PARERE DEL COMITATO ECONOMICO E SOCIALE sul tema «Relazioni tra l' Unione europea e l' ASEAN»
Gazzetta ufficiale n. C 097 del 01/04/1996 pag. 0031
Parere sul tema «Relazioni tra l'Unione europea e l'ASEAN» (96/C 97/11) Il Comitato, in data 30 marzo 1995 ha deciso, conformemente all'articolo 23, paragrafo 3, del Regolamento interno, di elaborare un parere sul tema di cui sopra. La Sezione «Relazioni esterne, politica commerciale e dello sviluppo», incaricata di preparare i lavori in materia, ha formulato il parere sulla base del rapporto introduttivo del relatore Pezzini, in data 12 gennaio 1996. Il Comitato economico e sociale ha adottato a maggioranza (cinque astensioni), il 1° febbraio 1996, nel corso della 332a sessione plenaria del 31 gennaio e 1° febbraio, il seguente parere. SINTESI Il Comitato constata che l'ASEAN ha conseguito il suo obiettivo originario d'evitare conflitti tra i paesi che ne fanno parte, ottenendo una stabilità che ha permesso la forte crescita economica dei suoi membri. Gli obiettivi dell'ASEAN si sono andati progressivamente modificando nel corso del tempo, in particolare con la decisione di realizzare un'area di libero scambio tra i paesi membri. In questo settore, ed in quello dell'ampliamento ai paesi ex-comunisti, o ancora comunisti, cui l'ASEAN si trova confrontata, l'Unione potrebbe offrire, grazie alla propria esperienza, un aiuto prezioso, tra l'altro intensificando la cooperazione con il segretariato dell'ASEAN. Contestualmente ad una crescita consistente del commercio bilaterale, con un saldo commerciale favorevole all'ASEAN, e a relazioni commerciali viziate da una serie di problemi, fra cui l'accesso ai mercati, il rispetto dei diritti di proprietà intellettuale o l'applicazione di prelievi anti-dumping, il Comitato ritiene che l'Unione europea debba anzitutto migliorare la propria immagine commerciale in Asia. Esso spera che l'apertura dei Centri europei d'informazione commerciale (EBIC) e la loro connessione con la rete delle Camere di commercio nazionali già esistenti possano tradursi in forme di cooperazione più proficue. Il Comitato propugna inoltre la costituzione di joint ventures fra gli Stati membri dell'Unione europea e i paesi dell'ASEAN per il tramite dell'ECIIP (EC International Investment Partners) e di altri progetti messi a punto dalla Commissione. In quest'area del mondo, secondo il Comitato, la presenza dell'Europa dovrebbe segnalarsi in termini qualitativi piuttosto che quantitativi. Il Comitato esorta inoltre l'Unione a concentrarsi, nelle azioni di cooperazione, su alcuni settori specifici, quali ambiente, telecomunicazioni, energia e formazione professionale. Il dialogo sulla questione dei diritti dell'uomo è delicato. Quanto alla clausola sociale, il Comitato ricorda le proprie precedenti prese di posizione volte ad integrare questo tema nel programma di lavoro dell'Organizzazione mondiale del commercio, sulla base delle convenzioni dell'Organizzazione internazionale del lavoro. Per quanto riguarda la questione più specifica del Timor orientale, il Comitato ritiene utile che la Presidenza di turno dell'Unione cerchi di addivenire a una soluzione diplomatica che poggi sulle risoluzioni dell'Assemblea generale dell'ONU. Il prossimo vertice Europa-Asia, che si svolgerà nel marzo del 1996 a Bangkok ed al quale parteciperanno, oltre ai paesi dell'ASEAN, il Giappone, la Cina e la Corea del Sud, offrirà secondo il Comitato, l'occasione per consolidare la presenza europea nella regione. L'incontro dovrà servire principalmente a intensificare il dialogo e ampliarne l'ambito a questioni come l'ambiente, i problemi sociali e la formazione professionale. Il Comitato constata infatti un grande divario tra Europa ed Asia; è quindi necessario dedicare grande impegno e consistenti risorse all'informazione ed alla cooperazione culturale. Per accrescere la comprensione reciproca il Comitato ritiene opportuno promuovere scambi e contatti di vario genere: visite di funzionari, di tirocinanti e di giovani laureati dei paesi dell'ASEAN, nonché contatti tra gli interlocutori economici e sociali dei paesi dell'Unione ed i loro omologhi asiatici, contatti per i quali il CES è pronto a intraprendere qualsiasi iniziativa che possa rivelarsi utile. In proposito il Comitato chiede di essere tenuto al corrente delle conclusioni dell'incontro di Bangkok per poter contemplare le iniziative da promuovere in avvenire. 1. Premessa 1.1. Comprensibili e ben centrate appaiono le motivazioni che hanno spinto l'Unione europea ad «accordare all'Asia una priorità più grande di quanto non sia stato fatto finora». Questa strategia si inquadra nella logica dei processi di globalizzazione dell'economia mondiale, da cui l'Europa non può restare estranea. Dopo la fine della guerra fredda non è più possibile isolare l'economia dalle grandi questioni politiche e subordinare le relazioni economiche internazionali all'esistenza di un ordine politico superiore. Oggi l'economia torna al centro della politica e le preoccupazioni economiche e commerciali occupano un posto importante nella politica estera dei principali paesi e possono essere fonte e materia di conflitti (vedi il contenzioso commerciale USA-Giappone). 1.1.1. Accanto alla geopolitica, quindi, si deve parlare di geoeconomia, per connotare un approccio che riconosca il ruolo fondamentale dell'economia nella ridefinizione degli equilibri mondiali e nella difesa degli interessi nazionali degli Stati. In questo senso l'Unione europea, in quanto prima potenza commerciale del mondo, è chiamata a fare la sua parte. Negli ultimi tempi, l'Unione europea, nel suo sforzo di ripensare e riorientare la sua proiezione esterna, ha lanciato una strategia di intervento a tutto campo, orientata a concludere accordi di cooperazione definiti di «terza generazione»: innanzitutto verso le aree «contigue» (Europa dell'Est, Mediterraneo) ma anche verso regioni lontane e rispetto agli interessi europei: Mercosur e altri paesi dell'America latina, ASEAN e altri paesi asiatici, l'Africa australe e il Sudafrica. Lo ha fatto non solo per rendere più efficace la cooperazione economica e mantenere le quote di mercato esistenti, ma per conquistarsi nuovi spazi in una prospettiva di competizione globale che si è aperta fra i grandi blocchi geoeconomici. In questa strategia non poteva mancare l'Asia (e in particolare l'ASEAN, verso di cui esiste una «strategia dell'attenzione» che risale al 1980). C'è da chiedersi comunque se per l'Unione europea non sia necessario stabilire delle priorità e graduare gli interventi in base ad esse. I criteri su cui costruire le priorità sono dettati innanzitutto da interessi politici, di sicurezza, di emergenza sociale (immigrazione) e infine da interessi economico-commerciali. In base a questi criteri appare evidente che le aree a più alta priorità per l'Unione europea sono quelle della sponda sud del Mediterraneo, i paesi dell'Est e Centroeuropa, in cui si ritrovano tutti e tre gli elementi che abbiamo indicato sopra. Seguono nelle priorità i paesi dell'Africa a Sud del Sahara, in cui il criterio principale è la lotta alla povertà, alla fame, alle malattie per evitare catastrofi sociali e ambientali. Infine seguono le aree più dinamiche dell'Asia e dell'America latina, come il Mercosur e l'ASEAN in cui sono prevalenti gli interessi economici e commerciali e la conclusione di accordi di partnership. 1.1.2. L'Asia ha acquisito un peso economico e politico tale nell'equilibrio mondiale che ne farà un sicuro protagonista dello scenario internazionale nel prossimo secolo. Lo sviluppo in atto in molte zone dell'Asia ne fa già oggi un interlocutore di tutto rispetto. Il Sud Est asiatico con i nuovi e vecchi NIC (Stati di Nuova industrializzazione) (Corea del Sud, Taiwan, Singapore, Hong Kong, Thailandia, Malaysia, Vietnam, Indonesia), la Cina e il suo «socialismo di mercato», con la sua impetuosa crescita economica (9 % in media di aumento del PIL negli ultimi 10 anni) e commerciale; il risveglio e l'incipiente trasformazione dell'India sono tutti fenomeni di grande interesse e di potenziali sviluppi, non immuni comunque da pericoli e minacce non ancora esattamente configurabili e percepibili. Secondo uno studio del FMI già nel 2010 la Cina sarà, per volume della produzione, la seconda economia del mondo. Il FMI valuta il reddito pro capite cinese nel 1992 fra i 1 300 e 2 500 dollari l'anno, rispetto ai 370 delle cifre ufficiali. 1.1.3. È quindi lodevole l'intenzione dell'Europa di «rafforzare la sua presenza economica in Asia al fine di mantenere la sua influenza preponderante nell'economia mondiale». Tuttavia bisogna tener conto di alcuni presupposti senza i quali la dichiarata disponibilità della UE ad aprire un dialogo potrebbe risultare non solo sterile, ma controproducente. 