7.4.2021   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 118/1


COMUNICAZIONE DELLA COMMISSIONE

Linee guida per un’interpretazione comune del termine «danno ambientale» di cui all’articolo 2 della direttiva 2004/35/CE del Parlamento europeo e del Consiglio sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale

(2021/C 118/01)

Indice

1.

Introduzione 1

2.

Contesto giuridico e contesto normativo più ampio 2

3.

«Danno» 9

4.

Approfondimento del concetto di «danno ambientale» 10

5.

«Danno alle specie e agli habitat naturali protetti» 17

6.

«Danno alle acque» 26

7.

«Danno al terreno» 43

8.

Conclusioni 48
ALLEGATO 49
Decisioni della Corte citate 49

1.   INTRODUZIONE

1.

La direttiva 2004/35/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 aprile 2004, sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale (1) («la direttiva Responsabilità ambientale» o la «direttiva») mira a istituire un quadro per la responsabilità ambientale, basato sul principio «chi inquina paga», per la prevenzione e la riparazione del danno ambientale (2). Una modifica adottata nel 2019 (3) prevede che la Commissione europea elabori linee guida che forniscono un’interpretazione comune del termine «danno ambientale», come definito all’articolo 2 della direttiva (4). La presente comunicazione definisce le linee guida.

2.

Il termine «danno ambientale» è fondamentale nell’impianto della direttiva, ed è utilizzato per definirne lo scopo generale (5). Quando un danno ambientale si verifica o minaccia di verificarsi, per gli operatori scatta l’obbligo di adottare misure di prevenzione o riparazione, così come scattano obblighi connessi per le autorità competenti (6), ferma restando la facoltà per altre persone di richiedere l’adozione di interventi (7). In caso di danno transfrontaliero, che interessa più di uno Stato membro, scatta il dovere di cooperazione fra Stati membri (8). Inoltre il termine reca conseguenze per gli operatori finanziari che forniscono garanzie finanziarie per coprire le responsabilità ai sensi della direttiva (9). Il termine ricopre quindi un ruolo potenzialmente cruciale nella protezione dell’ambiente, poiché contribuisce a determinare se i danni ambientali siano prevenuti e riparati o meno.

3.

Le presenti linee guida per un’interpretazione comune del danno ambientale rispondono a un’esigenza individuata in una valutazione della direttiva effettuata dalla Commissione nel 2016 («la valutazione») (10). Dalla valutazione è risultato che l’attuazione della direttiva era ostacolata da una considerevole mancanza di uniformità nell’applicazione di alcuni concetti fondamentali, in particolare legati alla nozione di danno ambientale (11). La Commissione ha pertanto incaricato un contraente di elaborare, insieme al gruppo di esperti governativi sulla direttiva Responsabilità ambientale e i servizi della Commissione pertinenti, un documento di interpretazione comune basato su ricerche e consultazioni (12). Sebbene questi lavori preparatori non siano sfociati né in un documento della Commissione, né in un documento concordato con gli Stati membri, sono serviti per la redazione delle presenti linee guida.

4.

In tale contesto le linee guida prendono in considerazione tutti gli aspetti della definizione di «danno ambientale». Il termine ha molteplici accezioni: racchiude o fa riferimento a molti altri termini e concetti, che sono stati presi in considerazione nelle linee guida, poiché sono necessari all’interpretazione del termine. Per quanto riguarda la struttura, le linee guida delineano innanzitutto il contesto giuridico e il contesto normativo più ampio nel quale si applica la definizione. Analizzano in seguito la definizione di «danno» e la formulazione completa della definizione «danno ambientale», per poi esaminare nel dettaglio le tre categorie distinte di danno ambientale ricomprese nella definizione, vale a dire «danno alle specie e agli habitat naturali protetti», «danno alle acque» e «danno al terreno». Alla fine del documento sono presentate le conclusioni generali.

5.

Dato che l’obiettivo delle linee guida è fornire un’interpretazione comune della definizione, il loro contenuto è analitico e dettagliato. Sebbene non siano concepite a uso esclusivo di destinatari specifici, saranno utili in particolare ai seguenti soggetti, che ricoprono tutti un ruolo nel quadro della direttiva: Stati membri, autorità competenti, operatori, persone fisiche e giuridiche e fornitori di garanzie finanziarie. Le linee guida mirano ad affrontare nel modo più esaustivo possibile le difficoltà di interpretazione che si sono già presentate o che potrebbero ragionevolmente sorgere in futuro. A tal fine analizzano a fondo la definizione di «danno ambientale», in tutte le sue parti, soffermandosi soprattutto sulle considerazioni dettagliate che è possibile dedurre dalla formulazione e dal contesto giuridico e normativo, e facendo riferimento alla giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea («la CGUE» o «la Corte»), che può contribuire a chiarire vari aspetti della definizione, direttamente o per analogia.

6.

Le linee guida sono state elaborate sotto la responsabilità esclusiva della Commissione. Tuttavia solo la Corte è competente a interpretare autorevolmente il diritto dell’Unione.

2.   CONTESTO GIURIDICO E CONTESTO NORMATIVO PIÙ AMPIO

7.

La direttiva Responsabilità ambientale è uno strumento generale e trasversale del diritto dell’ambiente, che non si applica a un solo settore ambientale, ma a diversi. In quanto tale completa gli altri strumenti dell’Unione volti a proteggere l’ambiente. La definizione di «danno ambientale» fa esplicito riferimento a quattro di essi: la direttiva 79/409/CEE del Consiglio, del 2 aprile 1979, concernente la conservazione degli uccelli selvatici (13) [ora direttiva 2009/147/CE concernente la conservazione degli uccelli selvatici (14)] («la direttiva Uccelli»), la direttiva 92/43/CEE del Consiglio, del 21 maggio 1992, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche (15) («la direttiva Habitat»), la direttiva 2000/60/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 ottobre 2000, che istituisce un quadro per l’azione comunitaria in materia di acque (16) («la direttiva quadro Acque») e la direttiva 2008/56/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 giugno 2008, che istituisce un quadro per l’azione comunitaria nel campo della politica per l’ambiente marino (17) («la direttiva quadro Strategia per l’ambiente marino»). Per poter interpretare il concetto di «danno ambientale» è necessario rifarsi a questi altri strumenti giuridici e interpretarne le disposizioni.

8.

La direttiva Responsabilità ambientale si basa sul principio «chi inquina paga» e ne è espressione (18). Inoltre un’interpretazione comune di «danno ambientale» deve basarsi, se del caso, sugli altri principi su cui si fonda la politica ambientale dell’Unione, vale a dire i principi della precauzione (19), dell’azione preventiva e della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all’ambiente (20): tutti e tre sono utili per la sua interpretazione. Alla direttiva si applicano anche i principi generali del diritto dell’Unione, come il principio di proporzionalità.

9.

La direttiva Responsabilità ambientale affronta gli effetti negativi sull’ambiente causati dalle attività professionali. Tali attività sono subordinate ai requisiti giuridici di altre normative dell’Unione in materia ambientale (21), che creano un contesto normativo più ampio in cui s’inquadra l’applicazione degli obblighi della direttiva in materia di danno ambientale: anche le disposizioni in esse contenute mirano infatti a prevenire o limitare molti degli effetti negativi sulla natura, sulle acque e sul terreno che rientrano nell’ambito di applicazione del termine «danno ambientale».

Responsabilità del danno ambientale

10.

Il «danno ambientale» deve essere interpretato in relazione a coloro che possono esserne legalmente responsabili ai sensi della direttiva, alle circostanze e alle condizioni in cui potrebbe emergere la responsabilità e il tipo di azioni che la responsabilità li obbligherà ad adottare.

11.

I potenziali responsabili ai sensi di legge sono denominati «operatori» (22). Essi sono responsabili solamente nel quadro delle «attività professionali» che rientrano nell’ambito di applicazione della direttiva (23). Nella causa C-297/19, Naturschutzbund Deutschland — Landesverband Schleswig-Holstein eV, la Corte ha affermato che il concetto di «attività professionale» non è circoscritta alle sole attività connesse al mercato o che hanno natura concorrenziale, bensì comprende tutte le attività svolte in un contesto professionale, in contrapposizione a quelle puramente personali o domestiche e, pertanto, comprende anche attività svolte nell’interesse pubblico in forza di una delega ex lege (24). Nello specifico, ha confermato che la direttiva si applicava a un ente pubblico responsabile del drenaggio di zone umide per finalità legate all’agricoltura.

12.

Le principali attività professionali interessate (25) sono descritte all’allegato III della direttiva. I relativi operatori possono essere responsabili di tutt’e tre le categorie di danno ambientale ai sensi della direttiva, e la loro responsabilità è oggettiva, ossia non dipende da loro azioni od omissioni per colpa (dolo o negligenza). Per far valere la responsabilità oggettiva è sufficiente che sia stabilito un nesso di causalità fra il danno ambientale e l’attività professionale. Il considerando 8 della direttiva spiega la ragione per cui le attività professionali enumerate all’allegato III rientrano nell’ambito di applicazione della direttiva. Precisa che la direttiva dovrebbe essere applicata alle attività professionali che presentano un rischio per la salute umana o l’ambiente, e aggiunge che: «In linea di principio, tali attività dovrebbero essere individuate con riferimento alla normativa [dell’Unione] pertinente che prevede requisiti normativi in relazione a certe attività o pratiche che si considera presentino un rischio potenziale o reale per la salute umana o l’ambiente».

13.

Le attività professionali di cui all’allegato III sono definite in base ad altri testi della legislazione ambientale dell’Unione; sebbene molti di essi siano stati codificati, modificati o sostituiti in seguito all’adozione della direttiva, le attività professionali continuano a rientrare nell’ambito di applicazione della direttiva. Il documento di interpretazione comune ha fornito informazioni sull’evoluzione della legislazione in questione (26). Le attività professionali di cui all’allegato III comprendono, fra l’altro, l’esercizio di molte attività industriali, anche degli stabilimenti industriali più grandi o con maggiori rischi come gli stabilimenti chimici; le operazioni di gestione dei rifiuti; lo scarico di taluni inquinanti nelle acque; l’estrazione e l’arginazione delle acque; la fabbricazione, l’uso, lo stoccaggio, il trattamento, l’interramento, il rilascio nell’ambiente e il trasporto sul sito di talune sostanze, preparati e prodotti, nonché il trasporto di sostanze o merci pericolose per strada, ferrovia, navigazione interna, mare o aria.

14.

Per una categoria di «danno ambientale», ossia il danno alle specie e agli habitat naturali protetti, gli operatori di attività professionali diverse da quelle elencate all’allegato III possono anche essere considerati responsabili in caso di comportamento colposo o negligente (27).

15.

Ai sensi di altri testi normativi in materia ambientale dell’Unione applicabili, gli operatori devono spesso essere muniti di autorizzazione e rispettarne le condizioni; o possono essere tenuti a svolgere l’attività in conformità di requisiti generali vincolanti. Non è tuttavia possibile escludere che alcuni operatori svolgano le attività professionali senza l’autorizzazione necessaria o senza rispettare tutte le norme applicabili. Questo può essere il caso, ad esempio, delle persone che svolgono operazioni di gestione illegale dei rifiuti. La condotta illegale non comporta l’esclusione di questi operatori dall’ambito di applicazione della direttiva; se così fosse, si contravverrebbe al principio «chi inquina paga»: la direttiva è espressione di tale principio e deve essere interpretata alla luce dello stesso (28). A sostegno dell’inclusione degli operatori illegali nell’ambito di applicazione interviene anche la causa C-494/01, Commissione/Irlanda, in cui la Corte rileva che l’inadempimento degli obblighi di ispezione legati agli obblighi di autorizzazione può sussistere nel caso delle operazioni di gestione dei rifiuti effettuate senza autorizzazione (29). Per analogia, si può affermare che gli obblighi di responsabilità ai sensi della direttiva si applicano similmente alle attività professionali svolte nell’inadempimento degli obblighi di autorizzazione o di altri obblighi normativi.

16.

Nella causa C-378/08, Raffinerie Mediterranee (ERG I) SpA e altri, e nella causa C-534/13, Fipa Group e altri, la Corte ha stabilito che il meccanismo di responsabilità ambientale previsto dalla direttiva impone l’esistenza di un nesso di causalità fra l’attività di uno o più operatori identificabili e il danno ambientale o la minaccia imminente di tale danno (30). Per quanto riguarda il nesso di causalità, la Corte ha stabilito che, qualora la legislazione di uno Stato membro lo preveda, è sufficiente presumere l’esistenza del nesso sulla base di indizi plausibili (31).

17.

La direttiva non definisce quali eventi diano luogo a un nesso di causalità fra l’attività professionale e il danno ambientale o la sua minaccia imminente. Nel testo della direttiva sono presenti numerosi riferimenti a «un’emissione, un evento o un incidente» (32). Tuttavia, fatta eccezione per l’«emissione» (33), tali termini non sono definiti e, come dimostrano la causa C-529/15, Folk (34) , e la causa C-297/19, Naturschutzbund Deutschland — Landesverband Schleswig-Holstein eV, la direttiva contempla le conseguenze del normale esercizio di un’attività professionale di cui all’allegato III. Nella causa C-529/15 il normale funzionamento riguardava una centrale idroelettrica, mentre nella causa C-297/19 si riferiva alla manutenzione dei sistemi di drenaggio di una zona umida. È dunque opportuno non presumere che la responsabilità emerga solamente in relazione a incidenti o inconvenienti isolati; può anche emergere in relazione al normale funzionamento ed essere collegata ai tipi di circostanze descritte nei paragrafi 18 e 19 seguenti. A scopo di semplificazione, le presenti linee guida faranno riferimento ai vari eventi possibili definendoli «eventi dannosi».

18.

Anche la natura dei fattori che causano effetti negativi, che possono essere definiti «fattori di danno» (35), può variare (36): può essere cumulativa, e riguardare ad esempio il deposito di rifiuti sul terreno, l’uso di materiali inerti per riempire una zona umida o la contaminazione dell’ambiente ricettore da parte di inquinanti; può essere sottrattiva o estrattiva se concerne, ad esempio, l’impedenza del corso di un fiume (37) o la rimozione di alberi o minerali; oppure può essere puramente distruttiva, come nel caso della distruzione delle caratteristiche di un territorio o l’uccisione di esemplari di una specie protetta.

19.

La manifestazione degli effetti negativi può verificarsi in modo improvviso e accidentale, come nel caso di un’esplosione in uno stabilimento chimico che causa un incendio, la distruzione di edifici e l’inquinamento del terreno e delle acque dovuto al rilascio di sostanze tossiche o antincendio nell’acqua; oppure può essere immediata, come quando si verifica la perdita di un habitat boschivo protetto a causa di un disboscamento rapido; infine può essere graduale, come nel caso di una perdita da una tubazione rotta che comporta un danno cumulativo nell’ambiente ricettore, che è rilevato soltanto a distanza di tempo. È altresì possibile che gli effetti negativi derivanti dallo stesso evento dannoso possano manifestarsi in entrambi i modi, ad esempio quando il rilascio improvviso e accidentale di una grande quantità di sostanze tossiche in un fiume comporta l’immediata uccisione dei pesci prima di causare un deterioramento più lento e graduale delle strutture di un habitat acquatico protetto o dell’habitat di una specie protetta.

20.

Analogamente, la scoperta sia degli eventi dannosi che degli effetti negativi che ne derivano può verificarsi in momenti diversi. Se l’evento dannoso è un incidente rilevante sarà immediatamente noto, ma un incidente che rimane celato può non essere scoperto per qualche tempo (ad esempio, la rottura di un serbatoio sotterraneo contenente sostanze pericolose) (38).

21.

La direttiva prevede tre categorie principali di obblighi per gli operatori:

quando un danno ambientale non si è ancora verificato, ma esiste una minaccia imminente che si verifichi, gli operatori devono adottare, senza indugio (39), le misure di prevenzione necessarie (40);

quando un danno ambientale si è verificato, gli operatori devono adottare «tutte le iniziative praticabili per controllare, circoscrivere, eliminare o gestire in altro modo, con effetto immediato, gli inquinanti in questione e/o qualsiasi altro fattore di danno, allo scopo di limitare o prevenire ulteriori danni ambientali e effetti nocivi per la salute umana o ulteriori deterioramenti ai servizi» (41). A scopo di semplificazione, le presenti linee guida si riferiscono a tali azioni con l’espressione «gestione immediata dei fattori di danno»;

quando un danno ambientale si è verificato, gli operatori devono adottare misure di riparazione (42). Essi devono individuare le misure di riparazione adeguate in conformità dell’allegato II della direttiva e presentarle per approvazione all’autorità competente (43).

22.

Le espressioni «senza indugio» e «con effetto immediato» indicano che per gli obblighi delle prime due categorie il tempo è un elemento critico. Ciò incide sull’interpretazione comune del termine «danno ambientale». Il dovere degli operatori di adottare misure di prevenzione e di gestire immediatamente i fattori di danno secondo il disposto della direttiva coesiste con obblighi analoghi sanciti dalla legislazione ambientale dell’Unione, ad esempio dalla direttiva 2010/75/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 novembre 2010, relativa alle emissioni industriali (prevenzione e riduzione integrate dell’inquinamento) (44) («la direttiva Emissioni industriali»).

23.

Gli operatori devono adempiere anche taluni obblighi accessori. Per esempio, quando si è verificato un danno ambientale, devono comunicare «senza indugio all’autorità competente tutti gli aspetti pertinenti della situazione» (45) e possono essere tenuti a fornire informazioni supplementari (46). Essi possono essere tenuti ad adempiere obblighi analoghi di informazione in caso di minaccia imminente di danno ambientale (47), nonché dover condurre la propria valutazione dei danni ambientali e fornire tutte le informazioni e i dati necessari all’autorità competente (48). Al di là della direttiva Responsabilità ambientale, gli operatori possono essere tenuti a fornire informazioni pertinenti alle autorità nel quadro della legislazione ambientale dell’Unione, ad esempio della direttiva Emissioni industriali (49) o della direttiva 2012/18/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 luglio 2012, sul controllo del pericolo di incidenti rilevanti connessi con sostanze pericolose, recante modifica e successiva abrogazione della direttiva 96/82/CE del Consiglio («la direttiva Seveso») (50).

24.

La direttiva Responsabilità ambientale contiene disposizioni relative alla sua applicabilità temporale, stabilendone l’applicazione al periodo di trenta anni a decorrere dal 30 aprile 2007 (51). È evidente che l’ambito di applicazione temporale delle specifiche parti introdotte dalle modifiche è diverso (ad esempio, per il danno alle acque marine, la direttiva è applicabile a partire dal 19 luglio 2015) (52). È importante rilevare che le attività professionali soggette ad autorizzazioni precedenti al 30 aprile 2007 sono contemplate ai fini della responsabilità se e nella misura in cui l’attività dannosa prosegue dopo il 30 aprile 2007. Nella causa C-529/15, Folk, la Corte ha decretato che la direttiva si applica «ratione temporis ai danni ambientali prodottisi successivamente al 30 aprile 2007, ma provocati dalla gestione di un impianto autorizzato conformemente alla normativa sulle acque e messo in funzione anteriormente a tale data» (53).

25.

La direttiva contiene anche disposizioni sulle eccezioni, stabilendo limiti alla sua applicazione in riferimento a determinate cause di danno ambientale (54). Prevede inoltre vari motivi cui un operatore può appellarsi onde evitare di farsi carico dei costi delle misure di prevenzione e di riparazione (55). Concede altresì agli Stati membri la facoltà di decidere di esonerare un operatore dal pagamento del costo delle misure di riparazione se questi dimostra che non gli è attribuibile un comportamento doloso o colposo e che adempieva tutte le condizioni di un’autorizzazione (56) oppure che agiva secondo lo stato delle conoscenze scientifiche e tecniche (57). Vi sono tuttavia limiti a questi ultimi casi, come chiarito dalla Corte nella sentenza della causa C-529/15. Folk (58) per quanto riguarda l’articolo 8, paragrafo 4, lettera a), della direttiva.

26.

La direttiva consente agli Stati membri di mantenere o adottare disposizioni più severe in relazione al danno ambientale (59), conformemente all’articolo 193 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE). Tuttavia il diritto di prescrivere disposizioni più severe non autorizza a prescrivere disposizioni diverse che non soddisfano i requisiti della direttiva, né ad accantonare la responsabilità degli operatori per il «danno ambientale» ai sensi della direttiva. Come minimo i requisiti della direttiva devono essere soddisfatti integralmente.

Ruolo delle autorità competenti e ruolo più ampio degli Stati membri

27.

Se l’operatore è responsabile del danno ambientale, le autorità competenti (60) hanno dei doveri correlati. L’interpretazione comune del termine «danno ambientale» richiede pertanto alcuni cenni sul loro ruolo.

28.

Le autorità competenti devono individuare l’operatore che ha causato il danno ambientale o la minaccia imminente di danno (61): devono pertanto essere consapevoli dell’esistenza o della minaccia di danno ambientale, altrimenti il dovere di individuare l’operatore responsabile è privo di senso.

29.

Le autorità competenti devono inoltre valutare l’entità del danno ambientale (62). Ancora una volta, il dovere di valutare l’entità ha senso solamente se le autorità sono consapevoli dell’esistenza o della minaccia di danno.

30.

Le autorità competenti devono determinare le misure di riparazione che l’operatore deve attuare ai sensi dell’allegato II della direttiva (63) sulla base delle misure potenziali di riparazione individuate dall’operatore e in collaborazione con esso, se del caso. Nella causa C-379/08, Raffinerie Mediterranee (ERG) SpA e altri, la Corte ha ribadito in quale misura le autorità competenti possono modificare le misure di riparazione, sottolineando altresì la necessità di concedere all’operatore la facoltà di essere ascoltato (64).

31.

Il dovere di individuare l’operatore responsabile, di valutare l’entità del danno ambientale e di determinare le misure di riparazione esige che le autorità competenti detengano informazioni utili e le colleghino all’evento dannoso, all’attività professionale, al danno ambientale e al nesso di causalità fra di essi, nonché all’operatore che svolge l’attività. I seguenti paragrafi da 32 a 37 descrivono vari tipi e fonti potenziali di informazioni. Si fa tuttavia presente che le informazioni complete possono non essere facilmente disponibili e che le autorità competenti possono essere tenute ad agire rapidamente. In tali circostanze il principio di precauzione giustificherà un intervento delle autorità competenti sulla base della ragionevole certezza che il danno ambientale è avvenuto o sarà imminente.

32.

Come rilevato nel paragrafo 23, gli operatori hanno il dovere, ai sensi della direttiva, di comunicare alle autorità competenti gli eventi dannosi e i danni ambientali a essi correlati. Come altresì rilevato, gli operatori possono avere obblighi distinti di fornire informazioni sugli eventi dannosi alle autorità competenti ai sensi di altra legislazione ambientale dell’Unione. Non è possibile escludere tuttavia che alcuni operatori non adempiano a tale obbligo di informazione. È improbabile o poco probabile che siano comunicati, ad esempio, gli eventi dannosi e i danni ambientali causati da attività clandestine illegali, da atti od omissioni illegali o per negligenza nell’ambito delle attività autorizzate.

33.

Il considerando 15 della direttiva indica che le autorità pubbliche dovrebbero assicurare la corretta attuazione ed esecuzione della disciplina prevista direttiva, e quest’ultima contiene disposizioni secondo cui le autorità competenti possono chiedere all’operatore di fornire maggiori informazioni e un maggiore impegno (65). Ciononostante è importante che le autorità competenti possano attingere a fonti di informazioni diverse da quelle fornite dall’operatore ai sensi della direttiva.

34.

Una potenziale fonte di informazioni sugli eventi dannosi e sui danni ambientali consiste nella richiesta di azione formulata da persone fisiche o giuridiche che hanno il diritto di presentare tali richieste (66). Le richieste di azione devono essere corredate «di tutti i dati e le informazioni pertinenti a sostegno delle osservazioni presentate in relazione al danno ambientale in questione» (67).

35.

Un’altra possibile fonte di informazioni è costituita dall’esito della sorveglianza dell’applicazione di altra legislazione ambientale dell’Unione: a titolo di esempio, le ispezioni ordinarie degli impianti industriali ai sensi della direttiva Emissioni industriali (68). Sebbene, ai fini della responsabilità, non tutti gli eventi dannosi coincidano con le violazioni della normativa commesse da un operatore, le violazioni aumentano la probabilità del verificarsi di eventi dannosi: di fatto i requisiti normativi servono a ridurre i rischi potenziali o effettivi per la salute umana e l’ambiente legati alle attività professionali interessate, pertanto il loro rispetto dovrebbe ridurre, nella pratica, la probabilità che si verifichino eventi dannosi, così come la loro inosservanza, compresa la flagrante violazione, aumenta la probabilità che si verifichino eventi dannosi. A condizione che vi siano validi sistemi di condivisione delle informazioni, il controllo della conformità ai requisiti normativi dovrebbe pertanto aiutare le autorità competenti ai sensi della direttiva a riconoscere il danno ambientale o la minaccia imminente di danno, a individuare l’operatore responsabile e a definire l’evento dannoso. Può inoltre aiutare le autorità competenti a valutare il danno ambientale fornendo, ad esempio, informazioni sulla natura delle emissioni inquinanti.

36.

Come sarà chiarito nelle successive sezioni delle presenti linee guida, la valutazione dell’entità del danno ambientale necessita in genere di informazioni sullo stato dell’ambiente ricettore. Alcune informazioni sullo stato dell’ambiente saranno direttamente collegate all’evento dannoso (per esempio, rilevazioni della mortalità ittica in un fiume contaminato di recente da un’emissione inquinante). Altre informazioni utili sullo stato dell’ambiente consisteranno però di rilevazioni e informazioni raccolte per altre finalità, ad esempio per determinare lo stato di conservazione generale di una specie protetta o le condizioni di un’area naturale protetta, come un sito Natura 2000. Molte informazioni sullo stato dell’ambiente deriveranno dal monitoraggio condotto dalle amministrazioni nazionali. Particolarmente utili saranno le informazioni raccolte e confrontate nel quadro delle quattro direttive citate nel paragrafo 7. Queste informazioni possono essere integrate da altre di riconosciuto valore scientifico: ad esempio, un’organizzazione non governativa (ONG) del settore ambientale può fornire informazioni dettagliate attraverso la scienza partecipata (69).

37.

Strettamente correlate, per la loro potenziale importanza, alle informazioni sullo stato dell’ambiente sono le informazioni scientifiche e tecniche sull’oggetto del danno ambientale (ad esempio, le conoscenze scientifiche sul ciclo di vita di una specie protetta o sui rischi per la salute umana dovuti all’esposizione a taluni agenti contaminanti).

38.

