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Document 62017CJ0234

Sentenza della Corte (Grande Sezione) del 24 ottobre 2018.
XC e a.
Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dall'Oberster Gerichtshof.
Rinvio pregiudiziale – Principi del diritto dell’Unione – Leale cooperazione – Autonomia procedurale – Principi di equivalenza e di effettività – Normativa nazionale che prevede un mezzo di impugnazione che consente la ripetizione di un procedimento penale in caso di violazione della Convenzione europea per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali – Obbligo di estendere tale procedura ai casi di asserite violazioni dei diritti fondamentali sanciti dal diritto dell’Unione europea – Insussistenza.
Causa C-234/17.

Court reports – general – 'Information on unpublished decisions' section

ECLI identifier: ECLI:EU:C:2018:853

SENTENZA DELLA CORTE (Grande Sezione)

24 ottobre 2018 ( *1 )

«Rinvio pregiudiziale – Principi del diritto dell’Unione – Leale cooperazione – Autonomia procedurale – Principi di equivalenza e di effettività – Normativa nazionale che prevede un mezzo di impugnazione che consente la ripetizione di un procedimento penale in caso di violazione della Convenzione europea per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali – Obbligo di estendere tale procedura ai casi di asserite violazioni dei diritti fondamentali sanciti dal diritto dell’Unione europea – Insussistenza»

Nella causa C‑234/17,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dall’Oberster Gerichtshof (Corte suprema, Austria), con decisione del 23 gennaio 2017, pervenuta in cancelleria il 4 maggio 2017, nel procedimento relativo ad una domanda di assistenza giudiziaria in materia penale

XC,

YB,

ZA

con l’intervento di:

Generalprokuratur,

LA CORTE (Grande Sezione),

composta da K. Lenaerts, presidente, R. Silva de Lapuerta, vicepresidente, A. Arabadjiev (relatore), C. Toader, F. Biltgen, presidenti di sezione, M. Ilešič, E. Levits, L. Bay Larsen, M. Safjan, D. Šváby, C. G. Fernlund, C. Vajda e S. Rodin, giudici,

avvocato generale: H. Saugmandsgaard Øe

cancelliere: K. Malacek, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 20 marzo 2018,

considerate le osservazioni presentate:

per il governo austriaco, da J. Schmoll, K. Ibili e G. Eberhard, in qualità di agenti;

per il governo ungherese, da M. Z. Fehér, G. Koós e G. Tornyai, in qualità di agenti;

per la Commissione europea, da H. Krämer e R. Troosters, in qualità di agenti,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 5 giugno 2018,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1

La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 4, paragrafo 3, TUE, nonché dei principi di equivalenza e di effettività.

2

Tale domanda è stata proposta nell’ambito di un procedimento relativo a una richiesta di assistenza giudiziaria in materia penale, avviato dinanzi alle autorità giudiziarie austriache su istanza della Staatsanwaltschaft des Kantons St. Gallen (procura del cantone di San Gallo, Svizzera), relativo a XC, YB e ZA, sospettati, in Svizzera, di aver commesso il reato di evasione fiscale ai sensi della legge svizzera sull’imposta sul valore aggiunto (IVA) nonché altri reati.

Contesto normativo

Diritto dell’Unione

3

L’articolo 50 della Convenzione di applicazione dell’Accordo di Schengen, del 14 giugno 1985, tra i governi degli Stati dell’Unione economica Benelux, della Repubblica federale di Germania e della Repubblica francese, relativo all’eliminazione graduale dei controlli alle frontiere comuni, firmata a Schengen (Lussemburgo) il 19 giugno 1990 ed entrata in vigore il 26 marzo 1995 (GU 2000, L 239, pag. 19; in prosieguo: la «CAAS»), che figura al Capitolo 2, rubricato «Assistenza giudiziaria in materia penale», del Titolo III della stessa, al paragrafo 1 dispone quanto segue:

«Le Parti contraenti si impegnano ad accordarsi, conformemente alla [Convenzione europea di mutua assistenza giudiziaria in materia penale (STE n. 30), firmata a Strasburgo il 20 aprile 1959, e al Trattato Benelux di estradizione e mutua assistenza giudiziaria in materia penale del 27 giugno 1962, quale modificato dal Protocollo dell’11 maggio 1974] l’assistenza giudiziaria per le infrazioni alle disposizioni legislative e regolamentari in materia di accise, d’imposta sul valore aggiunto e di dogane. Per disposizioni in materia doganale si intendono le norme stabilite dall’articolo 2 della convenzione del 7 settembre 1967 tra il Belgio, la Repubblica federale di Germania, la Francia, l’Italia, il Lussemburgo ed i Paesi Bassi relativa alla mutua assistenza tra amministrazioni doganali, nonché quelle di cui all’articolo 2 del regolamento (CEE) n. 1468/81 del Consiglio [del 19 maggio 1981, relativo alla mutua assistenza tra le autorità amministrative degli Stati membri e alla collaborazione tra queste e la Commissione per assicurare la corretta applicazione della regolamentazione doganale o agricola (GU 1981, L 144, pag. 1)]».

4

L’articolo 54 della CAAS, contenuto nel Capitolo 3, intitolato «Applicazione del principio ne bis in idem», del Titolo III di tale convenzione, così dispone:

«Una persona che sia stata giudicata con sentenza definitiva in una Parte contraente non può essere sottoposta ad un procedimento penale per i medesimi fatti in un’altra Parte contraente a condizione che, in caso di condanna, la pena sia stata eseguita o sia effettivamente in corso di esecuzione attualmente o, secondo la legge dello Stato contraente di condanna, non possa più essere eseguita».

Diritto austriaco

5

Lo Strafrechtsänderungsgesetz (legge di riforma del diritto penale, BGBl., 762/1996) ha inserito nella Strafprozessordnung (codice di procedura penale) gli articoli da 363a a 363c, relativi all’istituto giuridico della «ripetizione del procedimento penale» (Erneuerung des Strafverfahrens), «al fine di dare esecuzione alle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo».

6

L’articolo 363a del codice di procedura penale stabilisce quanto segue:

«(1)   Se una sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo accerta che una decisione o un provvedimento di un giudice penale viola la Convenzione europea dei diritti dell’uomo[, firmata a Roma il 4 novembre 1950], o uno dei suoi protocolli, qualora non si possa escludere che la violazione possa essere atta ad incidere in modo svantaggioso per l’interessato sul contenuto di una decisione giurisdizionale in materia penale, il procedimento, su richiesta, deve essere ripetuto.

(2)   In merito alla domanda di ripetizione del procedimento è competente a decidere l’Oberster Gerichtshof [(Corte suprema, Austria)]. Possono presentare la domanda l’interessato colpito dalla violazione constatata e il Generalprokurator [(Procuratore generale)] (…). Si applica per analogia l’articolo 282, paragrafo 1. La domanda va presentata all’Oberster Gerichtshof [(Corte suprema)]. Se la domanda è presentata dal Procuratore generale deve essere sentito l’interessato, mentre per una domanda da parte dell’interessato occorre sentire il Procuratore generale. L’articolo 35, paragrafo 2, si applica per analogia».

Procedimento principale e questione pregiudiziale

7

Nel corso del 2012 la procura del cantone di San Gallo ha avviato un’indagine relativa a fatti attinenti a evasione fiscale a carico di XC, YB e ZA, sospettati di avere ottenuto, per il tramite di dichiarazioni mendaci presentate all’amministrazione tributaria svizzera, rimborsi di IVA per un importo complessivo di 835374,17 franchi svizzeri (CHF) (circa EUR 716000). Tale procura ha adito le autorità giudiziarie austriache con una domanda di assistenza giudiziaria in materia penale affinché la Staatsanwaltschaft Feldkirch (procura di Feldkirch, Austria) procedesse all’audizione degli interessati.

8

XC, YB e ZA hanno intentato, in Austria, svariati ricorsi volti a contestare l’organizzazione delle audizioni richieste, sostanzialmente sulla base del rilievo che l’esistenza di procedimenti penali conclusi in Germania e nel Liechtenstein nel corso degli anni 2011 e 2012 ostava, in forza del principio del ne bis in idem sancito dall’articolo 54 della CAAS, a nuovi procedimenti a loro carico, basati sui sospetti di reati commessi a danno dell’amministrazione tributaria svizzera. In un’ordinanza del 9 ottobre 2015, l’Oberlandesgericht Innsbruck (tribunale regionale superiore di Innsbruck, Austria), statuendo in ultimo grado, ha considerato che non esistevano elementi dai quali emergesse una violazione dell’articolo 54 della CAAS.