1.2. Il primo è che l'Asia «non è una regione come le altre», né sul piano politico, né su quello culturale e che proprio per questo fra Europa ed Asia manca un afflato comune di civiltà e di osmosi culturale. Pur senza evocare il saggio di Samuel Huntington («Samuel Huntington, noto politologo, docente all'Università di Harvard e consigliere di diverse amministrazioni democratiche, è l'autore del famoso e controverso saggio "The Clash of Civilizations", apparso sulla rivista Foreign Affairs, vol. 72, n. 4 settembre-ottobre 1993, in cui sostiene che la maggior parte dei conflitti internazionali odierni e del futuro avranno origine lungo le linee di divisione fra differenti "civiltà" ed avranno cause principalmente culturali, piuttosto che ideologiche o economiche. Huntington ipotizza la contrapposizione fra l'Occidente e il resto del mondo e in particolare contro un'agguerrita coalizione islamico-confuciana, che si sviluppa su vari piani. Da quello militare alla disputa sui diritti umani, alla competizione per il controllo delle maggiori istituzioni internazionali.»), è plausibile affermare che l'Asia fornisce uno dei più probabili scenari per uno scontro di civiltà. Mentre in Occidente molti sono convinti che il tratto distintivo dell'attuale situazione sia l'affermazione di una diffusa civiltà economico-finanziaria integrata su scala globale e fondata sulle moderne pratiche tecnologiche, commerciali e finanziarie «trasmesse» attraverso il mercato, i sostenitori del modello asiatico, in particolare la cosiddetta «scuola di Singapore» (Si tratta di una corrente di pensiero che si è esplicitata attraverso interventi sulla stampa americana di un diplomatico di Singapore Kishore Mahububani e dell'ex Primo ministro di Singapore Lee Kuan Yew. Si vedano del primo gli articoli «The West and the Rest», in National Interest, primavera 1992 e «The Dangers of Decadence. What the Rest can Teach the West», in Foreign Affairs, col. 72 n. 4 settembre-ottobre 1993; del secondo si veda l'intervista «A Conversation with Lee Kuan Yew», in Foreign Affairs n. 2, marzo-aprile 1994.), rifiutano la tesi secondo cui lo sviluppo del Sud Est asiatico comporta inevitabilmente un'omologazione con il modello euro-americano e il suo sistema di valori (compresa la democrazia politica). Questa corrente di pensiero, diffusa fra le élites intellettuali e manageriali asiatiche, rivendica la specificità culturale dell'Asia e rifiuta l'equazione secondo cui lo sviluppo economico è una derivazione del particolare processo storico che ha portato alla formazione, in Europa, del mercato e dello Stato democratico e nazionale. La modernità, pertanto, non va identificata con le istituzioni e i valori tipici del liberalismo occidentale. Ci possono essere «altre strade» per attivare la modernità e lo sviluppo, come dimostrano le esperienze dei paesi asiatici che hanno superato la barriera del sottosviluppo e si sono inseriti con un loro ruolo e una loro dinamicità nell'economia mondiale. In questi paesi vi è stata una rinascita culturale che è la conseguenza del peso economico acquisito dalla regione, ma tale rinascita affonda le sue radici in una grande tradizione culturale propria, diversa e non tributaria della cultura occidentale. 1.2.1. L'Europa è culturalmente lontana e forse il primo sforzo dovrebbe essere quello di far conoscere di più la civiltà europea, non solo a livello di immagine, ma anche delle grandi opere e delle grandi realizzazioni dell'ingegno (dalla musica all'arte, alla letteratura, alle grandi scoperte scientifiche). Senza il pieno riconoscimento di questa peculiarità non vi potrà essere né un dialogo politico, né una proficua collaborazione economica. Le sole relazioni economiche non bastano a giustificare una nuova strategia di attenzione verso l'Asia e tuttavia occorre andare oltre e tentare anche un approccio di tipo culturale, anche se l'attuale classe dirigente asiatica sembra refrattaria culturalmente al modello di democrazia rappresentativa e non accetta lezioni e interferenze in materia di diritti umani. Da ciò nasce la necessità di una cooperazione qualitativamente significativa, che non si basi solo sul commercio e gli investimenti, ma cerchi di fondare un rapporto su regole comuni. 1.3. Quando si parla di Asia bisogna intendere a che cosa esattamente ci si riferisce. I 26 paesi esaminati nella Comunicazione della Commissione () europea sono non solo eterogenei, ma non classificabili in base al solo criterio geografico. Il documento afferma che «le strategie dell'Unione europea dovranno essere morbide e modulate per anticipare i cambiamenti nelle tre regioni dell'Asia e dovranno essere fissati sulle situazioni particolari dei differenti paesi che le compongono». Nel quadro dei rapporti con l'Unione europea, l'Asia può essere divisa nelle seguenti realtà geopolitiche e geo-economiche: Asia orientale, al cui interno bisogna distinguere i sei paesi che aderiscono all'ASEAN; l'Asia meridionale, che si identifica con il subcontinente indiano; l'Asia centrale e subregioni del Caucaso e del Golfo (di cui il documento della Commissione non tiene conto). La caratteristica di tale area è quella di non offrire interlocutori multilaterali omogenei all'Unione europea, vale a dire che sono paesi i quali non hanno avviato processi di integrazione economica regionale. Da questa regola generale bisogna escludere l'ASEAN - l'Associazione delle Nazioni del Sud Est asiatico - che è una entità associativa, che ha subito dalla sua fondazione una lenta evoluzione, passando da un ruolo politico-strategico con funzione anticomunista ad un ruolo economico tendenzialmente orientato alla cooperazione regionale e alla ricerca di sinergie al proprio interno. 1.3.1. Il Comitato ha deciso per il momento di concentrarsi sull'ASEAN, perché è la subregione asiatica che si presenta come un interlocutore multilaterale con un profilo definito e perché la Comunità europea intrattiene con essa un rapporto formale e istituzionalizzato che risale al 1980 e che prevede riunioni periodiche dei rispettivi ministri degli Esteri. In seguito potranno essere elaborati dei rapporti supplementari sulle altre aree geopolitiche che costituiscono il continente asiatico, con osservazioni più puntuali. Nei primi anni '90 il regionalismo ha conosciuto un forte sviluppo, soprattutto nell'area occidentale. In poco più di un anno e mezzo sono stati firmati il Trattato di Asunción (26 marzo 1991) che ha creato il Mercosur; il Trattato di Maastricht (7 febbraio 1992) che ha tracciato le linee guida per un aggiornamento e un rafforzamento in senso federalistico della Comunità europea, la quale ha preso il nome di Unione europea; il Trattato istitutivo del NAFTA (12 agosto 1992) che ha creato l'area interamericana di libero scambio. Inoltre, il momento favorevole ai processi di integrazione regionale è confermato dalla costituzione di una comunità economica da parte dei paesi aderenti all'APEC e dal cambiamento di obiettivi e di strategia da parte dell'ASEAN. 1.3.2. L'ASEAN (Association of South-East Asian Nations) è stata creata a Bangkok nel 1967 da cinque paesi: Indonesia, Malaysia, Filippine, Singapore e Thailandia, durante il periodo più acuto e drammatico della guerra del Vietnam. Gli altri paesi membri: Brunei, entrato nel 1984 e Vietnam, entrato nel luglio 1995 (). Il trattato istitutivo, benché parli anche di cooperazione economica pone, come obiettivo prioritario, il mantenimento della stabilità politica contro la minaccia comunista, rappresentata dal regime di Hanoi e dai suoi protettori esterni (URSS e Cina). La minaccia esterna è stata l'elemento catalizzatore che ha costituito la base della fondazione dell'ASEAN e, fino all'inizio degli anni '80, dopo la firma degli accordi di Ginevra e la riunificazione del Vietnam, la ragion d'essere dell'ASEAN è stata essenzialmente difensiva con funzione antivietnamita, nella convinzione che la caduta del Vietnam del sud avrebbe comportato - secondo la famosa «teoria del domino» - la successiva caduta di Cambogia, Laos, Thailandia. Va detto che, durante tutti questi anni, l'ASEAN ha contribuito a creare e a mantenere fra i suoi membri - fra cui esistevano antichi e radicati contrasti - un clima di pace ed ha svolto un ruolo importante nella risoluzione dei conflitti alle sue frontiere (ad esempio nella questione cambogiana). E questo è stato il risultato forse più tangibile dell'ASEAN «senza il quale il Sud Est asiatico non avrebbe potuto conoscere una crescita così rapida». Sintomatico del radicale mutamento del clima politico ed anche delle finalità dell'Associazione è l'ingresso del Vietnam - paese che non ha mai rinnegato il comunismo e non ha cambiato regime, anche se si è aperto ad alcune riforme economiche - nell'ASEAN, sancito nel luglio scorso. 1.3.3. Da un punto di vista culturale, sociale ed economico i paesi membri dell'ASEAN sono molto diversi fra di loro. La Malaysia e l'Indonesia appartengono alla civiltà malese e l'Islam è dal XV secolo la religione più praticata. La Thailandia è di religione buddista ed abitata in prevalenza da popolazioni originarie della Cina del Sud, mentre la popolazione delle Filippine, che appartiene etnicamente al mondo malese, è stata colonizzata dalla Spagna e la sua popolazione si è convertita parzialmente al cattolicesimo. Singapore, dove nel 1819 fu insediata una base commerciale della British East India Company (Compagnia britannica delle Indie orientali), venne governata per molti anni secondo la struttura amministrativa esistente nell'intera penisola malese. L'attuale stato di Singapore venne fondato nel 1965, quando l'isola si separò dalla Federazione indipendente della Malaysia. Singapore è un'enclave dominata dai cinesi espatriati, che sono presenti come minoranza anche negli altri paesi che hanno svolto un ruolo dinamico ed espansivo nel commercio e negli affari, in tutta l'area. 1.3.3.1. La popolazione dei paesi membri è di 335 milioni di abitanti (1993), superiore a quella dell'Europa dei 15, e il peso economico in termini di PIL è di poco superiore a quello dei Paesi Bassi. Con l'ingresso del Vietnam la popolazione supera i 400 milioni di abitanti. Il reddito procapite varia dai 19 mila dollari di Singapore, città-Stato con 3 milioni di abitanti che nel 1995 ha superato la Francia nelle statistiche sul reddito, ai 700 dollari dell'Indonesia, che ha una popolazione di oltre 180 milioni di abitanti, o dagli oltre 21 mila dollari di Brunei, piccolo sultanato petrolifero di appena 300 mila abitanti, agli 830 delle Filippine, che hanno 67 milioni di abitanti, ai 170 dollari del Vietnam (i dati sono del 1993). La Malaysia ha 19 milioni di abitanti e un PIL pro-capite di 3 160 dollari USA; la Thailandia ha 58 milioni di abitanti e un PIL di 2 040 dollari. Negli ultimi 6 anni Malaysia e Thailandia si sono dimostrate fra le economie più dinamiche del mondo, con alti livelli di crescita del PIL. La Malaysia dal 1988 al 1993 ha fatto registrare un tasso medio di crescita dell'8,5 % all'anno; la Thailandia un tasso del 9,2 % fra il 1986 e il 1991, con un leggero calo al 7,5 % nel 1992 e 1993. Anche l'Indonesia, dopo le riforme di liberalizzazione e di ristrutturazione della sua economia protetta e semi autarchica alla fine degli anni '80, ha imboccato un sentiero di crescita dell'ordine del 6-7 % annuo dal 1988 al 1992. Questi tre paesi sono entrati già nella fascia dei nuovi paesi industrializzati (NIC), mentre le Filippine e il Vietnam, anche se in ritardo rispetto alla tabella di marcia del drappello di testa, tendono ad aggregarsi a tale area. Comuni a tutta l'area sono il costo del lavoro molto basso e la deregolamentazione delle condizioni di lavoro; ciò produce, sul piano sociale, forti divisioni e, sul piano produttivo, in generale, non favorisce uno sviluppo della qualità professionale della manodopera. A parte le differenze di reddito indicate sopra, preoccupa il fatto che il modello di sviluppo di quest'area non sa distribuire equamente tra la popolazione i benefici che produce. 