Commissione si sottolinea a più riprese l'importanza di promuovere attività di base destinate a migliorare le capacità gestionali del settore pubblico e privato. Il Comitato condivide tale posizione, pur rilevando che solo in un punto si fa cenno alla necessità di favorire la sensibilizzazione dei cittadini e l'educazione in materia di ambiente.

Il Comitato insiste sul fatto che la protezione ambientale non dà alcun frutto se ci si limita a imporla dall'alto. Essa è efficace solo quando viene sostenuta dalla società, quando i cittadini comprendono e accettano le misure adottate e forse addirittura ne chiedono di ulteriori.

In futuro bisognerebbe badare maggiormente alla possibilità di coinvolgere appieno l'opinione pubblica e la società civile organizzata nell'elaborazione, nell'attuazione e nella valutazione delle strategie di sviluppo, specie nell'ambito della politica ambientale e dello sviluppo sostenibile. La premessa per un effettivo coinvolgimento della società civile è la possibilità di accedere previamente a informazioni adeguate, ad esempio in relazione ai progetti previsti e alle valutazioni di impatto ambientale, conformemente alla Convenzione di Aarhus sottoscritta dalla Comunità europea. D'altro lato, un sostegno rafforzato ai piccoli progetti e ai microprogetti a favore dell'ambiente costituisce un approccio importante per il coinvolgimento diretto della popolazione locale. Purtroppo, la Comunicazione della Commissione si sofferma in modo insufficiente su entrambi i punti.

3.2.2. Spesso i paesi in via di sviluppo registrano ancora lacune considerevoli in materia di formazione nel settore della gestione ambientale, come anche della legislazione sull'ambiente e della sua applicazione. Al Comitato sembra pertanto necessario che ai paesi in via di sviluppo siano concessi maggiori aiuti in questi settori, in particolare per lo sviluppo di corsi e programmi di studio adeguati negli istituti superiori.

3.2.3. Per le sue relazioni con gli Stati ACP, la Commissione dispone di un quadro ben definito per il dialogo sulle strategie di sviluppo. Si tratta di uno strumento ideale di integrazione, soprattutto in considerazione della necessità - sottolineata dal Comitato - di coinvolgere gli attori economici e sociali in tale dialogo.

3.2.4. Finché nei paesi in via di sviluppo non si terrà sufficientemente conto delle esigenze legate a una moderna politica ambientale, i cittadini europei e l'opinione pubblica mondiale (global governance) avranno interesse a far sì che la Commissione europea e i governi dei singoli Stati membri attribuiscano la debita importanza agli aspetti ambientali nell'ambito dei colloqui e dei negoziati bilaterali. Non è accettabile che la Commissione retroceda sulle sue posizioni col pretesto che la protezione ambientale va "orientata alla domanda".

3.2.5. È importante quindi che anche tutti i funzionari della Commissione incaricati della politica di sviluppo siano convinti della rilevanza della protezione ambientale e dello sviluppo sostenibile: è a questo livello infatti che ha inizio l'integrazione della protezione ambientale.

3.2.6. In tale contesto il Comitato desidera formulare un'ulteriore osservazione sull'organico dei servizi della Commissione incaricati delle questioni in materia di sviluppo. Le cifre indicate alla nota 22 della Comunicazione, secondo cui ad esempio un funzionario della Commissione deve controllare la sostenibilità ambientale di investimenti per 1300 milioni di euro negli Stati ACP, devono far riflettere molto. In questo modo è impossibile svolgere le necessarie attività di controllo in maniera adeguata. La Commissione dovrebbe chiarire come si potranno svolgere efficacemente dei compiti che sono certamente destinati ad aumentare, tenuto conto anche della prevista ristrutturazione delle due Direzioni generali "Relazioni esterne" e "Sviluppo", nonché del Servizio comune per le relazioni esterne.

3.2.7. Ai fini di una maggiore efficienza, si potrebbe procedere, da parte sia della Commissione sia degli Stati membri e dei principali organismi privati e pubblici, a migliorare il coordinamento e l'utilizzazione delle risorse disponibili.

3.3. Gli effetti del commercio

3.3.1. La Comunicazione della Commissione affronta il problema degli scambi commerciali, ma secondo il Comitato non approfondisce l'argomento nel modo dovuto.

3.3.2. Alcuni dei problemi che finora hanno fortemente ostacolato o reso impossibile uno sviluppo sostenibile sia nei paesi in via di sviluppo sia nei paesi sviluppati traggono origine dalle relazioni commerciali tra Stati membri UE e paesi in via di sviluppo. Un esempio è l'importazione di mangimi: l'agricoltura europea importa ingenti quantità di mangimi (come di altre materie prime agricole), anche da paesi in via di sviluppo. Nell'UE ciò determina in parte la concentrazione degli allevamenti intensivi nelle regioni costiere, il che è comprensibile per motivi di competitività delle aziende, ma rappresenta nel contempo un problema per l'ambiente e per lo sviluppo di un'agricoltura sostenibile nell'UE. Dal canto suo, la coltura delle materie prime per mangimi è all'origine di vari problemi sociali e di politica ambientale nei paesi in via di sviluppo, come ad esempio l'allontanamento dei piccoli agricoltori dalle campagne, la deforestazione e le colture abusive in terreni sensibili, nonché il mancato rispetto delle condizioni ambientali nella trasformazione delle materie prime (ad esempio, negli impianti per la produzione di farina di pesce). Inoltre, si continuano a ignorare le conseguenze future che potrebbero avere sull'ambiente l'impiego e la commercializzazione su scala globale delle specie geneticamente modificate. La Commissione dovrebbe affrontare tali tematiche in modo più approfondito nell'ambito di un documento contenente "elementi per una strategia globale", e presentare possibili soluzioni.

