SENTENZA DELLA CORTE (Prima Sezione)

22 settembre 2022 ( *1 )

«Rinvio pregiudiziale – Politica comune in materia di asilo e di immigrazione – Direttiva 2011/95/UE – Norme relative ai presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato o dello status conferito dalla protezione sussidiaria – Revoca dello status – Direttiva 2013/32/UE – Procedure comuni per il riconoscimento e la revoca della protezione internazionale – Compromissione della sicurezza nazionale – Presa di posizione di un’autorità specializzata – Accesso al fascicolo»

Nella causa C‑159/21,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dalla Fővárosi Törvényszék (Corte di Budapest‑Capitale, Ungheria), con decisione del 27 gennaio 2021, pervenuta in cancelleria l’11 marzo 2021, nel procedimento

GM

contro

Országos Idegenrendészeti Főigazgatóság,

Alkotmányvédelmi Hivatal,

Terrorelhárítási Központ,

LA CORTE (Prima Sezione),

composta da A. Arabadjiev, presidente di sezione, L. Bay Larsen (relatore), vicepresidente della Corte, I. Ziemele, P.G. Xuereb e A. Kumin, giudici,

avvocato generale: J. Richard de la Tour

cancelliere: A. Calot Escobar

vista la fase scritta del procedimento,

considerate le osservazioni presentate:

per GM, da B. Pohárnok, ügyvéd;

per il governo ungherese, da M.Z. Fehér, R. Kissné Berta e M. Tátrai, in qualità di agenti;

per il governo ceco, da M. Smolek e J. Vláčil, in qualità di agenti;

per il governo neerlandese, da M.K. Bulterman e A. Hanje, in qualità di agenti;

per la Commissione europea, da A. Azéma, L. Grønfeldt e A. Tokár, in qualità di agenti,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 28 aprile 2022,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1

La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione degli articoli 14 e 17 della direttiva 2011/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta (GU 2011, L 337, pag. 9), degli articoli 4, 10, 11, 12, 23 e 45 della direttiva 2013/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale (GU 2013, L 180, pag. 60), nonché degli articoli 41 e 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»).

2

Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una procedura di ricorso instaurata da GM, cittadino di un paese terzo, contro la decisione dell’Országos Idegenrendészeti Főigazgatóság (Direzione generale nazionale della polizia degli stranieri, Ungheria; in prosieguo: la «Direzione generale»), che ha revocato al predetto lo status di rifugiato ed ha rifiutato di riconoscergli lo status conferito dalla protezione sussidiaria.

Contesto giuridico

Diritto dell’Unione

Direttiva 2011/95

3

L’articolo 2, lettere d) e f), della direttiva 2011/95 è così formulato:

«Ai fini della presente direttiva, si intende per:

(…)

d)

“rifugiato”: cittadino di un paese terzo il quale, per il timore fondato di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, opinione politica o appartenenza a un determinato gruppo sociale, si trova fuori dal paese di cui ha la cittadinanza e non può o, a causa di tale timore, non vuole avvalersi della protezione di detto paese, oppure apolide che si trova fuori dal paese nel quale aveva precedentemente la dimora abituale per le stesse ragioni succitate e non può o, a causa di siffatto timore, non vuole farvi ritorno, e al quale non si applica l’articolo 12;

(…)

f)

“persona avente titolo a beneficiare della protezione sussidiaria”: cittadino di un paese terzo o apolide che non possiede i requisiti per essere riconosciuto come rifugiato ma nei cui confronti sussistono fondati motivi di ritenere che, se ritornasse nel paese di origine, o, nel caso di un apolide, se ritornasse nel paese nel quale aveva precedentemente la dimora abituale, correrebbe un rischio effettivo di subire un grave danno come definito all’articolo 15, e al quale non si applica l’articolo 17, paragrafi 1 e 2, e il quale non può o, a causa di tale rischio, non vuole avvalersi della protezione di detto paese».

4

L’articolo 12 di detta direttiva definisce i casi di esclusione dallo status di rifugiato.

5

L’articolo 14, paragrafo 4, lettera a), della medesima direttiva prevede quanto segue:

«Gli Stati membri hanno la facoltà di revocare, di [porre termine] o di rifiutare di rinnovare lo status riconosciuto a un rifugiato da un organismo statale, amministrativo, giudiziario o quasi giudiziario quando:

a)

vi sono fondati motivi per ritenere che la persona in questione costituisca un pericolo per la sicurezza dello Stato membro in cui si trova».

6

L’articolo 17, paragrafo 1, lettere b) e d), della medesima direttiva così dispone:

«Un cittadino di un paese terzo o un apolide è escluso dalla qualifica di persona avente titolo a beneficiare della protezione sussidiaria ove sussistano fondati motivi per ritenere che:

(…)

b)

abbia commesso un reato grave;

(…)

d)

rappresenti un pericolo per la comunità o la sicurezza dello Stato in cui si trova».

Direttiva 2013/32

7

I considerando 16, 20, 34 e 49 della direttiva 2013/32 sono così formulati:

«(16)

È indispensabile che le decisioni in merito a tutte le domande di protezione internazionale siano adottate sulla base dei fatti e, in primo grado, da autorità il cui organico dispone di conoscenze adeguate o ha ricevuto la formazione necessaria in materia di protezione internazionale.

(…)

(20)

In circostanze ben definite per le quali una domanda potrebbe essere infondata o [se] vi sono gravi preoccupazioni di sicurezza nazionale o di ordine pubblico, gli Stati membri dovrebbero poter accelerare la procedura di esame, introducendo in particolare termini più brevi, ma ragionevoli, in talune fasi procedurali, fatto salvo lo svolgimento di un esame adeguato e completo e un accesso effettivo del richiedente ai principi fondamentali e alle garanzie previsti dalla presente direttiva.

(…)

(34)

Le procedure di esame delle esigenze di protezione internazionale dovrebbero essere tali da consentire alle autorità competenti di procedere a un esame rigoroso delle domande di protezione internazionale.

(…)

(49)

Riguardo alla revoca dello status di rifugiato o di protezione sussidiaria, gli Stati membri dovrebbero provvedere affinché i beneficiari di protezione internazionale siano debitamente informati dell’eventuale riesame del loro status ed abbiano la possibilità di esporre la loro opinione prima che le autorità possano prendere una decisione motivata di revoca del loro status».

8

L’articolo 2, lettera f), di tale direttiva dispone quanto segue:

«Ai fini della presente direttiva, si intende per:

(…)

f)

“autorità accertante”: qualsiasi organo quasi giurisdizionale o amministrativo di uno Stato membro che sia competente ad esaminare le domande di protezione internazionale e a prendere una decisione di primo grado al riguardo».

9

L’articolo 4, paragrafi da 1 a 3, della direttiva in parola recita:

«1.   Per tutti i procedimenti gli Stati membri designano un’autorità [accertante] che sarà competente per l’esame adeguato delle domande a norma della presente direttiva. Gli Stati membri provvedono affinché tale autorità disponga di mezzi appropriati, in particolare di personale competente in numero sufficiente, per assolvere ai suoi compiti ai sensi della presente direttiva.

2.   Gli Stati membri possono prevedere che sia competente un’autorità diversa da quella di cui al paragrafo 1 al fine di:

a)

trattare i casi a norma del regolamento (UE) n. 604/2013 [del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide (GU 2013, L 180, pag. 31),] e

b)

accordare o rifiutare il permesso di ingresso nell’ambito della procedura di cui all’articolo 43, secondo le condizioni di cui a detto articolo e in base al parere motivato dell’autorità accertante.