Come precedentemente rilevato, il verificarsi di un danno ambientale o la sua minaccia imminente coincide spesso, anche se non sempre, con la violazione di altre norme ambientali dell’Unione. Tali violazioni possono esigere o giustificare un’azione distinta da parte delle autorità di uno Stato membro, al fine di garantire il conseguimento degli obiettivi previsti da altre normative dell’Unione (ad esempio, la protezione delle aree naturali ai sensi della direttiva Uccelli e della direttiva Habitat) e di applicare sanzioni che siano effettive, proporzionate e dissuasive. Pertanto le stesse circostanze fattuali possono determinare sia una responsabilità ambientale che l’imposizione di sanzioni, e nella pratica la valutazione del danno ambientale ai sensi della direttiva può avere luogo parallelamente alla valutazione delle violazioni per altri motivi. Ad esempio, tra le condotte che gli Stati membri sono tenuti a perseguire ai sensi della direttiva 2008/99/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 novembre 2008, sulla tutela penale dell’ambiente (70) vi sono alcune (non tutte) che potrebbero dar luogo alla responsabilità ambientale (71). In tale contesto, al fine di valutare l’entità del danno ambientale, le autorità competenti possono ritrovarsi a ricorrere alle stesse fonti di informazione delle autorità responsabili per le sanzioni. Occorre sottolineare tuttavia che l’applicazione degli obblighi in materia di responsabilità ai sensi della direttiva è distinta dall’applicazione delle sanzioni. A tale proposito, il fatto che le autorità possano intervenire per imporre sanzioni amministrative o penali non rappresenta una ragione che le autorità competenti possono addurre per esimersi dal dovere di assicurare che il danno ambientale sia valutato e prevenuto, che i fattori di danno siano immediatamente gestiti o che il danno sia riparato ai sensi della direttiva (è vero anche il contrario: la ricerca della responsabilità ambientale non è una ragione per ignorare il ruolo delle sanzioni) (72).

39.

Vari altri elementi emergono per quanto riguarda le situazioni in cui la responsabilità ai sensi della direttiva coincide con violazioni di altre normative ambientali dell’Unione, in particolare di quelle cui fa riferimento la direttiva stessa. In primo luogo, se i fattori di danno non sono controllati in conformità della direttiva o di altra legislazione, secondo il principio dell’efficacia gli Stati membri e le rispettive autorità dovranno agire al fine di garantire il rispetto delle disposizioni pertinenti della direttiva e di altre normative che sono infrante. In secondo luogo, la direttiva non prevede esplicitamente una responsabilità secondaria delle autorità pubbliche per l’adozione di misure di prevenzione, misure di gestione immediata dei fattori di danno e misure di riparazione, ma non prevede neppure esplicitamente che sia possibile fare a meno di tali misure qualora l’operatore non le adotti o qualora possa giustificare di non doverne sostenere il costo (73). La distinzione fra le misure e i relativi costi stabilita dalla direttiva indica che le misure sono necessarie a prescindere dal fatto che l’operatore possa o debba farsi carico del loro costo (74). In terzo luogo, la giurisprudenza mostra come uno Stato membro possa essere tenuto ad adottare ulteriori misure qualora un obiettivo necessario non sia conseguito nonostante le autorità siano intervenute nei confronti di un operatore. Nella causa C-104/15, Commissione/Romania, che faceva riferimento alla direttiva Rifiuti di estrazione (75), la Corte ha rilevato che lo Stato membro rimaneva responsabile del mancato controllo delle emissioni di polveri tossiche da un impianto di rifiuti minerari, nonostante il fatto che avesse imposto sanzioni all’operatore (76) e che quest’ultimo fosse divenuto insolvente (77).

3.   «DANNO»

40.

La definizione di «danno ambientale» include il termine «danno», che è definito separatamente. Il termine «danno» non è autonomo (nel senso che gli obblighi sanciti dalla direttiva non si applicano al livello di generalità da esso espresso). Quando applica la direttiva a situazioni concrete, è necessario rifarsi alle formulazioni più precise contenute nella definizione di «danno ambientale». Fatta salva questa riserva, la definizione di «danno» è importante non solo perché è insita nella definizione di «danno ambientale», ma anche perché presenta quattro concetti fondamentali che sono precisati nella definizione più articolata. Le linee guida trattano pertanto il concetto di «danno» prima di affrontare gli altri elementi della definizione di «danno ambientale».

Riquadro 1 — Definizione di «danno»

L’articolo 2, punto 2, della direttiva Responsabilità ambientale definisce un «danno» come «un mutamento negativo misurabile di una risorsa naturale o un deterioramento misurabile di un servizio di una risorsa naturale, che può prodursi direttamente o indirettamente».

41.

I quattro concetti fondamentali presenti nella definizione di «danno» sono:

l’ambito di applicazione materiale dell’oggetto del «danno», vale a dire le risorse naturali e i servizi di una risorsa naturale;

il concetto di effetto negativo, ossia mutamenti negativi e deterioramenti;

la portata di tali effetti negativi, ossia quelli che sono misurabili;

i modi in cui si verificano tali effetti negativi, ossia direttamente o indirettamente.

Ambito di applicazione materiale delle risorse naturali e dei servizi di una risorsa naturale

Riquadro 2 — Definizioni di «risorsa naturale» e di «servizi di una risorsa naturale»

L’articolo 2, punto 12, della direttiva Responsabilità ambientale definisce una «risorsa naturale» come «specie e habitat naturali protetti, acqua e terreno».

L’articolo 2, punto 13, della direttiva Responsabilità ambientale definisce i «servizi» e i «servizi delle risorse naturali» come «le funzioni svolte da una risorsa naturale a favore di altre risorse naturali e/o del pubblico».

42.

Per quanto riguarda l’ambito di applicazione materiale, la definizione di «danno» richiama due concetti, anch’essi definiti espressamente nella direttiva, vale a dire «risorsa naturale» e «servizi delle risorse naturali». Per «risorsa naturale» s’intendono tre categorie distinte di risorse: le specie e gli habitat naturali protetti, le acque e il terreno. Nel contempo, la definizione di «servizi delle risorse naturali» sottolinea l’interdipendenza di queste categorie, facendo riferimento alle funzioni che svolgono l’una per l’altra. Ecco alcuni esempi, senza pretesa di esaustività: una palude salmastra (tipo di habitat naturale) può proteggere una zona costiera; le acque di superficie (categoria di acque) possono favorire il sostentamento di specie protette di uccelli selvatici; il terreno può filtrare inquinanti che altrimenti raggiungerebbero le falde acquifere (categoria di acque). La definizione di «servizi delle risorse naturali» richiama anche le funzioni delle risorse naturali che recano benefici alla popolazione: a titolo di esempi non esaustivi, alcuni habitat naturali, come le torbiere, fungono da importanti serbatoi di carbonio; alcune acque sono fonte di acqua potabile e altre ospitano pesci per la pesca ricreativa; infine il terreno è necessario per la produzione alimentare e l’abitazione.

Effetti negativi

43.

Per quanto concerne gli effetti negativi, la definizione di «danno» richiama, in primo luogo, il «mutamento negativo» di una risorsa naturale e, in secondo luogo, il «deterioramento» di un servizio di una risorsa naturale. La definizione di «danno ambientale» è più precisa, ma è utile tenere presente tre considerazioni generali:

sia il «mutamento negativo» sia il «deterioramento» implicano effetti negativi;

questi effetti negativi riguardano sia lo stato della risorsa naturale che le funzioni benefiche esercitate dalla risorsa naturale per altre risorse naturali e per le persone. Fra gli effetti negativi rientrano pertanto non solo gli effetti negativi sulle proprietà di una risorsa naturale, ma anche quelli sulle interdipendenze e sulle relazioni dinamiche all’interno delle risorse naturali e dei servizi e fra di essi, ossia sulle funzioni che le risorse naturali svolgono l’una per l’altra e per il pubblico;

le nozioni di mutamento e di deterioramento implicano una differenza fra la situazione «precedente» o «successiva» a un evento dannoso.

Misurabile

44.

Ai fini dell’applicazione della definizione di «danno», i mutamenti negativi e il deterioramento devono essere «misurabili». Con «misurabile» s’intende che deve essere possibile quantificare o stimare il danno e che deve essere possibile confrontare in maniera significativa la situazione precedente con quella successiva all’evento dannoso.

Direttamente o indirettamente

45.

Infine, la definizione di « danno» ammette che i mutamenti negativi o i deterioramenti possano avvenire sia direttamente che indirettamente. Con «direttamente o indirettamente» s’intende il nesso di causalità fra un evento dannoso, da una parte, e gli effetti negativi specifici, dall’altra: talvolta il nesso di causalità sarà diretto, come nel caso in cui l’azione di deforestazione da parte di un operatore distrugge un habitat naturale forestale protetto; talaltra sarà indiretto, come nel caso del deterioramento di un habitat acquatico protetto distante dal corpo idrico in cui sono stati rilasciati nutrienti. Per il rapporto di causa-effetto è utile rifarsi a un modello sorgente-via di trasmissione-ricettore. I fattori di danno collegati a un’attività professionale (la sorgente) possono passare attraverso l’aria, l’acqua o il terreno (la via di trasmissione) prima di intaccare una risorsa naturale specifica (il ricettore). Nella causa C-129/16, Túrkevei Tejtermelő Kft., la Corte ha rilevato che, sebbene l’inquinamento dell’aria in quanto tale non costituisca un danno ambientale, il danno alle risorse naturali può derivare dall’inquinamento dell’aria (78). Un evento dannoso può essere dissociato dagli effetti negativi che causa temporalmente (ad esempio, nella risorsa naturale si verifica una reazione ritardata), spazialmente (ad esempio, la risorsa naturale subisce gli effetti negativi in un luogo distante rispetto a dove si è verificato l’evento dannoso) o in termini di risorse naturali coinvolte (ad esempio, l’uso sul terreno di una sostanza tossica causa la morte di una specie protetta). Il concetto secondo cui gli effetti negativi possono verificarsi indirettamente è altresì collegato alle funzioni che le risorse naturali svolgono l’una per l’altra.

4.   APPROFONDIMENTO DEL CONCETTO DI «DANNO AMBIENTALE»

46.

La definizione di «danno ambientale» contiene e precisa la definizione di «danno». In primo luogo, per quanto riguarda l’ambito di applicazione materiale e geografico, specifica la nozione di «risorsa naturale» richiamata nella definizione di «danno», distinguendola in tre categorie, vale a dire specie e habitat naturali protetti, le acque e il terreno. Inoltre, per le prime due categorie di risorse naturali, include alcuni dettagli che contribuiscono a determinare l’ambito di applicazione geografico degli obblighi sanciti dalla direttiva. In secondo luogo, all’interno di ogni categoria di risorsa naturale, sono descritti gli effetti negativi con maggiori dettagli in riferimento ad alcuni concetti (che nelle presenti linee guida sono chiamati «concetti di riferimento»). In terzo luogo, la nozione di entità è inclusa per definire meglio la portata degli effetti negativi che devono essere affrontati. In quarto luogo occorre rilevare che la definizione di danno ambientale non preclude la possibilità che tutt’e tre le sottocategorie di danno alle risorse naturali siano contemporaneamente pertinenti.

Riquadro 3 — Definizione di «danno ambientale»

L’articolo 2, punto 1, della direttiva Responsabilità ambientale (79) definisce il «danno ambientale» come

«a)

danno alle specie e agli habitat naturali protetti, vale a dire qualsiasi danno che produca significativi effetti negativi sul raggiungimento o il mantenimento di uno stato di conservazione favorevole di tali specie e habitat. L’entità di tali effetti è da valutare in riferimento alle condizioni originarie, tenendo conto dei criteri enunciati nell’allegato I;

Il danno alle specie e agli habitat naturali protetti non comprende gli effetti negativi preventivamente identificati derivanti da un atto di un operatore espressamente autorizzato dalle autorità competenti, secondo le norme di attuazione dell’articolo 6, paragrafi 3 e 4 o dell’articolo 16 della direttiva 92/43/CEE o dell’articolo 9 della direttiva 79/409/CEE oppure, in caso di habitat o specie non contemplati dal diritto comunitario, secondo le disposizioni della legislazione nazionale sulla conservazione della natura aventi effetto equivalente.

b)

danno alle acque, ossia qualsiasi danno che incida in modo significativamente negativo su:

i)

lo stato ecologico, chimico o quantitativo o sul potenziale ecologico delle acque interessate, quali definiti nella direttiva 2000/60/CE, fatta eccezione per gli effetti negativi cui si applica l’articolo 4, paragrafo 7, di tale direttiva, oppure

ii)

lo stato ambientale delle acque marine interessate, quale definito nella direttiva 2008/56/CE, nella misura in cui aspetti particolari dello stato ecologico dell’ambiente marino non siano già affrontati nella direttiva 2000/60/CE (80).

c)

danno al terreno, vale a dire qualsiasi contaminazione del terreno che crei un rischio significativo di effetti negativi sulla salute umana a seguito dell’introduzione diretta o indiretta nel suolo, sul suolo o nel sottosuolo di sostanze, preparati, organismi o microrganismi nel suolo».

Ambito di applicazione materiale e geografico di ciascuna risorsa naturale

47.

A causa del grado di categorizzazione dell’ambito di applicazione materiale, un’interpretazione comune di «danno ambientale» necessita di un’attenta analisi di ciascuna categoria di risorsa naturale, ivi compreso dell’ambito di applicazione geografico di ciascuna di esse. Nelle sezioni seguenti delle presenti linee guida saranno riportate osservazioni sull’ambito di applicazione materiale e geografico.

Concetti di riferimento per gli effetti negativi

48.

Per determinare la rilevanza degli effetti negativi per le tre categorie di risorse naturali la definizione di «danno ambientale» si basa su un concetto di riferimento: per le specie e gli habitat naturali protetti, il concetto di riferimento è il loro stato di conservazione favorevole; per le acque è lo stato ecologico, chimico o quantitativo o il potenziale ecologico delle acque ai sensi della direttiva quadro Acque e lo stato ecologico delle acque marine ai sensi della direttiva quadro Strategia per l’ambiente marino, che hanno portate differenti; per quanto riguarda il terreno il concetto di riferimento è il rischio per la salute umana. Tali concetti di riferimento servono a fornire parametri e criteri sulla cui base è possibile esaminare la rilevanza degli effetti negativi. I concetti forniscono elementi rispetto ai quali devono essere misurati gli effetti negativi. I concetti sono analizzati più nel dettaglio nelle sezioni delle presenti linee guida dedicate alle categorie specifiche di danno alle risorse naturali.

Valutazione dell’entità

49.

I concetti di riferimento precisano le tipologie di effetti negativi contemplati dalla direttiva. La definizione di «danno ambientale» contiene un’ulteriore precisazione: le parole «significativo» o «significativamente» compaiono in relazione a ciascuna categoria di risorsa naturale, e la direttiva prevede misure di prevenzione, la gestione immediata dei fattori di danno o misure di riparazione solo se gli effetti negativi sono considerati significativi rispetto ai concetti di riferimento citati.

50.

L’obbligo di valutare l’entità non è previsto unicamente dalla direttiva Responsabilità ambientale, ma è presente anche in altri strumenti del diritto ambientale dell’Unione. Tale obbligo è contemplato, ad esempio, anche dalla direttiva Habitat (81), ed è il cardine della direttiva 2011/92/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, concernente la valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati (82) («la direttiva VIA»). La valutazione dell’entità ai sensi della direttiva Responsabilità ambientale è comunque sui generis.

51.

Nel quadro della direttiva Responsabilità ambientale, per pervenire a un’interpretazione comune della valutazione dell’entità può essere utile considerare gli elementi seguenti:

le circostanze in cui emerge la necessità di una valutazione dell’entità;

le finalità della valutazione dell’entità;

le responsabilità giuridiche relative allo svolgimento della valutazione;

il contesto (o i contesti) in cui la valutazione deve essere condotta;

l’oggetto della valutazione;

lo svolgimento della valutazione;

la determinazione dell’entità.

Circostanze

52.

Come indicato nella sezione 2 delle presenti linee guida, gli eventi dannosi, i fattori di danno, le attività professionali, la condotta dell’operatore e la natura del nesso di causalità possono variare notevolmente. La valutazione dell’entità dovrà adeguarsi a tutte queste variabili. Per esempio, un incidente una tantum presenta difficoltà diverse da quelle di un normale funzionamento, come descritto nella causa C-529/15, Folk.

Finalità

53.

La valutazione dell’entità degli effetti negativi non è fine a se stessa, ma serve a determinare se gli effetti negativi necessitano:

di misure di prevenzione;

di gestione immediata dei fattori di danno; e/o

di misure di riparazione.

54.

Queste tre finalità sono ben distinte e, a seconda delle circostanze, alcune possono essere pertinenti e altre no. Ad esempio, in situazioni di minaccia imminente, l’unica finalità della valutazione sarà evitare che si verifichi un evento dannoso. Nelle situazioni in cui si è già verificato un evento dannoso può essere necessario o meno gestire immediatamente i fattori di danno. Ad esempio è possibile che tale gestione immediata non sia più attuabile qualora i fattori di danno abbiano già causato effetti negativi e siano esauriti. Tutt’e tre le finalità possono divenire pertinenti in maniera progressiva, come nel caso in cui la minaccia imminente di un evento dannoso si concretizza in danno reale che necessita di una gestione immediata dei fattori di danno e di successive misure di riparazione. La valutazione dell’entità dovrà pertanto essere adeguata alle finalità che sono pertinenti alle circostanze specifiche emerse.

55.

Le finalità di prevenzione e di gestione immediata dei fattori di danno sono legate a fattori di danno potenziali o reali e rispecchiano i principi del trattato in materia di prevenzione e correzione alla fonte. Come rilevato in precedenza, si tratta di finalità in cui il tempo è un fattore critico.

56.

La finalità che consiste nell’individuare la necessità di misure di riparazione è strettamente legata ai requisiti specifici della direttiva sulle misure di riparazione, descritti in dettaglio nell’allegato II. In caso di danno a specie e habitat naturali protetti e di danno alle acque, le misure di riparazione sono volte a riportare l’ambiente alle sue condizioni originarie (cfr. riquadro 4 di seguito) attraverso la riparazione primaria, complementare o compensativa, tutti termini di cui è fornita la definizione. Come si può constatare, questi requisiti sono incentrati sugli effetti negativi subiti dall’ambiente più che sui fattori di danno, sebbene non possano essere escluse ulteriori misure di gestione dei fattori di danno, come indicato dalla causa Folk (83). In caso di danno al terreno, le misure di riparazione sono volte a proseguire la gestione dei fattori di danno, qualora essi continuino a costituire un rischio significativo per la salute umana anche in seguito al conseguimento della seconda finalità summenzionata.

Riquadro 4 — Definizione di «condizioni originarie»

L’articolo 2, punto 14, della direttiva Responsabilità ambientale definisce le «condizioni originarie» come «le condizioni, al momento del danno, delle risorse naturali e dei servizi che sarebbero esistite se non si fosse verificato il danno ambientale, stimate sulla base delle migliori informazioni disponibili».

Doveri degli interessati

57.

Come indicato nel paragrafo 29, l’autorità competente è responsabile della valutazione dell’entità. Il considerando 24 della direttiva così recita: «si dovrebbero conferire alle autorità competenti compiti specifici che implicano appropriata discrezionalità amministrativa, ossia il dovere di valutare l’entità del danno e di determinare le misure di riparazione da prendere».

58.

Si tenga presente tuttavia che gli operatori sono responsabili di prevenire gli eventi dannosi senza indugio e di gestire immediatamente i fattori di rischio. Tali responsabilità implicano che gli operatori devono riconoscere indipendentemente i fattori di rischio legati alle loro attività professionali e affrontarli in modo proattivo. Le disposizioni pertinenti della direttiva prevedono inoltre che la valutazione dell’entità dovrebbe aver luogo nel quadro di una relazione dinamica fra l’operatore e l’autorità competente, in cui il primo è tenuto a contribuire attivamente a fornire informazioni e rispettare le istruzioni date dall’autorità competente (84), tra cui quelle impartite all’operatore affinché effettui la propria valutazione e fornisca le informazioni e i dati necessari (85). Questa relazione dinamica è di particolare importanza qualora si siano già verificati effetti negativi e sia necessario adottare misure di riparazione.

59.

La valutazione dell’entità può aver luogo in situazioni in cui vi sono parti interessate diverse dall’autorità competente e dall’operatore. In particolare, l’autorità competente deve adempiere diversi obblighi giuridici nell’ambito di una richiesta di azione valida (86).

60.

Se il danno ambientale riguarda o potrebbe riguardare più Stati membri, gli Stati membri interessati hanno doveri di cooperazione riguardo alla valutazione dell’entità del danno (87).

Contesto

61.

Le categorie di risorse naturali investite dal danno e i rispettivi concetti di riferimento determineranno gli elementi da valutare. Ad esempio, nel caso del danno alle specie e agli habitat naturali protetti, sarà necessario considerare elementi molto diversi da quelli considerati per il danno al terreno. Questi elementi specifici sono descritti più dettagliatamente nelle sezioni che seguono.

Oggetto della valutazione

62.

L’oggetto della valutazione dovrà variare in funzione delle circostanze, delle finalità e del contesto.

63.

Secondo la definizione di «danno», gli effetti negativi includono i mutamenti e i deterioramenti che devono essere misurabili, e la definizione di «danno ambientale» indica che tali mutamenti e deterioramenti devono essere legati a concetti di riferimento.

64.

La misurazione consiste nel confrontare le condizioni delle risorse naturali e dei servizi precedenti e successive all’evento dannoso (è evidente che, per quanto riguarda le condizioni successive, nel contesto di una minaccia imminente, il confronto sarà ipotetico dal momento che il danno non si è ancora materializzato). Il confronto riguarda due forme distinte di quantificazione o stima, l’una incentrata sulla situazione precedente, l’altra sulla situazione successiva al verificarsi dell’evento dannoso (88). È importante sottolineare che, sebbene risulti pertinente sia per le misure di prevenzione che per quelle di riparazione, la valutazione dovrà essere trattata in modo diverso in funzione dell’urgenza delle misure. In caso di urgenza, la valutazione dovrà essere condotta sulla base di un parere rapido che poggia su informazioni esistenti e immediatamente accessibili, spesso di carattere generale. Questo approccio differenziato trova sostegno nella causa C-378/08, Raffinerie Mediterranee (ERG) SpA e altri (89).

65.

Per quanto riguarda la misurazione della situazione precedente, entra in gioco il concetto di condizioni originarie (cfr. riquadro 4). Le condizioni originarie possono essere costanti, ma è probabile che possano mutare nel tempo: possono ad esempio variare regolarmente o in modo prevedibile (come nel caso delle aree inondabili o dei laghi stagionali come i turlough (90)), oppure l’area di un habitat o la popolazione di una specie danneggiata può essere già in fase di aumento o diminuzione.

66.

La variazione o il deterioramento delle condizioni consisterà nella differenza fra la situazione della risorsa naturale o del servizio dopo il verificarsi dell’evento dannoso e le condizioni originarie. Pertanto deve essere nota la situazione dopo l’evento dannoso.

67.

La differenza fra le condizioni originarie e la situazione successiva all’evento dannoso può essere instabile, come nel caso in cui i fattori di danno continuano a causare effetti negativi la cui portata aumenta costantemente. Dalla finalità della gestione immediata dei fattori di danno si desume che la valutazione dell’entità deve anche vertere sui fattori di danno che causano gli effetti negativi.

Svolgimento della valutazione

68.

In funzione delle finalità pertinenti per le circostanze che si presentano, la valutazione dell’entità dei cambiamenti subiti dalle risorse naturali può comportare varie fasi e la necessità di prendere in considerazione diversi tipi di informazioni (91).

69.

Qualora siano necessarie misure di prevenzione di una minaccia imminente, l’operatore (e, se del caso, l’autorità competente) dovrà riconoscere i potenziali fattori di danno associati all’attività professionale e assicurare senza indugio che non abbiano effetti negativi significativi sulle risorse naturali pertinenti o compromettano i servizi forniti dalle risorse naturali.

70.

Analogamente, qualora i fattori di danno necessitino di una gestione immediata, l’operatore (e, se del caso, l’autorità competente) dovrà riconoscere i fattori di danno associati all’attività professionale, e garantire un rapido intervento volto a gestirli, in modo da interrompere la catena di causalità di effetti negativi significativi sulle risorse naturali o il deterioramento dei servizi forniti dalle risorse naturali.

71.

Ai fini delle misure di prevenzione e di gestione immediata dei fattori di danno, la necessità di una valutazione rapida implica che occorrerà fare affidamento sulle conclusioni tratte dalle informazioni immediatamente disponibili. Le informazioni generali sulla natura dei fattori di danno e sull’esposizione di una risorsa naturale ai loro effetti negativi saranno spesso fondamentali, perché potrebbe non esserci il tempo di aspettare la comparsa di elementi specifici del sito. L’applicazione del principio di precauzione è necessario in tali circostanze (92).

72.

Ove siano necessarie misure di riparazione, è opportuno svolgere una valutazione più approfondita, che dovrebbe essere meno urgente, ma comunque tempestiva, poiché il tempo è un fattore da non trascurare anche per le misure di riparazione descritte all’allegato II (93).

73.

Nel caso particolare delle misure di riparazione, non è possibile escludere che, come indicato al paragrafo 20, intercorra un lasso di tempo fra l’evento dannoso e la prima occasione di valutarne l’entità. Fatte salve le disposizioni della direttiva in materia di ambito di applicazione temporale (come indicato nel paragrafo 24), l’esistenza di un ritardo non è tuttavia un motivo per non effettuare la valutazione, in particolare se l’evento dannoso ha avuto effetti negativi persistenti.

74.

Le circostanze che danno adito a una potenziale responsabilità ai sensi della direttiva possono altresì necessitare di una valutazione per colmare le lacune normative di altri strumenti ambientali, quali la direttiva VIA e la direttiva Habitat (94). La valutazione dell’entità ai sensi della direttiva Responsabilità ambientale non dovrebbe tuttavia essere confusa con le forme di valutazione necessarie per rispondere a una lacuna normativa, né esservi subordinata. Qualsiasi procedura congiunta (ad esempio una valutazione dell’impatto ambientale a posteriori) per correggere sia una lacuna normativa (come il mancato svolgimento della necessaria valutazione dell’impatto ambientale necessaria a priori) sia una valutazione dell’entità dei mutamenti di una risorsa naturale ai sensi della direttiva Responsabilità ambientale deve essere conforme alle prescrizioni di quest’ultima.

Determinazione dell’entità

75.

L’entità deve essere determinata alla luce delle finalità da conseguire. Tenuto conto della definizione di «condizioni originarie», deve essere determinata in relazione alla superficie fisica effettiva del terreno o delle acque o (nel caso di specie protette) alla popolazione effettivamente colpita o a rischio di subire effetti negativi, considerando le caratteristiche intrinseche preesistenti o i fattori dinamici che possono aver influenzato le risorse naturali in questione a prescindere dall’evento dannoso.

76.

Per quanto riguarda il termine «significativo», nella causa C-297/19, Naturschutzbund Deutschland — Landesverband Schleswig-Holstein eV, la Corte ha affermato: «Dall’uso dell’aggettivo «significativi» di cui all’articolo 2, punto 1, lettera a), primo comma, della direttiva 2004/35/CE, risulta che solo un danno di una certa gravità, qualificato come «danno significativo» nell’allegato I di tale direttiva, può essere considerato come un danno causato alle specie e agli habitat naturali protetti, il che implica, in ciascun caso concreto, la necessità di valutare la portata degli effetti del danno in questione» (95). In base a questa causa ciò che è «significativo» è disciplinato, in ultima istanza, dal diritto dell’Unione. In riferimento al «danno alle specie e agli habitat naturali protetti», l’allegato I della direttiva Responsabilità ambientale prevede che «gli effetti negativi significativi rispetto alle condizioni originarie dovrebbero essere determinati con dati misurabili». Il passo della sentenza della causa C-297/19 citato sopra indica pertanto anche che, per questa categoria di danni ambientali, la determinazione dell’entità è subordinata a una valutazione oggettiva, e tecnica, basata su dati misurabili. Si può dedurre che lo stesso vale anche per le altre categorie di danno ambientale ai sensi della direttiva.