1.3.3.2. I paesi dell'ASEAN dispongono di un notevole patrimonio di risorse naturali. Indonesia e Malaysia sono paesi petroliferi, grandi esportatori di gas naturale. Anche dopo il crollo dei prezzi dei prodotti petroliferi, l'economia indonesiana - nonostante gli sforzi per diversificare le proprie entrate, rimane largamente dipendente dall'industria petrolifera. L'Indonesia possiede grandi riserve (anche se non ancora quantificabili) di una varietà di altri minerali come carbone, stagno, bauxite, rame, nichel, ferro, oro. L'agricoltura rimane, comunque, il settore predominante dell'economia con una quota del 20 % del PIL e il 48 % della popolazione impiegata. Oltre al settore domestico, che produce per il mercato interno, ha acquisito molta importanza la coltivazione in grandi piantagioni di cash crops per l'esportazione (caucciù - gomma - olio di palma, caffè, tè, cacao, zucchero e tabacco). Notevoli sono anche le risorse forestali, che coprono i due terzi del territorio. Dal 1985 al 1992 il governo indonesiano ha proibito l'esportazione di legname per incoraggiare la lavorazione in loco ed accrescere il valore aggiunto estratto dalle esportazioni. Dal 1993 esiste un'alta tassa all'esportazione di legname non lavorato e il governo si mostra preoccupato per lo sfruttamento intensivo delle risorse forestali del paese e i relativi danni ambientali. Il governo indonesiano ha adottato uno speciale programma di azione nel 1992 per assicurare uno sfruttamento «sostenibile» delle risorse forestali, ma numerose organizzazioni ambientaliste denunciano la indiscriminata distruzione di una delle foreste pluviali tropicali più importanti per l'ecosistema mondiale. La Malaysia è il maggior produttore di caucciù e di olio di palma del mondo. Anche se in declino, la produzione di caucciù e di olio di palma, a causa della fluttuazione dei prezzi, rimane una delle più importanti voci delle esportazioni malesi e la Comunità europea è di gran lunga il principale mercato di sbocco per il caucciù della Malaysia (28 % della produzione) e uno fra i primi per l'olio di palma (10 %). Anche per la Malaysia le foreste costituiscono una importante risorsa per le esportazioni. Dal 1992 il governo malese ha adottato una nuova politica per stabilire gradualmente un regime di «sviluppo sostenibile» nel settore forestale. Vanno acquisendo molta importanza la produzione di cacao, frutta tropicale, allevamento di bestiame di alta qualità e prodotti della pesca. Nel settore minerario, oltre al gas naturale, le cui riserve ammontano a 21 milioni di metri cubi e la cui produzione è cresciuta nel 1992/1993 del 18 % l'anno, conserva ancora una certa importanza lo stagno, di cui la Malaysia è il quinto produttore mondiale, con una quota dell'8,4 %. In Thailandia la quota del settore agricolo alla formazione del PIL è caduta dal 40 % nel 1960 all'11,4 % nel 1993, ma in esso sono occupati ancora i due/terzi della forza lavoro. Nonostante l'impetuoso sviluppo dell'industria manifatturiera, l'agricoltura resta importante e la Thailandia è, insieme al Vietnam, uno dei due paesi asiatici esportatori netti di prodotti agricoli. Oltre al riso (di cui è il maggiore esportatore del mondo), tapioca, mais, zucchero e caucciù, la Thailandia si sta specializzando nella produzione di soia, olio di palma, caffè, cotone, grande varietà di frutta (che ha stimolato investimenti nell'industria dei succhi di frutta). L'allevamento del bestiame e la pesca sono due settori molto redditizi e in espansione. Meno importante il settore minerario, dove, accanto allo stagno, si segnala la presenza di minerali come antimonio, lignite, ferro, tungsteno, manganese e zinco. Anche nelle Filippine il settore primario (agricoltura, foreste e pesca) contribuisce al PIL per il 22,5 % nel 1992 ed occupa il 45,7 % della popolazione attiva (1993). Essa è divisa in un settore arcaico, frazionato e ad alta intensità di lavoro che produce per l'autosostentamento e il mercato interno e un settore più moderno a più alta intensità di capitale (piantagioni agro-business) che produce per l'esportazione. Riso, mais, noce di cocco, zucchero, banane, ananas e altri frutti tropicali sono le principali produzioni. Le foreste sono una delle maggiori risorse del paese, ma esse hanno sofferto uno sfruttamento selvaggio come risultato della pressione della popolazione, dell'esportazione di legname, del disboscamento illegale e dell'inadeguata riforestazione. Nel 1945 l'area coperta a foreste era di 15 milioni di ettari, nel 1988 si era ridotta a 1,2 milioni di ettari. A partire dal 1988, con il governo democratico di Corazon Aquino, sono in corso programmi di riforestazione e protezione delle foreste vergini ancora rimaste, in particolare nell'isola di Mindanao. Il Vietnam dopo la fine della guerra e la riunificazione fra il Nord e il Sud nel 1975 ha avuto nella seconda metà degli anni '70 una crescita molto lenta dell'1 % annuo del prodotto materiale netto (PMN). [Il prodotto materiale netto è una grandezza che rientrava nel calcolo economico dei paesi socialisti aderenti al Comecon (o CMEA o CAME), che esclude i costi della pubblica amministrazione. Esso è rimasto in vigore fino alla dissoluzione del Comecon nel 1990. Dopo questa data è stato sostituito dalle grandezze economiche in uso nel resto del mondo (PIL, PNL, ecc.).] Nel periodo 1980-1985 la crescita del Pmn è stata di circa 7 % l'anno. Nel 1987 vi è stata una sensibile decelerazione della crescita, del 2,1 % che evidenziava il permanere dei problemi strutturali, che non erano stati superati dalle misure di liberalizzazione. Infatti, a partire dal 1976 il governo vietnamita, sebbene non avesse del tutto abbandonato i principi socialisti nella sfera economica, ha introdotto delle riforme di liberalizzazione in accordo ai principi del mercato. Il settore statale e quello privato hanno cominciato a lavorare in sintonia, stabilendo fra loro delle sinergie. Le riforme, conosciute come «doi moi» (rinnovamento) hanno garantito la piena accettazione dell'impresa privata e della imprenditorialità individuale e, nello stesso tempo, è cessata la fase delle quote statali e dei sussidi. Tuttavia, resta ancora da chiarire il ruolo che svolge la pianificazione statale in un'economia che è diventata mista. In seguito a queste riforme il PIL, misurato a prezzi costanti, è passato dal 4,7 % nel 1991 all'8 % nel 1993. La struttura economica del Vietnam resta debole e molto al disotto di quella degli altri paesi ASEAN. L'agricoltura rimane fondamentale e occupa ancora il 73 % della forza-lavoro, sebbene il suo contributo al PIL sia declinato dal 50 % del 1989 al 29,3 % del 1993. Oltre alle miniere e all'industria tradizionale, che erano attive sia durante il periodo coloniale sia durante la fase del conflitto fra i due Vietnam, nel Vietnam non esisteva un vero e proprio sistema industriale. Esso ha cominciato a svilupparsi a partire dal 1970 nel Vietnam del Nord con l'industria pesante dell'acciaio e del ferro e con la costruzione di centrali e di infrastrutture. Solo dalla metà degli anni '80 si è sviluppata un'attività industriale leggera, soprattutto nel settore tessile, di componenti elettroniche e industria manifatturiera a basso valore aggiunto. 