3.   Gli Stati membri provvedono affinché il personale dell’autorità accertante di cui al paragrafo 1 abbia ricevuto una formazione adeguata. A tal fine essi predispongono formazioni pertinenti (…). Gli Stati membri tengono conto anche della pertinente formazione organizzata e sviluppata dall’Ufficio europeo di sostegno per l’asilo (EASO). Le persone che conducono i colloqui con i richiedenti conformemente alla presente direttiva hanno altresì acquisito una conoscenza generale dei problemi che potrebbero compromettere la capacità del richiedente di sostenere il colloquio, quali indicazioni che il richiedente potrebbe essere stato torturato nel passato».

10

L’articolo 10, paragrafi 2 e 3, della medesima direttiva precisa quanto segue:

«2.   Nell’esaminare una domanda di protezione internazionale, l’autorità accertante determina anzitutto se al richiedente sia attribuibile la qualifica di rifugiato e, in caso contrario, se l’interessato sia ammissibile alla protezione sussidiaria.

3.   Gli Stati membri provvedono affinché le decisioni dell’autorità accertante relative alle domande di protezione internazionale siano adottate previo congruo esame. A tal fine gli Stati membri dispongono:

(…)

d)

che il personale incaricato di esaminare le domande e decidere in merito abbia la possibilità di consultare esperti, laddove necessario, su aspetti particolari come quelli d’ordine medico, culturale, religioso, di genere o inerenti ai minori».

11

L’articolo 11, paragrafo 2, della direttiva 2013/32, intitolato «Criteri applicabili alle decisioni dell’autorità accertante», è così formulato:

«Gli Stati membri dispongono inoltre che la decisione con cui viene respinta una domanda riguardante lo status di rifugiato e/o lo status di protezione sussidiaria sia corredata di motivazioni de jure e de facto e che il richiedente sia informato per iscritto dei mezzi per impugnare tale decisione negativa.

(…)».

12

L’articolo 12 di tale direttiva prevede varie garanzie a favore dei richiedenti.

13

L’articolo 23, paragrafo 1, di detta direttiva recita:

«Gli Stati membri provvedono affinché l’avvocato o altro consulente (…) ammesso o autorizzato a norma del diritto nazionale, che assiste o rappresenta un richiedente a norma del diritto nazionale, abbia accesso alle informazioni contenute nella pratica del richiedente sulla cui base [viene presa] o sarà presa una decisione.

Gli Stati membri possono derogare a tale disposizione, qualora la divulgazione di informazioni o fonti comprometta la sicurezza nazionale, la sicurezza delle organizzazioni o delle persone che forniscono dette informazioni o la sicurezza delle persone cui le informazioni si riferiscono o qualora gli interessi investigativi relativi all’esame delle domande di protezione internazionale da parte delle autorità competenti degli Stati membri o le relazioni internazionali degli Stati membri siano compromesse. In questi casi gli Stati membri:

a)

aprono l’accesso a tali informazioni o fonti alle autorità di cui al capo V; e

b)

stabiliscono nel diritto nazionale procedure che garantiscano il rispetto dei diritti di difesa del richiedente.

Con riguardo alla lettera b), gli Stati membri possono, in particolare, dare accesso a dette informazioni o fonti all’avvocato o ad altro consulente legale che abbia subito un controllo di sicurezza, nella misura in cui le informazioni sono pertinenti per l’esame della domanda o per decidere della revoca della protezione internazionale».

14

L’articolo 45 della direttiva in parola enuncia quanto segue:

«1.   Gli Stati membri provvedono affinché, se l’autorità competente prende in considerazione di revocare la protezione internazionale di un cittadino di un paese terzo o di un apolide (…), l’interessato goda delle seguenti garanzie:

a)

sia informato per iscritto che l’autorità competente procede al riesame della sua qualifica di beneficiario di protezione internazionale e dei motivi del riesame; e

b)

gli sia data la possibilità di esporre in un colloquio personale (…) i motivi per cui la sua protezione internazionale non dovrebbe essere revocata.

(…)

3.   Gli Stati membri provvedono affinché la decisione dell’autorità competente di revocare la protezione internazionale sia comunicata per iscritto. La decisione specifica i motivi de jure e de facto e le informazioni sulle modalità per l’impugnazione della decisione sono comunicate per iscritto.

4.   Non appena l’autorità competente ha preso la decisione di revocare la protezione internazionale, sono applicabili anche l’articolo 20, l’articolo 22, l’articolo 23, paragrafo 1, e l’articolo 29.

5.   In deroga ai paragrafi da 1 a 4 del presente articolo, gli Stati membri possono decidere che la protezione internazionale decada per legge se il beneficiario di protezione internazionale ha rinunciato espressamente a essere riconosciuto come tale. Uno Stato membro può altresì disporre che la protezione internazionale decada per legge se il beneficiario di protezione internazionale è divenuto loro cittadino».

15

L’articolo 46, paragrafo 1, della direttiva 2013/32, che è contenuto nel capo V di quest’ultima, intitolato «Procedure di impugnazione», è così formulato:

«Gli Stati membri dispongono che il richiedente abbia diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice avverso i seguenti casi:

a)

la decisione sulla sua domanda di protezione internazionale, compresa la decisione:

i)

di ritenere la domanda infondata in relazione allo status di rifugiato e/o allo status di protezione sussidiaria;

(…)

c)

una decisione di revoca della protezione internazionale a norma dell’articolo 45».

Diritto ungherese

16

L’articolo 57, paragrafi 1 e 3, della menedékjogról szóló 2007. évi LXXX. törvény (legge n. LXXX del 2007, in materia di diritto d’asilo) dispone quanto segue:

«1.   Nei procedimenti disciplinati dalla presente legge, l’autorità specializzata dello Stato emette un parere sulle questioni specifiche la cui valutazione rientra nella sua competenza nell’ambito di un procedimento amministrativo.

(...)

3.   L’autorità competente in materia di asilo non può discostarsi dal parere dell’autorità specializzata dello Stato ove essa non sia competente a pronunciarsi sul suo contenuto.

(…)».

17

L’articolo 11 della minősített adat védelméről szóló 2009. évi CLV. törvény (legge n. CLV del 2009, sulla protezione delle informazioni classificate) recita:

«1.   L’interessato ha il diritto di accedere ai propri dati personali qualificati come informazioni classificate nazionali in virtù di un’autorizzazione alla consultazione rilasciata dal classificatore e senza dover disporre di un nulla osta di sicurezza personale. Prima di accedere alle informazioni classificate nazionali, l’interessato deve rendere una dichiarazione scritta di riservatezza ed impegnarsi al rispetto delle norme in materia di protezione delle informazioni classificate nazionali.

2.   Su richiesta dell’interessato, il classificatore decide, entro quindici giorni, l’eventuale concessione dell’autorizzazione alla consultazione. Il classificatore nega l’autorizzazione alla consultazione se la conoscenza delle informazioni pregiudica l’interesse pubblico alla base della classificazione. Il classificatore deve motivare il diniego dell’autorizzazione alla consultazione.

3.   In caso di diniego dell’autorizzazione alla consultazione, l’interessato può impugnare tale decisione con un ricorso giurisdizionale amministrativo. (…)».

