ORDINANZA DELLA CORTE (Sesta Sezione)

15 dicembre 2022 (*)

«Rinvio pregiudiziale – Articoli 53 e 99 del regolamento di procedura della Corte – Articolo 267 TFUE – Portata dell’obbligo di rinvio dei giudici nazionali di ultima istanza – Eccezioni a tale obbligo – Criteri – Situazioni in cui la corretta interpretazione del diritto dell’Unione si impone con un’evidenza tale da non lasciare adito ad alcun ragionevole dubbio – Presupposto, applicabile al giudice nazionale di ultima istanza, di essere convinto che la medesima evidenza si imponga anche agli altri giudici di ultima istanza degli Stati membri e alla Corte»

Nella causa C‑597/21,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dal Consiglio di Stato (Italia), con decisione del 14 settembre 2021, pervenuta in cancelleria il 27 settembre 2021, nel procedimento

Centro Petroli Roma Srl

contro

Agenzia delle Dogane e dei Monopoli,

nei confronti di:

IP Industrial SpA,

Eni SpA,

LA CORTE (Sesta Sezione),

composta da P.G. Xuereb, presidente di sezione, A. Arabadjiev (relatore), presidente della Prima Sezione, e I. Ziemele, giudice,

avvocato generale: N. Emiliou

cancelliere: A. Calot Escobar

vista la decisione, adottata dopo aver sentito l’avvocato generale, di statuire con ordinanza motivata, conformemente all’articolo 53, paragrafo 2, e all’articolo 99 del regolamento di procedura della Corte,

ha emesso la seguente

Ordinanza

1        La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione degli articoli da 101 a 106 e 267 TFUE, nonché della direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno (GU 2006, L 376, pag. 36; in prosieguo: la «direttiva “servizi”»), e della direttiva 2008/118/CE del Consiglio, del 16 dicembre 2008, relativa al regime generale delle accise e che abroga la direttiva 92/12/CEE (GU 2009, L 9, pag. 12), come modificata dalla direttiva (UE) 2019/475 del Consiglio, del 18 febbraio 2019 (GU 2019, L 83, pag. 42; in prosieguo: la «direttiva 2008/118»).

2        Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra la Centro Petroli Roma Srl e l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli (Italia) in merito alla decisione di tale agenzia di sospendere la licenza rilasciata alla società in parola per l’esercizio di un deposito commerciale a Roma (Italia).

 Contesto normativo

 Diritto dellUnione

 Direttiva «servizi»

3        L’articolo 9 della direttiva «servizi» prevede, al suo paragrafo 1, quanto segue:

«Gli Stati membri possono subordinare l’accesso ad un’attività di servizio e il suo esercizio ad un regime di autorizzazione soltanto se sono soddisfatte le condizioni seguenti:

a)      il regime di autorizzazione non è discriminatorio nei confronti del prestatore;

b)      la necessità di un regime di autorizzazione è giustificata da un motivo imperativo di interesse generale;

c)      l’obiettivo perseguito non può essere conseguito tramite una misura meno restrittiva, in particolare in quanto un controllo a posteriori interverrebbe troppo tardi per avere reale efficacia».

4        L’articolo 14 di tale direttiva è così formulato:

«Gli Stati membri non subordinano l’accesso ad un’attività di servizi o il suo esercizio sul loro territorio al rispetto dei requisiti seguenti:

(...)

5)      l’applicazione caso per caso di una verifica di natura economica che subordina il rilascio dell’autorizzazione alla prova dell’esistenza di un bisogno economico o di una domanda di mercato, o alla valutazione degli effetti economici potenziali o effettivi dell’attività o alla valutazione dell’adeguatezza dell’attività rispetto agli obiettivi di programmazione economica stabiliti dall’autorità competente; tale divieto non concerne i requisiti di programmazione che non perseguono obiettivi economici, ma che sono dettati da motivi imperativi d’interesse generale;

(...)».

5        Ai sensi dell’articolo 15, paragrafo 2, della citata direttiva:

«Gli Stati membri verificano se il loro ordinamento giuridico subordina l’accesso a un’attività di servizi o il suo esercizio al rispetto dei requisiti non discriminatori seguenti:

a)      restrizioni quantitative o territoriali sotto forma, in particolare, di restrizioni fissate in funzione della popolazione o di una distanza geografica minima tra prestatori;

(...)».

6        L’articolo 16, paragrafo 1, terzo comma, della medesima direttiva così dispone:

«Gli Stati membri non possono subordinare l’accesso a un’attività di servizi o l’esercizio della medesima sul proprio territorio a requisiti che non rispettino i seguenti principi:

(...)

b)      necessità: i requisiti devono essere giustificati da ragioni di ordine pubblico, di pubblica sicurezza, di sanità pubblica o di tutela dell’ambiente,

c)      proporzionalità: i requisiti sono tali da garantire il raggiungimento dell’obiettivo perseguito e non vanno al di là di quanto è necessario per raggiungere tale obiettivo».

 Direttiva 2008/118

7        L’articolo 16 della direttiva 2008/118 prevede, al suo paragrafo 1, quanto segue:

«L’apertura e l’esercizio di un deposito fiscale da parte di un depositario autorizzato sono subordinati all’autorizzazione delle autorità competenti dello Stato membro in cui è situato il deposito fiscale.