77.

Da quanto sopra esposto è altresì possibile dedurre che, al fine di valutare e determinare l’entità, l’applicazione della direttiva non può essere esclusa sulla base di opinioni arbitrarie e soggettive in merito a cosa sia significativo o sulla base di considerazioni socioeconomiche non contemplate dalla direttiva. Se del caso, è tuttavia possibile avvalersi di una serie di esclusioni, deroghe (96) ed esoneri (97) previsti dalla direttiva per tenere conto di considerazioni socioeconomiche o ricorrere alle valutazioni sulla proporzionalità intrinseche alla direttiva (98).

78.

L’entità degli effetti non dipende necessariamente dalla loro presenza su larga scala. Nella causa C-392/96, Commissione/Irlanda, la Corte, in relazione alla direttiva VIA, ha rilevato che «anche un progetto di dimensioni ridotte può avere un notevole impatto ambientale se è ubicato in un luogo in cui i fattori ambientali descritti all’art. 3 della direttiva, come la fauna e la flora, il suolo, l’acqua, il clima o il patrimonio culturale, sono sensibili al minimo cambiamento». Un ragionamento analogo può essere ritenuto applicabile nel quadro della direttiva Responsabilità ambientale.

79.

Per quanto concerne la finalità di garantire misure di prevenzione, l’entità riguarderà la necessità di evitare la presenza di fattori di danno con effetti negativi su determinate aree o popolazioni. Lo stesso vale per la finalità di garantire una gestione immediata dei fattori di danno. Gli effetti negativi saranno quelli citati nei paragrafi 82 e 83 in appresso. La determinazione dovrebbe stabilire se i fattori di danno possano portare alla comparsa di alcuni o di tutti gli effetti negativi citati.

80.

La direttiva è interpretabile secondo i metodi di interpretazione della Corte e alla luce dei principi giuridici pertinenti, come il principio di precauzione (99) (cfr. anche il precedente paragrafo 8): secondo questo principio, non è necessaria la certezza scientifica che si verifichino effetti negativi misurabili, ma è sufficiente una ragionevole certezza; inoltre, se l’operatore o l’autorità competente decide di non adottare o chiedere misure di prevenzione o una gestione immediata dei fattori di danno, tale decisione dovrebbe basarsi sul fatto che non sussiste alcun dubbio ragionevole da un punto di vista scientifico quanto all’assenza di effetti negativi misurabili su una risorsa naturale (100).

81.

Se l’entità del danno è determinata a fini di misure prevenzione e gestione immediata dei fattori di danno, si pone la questione di stabilire quali misure e quale gestione saranno necessarie e adeguate. Le misure e la gestione dovrebbero essere volte a interrompere qualsiasi catena di causalità derivante dai fattori di danno che potrebbero causare, o hanno già causato, gli effetti negativi sulle risorse naturali menzionati nei paragrafi 82 e 83 in appresso. La causa Folk dimostra che un’autorizzazione in vigore in relazione ai fattori di danno non esime necessariamente l’operatore dal dovere di intervenire. Per quanto la direttiva consenta di avvalersi di un’autorizzazione in vigore, occorre soddisfare le condizioni pertinenti. Inoltre il mancato adempimento dei requisiti di autorizzazione o di altri obblighi normativi pertinenti può essere, di per sé, un forte indicatore della necessità di applicare misure di prevenzione e misure di gestione dei fattori di danno ai sensi della direttiva Responsabilità ambientale, poiché può dimostrare che i fattori di danno non sono stati sottoposti al grado di controllo che sarebbe garantito dall’adempimento degli obblighi normativi e pertanto sono più suscettibili di causare gli effetti negativi che rientrano nell’ambito di applicazione della direttiva.

82.

Al fine di identificare le misure di riparazione necessarie, le disposizioni dell’allegato II sul danno alle specie e agli habitat naturali protetti e sul danno alle acque indicano come si dovrebbe determinare l’entità del danno e rilevare il deterioramento dei servizi in relazione a queste risorse naturali. Occorre considerare quanto segue alla luce dei concetti di riferimento applicabili e della nozione di deterioramento dei servizi: perdita permanente misurabile di un’area, parte di un’area, una popolazione o parte di una popolazione (101); deterioramento misurabile di un’area, parte di un’area o delle condizioni di vita di una popolazione o di una parte di essa che, tuttavia, sono in grado di essere ripristinate (102); perdita misurabile dei servizi forniti dalle aree o dalle popolazioni interessate (103); e l’intervallo di tempo misurabile prima del ripristino delle condizioni originarie, qualora possibile (104). Gli effetti negativi sulle risorse saranno significativi se si constata una perdita o un deterioramento misurabile in un’area o una popolazione. Per quanto riguarda i servizi associati, occorre che vi sia una perdita misurabile dei servizi forniti da queste risorse naturali.

83.

Per quanto riguarda il danno al terreno, le disposizioni dell’allegato II indicano che è opportuno tenere in considerazione almeno quanto segue: la presenza, la tipologia e la concentrazione degli agenti contaminanti, il relativo rischio e la possibilità di dispersione; le caratteristiche e la funzione del suolo; e l’uso attuale e futuro, previa approvazione, del suolo contaminato. Il rischio per la salute umana sarà significativo se, in un determinato ambiente locale, sussiste un mutamento misurabile del livello di esposizione nociva diretta o indiretta degli esseri umani agli agenti contaminanti che essere associati, tramite un nesso di causalità, a un’attività professionale di cui all’allegato III. Vi può essere un’esposizione indiretta se il terreno contaminato fornisce servizi ad altre risorse naturali, ad esempio se filtra inquinanti che possono raggiungere l’acqua, o se avviene una dispersione dei contaminanti tramite il suolo, l’aria o l’acqua.

Combinazione di diverse categorie di danno ambientale

84.

Il fatto che la definizione di «danno ambientale» comprenda tre sottocategorie distinte di danno alle risorse naturali non significa che, perché sussista responsabilità, tutte le categorie debbano manifestarsi negli effetti negativi. La responsabilità può insorgere in presenza di una sola categoria di danno ambientale. Allo stesso modo, ove il danno ambientale contempli più di una categoria, tutte le categorie in oggetto devono essere affrontate. La direttiva non consente di limitare la sua applicazione a talune categorie.

5.   «DANNO ALLE SPECIE E AGLI HABITAT NATURALI PROTETTI»

85.

La definizione di «danno alle specie e agli habitat naturali protetti» è strettamente legata alle disposizioni della direttiva Uccelli e della direttiva Habitat. Nelle presenti linee guida queste due direttive sono chiamate collettivamente «direttive Natura». La direttiva Responsabilità ambientale e le direttive Natura condividono in particolare molti concetti comuni: come indicato nel considerando 5 della direttiva Responsabilità ambientale, quando un concetto è desunto da altra legislazione pertinente dell’Unione è opportuno utilizzare la stessa definizione, affinché possano essere applicati criteri comuni e possa essere incentivata un’applicazione omogenea della legislazione. Nel contempo, occorre tener conto delle varie differenze che esistono tra l’ambito di applicazione delle direttive Natura e quello della direttiva Responsabilità ambientale.

86.

Le linee guida si soffermano in special modo sugli elementi seguenti:

l’ambito di applicazione materiale e geografico delle specie e degli habitat naturali protetti contemplati;

il concetto di riferimento per gli effetti negativi, ossia lo stato di conservazione favorevole;

la valutazione dell’entità;

le esclusioni.

Ambito di applicazione materiale e geografico delle specie e degli habitat naturali protetti

Riquadro 5 — Definizione di «specie e habitat naturali protetti»

L’articolo 2, punto 3, della direttiva Responsabilità ambientale stabilisce che per «specie e habitat naturali protetti» si intendono:

«a)

le specie menzionate all’articolo 4, paragrafo 2 o elencate nell’allegato I della direttiva 79/409/CEE o elencate negli allegati II e IV della direttiva 92/43/CEE;

b)

gli habitat delle specie menzionate all’articolo 4, paragrafo 2 o elencate nell’allegato I della direttiva 79/409/CEE o elencate nell’allegato II della direttiva 92/43/CEE, e gli habitat naturali elencati nell’allegato I della direttiva 92/43/CEE nonché i siti di riproduzione e i luoghi di riposo delle specie elencate nell’allegato IV della direttiva 92/43/CEE; e

c)

qualora uno Stato membro lo decida, gli habitat o le specie non elencati in tali allegati che lo Stato membro designa per fini equivalenti a quelli di tali direttive.»

87.

Con il termine «specie protette» s’intendono, in primo luogo, determinate specie protette ai sensi delle direttive Natura e, in secondo luogo, altre specie che lo Stato membro decide di includere ai fini della responsabilità. La seconda categoria di specie è a discrezione degli Stati membri, sulla base della facoltà accordata dall’articolo 2, punto 3, lettera c), della direttiva Responsabilità ambientale. Più della metà degli Stati membri si è avvalsa di tale facoltà (105). In riferimento alla prima categoria di specie, le specie contemplate dalle direttive Natura non coincidono esattamente con quelle contemplate dalla direttiva Responsabilità ambientale.

88.

Per quanto riguarda gli uccelli, le specie contemplate dalla definizione di cui al riquadro 5 sono le stesse di cui all’articolo 4, paragrafo 2, o elencate all’allegato I della direttiva Uccelli. L’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva Uccelli fa riferimento alle specie migratrici, mentre l’allegato I elenca altre specie di uccelli. Nel complesso, esse rappresentano un sottoinsieme dell’avifauna europea (106). La definizione di «specie protette»non si applica alle specie di uccelli non contemplate dall’allegato I della direttiva Uccelli e che non sono specie migratorie, a meno che non siano aggiunte dai singoli Stati membri.

89.

In riferimento alle specie non ornitiche, la definizione contempla le specie di animali e di piante elencate agli allegati II e IV della direttiva Habitat. Non contempla direttamente talune specie che sono elencate solamente nell’allegato V della direttiva Habitat (107), a meno che gli Stati membri non le aggiungano specificamente, o a meno che non rappresentino specie tipiche degli habitat naturali elencati all’allegato I della direttiva Habitat (108). Occorre rilevare tuttavia che l’allegato V include specie ittiche che potrebbero essere contemplate dal «danno alle acque» (cfr. la sezione 6 in appresso).

90.

Gli habitat elencati all’allegato I della direttiva Habitat saranno in particolare presenti nei siti Natura 2000 individuati per tali habitat. Tuttavia l’applicazione della direttiva Responsabilità ambientale non si limita agli habitat contemplati nell’allegato I presenti nei siti Natura 2000. Ai sensi dell’articolo 17 della direttiva Habitat, gli Stati membri forniscono «mappe di distribuzione» degli habitat di cui all’allegato I, che coprono il loro intero territorio (109), e che però non dovrebbero essere considerate le uniche informazioni sulla presenza degli habitat di cui all’allegato I. Occorre rilevare che gli habitat naturali sono caratterizzati da vari elementi, comprese le specie tipiche, descritti nel Manuale sugli habitat (110).

91.

Gli habitat delle specie migratrici e delle specie di uccelli elencate all’allegato I della direttiva Uccelli comprenderanno, in particolare, le specie rilevate nelle zone di protezione speciale (ZPS), classificate ai sensi dell’articolo 4 della direttiva Uccelli. Tuttavia, sebbene le ZPS contengano probabilmente gli habitat più importanti, secondo la formulazione della direttiva Responsabilità ambientale il danno agli habitat non è limitato agli habitat delle specie di uccelli all’interno delle ZPS. Gli Stati membri forniscono alla Commissione mappe sulla distribuzione delle specie nidificanti (scala 10 x 10 km) per tutte le specie nidificanti (anche sedentarie) di cui all’allegato I e per le altre specie nidificanti migratrici che determinano la designazione di una ZPS (111).

92.

Gli habitat delle specie elencate all’allegato II della direttiva Habitat, in particolare, saranno presenti nei siti Natura 2000 individuati per tali specie. Tuttavia l’applicazione della direttiva Responsabilità ambientale non si limita agli habitat naturali presenti nei siti Natura 2000. Ai sensi dell’articolo 17 della direttiva Habitat, gli Stati membri forniscono alla Commissione «mappe di distribuzione» delle specie di cui all’allegato II, che coprono il loro intero territorio (112).

93.

Per quanto riguarda i siti di riproduzione e di riposo delle specie elencate all’allegato IV della direttiva Habitat, la Commissione ha elaborato linee guida che possono aiutare a identificarli (113). Tuttavia le direttive Natura non impongono agli Stati membri l’obbligo di comunicare alla Commissione la loro ubicazione (solo per le specie elencate all’allegato IV).

94.

Come per le specie, in aggiunta agli habitat naturali contemplati dalle direttive Natura, gli Stati membri possono includerne altri designati per finalità equivalenti a livello nazionale (114).

95.

Per quanto riguarda l’ambito di applicazione geografico, alcune specie protette, come i cetacei, e alcuni habitat naturali, come le scogliere, si trovano in alto mare. La direttiva Responsabilità ambientale si applica a questo tipo di specie e habitat nelle misura in cui essi si trovano: nelle acque interne e nelle acque territoriali; nella zona economica esclusiva (ZEE) e/o in altre aree su cui gli Stati membri esercitano diritti sovrani equivalenti; e, per le specie e gli habitat sul fondo del mare o dipendenti da esso, ad esempio le tartarughe marine, nella piattaforma continentale (115).

Concetto di riferimento per gli effetti negativi

96.

Il concetto di riferimento per gli effetti negativi sulle specie e gli habitat naturali protetti, ossia lo «stato di conservazione favorevole», è definito esplicitamente sia nella direttiva Responsabilità ambientale sia nella direttiva Habitat (116), e le definizioni sono simili.

Riquadro 6 — Definizione di «stato di conservazione favorevole» ai sensi della direttiva Responsabilità ambientale

L’articolo 2, punto 4, della direttiva Responsabilità ambientale definisce il termine «stato di conservazione» come segue:

«a)

con riferimento a un habitat naturale, l’insieme dei fattori che intervengono su tale habitat naturale e sulle sue specie tipiche che possono influenzarne la distribuzione naturale, la struttura e le funzioni a lungo termine, nonché la sopravvivenza a lungo termine delle sue specie tipiche, secondo il caso nel territorio europeo degli Stati membri in cui si applica il trattato o nel territorio di uno Stato membro o nell’area di detto habitat, a seconda dei casi.

Lo stato di conservazione di un habitat naturale è considerato “favorevole” quando:

la sua area naturale e le zone in essa racchiuse sono stabili o in aumento;

le strutture e le funzioni specifiche necessarie per il suo mantenimento a lungo termine esistono e continueranno verosimilmente a esistere in un futuro prevedibile, e

lo stato di conservazione delle sue specie tipiche è favorevole, ai sensi della lettera b);

b)

con riferimento a una specie, l’insieme dei fattori che intervengono sulla specie interessata che possono influenzare la distribuzione e l’abbondanza a lungo termine delle sue popolazioni, nel territorio europeo degli Stati membri in cui si applica il trattato o nel territorio di uno Stato membro o nell’area naturale di detta specie, a seconda dei casi.

Lo stato di conservazione di una specie è considerato “favorevole” quando:

i dati relativi alla dinamica della popolazione della specie interessata mostrano che essa si sta mantenendo, a lungo termine, come componente vitale dei suoi habitat naturali;

l’area naturale di detta specie non si sta riducendo né si ridurrà verosimilmente in un futuro prevedibile, e

esiste, e verosimilmente continuerà a esistere, un habitat sufficientemente ampio per mantenere la sua popolazione a lungo termine».

97.

Il riferimento all’«insieme» dei fattori nella definizione riportata nel riquadro 6 indica che il concorso di diversi fattori individuali influisce sul risultato generale dello stato di conservazione. I fattori possono essere positivi o negativi e gli effetti da essi derivanti possono manifestarsi in modo diretto o indiretto. Gli eventi dannosi all’origine di un danno ambientale figurano tra i fattori, ma non ne rappresentano la totalità.

98.

La definizione di «stato di conservazione» si riferisce ad alcuni parametri utilizzati per descrivere l’influenza prodotta dall’insieme dei fattori sullo stato di conservazione. Nel caso degli habitat naturali, i parametri comprendono la distribuzione naturale, la struttura e le funzioni a lungo termine, nonché la sopravvivenza a lungo termine delle specie tipiche dell’habitat, nel territorio europeo degli Stati membri in cui si applica il trattato, nel territorio di uno Stato membro o nell’area di ripartizione di detto habitat, a seconda dei casi. Nel caso di una specie, i parametri comprendono la distribuzione e l’abbondanza a lungo termine delle sue popolazioni, nel territorio europeo degli Stati membri in cui si applica il trattato o nel territorio di uno Stato membro o nell’area di ripartizione naturale di detta specie, a seconda dei casi. I riferimenti geografici a diversi livelli sono esaminati nel paragrafo 118 in relazione alla valutazione dell’entità.

99.

I parametri summenzionati sono ulteriormente definiti precisando le condizioni che determinano il carattere «favorevole» dello stato di conservazione. Ad esempio, in relazione agli habitat naturali, la condizione che corrisponde al parametro della distribuzione naturale a lungo termine è così descritta: «la sua area naturale e le zone in essa racchiuse sono stabili o in aumento».

100.

I fattori individuali, quali gli eventi dannosi che causano danni ambientali, possono riguardare uno o più parametri e condizioni. Un fattore individuale non deve necessariamente riguardare tutti i parametri e tutte le condizioni contemporaneamente. Sebbene un evento dannoso possa rappresentare un fattore individuale, non è tuttavia possibile escludere che alcuni effetti negativi da esso causati emergano in combinazione con altri fattori: ad esempio, un evento dannoso può consistere nell’avvelenamento di esemplari di una popolazione di una specie protetta in un contesto in cui la popolazione risente già di altri fattori negativi, che agiscono quindi in combinazione con gli effetti negativi della sostanza velenosa.

101.

Nel quadro delle direttive Natura, i servizi della Commissione hanno elaborato documenti volti a chiare concetti come quello di «area naturale» (117).

Valutazione degli effetti negativi significativi

Circostanze

102.

Come precisato nel paragrafo 14, la gamma di operatori e attività professionali cui è imputabile il danno alle specie e agli habitat naturali protetti è più ampia di quella considerata ai fini del danno alle acque e al terreno. La valutazione dell’entità degli effetti negativi è legata pertanto a una serie potenzialmente più ampia di cause, persone responsabili e fattori di danno.

Contesto

103.

Come riportato nel riquadro 3, il concetto di entità è espresso in termini di un danno «che produca significativi effetti negativi sul raggiungimento o il mantenimento di uno stato di conservazione favorevole» delle specie e degli habitat naturali protetti.

104.

Come è possibile dedurre dai paragrafi da 98 a 101, gli effetti negativi possono essere significativi se un evento dannoso influisce su soltanto uno o alcuni dei parametri e delle condizioni menzionati nella definizione di «stato di conservazione favorevole». Ad esempio, l’uccisione di uccelli rapaci rari attraverso l’uso illegale di veleno in un’attività di gestione del terreno può avere effetti negativi sulle dinamiche della popolazione di uccelli e sull’area da essa abitata senza ridurre l’habitat disponibile (sebbene la presenza di veleni deteriorerà certamente i servizi delle risorse naturali che l’habitat fornisce agli uccelli).

105.

Lo stato di conservazione delle specie e degli habitat naturali protetti è un dato di fatto e non è fisso né immutabile. Le direttive Natura sono volte sia a mantenere lo stato di conservazione favorevole dove questo sia già presente, o di raggiungerlo qualora lo stato attuale non lo sia. Riferendosi al raggiungimento o mantenimento di uno stato di conservazione favorevole, la definizione prende in considerazione entrambe le possibilità. Pertanto, laddove lo stato di conservazione sia già favorevole, gli effetti negativi possono compromettere il mantenimento di uno status quo positivo; invece, se lo stato di conservazione è sfavorevole, gli effetti negativi potrebbero ulteriormente deteriorare la situazione o compromettere il necessario miglioramento di uno status quo attualmente negativo. Ciò significa che gli effetti negativi su una specie o un habitat naturale protetti in uno stato sfavorevole non possono essere considerati al di fuori dell’ambito di applicazione del danno a una specie o habitat naturale protetti per la sola ragione che la specie o l’habitat si trova già in una condizione negativa. Occorre invece considerare la capacità della specie o dell’habitat di conseguire uno stato di conservazione favorevole e qualsiasi ostacolo che ne impedisca la realizzazione. Come indicato nel paragrafo 118 in appresso, la valutazione dell’entità degli effetti negativi deve essere significativa a livello locale.

106.

Nella pratica molte specie e habitat naturali protetti che rientrano nell’ambito di applicazione della direttiva Responsabilità ambientale e delle direttive Natura si trovano in uno stato di conservazione sfavorevole (118).

107.

Se lo stato di conservazione di una specie o un habitat di cui alle direttive Natura è sfavorevole, le direttive impongono misure per farlo ridiventare favorevole (119). In questo contesto occorre tener conto degli effetti negativi sulle misure di ripristino attuate per raggiungere lo stato di conservazione favorevole. Tali misure possono consistere in misure di ripristino dell’habitat o in programmi di reintroduzione di determinate specie: ad esempio, nel caso di un evento dannoso che causa mortalità di pesci, si potrebbe tenere conto di qualsiasi misura di conservazione attivata nel sito per migliorare lo stato di conservazione della specie ittica colpita; questo intervento riguarderà l’aspetto delle dinamiche della popolazione. È opportuno considerare anche gli effetti negativi sul potenziale di ripristino. Ad esempio, il sito che ha subito il danno può ospitare una specie che si trova in una condizione sfavorevole, ma con un potenziale di ripristino che corrisponde alla sua presenza attuale: gli effetti negativi sulla presenza della specie possono anche ridurre il potenziale di ripristino.

Svolgimento della valutazione

108.

Secondo la definizione, l’entità è da valutare «in riferimento alle condizioni originarie, tenendo conto dei criteri enunciati nell’allegato I».

Riquadro 7 — Testo dei criteri enunciati nell’allegato I della direttiva

«Il carattere significativo di un danno che produce effetti negativi sul raggiungimento o il mantenimento di uno stato di conservazione favorevole di specie o habitat è da valutare in riferimento allo stato di conservazione, al momento del danno, ai servizi offerti dai valori ricreativi connessi e alla capacità di rigenerazione naturale. Gli effetti negativi significativi rispetto alle condizioni originarie dovrebbero essere determinati con dati misurabili, del tipo:

numero degli individui, loro densità o area coperta;

ruolo di determinati individui o dell’area danneggiata in relazione alla specie o alla conservazione dell’habitat, alla rarità della specie o dell’habitat (valutata a livello locale, regionale e più alto, anche a livello comunitario);

capacità di propagazione della specie (secondo la dinamica propria alla specie o alla popolazione), sua vitalità o capacità di rigenerazione naturale dell’habitat (secondo le dinamiche proprie alle specie che lo caratterizzano o alle loro popolazioni);

capacità della specie o dell’habitat, dopo che il danno si è verificato, di ripristinarsi in breve tempo, senza interventi diversi da misure di protezione rafforzate, in uno stato che, unicamente in virtù della dinamica della specie o dell’habitat, conduca a condizioni ritenute equivalenti o superiori alle condizioni originarie.

Il danno con un provato effetto sulla salute umana deve essere classificato come significativo.

Non devono essere classificati come danni significativi:

le variazioni negative inferiori alle fluttuazioni naturali considerate normali per la specie o l’habitat in questione;

le variazioni negative dovute a cause naturali o risultanti da interventi connessi con la normale gestione dei siti, quale definita nei documenti di gestione o di indirizzo relativi all’habitat, o praticata anteriormente dai proprietari o dagli operatori;

il danno a specie o habitat per i quali è stabilito che si ripristineranno entro breve tempo e senza interventi, o nelle condizioni originarie o in uno stato che, unicamente in virtù della dinamica della specie o dell’habitat, conduca a condizioni ritenute equivalenti o superiori alle condizioni originarie».

109.

La condizione originaria è quella dell’area oppure della o delle popolazioni di specie che subiscono gli effetti negativi e di cui servono le migliori informazioni disponibili per far fronte al danno.

110.

Al fine di svolgere una valutazione che sia specifica a una data area o popolazione, le condizioni originarie dovrebbero riferirsi ai parametri e alle condizioni sopra citate. Ad esempio, per gli habitat naturali di cui all’allegato I della direttiva Habitat si dovrebbero esaminare gli habitat presenti nel sito, la relativa struttura e funzione e le specie tipiche che lo abitano. Può esistere, ad esempio, un mosaico di habitat naturali differenti, oppure un habitat può operare in funzione di un corpo idrico (come nel caso in cui una palude salmastra dipende dalle maree dell’acqua costiera). Per i siti Natura 2000, il formulario standard di dati può essere un’importante fonte di informazioni (120).

111.

Nella determinazione di queste specificità possono emergere varie difficoltà pratiche: determinare le migliori informazioni disponibili nelle circostanze date e garantire l’attendibilità delle informazioni.

112.

Qualora un danno si sia già verificato, è possibile che il danno stesso costituisca un ostacolo alla determinazione delle condizioni originarie. Qualora un habitat sia stato danneggiato o distrutto, o una specie costretta ad abbandonarlo, può risultare molto difficile accertare le condizioni originarie sulla base di informazioni raccolte a posteriori. Ciò può essere particolarmente evidente nelle circostanze illustrate nella causa C-529/15, Folk, e nella causa C-297/19, Naturschutzbund Deutschland — Landesverband Schleswig-Holstein eV, ossia un’attività professionale che può aver causato effetti negativi in maniera cumulativa per un lungo periodo di tempo, impedendo le funzioni naturali di un habitat o eliminando la presenza di una specie protetta. L’esatta quantificazione degli elementi compromessi o perduti non è tuttavia necessaria, in quanto la definizione fa riferimento a condizioni «stimate». Si richiama qui anche alla causa C-374/98, Commissione/Francia (121), in cui la Corte indica che non si deve trarre vantaggio dal mancato adempimento degli obblighi della direttiva Uccelli: nel contesto della direttiva, l’operatore che, per un’azione illecita o per omissione, distrugge o danneggia gli elementi sulla base dei quali potrebbero essere raccolti dati (ad esempio tramite riempimento di una zona umida protetta a scopo di lucro) non deve trarre vantaggio da tale situazione rispetto a un operatore che agisce lecitamente.

113.

Pertinente in tale contesto è anche la causa C-157/89, Commissione/Italia, in cui la Corte ha considerato il concetto di migliori informazioni disponibili nel quadro della direttiva Uccelli, confermando il ruolo della letteratura scientifica autorevole di carattere generale qualora non sia disponibile letteratura più specifica (122).

114.