18

L’articolo 12, paragrafo 1, di detta legge enuncia quanto segue:

«Il responsabile del trattamento delle informazioni classificate può negare all’interessato l’esercizio del suo diritto di accesso ai propri dati personali ove tale esercizio comprometta l’interesse pubblico alla base della classificazione».

Procedimento principale e questioni pregiudiziali

19

Durante l’anno 2002, GM è stato condannato da un giudice ungherese ad una pena detentiva per fatti connessi al traffico di stupefacenti.

20

Mentre scontava tale pena, egli ha presentato, nel corso dell’anno 2005, una domanda di asilo in Ungheria. A seguito di tale domanda, si è visto riconoscere lo status di «persona accolta», ed ha poi perduto tale status nel 2010.

21

A seguito della presentazione di una nuova domanda di asilo, GM ha ottenuto il riconoscimento dello status di rifugiato in virtù di una sentenza del 29 giugno 2012 della Fővárosi Törvényszék (Corte di Budapest‑Capitale, Ungheria).

22

Con decisione del 15 luglio 2019, la Direzione generale ha revocato a GM lo status di rifugiato ed ha rifiutato di concedergli lo status conferito dalla protezione sussidiaria, applicandogli però il principio del non respingimento. Tale decisione è stata adottata sulla base di un parere non motivato emesso dall’Alkotmányvédelmi Hivatal (Ufficio per la tutela della Costituzione, Ungheria) e dal Terrorelhárítási Központ (Ufficio centrale di prevenzione del terrorismo, Ungheria) (in prosieguo, congiuntamente: gli «organi specializzati»), nel quale queste due autorità hanno concluso che il soggiorno di GM compromette la sicurezza nazionale.

23

GM ha proposto un ricorso contro tale decisione dinanzi al giudice del rinvio.

24

Tale giudice dubita, anzitutto, della compatibilità della normativa ungherese in materia di accesso alle informazioni classificate con l’articolo 23 della direttiva 2013/32 e con varie disposizioni della Carta.

25

Detto giudice osserva come risulti dalla giurisprudenza della Kúria (Corte suprema, Ungheria) che, in una situazione quale quella di cui al procedimento principale, i diritti procedurali della persona interessata sono garantiti dalla facoltà offerta al giudice competente, per valutare la legittimità della decisione sulla protezione internazionale, di consultare le informazioni riservate sulle quali si basa il parere degli organi specializzati.

26

Tuttavia, né la persona interessata né il suo rappresentante hanno, ai sensi della normativa ungherese, una concreta possibilità di esprimersi sul parere non motivato degli organi suddetti. Essi hanno invero il diritto di presentare una domanda di accesso alle informazioni riservate riguardanti tale persona, ma non potrebbero comunque utilizzare nell’ambito della procedura amministrativa o di quella giurisdizionale le informazioni riservate alle quali abbiano ottenuto accesso.

27

Il giudice del rinvio si interroga, poi, in merito alla compatibilità con il diritto dell’Unione della norma stabilita dal diritto ungherese secondo cui la Direzione generale è tenuta a basarsi su un parere non motivato emesso dagli organi specializzati, senza poter esaminare in prima persona l’applicazione della clausola di esclusione nel caso sottoposto al suo esame, sicché essa può motivare la propria decisione soltanto facendo riferimento al suddetto parere non motivato. Infatti, detto giudice ritiene, da un lato, che tali organi specializzati non soddisfino le condizioni imposte dalla direttiva 2013/32 per effettuare tale esame nonché per prendere una decisione siffatta e, dall’altro, che la norma nazionale in questione possa costituire un ostacolo all’applicazione delle garanzie procedurali risultanti dal diritto dell’Unione.

28

Infine, detto giudice si chiede in quale misura sia possibile, nel valutare l’eventuale riconoscimento della protezione sussidiaria a seguito della revoca dello status di rifugiato, tener conto di una condanna penale ad una pena scontata sedici anni prima e che era già nota alle autorità che avevano concesso lo status di rifugiato e su cui tali autorità non si sono fondate per rifiutare di concedere tale status.

29

Alla luce di tali circostanze, la Fővárosi Törvényszék (Corte di Budapest‑Capitale) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)

Se l’articolo 11, paragrafo 2, l’articolo 12, paragrafi 1, lettera d), e 2, l’articolo 23, paragrafo 1, lettera b), e l’articolo 45, paragrafi 1 e da 3 a 5, della direttiva [2013/32] – alla luce dell’articolo 47 della [Carta] – debbano essere interpretati nel senso che impongono che, nel caso in cui sia applicabile la deroga di cui all’articolo 23, paragrafo 1, di tale direttiva, riguardante un motivo di sicurezza nazionale, l’autorità di uno Stato membro che ha adottato una decisione in materia di protezione internazionale di diniego o di revoca dello status per ragioni di sicurezza nazionale e l’autorità specializzata che ha dichiarato la natura riservata devono provvedere affinché sia comunque garantito al richiedente, rifugiato o straniero che beneficia della protezione sussidiaria, o al suo rappresentante legale, il diritto di accedere almeno al contenuto essenziale delle informazioni o dei dati riservati o classificati su cui si basa la decisione fondata su tali motivi e di fare uso di tali informazioni o dati nel procedimento relativo alla decisione, nel caso in cui l’autorità responsabile sostenga che tale comunicazione sarebbe contraria al motivo di sicurezza nazionale.

2)

In caso di risposta affermativa, che cosa si debba intendere esattamente per “il contenuto essenziale” dei motivi di riservatezza su cui si basa tale decisione, nell’applicazione dell’articolo 23, paragrafo 1, lettera b), della direttiva [2013/32], alla luce degli articoli 41 e 47 della Carta.

3)

Se l’articolo 14, paragrafo 4, lettera a), e l’articolo 17, paragrafo 1, lettera d), della direttiva [2011/95], nonché l’articolo 45, paragrafi 1, lettera a), 3 e 4, della direttiva [2013/32] ed il considerando 49 di quest’ultima debbano essere interpretati nel senso che essi ostano a una normativa nazionale in forza della quale la revoca dello status di rifugiato o di beneficiario della protezione sussidiaria, ovvero l’esclusione da tale status, avviene sulla base di una decisione non motivata, basata esclusivamente sul rinvio automatico al parere vincolante e imperativo dell’autorità specializzata, anch’esso non motivato, il quale stabilisce che esiste un pericolo per la sicurezza nazionale.

4)

Se i considerando 20 e 34, l’articolo 4 e l’articolo 10, paragrafi 2 e 3, lettera d), della direttiva [2013/32], nonché l’articolo 14, paragrafo 4, lettera a), e l’articolo 17, paragrafo 1, lettera d), della direttiva [2011/95] debbano essere interpretati nel senso che essi ostano a una normativa nazionale in base alla quale la predetta autorità specializzata procede all’esame del motivo di esclusione e adotta una decisione nel merito in un procedimento che non è conforme alle disposizioni sostanziali e procedurali della direttiva [2013/32] e della direttiva [2011/95].

5)

Se l’articolo 17, paragrafo 1, lettera b), della direttiva [2011/95] debba essere interpretato nel senso che esso osta a un’esclusione fondata su una circostanza o su un reato di cui si era a conoscenza già prima dell’adozione della sentenza o decisione definitiva sul riconoscimento dello status di rifugiato, ma che non ha costituito un motivo di esclusione né in relazione al riconoscimento dello status di rifugiato né in relazione alla protezione sussidiaria».