Tale autorizzazione è soggetta alle condizioni che le autorità hanno il diritto di stabilire per impedire ogni possibile evasione o abuso».

 Diritto italiano

8        Risulta dall’articolo 1, comma 2, lettera a), del decreto legislativo del 26 ottobre 1995, n. 504 – Testo unico delle disposizioni legislative concernenti le imposte sulla produzione e sui consumi e relative sanzioni penali e amministrative (supplemento ordinario alla GURI n. 279, del 29 novembre 1995), nella versione applicabile al procedimento principale (in prosieguo: il «decreto legislativo n. 504/1995»), che l’accisa è un’imposta indiretta sulla produzione o sul consumo, in particolare, dei prodotti energetici.

9        Ai sensi dell’articolo 1, comma 2, lettera e), di tale decreto legislativo, il deposito fiscale è l’impianto in cui vengono fabbricati, trasformati, detenuti, ricevuti o spediti prodotti sottoposti ad accisa, in regime di sospensione dei diritti di accisa, alle condizioni stabilite dall’Amministrazione finanziaria.

10      L’articolo 2, commi 1 e 2, del citato decreto legislativo stabilisce che l’obbligazione tributaria corrispondente sorge, segnatamente, al momento della fabbricazione o dell’importazione dei prodotti e che essa è esigibile all’atto della immissione in consumo del prodotto nel territorio dello Stato.

11      L’articolo 5 del decreto legislativo n. 504/1995 prevede quanto segue:

«1.      La fabbricazione, la lavorazione, la trasformazione e la detenzione dei prodotti soggetti ad accisa ed in regime sospensivo sono effettuate in regime di deposito fiscale. (...)

2.      Il regime del deposito fiscale è autorizzato dall’Amministrazione finanziaria. (...)

(...)

4.      I depositi fiscali sono assoggettati a vigilanza finanziaria e, salvo quelli che movimentano tabacchi lavorati, si intendono compresi nel circuito doganale; la vigilanza finanziaria deve assicurare, tenendo conto dell’operatività dell’impianto, la tutela fiscale anche attraverso controlli successivi. (...)».

12      Ai sensi dell’articolo 23, commi da 1 a 5, di tale decreto legislativo:

«1.      Il regime del deposito fiscale è consentito:

a)      per le raffinerie e per gli altri stabilimenti di produzione dove si ottengono i prodotti energetici di cui all’articolo 21, comma 2, ovvero i prodotti energetici di cui all’articolo 21, comma 3, ove destinati a carburazione e combustione, nonché i prodotti sottoposti ad accisa ai sensi dell’articolo 21, commi 4 e 5;

b)      per gli impianti petrolchimici.

2.      L’esercizio degli impianti di cui al comma 1 è subordinato al rilascio della licenza di cui all’articolo 63.

3.      La gestione in regime di deposito fiscale può essere autorizzata, laddove sussistano effettive necessità operative e di approvvigionamento dell’impianto, per i depositi commerciali di gas di petrolio liquefatti di capacità non inferiore a 400 metri cubi e per i depositi commerciali di altri prodotti energetici di capacità non inferiore a 10 000 metri cubi.

4.      La gestione in regime di deposito fiscale può essere, altresì, autorizzata per i depositi commerciali di gas di petrolio liquefatti di capacità inferiore a 400 metri cubi e per i depositi commerciali di altri prodotti energetici di capacità inferiore a 10 000 metri cubi quando, oltre ai presupposti di cui al comma 3, ricorra almeno una delle seguenti condizioni:

a)      il deposito effettui forniture di prodotto in esenzione da accisa o ad accisa agevolata o trasferimenti di prodotti energetici in regime sospensivo verso Paesi dell’Unione europea ovvero esportazioni verso Paesi non appartenenti all’Unione europea, in misura complessiva pari ad almeno il 30 per cento del totale delle estrazioni di un biennio;

b)      il deposito sia propaggine di un deposito fiscale ubicato nelle immediate vicinanze appartenente allo stesso gruppo societario o, se di diversa titolarità, sia stabilmente destinato ad operare al servizio del predetto deposito.

5.      L’esercizio dei depositi fiscali autorizzati ai sensi dei commi 3 e 4 è subordinato al rilascio della licenza di cui all’articolo 63».

13      La circolare n. 14/D, prot. n. 133627/ru, del 4 dicembre 2017, dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli contiene indirizzi applicativi relativi al decreto legislativo n. 504/1995.

 Procedimento principale e questioni pregiudiziali

14      Con determinazione n. 13042/RU, del 25 febbraio 2020, l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli ha sospeso la licenza rilasciata alla Centro Petroli Roma per l’esercizio del suo deposito commerciale a Roma. I motivi della sospensione pronunciata riguardavano, in particolare, la carenza dei requisiti relativi alla quantità minima di prodotto agevolato nel biennio, previsti all’articolo 23, comma 4, del decreto legislativo n. 504/1995 – dal momento che tale quantità era di gran lunga inferiore al 30% del totale delle estrazioni – e l’assenza di necessità operativa di detto deposito, data la concomitante presenza nel medesimo territorio di due depositi fiscali di grandi dimensioni, che potevano «far fronte a qualsiasi esigenza di approvvigionamento di prodotto richiesta dal mercato».