1.3.3.3. Caratteristica comune dei paesi dell'ASEAN è l'impetuoso sviluppo, nell'ultimo decennio, del settore manifatturiero. In Malaysia esso contribuiva nel 1987 con una quota del 22,3 % al prodotto interno lordo, rispetto all'8,7 % nel 1960. Nel 1993 la quota del settore industriale nel PIL supera il 30 % ed esso rappresenta il 65 % delle entrate da esportazioni. La Thailandia è attualmente il maggior recettore di investimenti esteri di tutto l'Est asiatico: la perdita dei vantaggi comparativi prima da parte del Giappone e in seguito da parte della Corea del Sud, Hong Kong, Taiwan ha indotto questi paesi a delocalizzare alcune delle loro produzioni e ha trasformato la Thailandia nel paese che riceve il maggior volume di investimenti dell' Est Asiatico nell'industria ad alta intensità di lavoro e orientata all'esportazione. La principale industria manifatturiera è quella dei semiconduttori e dei componenti elettronici, le cui esportazioni dalla Thailandia sono cresciute nel 1992 del 13,9 %, ed ha eguagliato l'industria tessile, tradizionale punto di forza dell'economia thailandese, che nel 1992 deteneva una quota del 14 % del valore delle esportazioni. La Thailandia, come la Malaysia stanno abbandonando la produzione industriale a basso valore aggiunto per concentrarsi su produzioni più sofisticate, ma entrambi i paesi si trovano confrontati con la scarsezza di manodopera specializzata, problemi di infrastrutture e degrado ambientale, causato dall'inquinamento e dal disboscamento. Anche in Indonesia, alla metà degli anni '60, il settore manifatturiero rappresentava meno del 10 % del PIL. La strategia industriale inizialmente adottata dal governo indonesiano è stata - come negli altri paesi del Sud Est asiatico - di «import-substitution», che ha permesso la costruzione di un'industria nazionale al riparo (perché protetta da alte barriere doganali) della concorrenza internazionale. Ma in Indonesia - a differenza degli altri paesi che l'hanno sostituita con una strategia «export oriented» - questa strategia è durata più a lungo fino alla fine degli anni '80, rendendo le industrie indonesiane poco aperte alle innovazioni e agli investimenti esteri e, di conseguenza, poco competitive. Questo spiega in parte il ritardo dell'Indonesia sulla via dell'industrializzazione che resta in larga parte controllata e diretta dallo Stato. Alcune riforme di liberalizzazione, introdotte alla fine degli anni '80, hanno stimolato la crescita di un settore manifatturiero privato, spesso in associazione con società estere. Si stima che nel 1993 la quota del settore manifatturiero alla composizione del PIL fosse del 20 %. Infine, Singapore è da oltre 20 anni una solida base dell'industria manifatturiera orientata all'esportazione, con una crescente specializzazione nei comparti a più alta tecnologia, con una politica che ha stimolato la crescita della produttività, legandola all'aumento dei salari. Avendo perso alcuni dei vantaggi comparativi, la crescita del PIL a Singapore si è assestata intorno a valori del 4-5 % annuo, la produzione manifatturiera si è stabilizzata su prodotti a tecnologia matura o avanzata, la città-Stato si va trasformando sempre più in un centro finanziario di primaria importanza. Le Filippine si trovano in una situazione opposta a quella di Singapore: hanno iniziato a percorrere le prime fasi dell'industrializzazione leggera, attraggono investimenti nelle produzioni a basso valore aggiunto e ad alta intensità di lavoro. Complessivamente, dal 1985 le esportazioni di prodotti manufatturati dei paesi ASEAN sono passati dal 49 all'85 % del totale delle loro esportazioni (1991). 1.3.3.4. La presenza economica del Giappone nell'area è dominante. Il mercato locale importa per il 37 % prodotti giapponesi, mentre verso l'area si indirizzano oltre il 40 % degli investimenti diretti giapponesi e il 60 % degli stanziamenti giapponesi in materia di cooperazione. In questa zona si è affermato un modello di sviluppo a V, noto agli economisti, consistente nel produrre certi beni all'interno di un determinato paese, in quanto godono di alcuni vantaggi comparativi. In seguito, avendo perduto questi vantaggi, la produzione viene delocalizzata nei paesi limitrofi (prima Taiwan, Corea del Sud, Hong Kong; in una seconda fase Thailandia, Malaysia, Indonesia, Isole del Pacifico, ecc.) che usufruiscono degli investimenti giapponesi, mentre il paese-leader, che ha investito molte risorse in R & S, si specializza in prodotti sempre più sofisticati, ad alta tecnologia e con grande flessibilità nella produzione. Questo ciclo si è sviluppato a catena e, dopo aver interessato il Giappone, ora interessa anche Corea, Taiwan, Singapore, Hong Kong, che a loro volta cedono ai paesi vicini le produzioni a basso valore aggiunto e ad alta intensità di lavoro. Questo fenomeno è molto evidente nel comparto dell'industria elettronica. Fra il 1985 e il 1991 le esportazioni di prodotti elettronici dell'ASEAN sono quintuplicate (passando da 6,6 a 32,8 miliardi di dollari) e la loro composizione si è modificata: la parte dei componenti è diminuita dal 60 al 30 %, mentre quella dell'informatica è aumentata dal 15 al 22 % e quella degli apparati di telecomunicazioni dal 18 % al 35 %. Tutte le grandi corporations dell'elettronica mondiale, ma in prevalenza giapponese, sono presenti nell'ASEAN, ed hanno dato vita a un circuito produttivo integrato, consistente nel fatto che singole parti di un prodotto (es. televisore) vengono prodotte in diversi paesi (es. Thailandia, Indonesia) e poi vengono assemblate nel prodotto finale in un altro (es. Malaysia), con notevole abbattimento dei costi. Gli scambi di prodotti elettronici rappresentano un terzo degli scambi intra-ASEAN e sono per l'essenziale transazioni fra società multinazionali. Pur non costituendo un'area economica formalmente integrata - in quanto il Giappone non è mai voluto diventare un polo di aggregazione regionale - l'Asia orientale lo è nella sostanza come parte della globalizzazione della produzione, realizzata dalle grandi imprese: infatti, più del 60 % degli scambi commerciali e degli investimenti avviene all'interno dell'area e col Giappone. 2. I rapporti tra l'Unione europea e l'ASEAN 2.1. Come si è detto, l'Unione europea ha concluso un accordo formale con l'ASEAN che risale al 1980 e intrattiene con essa un rapporto istituzionalizzato che prevede riunioni periodiche dei ministri degli Esteri. È in funzione da quella data un Comitato misto che esamina i programmi di cooperazione scientifica e tecnologica, approva misure per promuovere contatti fra imprenditori delle due regioni e approva i progetti di sviluppo che i paesi ASEAN sottopongono al finanziamento della Comunità europea. Nel 1983 è stato creato un ASEAN-CE Business Council per riunire gli uomini d'affari delle due parti e identificare progetti comuni. La prima riunione dei Ministri degli Affari economici dell'ASEAN e della CEE si è svolta nell'ottobre del 1985 e si decise di incoraggiare gli investimenti europei nell'ASEAN (stimati al 13 % del totale degli investimenti esteri, di fronte al 28 % del Giappone e al 17 % degli Stati Uniti). Nel 1986 un gruppo misto di esperti su temi commerciali ha esaminato i problemi dell'accesso ai mercati ASEAN e nel 1987 sono stati creati dei Comitati misti per gli investimenti in tutte le capitali dei paesi ASEAN. Nel 1988 si è raggiunto l'accordo per la creazione di un centro Joint-Management con sede a Brunei. Nel 1991 la Comunità ha adottato delle nuove guidelines in materia di cooperazione allo sviluppo, con un aumento dell'assistenza all'Asia e un cambiamento delle modalità di aiuto fornito ai partner dell'ASEAN, le cui priorità sono: formazione, scienza, tecnologia e il capitale di rischio piuttosto che l'assistenza allo sviluppo rurale. Nell'incontro fra i ministri degli Esteri dell'ASEAN e della CEE, svoltosi a Lussemburgo nel giugno 1991, si sono verificati per la prima volta disaccordi fra le due parti intorno alle proposte della CE di legare gli accordi economici e programmi di aiuto con le politiche riguardanti i diritti umani e le questioni ambientali. Nel settembre 1993 la CE e l'ASEAN hanno iniziato un negoziato per un accordo sul controllo del traffico di droga. Infine, nel settembre del 1994, all'incontro biennale dei ministri degli Esteri a Karlsruhe, è stata confermata la centralità delle relazioni fra ASEAN e Unione europea e i ministri si sono trovati d'accordo per sviluppare un livello di cooperazione economica reciprocamente vantaggiosa e promuovere una più vasta partecipazione del settore privato. L'ASEAN, come comunità associativa di paesi, pur non avendo conosciuto un grado di integrazione paragonabile a quello dell'Unione europea, ha avuto e continua ad avere una grande importanza nella stabilità regionale. 2.1.1. L'ASEAN non è ancora né una zona di libero scambio, né un'unione doganale. Non ha istituzioni comuni di carattere intergovernativo e tantomeno sovranazionale. Il massimo organo politico è la Conferenza dei capi di governo dell'ASEAN, che si riunisce, di norma, ogni 3 anni. La riunione che si è svolta nel gennaio 1992 a Singapore ha introdotto numerose innovazioni nell'organizzazione, orientandola verso una più concreta cooperazione economica. A Singapore è stata decisa la costituzione dell'ASEAN Free Trade Area (AFTA), un'area di libero scambio, il cui completamento è previsto per il 2003. L'AFTA comincia a fare sentire qualche effetto. La copertura finale dei prodotti e la lista delle riduzioni tariffarie all'interno della Common Effective Preferential Tarif Scheme (CEPT) ha portato all'armonizzazione delle nomenclature tariffarie e all'eliminazione delle restrizioni quantitative legate alle barriere non tariffarie di prodotti inseriti nello schema CEPT. Le concessioni tariffarie CEPT vengono accordate su base reciproca e tutti i paesi ASEAN possono stipulare accordi bilaterali. Il programma CEPT contiene inoltre una riduzione particolare che permette ai paesi membri che riducono le proprie tariffe doganali al 20 % o oltre, anche in base al principio della nazione più favorita, di beneficiare delle tariffe preferenziali CEPT concesse dai propri partner. Ma questa volontà di creare un mercato unico si scontra con numerosi interessi costituiti. I paesi dell'ASEAN si presentano con una protezione tariffaria diversa da paese a paese, ma in media elevata, che raggiunge livelli altissimi per alcuni comparti. Le barriere non tariffarie (interdizioni, contingentamenti, monopoli di importazione, controlli doganali, ecc.) sono molto diffuse anche se difficili da quantificare. «Le riforme di liberalizzazione procedono lentamente e gli Stati sono sensibili agli argomenti dei gruppi di pressione industriale come ai prelievi doganali che rappresentano una parte non trascurabile delle risorse statali». L'AFTA prevede l'abbattimento dei diritti doganali per i beni prodotti all'interno dell'ASEAN in una forchetta che va dallo 0 al 5 % nel 2003. Le modalità di applicazione sono complesse. Il calendario distingue i prodotti sottoposti a una procedura accelerata («fast track») da quelli che seguiranno una procedura normale di riduzione tariffaria. Ma il punto debole dell'accordo è che i paesi possono escludere dall'accordo stesso, in modo temporaneo o duraturo, liste di prodotti