Anche se un sito è stato seriamente danneggiato, può essere possibile ottenere informazioni sulle condizioni originarie servendosi dei dati di osservazione della Terra esistenti. Inoltre, in caso di informazioni limitate, può essere opportuno stabilire le condizioni originarie servendosi dei dati di siti analoghi non interessati da un evento dannoso (ossia «siti di riferimento») o servendosi di modelli (123).

115.

La Commissione ha pubblicato una tabella Excel intitolata Biodiversity baseline condition (124). La tabella contiene moltissime fonti di informazioni a livello di Unione e di Stati membri, comprese informazioni specifiche per sito come i «formulari standard di dati» di tutti i siti Natura 2000, e fornisce anche approcci metodologici a livello nazionale e di Unione che aiutano a determinare le condizioni originarie delle specie e degli habitat naturali protetti (125).

116.

Il concetto di migliori informazioni disponibili racchiude anche la qualità delle informazioni utilizzate per stabilire le condizioni originarie, nonché le conclusioni tratte da tali informazioni. Occorre prestare attenzione all’attendibilità e alla validità delle informazioni nonché alle conclusioni da esse tratte, in particolare se l’operatore nega che si siano verificati o si verificheranno effetti negativi. A tal proposito è possibile fare riferimento alla causa C-209/02, Commissione/Austria, in cui la Corte ha rilevato che le autorità competenti non avevano tratto le corrette conclusioni da una valutazione scientifica dei probabili effetti di un progetto in un sito Natura 2000 (126).

117.

Per quanto riguarda la situazione successiva all’evento dannoso, l’allegato I, primo capoverso, prima frase, aiuta a contestualizzare le condizioni originarie in riferimento allo stato di conservazione, ai servizi offerti dai valori ricreativi e alla capacità di rigenerazione naturale. Questi elementi rappresentano i criteri contestuali generali, vale a dire ciò che generalmente è noto delle specie o degli habitat naturali protetti esposti agli effetti negativi dell’evento dannoso (la summenzionata tabella Excel intitolata Biodiversity baseline condition è concepita per essere d’aiuto a questo proposito). I riferimenti al territorio europeo degli Stati membri in cui si applica il trattato, al territorio di uno Stato membro e all’area naturale, presenti nella definizione di «stato di conservazione», consentono la determinazione di tale contesto a diversi livelli. Un habitat raro, endemico e geograficamente limitato, ad esempio, presenterà caratteristiche diverse rispetto a un habitat che si estende a più Stati membri.

118.

L’allegato I, primo capoverso, seconda frase, stabilisce che gli effetti negativi dovrebbero essere determinati con dati misurabili, e fornisce esempi in merito. Questa frase è intesa a sottolineare che gli effetti negativi riguardano mutamenti negativi e deterioramenti misurabili. I dati sono relativi sia alle aree e alle popolazioni specifiche interessate, sia alle specie e ai tipi di habitat interessati in senso più generale. Ciò implica che sia le informazioni riguardanti un determinato sito o una determinata popolazione, sia le informazioni di carattere più generale (come quelle reperibili nella letteratura scientifica, ad esempio) sono fondamentali:

il primo trattino si riferisce al «numero degli individui, loro densità o area coperta». Per le specie protette, può comprendere il numero di esemplari abbattuti o il numero di esemplari che hanno subito danni o altri pregiudizi. Per quanto riguarda gli habitat, l’area coperta può comprendere gli habitat delle specie protette, i siti di riproduzione e di riposo e gli habitat di cui all’allegato I della direttiva Habitat, e può riferirsi alla perdita di habitat e al relativo deterioramento, nonché alla compromissione dei servizi offerti da tali habitat;

il secondo trattino ha una finalità comparativa ed è volto a mettere in relazione gli esemplari e l’area interessati con la conservazione delle specie e degli habitat in oggetto valutata su scala più ampia. Il riferimento alla valutazione a livello locale, regionale e più alto è in accordo con il riferimento ai territori europei e degli Stati membri e all’area naturale nella definizione di «stato di conservazione». La valutazione e la determinazione dell’entità devono essere significative a livello locale. I riferimenti al livello nazionale ed europeo forniscono un ulteriore orientamento per permettere di collocare gli esemplari e gli habitat in diversi contesti geografici. Ciò non significa che gli effetti negativi devono essere dimostrati a livello nazionale ed europeo;

il terzo trattino verte sulle capacità di ripristino delle specie e degli habitat interessati, che, chiaramente, possono variare. Alcuni habitat hanno caratteristiche abiotiche che non sono in grado di rigenerarsi: un esempio figura nella causa C-258/11, Sweetman (127), in cui il pavimento di calcare citato risultava, nel contesto di una valutazione condotta ai sensi della direttiva Habitat, essere a rischio di distruzione permanente. Una situazione di perdita definitiva di tal genere potrebbe verosimilmente verificarsi nell’ambito della direttiva Responsabilità ambientale;

il quarto trattino è incentrato sul fattore temporale, ed è strettamente collegato al terzo. Il riferimento a un «breve tempo» e all’assenza di intervento dà adito alla possibilità che una specie o un habitat si ripristini rapidamente e spontaneamente. Occorre sottolineare tuttavia che il ripristino va sempre considerato in rapporto alle condizioni originarie, pertanto si deve tenere conto delle specificità dell’area e della popolazione interessate: ad esempio non va escluso che, a causa di fattori locali, il ripristino richieda più tempo rispetto ad altre zone. Non è definito cosa s’intenda per «in breve tempo», ma l’espressione implica che la specie o l’habitat deve essere almeno in grado di ripristinarsi rapidamente. Le specie con cicli di riproduzione lunghi e gli habitat di lenta formazione non avranno questa capacità.

119.

Come precedentemente rilevato, il processo di valutazione non è fine a se stesso, ma ha lo scopo di determinare se sia necessario adottare misure di prevenzione, gestire in modo immediato i fattori di danno e ricorrere a misure di riparazione, a seconda dei casi. Il processo di valutazione deve tener conto che il tempo è un fattore determinante nelle prime due finalità. Il testo della definizione di «danno alle specie e agli habitat naturali protetti» fa riferimento a una valutazione da condurre «tenendo conto» dei criteri enunciati nell’allegato I. Ciò dovrebbe consentire di concentrarsi sugli aspetti dell’allegato I necessari a determinare rapidamente la necessità di adottare misure di prevenzione o di gestione immediata dei fattori di danno. Ai fini delle misure di riparazione, sarebbe più opportuno condurre una valutazione più approfondita.

Determinazione dell’entità

120.

Ai fini delle misure di prevenzione e di gestione immediata dei fattori di danno, occorre determinare l’entità se dalla valutazione risulta, o dovesse risultare con ragionevole certezza che in mancanza di tali misure avranno luogo i mutamenti negativi o i deterioramenti menzionati ai paragrafi 121 e 122.

121.

Fatti salvi i criteri per la definizione del carattere non significativo del danno di cui ai paragrafi 124 e 125 e ai fini delle misure di riparazione relative agli habitat naturali, i mutamenti negativi saranno significativi e si verificheranno deterioramenti se nell’area dell’habitat naturale interessato si osserveranno una o più delle seguenti conseguenze:

la perdita misurabile definitiva o temporanea dell’area coperta dall’habitat;

il deterioramento misurabile della struttura o del funzionamento dell’habitat;

la riduzione misurabile definitiva o temporanea dell’area dell’habitat;

la perdita misurabile definitiva o temporanea di specie tipiche, o la riduzione della relativa area di ripartizione o degli habitat disponibili;

il deterioramento misurabile definitivo o temporaneo dei servizi naturali legati all’area, alla struttura e alle funzioni dell’habitat naturale e delle sue specie tipiche;

un intervallo misurabile fra il momento in cui si manifestano gli effetti negativi e il momento in cui sono ripristinate le condizioni originarie dell’area, della struttura, delle funzioni e delle specie tipiche.

122.

Fatti salvi i criteri per la definizione del carattere non significativo del danno di cui ai paragrafi 124 e 125 e ai fini delle misure di riparazione relative alle specie protette, i mutamenti negativi saranno significativi e si verificheranno deterioramenti se nella popolazione interessata si osserveranno una o più delle seguenti conseguenze:

la perdita misurabile permanente o temporanea di popolazione (compresa la perdita di uno o più esemplari) o il peggioramento dello stato di salute della popolazione, con ricadute sulle sue dinamiche nell’area in cui si manifestano gli effetti negativi. La perdita di popolazione può essere dovuta a morti causate dall’evento dannoso. Il peggioramento dello stato di salute di una popolazione può essere causato, ad esempio, da fenomeni dannosi come il bioaccumulo di tossine o modifiche genetiche nefaste in seguito a fecondazione incrociata con esemplari geneticamente modificati deliberatamente rilasciati nell’ambiente (128);

la riduzione misurabile definitiva o temporanea dell’area di ripartizione della specie interessata;

la riduzione misurabile definitiva o temporanea degli habitat di cui dispone la specie interessata per il suo mantenimento a lungo termine;

il deterioramento misurabile definitivo o temporaneo dei servizi naturali collegati alla perdita di popolazione, alla riduzione dell’area di ripartizione o alla riduzione degli habitat disponibili;

un intervallo misurabile fra il momento in cui si manifestano gli effetti negativi e il momento in cui sono ripristinate le condizioni originarie della popolazione, dell’estensione dell’area di ripartizione e della disponibilità di habitat.

123.

L’allegato I, secondo capoverso, dispone che il danno con un provato effetto sulla salute umana deve essere classificato come significativo. È possibile che un mutamento negativo in una specie o habitat naturale protetti possa anche avere effetti che, a causa dei fattori di danno coinvolti, sono rilevanti per la salute umana. Ad esempio, la contaminazione di un habitat naturale mediante sostanze tossiche può avere contemporaneamente un’incidenza negativa sulla salute degli esseri umani.

124.

L’ultimo capoverso dell’allegato I enumera i danni che non devono essere ritenuti significativi. Nella causa C-297/19, Naturschutzbund Deutschland — Landesverband Schleswig-Holstein eV, la Corte ha affermato che: «dall’uso della locuzione «non devono» risulta che gli Stati membri hanno la facoltà, in sede di trasposizione di tale direttiva, di considerare che tale danno sia o non sia significativo, ai sensi dell’allegato I della direttiva stessa» (129). La Corte ha rilevato altresì che le disposizioni di questo capoverso devono essere interpretate in senso stretto (130).

125.

Per quanto riguarda il contenuto dell’ultimo punto dell’allegato I:

il primo trattino fa riferimento alle variazioni negative inferiori alle normali fluttuazioni naturali. Ciò è legato alla possibilità che le condizioni originarie presentino una natura non statica, come menzionato al paragrafo 65. L’attenzione è rivolta all’entità delle variazioni negative rispetto alle variazioni naturali;

il secondo trattino fa riferimento alle variazioni negative dovute a cause naturali o alla normale gestione dei siti ed è stato analizzato nel dettaglio dalla Corte nell’ambito della causa C-297/19, Naturschutzbund Deutschland — Landesverband Schleswig Holstein e. V. La causa riguardava il drenaggio ordinario di una zona umida appartenente a Natura 2000 a opera di un ente pubblico per fini agricoli. Il drenaggio ha causato un calo dei livelli idrici, con effetti negativi per una specie di uccelli protetta, il mignattino (Chlidonias niger). La Corte ha affermato che il termine «normale gestione» fa riferimento sia ai documenti di gestione che ai documenti di indirizzo relativi all’habitat (che riguardano le misure di gestione condotte dalle autorità competenti), nonché alla gestione praticata anteriormente dai proprietari o dagli operatori (131). Ha rilevato che «per non privare il termine «normale» del suo utile effetto nel contesto della tutela dell’ambiente, va aggiunto che una gestione può essere considerata normale solo se è in linea con buone pratiche come, segnatamente, le buone pratiche agricole» (132). La Corte ha altresì rilevato che la gestione di un sito contemplato dalla direttiva Habitat e dalla direttiva Uccelli può riguardare attività agricole, compresa l’irrigazione, che possono tuttavia essere ritenute normali solo se soddisfano gli obiettivi e gli obblighi previsti da tali direttive (133). Tale decisione si applica a tutti i siti contemplati dalle direttive Natura, e non solo ai siti Natura 2000 (134). Per quanto riguarda i siti Natura 2000, è opportuno menzionare l’importanza di obiettivi adeguati di conservazione del sito;

il terzo trattino fa riferimento al ripristino naturale, in tempi brevi, delle condizioni di un habitat o di una specie, ritenute equivalenti o superiori alle condizioni originarie.

Esclusioni

126.

La definizione di «danno alle specie e agli habitat naturali protetti» ammette delle esclusioni facendo riferimento all’articolo 6, paragrafi 3 e 4, e all’articolo 16 della direttiva Habitat, nonché all’articolo 9 della direttiva Uccelli. Nella causa C-297/19, Naturschutzbund Deutschland — Landesverband Schleswig-Holstein, la Corte ha stabilito che tali esclusioni devono essere interpretate in senso stretto (135).

127.

È possibile trarre varie conclusioni dai riferimenti alle disposizioni delle direttive Natura.

128.

In primo luogo, il semplice fatto che esista un’autorizzazione ai sensi di una delle summenzionate disposizioni non comporta l’esclusione assoluta degli effetti negativi dall’ambito di applicazione del danno alle specie e agli habitat naturali protetti. Affinché gli effetti negativi possano essere esclusi:

devono essere stati precedentemente identificati;

l’azione che li ha generati deve essere stata espressamente autorizzata. Se un operatore viola le condizioni stabilite in un’autorizzazione (ad esempio sfruttando un habitat in misura maggiore rispetto a quanto concesso da un’autorizzazione), può emergere la responsabilità per gli effetti negativi dovuti al mancato rispetto dell’autorizzazione (136).

129.

In secondo luogo, la formulazione delle esclusioni indica che la responsabilità ai sensi della direttiva Responsabilità ambientale può emergere in situazioni in cui non sono presenti autorizzazioni di alcun tipo, ma sono applicabili le prescrizioni di cui all’articolo 6, paragrafo 3, e agli articoli 4 e 16 della direttiva Habitat e all’articolo 9 della direttiva Uccelli. Ciò avviene, ad esempio, quando un operatore avrebbe dovuto ottenere una deroga ai sensi dell’articolo 16 della direttiva Habitat per poter condurre lecitamente un’attività professionale ma non l’ha ottenuta (137).

6.   «DANNO ALLE ACQUE»

130.

Come si legge nel riquadro 3, in termini di ambito di applicazione materiale, il concetto di «danno alle acque» si riferisce a due categorie principali di acque: le acque interessate ai sensi della direttiva quadro Acque e le acque marine che rientrano nell’ambito di applicazione della direttiva quadro Strategia per l’ambiente marino. Le presenti linee guida esaminano queste due categorie separatamente.

A)   ACQUE INTERESSATE AI SENSI DELLA DIRETTIVA QUADRO ACQUE

Ambito di applicazione materiale e geografico delle acque interessate

131.

Per determinare l’ambito di applicazione materiale del concetto di «danno alle acque» è necessario capire cosa si intende con l’espressione «acque interessate». Il concetto di «acque» include tutte le acque oggetto della direttiva quadro Acque (cfr. il riquadro 8 in appresso), il cui scopo è «istituire un quadro per la protezione delle acque superficiali interne, delle acque di transizione, delle acque costiere e sotterranee» (138). Le acque menzionate in questa citazione sono quelle cui si applica la direttiva quadro Acque, a prescindere dalle loro dimensioni e caratteristiche (139). Altre definizioni utili sono riportate nel riquadro 9 in appresso. Le acque «interessate» sono quelle che hanno subito un danno.

Riquadro 8  Definizione di «acque»

All’articolo 2, punto 5, della direttiva Responsabilità ambientale con «acque» s’intendono «tutte le acque cui si applica la direttiva 2000/60/CE».

Riquadro 9  Definizioni relative alle «acque» che figurano nella direttiva quadro Acque

La direttiva quadro Acque definisce esplicitamente due categorie di base di acque, le «acque superficiali» e le «acque sotterranee».

Con il termine «acque superficiali», l’articolo 2, punto 1, della direttiva quadro Acque definisce «le acque interne, ad eccezione delle acque sotterranee; le acque di transizione e le acque costiere, tranne per quanto riguarda lo stato chimico, in relazione al quale sono incluse anche le acque territoriali».

Con il termine «acque sotterranee», l’articolo 2, punto 2, della direttiva quadro Acque definisce «tutte le acque che si trovano sotto la superficie del suolo nella zona di saturazione e a contatto diretto con il suolo o il sottosuolo».

Come è evidente, la definizione di «acque superficiali» fa riferimento a quattro sottocategorie di acque: «acque interne», «acque di transizione», «acque costiere» e «acque territoriali». Le prime tre sono a loro volta espressamente definite.

Con il termine «acque interne», l’articolo 2, punto 3, della direttiva quadro Acque definisce «tutte le acque superficiali correnti o stagnanti, e tutte le acque sotterranee all’interno della linea di base che serve da riferimento per definire il limite delle acque territoriali».

Con il termine «acque di transizione», l’articolo 2, punto 6, della direttiva quadro Acque definisce «i corpi idrici superficiali in prossimità della foce di un fiume, che sono parzialmente di natura salina a causa della loro vicinanza alle acque costiere, ma sostanzialmente influenzati dai flussi di acqua dolce».

Con il termine «acque costiere», l’articolo 2, punto 7, della direttiva quadro Acque definisce «le acque superficiali situate all’interno rispetto a una retta immaginaria distante, in ogni suo punto, un miglio nautico sul lato esterno dal punto più vicino della linea di base che serve da riferimento per definire il limite delle acque territoriali e che si estendono eventualmente fino al limite esterno delle acque di transizione».

132.

Come risulta chiaro dalle definizioni di cui al riquadro 9, l’ambito di applicazione geografico delle acque di superficie si estende alle acque costiere e, per quanto riguarda lo stato chimico, alle acque territoriali. Le acque territoriali si estendono nel mare fino a dodici miglia nautiche dalla linea di base. È possibile rilevare due ulteriori aspetti. In primo luogo, per quanto riguarda le acque superficiali, vi è una sovrapposizione con le acque marine, come evidenziato dal riquadro 12 in appresso. In caso di sovrapposizione, la direttiva quadro Acque prevale ai fini della direttiva Responsabilità ambientale (cfr. il riquadro 12 e il paragrafo 175). In secondo luogo, la direttiva quadro Acque comprende altre suddivisioni pertinenti delle acque, come indicato nel riquadro 10. In terzo luogo, quando si tratta di valutare l’entità degli effetti negativi sulle acque interessate ai sensi della direttiva quadro Acque, occorre tenere in considerazione i limiti geografici legati ai concetti di riferimento degli effetti negativi. Tali considerazioni sono svolte di seguito.

Riquadro 10 — Altre definizioni delle suddivisioni delle «acque» nella direttiva quadro Acque.

Ai sensi dell’articolo 2, punto 4, della direttiva quadro Acque, con «fiume» s’intende «un corpo idrico interno che scorre prevalentemente in superficie ma che può essere parzialmente sotterraneo».

Ai sensi dell’articolo 2, punto 5, della direttiva quadro Acque, con «lago» s’intende «un corpo idrico superficiale interno fermo».

Ai sensi dell’articolo 2, punto 8, della direttiva quadro Acque, con «corpo idrico artificiale» s’intende «un corpo idrico superficiale creato da un’attività umana».

Ai sensi dell’articolo 2, punto 9, della direttiva quadro Acque, con «corpo idrico fortemente modificato» s’intende «un corpo idrico superficiale la cui natura, a seguito di alterazioni fisiche dovute a un’attività umana, è sostanzialmente modificata, come risulta dalla designazione fattane dallo Stato membro in base alle disposizioni dell’allegato II».

Ai sensi dell’articolo 2, punto 10, della direttiva quadro Acque, con «corpo idrico superficiale» s’intende «un elemento distinto e significativo di acque superficiali, quale un lago, un bacino artificiale, un torrente, fiume o canale, parte di un torrente, fiume o canale, acque di transizione o un tratto di acque costiere».

Ai sensi dell’articolo 2, punto 12, della direttiva quadro Acque, con «corpo idrico sotterraneo» s’intende «un volume distinto di acque sotterranee contenute da una o più falde acquifere».

Ai sensi dell’articolo 2, punto 11, della direttiva quadro Acque, con «falda acquifera» s’intende «uno o più strati sotterranei di roccia o altri strati geologici di porosità e permeabilità sufficiente da consentire un flusso significativo di acque sotterranee o l’estrazione di quantità significative di acque sotterranee».

Concetti di riferimento per gli effetti negativi

133.

I concetti di riferimento per gli effetti negativi comprendono lo «stato ecologico [relativo alle acque superficiali], lo stato chimico [relativo sia alle acque superficiali che alle acque sotterranee], e/o lo stato quantitativo [relativo alle acque sotterranee] e/o il potenziale ecologico [relativo ai corpi idrici fortemente modificati e artificiali] quali definiti nella direttiva 2000/60/CE» delle acque interessate. Tenendo conto delle differenze fra lo stato chimico delle acque superficiali e quello delle acque sotterranee, si desume che vi sono cinque tipi distinti di stato, per la cui definizione occorre rifarsi alla direttiva quadro Acque. Come indicato nel riquadro 11 in appresso, i concetti di «stato ecologico» e di «stato quantitativo» sono definiti esplicitamente, mentre le definizioni di «stato chimico» e «potenziale ecologico» devono essere dedotte dalle definizioni di «buono stato chimico» e di «buon potenziale ecologico».

Riquadro 11 — Concetti di riferimento definiti nella direttiva quadro Acque.

La direttiva quadro Acque contiene definizioni precise di «stato ecologico» e di «stato qualitativo».

Ai sensi dell’articolo 2, punto 21, con «stato ecologico» s’intende l’«espressione della qualità della struttura e del funzionamento degli ecosistemi acquatici associati alle acque superficiali, classificato a norma dell’allegato V».

Ai sensi dell’articolo 2, punto 26, della direttiva quadro Acque, con «stato quantitativo» s’intende l’«espressione del grado in cui un corpo idrico sotterraneo è modificato da estrazioni dirette e indirette».

Sebbene definisca in modo esplicito lo «stato ecologico» e lo «stato quantitativo», la direttiva quadro Acque non fa altrettanto con il concetto di «stato chimico». Tuttavia l’articolo 2, punti 24 e 25, definiscono il «buono stato chimico delle acque superficiali» e il «buono stato chimico delle acque sotterranee» (grassetto aggiunto).

Con «buono stato chimico delle acque superficiali» s’intende lo «stato chimico richiesto per conseguire gli obiettivi ambientali per le acque superficiali fissati dall’articolo 4, paragrafo 1, lettera a), ossia lo stato raggiunto da un corpo idrico superficiale nel quale la concentrazione degli inquinanti non supera gli standard di qualità ambientali fissati dall’allegato IX (140), e in forza dell’articolo 16, paragrafo 7 e di altre normative comunitarie pertinenti che istituiscono standard di qualità ambientale a livello comunitario».

Con «buono stato chimico delle acque sotterranee» s’intende lo «stato chimico di un corpo idrico sotterraneo che risponde a tutte le condizioni di cui alla tabella 2.3.2 dell’allegato V (141)».

Analogamente, la direttiva quadro Acque non contiene una definizione esplicita di «potenziale ecologico», ma all’articolo 2, punto 23, definisce il «buon potenziale ecologico» come lo «stato di un corpo idrico artificiale o fortemente modificato, così classificato in base alle disposizioni pertinenti dell’allegato V».

134.

Ai sensi della direttiva quadro Acque, i cinque concetti di riferimento sono usati principalmente in relazione ai corpi idrici delimitati conformemente alla direttiva medesima e valutati sulla base di programmi di monitoraggio che lasciano agli Stati membri un margine di discrezione in termini di frequenze e siti da monitorare. Nell’ambito di tale quadro giuridico, i concetti, e il concetto di corpi idrici delimitati, sono usati principalmente per conseguire obiettivi a lungo termine tramite una gestione adeguata dei bacini idrografici e la pianificazione delle misure. A tale proposito, il documento di orientamento «Guidance document No. 2 Identification of Water Bodies» (142), un documento non vincolante elaborato nel quadro della strategia di attuazione comune della direttiva quadro Acque, rileva che il concetto di corpi idrici è utilizzato a fini di rendicontazione e valutazione della conformità agli obiettivi ambientali principali della direttiva; tuttavia la delimitazione di un corpo idrico è uno strumento e non costituisce di per sé un obiettivo.

135.

Nel quadro della direttiva Responsabilità ambientale, i cinque concetti di riferimento riguardano le stesse acque interessate, vale a dire le acque contemplate dalla direttiva quadro Acque, ma hanno finalità diverse, ossia sono i valori di riferimento per valutare il danno alle acque, ossia il danno che incide in modo significativamente negativo sugli elementi di qualità che definiscono tali concetti di riferimento.

136.

Come sarà ulteriormente dimostrato più avanti, i cinque concetti di riferimento rimandano a loro volta a vari altri concetti della direttiva quadro Acque di cui, in funzione delle acque che hanno subito un danno, occorrerà tenere conto quando si applica la definizione di «danno alle acque». Ai fini della direttiva Responsabilità ambientale, i cinque concetti possono essere suddivisi per motivi pratici in quelli che si riferiscono alle acque superficiali, ossia lo stato ecologico, il potenziale ecologico e lo stato chimico delle acque superficiali, e quelli che si riferiscono alle acque sotterranee, vale a dire lo stato chimico e lo stato quantitativo delle acque sotterranee.

137.

La definizione di «stato ecologico» fa riferimento alla qualità della struttura e del funzionamento degli ecosistemi acquatici associati alle acque superficiali, ed è classificato a norma dell’allegato V della direttiva quadro Acque. L’allegato V fa riferimento a cinque sottoclassi o suddivisioni delle acque superficiali: fiumi, laghi, acque di transizione, acque costiere, corpi idrici artificiali e fortemente modificati. Fiumi, laghi e corpi idrici artificiali e fortemente modificati sono di fatto ulteriori suddivisioni della sottoclasse delle «acque interne» di cui al precedente riquadro 9 e sono esplicitamente definite nella direttiva quadro Acque (cfr. riquadro 10). Lo «stato ecologico» riguarda fiumi, laghi, acque di transizione e acque costiere. L’allegato V contiene inoltre gli elementi di qualità relativi alle diverse sottoclassi e suddivisioni delle acque superficiali: elementi biologici, elementi idromorfologici a sostegno degli elementi biologici, elementi fisico-chimici generali a sostegno degli elementi biologici, inquinanti specifici per cui devono essere stabiliti standard di qualità ambientale a livello nazionale.

138.

Anche la definizione di «buon potenziale ecologico» rimanda all’allegato V e riguarda i corpi idrici artificiali o fortemente modificati. Più nello specifico, l’allegato V, punto 1.2.5, definisce il potenziale ecologico massimo, buono e sufficiente dei corpi idrici artificiali e fortemente modificati facendo riferimento agli stessi elementi di qualità utilizzati per lo stato ecologico degli altri corpi idrici superficiali più comparabili che figurano nell’allegato V, vale a dire fiumi, laghi, acque di transizione e acque costiere. Vi sono ripresi, nella misura del possibile, i valori relativi a tali elementi di qualità, tenendo conto nel contempo dell’inevitabile impatto delle condizioni fisiche risultanti dalle caratteristiche artificiali o fortemente modificate del corpo idrico interessato (ad esempio, un canale o un porto). Ciò significa che, come concetto di riferimento, il «potenziale ecologico» è strettamente collegato allo «stato ecologico».