9

Quando ormai tale ordinanza era divenuta definitiva, XC, YB e ZA, sulla base dell’articolo 363a del codice di procedura penale, hanno adito l’Oberster Gerichtshof (Corte suprema) con una domanda di ripetizione del procedimento penale, lamentando che l’accoglimento delle domande di assistenza giudiziaria controverse violava taluni dei loro diritti sanciti non solo dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo delle Libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 (in prosieguo: la «CEDU»), bensì anche dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»).

10

Il giudice del rinvio rileva che, nel solco di una sua giurisprudenza consolidata, la ripetizione del procedimento penale è possibile unicamente in caso di violazione di diritti garantiti dalla CEDU, accertata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, oppure, prima ancora di una decisione di quest’ultima che dichiari una siffatta violazione, dall’Oberster Gerichtshof (Corte suprema). Esso si chiede se il principio di leale cooperazione e i principi di equivalenza e di effettività postulino che la ripetizione del procedimento penale debba essere parimenti disposta in caso di violazione dei diritti fondamentali sanciti dal diritto dell’Unione, sebbene una fattispecie del genere non sia espressamente prevista dal testo che disciplina questo mezzo di impugnazione.

11

Ciò premesso, l’Oberster Gerichtshof (Corte suprema) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:

«Se il diritto dell’Unione, in particolare l’articolo 4, paragrafo 3, TUE, in riferimento ai principi di equivalenza ed effettività da esso derivanti, debba essere interpretato nel senso che l’Oberster Gerichtshof [Corte suprema] è tenuto, su richiesta di un interessato, a sottoporre a riesame una sentenza di un giudice penale passata in giudicato in relazione a una presunta violazione del diritto dell’Unione (nella specie: l’articolo 50 della [Carta] e l’articolo 54 della [CAAS]), qualora il diritto nazionale – articolo 363a [del codice di procedura penale] preveda un siffatto riesame solo per quanto concerne una presunta violazione della [CEDU] o di uno dei suoi protocolli aggiuntivi».

Sulla questione pregiudiziale

Sulla ricevibilità

12

Il governo austriaco solleva un’eccezione di irricevibilità avverso la presente domanda di pronuncia pregiudiziale.

13

In primo luogo, tale governo obietta che le situazioni di diritto da cui è scaturita la controversia nel procedimento principale non ricadono nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione, posto che il mezzo di ricorso contemplato dall’articolo 363a del codice di procedura penale è previsto per il caso di violazione non già del diritto dell’Unione, bensì della CEDU.

14

Tuttavia, laddove, come nel procedimento principale, le autorità di uno Stato membro accolgano favorevolmente la domanda di assistenza giudiziaria fondata sulla CAAS, la quale costituisce parte integrante del diritto dell’Unione in forza del protocollo n. 19 sull’acquis di Schengen integrato nel contesto dell’Unione europea, allegato al Trattato di Lisbona (GU 2010, C 83, pag. 290), esse attuano il diritto dell’Unione nell’accezione dell’articolo 51, paragrafo 1, della Carta. Peraltro, è stato statuito che l’articolo 54 della CAAS deve essere interpretato alla luce dell’articolo 50 della Carta, di cui garantisce che il nucleo essenziale sia rispettato (v., in questo senso, sentenze del 27 maggio 2014, Spasic, C‑129/14 PPU, EU:C:2014:586, punto 59, del 5 giugno 2014, M, C‑398/12, EU:C:2014:1057, punto 35, e del 29 giugno 2016, Kossowski, C‑486/14, EU:C:2016:483, punto 31). Pertanto, la situazione di fatto e di diritto da cui è scaturito il procedimento principale ricade nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione.