e tali liste devono essere riviste dopo i primi otto anni dell'accordo. L'Indonesia ha escluso 1 800 prodotti (il 19 % delle sue linee tariffarie), le Filippine 1 350 (ossia il 24 %). Il valore degli scambi all'interno dei paesi ASEAN è aumentato del 41 % nel 1994, passando da 79 a 111 miliardi di US dollari. Il commercio totale dell'ASEAN verso il resto del mondo, compreso quello intraregionale, è cresciuto di circa il 30 %, passando da 419 miliardi di US dollari nel 1993 a 506 nel 1994. Nel dicembre 1995 si è svolta a Bangkok la Conferenza dei Capi di Stato i quali hanno firmato il 15 dicembre un Trattato che fa della regione una zona libera dalle armi nucleari. È stato anche affrontato il tema dell'allargamento dell'Associazione entro l'anno 2000 ai tre paesi, Birmania, Cambogia et Laos che hanno partecipato al Summit come osservatori. Allo stesso tempo è stato sottolineato che l'ambizione di un ASEAN a 10 membri non deve pregiudicare la conformazione dell'Associazione né essere d'intralcio al processo di liberalizzazione del commercio. E infatti è stato deciso di abbassare al 5 % le tariffe doganali intra-ASEAN entro l'anno 2000, con una proroga di 3 anni accordata al Vietnam. A Bangkok è stata ventilata l'idea di tenere dei vertici «informali» dei capi di Stato nell'intervallo fra un summit ufficiale e l'altro. Ma il vero centro decisionale è l'annuale meeting a livello di ministri degli Esteri, che ha il compito di coordinare le politiche dei diversi gruppi di lavoro ministeriali, di cui l'ASEAN Economic Ministers (AEM) è il più importante. L'AEM sovraintende ai lavori di 5 commissioni che si occupano di: commercio e turismo, industria e energia, banca e finanza, agricoltura e foreste, trasporti e telecomunicazioni. Esiste poi l'ASEAN Standing Committee, che si riunisce ogni 2 mesi ed è composto dal ministro degli Esteri del paese che detiene la presidenza di turno e dagli ambasciatori degli altri paesi, e rende possibile la continuità delle attività dell'Organizzazione. Esiste infine un Segretariato permanente, con sede a Giacarta, con un Segretario generale eletto per cinque anni dalla Conferenza dei Ministri degli Esteri. Il Segretariato ha un centinaio di funzionari che lavorano su diversi progetti di interesse comune. Fra le altre cose il Segretariato dell'ASEAN ha preparato Piani di azione su: Lo sviluppo sociale, l'ambiente, scienza e tecnologia, cultura e informazione, controllo dell'abuso di droghe che costituiscono delle direttive da applicare nei singoli Stati. Le decisioni sono prese in maniera consensuale, attraverso riunioni informali in cui l'eventuale dissenso si stempera e si raggiunge l'unanimità. Nel suo ambito prevalgono i meccanismi di consultazione e di conciliazione. Non a caso l'unica istituzione comune finora ventilata è la Corte di giustizia. I paesi dell'ASEAN pongono precise limitazioni ai diritti delle società dell'UE di insediarsi e di fornire servizi, in particolare di carattere finanziario o marittimo. In tali paesi, per esempio, le banche prevedono rigorose restrizioni alla facoltà delle società europee di aprire filiali e di fornire servizi bancari. In tale contesto, è necessario che l'UE intervenga nel trasporto marittimo e nell'industria cantieristica, settori in rapido sviluppo nei paesi dell'ASEAN, allo scopo di conseguire una liberalizzazione nel primo settore e l'applicazione dei principi del recente accordo OCSE (sull'abolizione degli aiuti all'industria cantieristica) nei paesi dell'ASEAN. 2.1.2. L'ASEAN presenta un alto grado di dipendenza esterna. Il volume del commercio interno fra i paesi membri è ridotto rispetto agli scambi con le regioni esterne. Esso oscilla fra il 16 e il 18 % degli scambi totali. A partire dal 1985 le esportazioni di prodotti manufatturati sono aumentati considerevolmente dal 49 all'85 % del totale delle esportazioni nel 1991, mentre le esportazioni dei prodotti primari sono cadute dal 68 al 33 %. Lo sviluppo dell'area dipende in larga parte dagli investimenti esteri, soprattutto giapponesi che rappresentano - come già detto - il 28 % del totale degli investimenti diretti nella regione, seguiti da quelli provenienti dagli Stati Uniti (17 %) e quindi della Comunità europea (13 %). Il grado di complementarità tra le economie dei paesi membri è basso; i paesi dell'ASEAN esportano prodotti similari e pertanto sono in concorrenza fra loro sui mercati terzi. Ciò significa che non esiste una divisione verticale della produzione, né una specializzazione per cui un paese produce automobili e un altro elettrodomestici. Tutti producono grosso modo gli stessi prodotti. Esiste tuttavia una complementarità intrasettoriale o orizzontale. Questo significa che, nella pratica, si verifica che in alcuni settori (come quello elettronico, ma anche quello tessile), gli scambi avvengano all'interno di una stessa società che ha filiali in paesi diversi. Ciò permette che si creino delle sinergie fra branche di una stessa industria, ciò che permette di usufruire di maggiori opportunità rispetto alle strutture della complementarità. La misura della complementarietà degli scambi fra i paesi dell'ASEAN mostra che la struttura degli scambi evolve lentamente da una divisione verticale a una divisione più orizzontale del lavoro. L'ASEAN dovrà inevitabilmente sviluppare una complementarità interna finora scarsa, puntando contemporaneamente sull'espansione del mercato interno ed attenuando la concorrenza reciproca sul mercato internazionale. 2.1.3. L'ASEAN è priva di un baricentro, di un asse comune integrato come è stato per la Comunità europea l'asse Mare del Nord-Valle del Reno-Mare Tirreno che ha trainato lo sviluppo dell'intera regione. L'esistenza di un centro propulsore che abbraccia il territorio di diversi paesi si è rivelato di grande importanza per lo sviluppo dell'Europa nel dopoguerra e nella fase di avvio del processo di integrazione europea. La mancanza di un tale asse nei paesi dell'ASEAN potrebbe rendere più difficoltoso uno sviluppo armonioso e integrato e favorisce un tipo di sviluppo «a pelle di leopardo». Proprio per ovviare a questa carenza l'ASEAN ha dato vita ai «triangoli di crescita», una cooperazione subregionale fra diversi paesi membri per valorizzare le rispettive aree di confine. Concepito nel dicembre 1989, il primo «Triangolo di crescita» fra Singapore, Indonesia e Malaysia cerca di avvantaggiarsi del potenziale di crescita delle tre differenti aree vicine fra loro, comprendenti Singapore, Jahore, lo Stato più meridionale della Malaysia e le isole Riau dell'Indonesia, specialmente le isole di Batam e Bintan. Un altro «triangolo di crescita» è quello di Medan, costituito nel 1993 fra Indonesia, Malaysia e Thailandia che interessa il nord di Sumatra, quattro stati nel nord della Malaysia e il sud della Thailandia. Una terza iniziativa è il «triangolo di Mindanao» che riguarda Indonesia, Malaysia e Filippine. 2.2. Approfondire la regionalizzazione Allo stato attuale, l'ASEAN non consente all'Asia sud-orientale di mantenere una posizione di equilibrio rispetto ai giganti contigui, Cina e Giappone, e alla pressione economica dei NIC di più antica data. Da qui la ricerca di un appoggio extracontinentale e le speranze riposte in interlocutori esterni come l'Unione europea o l'APEC (Cooperazione economica Asia-Pacifico) e nel ruolo degli Stati Uniti, verso cui i paesi dell'ASEAN guardano con sempre maggiore interesse sia sul piano economico che politico. Tutti i paesi ASEAN, anche se all'inizio riluttanti, sono diventati soci dell'APEC ed è apparsa chiara la loro volontà di inserirsi in una associazione - anche se non strutturata - di cui fanno parte gli Stati Uniti. 2.2.1. Anche se l'APEC è un foro intergovernativo con obiettivi, scadenze, strumenti molto vaghi e generici, esso esercita una forza di attrazione notevole sui paesi dell'ASEAN, proprio per il fatto che ne fanno parte gli Stati Uniti che, con l'amministrazione Clinton, hanno dato molta enfasi all'area Asia-Pacifico. Essi rappresentano complessivamente quasi il 60 % del commercio mondiale e la caratteristica peculiare dell'APEC è che ne fanno parte sia paesi industriali o di nuova industrializzazione sia paesi in via di sviluppo (). Ci sono seri dubbi perché l'obiettivo della liberalizzazione degli scambi possa essere realizzato nei tempi e nelle modalità ventilate a «Seattle» e nella conferenza di Bagor nel 1994, ma in prospettiva l'APEC potrebbe costituire il foro privilegiato di azione per le economie asiatiche più dinamiche. 2.2.2. L'Unione europea parte svantaggiata per competere con il Giappone e gli Stati Uniti nell'area Asia-Pacifico per evidenti ragioni geografiche, ma anche politiche. Nondimeno, alla luce dell'influenza esercitata dai principali Stati asiatici e dagli Stati Uniti, i paesi dell'ASEAN auspicano un ruolo più incisivo dell'UE in diversi settori. L'Unione europea potrebbe di conseguenza contribuire all'approfondimento del processo di «regionalizzazione» dell'ASEAN, fornendo i risultati della sua esperienza per il miglior funzionamento dell'AFTA e la creazione di una zona di libero scambio e in seguito di un'Unione doganale, la fissazione di una Tariffa esterna comune e una più intensa cooperazione economica fra i paesi membri. 2.2.3. L'Unione europea potrebbe offrire il suo «know-how» su questa materia, fornendo ai governi l'assistenza necessaria per superare le difficoltà e le resistenze che l'implementazione di un accordo di libero scambio e di un mercato aperto necessariamente comporta. Gli effetti positivi si faranno sentire sulle economie di tutti i paesi a medio e lungo termine. Infatti le proiezioni mostrano che gli scambi intra-ASEAN - dopo che l'accordo di libero scambio sarà a regime - aumenteranno del 25 %. 