139.

Dalla definizione di «buono stato chimico delle acque superficiali» è possibile dedurre che per le acque superficiali lo «stato chimico» riguarda le concentrazioni di inquinanti chimici. Dall’entrata in vigore della direttiva Responsabilità ambientale sono state adottate misure specifiche per lo stato chimico delle acque superficiali, nella fattispecie, ai sensi dell’articolo 16 della direttiva quadro Acque, è stata adottata la direttiva 2008/105/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2008, relativa a standard di qualità ambientale nel settore della politica delle acque, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive del Consiglio 82/176/CEE, 83/513/CEE, 84/156/CEE, 84/491/CEE e 86/280/CEE, nonché modifica della direttiva 2000/60/CE del Parlamento europeo e del Consiglio (143) («la direttiva sugli standard di qualità ambientale») e successive modifiche (144). Tra le disposizioni da essa previste vi sono standard di qualità per le sostanze prioritarie (pericolose) (145) nelle acque superficiali.

140.

Le definizioni di «buono stato chimico delle acque sotterranee» e di «stato quantitativo» si riferiscono entrambe ai «corpi idrici sotterranei», termine definito separatamente (cfr. il riquadro 10).

141.

Dalla definizione di «buono stato chimico delle acque sotterranee» è possibile dedurre che lo stato chimico delle acque sotterranee riguarda le concentrazioni di inquinanti chimici e la conduttività. La conduttività si basa sull’intrusione salina o di altro tipo (146). Ai sensi dell’articolo 17 della direttiva quadro Acque è stata adottata la direttiva 2006/118/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, sulla protezione delle acque sotterranee dall’inquinamento e dal deterioramento (147) («la direttiva Acque sotterranee»). La direttiva prevede, fra l’altro, standard a livello di Unione per quanto riguarda le concentrazioni di nitrati e pesticidi in queste acque (148), nonché l’obbligo per gli Stati membri di adottare soglie nazionali per una serie di altri inquinanti enumerati negli allegati.

Valutazione degli effetti negativi significativi

Circostanze

142.

Dall’articolo 3, paragrafo 1, lettera a), si desume che, a differenza del danno alle specie e agli habitat naturali protetti, la direttiva Responsabilità ambientale si applica solamente ai danni alle acque causati dalle attività professionali di cui all’allegato III, molte delle quali, come l’estrazione e l’arginazione (149) e lo scarico o l’immissione di inquinanti (150), riguardano molto da vicino le acque. Molte attività sono disciplinate dalla direttiva quadro Acque.

Contesto

143.

Al fine di valutare l’entità del danno in riferimento ai cinque concetti di riferimento, occorre distinguere le seguenti classi e suddivisioni del concetto di «acque»:

acque sotterranee;

fiumi;

laghi;

acque di transizione;

acque costiere; acque territoriali;

corpi idrici artificiali e fortemente modificati.

144.

Come già rilevato, è utile operare una distinzione di base fra il danno alle acque sotterranee e il danno alle acque superficiali, poiché è su questa distinzione che si basano i cinque concetti di riferimento. È possibile che gli effetti negativi interessino sia le acque sotterranee che le acque superficiali e più di una delle categorie in cui si suddividono le acque superficiali, ma in tal caso il danno dovrà essere valutato in riferimento a ogni classe o suddivisione interessata, poiché i concetti di riferimento e gli elementi di qualità variano in funzione della classe o della suddivisione. Per il danno alle acque superficiali, ad esempio, i concetti di riferimento di «stato ecologico» e «potenziale ecologico» è necessario considerare le varie suddivisioni delle acque superficiali di cui al precedente paragrafo.

145.

Occorre tenere conto anche della connessione fra i vari corpi idrici. L’inquinamento chimico può estendersi a varie classi e suddivisioni di acque, ad esempio come nel caso in cui lo sversamento di una sostanza chimica in un fiume causa, di conseguenza, l’inquinamento di un lago.

146.

Il concetto di «danno alle acque» si riferisce agli effetti negativi significativi sullo stato delle acque quale definito nella direttiva quadro Acque. È tuttavia importante tenere presente che il concetto di «danno» di cui all’articolo 2, punto 2, della direttiva Responsabilità ambientale racchiude non solo i mutamenti negativi misurabili delle acque ma anche il deterioramento misurabile dei servizi offerti dalle acque: gli effetti negativi riconducibili alla categoria di danno ambientale «danno alle acque» consistono pertanto non solo nei mutamenti misurabili delle acque ma anche nel deterioramento misurabile dei servizi offerti dalle acque. Ciò trova conferma nella formulazione dell’allegato II, punto 1, della direttiva Responsabilità ambientale, che nel trattare la riparazione del danno alle acque, alle specie e agli habitat naturali protetti considera sia le risorse naturali sia i servizi delle risorse naturali. D’altra parte, come già menzionato, il concetto di «danno» non è autonomo e deve essere interpretato alla luce della definizione di «danno ambientale» e, più nello specifico, di «danno alle acque». Il deterioramento dei servizi offerti dalle acque deve dunque essere accompagnato da effetti negativi significativi sullo stato delle acque interessate.

147.

Il danno alle acque può comportare la perdita di servizi alle specie e agli habitat naturali protetti: ad esempio, una specie protetta può dipendere da un fiume dalle particolari condizioni idromorfologiche.

148.

I danni alle acque possono altresì comportare la perdita di servizi destinati al pubblico, che può riguardare un insieme più o meno vasto di persone, ma anche singoli individui.

149.

Alcuni servizi, come la fornitura di acqua potabile e di acque di balneazione pulite, hanno particolare importanza per la salute pubblica. Un evento dannoso può contaminare una fonte di acqua potabile, ad esempio, rendendone insicuro l’uso a tale scopo.

150.

La direttiva quadro Acque prevede l’istituzione di un registro delle aree protette (151), che può essere utile per individuare determinati servizi e deterioramenti. Le aree protette includono anche le aree utilizzate per l’estrazione dell’acqua potabile; le aree designate per la protezione di specie acquatiche significative dal punto di vista economico; i corpi idrici intesi a scopo ricreativo, comprese le aree designate come acque di balneazione; e le aree designate per la protezione degli habitat e delle specie nelle quali mantenere o migliorare lo stato delle acque è importante per la loro protezione, compresi i siti pertinenti della rete Natura 2000 designati a norma delle direttive Natura.

151.

Nel quadro della direttiva quadro Acque, i cinque concetti di riferimento si riferiscono ai corpi idrici delimitati e sono utilizzati per determinare se i corpi idrici si trovano in buono stato (o hanno un buon potenziale) oppure, per quelli che non sono in buono stato, per valutare le carenze da colmare per raggiungere un buono stato e individuare le misure adeguate a tale scopo. Ai sensi della direttiva quadro Acque, lo stato dei corpi idrici è valutato sulla base di programmi di monitoraggio ed è riesaminato ogni sei anni. Nel quadro della direttiva Responsabilità ambientale, è importante tenere conto del contenuto di questa valutazione e della necessità di consentire l’identificazione più a breve termine di un effetto negativo significativo sullo stato dei corpi idrici, come definito nella direttiva quadro Acque. A tale proposito, l’espressione «che incida in modo significativamente negativo su [...] lo stato» non deve essere confusa con il deterioramento o il mutamento dello stato ai sensi della direttiva quadro Acque (sebbene possa ricomprenderli). Questa espressione deve essere letta alla luce dell’obiettivo della direttiva Responsabilità ambientale e del concetto di «danno», ossia è necessario tenere conto delle nozioni di mutamento negativo (misurabile) delle acque e di deterioramento dei servizi offerti dalle acque. In sede di interpretazione e uso dei cinque concetti di riferimento per valutare e determinare l’entità del danno effettivo alle acque occorre quindi tenere conto delle specificità della direttiva Responsabilità ambientale:

come precedentemente rilevato, all’articolo 2, punto 1, lettera b), della direttiva Responsabilità ambientale si legge che per «acque» s’intendono «tutte le acque cui si applica la direttiva 2000/60/CE»;

il deterioramento dei servizi naturali forniti dalle acque può riferirsi a zone acquatiche più limitate di quelle ricomprese nei corpi idrici delimitati ai sensi della direttiva quadro Acque. Ad esempio, la fornitura di acqua destinata al consumo umano potrebbe essere compromessa dalla contaminazione di un unico punto di estrazione;

l’area effettiva in cui si verificano i mutamenti negativi della risorsa naturale (diversi dal deterioramento dei servizi di una risorsa naturale) potrebbe non corrispondere esattamente ai confini di un unico corpo idrico delimitato, ma riguardare solo una parte di esso o estendersi su più corpi idrici;

nel contesto della direttiva quadro Acque, gli effetti riguardanti una parte di un corpo idrico sono stati presi in considerazione dalla Corte nella causa C-535/18, IL e a./Land Nordrhein-Westfalen, che riguardava il rischio di inquinamento chimico delle acque sotterranee causato dalla costruzione di un’autostrada. La Corte ha rilevato che il superamento della soglia in un solo punto di monitoraggio implicherebbe il deterioramento dello stato chimico di una parte significativa del corpo idrico, anche se sarebbe possibile classificare nel complesso il corpo idrico sotterraneo come avente un buono stato chimico sulla base dell’articolo 4, paragrafo 2, lettera c), della direttiva 2006/118/CE, tenendo conto, [fra l’altro], se del caso, dell’estensione del corpo idrico sotterraneo interessato. Inoltre la Corte ha sottolineato che il superamento di un valore soglia in uno dei punti di monitoraggio comporterebbe comunque un deterioramento del suo stato chimico ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 1, lettera b), punto i), della direttiva quadro Acque (152), e quindi la necessità d’intervento ai sensi della direttiva Acque sotterranee e della direttiva quadro Acque. Ciò dimostra che l’applicazione della direttiva Responsabilità ambientale a livelli diversi dall’intero corpo idrico non sarebbe in contrasto con l’approccio adottato per l’attuazione della direttiva quadro Acque e della direttiva Acque sotterranee.

152.

Detto questo, le circostanze di un evento dannoso specifico potrebbero richiedere l’applicazione della direttiva Responsabilità ambientale all’intero corpo idrico delimitato: ad esempio, la fuoriuscita di materiale tossico può interessare un intero lago; oppure un corpo idrico sotterraneo può costituire un’unità idrologica distinta ai fini dello stato quantitativo ed è possibile che gli elementi di stato relativi a questa categoria debbano essere valutati in relazione all’intero corpo idrico sotterraneo. È inoltre possibile che molte delle conoscenze esistenti sulle acque interessate siano a livello dei corpi idrici delimitati, dato che il monitoraggio ai sensi della direttiva quadro Acque è organizzato a questo livello.

Oggetto e svolgimento della valutazione

153.

Come nel caso del danno alle specie e agli habitat naturali protetti, anche l’entità degli effetti negativi del danno alle acque dovrebbe essere valutata rispetto alle condizioni originarie. L’espressione «condizioni originarie» non figura espressamente nella definizione di danno alle acque, ma, come si può leggere nel riquadro 4, la definizione di «condizioni originarie» copre tutte le risorse naturali e i servizi. Le condizioni originarie sono inoltre menzionate nell’allegato II, punto 1, sia nel quadro del danno alle acque che del danno alle specie e agli habitat naturali protetti.

154.

Dalla definizione di «condizioni originarie» si evince che la valutazione dell’entità dovrebbe riguardare l’area o le aree acquatiche che subiscono effetti negativi mettendone a confronto la condizione precedente e quella successiva all’evento dannoso.

155.

La direttiva quadro Acque prevede che i corpi idrici superficiali e sotterranei siano classificati in diverse categorie di stato ai sensi dell’allegato V della direttiva stessa. La classificazione riguarda gli elementi dello stato che devono servire sia per stimare le condizioni originarie sia per misurare i mutamenti negativi o i possibili effetti negativi e il deterioramento dei servizi ai sensi della direttiva Responsabilità ambientale. La classificazione già operata ai sensi dell’allegato V della direttiva quadro Acque può pertanto contribuire a determinare le condizioni dell’area o delle aree acquatiche che subiscono effetti negativi a causa di un evento dannoso. «Le migliori informazioni disponibili» non consistono tuttavia esclusivamente nelle informazioni tratte dall’attuazione della direttiva quadro Acque.

156.

Se si considera una suddivisione delle acque superficiali, ad esempio i fiumi, le categorie relative allo stato ecologico sono elevato, buono, sufficiente, scarso e cattivo (153).

157.

Per i fiumi classificati con uno stato ecologico elevato, buono e sufficiente, la direttiva quadro Acque fornisce una serie di descrizioni dettagliate di alcuni degli elementi di stato:

per quanto riguarda gli elementi di qualità biologica, sono descritti: fitoplancton, macrofite e fitobentos, macroinvertebrati bentonici e fauna ittica;

per quanto riguarda gli elementi di qualità idromorfologica, sono descritti: regime idrologico, continuità del fiume, condizioni morfologiche;

per quanto riguarda gli elementi di qualità fisico-chimica, sono descritti: condizioni generali, inquinanti sintetici specifici, inquinanti non sintetici specifici.

158.

Per quanto riguarda le acque sotterranee, il concetto di riferimento «stato quantitativo» è descritto con un solo elemento di stato, vale a dire il «livello delle acque sotterranee». Questa è la definizione completa: «[i]l livello di acque sotterranee nel corpo sotterraneo è tale che la media annua dell’estrazione a lungo termine non esaurisca le risorse idriche sotterranee disponibili. Di conseguenza, il livello delle acque sotterranee non subisce alterazioni antropiche tali da:

impedire il conseguimento degli obiettivi ecologici specificati all’articolo 4 per le acque superficiali connesse;

comportare un deterioramento significativo della qualità di tali acque;

recare danni significativi agli ecosistemi terrestri direttamente dipendenti dal corpo idrico sotterraneo.

Inoltre, alterazioni della direzione di flusso risultanti da variazioni del livello possono verificarsi, su base temporanea o permanente, in un’area delimitata nello spazio; tali inversioni non causano tuttavia l’intrusione di acqua salata o di altro tipo né imprimono alla direzione di flusso alcuna tendenza antropica duratura e chiaramente identificabile che possa determinare siffatte intrusioni» (154).

159.

Il concetto di riferimento dello stato chimico delle acque sotterranee è descritto con due elementi di stato, vale a dire «[elementi] generali» e «conduttività», che la direttiva quadro Acque definisce dettagliatamente, Gli elementi di stato «generali» sono così descritti: «[l]a composizione chimica del corpo idrico sotterraneo è tale che le concentrazioni di inquinanti:

sottoindicate non presentano effetti di intrusione salina o di altro tipo;

non superano gli standard di qualità applicabili ai sensi di altri atti normativi [dell’Unione], ai sensi dell’articolo 17;

non sono tali da impedire il conseguimento degli obiettivi ambientali di cui all’articolo 4 per le acque superficiali connesse né da comportare un deterioramento significativo della qualità ecologica o chimica di tali corpi né da recare danni significativi agli ecosistemi terrestri direttamente dipendenti dal corpo idrico sotterraneo».

160.

La descrizione del buono stato chimico degli elementi «generali» relativi alle acque sotterranee contiene evidenti riferimenti trasversali: come già rilevato, vi figura un riferimento agli standard di qualità a norma di altra legislazione in conformità dell’articolo 17 della direttiva quadro Acque; la direttiva Acque sotterranee ha di conseguenza stabilito standard per i nitrati e i pesticidi, nonché l’obbligo per gli Stati membri di fissare dei valori soglia a livello nazionale per una serie di altri inquinanti elencati nell’allegato II, parte A, della stessa direttiva.

161.

Tutti gli elementi summenzionati (e gli elementi corrispondenti per altre suddivisioni delle acque) possono essere utili quando si stimano le condizioni originarie e si misurano i mutamenti negativi. La natura dei fattori di danno, ossia la diversa natura cumulativa, sottrattiva, estrattiva o distruttiva, come menzionato al paragrafo 18, dovrebbe indicare quale insieme di elementi di stato potrebbe essere utile.

162.

Grazie alla diversa natura di questi elementi di stato, nonché alla possibile gamma di servizi differenti offerti da un corpo idrico, è possibile prendere in considerazione varie tecniche e metodologie per valutare e misurare sia le condizioni originarie sia i mutamenti negativi e i deterioramenti: tra queste, analisi chimiche, valutazione dell’habitat, misurazioni della tossicità e bioindicatori. In sede di stima delle condizioni originarie occorre tenere conto dei lavori già effettuati ai fini della classificazione e del monitoraggio ai sensi della direttiva quadro Acque. In mancanza di dati di monitoraggio per la stima delle condizioni originarie delle aree acquatiche che hanno subito effetti negativi, può essere possibile estrapolarli dai dati disponibili per aree acquatiche analoghe o da fonti di riferimento generali.

163.

Per quanto concerne il deterioramento dei servizi di una risorsa naturale, occorre tenere conto di tali servizi nel caso in cui un evento dannoso ha avuto un evidente effetto negativo significativo sullo stato di un corpo idrico. Se, ad esempio, un evento dannoso causa la contaminazione di una fonte di acqua potabile superficiale protetta in un lago e, nel contempo, incide in modo significativamente negativo sullo stato ecologico o chimico del lago, esso rientrerà nella definizione del danno alle acque ai sensi della direttiva Responsabilità ambientale. In tal caso, a condizione che l’evento dannoso sia lo stesso, non è necessario che i fattori di danno che causano il deterioramento del servizio e quelli che hanno effetti negativi significativi sullo stato corrispondano: ad esempio, se l’evento dannoso consiste nella fuoriuscita di acque reflue, i fattori di danno che determinano il deterioramento del servizio di acqua potabile possono consistere nell’introduzione di microrganismi nella fonte di acqua potabile, mentre i fattori di danno che causano effetti negativi significativi possono consistere nell’introduzione di nutrienti.

164.

Inoltre la portata del deterioramento dei servizi può non dipendere dalla sola definizione di «danno». Gli obiettivi specifici fissati per le aree protette che figurano nel registro delle aree protette a norma della direttiva quadro Acque possono avere un ruolo importante. Le definizioni di buono stato quantitativo delle acque sotterranee e di buono stato chimico delle acque sotterranee ai sensi della direttiva quadro Acque includono un chiaro riferimento alle condizioni volte a evitare il mancato conseguimento degli obiettivi ambientali stabiliti all’articolo 4 della direttiva medesima per le acque superficiali associate. Fra di essi sono inclusi gli obiettivi per le aree protette ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 1, lettera c), della direttiva quadro Acque. Per quanto riguarda la contaminazione delle acque sotterranee, che potrebbe compromettere la qualità dell’acqua potabile, la direttiva Acque sotterranee stabilisce anche l’obbligo di valutare lo stato chimico delle acque sotterranee tenendo conto del rischio posto dagli inquinanti per la qualità dell’acqua estratta per il consumo umano (155). Inoltre l’articolo 7, paragrafo 3, della direttiva quadro Acque prevede che gli Stati membri provvedano alla necessaria protezione dei corpi idrici usati per l’estrazione di acqua potabile al fine di impedire il peggioramento della loro qualità per ridurre il livello della depurazione necessaria alla produzione di acqua potabile. Alla luce di quanto esposto, tenendo conto della definizione di «danno», degli obiettivi specifici e degli ulteriori obblighi stabiliti ai sensi della direttiva quadro Acque e della direttiva Acque sotterranee al fine di garantire il buono stato dei corpi idrici sotterranei usati per l’estrazione di acqua potabile, è possibile concludere che gli eventi dannosi che comportano la necessità di un livello più elevato di depurazione per soddisfare le prescrizioni della direttiva Acqua potabile possono essere considerati danno alle acque ai sensi della direttiva Responsabilità ambientale (156).

165.

Vi sono tuttavia dei limiti. Ad esempio è possibile che un evento dannoso introduca microrganismi in un’area di acque superficiali: sebbene ciò possa risultare in un deterioramento del servizio di acqua potabile, l’evento dannoso non sarà considerato danno alle acque a meno che non possa essere dimostrato che inciderà negativamente anche su un elemento di stato. L’introduzione di microrganismi può però talvolta configurarsi come danno al terreno (cfr. la sezione delle presenti linee guida dedicata al danno al terreno).

166.

In sede di stima e di misurazione delle condizioni originarie e di qualsiasi mutamento e deterioramento, può essere necessario tenere conto dei fattori di danno con effetti duraturi. Ad esempio l’attuale operatore di un’attività professionale che scarica inquinanti in un corpo idrico può averne scaricato in modo continuativo in un arco di tempo che comprende un periodo anteriore al 30 aprile 2007 (cfr. il paragrafo 24): alcuni danni (sotto forma, ad esempio, di sedimenti inquinati in un fiume) possono risalire al periodo che precede l’attuazione della direttiva Responsabilità ambientale, ma i danni successivi potrebbero essere presi in considerazione; ad esempio, l’operatore può aver violato un obbligo di autorizzazione applicabile dopo il 30 aprile 2007. In tali circostanze sarà necessario distinguere il danno successivo da quello precedente ai fini della stima delle condizioni originarie e per misurare i mutamenti negativi e i deterioramenti.

Determinazione dell’entità

167.

Affinché gli effetti negativi siano significativi non è necessario che riguardino tutti gli elementi di stato potenzialmente pertinenti; devono però riguardarne almeno uno (157).

168.

Ai fini delle misure di prevenzione e di gestione immediata dei fattori di danno, occorre determinare l’entità se dalla valutazione risulta, o dovesse risultare con ragionevole certezza che in mancanza di tali misure si verificheranno i mutamenti negativi e i relativi deterioramenti menzionati al paragrafo 169.

169.

Ai fini delle misure di riparazione, i mutamenti negativi saranno significativi e si verificheranno di conseguenza deterioramenti se, nella o nelle aree dei corpi idrici interessati, causano:

una perdita misurabile definitiva o temporanea di un elemento di stato tale da privare l’area acquatica interessata delle caratteristiche dell’elemento di stato presenti nell’area prima che si verificasse il mutamento negativo o il deterioramento. Prendendo come concetto di riferimento ed elemento di stato lo stato ecologico e la fauna ittica di un fiume, gli effetti negativi saranno significativi se un evento dannoso, come la fuoriuscita di materiale tossico, provoca la morte dell’intera popolazione ittica dell’area acquatica interessata;

un deterioramento misurabile di un elemento di stato tale da privare l’area acquatica interessata delle caratteristiche dell’elemento di stato presenti nell’area prima che si verificasse il mutamento negativo o il deterioramento. Prendendo come concetto di riferimento ed elemento di stato lo stato ecologico e la fauna ittica di un fiume, gli effetti negativi saranno significativi se, nell’area interessata, l’evento dannoso fa sì che il livello di mortalità dei pesci superi sensibilmente i normali livelli di mortalità dei pesci (senza causare la morte dell’intera popolazione ittica). Per fare un altro esempio, se si prendono come concetto di riferimento lo stato quantitativo e come elemento di stato il livello di acque sotterranee in un corpo idrico sotterraneo, gli effetti negativi saranno significativi se il livello delle acque sotterranee si riduce o si è ridotto a un punto tale da superare sensibilmente le risorse delle acque sotterranee disponibili;

un deterioramento misurabile dei servizi naturali collegati agli elementi di stato che hanno subito una perdita o un deterioramento. Prendendo lo stesso esempio della fauna ittica di un fiume, se il fiume è protetto ai fini della pesca ricreativa, si verificherà un deterioramento se l’evento dannoso causa una riduzione nell’area acquatica della disponibilità di pesci destinati alla pesca ricreativa;

un intervallo misurabile fra il momento in cui si manifestano gli effetti negativi e il momento in cui sono ripristinate le condizioni originarie degli elementi di stato in oggetto. Prendendo lo stesso esempio della fauna ittica in un fiume, gli effetti negativi saranno significativi se, nonostante l’applicazione delle misure di riparazione, causeranno una riduzione della popolazione ittica per un periodo che supera sensibilmente i periodi corrispondenti al tasso di fluttuazione naturale della popolazione ittica. Tale intervallo temporale rappresenterà una perdita temporanea di una risorsa naturale e di qualsiasi servizio associato e necessiterà di una misura di riparazione compensativa (158). La misura di riparazione compensativa deve essere prevista per l’intero periodo di recupero; tale periodo deve pertanto essere calcolato.

170.

Come rilevato precedentemente, affinché gli effetti negativi siano significativi non è necessario che causino un cambiamento della classificazione ai fini della direttiva quadro Acque, sebbene il passaggio a una categoria di stato inferiore costituirebbe un esempio di effetto negativo significativo. Per analogia, nella causa C-461/13, Bund für Umwelt und Naturschutz Deutschland eV/Bundesrepublik Deutschland, che riguardava la direttiva quadro Acque, la Corte ha deliberato che il concetto di «deterioramento dello stato» di un corpo idrico superficiale di cui all’articolo 4, paragrafo 1, lettera a), punto i), della direttiva quadro Acque deve essere interpretato nel senso che si è in presenza di un deterioramento non appena lo stato di almeno uno degli elementi di qualità, ai sensi dell’allegato V della direttiva, si degradi di una classe, anche se tale deterioramento non si traduce in un deterioramento nella classificazione, nel complesso, del corpo idrico superficiale (159). Se tuttavia l’elemento di qualità, ai sensi di suddetto allegato, si trova già nella classe più bassa, qualunque suo deterioramento costituisce un «deterioramento dello stato» di un corpo idrico superficiale, ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 1, lettera a), punto i) (160).

171.

Per il «danno alle acque», la direttiva Responsabilità ambientale non prevede criteri equivalenti a quelli dell’allegato I per la valutazione e la determinazione dell’entità del «danno alle specie e agli habitat naturali protetti». Né tantomeno prevede l’opzione, presente in detto allegato, di trattare alcuni effetti negativi come non significativi. Tuttavia l’allegato II, punto 1.3.3, prevede che le autorità competenti abbiano un certo margine di discrezione nel determinare la portata delle misure di riparazione da adottare in riferimento a un determinato evento dannoso.

Esclusione

172.

La definizione di «danno alle acque» esclude dal suo ambito di applicazione gli effetti negativi ove si applichi l’articolo 4, paragrafo 7, della direttiva quadro Acque. Sebbene la direttiva quadro Acque miri al raggiungimento di un buono stato per tutti i corpi idrici entro il 2015 (o il 2027, in caso di applicazione delle deroghe temporanee) e vieti inoltre l’ulteriore deterioramento dei corpi idrici, l’articolo 4, paragrafo 7, consente che nuove modifiche/nuovi progetti alterino lo stato del corpo idrico a condizione che siano rispettati i rigorosi criteri ivi fissati. Dal momento che, in tali circostanze, il deterioramento è accettabile nel quadro della direttiva quadro Acque, il danno alle acque da ciò derivante non è soggetto alla direttiva Responsabilità ambientale. Tuttavia, come è possibile dedurre dalla causa C-297/19, Naturschutzbund Deutschland — Landesverband Schleswig-Holstein, tale esclusione deve essere interpretata in senso stretto (161).

173.