Sulle questioni pregiudiziali

Sulla prima e sulla seconda questione

30

Con le sue questioni prima e seconda, che vanno esaminate congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 11, paragrafo 2, l’articolo 12, paragrafi 1 e 2, l’articolo 23, paragrafo 1, nonché l’articolo 45, paragrafi 1 e da 3 a 5, della direttiva 2013/32, letti alla luce degli articoli 41 e 47 della Carta, debbano essere interpretati nel senso che essi ostano ad una normativa nazionale, la quale preveda che, allorché una decisione di rigetto di una domanda di protezione internazionale o di revoca di tale protezione è fondata su informazioni la cui divulgazione comprometterebbe la sicurezza nazionale dello Stato membro di cui trattasi, la persona interessata o il suo consulente possano accedere a tali informazioni soltanto dopo aver ottenuto un’autorizzazione a tal fine, non ricevano in comunicazione neppure il contenuto essenziale della motivazione su cui sono fondate le decisioni suddette, e comunque non possano utilizzare, ai fini del procedimento amministrativo o di quello giurisdizionale, le informazioni alle quali abbiano potuto avere accesso.

31

In via preliminare, occorre rilevare, in primo luogo, che, sebbene il giudice del rinvio faccia riferimento, nelle sue questioni prima e seconda, all’articolo 11, paragrafo 2, all’articolo 12, paragrafi 1 e 2, nonché all’articolo 45, paragrafi 1, 3 e 5, della direttiva 2013/32, tali disposizioni non presentano alcuna pertinenza diretta al fine di rispondere alle questioni suddette, in quanto queste ultime si correlano essenzialmente alle modalità di accesso alle informazioni contenute nel fascicolo, modalità che vengono definite nell’articolo 23, paragrafo 1, di detta direttiva.

32

In secondo luogo, l’articolo 45, paragrafo 4, della direttiva 2013/32, contemplato nella prima questione, deve invece essere preso in considerazione al fine di rispondere alle questioni prima e seconda, in quanto tale disposizione precisa che l’articolo 23, paragrafo 1, di detta direttiva è applicabile nelle procedure di revoca della protezione internazionale, una volta che l’autorità competente ha preso la decisione di revocare tale protezione.

33

Discende così dall’articolo 45, paragrafo 4, della direttiva sopra citata che le norme stabilite nell’articolo 23, paragrafo 1, di quest’ultima si impongono non soltanto nelle procedure di esame di una domanda di protezione internazionale, ma anche nelle procedure di revoca di tale protezione.

34

In terzo luogo, per quanto riguarda l’articolo 41 della Carta, menzionato dal giudice del rinvio nella sua seconda questione, occorre ricordare che risulta chiaramente dal tenore letterale di tale articolo che quest’ultimo è rivolto non agli Stati membri, bensì unicamente alle istituzioni, agli organi e agli organismi dell’Unione europea (v., in tal senso, sentenza del 24 novembre 2020, Minister van Buitenlandse Zaken, C‑225/19 e C‑226/19, EU:C:2020:951, punto 33 e la giurisprudenza ivi citata).

35

Ciò premesso, l’articolo 41 della Carta riflette un principio generale del diritto dell’Unione, destinato ad applicarsi agli Stati membri allorché essi attuano tale diritto (v., in tal senso, sentenza del 24 novembre 2020, Minister van Buitenlandse Zaken, C‑225/19 e C‑226/19, EU:C:2020:951, punto 34 nonché la giurisprudenza ivi citata).

36

Occorre dunque prendere in considerazione tale principio al fine di precisare gli obblighi imposti agli Stati membri nell’attuazione dell’articolo 23, paragrafo 1, di detta direttiva.

37

A questo proposito, occorre rilevare che l’articolo 23, paragrafo 1, primo comma, della direttiva 2013/32 stabilisce che gli Stati membri provvedono affinché l’avvocato o altro consulente ammesso o autorizzato a norma del diritto nazionale, che assiste o rappresenta un interessato a norma del diritto nazionale, abbia accesso alle informazioni contenute nel fascicolo di tale interessato sulla cui base viene presa o sarà presa una decisione.

38

L’articolo 23, paragrafo 1, secondo comma, della medesima direttiva autorizza però gli Stati membri a derogare a tale norma nel caso in cui la divulgazione di informazioni o delle loro fonti comprometterebbe, segnatamente, la sicurezza nazionale o la sicurezza di tali fonti.

39

In un caso siffatto, gli Stati membri devono, da un lato, a norma dell’articolo 23, paragrafo 1, secondo comma, lettera a), della direttiva sopra citata, consentire l’accesso a tali informazioni o a tali fonti ai giudici competenti a pronunciarsi sulla legittimità della decisione relativa alla protezione internazionale e, dall’altro, in applicazione dell’articolo 23, paragrafo 1, secondo comma, lettera b), della medesima direttiva, introdurre, nel loro ordinamento nazionale, procedure che garantiscano il rispetto dei diritti della difesa della persona interessata.

40

Come rilevato dall’avvocato generale ai paragrafi 44 e 45 delle sue conclusioni, le questioni prima e seconda si riferiscono non ai poteri conferiti ai giudici competenti, bensì al rispetto dei diritti della difesa dell’interessato e, di conseguenza, riguardano unicamente l’interpretazione dell’obbligo enunciato all’articolo 23, paragrafo 1, secondo comma, lettera b), della direttiva 2013/32.

41

A questo proposito, occorre certo rilevare che la portata di tale obbligo viene precisata nell’articolo 23, paragrafo 1, terzo comma, di detta direttiva, a tenore del quale, alla luce dell’articolo 23, paragrafo 1, secondo comma, lettera b), della medesima direttiva, gli Stati membri possono segnatamente concedere l’accesso alle informazioni contenute nel fascicolo o alle loro fonti la cui divulgazione comprometterebbe la sicurezza nazionale ad un consulente della persona interessata che sia stato sottoposto a un controllo di sicurezza, nella misura in cui tali informazioni o tali fonti sono pertinenti per l’esame della domanda o per decidere della revoca della protezione internazionale.

42

Risulta però chiaramente dal tenore letterale del citato articolo 23, paragrafo 1, terzo comma, e segnatamente dall’uso della locuzione «in particolare», che l’attuazione della procedura menzionata in tale disposizione non costituisce l’unica possibilità che si offre agli Stati membri per conformarsi all’articolo 23, paragrafo 1, secondo comma, lettera b), della direttiva 2013/32 e che detti Stati non sono dunque tenuti a istituire una procedura siffatta.

43

Pertanto, dato che la direttiva 2013/32 non precisa in che modo gli Stati membri devono assicurare il rispetto dei diritti della difesa della persona interessata qualora il suo diritto d’accesso al fascicolo sia limitato in applicazione dell’articolo 23, paragrafo 1, secondo comma, della medesima direttiva, le modalità concrete delle procedure stabilite a questo scopo rientrano nell’ordinamento giuridico interno dei singoli Stati membri, in virtù del principio dell’autonomia procedurale degli Stati membri, a condizione però che esse non siano meno favorevoli di quelle disciplinanti situazioni simili di natura interna (principio di equivalenza) e che non rendano praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione (principio di effettività) [v., per analogia, sentenze del 4 giugno 2020, C.F. (Verifica fiscale), C‑430/19, EU:C:2020:429, punto 34, nonché del 9 settembre 2020, Commissaire général aux réfugiés et aux apatrides (Rigetto di una domanda ulteriore – Termine di ricorso), C‑651/19, EU:C:2020:681, punto 34 e la giurisprudenza ivi citata].