2.2.4. Inoltre, l'Europa potrebbe fornire un appoggio per creare una struttura istituzionale più articolata, necessaria in una fase in cui l'ASEAN deve gestire una cooperazione economica e industriale sempre più complessa. Tale supporto potrebbe consistere inizialmente in un rafforzamento del Segretariato con funzione di coordinamento, di preparazione dei dossier e di istruzione delle decisioni assunte dagli organi politici e da una Corte arbitrale, possibilmente sovranazionale, per la risoluzione delle controversie. 2.2.5. Il principale di questi problemi riguarda la questione del Timor orientale, colonia portoghese, occupata dall'Indonesia, che non sembra facile da risolvere. Il Portogallo è contrario, per motivi politici, ad un accordo con l'ASEAN, a causa della violazione dei diritti umani da parte dell'Indonesia nei confronti del Timor orientale. Per dissolvere queste nubi che offuscano l'orizzonte dei rapporti fra l'Unione europea e l'ASEAN occorre fare un grande sforzo e dispiegare tutte le risorse che la diplomazia consente. Sarebbe pertanto utile che al più presto una rappresentanza della Presidenza di turno europea (i Ministri degli Esteri della troika) elaborasse una proposta e si adoperasse per trovare una soluzione diplomatica alla crisi del Timor orientale, sulla base delle risoluzioni dell'Assemblea generale dell'ONU. 3. Fattori favorevoli all'intensificazione dei rapporti UE-ASEAN 3.1. Sembra da condividere l'impostazione data dal documento della Commissione () di inquadrare la futura strategia commerciale, economica e di sviluppo verso l'ASEAN nel più vasto contesto della nuova strategia di cooperazione verso l'Asia. In questo contesto questi ci sembrano gli elementi che giustificano un'intensificazione dei rapporti. 3.2. Le relazioni dell'UE con l'ASEAN sono basate sull'apprezzamento, da parte dell'Europa, del ruolo che questo gruppo di Stati ha svolto nel contesto regionale dal 1967 (all'epoca della guerra nel Vietnam) e che sta svolgendo ancora nel propugnare la creazione di strutture di consultazione per i problemi della sicurezza e della cooperazione economica. Con il crollo dell'URSS e la situazione fluida che si è venuta a creare anche in Asia, il ruolo strategico dell'ASEAN è vieppiù aumentato, in quanto questo gruppo di paesi potrebbe costituire un elemento di contenimento delle possibili spinte «egemoniche» che potrebbero insorgere sia dalla Cina che dal Giappone. Da qui l'interesse europeo a mantenere un canale aperto con questi paesi e ad appoggiare l'obiettivo della creazione di una Zone of Peace, Freedom and Neutrality (ZOPFAN) e di una Southeast Asian Nuclear Weapon Free Zone (SEANWFZ). 3.2.1. Oggi, alla pari dell'UE, l'ASEAN si trova di fronte al problema dell'allargamento ai paesi ex comunisti o ancora comunisti, ma in via di transizione verso l'economia di mercato, come il Vietnam, il Laos, la Cambogia, o paesi politicamente instabili come la Birmania. L'inserimento del Vietnam costituirà un elemento di stabilizzazione generale dell'area, ma anche un rafforzamento della linea moderata oggi prevalente nella leadership vietnamita. La stessa cosa dovrebbe avvenire per quanto riguarda il Laos, la Cambogia e la Birmania, che per ora hanno lo status di osservatori, ma che entro il 2000 diventeranno membri dell'ASEAN portando a 10 i paesi partecipanti. Il livello di sviluppo di questi nuovi partner, compreso il Vietnam, è notevolmente più basso di quello degli altri membri. I dirigenti dell'ASEAN sono convinti che in 10 anni il Vietnam raggiungerà gli standard di sviluppo degli altri paesi. L'Unione europea potrebbe mettere a disposizione dell'ASEAN la sua esperienza in materia di cooperazione con i paesi che stanno tentando di uscire dall'economia pianificata e abbracciare un'economia di mercato, come il programma Phare, l'appoggio al settore privato e cooperativo. L'esperienza europea in questo campo potrebbe aiutare l'ASEAN a collaborare alla gestione del processo di riconversione. L'allargamento, d'altra parte, accrescerebbe l'autonomia sia economica che strategica dell'ASEAN nella regione che formerebbe un mercato di oltre 455 milioni di persone. Gli attuali partner dell'ASEAN sono concordi nel ribadire che l'Associazione non supererà i 10 membri e che uno dei principali problemi dei prossimi anni sarà quello di integrare tali paesi senza rallentare il passo dell'integrazione tra i 6 membri originari. Questo Comitato ritiene importante favorire il partenariato Unione europea-ASEAN a favore del Vietnam, in modo da sostenere efficacemente il processo di sviluppo di un paese che risente delle conseguenze di una lunga guerra. I paesi dell'ASEAN beneficiano del sistema delle preferenze tariffarie generalizzate (SPG) sebbene taluni tra questi siano cresciuti rapidamente, possiedano un PIL pro capite comparabile a quello degli Stati membri meno ricchi dell'Unione ed abbiano dato prova di capacità d'esportazione aggressive e coronate da successo. In taluni casi ne risente l'occupazione nell'industria dell'Unione europea. 3.2.2. Il secondo elemento di interesse per l'Unione europea è basato su un realistico assetto delle opportunità di commercio e di investimenti esistenti fra le due regioni. L'attuale volume degli scambi tra la UE e l'ASEAN ammonta a circa 50 milliardi di ECU (nel 1993 è stato di 48,5 miliardi di ECU - circa 60 miliardi di dollari), che è il quadruplo rispetto al volume degli scambi esistenti nel 1980. Il saldo commerciale è nettamente favorevole all'ASEAN, con un avanzo commerciale di 2,7 milliardi di ECU nel 1993. Facendo un confronto fra gli scambi commerciali dell'Unione europea con i paesi PECO e quelli ASEAN si evidenzia la quasi perfetta simmetria riscontrabile nel volume delle esportazioni e delle importazioni fra l'Unione europea e questi gruppi di paesi. La UE è il terzo partner commerciale dell'ASEAN, dopo il Giappone e gli Stati Uniti. Essa assorbe il 15,5 % delle esportazioni ASEAN ed esporta il 13,7 % dei beni importati dai paesi della regione. Nei confronti dei paesi ASEAN, più che la cooperazione per lo sviluppo, vanno incentivate forme di cooperazione economica, che comportano un vantaggio reciproco. Le raccomandazioni, contenute nel documento della Commissione, per il supporto al settore privato europeo affinché fruisca di un contesto commerciale e finanziario favorevole, vanno sostenute e incoraggiate. L'Unione deve selezionare settori prioritari di cooperazione economica in cui è evidente il suo vantaggio relativo, cioè le banche, l'energia, la tecnologia dell'ambiente, i mezzi di trasporto, le telecomunicazioni. L'ASEAN è un partner con un grande motore economico non ancora sfruttato. L'Europa può aiutare a svilupparlo e diventare un partner privilegiato. Ma, come sostiene il Parlamento europeo (), è necessario che l'UE insista sulla cooperazione commerciale con l'Asia piuttosto che sulla concorrenza. A questo proposito, l'Unione europea dovrebbe innanzitutto migliorare la propria immagine commerciale in Asia. L'apertura dei Centri europei di informazione commerciale (EBIC), il loro collegamento con la rete delle Camere di commercio nazionali già esistenti contribuiranno a forme di cooperazione economica più proficue. Altrettanto importante è la cooperazione nel settore della scienza e della R & S. Per far questo occorre potenziare le risorse finanziarie da destinare alla cooperazione nel settore della tecnologia, dell'innovazione, oltre che nello scambio di conoscenze, borse di studio e visite a favore di stager, funzionari e neolaureati dei paesi ASEAN. Questo Comitato ritiene particolarmente utile e fruttuoso destinare fondi aggiuntivi a programmi di formazione per stager asiatici presso istituti, università e imprese europee perché ciò, oltre a migliorare l'immagine dell'Europa, contribuisce alla conoscenza reciproca e a quell'avvicinamento culturale, che è uno dei maggiori fattori per un dialogo fluido fra le due aree. Un altro campo in cui è possibile trovare un accordo con i paesi ASEAN è la collaborazione per iniziative economiche comuni, sia nei paesi ex-comunisti dell'Europa centrorientale (PECO) sia nei paesi terzi del Mediterraneo. I maggiori paesi dell'ASEAN hanno il potenziale finanziario e tecnologico per una triangolazione UE-ASEAN-PECO per investimenti in programmi di ristrutturazione e modernizzazione di determinati settori industriali, ora privatizzati nei paesi excomunisti. Lo stesso tipo di triangolazione è possibile per progetti di sviluppo nei paesi del Mediterraneo. Uno sviluppo orientato verso l'Europa di un'area prevalentemente di religione islamica, ma non fondamentalista, potrebbe convincere il mondo arabo-mediterraneo della conciliabilità della modernizzazione con la salvaguardia dei valori tradizionali. L'ASEAN è certamente un importante partner commerciale, ma, pur rappresentando un modello di reciproca e profittevole «partnership» fra due raggruppamenti regionali, le relazioni UEASEAN presentano numerosi problemi che hanno aperto molte incomprensioni. I paesi ASEAN criticano le politiche anti-dumping dell'Unione, il nuovo Sistema di Preferenze Generalizzate (SPG) e i sussidi alle esportazioni agricole. L'Unione europea può a sua volta legittimamente criticare i problemi delle tariffe, l'accesso ai mercati, la legislazione discriminatoria e l'assenza di clausole ambientali nei paesi ASEAN. 