L’articolo 4, paragrafo 7, della direttiva quadro Acque prevede il rispetto di diverse condizioni, fra cui l’adozione di tutte le misure pratiche volte a mitigare l’impatto negativo sullo stato del corpo idrico (162). Per poter beneficiare dell’esclusione di cui all’articolo 4, paragrafo 7, nel quadro della direttiva Responsabilità ambientale, l’operatore economico deve perciò soddisfare qualsiasi condizione di mitigazione connesse a un’autorizzazione ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 7. Inoltre, anche qualora sia ottenuta un’autorizzazione ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 7, la direttiva Responsabilità ambientale si applicherà al danno alle acque derivante dal mancato rispetto di tali condizioni (163).

174.

Nella causa C-529/15, Folk, la Corte ha considerato l’applicazione dell’esclusione ex articolo 4, paragrafo 7, nella definizione di «danno alle acque». Ha rilevato che «nell’ipotesi in cui sia stata rilasciata un’autorizzazione in applicazione di disposizioni nazionali, senza il previo esame delle condizioni indicate all’articolo 4, paragrafo 7, lettere da a) a d), della direttiva 2000/60, il giudice nazionale non è tenuto a verificare d’ufficio se le condizioni previste in tale disposizione siano soddisfatte, ai fini dell’accertamento di un danno ambientale ai sensi dell’articolo 2, punto 1, lettera b), della direttiva 2004/35». Anche questa causa sottolinea la necessità di un’applicazione in senso stretto della deroga. Un giudice nazionale avrà il diritto di negare la deroga qualora l’autorità competente non abbia dimostrato il pieno rispetto dei criteri rigorosi di cui all’articolo 4, paragrafo 7.

B)   ACQUE MARINE INTERESSATE AI SENSI DELLA DIRETTIVA QUADRO STRATEGIA PER L’AMBIENTE MARINO

Ambito di applicazione materiale e geografico delle acque marine

Riquadro 12 — Definizione di «acque marine» ai sensi della direttiva quadro Strategia per l’ambiente marino.

Ai sensi dell’articolo 3, punto 1, della direttiva quadro Strategia per l’ambiente marino, le «acque marine» sono definite come segue:

«a)

acque, compresi il fondale e il sottosuolo, situate al di là della linea di base che serve a misurare l’estensione delle acque territoriali fino ai confini della zona su cui uno Stato membro ha e/o esercita diritti giurisdizionali, in conformità dell’UNCLOS, escluse le acque adiacenti ai paesi e ai territori indicati nell’allegato II del trattato e ai dipartimenti e alle collettività territoriali francesi d’oltremare; e

b)

acque costiere quali definite nella direttiva 2000/60/CE, il loro fondale e sottosuolo, nella misura in cui aspetti specifici dello stato ecologico dell’ambiente marino non siano già trattati nella presente direttiva o in altra normativa comunitaria».

175.

Si può constatare che la definizione di «acque marine» contenuta nella direttiva quadro Strategia per l’ambiente marino ricomprende le «acque costiere» definite nella direttiva quadro Acque, e che la direttiva quadro Strategia per l’ambiente marino si applica a queste ultime nella misura in cui aspetti specifici dello stato ecologico delle acque marine non siano già trattati dalla direttiva quadro Acque o da altra normativa dell’Unione (164). Vi è inoltre una sovrapposizione con l’ambito di applicazione delle «acque territoriali» di cui alla direttiva quadro Acque: questo strumento si applica nelle acque territoriali ogniqualvolta il danno riguarda lo stato chimico.

Concetto di riferimento per gli effetti negativi

176.

Il concetto di riferimento per gli effetti negativi sulle «acque marine» è il loro «stato ecologico» quale definito nella direttiva quadro Strategia per l’ambiente marino (cfr. il riquadro 13 in appresso). Come rilevato precedentemente, la definizione di «acque marine» esclude alcuni aspetti dello stato ecologico già affrontati dalla direttiva quadro Acque o da altra normativa dell’Unione, in particolare le direttive Natura (cfr. il paragrafo 95).

Riquadro 13 — Definizione di «stato ecologico»

Ai sensi dell’articolo 3, punto 4, della direttiva quadro Strategia per l’ambiente marino, lo «stato ecologico» è definito come

«stato generale dell’ambiente nelle acque marine, tenuto conto della struttura, della funzione e dei processi degli ecosistemi marini che lo compongono, nonché dei fattori fisiografici, geografici, biologici, geologici e climatici naturali e delle condizioni fisiche, acustiche e chimiche, comprese quelle risultanti dalle attività umane all’interno o all’esterno della zona considerata».

177.

La direttiva quadro Acque affronta già gli aspetti seguenti per quanto riguarda le acque costiere: concentrazioni di sostanze chimiche, elementi biologici, elementi idromorfologici a sostegno degli elementi biologici, elementi chimici e fisico-chimici a sostegno degli elementi biologici, elementi generali e inquinanti specifici. Inoltre la direttiva quadro Acque disciplina la concentrazione delle sostanze chimiche nelle acque territoriali.

178.

Le direttive Natura tutelano già gli habitat e le specie marine che rientrano nel loro ambito di applicazione. Inoltre esse si applicano all’ambiente marino, comprese la zona economica esclusiva e la piattaforma continentale su cui lo Stato membro esercita la propria giurisdizione (cfr. il paragrafo 95).

Valutazione degli effetti negativi significativi

Circostanze

179.

Come nel caso delle acque interessate dalla direttiva quadro Acque, gli effetti negativi ai fini della direttiva Responsabilità ambientale saranno pertinenti solo ove sussista un nesso di causalità con le attività professionali di cui all’allegato III della direttiva Responsabilità ambientale. La natura di tali attività dovrebbe indicare la natura probabile dei fattori di danno che potrebbero provocare effetti negativi nelle acque marine e il relativo deterioramento dei servizi.

180.

Le attività professionali seguenti ai sensi dell’allegato III della direttiva Responsabilità ambientale (165) sono quelle che con più probabilità causano danni alle acque marine:

le attività industriali di cui all’allegato III, punto 1, ossia il funzionamento di impianti soggetti ad autorizzazione, conformemente alla direttiva 96/61/CE del Consiglio, del 24 settembre 1996, sulla prevenzione e la riduzione integrate dell’inquinamento (166). Ad esempio, la raffinazione di olio minerale e gas nelle aree portuali può comportare l’inquinamento delle acque costiere;

le attività di gestione dei rifiuti di cui all’allegato III, punto 2, vale a dire la raccolta, il trasporto, il recupero e lo smaltimento di rifiuti e rifiuti pericolosi soggetti ad autorizzazione o registrazione conformemente alle direttive del Consiglio 75/442/CEE relativa ai rifiuti e 91/689/CEE relativa ai rifiuti pericolosi (167). Ad esempio, il danno può risultare dallo scarico intenzionale di rifiuti in mare o da una cattiva gestione delle discariche lungo la costa (168);

la fabbricazione, il trattamento, l’interramento, il rilascio nell’ambiente ai sensi dell’allegato III, punto 7, lettera a), delle sostanze pericolose di cui all’articolo 2, paragrafo 2, della direttiva 67/548/CEE del Consiglio, del 27 giugno 1967, concernente il ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri relative alla classificazione, all’imballaggio e all’etichettatura delle sostanze pericolose (169). Ad esempio, nelle acque marine soggette alla giurisdizione di uno Stato membro possono verificarsi incidenti e sversamenti in mare causati da operazioni offshore nel settore degli idrocarburi (ovvero attività di esplorazione e sfruttamento). Occorre rilevare che la direttiva 2013/30/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 giugno 2013, sulla sicurezza delle operazioni in mare nel settore degli idrocarburi e che modifica la direttiva 2004/35/CE (170) («direttiva sulla sicurezza delle operazioni in mare») comprende ulteriori disposizioni e definizioni specifiche, in particolare all’articolo 2, punti 5, 11, 15 e 16 e all’articolo 7. Non è dunque l'«operatore» ma il «licenziatario» di un’operazione in mare di esplorazione o di produzione che causa il danno ambientale a essere responsabile ai sensi della direttiva Responsabilità ambientale;

le attività di spedizione ai sensi dell’allegato III, punto 8, ossia il trasporto per mare, relativamente alle condizioni minime necessarie per le navi dirette a porti marittimi della Comunità o che ne escono e che trasportano merci pericolose o inquinanti, quali definite dalla direttiva 93/75/CEE del Consiglio (171). Il trasporto per mare può riguardare grandi quantità di merci spedite in container, e la perdita di container in mare può costituire un evento dannoso;

la spedizione transfrontaliera di rifiuti all’interno dell’Unione europea, nonché in entrata e in uscita dal suo territorio ai sensi dell’allegato III, punto 12 (che esiga un’autorizzazione o sia vietata ai sensi del regolamento (CEE) n. 259/93 del Consiglio) (172). Ad esempio, i rifiuti possono andare perduti in mare nel corso di una spedizione di rifiuti.

181.

La tabella 2b «Usi e attività umane presenti nell’ambiente marino o che incidono su di essi» nella direttiva (UE) 2017/845 della Commissione (173) contiene indicazioni utili a individuare le attività che possono causare un danno alle acque marine, anche se ai fini dell’applicazione della direttiva Responsabilità ambientale valgono solo le attività professionali menzionate anche all’allegato III di quest’ultima.

182.

La direttiva Responsabilità ambientale, all’articolo 4, paragrafi 2 e 3, prevede eccezioni per il danno alle acque marine, che è opportuno menzionare: ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2, la direttiva non si applica a una minaccia imminente o a un danno effettivo alle acque marine a seguito di un incidente per il quale la responsabilità o l’indennizzo rientrano nell’ambito di applicazione di una delle convenzioni internazionali elencate nell’allegato IV (174); ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 3, è fatto salvo il diritto dell’operatore di limitare la propria responsabilità conformemente alla legislazione nazionale che attua alcune convenzioni internazionali (175).

Svolgimento della valutazione

183.

Come nel caso del danno alle specie e agli habitat naturali protetti, e del danno alle acque ai sensi della direttiva quadro Acque, l’entità degli effetti negativi dovrebbe essere valutata rispetto alle condizioni originarie. Come precedentemente rilevato, la definizione di «condizioni originarie» copre tutte le risorse naturali e i servizi. Le condizioni originarie sono inoltre menzionate nell’allegato II, punto 1, sia nel quadro del danno alle acque che del danno alle specie e agli habitat naturali protetti.

184.

Dalla definizione di «condizioni originarie» si evince che la valutazione dell’entità degli effetti negativi dovrebbe riguardare l’area o le aree delle acque marine che subiscono effetti negativi mettendone a confronto la condizione precedente e quella successiva all’evento dannoso. Ai fini della valutazione occorre avvalersi delle migliori informazioni disponibili.

185.

Gli effetti negativi comportano un mutamento negativo nelle acque marine, che può generare anche un deterioramento dei servizi offerti dalle acque marine rispetto alle condizioni originarie. Per quanto riguarda altre categorie di risorse naturali, le acque marine forniscono servizi agli habitat naturali e alle specie protette che li abitano, come i flussi di marea nel caso di taluni habitat costieri, oppure risorse alimentari nel caso di mammiferi o uccelli marini. Pur non essendo limitati alle aree marine protette, come i siti Natura 2000 designati a norma delle direttive Natura, tali servizi vi svolgono un ruolo particolarmente importante per il conseguimento degli obiettivi di conservazione dei siti. La nozione di servizi include anche i servizi per le persone: le acque marine non solo forniscono pesci e altri prodotti per l’alimentazione umana, ma offrono anche opportunità ricreative, come ad esempio l’osservazione delle balene.

186.

Per quanto riguarda il concetto di riferimento «stato ecologico», è opportuno tenere conto dei lavori previsti dalla direttiva quadro Strategia per l’ambiente marino come punto di partenza per stimare le condizioni originarie e i mutamenti o i relativi deterioramenti.

187.

L’articolo 8 della direttiva quadro Strategia per l’ambiente marino dispone che gli Stati membri svolgano una valutazione iniziale delle acque marine per preparare le strategie per le acque marine ai sensi della stessa direttiva. L’articolo 17 della direttiva quadro Strategia per l’ambiente marino prevede una revisione della valutazione iniziale ogni sei anni. Per praticità queste valutazioni sono indicate nelle presenti linee guida come «valutazioni a norma della direttiva quadro Strategia per l’ambiente marino», al fine di distinguerle dalla valutazione degli effetti negativi significativi ai sensi della direttiva Responsabilità ambientale.

188.

La direttiva quadro Strategia per l’ambiente marino usa il concetto di «buono stato ecologico» (cfr. il riquadro 14).

Riquadro 14 — Ai sensi dell’articolo 3, punto 5, della direttiva quadro Strategia per l’ambiente marino, il «buono stato ecologico» è definito come segue:

«5.

“buono stato ecologico”: stato ecologico delle acque marine tale per cui queste preservano la diversità ecologica e la vitalità di mari ed oceani che siano puliti, sani e produttivi nelle proprie condizioni intrinseche e l’utilizzo dell’ambiente marino resta ad un livello sostenibile, salvaguardando in tal modo il potenziale per gli usi e le attività delle generazioni presenti e future, vale a dire:

a)

la struttura, le funzioni e i processi degli ecosistemi che compongono l’ambiente marino, assieme ai fattori fisiografici, geografici, geologici e climatici, consentono a detti ecosistemi di funzionare pienamente e di mantenere loro resilienza ad un cambiamento ambientale dovuto all’attività umana. Le specie e gli habitat marini sono protetti, viene evitata perdita di biodiversità dovuta all’attività umana e le diverse componenti biologiche funzionano in modo equilibrato;

b)

le proprietà idromorfologiche e fisico-chimiche degli ecosistemi, ivi comprese proprietà derivanti dalattività umane nella zona interessata, sostengono gli ecosistemi come sopra descritto. Gli apporti antropogenici di sostanze ed energia, compreso il rumore, nell’ambiente marino non causano effetti inquinanti.

Il buono stato ecologico è determinato a livello di regione o sottoregione marina di cui all’articolo 4, in base ai descrittori qualitativi di cui all’allegato I. Per conseguire un buono stato ecologico, si applica la gestione adattativa basata sull’approccio ecosistemico».

189.

Per quanto concerne alla valutazione iniziale di cui alla direttiva quadro Strategia per l’ambiente marino, l’articolo 9, paragrafo 1, della stessa prevede che gli Stati membri definiscano, per ogni regione o sottoregione marina interessata, una serie di requisiti di buono stato ecologico sulla base degli undici descrittori qualitativi di cui all’allegato I, e riportati nel riquadro 15 sottostante. Le regioni (176) e le sottoregioni (177) marine di cui alla direttiva Strategia per l’ambiente marino sono definite all’articolo 4, paragrafi 1 e 2.

Riquadro 15 — Descrittori qualitativi per la determinazione del buono stato ecologico

1)

La biodiversità è mantenuta. La qualità e la presenza di habitat nonché la distribuzione e l’abbondanza delle specie sono in linea con le prevalenti condizioni fisiografiche, geografiche e climatiche.

2)

Le specie non indigene introdotte dalle attività umane restano a livelli che non alterano negativamente gli ecosistemi.

3)

Le popolazioni di tutti i pesci e molluschi sfruttati a fini commerciali restano entro limiti biologicamente sicuri, presentando una distribuzione della popolazione per età e dimensioni indicativa della buona salute dello stock.

4)

Tutti gli elementi della rete trofica marina, nella misura in cui siano noti, sono presenti con normale abbondanza e diversità e con livelli in grado di assicurare l’abbondanza a lungo termine delle specie e la conservazione della loro piena capacità riproduttiva.

5)

È ridotta al minimo l’eutrofizzazione di origine umana, in particolare i suoi effetti negativi come perdite di biodiversità, degrado dell’ecosistema, proliferazione dannosa di alghe e carenza di ossigeno nelle acque di fondo.

6)

L’integrità del fondo marino è ad un livello tale da garantire che le strutture e le funzioni degli ecosistemi siano salvaguardate e gli ecosistemi bentonici, in particolare, non abbiano subito danni.

7)

La modifica permanente delle condizioni idrografiche non influisce negativamente sugli ecosistemi marini.

8)

Le concentrazioni dei contaminanti presentano livelli che non danno origine a effetti inquinanti.

9)

I contaminanti presenti nei pesci e in altri frutti di mare destinati al consumo umano non eccedono i livelli stabiliti dalla legislazione comunitaria o da altre norme pertinenti.

10)

Le proprietà e le quantità di rifiuti marini non provocano danni all’ambiente costiero e marino.

11)

L’introduzione di energia, comprese le fonti sonore sottomarine, è a livelli che non hanno effetti negativi sull’ambiente marino.

190.

La Commissione ha adottato una decisione (178) sui criteri e le norme metodologiche per ciascuno degli undici descrittori che gli Stati membri devono utilizzare per determinare il buono stato ecologico (179). I seguenti elementi sono rilevanti per la determinazione e il conseguimento di un buono stato ecologico: «elementi dei criteri» (180), valori di soglia (181) per ogni criterio (182), livelli qualitativi (183), la misura in cui i valori di soglia sono stati o devono essere raggiunti (184) e gli elenchi indicativi di caratteristiche, pressioni e impatti (185). Sono altresì importanti le interrelazioni fra tali elementi (186).

191.

È sullo sfondo di tutti questi elementi che si svolge la valutazione del danno alle acque marine ai sensi della direttiva Responsabilità ambientale.

192.

Rispetto alle valutazioni a norma della direttiva quadro Strategia per l’ambiente marino, la valutazione del danno alle acque marine ai sensi della direttiva Responsabilità ambientale richiede una procedura più specifica, determinata dalla necessità di stabilire le condizioni originarie dell’area delle acque marine interessate dall’evento dannoso, nonché i mutamenti dello stato ecologico delle acque marine interessate e il deterioramento dei servizi offerti dall’area. Ciò detto, le valutazioni a norma della direttiva quadro Strategia per l’ambiente marino riguardano lo stato ecologico delle macrozone marine in cui si trovano le acque marine interessate dal danno. In tal modo le valutazioni a norma della direttiva quadro Strategia per l’ambiente marino dovrebbero fornire informazioni utili a stimare le condizioni originarie. Inoltre le valutazioni, insieme ai criteri e alle norme metodologiche che la direttiva prevede per determinare le caratteristiche del buono stato ecologico, agevolano la valutazione dei mutamenti negativi e dei deterioramenti ai sensi della direttiva Responsabilità ambientale, poiché consentono di conoscere più fondo sia gli elementi costitutivi dello stato ecologico che servono per la valutazione, sia i mutamenti e i deterioramenti che possono avere una certa rilevanza.

193.

La valutazione di un singolo evento dannoso nelle acque marine dovrebbe dunque basarsi sulla definizione di «buono stato ecologico» di cui all’articolo 3, punto 5, della direttiva quadro Strategia per l’ambiente marino, sui descrittori qualitativi summenzionati per determinare il buono stato ecologico, sui criteri e sulle norme metodologiche per determinare il buono stato ecologico ai sensi della decisione (UE) 2017/848, nonché sulle caratteristiche del buono stato ambientale stabilite dagli Stati membri a norma dell’articolo 9, paragrafo 1, della direttiva quadro Strategia per l’ambiente marino e aggiornate in applicazione dell’articolo 17 della stessa. La valutazione a norma della direttiva Responsabilità ambientale dovrebbe basarsi inoltre sugli elenchi indicativi delle caratteristiche, delle pressioni e degli impatti di cui alla direttiva quadro Strategia per l’ambiente marino.

194.

Per quanto riguarda lo «stato ecologico», tutti i descrittori qualitativi intesi a determinare il buono stato ecologico possono servire a stimare le condizioni di base e misurare il mutamento negativo o il deterioramento dei servizi naturali; per i descrittori utili, è opportuno tenere conto delle considerazioni menzionate nei precedenti paragrafi, vale a dire i criteri, le norme metodologiche, determinate caratteristiche del buono stato ecologico e gli elenchi indicativi di caratteristiche, pressioni e impatti.

195.

Può essere necessario accertare un danno applicando più di uno dei descrittori qualitativi (187); per contro, basta che solo uno dei descrittori qualitativi nell’area del danno indichi un effetto negativo per stabilire che le acque marine hanno subito un danno.

196.

Nella pratica è probabile che non tutti i descrittori abbiano la stessa rilevanza per la valutazione di un caso di danno alle acque marine ai sensi della direttiva Responsabilità ambientale. Tenendo conto delle attività professionali di cui all’allegato III della direttiva Responsabilità ambientale e dei fattori di danno che possono essere associati ad eventi dannosi ad esse correlati, i descrittori 1, 5, 8, 10 e 11 elencati nel riquadro 15 sono probabilmente quelli più rilevanti.

Determinazione degli effetti negativi significativi

197.

Occorre distinguere tra la portata della valutazione e della determinazione degli effetti negativi significativi sulle acque marine ai sensi della direttiva Responsabilità ambientale e quella della valutazione ai sensi della direttiva quadro Strategia per l’ambiente marino. La direttiva Responsabilità ambientale si basa sul contenuto della direttiva quadro Strategia per l’ambiente marino, ed entrambe le direttive utilizzano termini e concetti comuni e perseguono obiettivi analoghi. Ad esempio, l’articolo 1, paragrafo 2, lettera a), della direttiva quadro Strategia per l’ambiente marino prevede che le strategie per l’ambiente marino debbano essere elaborate e attuate al fine di proteggere e preservare l’ambiente marino, prevenirne il degrado o, laddove possibile, ripristinare gli ecosistemi marini nelle zone in cui abbiano subito danni. Ma la scala d’intervento prevista da ciascuna direttiva è diversa. In particolare, la portata della valutazione e della determinazione ai sensi della direttiva Responsabilità ambientale deve essere ridotta al fine di misurare in maniera significativa gli effetti rilevanti di un evento dannoso rispetto alle condizioni originarie e contribuire così agli obiettivi della direttiva stessa.

198.

In tale contesto, l’entità degli effetti negativi sullo stato dell’ambiente marino deve essere determinata in base alle condizioni originarie e ai dati misurabili relativi ai mutamenti negativi e ai deterioramenti correlati. Ai fini delle misure di riparazione, i mutamenti negativi saranno significativi se, nell’area o nelle aree delle acque marine interessate, comportano una perdita misurabile definitiva o temporanea dello stato di un descrittore qualitativo in combinazione con l’elenco indicativo di caratteristiche, pressioni e impatti, tenuto conto degli «elementi dei criteri» e del «valore di soglia», quali definiti nella direttiva quadro Strategia per l’ambiente marino, cosicché l’area delle acque marine interessate non è più conforme allo stato ecologico che avrebbe avuto prima che si verificasse il mutamento negativo. Per descrittore qualitativo si potrebbe intendere ad esempio la concentrazione di idrocarburi fuoriusciti in un’area marina a causa di un incidente in un pozzo petrolifero in mare, con ripercussioni negative su un habitat naturale nell’area delle acque interessate. Questo esempio è valido anche per l’intervallo misurabile fra il momento in cui si manifestano gli effetti negativi e il momento in cui sono ripristinate le condizioni originarie relative al descrittore qualitativo.

199.

Affinché gli effetti negativi siano significativi ai sensi della direttiva Responsabilità ambientale, non è a fortiori necessario che comportino un mutamento dello stato ecologico ai fini della direttiva quadro Strategia per l’ambiente marino, sebbene il passaggio da un buono stato ecologico a uno stato ecologico non buono sarebbe un esempio di effetto negativo significativo. Inoltre le acque marine valutate ai sensi della direttiva quadro Strategia per l’ambiente marino non devono trovarsi necessariamente in un buono stato ecologico: in effetti la valutazione a norma della direttiva quadro Strategia per l’ambiente marino può mostrare che lo stato delle acque non era già buono nel momento in cui si è verificato l’evento dannoso. È anche possibile considerare che un ulteriore peggioramento di questo stato è un effetto negativo significativo ai fini della direttiva Responsabilità ambientale.

200.

Infine qualsiasi valutazione e determinazione degli effetti negativi significativi ai sensi della direttiva Responsabilità ambientale deve verificare se un evento dannoso incide su un’area marina protetta, perché questo tipo di aree è soggetto a obblighi di conservazione della biodiversità più rigorosi di quelli applicati alle altre acque marine.

7.   «DANNO AL TERRENO»

201.

La definizione di «danno al terreno» è più diretta rispetto alle definizioni di «danno alle specie e agli habitat naturali protetti» e di «danno alle acque». Al contrario di queste ultime, essa non contiene riferimenti espliciti ad altra legislazione ambientale dell’Unione, nessun riferimento trasversale a ulteriori definizioni relative al suo ambito di applicazione e nessuna esclusione specifica ai sensi di altra legislazione. Vi sono pertanto meno elementi da tenere in considerazione ai fini di un’interpretazione comune.

202.

La definizione tuttavia si limita al «rischio significativo di effetti negativi sulla salute umana». Si rileva che alcuni Stati membri applicano una definizione più ampia, che comprende ad esempio un rischio per l’ambiente o un rischio di violazione dei valori limite per taluni inquinanti. In tali casi, gli Stati membri interessati possono mantenere la loro legislazione sul suolo più rigorosa ma devono almeno soddisfare anche i requisiti della direttiva in riferimento al danno al terreno.

Ambito di applicazione materiale e geografico del terreno

203.

La direttiva non contiene alcuna definizione di «terreno». Tuttavia dai riferimenti a «nel suolo, sul suolo o nel sottosuolo» contenuti nella definizione di «danno al terreno» si desume che l’ambito di applicazione non si riguarda solo la superficie, ma si estende anche agli strati di terreno al di sotto di essa. Il suolo è pertanto ricompreso. A conferma di ciò vi è anche il riferimento al suolo nel primo paragrafo dell’allegato II, punto 2, relativo alla riparazione del danno al terreno.

204.

Una distinzione che potrebbe risultare utile riguarda la definizione di «acque sotterranee» di cui al precedente riquadro 10. La contaminazione del terreno e l’inquinamento delle acque sotterranee spesso coincidono, e da un evento dannoso possono scaturire contemporaneamente un danno al terreno e un danno alle acque.

205.

I termini della direttiva che definiscono le specie protette, gli habitat naturali e le acque comprendono tutti precisazioni geografiche che determinano l’ambito geografico d’applicazione del «danno alle specie e agli habitat naturali protetti» e del «danno alle acque». Al contrario, non si fa accenno ad alcuna sottocategoria di «terreno», ragion per cui l’ambito di applicazione della definizione è omogeneo per tutto il terreno del territorio degli Stati membri.

Concetto di riferimento per gli effetti negativi

206.

Il concetto di riferimento per il danno al terreno è la salute umana, e non il danno all’ambiente (cfr., comunque, il precedente paragrafo 202). Gli effetti negativi sono contemplati solo quando la contaminazione del terreno potrebbe nuocere alla salute umana.

207.

La «salute umana» non è definita nella direttiva, ma dal contesto si evince che riguarda il benessere fisico nella misura in cui questo possa essere danneggiato dall’esposizione ai contaminanti ricompresi nella definizione, tra cui tossine e patogeni.

Valutazione dell’entità

Circostanze

208.