3.3.3. Nel documento della Commissione si fa spesso riferimento al ruolo importante delle imprese internazionali nel dare impulso alla protezione ambientale e allo sviluppo sostenibile nei vari paesi. Questo è certamente vero, in quanto le imprese possono effettuare ingenti trasferimenti di know-how e favorire l'introduzione di processi economici "puliti" grazie alle loro esperienze di gestione e all'impiego di moderne tecnologie ambientali. È il lato positivo di una tendenza che va sostenuta a ogni costo.

3.3.4. D'altra parte, il Comitato ritiene necessario segnalare che purtroppo continuano a registrarsi anche sviluppi in senso contrario. Vi sono infatti imprese operanti su scala mondiale che osservano standard ambientali molto alti negli impianti situati nei paesi sviluppati, ma che in parte approfittano costantemente dei bassi standard sociali, di lavoro e ambientali dei paesi in via di sviluppo, pregiudicandone in tal modo lo sviluppo sostenibile. Si tratta di un fattore da non sottovalutare, e sarebbe perciò auspicabile che la Commissione riflettesse, di concerto con le istituzioni europee e internazionali, su come si possa porre fine a una tale situazione, per esempio con l'elaborazione di un codice di condotta. È inoltre indispensabile che la Comunità e gli Stati membri sostengano attivamente la campagna internazionale a favore della ratifica delle convenzioni fondamentali dell'OIL e condizionino gli investimenti e i finanziamenti pubblici, nonché taluni programmi, al rispetto di tali convenzioni.

3.3.5. È inaccettabile che nei paesi in via di sviluppo si continuino a usare con frequenza materiali dannosi per l'ambiente e per la salute, i quali sono vietati da lungo tempo negli Stati membri UE per motivi di politica ambientale o sanitaria, ma vengono prodotti proprio in tali Stati. Inoltre, in molti paesi in via di sviluppo si impiegano prodotti chimici a effetto tossico durevole, come ad esempio il DDT(5) nella lotta contro la malaria, che a causa della loro volatilità e persistenza contribuiscono ad accrescere i rischi globali per l'ambiente.

3.3.6. Tenuto conto delle ben note lacune ascrivibili agli scambi commerciali, l'affermazione della Commissione secondo cui "il commercio e l'ambiente dovrebbero contribuire vicendevolmente allo sviluppo sostenibile" (punto 4.2, secondo capoverso del documento della Commissione) va intesa per certi versi più come un auspicio che come un dato di fatto. In particolare, la Commissione e gli Stati membri devono far includere la dimensione ambientale negli orientamenti dell'OMC.

3.4. Gli investimenti nella protezione ambientale

3.4.1. Data l'evidente carenza di investimenti nella protezione ambientale nei paesi in via di sviluppo, è quanto mai opportuno riflettere sulla possibilità di aumentare la percentuale di investimenti a favore dell'ambiente (la quale stando alla Commissione non supera attualmente l'8,5 %) sul totale degli aiuti comunitari allo sviluppo. Il Comitato segnala nel contempo che ai fini dello sviluppo sostenibile è altrettanto importante vigilare affinché nell'ambito dell'attribuzione dei rimanenti - e ben più cospicui - stanziamenti, i quali in base alle priorità della politica europea di sviluppo presentate nell'aprile 2000 sono destinati ad esempio alla lotta alla povertà, alla promozione degli scambi commerciali, ai programmi di adeguamento strutturale, alla sanità, alla formazione, alla promozione del settore privato e dei settori produttivi, si tenga conto anche degli aspetti ambientali.

3.4.2. Alcuni problemi ambientali nei paesi in via di sviluppo sono spesso dovuti a situazioni relativamente banali dal punto di vista dei paesi industrializzati. La desertificazione avanza anche perché gli abitanti disboscano il suolo, ad esempio per poter cucinare. Grazie a tecnologie moderne e adeguate (ad esempio, forni a energia solare) si potrebbero ottenere decisi miglioramenti. Allo stesso tempo si potrebbero avviare programmi di qualificazione pertinenti che consentano agli abitanti di tali paesi di elaborare da soli le tecnologie di cui necessitano. Sarebbe un errore considerare i paesi in via di sviluppo solo come un mercato per le attrezzature prodotte nei paesi industrializzati. Il Comitato sarebbe lieto che la Commissione si pronunciasse sull'eventualità di ricorrere molto più spesso a un approccio fondato sullo sviluppo della produzione e sull'impiego di tecnologie adeguate nei vari paesi, nel quadro di progetti "dal basso verso l'alto", al fine di risolvere numerosi problemi su scala locale.

3.4.3. Questi progetti adattati dimostrano perfettamente che la protezione dell'ambiente non è un lusso che solo le società ricche possono permettersi, bensì una condizione preliminare per garantire la stabilità ecologica ed economica globale.

3.4.4. Non è chiaro infine come faccia la Commissione a concludere che "la privatizzazione dei servizi ambientali quali la gestione dei rifiuti, l'igiene e il trattamento delle acque reflue potrebbe contribuire a migliorare l'efficienza a livello economico e ambientale".

Bruxelles, 19 ottobre 2000.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale

Göke Frerichs

(1) COM(2000) 264 def.

(2) COM(2000) 212 def. del 26.4.2000.

(3) COM(2000) 212 def. del 26.4.2000.

(4) COM (1999) 543 def. del 24.11.1999.

(5) Circa il 30 % del DDT utilizzato nei paesi in via di sviluppo ritorna nei paesi sviluppati attraverso l'atmosfera.