3.2.3. I governi della regione non sono per nulla sensibili alle preoccupazioni occidentali sul tema dei diritti umani ed ogni tentativo di affrontare il tema viene considerato come un'interferenza negli affari interni e un tentativo dell'Europa di «voler imporre» i suoi valori. L'Unione europea, inoltre, ha da tempo messo in primo piano il problema dei diritti umani, lamentando la loro violazione. Il Trattato di Maastricht vincola la firma di nuovi accordi fra l'UE e i paesi terzi al rispetto dei diritti umani. Inoltre, la Commissione ha intenzione di proporre altri vincoli per rafforzare questa priorità da accordare ai diritti dell'uomo. È innegabile che nei paesi ASEAN la questione dei diritti umani si pone insieme a quella della democrazia, del rispetto delle opposizioni e delle minoranze. È un tipico caso in cui al buon andamento dei rapporti commerciali si contrappone una netta divergenza sul piano culturale e politico. La relazione del Parlamento europeo si chiede: l'insistenza a comprendere il rispetto dei diritti dell'uomo come un elemento indissociabile dalle relazioni dell'Unione europea con i paesi dell'ASEAN non rischia forse di ostacolare lo sviluppo di tali relazioni? In detto documento il Parlamento europeo lascia intendere che un atteggiamento più flessibile da parte dell'Unione europea sarebbe opportuno per non ostacolare le relazioni economiche. La questione è di non facile soluzione perché sono in gioco interessi e valori importanti, ma a giudizio di questo Comitato le questioni di principio ed i valori devono avere la priorità rispetto ai meri interessi economico-commerciali. 3.2.4. Considerato il suo notevole eccedente commerciale nei confronti dell'UE, l'ASEAN non è in condizione di prendere o lasciare quello che le viene offerto dall'Europa. Sul piano strettamente commerciale, la Comunità rappresenta per l'ASEAN il terzo mercato di sbocco. L'Unione europea può far valere la «condizionalità» sui diritti umani con pragmatismo e gradualità, tenendo conto del livello di sviluppo, della storia e della cultura dei paesi in questione, che possono giustificare differenze di valutazione in proposito. Lo stesso dicasi per il trattamento della forza lavoro. 3.2.4.1. Innanzi tutto occorre richiamare l'attenzione sui diritti fondamentali dei lavoratori e delle loro organizzazioni, così come di quella dei datori di lavoro sanciti dalle cosiddette «Convenzioni sui diritti dell'uomo» dell'OIL e dalla più importante Convenzione sul lavoro minorile della stessa OIL, relativa all'età lavorativa minima. È essenziale che l'Unione europea convinca i governi dei paesi dell'ASEAN dell'importanza di ratificare e applicare queste convenzioni, se ancora non lo avessero fatto. Queste Convenzioni fanno parte della «clausola sociale» che il Comitato spera venga inserita nel programma di lavoro del WTO/OMC. Questa clausola prevede: - il divieto del lavoro forzato (Convenzione 29 e 105); - il diritto dei lavoratori di organizzarsi e di concludere contratti collettivi (Convenzioni 87-98); - l'età lavorativa minima e l'abolizione del lavoro minorile (Convenzione 138); - il divieto di discriminazione tra i lavoratori e la parità di retribuzione tra uomini e donne per lavori equivalenti (Convenzioni 111 e 100). 3.2.4.2. In secondo luogo, nei paesi considerati, le condizioni di lavoro e il trattamento riservato ai lavoratori, e anche, ma soprattutto, alle donne, toccano effettivamente livelli tali da configurarsi come dumping sociale. Ciò vale, ad esempio, per i tempi di lavoro, le retribuzioni, la sicurezza e la salute sul lavoro e i sistemi di protezione sociale. In proposito l'Unione europea dovrebbe incoraggiare i governi dei paesi dell'ASEAN a ratificare e ad applicare le Convenzioni dell'OIL in tutti questi vari aspetti, che sono state concepite come norme minime universali e che possono essere recepite sia dai paesi industrializzati che da quelli in via di sviluppo. L'OIL ha organizzato dei seminari sia di formazione sindacale sia per la preparazione di programmi finalizzati a diffondere il concetto di diritti sociali e a promuovere l'applicazione delle convenzioni OIL. Il nuovo approccio dell'OIL dovrebbe contribuire a realizzare, insieme alla Commissione europea, dei programmi di cooperazione riguardanti l'occupazione, la formazione professionale e il lavoro minorile. Progressi potrebbero essere realizzati anche rispettando gli accordi in materia di liberalizzazione del commercio e le direttive che saranno emanate in materia dal WTO. 3.2.5. In questo senso l'Europa dovrebbe indirizzare i suoi programmi di assistenza allo sviluppo per migliorare le condizioni di lavoro dei piccoli agricoltori e delle donne nelle industrie dei chips e componenti elettroniche, esigere l'accesso all'istruzione, alla sanità di base e alla pianificazione familiare. Essa dovrebbe impegnarsi fattivamente per contribuire a combattere, subito e con la massima determinazione, almeno le forme di lavoro minorile più vergognose e caratterizzate dallo sfruttamento più manifesto. La strada per raggiungere questi obiettivi è impostare programmi a forte contenuto sociale da affidare a ONG che abbiano la capacità di lavorare a livello di base e che siano capaci di instaurare con i beneficiari del progetto forme efficaci di dialogo. Sfortunatamente la prostituzione minorile è molto diffusa in parte del Sud Est asiatico, anche a causa dell'aumento del turismo, in flagrante violazione delle Convenzioni dell'ONU. A giudizio del Comitato, tutti gli Stati membri dovrebbero dichiarare illegale l'organizzazione di sex tours e perseguire in patria quanti hanno rapporti sessuali con bambini all'estero. 3.2.6. L'esigenza di dare piena occupazione ad una popolazione numerosa rende necessario, per i governi dell'area, perseguire l'obiettivo della piena occupazione e del riassorbimento delle vaste sacche di pauperismo esistenti. In questo senso potrebbero essere avviati programmi intesi alla creazione e diffusione di microimprese e attività artigianali, di cui l'UE ha una notevole esperienza, che potrebbe essere utilmente esportata. Fondamentale, inoltre, risulta l'apporto che l'Unione europea può dare nel campo della formazione delle risorse umane e per l'approntamento di programmi e corsi d'istruzione professionale per l'inserzione dei giovani e delle donne nell'attività produttiva. In questo senso la creazione, in uno dei paesi ASEAN, di un centro polivalente di formazione professionale e di centri tecnologici di ricerca sarebbe un buon servizio e un esempio dell'interesse europeo ad essere presente nell'area. 3.2.7. Il documento della Commissione () afferma che per i paesi che hanno «un forte potenziale di crescita, la cooperazione economica dovrebbe mirare a migliorare il contesto economico in cui devono operare le piccole imprese e il quadro legale nei paesi riceventi, al fine di incoraggiare gli scambi bilaterali e gli investimenti con la partecipazione diretta del settore privato». Purtroppo si è constatato che il settore privato non è portato a investire in paesi ad alto rischio e in condizioni di forte squilibrio macroeconomico. Si è constatato che, anche fornendo grossi incentivi, la partecipazione del settore privato risulta problematica. Questa continua insistenza nei documenti dell'Unione europea alla partecipazione del settore privato, se è giusta in linea di principio, risulta nei fatti molto aleatoria se non si creano gli strumenti operativi necessari. «Promuovere la cooperazione commerciale tra società europee e le loro controparti asiatiche - si legge nel documento della Commissione - migliorando la cooperazione e creando un contesto favorevole alla cooperazione industriale soprattutto a favore delle PMI». Sono state prese molte iniziative per incoraggiare maggiori investimenti europei nei paesi ASEAN. Negli anni '80 gli investimenti CEE nei paesi ASEAN sono aumentati in volume, ma diminuiti in termini relativi a causa della crescita più rapida degli investimenti provenienti da altri paesi. Gli investimenti CEE nell'ASEAN riguardano attività connesse con la produzione di olio di palma, prodotti chimici, farmaceutici, prodotti alimentari, prodotti elettrici e elettronici, settore automobilistico, banche e settore finanziario. Il Comitato auspica che in base al nuovo accordo globale di cooperazione UE-ASEAN, quando entrerà in funzione, sia curato il miglioramento delle condizioni per gli investimenti diretti delle imprese UE in tali paesi, che tale accordo contiene, e sia grarantito un quadro giuridico che, in caso di controversie, preveda procedure di conciliazione e di arbitraggio. In quest'ambito, la protezione della proprietà intellettuale assume un'importanza particolare. 3.2.8. L'EC International Investment Partners (ECIIP), strumento finanziario della CEE per promuovere le «joint-ventures» potrebbe essere il mezzo più adatto per incentivare gli investimenti europei e la costituzione di «joint-ventures» tra piccole e medie imprese europee e dei paesi ASEAN (è già iniziato l'iter di circa 20 progetti regionali riguardanti l'ASEAN). L'ECIIP è per ora lo strumento più importante per la creazione di «joint-ventures» e per la diffusione della piccola e media industria. Per essere meglio utilizzati i progetti che ricadono nel programma finanziario ECIIP dovrebbero trovare procedure più snelle e rapide. Per le opere infrastrutturali sarebbe auspicabile un maggior coinvolgimento della BEI (Banca europea per gli investimenti), che da qualche anno è stata autorizzata a finanziare progetti in Asia e in America latina. Previamente, occorrerebbe capire se ci sono le condizioni, nei paesi ASEAN, per lo sviluppo di un tessuto di piccole e medie imprese e verificare se il modello europeo sia esportabile. Sarebbe auspicabile che la Commissione europea finanziasse una ricerca sia per constatare qual è lo stato della piccola e media impresa nei paesi ASEAN, sia per individuare i settori e le possibilità di una collaborazione con le PMI europee. 