Il riferimento alla «contaminazione del terreno» rappresenta una differenza rispetto alle definizioni di «danno alle specie e agli habitat naturali protetti» e di «danno alle acque», in quanto circoscrive la possibile gamma di fattori di danno che comportano la responsabilità per il danno al terreno. Non vi sono limitazioni analoghe in riferimento agli altri tipi di danno alle risorse naturali.

209.

La «contaminazione del terreno» non è esplicitamente definita ma è collegata, nella definizione di «danno al terreno», all'«introduzione diretta o indiretta nel suolo, sul suolo o nel sottosuolo di sostanze, preparati, organismi o microrganismi».

210.

L’allegato II, punto 2, fa riferimento agli «agenti contaminanti»; l’uso di questo termine sommato al termine «contaminazione» e al riferimento alla salute umana, indicano che, affinché si verifichi un danno al terreno, non solo devono essere presenti «sostanze, preparati, organismi e microrganismi» con proprietà intrinseche che potrebbero essere direttamente o indirettamente pericolose, ma deve anche sussistere un rischio significativo per la salute umana. L’entità del rischio è valutata sulla base dei pericoli noti e del livello di esposizione umana a taluni agenti contaminanti. Tenuto conto dell’elenco delle attività professionali di cui all’allegato III della direttiva, tutti gli elementi seguenti possono essere rilevanti:

sostanze naturalmente presenti in natura, come metalli pesanti e nutrienti;

sostanze naturalmente presenti in natura, ma che possono aver subito qualche tipo di lavorazione, come nel caso dei prodotti petroliferi;

sostanze e preparati interamente prodotti dall’uomo, come i prodotti chimici;

organismi o microrganismi naturalmente presenti in natura, inclusi gli agenti patogeni umani come la Salmonella e l’Escherichia coli;

organismi geneticamente modificati.

211.

La natura delle attività professionali di cui all’allegato III può aiutare a capire le circostanze in cui può verificarsi la contaminazione del terreno. Per mezzo di una serie non esaustiva di esempi, le attività indicano che la contaminazione può avvenire durante operazioni minerarie o estrattive, operazioni di lavorazione o produzione, produzione zootecnica, uso dei pesticidi, trasporto di rifiuti e sostanze chimiche e trattamento dei rifiuti. La contaminazione può aver luogo dopo che un’attività professionale è passata dalla fase economica o attiva alla fase postoperativa: ad esempio gli obblighi normativi relativi alla gestione delle discariche e degli impianti per i rifiuti da attività mineraria si estendono alle condizioni post chiusura.

212.

Per quanto riguarda il modo in cui si verifica la contaminazione, il riferimento all’«introduzione [...] nel suolo, sul suolo o nel sottosuolo» abbraccia una vasta gamma di possibilità, fra cui le seguenti:

la contaminazione può derivare da sostanze presenti in situ, come nel caso in cui, nell’ambito di un’operazione mineraria o estrattiva, dal sottosuolo sono portati alla superficie metalli pesanti, lasciati poi in sul posto senza alcuna misura di sicurezza;

la contaminazione può avvenire in seguito a un inconveniente o un incidente isolato, collegato ad esempio al trasporto sul sito di sostanze pericolose attraverso tubature o al trasporto su strada di merci pericolose o inquinanti (188);

la contaminazione può derivare da una causa nota o ignota che agisce in modo continuativo nel tempo (ad esempio, una tubazione rotta da cui continuano a fuoriuscire sostanze pericolose).

213.

Le circostanze in cui avviene il danno al terreno possono comportare l’obbligo parallelo per gli operatori di prevenire e riparare gli effetti negativi ai sensi di altre normative dell’Unione e di informare le autorità competenti. Particolarmente pertinenti sono le disposizioni della direttiva Emissioni industriali (189). Ciononostante è importante assicurare che tali obblighi non siano ritenuti sostitutivi degli obblighi della direttiva Responsabilità ambientale, poiché in termini di portata, finalità e risultati non sono necessariamente identici.

Oggetto e svolgimento della valutazione

214.

La valutazione dell’entità del danno al terreno è legata al rischio di effetti negativi sulla salute umana e ha lo scopo di valutare se si tratta di un rischio significativo.

215.

Sebbene la definizione di «danno al terreno» non dia indicazioni sulle modalità di valutazione del rischio, l’allegato II, punto 2, della direttiva dedicato alla riparazione del danno al terreno indica chiaramente gli elementi che la valutazione del rischio deve contemplare nelle situazioni in cui sia già avvenuta una contaminazione del terreno.

Riquadro 16 — Testo dell’allegato II, punto 2, della direttiva, sulla riparazione del danno al terreno.

«Si devono adottare le misure necessarie per garantire, come minimo, che gli agenti contaminanti pertinenti siano eliminati, controllati, circoscritti o diminuiti in modo che il terreno contaminato, tenuto conto del suo uso attuale o approvato per il futuro al momento del danno, non presenti più un rischio significativo di causare effetti nocivi per la salute umana. La presenza di tale rischio è valutata mediante procedure di valutazione del rischio che tengono conto della caratteristica e della funzione del suolo, del tipo e della concentrazione delle sostanze, dei preparati, degli organismi o microrganismi nocivi, dei relativi rischi e della possibilità di dispersione degli stessi. L’utilizzo è calcolato sulla base delle normative sull’assetto territoriale o di eventuali altre normative pertinenti vigenti quando si è verificato il danno.

Se l’uso del terreno viene modificato, si devono adottare tutte le misure necessarie per evitare di causare effetti nocivi per la salute umana.

In mancanza di normative sull’assetto territoriale o di altre normative pertinenti, l’uso dell’area specifica del terreno è determinato, tenuto conto dello sviluppo previsto, dalla natura dell’area in cui si è verificato il danno.

Va presa in considerazione un’opzione di ripristino naturale, ossia un’opzione senza interventi umani diretti nel processo di ripristino».

216.

Sebbene riguardi tutte le risorse naturali e i servizi correlati, la definizione di «condizioni originarie» aiuta solo in modo limitato a valutare l’entità del rischio per la salute umana. Se sussiste una minaccia imminente di danno al terreno, sebbene non ne sia ancora avvenuta la contaminazione, le condizioni originarie possono essere utili ai fini della misurazione dei rischi per la salute umana che potrebbero verificarsi in assenza di misure di prevenzione. In caso di contaminazione in corso, le condizioni originarie possono essere ugualmente pertinenti ai fini della misurazione dei rischi per la salute umana che potrebbero emergere se i fattori di contaminazione non fossero gestiti prontamente. Quando tuttavia si tratta di riparazione del danno al terreno, la finalità della direttiva è eliminare qualsivoglia rischio significativo per la salute umana più che ripristinare le condizioni del terreno precedenti alla contaminazione. Tale ripristino può naturalmente essere opportuno o necessario in alcune situazioni al fine di affrontare il rischio per la salute umana. Gli inquinanti possono essere eliminati, controllati, contenuti o ridotti attraverso tecniche di riparazione quali lo scavo, il trattamento del terreno in situ o ex situ o la bonifica biologica, e attraverso misure di prevenzione e contenimento quali l’impermeabilizzazione, la costruzione di barriere o di recinzioni. Si noti che la direttiva Emissioni industriali prevede che l’operatore degli impianti autorizzati elabori una relazione di riferimento (190). Oltre alla funzione svolta ai sensi della direttiva Emissioni industriali, tale relazione di riferimento può fornire informazioni preziose per affrontare il danno al terreno nel quadro della direttiva Responsabilità ambientale.

217.

Come mostra l’allegato II, punto 2, della direttiva, una considerazione fondamentale è l’uso presente o futuro approvato del terreno interessato al momento del danno, poiché probabilmente ciò inciderà sull’esposizione umana agli agenti contaminanti. La dimensione temporale è importante. Ad esempio il danno al terreno può riguardare un terreno che attualmente non è utilizzato a fini abitativi ma il cui uso a tale scopo è stato approvato per il futuro. L’uso del terreno approvato per il futuro deve essere contemplato nella valutazione dell’entità. L’allegato II, punto 2, indica che l’utilizzo deve essere calcolato sulla base delle normative vigenti sull’assetto territoriale o di eventuali altre normative vigenti.

218.

È importante rilevare il riferimento, nell’allegato II, punto 2, secondo capoverso, al cambiamento d’uso del terreno, che, non essendo subordinato ad alcun vincolo temporale, rimane valido anche in seguito allo svolgimento della valutazione iniziale del rischio. È possibile ad esempio che, al momento della valutazione del rischio, l’uso del terreno attuale e futuro approvato comporti un’esposizione umana limitata agli agenti contaminanti, ma che successivamente sia modificato in modo tale da aumentare il livello di esposizione umana e di conseguenza il rischio per la salute umana. Ad esempio è possibile che sia approvato il cambiamento d’uso di un terreno industriale abbandonato, precedentemente contaminato da un’attività professionale di cui all’allegato III, destinandolo ad area residenziale. In tali circostanze sussiste l’obbligo per gli Stati membri di tenere conto di qualsiasi effetto negativo causato dalla contaminazione nella decisione di modificare l’uso del terreno, così da prevenire un aumento dell’esposizione e del rischio per la salute umana. Non si può pertanto escludere un aggiornamento della valutazione del rischio nel quadro delle misure di riparazione necessarie (191). È auspicabile che ciò sia reso noto alle autorità competenti per l’approvazione del cambiamento d’uso del suolo per quanto concerne il terreno contaminato.

219.

L’allegato II, punto 2, indica il ricorso alle procedure di valutazione del rischio e molti aspetti di cui occorre tenere conto per stabilire la presenza del rischio:

le caratteristiche e la funzione del suolo. Le caratteristiche del suolo possono influire sul rischio. Ad esempio è più probabile che i suoli porosi favoriscano la trasmissione degli agenti patogeni dalle acque reflue alle acque sotterranee o superficiali. Il suolo può svolgere o può essere destinato a svolgere funzioni importanti. Ad esempio, nel caso di un sistema isolato di trattamento delle acque reflue, il suolo può essere usato per purificare gli scarichi delle acque reflue, rendendo innocui i contaminanti in esse contenuti prima che raggiungano un corpo idrico. Nel caso di una discarica o di un’altra area di smaltimento dei rifiuti, il suolo superficiale può servire per isolare i rifiuti sottostanti e ridurne il rischio di dispersione;

il tipo e la concentrazione di sostanze, preparati, organismi o microrganismi nocivi. Questo riferimento riguarda gli agenti contaminanti presenti nel terreno contaminato. È necessario non solo sapere quali siano tali contaminanti, ma anche conoscerne i rischi specifici. Un rischio di tossicità dovuto ai metalli pesanti sarà ben diverso da un rischio di malattia infettiva associato a un agente patogeno. È inoltre opportuno tenere conto del rischio in funzione delle diverse possibili vie di esposizione, come ad esempio il contatto cutaneo, l’ingerimento tramite un contatto mano-bocca e il consumo di acqua o alimenti contaminati. Per quanto riguarda gli alimenti e l’acqua, le norme applicabili possono essere utilizzate per valutare i rischi, come ad esempio le norme obbligatorie in materia di acqua potabile presenti nella direttiva Acqua potabile (192). Inoltre non è esclusa nessuna categoria di persone: occorre infatti tenere conto dell’esposizione dei lavoratori sul terreno contaminato, degli abitanti e del pubblico in generale;

il rischio e la possibilità di dispersione. La dispersione può aver luogo attraverso il suolo stesso, come quando i contaminanti entrano nella catena alimentare attraverso la coltivazione di piante o l’allevamento di bestiame sul terreno contaminato. La dispersione può inoltre avvenire anche mediante altri comparti ambientali, come l’aria o le acque. Ciò può verificarsi, ad esempio, quando una polvere tossica è sospinta dal terreno contaminato nell’aria e si deposita sulle vicine abitazioni oppure su un terreno agricolo (creando nuovamente una possibilità di esposizione umana attraverso la catena alimentare). Un altro esempio è quando gli agenti patogeni presenti in un sistema di trattamento delle acque reflue passano attraverso il suolo in acque sotterranee e raggiungono un pozzo utilizzato per l’estrazione di acqua destinata al consumo umano.

220.

Le linee guida dell’UNEP sulla gestione dei siti contaminati dal mercurio (193) illustrano, per un inquinante, come possono essere utilizzate le valutazioni del rischio, come in generale sono condotte tali valutazioni e come sono adottate le decisioni (194). Gli Stati membri utilizzano valori di controllo del suolo e procedure, metodologie e modelli (195) propri per la valutazione del rischio, che si differenziano tra loro in ragione delle diversità geografiche, socioculturali, normative, politiche o scientifiche (196).

Determinazione dell’entità

221.

La determinazione è incentrata sul rischio per la salute umana posto dal terreno contaminato oppure, ai fini delle misure di prevenzione e delle misure per gestire immediatamente i fattori di danno, dal terreno a rischio di contaminazione o di una maggiore contaminazione.

222.

Ai fini delle misure di prevenzione e delle misure per gestire immediatamente i fattori di danno, il rischio di effetti negativi sulla salute umana sarà significativo laddove sussista un ragionevole dubbio sull’assenza di una possibilità misurabile che una minaccia imminente o fattori di danno possano causare l’esposizione diretta o indiretta degli esseri umani ai contaminanti in una misura tale da nuocere alla loro salute, tenendo conto dell’uso del terreno attuale o approvato per il futuro.

223.

Analogamente, ai fini delle misure di riparazione, il rischio di effetti negativi sulla salute umana sarà significativo laddove sussista un ragionevole dubbio in merito all’assenza di una possibilità misurabile che le sostanze, i preparati, gli organismi e i microrganismi introdotti direttamente o indirettamente nel suolo, sul suolo o nel sottosuolo possano causare l’esposizione diretta o indiretta degli esseri umani ai contaminanti in una misura tale da nuocere alla loro salute, tenendo conto dell’uso del terreno attuale o approvato per il futuro.

224.

La determinazione dell’entità non necessita che il rischio si sia manifestato in un danno effettivo. Il danno effettivo alla salute umana non deve necessariamente manifestarsi perché si applichi la definizione di danno al terreno; né deve essere dimostrato che, attraverso la dispersione, il rischio si sia già manifestato nella contaminazione di un altro comparto ambientale, come le acque. Quindi, se un determinato sistema di trattamento delle acque reflue, per via di carenze individuate nella progettazione, nell’ubicazione o nel funzionamento, pone il rischio misurabile che degli agenti patogeni umani raggiungano, attraverso il suolo, una fonte di acqua potabile già contaminata, la definizione di danno al terreno si applicherà senza la necessità di dimostrare che le carenze di tale sistema di trattamento abbiano causato l’effettiva contaminazione del pozzo.

8.   CONCLUSIONI

225.

Le presenti linee guida richiamano l’attenzione sulla serie di effetti negativi racchiusi nella definizione di danno ambientale. Questi effetti negativi, combinati con le attività professionali e con i fattori di danno ad essi riconducibili, presuppongono che le autorità competenti debbano ricorrere spesso a conoscenze specialistiche, compresa la valutazione di esperti, per determinarne l’entità. Nella misura in cui le conoscenze specialistiche sono appannaggio di più autorità amministrative e centri di conoscenze (come spesso capita), è importante che la cooperazione tra agenzie sia efficace.

226.

Le linee guida sottolineano inoltre la portata delle considerazioni giuridiche, tecniche e scientifiche che potrebbero entrare in gioco quando le autorità competenti valutano l’entità degli effetti negativi o adempiono al loro dovere di prevenire gli effetti negativi, gestire immediatamente i fattori di danno e adottare le misure di riparazione. Tra i mezzi a disposizione delle autorità competenti e dei portatori di interessi per affrontare le difficoltà che si presentano in tale contesto vi è una formazione professionale adeguata e la condivisione delle migliori pratiche. Per assistere gli Stati membri, la Commissione ha messo a disposizione dei materiali formativi, che terrà costantemente aggiornati (https://ec.europa.eu/environment/legal/liability/eld_training.htm), anche alla luce degli sviluppi della giurisprudenza della Corte di Giustizia (https://curia.europa.eu/jcms/jcms/j_6/it/). Allo stesso fine, la Commissione ha appoggiato il lavoro svolto dalla rete dell’Unione europea per l’attuazione e il controllo del rispetto del diritto dell’ambiente (IMPEL) sugli aspetti pratici dell’attuazione della direttiva (https://www.impel.eu/projects/financial-provision-what-works-when).

(1)  GU L 143 del 30.4.2004, pag. 56.

https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:02004L0035-20190626&qid=1568193390794&from=EN

(2)  Articolo 1.

(3)  La direttiva è stata modificata quattro volte, rispettivamente dalla direttiva 2006/21/CE (GU L 102 dell’11.4.2006, pag. 15), dalla direttiva 2009/31/CE (GU L 140 del 5.6.2009, pag. 114), dalla direttiva 2013/30/UE (GU L 178 del 28.6.2013, pag. 66) e dal regolamento (UE) 2019/1010 (GU L 170 del 25.6.2019, pag. 115).

(4)  A seguito di tale modifica, il testo seguente è inserito nell’articolo 18, paragrafo 3, della direttiva: «Entro il 31 dicembre 2020, la Commissione elabora linee guida che forniscono un’interpretazione comune del termine «danno ambientale», come definito all’articolo 2».

(5)  Cfr. l’articolo 2.

(6)  Cfr. in particolare gli articoli 5, 6 e 11 della direttiva.

(7)  Articolo 12 della direttiva. Il diritto si estende all’«azione di prevenzione» qualora uno Stato membro non abbia deciso, una volta recepita la direttiva nella legislazione nazionale, di servirsi della possibilità di cui all’articolo 12, paragrafo 5, di non applicare tale diritto ai casi di minaccia imminente di danno.

(8)  Articolo 15, paragrafi 1 e 2, della direttiva.

(9)  Articolo 14 della direttiva.

(10)  REFIT Evaluation of the Environmental Liability Directive, SWD(2016) 121 final.

https://eur-lex.europa.eu/legal-content/EN/TXT/?uri=SWD:2016:121:FIN

(11)  Valutazione REFIT, pag. 60.

(12)  Common Understanding Document — ELD key terms and concepts. Specific Contract No 07.0203/2016/745366/SER/ENV.E4https://circabc.europa.eu/ui/group/cafdbfbb-a3b9-42d8-b3c9-05e8f2c6a6fe/library/3112f0b5-0021-49ce-9dfc-9127a1e12a8b/details

(13)  GU L 103 del 25.4.1979, pag. 1.

(14)  GU L 20 del 26.1.2010, pag. 7.

(15)  GU L 206 del 22.7.1992, pag. 7.

(16)  GU L 32 del 22.12.2000, pag. 1.

(17)  GU L 164 del 25.6.2008, pag. 19.

(18)  Cfr., in particolare, l’articolo 1 della direttiva.

(19)  Cfr. la causa C-129/16 Túrkevei Tejtermelő Kft e la causa C-297/19, Naturschutzbund Deutschland — Landesverband Schleswig-Holstein eV, in cui la Corte cita esplicitamente il principio della precauzione, al punto 52 della prima causa e al punto 31 della seconda.

(20)  Articolo 191, paragrafo 2, del trattato sul funzionamento dell’Unione europea.

(21)  Di particolare importanza sono gli strumenti di cui all’allegato III o quelli che sono loro succeduti, ove gli strumenti originari siano stati sostituiti.

(22)  Cfr. articolo 2, punto 6, della direttiva.

(23)  Cfr. articolo 2, punto 7, della direttiva. Cfr. anche l’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva.

(24)  Punto 76 della sentenza.

(25)  Cfr. l’articolo 3, paragrafo 1, lettera a), della direttiva.

(26)  Cfr. il capitolo 2.9 del documento di interpretazione comune «Legislation referred to in Annex III», pagg. 41 – 43.

(27)  Articolo 3, paragrafo 1, lettera b), della direttiva.

(28)  Cfr., per analogia, la causa C-15/19, AMA, punto 54.

(29)  Punti 190-194.

(30)  Punto 52 e punto 54, rispettivamente.

(31)  Cfr. la causa C-378/08,Raffinerie Mediterranee (ERG) SpA e altri, in cui la Corte ha affermato: «la direttiva 2004/35 non osta a una normativa nazionale che consente all’autorità competente, in sede di esecuzione della citata direttiva, di presumere l’esistenza di un nesso di causalità, anche nell’ipotesi di inquinamento a carattere diffuso, tra determinati operatori e un inquinamento accertato, e ciò in base alla vicinanza dei loro impianti alla zona inquinata. Tuttavia, conformemente al principio «chi inquina paga», per poter presumere secondo tale modalità l’esistenza di un siffatto nesso di causalità detta autorità deve disporre di indizi plausibili in grado di dare fondamento alla sua presunzione, quali la vicinanza dell’impianto dell’operatore all’inquinamento accertato e la corrispondenza tra le sostanze inquinanti ritrovate e i componenti impiegati da detto operatore nell’esercizio della sua attività.»

(32)  Cfr., ad esempio, l’articolo 17.

(33)  Cfr. l’articolo 2, punto 8, della direttiva.

(34)  Punto 33.

(35)  Cfr. l’uso dell’espressione nell’articolo 6, paragrafo 1, lettera a), della direttiva.

(36)  Per i danni al terreno, tuttavia, i fattori di danno sono limitati all’introduzione diretta o indiretta nel suolo, nonché sopra o sotto di esso, di sostanze, preparati, organismi e microrganismi.

(37)  Cfr. le circostanze contemplate nella causa C-529/15, Folk.

(38)  Cfr. anche l’allegato VI, punto 1, della direttiva, che fa riferimento alla «data dell’avvenimento e/o della scoperta del danno».

(39)  Gli operatori sono altresì incentivati ad adottare misure precauzionali, vale a dire misure volte a evitare il possibile verificarsi di un danno ambientale. Tali misure possono consistere in valutazioni del rischio o l’istituzione di sistemi di gestione del rischio e/o l’applicazione di tecnologie di contenimento/attenuazione del rischio. Sebbene la direttiva Responsabilità ambientale non le preveda direttamente, tali misure possono contribuire a evitare gli eventi dannosi e possono inoltre facilitare l’ottenimento di garanzie finanziarie da parte degli operatori. Occorre distinguere queste misure dalle «misure di prevenzione» vere e proprie, prescritte dall’articolo 5 della direttiva.

(40)  Articolo 5, paragrafo 1, della direttiva.

(41)  Articolo 6, paragrafo 1, lettera a), della direttiva.

(42)  Articolo 6, paragrafo 1, lettera b), della direttiva.

(43)  Articolo 7, paragrafo 1, della direttiva.

(44)  GU L 334 del 17.12.10, pag. 17.

(45)  Articolo 6, paragrafo 1, della direttiva.

(46)  Articolo 6, paragrafo 2, lettera a), della direttiva.

(47)  Articolo 5, paragrafi 2 e 3, della direttiva.

(48)  Articolo 11, paragrafo 2, seconda frase, della direttiva.

(49)  Cfr. gli articoli 7 e 8 della direttiva Emissioni industriali.

(50)  GU L 197 del 24.7.2012, pag. 1.

(51)  Articolo 17 della direttiva.

(52)  Articolo 38, paragrafo 2, della direttiva 2013/30/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 giugno 2013, sulla sicurezza delle operazioni in mare nel settore degli idrocarburi e che modifica la direttiva 2004/35/CE (GU L 178 del 28.6.2013, pag. 66).

(53)  Cfr. anche la causa C-378/08, ERG.

(54)  Articolo 4 della direttiva.

(55)  Articolo 8, paragrafo 3, della direttiva.

(56)  Articolo 8, paragrafo 4, lettera a), della direttiva, spesso denominato «esonero da responsabilità per possesso di autorizzazione».

(57)  Articolo 8, paragrafo 4, lettera b), della direttiva, spesso denominato «esonero per rischi dello sviluppo» o «esonero da responsabilità basato sullo stato delle conoscenze scientifiche».

(58)  Al punto 34, la Corte rileva che la direttiva «dev’essere interpretata nel senso che osta ad una disposizione del diritto nazionale che escluda, in via generale e automatica, che il danno idoneo a incidere in modo significativamente negativo sullo stato ecologico, chimico o quantitativo, oppure sul potenziale ecologico delle acque di cui trattasi, sia qualificato come «danno ambientale», per il sol fatto di essere coperto da un’autorizzazione rilasciata conformemente al diritto nazionale medesimo».

(59)  Articolo 16 della direttiva. A titolo di esempio, cfr. la causa C-129/16.

(60)  Designate ai sensi dell’articolo 11, paragrafo 1, della direttiva.

(61)  Articolo 11, paragrafo 2, della direttiva.

(62)  Ibidem

(63)  Articolo 7, paragrafo 2, e articolo 11, paragrafo 2, della direttiva.

(64)  Cfr. i punti da 47 a 57 e il punto 66.

(65)  Cfr., ad esempio, l’articolo 5, paragrafi 3 e 4, e l’articolo 6, paragrafi 2 e 3, della direttiva.

(66)  Articolo 12, paragrafo 1, della direttiva.

(67)  Articolo 12, paragrafo 2, della direttiva.

(68)  Cfr. l’articolo 23 della direttiva Emissioni industriali.

(69)  In tutti gli Stati membri, le ONG del settore ornitologico rivestono un ruolo molto importante per la raccolta e il confronto di rilevazioni inerenti, ad esempio, alla distribuzione degli uccelli. Il conclamato valore scientifico di tali informazioni è stato riconosciuto dalla Corte di giustizia, cfr. la causa C-3/96, Commissione/Paesi Bassi, punti da 68 a 70.

(70)  GU L 328 del 6.12.2008, pag. 91.

(71)  Cfr. l’articolo 3 della direttiva 2008/99/CE.

(72)  Per esempio, il considerando 11 della direttiva sulla tutela penale dell’ambiente afferma che essa lascia impregiudicati gli altri sistemi relativi alla responsabilità per danno ambientale previsti dal diritto [dell’Unione] o dal diritto nazionale.

(73)  Cfr. l’articolo 8.

(74)  Cfr. nuovamente l’articolo 8.

(75)  Direttiva 2006/21/CE del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alla gestione dei rifiuti delle industrie estrattive e che modifica la direttiva 2004/35/CE (GU L 102 dell’11.4.2006, pag. 15).

(76)  Cfr. il punto 96 della sentenza.

(77)  Cfr. il punto 99 della sentenza.

(78)  Cfr. i punti da 40 a 46. Cfr. anche il considerando 4 della direttiva.

(79)  Il testo qui presente è consolidato e riflette l’integrazione delle acque marine in seguito all’adozione originaria della direttiva.

(80)  Integrato dalla direttiva 2013/30/UE (GU L 178 del 28.6.2013, pag. 66).

(81)  Articolo 6, paragrafo 3, della direttiva Habitat.

(82)  GU L 26 del 28.1.2012, pag. 1.

(83)  La causa Folk ha sollevato la questione di accertare se l’esercizio di una centrale idroelettrica potesse comportare responsabilità ai sensi della direttiva.

(84)  Articoli 5 e 6 della direttiva.

(85)  Articolo 11, paragrafo 2, seconda frase, della direttiva.

(86)  Cfr., in particolare, le disposizioni dell’articolo 12, paragrafi 3 e 4, della direttiva.

(87)  Articolo 15 della direttiva.