15

In secondo luogo, il governo austriaco sostiene che la presente domanda di pronuncia pregiudiziale è irricevibile in quanto il giudice del rinvio ha già considerato che l’articolo 54 della CAAS rappresenta un fondamento giuridico adeguato per chiedere una ripetizione del procedimento penale, a norma dell’articolo 363a del codice di procedura penale. Orbene, tale giudice, a suo avviso, non esplicita le ragioni per cui ritiene comunque necessaria una risposta alla questione pregiudiziale.

16

In virtù di una giurisprudenza costante, le questioni relative all’interpretazione del diritto dell’Unione sollevate dal giudice nazionale nel contesto di diritto e di fatto che esso individua sotto la propria responsabilità, e del quale non spetta alla Corte verificare l’esattezza, godono di una presunzione di rilevanza. Il rifiuto della Corte di statuire su una domanda proposta da un giudice nazionale è possibile soltanto qualora appaia in modo manifesto che l’interpretazione del diritto dell’Unione richiesta non ha alcun rapporto con l’effettività o con l’oggetto della causa di cui al procedimento principale, qualora la questione sia di tipo ipotetico o, ancora, qualora la Corte non disponga degli elementi di fatto e di diritto necessari per rispondere in modo utile alle questioni che le sono sottoposte (v., in particolare, sentenza del 27 giugno 2018, Altiner e Ravn, C‑230/17, EU:C:2018:497, punto 22).

17

Nel caso di specie, il giudice del rinvio ha esposto le ragioni per le quali l’interpretazione della disposizione e dei principi su cui è incentrata la sua questione pregiudiziale è necessaria per dirimere la controversia oggetto del procedimento principale. Ebbene, da tale esposizione dei motivi si evince che il fatto che la Corte chiarisca se tale giudice, nell’esaminare una domanda di ripetizione del procedimento penale, deve o meno pronunciarsi sulle accuse di violazione del diritto fondamentale garantito dall’articolo 50 della Carta e dall’articolo 54 della CAAS, può incidere direttamente sulla valutazione della situazione dei ricorrenti nel procedimento principale.

18

In effetti, per quanto, certamente, l’articolo 52, paragrafo 3, della Carta disponga che, laddove quest’ultima contenga diritti corrispondenti a quelli garantiti dalla CEDU, il significato e la portata degli stessi sono uguali a quelli conferiti dalla suddetta convenzione, dalla citata disposizione emerge altresì che il diritto dell’Unione può concedere una protezione più estesa.

19

Ciò premesso, la questione pregiudiziale è ricevibile.

Nel merito

20

Con la sua questione, il giudice del rinvio sostanzialmente chiede se il diritto dell’Unione, e in particolare i principi di equivalenza e di effettività, vada interpretato nel senso che obbliga il giudice nazionale ad estendere alle violazioni del diritto dell’Unione, segnatamente alle lesioni del diritto fondamentale garantito dall’articolo 50 della Carta e dall’articolo 54 della CAAS, un mezzo di impugnazione di diritto interno che, in caso di violazione della CEDU o di uno dei suoi protocolli, consente di ottenere la ripetizione di un procedimento penale concluso con una decisione nazionale passata in giudicato.

21

Al riguardo occorre ricordare che, in assenza di una normativa dell’Unione in materia, le modalità di attuazione del principio dell’intangibilità del giudicato rientrano nell’ordinamento giuridico interno degli Stati membri, ai sensi del principio dell’autonomia procedurale di questi ultimi, nel rispetto, tuttavia, dei principi di equivalenza e di effettività (sentenza del 10 luglio 2014, Impresa Pizzarotti, C‑213/13, EU:C:2014:2067, punto 54 e giurisprudenza citata).

22

In effetti, in ossequio al principio di cooperazione leale, sancito dall’articolo 4, paragrafo 3, TUE, le modalità procedurali dei ricorsi intesi a garantire la tutela dei diritti spettanti ai singoli in forza del diritto dell’Unione non devono essere meno favorevoli di quelle che riguardano ricorsi analoghi di natura interna (principio di equivalenza), né devono rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione (principio di effettività) (v., in questo senso, sentenze del 16 dicembre 1976, Rewe-Zentralfinanz e Rewe-Zentral, 33/76, EU:C:1976:188, punto 5; del 14 dicembre 1995, Peterbroeck, C‑312/93, EU:C:1995:437, punto 12; del 15 aprile 2008, Impact, C‑268/06, EU:C:2008:223, punto 46, nonché del 27 giugno 2013, Agrokonsulting-04, C‑93/12, EU:C:2013:432, punto 36).