44

Occorre altresì ricordare che gli Stati membri, allorché attuano il diritto dell’Unione, sono tenuti a garantire il rispetto sia delle prescrizioni scaturenti dal diritto ad una buona amministrazione, come si è evidenziato al punto 35 della presente sentenza, sia del diritto ad un ricorso effettivo sancito dall’articolo 47, primo comma, della Carta (v., in tal senso, sentenze del 19 dicembre 2019, Deutsche Umwelthilfe, C‑752/18, EU:C:2019:1114, punto 34, e del 14 maggio 2020, Agrobet CZ, C‑446/18, EU:C:2020:369, punto 43), i quali impongono, rispettivamente nel corso del procedimento amministrativo e di un eventuale procedimento giurisdizionale, il rispetto dei diritti della difesa della persona interessata [v., in tal senso, sentenze del 5 novembre 2014, Mukarubega, C‑166/13, EU:C:2014:2336, punto 45, e dell’11 marzo 2020, SF (Mandato d’arresto europeo – Garanzia di rinvio nello Stato di esecuzione), C‑314/18, EU:C:2020:191, punto 58].

45

A questo proposito, per quanto riguarda, in primo luogo, il procedimento amministrativo, risulta da una consolidata giurisprudenza della Corte che il rispetto dei diritti della difesa implica che il destinatario di una decisione che pregiudica in maniera sensibile i suoi interessi deve essere messo in condizione, dalle amministrazioni degli Stati membri allorché adottano misure rientranti nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione, di far conoscere utilmente il proprio punto di vista riguardo agli elementi sui quali l’amministrazione intende fondare la propria decisione (v., in tal senso, sentenze del 16 ottobre 2019, Glencore Agriculture Hungary, C‑189/18, EU:C:2019:861, punto 39, e del 3 giugno 2021, Jumbocarry Trading, C‑39/20, EU:C:2021:435, punto 31).

46

Tale precetto mira segnatamente, nell’ambito di un procedimento relativo alla protezione internazionale, a permettere all’autorità accertante di procedere con piena cognizione di causa alla valutazione individuale dell’insieme dei fatti e delle circostanze pertinenti, il che impone che il destinatario della decisione possa correggere un errore o far valere determinati elementi relativi alla sua situazione personale suscettibili di portare al risultato che la decisione venga presa, non venga presa, oppure abbia questo o quel contenuto (v., in tal senso, sentenze del 9 febbraio 2017, M, C‑560/14, EU:C:2017:101, punti 3237, nonché del 26 luglio 2017, Sacko, C‑348/16, EU:C:2017:591, punto 35).

47

Poiché il precetto di cui sopra presuppone necessariamente che tale destinatario si veda offrire, eventualmente per il tramite di un consulente, una possibilità concreta di avere conoscenza degli elementi sui quali l’amministrazione intende fondare la propria decisione, il rispetto dei diritti della difesa ha come corollario il diritto di accesso a tutti gli elementi del fascicolo nel corso del procedimento amministrativo (v., in tal senso, sentenza del 16 ottobre 2019, Glencore Agriculture Hungary, C‑189/18, EU:C:2019:861, punti da 51 a 53 e la giurisprudenza ivi citata).

48

Per quanto riguarda, in secondo luogo, il procedimento giurisdizionale, il rispetto dei diritti della difesa, che si impone segnatamente nell’ambito dei procedimenti relativi ai ricorsi proposti in materia di protezione internazionale (v., in tal senso, sentenza del 26 luglio 2017, Sacko, C‑348/16, EU:C:2017:591, punto 32), implica che il ricorrente possa accedere non soltanto ai motivi della decisione adottata nei suoi confronti, ma anche a tutti gli elementi del fascicolo sui quali l’amministrazione si è fondata, al fine di poter effettivamente prendere posizione in merito a tali elementi (v., in tal senso, sentenze del 4 giugno 2013, ZZ, C‑300/11, EU:C:2013:363, punto 53, e del 13 settembre 2018, UBS Europe e a., C‑358/16, EU:C:2018:715, punto 61 nonché la giurisprudenza ivi citata).

49

Inoltre, il principio del contraddittorio, che fa parte dei diritti della difesa, contemplati dall’articolo 47 della Carta, implica che le parti di un processo devono avere il diritto di prendere conoscenza di tutti i documenti o le osservazioni presentati al giudice al fine di influire sulla sua decisione, nonché quello di discuterli (sentenza del 4 giugno 2013, ZZ, C‑300/11, EU:C:2013:363, punto 55 e la giurisprudenza ivi citata), il che presuppone che la persona interessata da una decisione relativa alla protezione internazionale deve poter prendere conoscenza degli elementi del suo fascicolo che sono messi a disposizione del giudice chiamato a statuire sul ricorso proposto contro tale decisione.

50

Ciò premesso, poiché l’obbligo enunciato all’articolo 23, paragrafo 1, secondo comma, lettera b), della direttiva 2013/32 è destinato ad applicarsi unicamente qualora il diritto di accesso al fascicolo della persona interessata sia stato limitato per uno dei motivi menzionati in tale disposizione, occorre ricordare che i diritti della difesa non costituiscono prerogative assolute e che il diritto di accesso al fascicolo che ne è il corollario può dunque essere limitato, sulla base di una ponderazione tra, da un lato, il diritto alla buona amministrazione nonché il diritto ad un ricorso effettivo della persona interessata e, dall’altro, gli interessi evocati per giustificare la mancata divulgazione di un elemento di fascicolo a tale persona, in particolare quando questi interessi siano correlati alla sicurezza nazionale (v., in tal senso, sentenza del 4 giugno 2013, ZZ, C‑300/11, EU:C:2013:363, punti 54, 5764 nonché la giurisprudenza ivi citata).

51

Tale ponderazione non può tuttavia portare, tenuto conto del necessario rispetto dell’articolo 47 della Carta, a privare di qualsiasi effettività i diritti della difesa della persona interessata e a svuotare del suo contenuto il diritto di ricorso previsto dall’articolo 45, paragrafo 3, della direttiva 2013/32, segnatamente non comunicando a detta persona, o eventualmente al suo consulente, almeno il contenuto essenziale della motivazione su cui si fonda la decisione presa nei suoi confronti (v., in tal senso, sentenza del 4 giugno 2013, ZZ, C‑300/11, EU:C:2013:363, punto 65).

52

La ponderazione suddetta può, invece, portare a far sì che alcuni elementi del fascicolo non vengano comunicati alla persona interessata, qualora la divulgazione di tali elementi sia suscettibile di compromettere in maniera diretta e particolare la sicurezza nazionale dello Stato membro di cui trattasi, in quanto essa possa segnatamente mettere in pericolo la vita, la salute o la libertà di persone o svelare i metodi di indagine specificamente utilizzati da organi incaricati di funzioni specializzate connesse alla sicurezza nazionale e in tal modo ostacolare seriamente, o addirittura impedire, il futuro espletamento dei compiti di tali organi (v., in tal senso, sentenza del 4 giugno 2013, ZZ, C‑300/11, EU:C:2013:363, punto 66).