15      La Centro Petroli Roma ha proposto ricorso avverso tale determinazione dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio (Italia).

16      Con sentenza n. 1924, del 16 febbraio 2021, detto giudice ha respinto il ricorso.

17      La Centro Petroli Roma ha interposto appello avverso tale sentenza dinanzi al Consiglio di Stato (Italia).

18      Detta società sostiene, in particolare, che la direttiva «servizi» è applicabile all’attività di chi esercita un deposito fiscale, dal momento che essa implica la prestazione di servizi dietro corrispettivo economico. Orbene, l’articolo 23 del decreto legislativo n. 504/1995 e la circolare n. 14/D, prot. n. 133627/ru, del 4 dicembre 2017, non rispetterebbero le condizioni previste all’articolo 14, punto 5, all’articolo 15 e all’articolo 16, paragrafo 1, lettere b) e c), di tale direttiva, in quanto irrigidirebbero notevolmente i requisiti per il rilascio delle autorizzazioni per l’esercizio di taluni depositi di prodotti energetici.

19      Il requisito previsto all’articolo 23, comma 4, lettera a), di tale decreto legislativo non rispetterebbe, poi, i principi di necessità e di proporzionalità di cui all’articolo 16, lettere b) e c), della direttiva «servizi» e mirerebbe a eliminare i «piccoli» concorrenti delle «grosse» imprese autorizzate. Detto requisito violerebbe altresì l’articolo 9, paragrafo 1, lettera b), della direttiva in parola, in quanto non sarebbe giustificato da un motivo imperativo di interesse generale. Inoltre, il citato requisito, così come quello relativo alla sussistenza di effettive necessità operative e di approvvigionamento dell’impianto, previsto all’articolo 23, comma 3, di detto decreto legislativo, sarebbero anch’essi in contrasto con l’articolo 9 della direttiva in parola, nonché con gli articoli da 101 a 106 TFUE.

20      Di conseguenza, la Centro Petroli Roma chiede al Consiglio di Stato di disapplicare l’articolo 23, commi 3 e 4, del decreto legislativo n. 504/1995 e, in subordine, di sottoporre alla Corte una domanda di pronuncia pregiudiziale ai sensi dell’articolo 267 TFUE, relativamente alla compatibilità di tali disposizioni del diritto italiano con la direttiva «servizi» e la direttiva 2008/118, nonché con le norme del Trattato FUE che tutelano la libera concorrenza.

21      Il giudice del rinvio ritiene che siano gli Stati membri a dover individuare le condizioni che consentano di raggiungere l’obiettivo di ostacolare ogni condotta abusiva in relazione all’apertura e all’esercizio di un deposito fiscale di prodotti energetici, che sarebbe perseguito dalla direttiva 2008/118.

22      A questo proposito, tale giudice sottolinea di essere dell’avviso che la normativa nazionale di cui trattasi nel procedimento principale sia compatibile con il diritto dell’Unione.

23      Esso rileva, tuttavia, di essere un giudice di ultima istanza nell’ambito dell’ordinamento italiano, di essere chiamato a pronunciarsi su una controversia relativa all’applicazione di una normativa nazionale volta a trasporre il diritto dell’Unione e che, in tale controversia, viene dedotta una questione riguardante l’interpretazione e l’applicazione di detto diritto.

24      Il giudice del rinvio osserva che nella sentenza del 6 ottobre 1982, Cilfit e a. (283/81, EU:C:1982:335), la Corte ha precisato che, al fine di evitare che in uno Stato membro si consolidi una giurisprudenza nazionale in contrasto con il diritto dell’Unione, laddove non sia previsto alcun ricorso giurisdizionale avverso la decisione di un giudice nazionale, quest’ultimo è, in linea di principio, tenuto a rivolgersi alla Corte, ai sensi dell’articolo 267, terzo comma, TFUE, quando è chiamato a pronunciarsi su una questione di interpretazione del diritto dell’Unione.

25      Secondo detta sentenza, i giudici nazionali non sarebbero, per contro, tenuti a disporre il rinvio pregiudiziale, in particolare, qualora la corretta applicazione del diritto dell’Unione si imponga con un’evidenza tale da non lasciar adito ad alcun dubbio ragionevole.

26      Tuttavia, i criteri che consentono di determinare la presenza di una siffatta situazione, enunciati in detta sentenza e nella giurisprudenza successiva, sarebbero difficili da accertare.

27      Orbene, l’errata applicazione di tali criteri potrebbe far sorgere la responsabilità civile dei giudici supremi italiani sulla base dell’articolo 2, comma 3-bis, della legge del 13 aprile 1988, n. 117 – Risarcimento dei danni cagionati nell’esercizio delle funzioni giudiziarie e responsabilità civile dei magistrati (GURI n. 88, del 15 aprile 1988), disposizione questa che prevederebbe che, in caso di violazione manifesta del diritto dell’Unione, si deve tener conto anche della mancata osservanza dell’obbligo di rinvio pregiudiziale, nonché del contrasto dell’atto o del provvedimento con l’interpretazione espressa dalla Corte. Pertanto, tali giudici sarebbero costretti, per prevenire la proposizione dell’azione di risarcimento danni, a disporre sistematicamente il rinvio pregiudiziale, allungando così la durata del procedimento, in violazione del principio di ragionevole durata del processo, sancito dalla Costituzione italiana e dal diritto dell’Unione.