23

I dettami di questi principi valgono sia sul piano della designazione dei giudici competenti a trattare le azioni fondate su tale diritto, sia per quanto riguarda la definizione delle modalità procedurali che reggono tali azioni (v., in questo senso, sentenze del 15 aprile 2008, Impact, C‑268/06, EU:C:2008:223, punto 47, e del 27 giugno 2013, Agrokonsulting-04, C‑93/12, EU:C:2013:432, punto 37).

24

L’osservanza di tali dettami deve essere valutata dalle varie autorità nazionali tenendo conto del ruolo delle norme di cui trattasi nel procedimento complessivamente inteso, dello svolgimento del medesimo e delle specificità di tali norme (sentenza del 27 giugno 2013, Agrokonsulting-04, C‑93/12, EU:C:2013:432, punto 38 e giurisprudenza citata).

Sul principio di equivalenza

25

A mente della giurisprudenza rammentata al punto 22 della presente sentenza, il principio di equivalenza vieta ad uno Stato membro di istituire modalità procedurali meno favorevoli per le domande dirette alla tutela dei diritti conferiti ai singoli dal diritto dell’Unione rispetto alle modalità applicabili a ricorsi analoghi di natura interna.

26

A questo riguardo, dalla decisione di rinvio e da una risposta a un quesito che la Corte ha sottoposto al governo austriaco in sede di udienza emerge che il ricorso inteso ad ottenere una ripetizione del procedimento penale, istituito all’articolo 363a del codice di procedura penale, deve essere considerato alla stregua di un ricorso di natura interna.

27

È pertanto necessario verificare se tale ricorso possa essere considerato simile a un ricorso finalizzato alla tutela del diritto dell’Unione, e segnatamente dei diritti fondamentali sanciti da quest’ultimo, tenendo conto dell’oggetto, della causa e degli elementi fondamentali di tali ricorsi (v., in questo senso, sentenza del 27 giugno 2013, Agrokonsulting-04, C‑93/12, EU:C:2013:432, punto 39 e giurisprudenza citata).

28

Onde illustrare i dubbi che nutre sul fatto che l’articolo 363a del codice di procedura penale rispetti il principio di equivalenza, il giudice del rinvio evoca la possibilità che, nel contesto di una domanda basata su tale disposizione, una censura tratta dalla violazione di un diritto fondamentale garantito dalla CEDU persegua il medesimo obiettivo e abbia lo stesso fondamento di una censura tratta da una violazione di un diritto garantito dalla Carta. Inoltre, esso evidenzia, in sostanza, che in forza dell’articolo 52, paragrafo 3, della Carta, i diritti garantiti da quest’ultima hanno perlomeno la medesima portata dei corrispondenti diritti garantiti dalla CEDU.

29

Secondo il dettato dell’articolo 363a del codice di procedura penale, la ripetizione del procedimento penale è prevista nell’ipotesi in cui una sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo acclari che una pronuncia o una decisione di un giudice penale ha violato la CEDU o uno dei suoi protocolli. Dal disposto di tale norma emerge dunque che, in linea di principio, questo mezzo di ricorso presuppone che la Corte europea dei diritti dell’uomo, abbia previamente constatato una violazione della CEDU o di uno dei suoi protocolli.

30

Ciò nondimeno, il giudice del rinvio precisa di avere statuito, in una sentenza di principio del 1o agosto 2007, che la ripetizione del procedimento penale non si verifica unicamente in presenza di una situazione in cui la Corte europea dei diritti dell’uomo ha previamente dichiarato che una pronuncia o una decisione di un giudice penale ha violato la CEDU o uno dei suoi protocolli, ma che tale ripetizione può invece essere disposta anche laddove sia essa stessa ad avere dichiarato l’esistenza di una violazione siffatta. Pertanto l’Oberster Gerichtshof (Corte suprema), quando è adito in vece della Corte europea dei diritti dell’uomo, e non in base al fatto che quest’ultima ha constatato una violazione della CEDU o di uno dei suoi protocolli, estende, purché ricorrano le condizioni di ricevibilità applicabili a un ricorso intentato dinanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo, tale procedura a chiunque denunci di avere sofferto una lesione di uno dei suoi diritti garantiti da tale convenzione e da detti protocolli, anticipando in tal modo una decisione nel merito da parte di quest’ultimo giudice.