53

Pertanto, sebbene l’articolo 23, paragrafo 1, secondo comma, della direttiva 2013/32 autorizzi gli Stati membri, segnatamente quando lo esiga la sicurezza nazionale, a non concedere alla persona interessata un accesso diretto alla totalità del suo fascicolo, tale disposizione non può – a pena di violare il principio di effettività, il diritto ad una buona amministrazione e il diritto ad un ricorso effettivo – essere interpretata nel senso che essa permetta alle autorità competenti di porre detta persona in una situazione nella quale né essa né il suo consulente siano in grado di prendere utilmente conoscenza, eventualmente nel quadro di uno specifico procedimento destinato a salvaguardare la sicurezza nazionale, del contenuto essenziale degli elementi determinanti inseriti in tale fascicolo.

54

In tale contesto, occorre constatare, da un lato, che, qualora la divulgazione di informazioni inserite nel fascicolo sia stata limitata per un motivo di sicurezza nazionale, il rispetto dei diritti della difesa della persona interessata non è garantito in maniera sufficiente dalla possibilità per tale persona di ottenere, a determinate condizioni, un’autorizzazione ad accedere a tali informazioni accompagnata da un divieto assoluto di utilizzare le informazioni così ottenute ai fini del procedimento amministrativo o dell’eventuale procedimento giurisdizionale.

55

Risulta, infatti, dai precetti scaturenti dal principio del rispetto dei diritti della difesa, ricordati ai punti da 45 a 49 della presente sentenza, che il diritto di accesso alle informazioni inserite nel fascicolo ha come scopo di permettere alla persona interessata, eventualmente tramite un consulente, di far valere, dinanzi alle autorità o ai giudici competenti, il proprio punto di vista in merito a tali informazioni e alla loro rilevanza per la decisione da adottare o adottata.

56

Pertanto, una procedura che offra alla persona interessata o al suo consulente una possibilità di accedere a dette informazioni, ma che al tempo stesso vieti loro di utilizzare tali informazioni ai fini del procedimento amministrativo o dell’eventuale procedimento giurisdizionale, non è sufficiente per salvaguardare i diritti della difesa di tale persona e non può dunque ritenersi atta a permettere ad uno Stato membro di conformarsi all’obbligo enunciato all’articolo 23, paragrafo 1, secondo comma, lettera b), della direttiva 2013/32.

57

Dall’altro lato, poiché dalla decisione di rinvio e dalle osservazioni del governo ungherese risulta che la normativa in questione nel procedimento principale è basata sulla considerazione secondo cui i diritti della difesa della persona interessata sono sufficientemente garantiti dalla facoltà del giudice competente di accedere al fascicolo, occorre sottolineare come tale facoltà non possa sostituirsi all’accesso alle informazioni contenute nel fascicolo da parte della persona interessata o del suo consulente.

58

Più in particolare, oltre al fatto che tale facoltà non è applicabile nel corso del procedimento amministrativo, il rispetto dei diritti della difesa implica non già che il giudice competente disponga di tutti gli elementi pertinenti per prendere la propria decisione, bensì che la persona interessata, eventualmente tramite un consulente, possa far valere i propri interessi esprimendo il proprio punto di vista su tali elementi.

59

Tale valutazione è d’altronde corroborata dal fatto che risulta dallo stesso tenore letterale dell’articolo 23, paragrafo 1, secondo comma, della direttiva 2013/32 che il legislatore dell’Unione ha considerato che l’accesso alle informazioni contenute nel fascicolo da parte dei giudici competenti e la creazione di procedure atte a garantire che i diritti della difesa della persona interessata siano rispettati costituiscono due esigenze distinte e cumulative.

60

Alla luce dell’insieme degli elementi di cui sopra, occorre rispondere alla prima e alla seconda questione dichiarando che l’articolo 23, paragrafo 1, della direttiva 2013/32, letto in combinato disposto con l’articolo 45, paragrafo 4, della medesima direttiva e alla luce del principio generale del diritto dell’Unione relativo al diritto alla buona amministrazione, nonché dell’articolo 47 della Carta, deve essere interpretato nel senso che esso osta ad una normativa nazionale, la quale preveda che, allorché una decisione di rigetto di una domanda di protezione internazionale o di revoca di tale protezione è fondata su informazioni la cui divulgazione comprometterebbe la sicurezza nazionale dello Stato membro di cui trattasi, la persona interessata o il suo consulente possano accedere a tali informazioni soltanto dopo aver ottenuto un’autorizzazione a tal fine, non ricevano in comunicazione neppure il contenuto essenziale della motivazione su cui sono fondate le decisioni suddette, e comunque non possano utilizzare, ai fini del procedimento amministrativo o di quello giurisdizionale, le informazioni alle quali abbiano potuto avere accesso.

Sulla terza e sulla quarta questione

61

Con le sue questioni terza e quarta, che occorre esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 14, paragrafo 4, lettera a), e l’articolo 17, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 2011/95, nonché l’articolo 4, l’articolo 10, paragrafo 2, e l’articolo 45, paragrafi 1, 3 e 4, della direttiva 2013/32 debbano essere interpretati nel senso che essi ostano ad una normativa nazionale in virtù della quale l’autorità accertante sia sistematicamente tenuta – qualora degli organi incaricati di funzioni specializzate connesse alla sicurezza nazionale abbiano constatato, mediante un parere non motivato, che una persona costituiva una minaccia per tale sicurezza nazionale – ad escludere il riconoscimento del beneficio della protezione sussidiaria a tale persona o a revocare una protezione internazionale precedentemente concessa a quest’ultima, fondandosi sul parere summenzionato.

62

Occorre, in primo luogo, rilevare che la direttiva 2013/32 prevede che gli Stati membri conferiscano un ruolo specifico all’«autorità accertante», espressione definita all’articolo 2, lettera f), di tale direttiva come comprendente qualsiasi organo quasi giurisdizionale o amministrativo di uno Stato membro che sia competente ad esaminare le domande di protezione internazionale e a prendere una decisione, in primo grado, al riguardo.

63

L’articolo 4, paragrafo 1, prima frase, della direttiva suddetta prevede dunque che gli Stati membri designino, per tutti i procedimenti, un’autorità accertante che sarà incaricata di procedere ad un esame adeguato delle domande conformemente alla direttiva stessa.

64

Inoltre, risulta dall’articolo 45 della direttiva 2013/32 che incombe all’autorità accertante decidere se occorra revocare la protezione internazionale.

65

Il considerando 16 di detta direttiva precisa, a questo proposito, che è indispensabile che le decisioni in merito a tutte le domande di protezione internazionale siano adottate sulla base dei fatti e, in primo grado, da autorità il cui personale dispone di conoscenze adeguate o ha ricevuto la formazione necessaria in materia di protezione internazionale.

66

A questo scopo, l’articolo 4, paragrafo 1, seconda frase, della direttiva suddetta esige che gli Stati membri provvedano affinché l’autorità accertante disponga di mezzi appropriati, in particolare di personale competente in numero sufficiente, per assolvere ai suoi compiti ai sensi della direttiva medesima. L’articolo 4, paragrafo 3, di quest’ultima concretizza tale obbligo enunciando degli obblighi più dettagliati per quanto riguarda la formazione e le conoscenze del personale suddetto.