4. Conclusioni 4.1. Le relazioni Nord-Sud - nel modo in cui erano concepite fino a poco tempo fa - si stanno rapidamente modificando in Asia. All'interno dell'Asia si è creata una gerarchia di paesi economicamente forti che non fanno più parte dei paesi in via di sviluppo, che convivono accanto a paesi dove dilaga la povertà, riproducendo all'interno dello stesso continente lo stesso tipo di asimmetrie che esistono nei rapporti Nord-Sud. La principale preoccupazione dell'Unione europea nei rapporti con l'Asia è legata alle tensioni economiche esistenti fra le due aree che lo sviluppo accelerato dell'Asia, già alla fine del secolo, produrrà sulla posizione mondiale europea. Ciò va contrastato con una strategia che accresca la cooperazione fra le due aree e ne disinneschi il potenziale concorrenziale ai danni dell'Europa, che ha un tasso di crescita meno rapido e vede minacciata la sua presenza anche nei mercati terzi. 4.2. Da molti indizi emerge che, nell'ASEAN, la prospettiva di uno spostamento dell'asse egemonico dell'economia mondiale nel Pacifico è più temuto che auspicato, in quanto consacrerebbe il predominio schiacciante della Cina e del Giappone, contro cui i paesi ASEAN si sentirebbero schiacciati e sarebbero costretti a scegliere di schierarsi con l'uno o con l'altro. 4.3. D'altra parte, all'opposto della Cina e del Giappone, l'Asia sud orientale si è sempre mostrata aperta agli influssi esterni. Il suo dichiarato «open regionalism» ha radici storiche profonde. Il rapporto coloniale, a suo tempo, ha inserito la regione in una divisione del lavoro il cui punto di riferimento era l'Europa. Certamente non si tratta di riprendere il filo conduttore di un rapporto irripetibile, dato anche il livello di sviluppo raggiunto dai paesi ASEAN. Oggi si presenta viceversa l'occasione, perduta al momento del decollo di Taiwan e della Corea del sud, di influire positivamente sul «drive for maturity» di paesi che già stanno decollando con un tasso di sviluppo medio apprezzabile ma non eccezionale, ricostituendo nell'area una zona con una relazione preferenziale con l'Europa. Un simile obiettivo avrebbe i seguenti risultati positivi. 4.4. Sembra difficile per l' Unione europea sfidare la concorrenza e l'egemonia economica del Giappone in questa che può essere considerata una «riserva di mercato» nipponica. Non bisogna dimenticare che l'Asia orientale è il terzo polo della «triade» capitalistica e si presenta, pertanto, come una zona concorrenziale rispetto all'Unione europea, che potrebbe mirare a ristabilire un certo equilibrio appoggiandosi alla Federazione russa, la quale, essendo anche «potenza asiatica», potrebbe avere una certa influenza sui paesi della regione. Tuttavia, in quest'area, la presenza europea può essere qualitativamente più che quantitativamente qualificante, affidata al mercato e alle imprese che possono trovare conveniente stabilire accordi di associazione («joint-ventures») con imprese locali, sia delocalizzare le proprie produzioni e i propri uffici, usufruendo dei vantaggi comparativi esistenti e del buon livello dei servizi e delle infrastrutture. 4.5. Una strategia europea a largo raggio imperniata sull'ASEAN non si contrapporrebbe necessariamente agli Stati Uniti, ma, contenendo lo straripamento nel Pacifico e nell'Oceano indiano della Cina e del Giappone, favorirebbe la formazione anche nell'area Asia-Pacifico di un equilibrio tale da garantire uno spazio sufficiente per uno stabile e proficuo rapporto con l'Unione europea. Il prossimo vertice Europa-Asia, che si svolgerà in marzo 1996 a Bangkok e a cui parteciperanno, oltre ai paesi dell'ASEAN, Giappone, Cina e Corea del Sud, costituirà un'occasione unica per rilanciare la presenza europea in una zona fra le più dinamiche del mondo, a forte crescita economica e tecnologica, ma anche a stabilire con essa nuovi e più avanzati programmi di cooperazione, di cui abbiamo delineato nelle pagine precedenti alcune linee programmatiche. L'UE deve adottare un'impostazione più decisa e trasparente in merito agli accordi di SPG previsti per il 1998. In particolare, i paesi dell'ASEAN dovrebbero ottenere vantaggi solo nei casi in cui il loro grado complessivo di benessere sia basso e il livello delle loro esportazioni modesto. È essenziale che gli UE e gli USA colgano insieme l'occasione di adottare una posizione più decisa, basata su una strategia comune volta a facilitare l'accesso alle merci e ai servizi ed a garantire una migliore protezione dei diritti di proprietà intellettuale e tecnica, come previsto nel cosiddetto «Action Plan» comune fra gli Stati Uniti e l'Unione europea, che è stato deciso a Madrid nel dicembre 1995. 4.6. L'incontro dovrà servire principalmente per consolidare il dialogo e ampliarne l'ambito a questioni come l'ambiente, i problemi sociali e la formazione professionale. A causa del grande divario fra i livelli di sviluppo, la controparte asiatica ha difficoltà a stabilire l'ordine del giorno e gli obiettivi della riunione. Sarebbe possibile ottenere un consenso generale in merito ad alcuni orientamenti precisi (cioè alla «visione comune e approccio generale dei problemi»), lasciando gli argomenti specifici per una discussione successiva. L'obiettivo principale è quello di creare «il punto di contatto mancante» fra l'UE et l'Asia. Giacché vi è stata una sottostima dei problemi di ordine politico e sociale e di non adempimento delle decisioni dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite da parte di alcuni paesi dell'ASEAN, il Comitato auspica che essi siano rapidamente superati - prima dell'Asian-Europe meeting - con l'intervento attivo della trojka dell'Unione europea - al fine di poter mettere a frutto tutto il potenziale delle relazioni economiche UE-ASEAN. 4.7. Fra l'Europa e l'Asia vi è un grande divario. È necessario dedicare grande impegno e consistenti risorse all'informazione e alla cooperazione culturale. Sarebbe opportuno promuovere scambi e contatti di vario genere al fine di accrescere la comprensione reciproca. L'UE deve tenere in considerazione la diversità dell'Asia e adottare strategie differenti nelle relazioni con Giappone, Cina, India e il Gruppo ASEAN (all'interno del quale esistono caratteristiche peculiari). 4.8. L'UE dovrebbe adottare un approccio qualitativo nella cooperazione con l'ASEAN concentrandosi su alcuni settori quale l'ambiente, le infrastrutture, le telecomunicazioni, l'energia e la formazione professionale. Essendo fortemente impegnata nella cooperazione con i paesi dell'Europa centrale ed orientale e con i paesi mediterranei, l'UE non dispone dei mezzi per adottare un approccio di cooperazione che implica un consistente esborso finanziario. Ciò deve essere bilanciato da una cooperazione qualitativamente significativa, che privilegi gli scambi sul piano della formazione, della cultura, della reciproca conoscenza. 4.9. Il Comitato segnala la scarsa presenza europea nei paesi visitati, nel corso della sua missione in alcuni paesi dell'ASEAN, rispetto a Giappone e Stati Uniti. È necessario potenziare l'immagine dell'Europa per rendere più visibile la sua presenza anche attraverso mostre d'arte, iniziative culturali e scientifiche, che aiutino a diffondere l'enorme patrimonio di cultura di cui l'Europa è depositaria. In secondo luogo occorre investire di più nelle esposizioni e stimolare le imprese europee a partecipare a fiere e mostre per far conoscere ai partner asiatici i prodotti e la tecnologia europea nei diversi comparti produttivi. In questo senso la creazione di centri di informazione europei per le imprese potrebbe avere un ruolo importante soprattutto nella promozione delle piccole e delle medie e piccole imprese. Una giusta divisione dei compiti fra tali centri e le Camere di commercio bilaterali degli Stati membri potrebbe dare buoni risultati. 4.10. Constatata l'efficienza del Segretariato dell'ASEAN, l'UE dovrà cercare di offrire il massimo aiuto attraverso l'assistenza tecnica (ad esempio mettendo a disposizione le esperienze acquisite con la creazione della Tariffa esterna e del Mercato comune). Si propone l'organizzazione di incontri e Seminari di lavoro fra il Segretariato dell'ASEAN e la Commissione per uno scambio di reciproche esperienze. Alcune delle organizzazioni economiche e sociali dei paesi ASEAN sono controllate dal governo e altre si trovano nella fase di sviluppo iniziale. Sarebbe necessario adottare un duplice approccio che comprenda il dialogo sia a livello di ASEAN (con la Camera di commercio e il consiglio sindacale) sia a livello nazionale con singole organizzazioni. Il Comitato economico e sociale ha un ruolo importante da svolgere nel dialogo e nei rapporti con i paesi ASEAN. Il CES rappresenta settori importanti della società civile dei paesi europei ed è collegato a quelle reti interattive che sono state il vero substrato della costruzione europea. In questo senso esso ha una parola da dire e un'esperienza da trasmettere alle analoghe organizzazioni (sindacati, associazionismo, organizzazioni di categoria, imprenditori) esistenti nei paesi ASEAN. La partecipazione del Comitato al Forum culturale di Venezia è un primo passo importante in questa direzione. Il Comitato auspica che il CES sia associato al prossimo Asian-Europe meeting di Bangkok o quantomeno che sia informato adeguatamente al fine di poter individuare quelle azioni che possano essere intraprese a breve e medio termine. Bruxelles, 1° febbraio 1996. Il Presidente del Comitato economico e sociale Carlos FERRER () Comunicazione della Commissione al Consiglio, «Verso una nuova strategia nei confronti dell'Asia» (COM(94) 314 def., Bruxelles, 13 luglio 1994). () Il Vietnam è entrato nell'ASEAN il 28 luglio del 1995 nel corso della 28a riunione ministeriale dei paesi dell'Organizzazione, svoltasi nel Brunei. () I paesi membri dell'APEC sono 18, oltre ai sei dell'ASEAN (Indonesia, Malaysia, Thailandia, Filippine, Singapore, Brunei), vi sono i tre del NAFTA (Canada, Stati Uniti, Messico) e in più Giappone, Hong Kong, Australia, Nuova Zelanda, Cile, Papuasia-Nuova Guinea, Cina, Taiwan, Corea del Sud. () Cfr. nota pag. 33. () Relazione sulla comunicazione della Commissione al Consiglio «Verso una nuova strategia nei confronti dell'Asia», PE 211.248/def., 12 aprile 1995. () Cfr. nota pag. 33.