28      Per quanto riguarda, in particolare, il requisito, applicabile ai giudici nazionali di ultima istanza che siano certi dell’interpretazione e dell’applicazione da dare al diritto dell’Unione, di dimostrare in maniera circonstanziata che la medesima evidenza si impone anche ai giudici degli altri Stati membri e alla Corte, requisito che risulterebbe dalle sentenze del 6 ottobre 1982, Cilfit e a. (283/81, EU:C:1982:335, punto 16), e del 28 luglio 2016, Association France Nature Environnement (C‑379/15, EU:C:2016:603, punti 51 e 52), sarebbe difficile, se non impossibile, escludere il «minimo dubbio» relativamente all’eventualità che un giudice di un altro Stato membro o la Corte decida la medesima questione in maniera, anche soltanto in parte, divergente.

29      La prova circostanziata dell’evidenza dell’interpretazione e dell’applicazione del diritto dell’Unione costituirebbe una probatio diabolica. Il requisito così formulato dalla Corte avrebbe come conseguenza che i giudici nazionali di ultima istanza sarebbero costretti ad adire la Corte in via pregiudiziale ogni qualvolta una questione relativa all’interpretazione del diritto dell’Unione, sollevata nella controversia di cui sono investiti, non sia materialmente identica a una questione che è già stata oggetto di una sentenza pregiudiziale della Corte.

30      Il Consiglio di Stato si chiede se l’osservanza di detto requisito debba essere accertata soggettivamente, ossia se i giudici di ultima istanza debbano esporre i motivi per cui ritengono che la propria interpretazione del diritto dell’Unione in discussione dinanzi a loro sia identica a quelle dei giudici degli altri Stati membri o della Corte, se questi ultimi fossero chiamati a interpretare le medesime disposizioni, oppure se sia sufficiente che i giudici di ultima istanza indichino in modo oggettivo le ragioni per cui non sussistono ragionevoli dubbi in merito all’interpretazione e all’applicazione del diritto dell’Unione, senza prendere in esame l’interpretazione che potrebbero adottare altri giudici e tenendo conto del fatto che tale diritto utilizza una terminologia a esso propria, del tenore letterale della disposizione di detto diritto in questione, del contesto in cui tale disposizione si colloca, degli obiettivi di tutela a essa sottesi, nonché dello stadio di evoluzione del diritto dell’Unione nel momento in cui detta disposizione deve essere applicata.

31      Il giudice del rinvio ritiene che si debba seguire la seconda di tali alternative, in quanto essa consentirebbe di evitare di dover fornire una probatio diabolica e garantirebbe la concreta attuazione della deroga all’obbligo di rinvio, enunciata nella sentenza del 6 ottobre 1982, Cilfit e a. (283/81, EU:C:1982:335).

32      Tale giudice si chiede altresì se l’articolo 267 TFUE, letto alla luce dei principi di indipendenza dei giudici e di ragionevole durata del processo, debba essere interpretato nel senso che esso osta a che un giudice supremo nazionale, il quale abbia preso in esame e respinto la domanda di rinvio pregiudiziale di interpretazione del diritto dell’Unione, possa essere sottoposto, ipso iure oppure a discrezione della parte che propone l’azione, a un procedimento per responsabilità civile e disciplinare.

33      La risposta a tutti questi quesiti sarebbe rilevante, dal momento che il Consiglio di Stato sarebbe chiamato, nell’ambito del procedimento principale, a decidere su questioni importanti relative all’interpretazione e all’applicazione del diritto dell’Unione, la risposta alle quali non potrebbe essere ricavata dalla giurisprudenza della Corte, benché tali questioni si pongano in via meramente astratta. Infatti, il giudice del rinvio, pur escludendo l’esistenza di ragionevoli dubbi in merito all’interpretazione delle disposizioni del diritto dell’Unione fatte valere dalla Centro Petroli Roma, ritiene di non poter dimostrare con certezza che l’interpretazione da dare a tali disposizioni si imponga soggettivamente, con evidenza, anche ai giudici nazionali degli altri Stati membri e alla Corte stessa.

34      Il giudice del rinvio precisa, quindi, di sollevare la questione pregiudiziale relativa a dette disposizioni solo per il caso in cui la Corte ritenga che un giudice nazionale, avverso le cui decisioni non possa proporsi un ricorso giurisdizionale di diritto interno, debba conformarsi al suo obbligo di adire la Corte ai sensi dell’articolo 267 TFUE, qualora non sia possibile dimostrare in maniera circostanziata che i giudici degli altri Stati membri e la Corte fornirebbero una risposta identica a quella individuata dal primo giudice alla questione di interpretazione del diritto dell’Unione che si pone dinanzi al medesimo.