(88)  Più precisamente, ai fini della riparazione complementare e compensativa: la condizione che sarebbe esistita se non si fosse verificato il danno ambientale, tenendo conto dell’evoluzione temporanea, in meglio o in peggio, delle risorse danneggiate, stimata sulla base delle migliori informazioni disponibili sulle tendenze esistenti al momento del danno.

(89)  Cfr. punti da 52 a 54.

(90)  I turlough sono laghi in via di sparizione, presenti nelle zone calcaree dell’Irlanda. Si allagano generalmente in autunno per poi asciugarsi durante i mesi estivi. Sono tipi di habitat prioritari ai sensi della direttiva Habitat.

(91)  La valutazione dell’entità del danno o dell’imminente minaccia di danno deve essere distinta dalla valutazione facoltativa del rischio dell’attività, che può essere raccomandata all’operatore quale misura precauzionale per ridurre al minimo il rischio di evento dannoso di cui potrebbe essere responsabile.

(92)  In alcune situazioni è molto difficile valutare l’entità di un danno ambientale e in particolare determinarne la minaccia imminente. Ciò può avvenire per vari motivi, ad esempio per la mancanza di informazioni in una situazione di emergenza. In tali situazioni il principio di precauzione può svolgere un ruolo importante, giustificando un intervento sulla base di una ragionevole certezza e consentendo così di adottare le misure di prevenzione necessarie e di avviare la corrispondente procedura amministrativa.

(93)  Quanto più tempo è necessario per attuare la riparazione primaria, tanto maggiore sarà la necessità di una riparazione compensativa.

(94)  Cfr. la causa C-411/17, punti 175 e 176.

(95)  Punto 34.

(96)  Cfr., in particolare, l’articolo 4 della direttiva.

(97)  Cfr. l’articolo 8, paragrafi 3 e 4, della direttiva.

(98)  Cfr., in particolare, l’articolo 8, paragrafo 2, e l’allegato II, punto 1.3.3., lettera b), della direttiva.

(99)  Cfr. l’articolo 191, paragrafo 2, del trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE).

(100)  In conformità delle motivazioni della Corte nella causa C-127/02, Waddenzee. In tale causa, la Corte ha definito un criterio rigoroso per valutare i piani o i progetti ai fini dell’articolo 6, paragrafo 3, della direttiva Habitat: ha ritenuto che un’autorità può autorizzare un piano o un progetto solo dopo aver accertato che non inciderà negativamente sull’integrità del sito, e ha aggiunto che «ciò avviene quando non sussiste alcun dubbio ragionevole da un punto di vista scientifico quanto all’assenza di tali effetti». Lo stretto margine temporale per adottare misure di prevenzione e gestire immediatamente i fattori di danno ai sensi della direttiva Responsabilità ambientale rappresenta un importante fattore di differenziazione e indica che l’operatore o l’autorità competente potrebbe essere in possesso di informazioni limitate. Tuttavia il principio di precauzione implica che qualsiasi dubbio dovrebbe portare all’adozione di misure di prevenzione e alla gestione immediata dei fattori di danno piuttosto che all’assenza di interventi.

(101)  Corrisponderebbe al concetto di riparazione complementare.

(102)  Corrisponderebbe al concetto di riparazione primaria.

(103)  I servizi figurano nelle definizioni di riparazione primaria, complementare e compensatoria.

(104)  Corrisponderebbe al concetto di riparazione compensatoria.

(105)  Belgio, Cechia, Cipro, Estonia, Grecia, Italia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Polonia, Portogallo, Slovenia, Spagna, Svezia, Ungheria.

(106)  L’elenco delle specie di uccelli contemplate dall’articolo 1 della direttiva Uccelli, vale a dire gli uccelli che vivono naturalmente allo stato selvatico nel territorio degli Stati membri al quale si applica il trattato, è consultabile all’indirizzohttps://ec.europa.eu/environment/nature/conservation/wildbirds/eu_species/index_en.htm; cfr. anche la «Checklist for bird species» (ultima modifica: 5.7.2018) disponibile all’indirizzohttp://cdr.eionet.europa.eu/help/birds_art12.

(107)  Cfr. l’allegato II della guida alla protezione delle specie ai sensi della direttiva Habitat, disponibile al seguente indirizzo:https://ec.europa.eu/environment/nature/conservation/species/guidance/pdf/guidance_en.pdf

(108)  Per maggiori informazioni sulle specie tipiche cfr. la pagina 74 del manuale «Reporting under Article 17 of the Habitats Directive — Explanatory Notes and Guidelines for the period 2013–2018» denominato «Reporting guidelines Article 17 (pdf) Addendum» (ultimo aggiornamento: 5.7.2018) all’indirizzohttp://cdr.eionet.europa.eu/help/habitats_art17.

(109)  Cfr. la pagina 164 del manuale «Reporting under Article 17 of the Habitats Directive — Explanatory Notes and Guidelines for the period 2013–2018» denominato «Reporting guidelines Article 17 (pdf) Addendum» (ultimo aggiornamento: 5.7.2018) all’indirizzohttp://cdr.eionet.europa.eu/help/habitats_art17.

(110)  All’indirizzohttps://ec.europa.eu/environment/nature/legislation/habitatsdirective/docs/Int_Manual_EU28.pdf.

(111)  Le mappe consolidate per l’UE possono essere scaricate dal servizio dati dell’AEA all’indirizzo

https://www.eea.europa.eu/data-and-maps/data/article-12-database-birds-directive-2009-147-ec-1.

(112)  Cfr. la pagina 121 del manuale «Reporting under Article 17 of the Habitats Directive — Explanatory Notes and Guidelines for the period 2013–2018»Reporting guidelines Article 17 (pdf) (ultimo aggiornamento: 5.7.2018) all’indirizzohttp://cdr.eionet.europa.eu/help/habitats_art17.

(113)  https://ec.europa.eu/environment/nature/conservation/species/guidance/pdf/guidance_en.pdf, in fase di revisione.

(114)  Cfr. l’articolo 2, punto 3, lettera c), della direttiva Responsabilità ambientale.

(115)  Cfr. «Linee guida per l’istituzione della rete Natura 2000 nell’ambiente marino  Applicazione delle direttive Habitat e Uccelli selvatici», pag. 20.

(116)  Articolo 1, lettere e) e i), della direttiva Habitat.

(117)  Cfr. la pagina 11 delle linee guida summenzionate sulla protezione delle specie.

(118)  https://www.eea.europa.eu/themes/biodiversity/state-of-nature-in-the-eu/state-of-nature-2020.

(119)  Articolo 2, paragrafo 2, della direttiva Habitat.

(120)  https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:32011D0484&from=IT. Cfr. anche il registro dei danni alla biodiversità ai sensi della direttiva Responsabilità ambientale: pagina «Baseline Info Source Europe», relativa a «Natura 2000 network viewer» (riga 5):https://natura2000.eea.europa.eu/.

(121)  Cfr. i punti 51 e 52 della sentenza.

(122)  Cfr. il punto 15 della sentenza.

(123)  Direttiva Responsabilità ambientale: «Training Handbook and Accompanying Slides. European Commission/Eftec/Stratus Consulting. February 2013», pag. 69.

(124)  https://ec.europa.eu/environment/legal/liability/

(125)  Biodiversity baseline condition

(126)  Cfr., in particolare, il punto 26 della sentenza.

(127)  Cfr. il punto 11 della sentenza.

(128)  Fra le attività professionali contemplate dall’allegato III della direttiva Responsabilità ambientale figurano le attività che comportano organismi geneticamente modificati quali definiti nella direttiva 2001/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio sull’emissione deliberata nell’ambiente di organismi geneticamente modificati e che abroga la direttiva 90/220/CEE del Consiglio.

(129)  Punto 36.

(130)  Cfr. punti 44 e 45.

(131)  Cfr. punto 49.

(132)  Cfr. punto 52.

(133)  Cfr. punto 55.

(134)  Ciò deriva dai riferimenti di cui al punto 54 della sentenza alle misure di gestione descritte nel dettaglio all’articolo 6 e agli articoli da 12 a 16 della direttiva Habitat e agli articoli da 3 a 9 della direttiva Uccelli.

(135)  Cfr. punti 44 e 45.

(136)  Ciò è anche conforme con l’articolo 8, paragrafo 4, lettera a), della direttiva Responsabilità ambientale, che consente a uno Stato membro di non addebitare all’operatore i costi dell’azione di riparazione, ma solo qualora siano soddisfatte determinate condizioni, fra cui la piena conformità alle condizioni di un’autorizzazione.

(137)  Nella causa C-477/19, IE/Magistrat der Stadt Wien, i punti 11 e 12 illustrano come potrebbero verificarsi tali circostanze. I lavori di costruzione, descritti dalla Corte come «misure pregiudizievoli», hanno danneggiato un sito di riproduzione e di riposo di una specie protetta, il criceto europeo, senza che prima fosse stata ottenuta un’autorizzazione.

(138)  Articolo 1 della direttiva quadro Acque.

(139)  Cfr. in proposito anche gli orientamenti definiti nel quadro della strategia di attuazione comune della direttiva quadro Acque, in particolare l’orientamento n. 2.

(140)  Nel 2012 gli strumenti di cui all’allegato IX della direttiva quadro Acque sono stati abrogati dalla direttiva sugli standard di qualità ambientale, citata nella nota 143. Gli standard di qualità ambientale cui si riferiscono tali strumenti sono stati sostituiti dagli standard previsti dalla direttiva sugli standard di qualità ambientale.

(141)  Le concentrazioni di inquinanti non presentano gli effetti dell’intrusione salina o di altro tipo, non superano gli standard di qualità applicabili ai sensi di altra legislazione dell’Unione pertinente ai sensi dell’articolo 17 e non sono tali da impedire il conseguimento degli obiettivi ambientali di cui all’articolo 4 per le acque superficiali connesse né da comportare un deterioramento significativo della qualità ecologica o chimica di tali corpi né da recare danni significativi agli ecosistemi terrestri direttamente dipendenti dal corpo idrico sotterraneo.

(142)  https://circabc.europa.eu/sd/a/655e3e31-3b5d-4053-be19-15bd22b15ba9/Guidance%20No%202%20-%20Identification%20of%20water%20bodies.pdf

(143)  GU L 348 del 24.12.2008, pag. 84.

(144)  Con direttiva 2013/39/CE (GU L 226 del 24.8.2013, pag. 1).

(145)  Cfr. l’allegato I della direttiva sugli standard di qualità ambientale.

(146)  Cfr. l’allegato V, punto 2.3, della direttiva quadro Acque.

(147)  GU L 372 del 27.12.2006, pag. 19.

(148)  Cfr. l’allegato I della direttiva Acque sotterranee.

(149)  Cfr. l’allegato III, punto 6, della direttiva Responsabilità ambientale.

(150)  Cfr. l’allegato III, punto 5, della direttiva Responsabilità ambientale.

(151)  Cfr. l’articolo 6 della direttiva quadro Acque.

(152)  Cfr. punti 115 e 116.

(153)  Cfr. l’allegato V, punto 1.2.1, della direttiva quadro Acque.

(154)  Cfr. l’allegato V, punto 2.1.2, della direttiva quadro Acque.

(155)  Cfr. l’articolo 4, paragrafo 2, lettera c), punti ii) e iii), in combinato disposto con l’allegato III, punto 4, della direttiva Acque sotterranee.

(156)  L’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva quadro Acque stabilisce tre categorie di obiettivi. L’articolo 4, paragrafo 1, lettera a), stabilisce gli obiettivi per le acque superficiali, l’articolo 4, paragrafo 1, lettera b), stabilisce gli obiettivi per le acque sotterranee e l’articolo 4, paragrafo 1, lettera c), stabilisce gli obiettivi per le aree protette. Gli obiettivi della direttiva quadro Acque sono volti a impedire il deterioramento dello stato delle acque superficiali e sotterranee, a far sì che essere raggiungano un buono stato e a garantire la conformità con la legislazione dell’Unione per quanto riguarda le aree protette (che contengono corpi idrici). Nella direttiva quadro Acque lo stato è definito in riferimento agli elementi di qualità delle acque superficiali e sotterranee. Gli obiettivi di cui all’articolo 4, paragrafo 1, lettera c), non sono integrati nella definizione di stato delle acque superficiali: nessuno degli elementi fa riferimento a tale disposizione. Gli obiettivi di cui all’articolo 4, paragrafo 1, lettera c), sono invece impliciti nella definizione di stato chimico [e quantitativo] delle acque sotterranee. In particolare, lo stato chimico implica la conformità alle norme nazionali e dell’Unione per le sostanze chimiche ed è atto a garantire che l’inquinamento non sia tale da ostacolare il conseguimento di [tutti] obiettivi della direttiva quadro Acque per le acque superficiali associate. Gli obiettivi di cui all’articolo 4, paragrafo 1, lettera c), per le aree protette sono pertanto considerati nello stato chimico delle acque sotterranee. In definitiva, sebbene la direttiva Acque sotterranee non consideri direttamente gli inquinanti microbiologici delle acque sotterranee (di cui non esistono norme né a livello nazionale né di Unione), l’inquinamento microbiologico sarà preso in considerazione se ostacola il conseguimento degli obiettivi di cui all’articolo 4, paragrafo 1, lettera c). A tale riguardo saranno pertinenti le aree protette destinate all’estrazione di acqua potabile, così come potranno esserlo le aree protette per la balneazione.

(157)  Questo approccio è coerente con quello adottato dalla Corte per la direttiva quadro Acque, cfr. la causa C-461/13.

(158)  Allegato II, punto 1.1.3.

(159)  Cfr. i punti 69 e 70.

(160)  Cfr. anche il paragrafo 151, ultimo punto.

(161)  Cfr. punti 44 e 45.

(162)  Cfr. l’articolo 4, paragrafo 7, lettera a), della direttiva quadro Acque.

(163)  Anche la causa C-461/13, Bund für Umwelt und Naturschutz Deutschland eV/Bundesrepublik Deutschland, precedentemente menzionata, è utile per l’interpretazione dell’articolo 4, paragrafo 7, della direttiva quadro Acque.

(164)  Precedentemente «legislazione comunitaria».

(165)  Come descritto precedentemente, in generale queste attività sono tutte autorizzate.

(166)  Sostituita dalla direttiva Emissioni industriali.

(167)  Fuse e sostituite dalla direttiva 2008/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 novembre 2008, relativa ai rifiuti e che abroga alcune direttive (GU L 312 del 22.11.2008, pag. 3).

(168)  Per un esempio di discarica dannosa in una zona costiera, cfr. punto 84 della causa C-494/01, Commissione/Irlanda.

(169)  Sostituita dal regolamento (CE) n. 1272/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2008, relativo alla classificazione, all'etichettatura e all'imballaggio delle sostanze e delle miscele che modifica e abroga le direttive 67/548/CEE e 1999/45/CE e che reca modifica al regolamento (CE) n. 1907/2006 (GU L 353 del 31.12.2008, pag. 1).

(170)  GU L 178 del 28.6.2013, pag. 66.

(171)  Sostituita dalla direttiva 2002/59/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 giugno 2002, relativa all’istituzione di un sistema comunitario di monitoraggio del traffico navale e d'informazione e che abroga la direttiva 93/75/CEE del Consiglio (GU L 208 del 5.8.2002, pag. 10).

(172)  Sostituito dal regolamento (CE) n. 1013/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 giugno 2006, relativo alle spedizioni di rifiuti (GU L 190 del 12.7.2006, pag. 1).

(173)  Direttiva (UE) 2017/845/UE della Commissione, del 17 maggio 2017, che modifica la direttiva 2008/56/CE del Parlamento europeo e del Consiglio per quanto riguarda gli elenchi indicativi di elementi da prendere in considerazione ai fini dell’elaborazione delle strategie per l’ambiente marino (GU L 125 del 18.5.2017, pag. 27).

(174)  Le convenzioni internazionali in questione sono: Convenzione internazionale del 1992 sulla responsabilità civile per i danni derivanti da inquinamento da idrocarburi; Convenzione internazionale del 1992 istitutiva di un Fondo internazionale per l’indennizzo dei danni derivanti da inquinamento da idrocarburi; Convenzione internazionale del 2001 sulla responsabilità civile per i danni causati dall’inquinamento derivante dal combustibile delle navi; Convenzione internazionale sulla responsabilità e l’indennizzo per i danni causati dal trasporto via mare di sostanze nocive e potenzialmente pericolose, 1996/2010 (non ancora in vigore).

(175)  Convenzione del 1976 sulla limitazione della responsabilità per crediti marittimi (LLMC); Convenzione di Strasburgo del 1988 sulla limitazione della responsabilità nella navigazione interna (CLNI).

(176)  Mar Baltico, Oceano Atlantico nordorientale, Mar Mediterraneo, Mar Nero.

(177)  Nell’Oceano Atlantico nordorientale: il grande Mare del Nord, compreso il Kattegat, e il Canale della Manica; il Mar Celtico; il Golfo di Biscaglia e la costa iberica; nell’Oceano Atlantico, la regione biogeografica macaronesica, costituita dalle acque intorno alle Azzorre, a Madera e alle Isole Canarie.

Nel Mar Mediterraneo: il Mar Mediterraneo occidentale; il Mare Adriatico; il Mar Ionio e il Mar Mediterraneo centrale; il Mar Egeo orientale.

(178)  Decisione (UE) 2017/848 della Commissione, del 17 maggio 2017, che definisce i criteri e le norme metodologiche relativi al buono stato ecologico delle acque marine nonché le specifiche e i metodi standardizzati di monitoraggio e valutazione, e che abroga la decisione 2010/477/UE (GU L 125 del 18.5.2017, pag. 43).

(179)  Per ciascun descrittore la decisione stabilisce in che modo debba essere espresso il grado di conseguimento del buono stato ecologico di ogni area, habitat o popolazione. Cfr. le norme metodologiche di cui all’allegato della decisione.

(180)  Definiti all’articolo 2, punto 4, della decisione (UE) 2017/848 come «elementi costitutivi di un ecosistema, in particolare gli elementi biologici (specie, habitat e relative comunità), o aspetti delle pressioni sull’ambiente marino (pressioni biologiche, fisiche, sostanze, rifiuti ed energia) che sono valutati in base a ciascun criterio».

(181)  Il «valore di soglia» è definito all’articolo 2, punto 5, della decisione (UE) 2017/848 come «valore o serie di valori che consente di misurare il livello qualitativo conseguito di un particolare criterio, contribuendo anche a valutare il grado di conseguimento del buono stato ecologico».

(182)  Cfr. l’articolo 4 della decisione (UE) 2017/848. I valori di soglia devono essere elaborati a livello di Unione oppure a livello regionale o sottoregionale. Attualmente non sono stati stabiliti per tutti i criteri, ma sono in fase di sviluppo. Un esempio sarebbe il numero di determinati rifiuti per metro quadrato. Per i contaminanti, il valore di soglia corrisponde alla norma di qualità ambientale stabilita ai sensi della direttiva quadro Acque, se in vigore.

(183)  L’articolo 4, paragrafo 1, lettera c), della decisione (UE) 2017/848 prevede che i valori di soglia, ove opportuno, distinguano il livello qualitativo che rappresenta la rilevanza di un effetto negativo per un criterio e siano fissati in relazione ad una condizione di riferimento. A tale proposito il considerando 13 della decisione recita, fra l’altro, che «i valori di soglia dovrebbero riflettere, laddove opportuno, il livello qualitativo rappresentante la rilevanza di un effetto negativo per un determinato criterio ed essere stabiliti in relazione a una condizione di riferimento». Occorre rilevare che il termine «effetto negativo» è usato nella decisione (UE) 2017/848 indipendentemente dal riferimento all’espressione «che incide in modo significativamente negativo» nella definizione di «danno alle acque».

(184)  Cfr. i considerando 14 e 15 della decisione (UE) 2017/848. Si osserva che, conformemente alle disposizioni dell’articolo 1, paragrafo 3, della direttiva quadro Strategia per l’ambiente marino, la pressione collettiva delle attività umane deve essere mantenuta entro livelli compatibili con il conseguimento di un buono stato ecologico, in modo da non compromettere la capacità degli ecosistemi marini di reagire ai cambiamenti indotti dall’uomo: possono quindi verificarsi casi in cui i valori di soglia per determinate pressioni e i relativi impatti ambientali non sono necessariamente raggiunti in tutte le zone delle acque marine degli Stati membri, purché non sia compromesso la realizzazione degli obiettivi della direttiva quadro Strategia per l’ambiente marino e sia consentito nel contempo l’uso sostenibile dei beni e dei servizi marini.

(185)  Stabiliti all’allegato III della direttiva quadro Strategia per l’ambiente marino.

(186)  Le interrelazioni di questi diversi aspetti per la determinazione del buono stato ecologico sono illustrate in un documento di lavoro dei servizi della Commissione. Cfr. SWD(2020) 62, «Background document for the Marine Strategy Framework Directive on the determination of good environmental status and its links to assessments and the setting of environmental targets».

(187)  Cfr. anche articolo 8, paragrafo 1, lettera b), punto ii), della direttiva quadro Strategia per l’ambiente marino.

(188)  Cfr. l’allegato III, punto 7, lettera a), e l’allegato III, punto 8.

(189)  A titolo di esempio, l’articolo 7 della direttiva Emissioni industriali impone agli operatori di informare le autorità competenti riguardo a incidenti e inconvenienti e adottare misure di prevenzione, e l’articolo 8 della stessa direttiva impone agli operatori di informare le autorità in caso di mancata conformità e adottare misure di prevenzione, prevedendo altresì l’eventuale sospensione dell’attività professionale.

(190)  Articolo 22 della direttiva Emissioni industriali. La Commissione ha preparato delle linee guida per l’elaborazione della relazione di riferimento. Cfr. le linee guida della Commissione europea sulle relazioni di riferimento a norma dell’articolo 22, paragrafo 2, della direttiva 2010/75/UE relativa alle emissioni industriali (GU C 136 del 6.5.2014, pag. 3).

(191)  Articolo 6, paragrafo 1, lettera b), della direttiva.

(192)  Direttiva 98/83/CE del Consiglio, del 3 novembre 1998, concernente la qualità delle acque destinate al consumo umano (GU L 330 del 5.12.1998, pag. 32).

(193)  UNEP/MC/COP.3/8/Rev.1

(194)  La valutazione del rischio può contribuire a definire gli obiettivi di riparazione o gestione di un sito, come ad esempio:

a)

raggiungere i limiti massimi consentiti stabiliti dalla legislazione nazionale o locale o dalle autorità pertinenti, oppure

b)

raggiungere limiti specifici basati sul rischio per il sito, sulla base della valutazione. Al fine di promuovere un processo decisionale giustificato e una gestione sostenibile del rischio, una valutazione specifica del sito che si basi su un modello concettuale ben definito del sito (ovvero un collegamento sorgente-via di trasmissione-recettore) e tenga conto delle condizioni locali e dei valori di riferimento, potrebbe essere ritenuta lo strumento primario per determinare la necessità di azioni di gestione del rischio.

La valutazione del rischio è solitamente condotta in quattro fasi chiaramente definite con obiettivi specifici, per individuare i pericoli, la dose e le relazioni di rischio e per misurare la portata dell’esposizione al fine di determinare il livello di rischio e l’impatto stimato sui ricettori esposti:

a)

individuazione e caratterizzazione della portata (ad esempio il grado di contaminazione, la vicinanza alla popolazione umana, la profondità delle acque sotterranee, la vicinanza ad acque superficiali o ad habitat sensibili). La valutazione del rischio può vertere sugli effetti dei contaminanti sulla salute umana, sugli animali terrestri e sul biota acquatico. La salute umana sarà spesso prioritaria. La portata della valutazione del rischio è determinata dalle esigenze specifiche del sito;

b)

analisi del livello di pericolo e della tossicità: i pericoli di taluni contaminanti sono ben noti, con ampie informazioni scientifiche disponibili sui loro effetti;

c)

analisi dell’esposizione: l’obiettivo è stimare il tasso di contatto fra i contaminanti individuati e gli esseri umani o l’ambiente. L’analisi si basa su una descrizione degli scenari effettivi e potenziali di esposizione, nonché sulla caratterizzazione della natura e della portata della contaminazione. Possono essere previste misurazioni dell’esposizione, come i test condotti sull’approvvigionamento idrico, sugli alimenti di produzione locale, sui prodotti ittici, nonché sul cuoio capelluto e le urine umani. Le misurazioni dei livelli di contaminanti nei sedimenti, nonché nei pesci e in altri organismi del biota possono individuare i possibili effetti sull’ambiente;

d)

l’analisi dei rischi: i risultati delle fasi precedenti sono combinati per stimare in modo oggettivo la probabilità di effetti negativi sugli elementi protetti nel contesto delle condizioni specifiche di un sito.

In seguito alla valutazione di un sito contaminato vengono decise le modalità più appropriate per la gestione dei rischi presentati dal sito. Tali decisioni possono essere adottate a livello nazionale, regionale o locale o, in talune circostanze, dai proprietari dei terreni o altri enti. L’obiettivo della gestione dei rischi dovrebbe essere concordato prima di agire ed essere coerente con gli obiettivi di tutela della salute umana e dell’ambiente dalle emissioni antropogeniche e dal rilascio di contaminanti. I requisiti per la gestione dei siti contaminati dovrebbero essere fissati nella legislazione e nelle politiche nazionali o locali.

(195)  Cfr., ad esempio, il modello «S-Risk» applicato nelle Fiandre:www.s-risk.be

(196)  JRC (2007). Derivation methods of soil screening values in Europe. A review and evaluation of national procedures towards harmonization:https://esdac.jrc.ec.europa.eu/ESDB_Archive/eusoils_docs/other/EUR22805.pdf


ALLEGATO

Elenco delle sentenze della Corte di Giustizia citate nelle linee guida

Causa C-157/89, Commissione/Italia, ECLI:EU:C:1991:22

Causa C-3/96, Commissione/Paesi Bassi, ECLI:EU:C:1998:238

Causa C-392/96, Commissione/Irlanda, ECLI:EU:C:1999:431

Causa C-374/98, Commissione/Francia, ECLI:EU:C:2000:670

Causa C-494/01, Commissione/Irlanda, ECLI:EU:C:2005:250

Causa C-209/02, Commissione/Austria, ECLI:EU:C:2004:61

C-378/08,Raffinerie Mediterranee (ERG) SpA e altri, ECLI:EU:C:2010:126

Causa C-258/11, Sweetman, EU:C:2013:220

Causa C-461/13 Bund für Umwelt und Naturschutz Deutschland eV/Bundesrepublik Deutschland, ECLI:EU:C:2015:433

Causa C-534/13, Fipa Group e altri, ECLI:EU:C:2015:140

Causa C-104/15, Commissione/Romania, ECLI:EU:C:2016:581

Causa C-529/15, Folk, ECLI:EU:C:2017:419

Case C-129/16, Túrkevei Tejtermelö Kft, ECLI:EU:C:2017:547

Causa C-411/17, Inter-environnement Wallonie, ECLI:EU:C:2019:622

Causa C-535/18, IL e a./Land Nordrhein-Westfalen, ECLI:EU:C:2020:391

Causa C-15/19, AMA, ECLI:EU:C:2020:371

Causa C-297/19, Naturschutzbund Deutschland — Landesverband Schleswig-Holstein eV, ECLI:EU:C:2020:533

Causa C-477/19, IE/Magistrat der Stadt Wien, ECLI:EU:C:2020:517