67

Il legislatore dell’Unione ha così inteso garantire che l’esame della domanda di protezione internazionale da parte di un organo quasi giurisdizionale o amministrativo provvisto di mezzi specifici e di un personale specializzato in materia sia una fase essenziale delle procedure comuni applicate dagli Stati membri (v., in tal senso, sentenza del 16 luglio 2020, Addis, C‑517/17, EU:C:2020:579, punto 61), tenendo presente che tale organo è chiamato a decidere anche se occorra revocare la protezione internazionale.

68

Se l’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 2013/32 autorizza invero gli Stati membri a prevedere che un’autorità diversa dall’autorità accertante possa vedersi affidare alcune funzioni tassativamente elencate nel settore della protezione internazionale, è giocoforza constatare come tali funzioni non possano estendersi all’esame delle domande di protezione internazionale o alla revoca di tale protezione, i quali devono dunque necessariamente essere attribuiti all’autorità accertante.

69

Risulta d’altronde esplicitamente dall’articolo 10, paragrafi 2 e 3, della direttiva 2013/32 che la procedura di esame di una domanda di protezione internazionale deve essere condotta dall’autorità accertante e si conclude, al termine di un congruo esame, mediante una decisione emessa da tale autorità.

70

Per quanto riguarda, più specificamente, la presa in considerazione di un’eventuale minaccia per la sicurezza nazionale, occorre rilevare che l’articolo 14, paragrafo 4, lettera a), della direttiva 2011/95 autorizza gli Stati membri a revocare lo status concesso ad un rifugiato qualora vi siano fondati motivi per ritenere che la persona in questione costituisca un pericolo per la sicurezza dello Stato membro in cui si trova.

71

L’articolo 17, paragrafo 1, lettera d), di detta direttiva prevede poi che un cittadino di un paese terzo è escluso dalla qualifica di persona avente titolo a beneficiare della protezione sussidiaria ove sussistano fondati motivi per ritenere che esso rappresenti un pericolo per la società o la sicurezza dello Stato in cui si trova.

72

L’applicazione di ciascuna delle suddette disposizioni presuppone che l’autorità competente proceda, per ciascun caso individuale, a una valutazione degli specifici fatti di cui essa è a conoscenza, al fine di stabilire se vi siano fondati motivi di ritenere che la situazione dell’interessato, il quale soddisfa peraltro i criteri per ottenere o conservare la protezione internazionale, rientri in uno dei casi contemplati dalle disposizioni sopra citate (v., in tal senso, sentenze del 31 gennaio 2017, Lounani, C‑573/14, EU:C:2017:71, punto 72, e del 13 settembre 2018, Ahmed, C‑369/17, EU:C:2018:713, punto 55).

73

Tale valutazione costituisce una parte integrante del procedimento di protezione internazionale, da svolgersi in conformità delle direttive 2011/95 e 2013/32, la quale non può, contrariamente a quanto sostenuto dal governo ungherese, essere limitata unicamente alla valutazione delle esigenze di protezione internazionale della persona interessata.

74

Risulta infatti dalle definizioni dei termini «rifugiato» e «persona avente titolo a beneficiare della protezione sussidiaria» di cui all’articolo 2, lettera d) e f), della direttiva 2011/95 che questi contemplano una persona che non soltanto ha esigenze di protezione internazionale, ma che, inoltre, non rientra nell’ambito di applicazione delle clausole di esclusione enunciate da tale direttiva.

75

Pertanto, incombe unicamente all’autorità accertante procedere, sotto il controllo dei giudici, alla valutazione dell’insieme dei fatti e delle circostanze pertinenti, ivi compresi quelli che si correlano all’applicazione degli articoli 14 e 17 della direttiva 2011/95, valutazione all’esito della quale detta autorità emetterà la propria decisione (v., in tal senso, sentenza del 25 gennaio 2018, F, C‑473/16, EU:C:2018:36, punti 4041).

76

Occorre, in secondo luogo, sottolineare che, in applicazione dell’articolo 11, paragrafo 2, della direttiva 2013/32, qualora una domanda relativa allo status di rifugiato e/o allo status conferito dalla protezione sussidiaria venga respinta, la decisione dell’autorità accertante è motivata in fatto e in diritto.

77

Allo stesso modo, l’articolo 45, paragrafo 3, di detta direttiva prevede che la decisione dell’autorità competente intesa a revocare la protezione internazionale indica i motivi in fatto e in diritto sui quali tale decisione è fondata.

78

In questi casi, le ragioni che hanno indotto l’autorità competente ad adottare la propria decisione devono dunque essere indicate nella decisione stessa.

79

Risulta dalle considerazioni che precedono, relative sia al ruolo dell’autorità accertante sia all’obbligo di motivazione cui questa è tenuta, che tale autorità non può validamente limitarsi ad attuare una decisione adottata da un’altra autorità, la quale sia per essa vincolante in forza della normativa nazionale, e assumere, su questa sola base, la decisione di escludere il riconoscimento del beneficio della protezione sussidiaria o di revocare una protezione internazionale in precedenza accordata.

80

L’autorità accertante deve, al contrario, disporre di tutte le informazioni pertinenti e procedere, alla luce di tali informazioni, alla propria valutazione dei fatti e delle circostanze, al fine di determinare il senso della propria decisione, nonché di motivare quest’ultima in maniera completa.

81

Risulta d’altronde dai termini dell’articolo 14, paragrafo 4, lettera a), della direttiva 2011/95 che tale autorità deve disporre di un margine di discrezionalità per decidere se delle considerazioni attinenti alla sicurezza nazionale dello Stato membro di cui trattasi debbano o no dar luogo alla revoca dello status di rifugiato, ciò che esclude che la constatazione dell’esistenza di un pericolo per tale sicurezza nazionale implichi automaticamente tale revoca.

82

Invero, le constatazioni che precedono non escludono assolutamente che una parte delle informazioni utilizzate dall’autorità competente per svolgere la propria valutazione possa essere fornita da organi incaricati di funzioni specializzate connesse alla sicurezza nazionale, di propria iniziativa o su domanda dell’autorità accertante. Per giunta, alcune di queste informazioni possono, eventualmente, essere sottoposte ad un regime di riservatezza nell’ambito definito dall’articolo 23, paragrafo 1, della direttiva 2013/32.

83

Tuttavia, alla luce delle funzioni proprie dell’autorità accertante, la portata delle informazioni suddette e la loro pertinenza ai fini dell’emananda decisione devono essere valutate liberamente dall’autorità di cui sopra, la quale non può dunque essere obbligata a fondarsi su un parere non motivato emesso da organi incaricati di funzioni specializzate attinenti alla sicurezza nazionale, sulla base di una valutazione il cui fondamento di fatto non le sia stato comunicato.

84

Occorre poi, nella misura in cui il governo ungherese fa valere che il ruolo conferito a tali organi rientra esclusivamente nelle competenze degli Stati membri, in virtù degli articoli 72 e 73 TFUE, ricordare che tali disposizioni non possono essere interpretate nel senso che esse permettano a tali Stati di escludere l’applicazione di disposizioni del diritto dell’Unione invocando semplicemente le responsabilità che incombono loro per il mantenimento dell’ordine pubblico e per la salvaguardia della sicurezza interna (v., in tal senso, sentenza del 2 luglio 2020, Stadt Frankfurt am Main, C‑18/19, EU:C:2020:511, punto 29 e la giurisprudenza ivi citata).