35      In tali circostanze, il Consiglio di Stato ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se la corretta interpretazione dell’articolo 267 TFUE imponga al giudice nazionale, avverso le cui decisioni non possa proporsi un ricorso giurisdizionale di diritto interno, di operare il rinvio pregiudiziale su una questione di interpretazione del diritto [dell’Unione europea] rilevante nell’ambito della controversia principale, anche qualora possa escludersi un dubbio interpretativo sul significato da attribuire alla pertinente disposizione europea – tenuto conto della terminologia e del significato propri del diritto [dell’Unione europea] attribuibili alle parole componenti la relativa disposizione, del contesto normativo europeo in cui la stessa è inserita e degli obiettivi di tutela sottesi alla sua previsione, considerando lo stadio di evoluzione del diritto europeo al momento in cui va data applicazione alla disposizione rilevante nell’ambito del giudizio nazionale – ma non sia possibile provare in maniera circostanziata, sotto un profilo soggettivo, avuto riguardo alla condotta di altri organi giurisdizionali, che l’interpretazione fornita dal giudice procedente sia la stessa di quella suscettibile di essere data dai giudici degli altri Stati membri e dalla Corte di Giustizia ove investiti di identica questione.

2)      Se – per salvaguardare i valori costituzionali ed europei della indipendenza del giudice e della ragionevole durata dei processi – sia possibile interpretare l’articolo 267 TFUE nel senso di escludere che il giudice supremo nazionale, che abbia preso in esame e ricusato la richiesta di rinvio pregiudiziale di interpretazione del diritto della Unione europea, sia sottoposto automaticamente, ovvero a discrezione della sola parte che propone l’azione, ad un procedimento per responsabilità civile e disciplinare.

3)      Per l’ipotesi in cui [la] Corte dovesse risolvere negativamente [le prime due questioni]:

a)      Se la corretta interpretazione degli articoli da 101 a 106 TFUE, nonché del quadro normativo espresso [dalla direttiva “servizi” e dalla direttiva 2008/118] osti ad una norma nazionale, quale quella desumibile dall’articolo 23, comma 3, del [decreto legislativo n. 504/1995], che prevede che [l]a gestione in regime di deposito fiscale può essere autorizzata, laddove sussistano effettive necessità operative e di approvvigionamento dell’impianto, per i depositi commerciali di gas di petrolio liquefatti di capacità non inferiore a 400 metri cubi e per i depositi commerciali di altri prodotti energetici di capacità non inferiore a 10 000 metri cubi (...).

b)      Se la corretta interpretazione degli articoli da 101 a 106 TFUE, nonché del quadro normativo espresso [dalla direttiva “servizi” e dalla direttiva 2008/118] osti ad una norma nazionale, quale quella desumibile dall’articolo 23, comma 4, lettere a) e b) del [decreto legislativo n. 504/1995], che prevede che la gestione in regime di deposito fiscale possa essere autorizzata, in particolare, per i depositi commerciali di gas di petrolio liquefatti di capacità inferiore a 400 metri cubi e per i depositi commerciali di altri prodotti energetici di capacità inferiore a 10 000 metri cubi quando, oltre ai presupposti di cui al comma 3 [di tale articolo], ricorra almeno una delle seguenti condizioni:

i)      il deposito effettui forniture di prodotto in esenzione di accisa o ad accisa agevolata o trasferimenti di prodotti energetici in regime sospensivo verso Paesi dell’Unione europea ovvero verso Paesi non appartenenti all’Unione europea, in misura complessiva pari ad almeno il 30 per cento del totale delle estrazioni del biennio;

ii)      il deposito sia propaggine di un deposito fiscale ubicato nelle immediate vicinanze appartenente allo stesso gruppo societario o, se di diversa titolarità, sia stabilmente destinato ad operare al servizio del predetto deposito.

c)      Se la corretta interpretazione ed applicazione del principio di proporzionalità, in combinazione con gli articoli da 101 a 106 TFUE e il quadro normativo espresso [dalla direttiva “servizi” e dalla direttiva 2008/118] e, in particolare, dagli articoli 9, 14 [punto] 5, 15 paragrafo 2 della direttiva [“servizi”], osti a misure regolatorie (circolari, regolamenti od altro) assunte dall’Autorità nazionale volte a chiarire, integrandole, le predette condizioni di cui all’articolo 23, comma 4, lettere a) e b) del [decreto legislativo n. 504/1995]».

 Sulle questioni pregiudiziali

 Sulla prima questione

36      Ai sensi dell’articolo 99 del regolamento di procedura, quando la risposta a una questione pregiudiziale può essere chiaramente desunta dalla giurisprudenza, la Corte, su proposta del giudice relatore, sentito l’avvocato generale, può statuire in qualsiasi momento con ordinanza motivata.

37      Occorre applicare tale disposizione alla presente causa, per quanto riguarda la risposta alla prima questione.

38      Con la sua prima questione il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 267 TFUE debba essere interpretato nel senso che un giudice nazionale avverso le cui decisioni non possa proporsi alcun ricorso giurisdizionale di diritto interno, il quale, tenendo conto del fatto che il diritto dell’Unione utilizza una terminologia a esso propria, nonché della necessità di collocare ogni disposizione di tale diritto nel suo contesto e di interpretarla alla luce dell’insieme delle disposizioni di detto diritto, delle finalità dello stesso e del suo stadio di evoluzione nel momento in cui deve essere applicato, ritenga che la corretta interpretazione della disposizione del diritto dell’Unione applicabile alla controversia di cui è investito si imponga con un’evidenza tale da non lasciar adito ad alcun ragionevole dubbio deve, per potersi astenere dal sottoporre alla Corte una questione di interpretazione della disposizione in parola, dimostrare in maniera circostanziata che, dal punto di vista soggettivo, gli altri giudici di ultima istanza degli Stati membri e la Corte adotterebbero la medesima interpretazione di detta disposizione.

39      A tal riguardo, occorre rammentare che, qualora non esista alcun ricorso giurisdizionale di diritto interno avverso la decisione di un giudice nazionale, quest’ultimo è, in linea di principio, tenuto a rivolgersi alla Corte ai sensi dell’articolo 267, terzo comma, TFUE quando è chiamato a pronunciarsi su una questione d’interpretazione del diritto dell’Unione (sentenza del 6 ottobre 2021, Consorzio Italian Management e Catania Multiservizi, C‑561/19, EU:C:2021:799, punto 32 e giurisprudenza ivi citata).

40      Tuttavia, secondo una giurisprudenza costante della Corte, un giudice nazionale avverso le cui decisioni non possa proporsi ricorso giurisdizionale di diritto interno può astenersi dal sottoporre alla Corte una questione di interpretazione del diritto dell’Unione e risolverla sotto la propria responsabilità qualora l’interpretazione corretta del diritto dell’Unione s’imponga con tale evidenza da non lasciar adito a ragionevoli dubbi (sentenza del 6 ottobre 2021, Consorzio Italian Management e Catania Multiservizi, C‑561/19, EU:C:2021:799, punto 39 e giurisprudenza ivi citata).

41      Prima di concludere nel senso dell’esistenza di una situazione di tal genere, il giudice nazionale di ultima istanza deve maturare il convincimento che la stessa evidenza si imporrebbe altresì agli altri giudici di ultima istanza degli Stati membri e alla Corte (sentenza del 6 ottobre 2021, Consorzio Italian Management e Catania Multiservizi, C‑561/19, EU:C:2021:799, punto 40 e giurisprudenza ivi citata).

42      Inoltre, la configurabilità dell’eventualità di cui al punto 40 della presente ordinanza va valutata in funzione delle caratteristiche proprie del diritto dell’Unione, delle particolari difficoltà che la sua interpretazione presenta e del rischio di divergenze giurisprudenziali in seno all’Unione europea (sentenza del 6 ottobre 2021, Consorzio Italian Management e Catania Multiservizi, C‑561/19, EU:C:2021:799, punto 41 e giurisprudenza ivi citata).

43      Si deve innanzitutto tener conto del fatto che le disposizioni del diritto dell’Unione sono redatte in diverse lingue e che le varie versioni linguistiche fanno fede nella stessa misura (sentenza del 6 ottobre 2021, Consorzio Italian Management e Catania Multiservizi, C‑561/19, EU:C:2021:799, punto 42 e giurisprudenza ivi citata).

44      Infatti, conformemente a una giurisprudenza costante della Corte, una delle versioni linguistiche di una disposizione del diritto dell’Unione non può essere l’unico elemento a sostegno dell’interpretazione della disposizione medesima, né si può attribuire ad essa un carattere prioritario rispetto alle altre versioni linguistiche. Le norme dell’Unione devono essere, infatti, interpretate ed applicate in modo uniforme, alla luce delle versioni vigenti in tutte le lingue dell’Unione (sentenza del 6 ottobre 2021, Consorzio Italian Management e Catania Multiservizi, C‑561/19, EU:C:2021:799, punto 43 e giurisprudenza ivi citata).

45      Se è vero che un giudice nazionale di ultima istanza non può certamente essere tenuto a effettuare, a tal riguardo, un esame di ciascuna delle versioni linguistiche della disposizione dell’Unione di cui trattasi, ciò non toglie che esso deve tener conto delle divergenze tra le versioni linguistiche di tale disposizione di cui è a conoscenza, segnatamente quando tali divergenze sono esposte dalle parti e sono comprovate (sentenza del 6 ottobre 2021, Consorzio Italian Management e Catania Multiservizi, C‑561/19, EU:C:2021:799, punto 44).

46      Va poi rilevato che il diritto dell’Unione impiega una terminologia che gli è propria e nozioni autonome che non presentano necessariamente lo stesso contenuto delle nozioni equivalenti che possono esistere nei diritti nazionali (sentenza del 6 ottobre 2021, Consorzio Italian Management e Catania Multiservizi, C‑561/19, EU:C:2021:799, punto 45 e giurisprudenza ivi citata).

47      Infine, ciascuna disposizione di diritto dell’Unione deve essere collocata nel suo contesto e interpretata alla luce dell’insieme delle disposizioni di tale diritto, delle sue finalità e dello stadio della sua evoluzione al momento in cui va data applicazione alla disposizione in parola (sentenza del 6 ottobre 2021, Consorzio Italian Management e Catania Multiservizi, C‑561/19, EU:C:2021:799, punto 46 e giurisprudenza ivi citata).

48      Pertanto, solo nel caso in cui un giudice nazionale di ultima istanza, con l’ausilio dei criteri interpretativi menzionati ai punti da 41 a 47 della presente ordinanza, concluda per l’assenza di elementi atti a far sorgere un dubbio ragionevole quanto all’interpretazione corretta del diritto dell’Unione, esso potrà astenersi dal sottoporre alla Corte una questione di interpretazione del diritto dell’Unione e risolverla sotto la propria responsabilità (sentenza del 6 ottobre 2021, Consorzio Italian Management e Catania Multiservizi, C‑561/19, EU:C:2021:799, punto 47).