85

Orbene, detto governo si è limitato, in proposito, a formulare delle osservazioni generiche, senza dimostrare che la situazione specifica dell’Ungheria giustificherebbe il fatto di restringere, in determinati casi, il ruolo conferito alle autorità accertanti.

86

Di conseguenza, occorre rispondere alla terza e alla quarta questione dichiarando che l’articolo 4, paragrafi 1 e 2, l’articolo 10, paragrafi 2 e 3, l’articolo 11, paragrafo 2, nonché l’articolo 45, paragrafo 3, della direttiva 2013/32, letti in combinato disposto con l’articolo 14, paragrafo 4, lettera a), e con l’articolo 17, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 2011/95, devono essere interpretati nel senso che essi ostano ad una normativa nazionale in virtù della quale l’autorità accertante sia sistematicamente tenuta – qualora degli organi incaricati di funzioni specializzate connesse alla sicurezza nazionale abbiano constatato, mediante un parere non motivato, che una persona costituiva una minaccia per tale sicurezza nazionale – ad escludere il riconoscimento del beneficio della protezione sussidiaria a tale persona o a revocare una protezione internazionale precedentemente concessa a quest’ultima, fondandosi sul parere summenzionato.

Sulla quinta questione

87

Con la sua quinta questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 17, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2011/95 debba essere interpretato nel senso che esso osta a che un richiedente sia escluso dal beneficio della protezione sussidiaria, in virtù di tale disposizione, sulla base di una condanna penale che era già nota alle autorità competenti, qualora queste ultime abbiano concesso a detto richiedente, all’esito di un precedente procedimento, uno status di rifugiato che gli è stato poi revocato.

88

L’articolo 17, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2011/95 stabilisce che un cittadino di un paese terzo è escluso dalla qualifica di persona avente titolo a beneficiare della protezione sussidiaria ove sussistano fondati motivi per ritenere che egli abbia commesso un reato grave.

89

Sebbene la causa di esclusione della protezione sussidiaria prevista da tale disposizione faccia dunque riferimento in modo generico ad un reato grave, essa non è limitata né geograficamente né temporalmente né sotto il profilo della natura dei reati in questione [sentenze del 13 settembre 2018, Ahmed, C‑369/17, EU:C:2018:713, punto 47, e del 2 aprile 2020, Commissione/Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca (Meccanismo temporaneo di ricollocazione di richiedenti protezione internazionale), C‑715/17, C‑718/17 e C‑719/17, EU:C:2020:257, punto 155].

90

Pertanto, l’articolo 17, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2011/95 non prevede in alcun modo che il reato grave da esso contemplato debba essere stato commesso in un periodo recente, oppure che, nel caso in cui il richiedente abbia successivamente instaurato più procedimenti di protezione internazionale, un reato grave che non sia stato considerato idoneo a giustificare l’applicazione di una clausola di esclusione in occasione di un primo procedimento non possa più essere preso in considerazione in seguito. Al contrario, l’uso, in tale disposizione, dell’espressione «è escluso» implica che l’autorità accertante non dispone di un margine di discrezionalità una volta che essa abbia constatato che la persona interessata ha commesso un reato grave.

91

Non risulta neppure da altre disposizioni delle direttive 2011/95 o 2013/32 che l’autorità accertante sia vincolata per il futuro, dopo la revoca dello status di rifugiato, da valutazioni che siano state effettuate in merito all’applicazione di una clausola di esclusione in occasione del procedimento che ha portato alla concessione di tale status.

92

Ciò premesso, l’autorità competente dello Stato membro di cui trattasi può invocare la causa di esclusione di cui all’articolo 17, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2011/95, riguardante la commissione, da parte del richiedente la protezione internazionale, di un reato grave, solo dopo aver effettuato, per ciascun caso individuale, una valutazione degli specifici fatti di cui essa ha conoscenza, al fine di stabilire se vi siano fondati motivi per ritenere che la situazione dell’interessato, il quale per il resto soddisfa i criteri per ottenere lo status richiesto, rientri nella suddetta causa di esclusione, tenendo presente che la valutazione della gravità dell’infrazione in parola esige un esame completo di tutte le circostanze proprie del caso individuale di cui trattasi [sentenza del 2 aprile 2020, Commissione/Polonia, Ungheria e Repubblica ceca (Meccanismo temporaneo di ricollocazione di richiedenti protezione internazionale), C‑715/17, C‑718/17 e C‑719/17, EU:C:2020:257, punto 154].

93

Pertanto, occorre rispondere alla quinta questione dichiarando che l’articolo 17, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2011/95 deve essere interpretato nel senso che esso non osta a che un richiedente sia escluso dal beneficio della protezione sussidiaria, in virtù di tale disposizione, sulla base di una condanna penale che era già nota alle autorità competenti, qualora queste ultime abbiano concesso a tale richiedente, all’esito di un precedente procedimento, uno status di rifugiato che gli è stato poi revocato.

Sulle spese

94

Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

 

Per questi motivi, la Corte (Prima Sezione) dichiara:

 

1)

L’articolo 23, paragrafo 1, della direttiva 2013/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale, letto in combinato disposto con l’articolo 45, paragrafo 4, della medesima direttiva e alla luce del principio generale del diritto dell’Unione relativo al diritto alla buona amministrazione, nonché dell’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea,

deve essere interpretato nel senso che:

esso osta ad una normativa nazionale, la quale preveda che, allorché una decisione di rigetto di una domanda di protezione internazionale o di revoca di tale protezione è fondata su informazioni la cui divulgazione comprometterebbe la sicurezza nazionale dello Stato membro di cui trattasi, la persona interessata o il suo consulente possano accedere a tali informazioni soltanto dopo aver ottenuto un’autorizzazione a tal fine, non ricevano in comunicazione neppure il contenuto essenziale della motivazione su cui sono fondate le decisioni suddette, e comunque non possano utilizzare, ai fini del procedimento amministrativo o di quello giurisdizionale, le informazioni alle quali abbiano potuto avere accesso.

 

2)

L’articolo 4, paragrafi 1 e 2, l’articolo 10, paragrafi 2 e 3, l’articolo 11, paragrafo 2, nonché l’articolo 45, paragrafo 3, della direttiva 2013/32, letti in combinato disposto con l’articolo 14, paragrafo 4, lettera a), e con l’articolo 17, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 2011/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta,

devono essere interpretati nel senso che:

essi ostano ad una normativa nazionale in virtù della quale l’autorità accertante sia sistematicamente tenuta – qualora degli organi incaricati di funzioni specializzate connesse alla sicurezza nazionale abbiano constatato, mediante un parere non motivato, che una persona costituiva una minaccia per tale sicurezza nazionale – ad escludere il riconoscimento del beneficio della protezione sussidiaria a tale persona o a revocare una protezione internazionale precedentemente concessa a quest’ultima, fondandosi sul parere summenzionato.

 

3)

L’articolo 17, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2011/95

deve essere interpretato nel senso che:

esso non osta a che un richiedente sia escluso dal beneficio della protezione sussidiaria, in virtù di tale disposizione, sulla base di una condanna penale che era già nota alle autorità competenti, qualora queste ultime abbiano concesso a tale richiedente, all’esito di un precedente procedimento, uno status di rifugiato che gli è stato poi revocato.

 

Firme


( *1 ) Lingua processuale: l’ungherese.