49      Ciò posto, la mera possibilità di effettuare una o diverse altre letture di una disposizione del diritto dell’Unione, nei limiti in cui nessuna di queste altre letture appaia sufficientemente plausibile al giudice nazionale interessato, segnatamente alla luce del contesto e della finalità di detta disposizione, nonché del sistema normativo in cui essa si inserisce, non può essere sufficiente per considerare che sussista un dubbio ragionevole quanto all’interpretazione corretta di tale disposizione (sentenza del 6 ottobre 2021, Consorzio Italian Management e Catania Multiservizi, C‑561/19, EU:C:2021:799, punto 48).

50      Tuttavia, quando l’esistenza di orientamenti giurisprudenziali divergenti – in seno agli organi giurisdizionali di un medesimo Stato membro o tra organi giurisdizionali di Stati membri diversi – relativi all’interpretazione di una disposizione del diritto dell’Unione applicabile alla controversia di cui al procedimento principale è portata a conoscenza del giudice nazionale di ultima istanza, esso deve prestare particolare attenzione nella sua valutazione riguardo a un’eventuale assenza di ragionevole dubbio quanto all’interpretazione corretta della disposizione dell’Unione di cui trattasi e tenere conto, segnatamente, dell’obiettivo perseguito dalla procedura pregiudiziale che è quello di assicurare l’unità di interpretazione del diritto dell’Unione (sentenza del 6 ottobre 2021, Consorzio Italian Management e Catania Multiservizi, C‑561/19, EU:C:2021:799, punto 49).

51      Contrariamente a quanto sembra ritenere il giudice del rinvio, dalle considerazioni che precedono non risulta che un giudice nazionale avverso le cui decisioni non possa proporsi alcun ricorso giurisdizionale di diritto interno, per poter stimare che la corretta interpretazione del diritto dell’Unione si impone con un’evidenza tale da non lasciar adito ad alcun ragionevole dubbio e astenersi, per tale motivo, dal sottoporre alla Corte una questione di interpretazione di detto diritto, debba «dimostrare in maniera circostanziata» che la medesima evidenza si impone anche ai giudici degli altri Stati membri e alla Corte.

52      Infatti, da tali considerazioni risulta che i giudici nazionali avverso le cui decisioni non possa proporsi ricorso giurisdizionale di diritto interno devono valutare, sotto la propria responsabilità, in maniera indipendente e con tutta la dovuta attenzione, se si trovino nell’ipotesi menzionata al punto 40 della presente ordinanza (v., in tal senso, sentenza del 6 ottobre 2021, Consorzio Italian Management e Catania Multiservizi, C‑561/19, EU:C:2021:799, punto 50).

53      A tal riguardo, qualora un giudice nazionale di ultima istanza ritenga di trovarsi in detta ipotesi, la motivazione della sua decisione deve far emergere che l’interpretazione del diritto dell’Unione si è imposta al giudice in parola con un’evidenza tale da non lasciar adito a ragionevoli dubbi (v., in tal senso, sentenza del 6 ottobre 2021, Consorzio Italian Management e Catania Multiservizi, C‑561/19, EU:C:2021:799, punto 51).

54      Laddove un giudice nazionale di ultima istanza, il quale ritenga di trovarsi in detta situazione, abbia maturato la convinzione, sulla base di una valutazione che tenga conto dei criteri interpretativi menzionati ai punti da 42 a 47 della presente ordinanza e delle considerazioni esposte ai punti da 48 a 50 della stessa, che gli altri giudici di ultima istanza degli Stati membri e la Corte condividerebbero la sua analisi, tale giudice nazionale può astenersi dal sottoporre alla Corte una questione di interpretazione del diritto dell’Unione e risolverla sotto la propria responsabilità.

55      Per quanto concerne la sentenza del 28 luglio 2016, Association France Nature Environnement (C‑379/15, EU:C:2016:603), a cui fa riferimento il giudice del rinvio, occorre rilevare che, sebbene la Corte abbia affermato, al punto 51 di tale sentenza, che il giudice nazionale le cui decisioni non siano soggette a ricorso giurisdizionale è tenuto a rivolgersi alla Corte in via pregiudiziale in presenza del minimo dubbio riguardo all’interpretazione o alla corretta applicazione del diritto dell’Unione, da detto punto 51 emerge che tale obbligo si impone solo qualora venga previsto, nell’ambito del procedimento principale, di avvalersi della facoltà eccezionale, in capo ai giudici nazionali, di decidere di mantenere, alle condizioni enunciate nella sentenza del 28 febbraio 2012, Inter-Environnement Wallonie e Terre wallonne (C‑41/11, EU:C:2012:103), taluni effetti di un atto nazionale incompatibile con il diritto dell’Unione.

56      Parimenti, è solo rispetto a tale facoltà eccezionale che la Corte ha dichiarato, al punto 52 della sentenza del 28 luglio 2016, Association France Nature Environnement (C‑379/15, EU:C:2016:603), che l’assenza di ragionevole dubbio relativamente all’esercizio della stessa necessita di una prova circostanziata.

57      Orbene, dagli elementi presentati alla Corte non risulta che l’esercizio di detta facoltà eccezionale sia in discussione nel procedimento principale.

58      Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, occorre rispondere alla prima questione dichiarando che l’articolo 267 TFUE deve essere interpretato nel senso che un giudice nazionale avverso le cui decisioni non possa proporsi ricorso giurisdizionale di diritto interno può astenersi dal sottoporre alla Corte una questione di interpretazione del diritto dell’Unione e risolverla sotto la propria responsabilità laddove la corretta interpretazione del diritto dell’Unione si imponga con un’evidenza tale da non lasciar adito ad alcun ragionevole dubbio. L’esistenza di una siffatta eventualità deve essere valutata in base alle caratteristiche proprie del diritto dell’Unione, alle difficoltà particolari relative alla sua interpretazione e al rischio di divergenze giurisprudenziali in seno all’Unione. Tale giudice nazionale non è tenuto a dimostrare in maniera circostanziata che gli altri giudici di ultima istanza degli Stati membri e la Corte adotterebbero la medesima interpretazione, ma deve aver maturato la convinzione, sulla base di una valutazione che tenga conto dei citati elementi, che la stessa evidenza si imponga anche agli altri giudici nazionali in parola e alla Corte.

 Sulla seconda questione

59      Ai sensi dell’articolo 53, paragrafo 2, del regolamento di procedura, quando la Corte è manifestamente incompetente a conoscere di una causa o quando una domanda o un atto introduttivo è manifestamente irricevibile, la Corte, sentito l’avvocato generale, può statuire in qualsiasi momento con ordinanza motivata, senza proseguire il procedimento.

60      Occorre applicare detta disposizione alla presente causa, per quanto riguarda la seconda questione.

61      Con tale questione il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 267 TFUE, letto alla luce dei principi di indipendenza dei giudici e di ragionevole durata del processo, debba essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale che consente di affermare la responsabilità civile e disciplinare di un giudice nazionale avverso le cui decisioni non possa proporsi alcun ricorso giurisdizionale di diritto interno, laddove tale giudice abbia preso in esame e respinto la domanda, presentata da una della parti della controversia pendente dinanzi a lui, diretta a che detto giudice sottoponga alla Corte, in via pregiudiziale, una questione relativa all’interpretazione del diritto dell’Unione.

62      Secondo una costante giurisprudenza della Corte, spetta esclusivamente al giudice nazionale, cui è stata sottoposta la controversia e che deve assumersi la responsabilità dell’emananda decisione giurisdizionale, valutare, alla luce delle particolari circostanze di ciascuna causa, sia la necessità di una pronuncia pregiudiziale per poter emettere la propria sentenza, sia la rilevanza delle questioni sottoposte alla Corte, le quali godono di una presunzione di rilevanza. Pertanto, quando la questione sollevata riguarda l’interpretazione o la validità di una norma di diritto dell’Unione, la Corte è, in linea di principio, obbligata a pronunciarsi, salvo qualora appaia manifestamente che l’interpretazione richiesta non ha alcun legame con la realtà effettiva o con l’oggetto del procedimento principale, qualora il problema sia ipotetico, o qualora la Corte non disponga degli elementi di fatto e di diritto necessari per rispondere in modo utile a tale questione (sentenza del 5 maggio 2022, Zagrebačka banka, C‑567/20, EU:C:2022:352, punto 43 e giurisprudenza ivi citata).

63      Nel caso di specie, dalla decisione di rinvio emerge che il procedimento principale riguarda l’annullamento di un atto amministrativo che ha sospeso la licenza rilasciata a un operatore economico per l’esercizio di un deposito commerciale e non già l’affermazione della responsabilità civile e disciplinare di un giudice nazionale avverso le cui decisioni non possa proporsi alcun ricorso giurisdizionale di diritto interno.

64      Pertanto, appare in modo manifesto che la seconda questione non ha alcuna relazione con l’oggetto del procedimento principale.

65      Ne consegue che la seconda questione è manifestamente irricevibile.

 Sulla terza questione

66      Dalla decisione di rinvio emerge che la terza questione viene sollevata solo in caso di risposta affermativa alla prima. In considerazione della risposta fornita alla prima questione, non occorre rispondere alla terza questione.

 Sulle spese

67      Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Sesta Sezione) così provvede:

L’articolo 267 TFUE deve essere interpretato nel senso che un giudice nazionale avverso le cui decisioni non possa proporsi ricorso giurisdizionale di diritto interno può astenersi dal sottoporre alla Corte una questione di interpretazione del diritto dell’Unione e risolverla sotto la propria responsabilità laddove la corretta interpretazione del diritto dell’Unione si imponga con un’evidenza tale da non lasciar adito ad alcun ragionevole dubbio. L’esistenza di una siffatta eventualità deve essere valutata in base alle caratteristiche proprie del diritto dell’Unione, alle difficoltà particolari relative alla sua interpretazione e al rischio di divergenze giurisprudenziali in seno all’Unione europea.

Tale giudice nazionale non è tenuto a dimostrare in maniera circostanziata che gli altri giudici di ultima istanza degli Stati membri e la Corte adotterebbero la medesima interpretazione, ma deve aver maturato la convinzione, sulla base di una valutazione che tenga conto dei citati elementi,


che la stessa evidenza si imponga anche agli altri giudici nazionali in parola e alla Corte.

Lussemburgo, 15 dicembre 2022.

Il cancelliere

 

Il presidente di sezione

A. Calot Escobar

 

P.G. Xuereb


*      Lingua processuale: l’italiano.