31

Dal fascicolo di cui dispone la Corte si evince che la giustificazione del mezzo di impugnazione straordinario istituito dall’articolo 363a del codice di procedura penale risiede nella natura stessa della CEDU, e che tale mezzo, così come è stato strutturato dal legislatore austriaco, si ricollega alla procedura davanti alla Corte europea dei diritti dell’uomo per il tramite di uno stretto nesso funzionale. Infatti, questo mezzo di impugnazione è stato introdotto al fine di dare esecuzione alle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo, e il governo austriaco sottolinea che il legislatore, procedendo in tal modo, intendeva conformarsi all’obbligo sancito dall’articolo 46 della CEDU.

32

A questo proposito occorre ricordare, come ha fatto l’avvocato generale al paragrafo 75 delle conclusioni, che il requisito che figura all’articolo 35, paragrafo 1, della CEDU, secondo cui la Corte europea dei diritti dell’uomo può essere adita solo previo esaurimento delle vie di ricorso interne, implica l’esistenza di una decisione pronunciata dal giudice nazionale di ultimo grado e munita di autorità di cosa giudicata.

33

Come emerge dal fascicolo di cui dispone la Corte, è proprio al fine di tener conto di questa situazione e di garantire l’applicazione delle sentenze pronunciate dalla Corte europea dei diritti dell’uomo nell’ordinamento giuridico interno che è stata istituita la procedura prevista all’articolo 363a del codice di procedura penale, che consente la ripetizione di un procedimento penale concluso con una decisione giurisdizionale avente efficacia di giudicato.

34

Dalla domanda di pronuncia pregiudiziale e dalle spiegazioni offerte dal governo austriaco risulta inoltre che lo stretto nesso funzionale esistente tra la procedura prevista da tale disposizione e la procedura dinanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo non può essere messo in discussione dall’ampliamento dell’ambito di applicazione della prima procedura, operato per mezzo della sentenza di principio dell’Oberster Gerichtshof (Corte suprema) del 1o agosto 2007. In effetti, come già spiegato al punto 30 della presente sentenza, un ricorso intentato in forza di tale medesima disposizione prima ancora che la Corte europea dei diritti dell’uomo abbia accertato che la CEDU o uno dei suoi protocolli sono stati violati, è assoggettato alle medesime condizioni di ricevibilità di un ricorso proposto dinanzi a quest’ultimo giudice e, secondo le spiegazioni fornite dal giudice del rinvio, mira semplicemente ad anticipare un siffatto accertamento.

35

Orbene, occorre constatare che la procedura istituita dall’articolo 363a del codice di procedura penale, tenuto conto del suo oggetto, della sua causa, e dei suoi elementi fondamentali così come testé esposti, non può essere considerata simile a un ricorso inteso alla tutela di un diritto fondamentale garantito dal diritto dell’Unione, segnatamente dalla Carta, e ciò in considerazione delle caratteristiche specifiche inerenti alla natura stessa di tale diritto.

36

A questo proposito occorre rammentare, come la Corte ha rilevato a più riprese, che il diritto dell’Unione si caratterizza per il fatto di derivare da una fonte autonoma, costituita dai Trattati, per il suo primato sul diritto dei singoli Stati membri [v., in tal senso, sentenze del 15 luglio 1964, Costa, 6/64, EU:C:1964:66, e del 17 dicembre 1970, Internationale Handelsgesellschaft, 11/70, EU:C:1970:114, punto 3; pareri 1/91 (Accordo SEE – I), del 14 dicembre 1991, EU:C:1991:490, punto 21, e 1/09, dell’8 marzo 2011, EU:C:2011:123, punto 65; e sentenza del 26 febbraio 2013, Melloni, C‑399/11, EU:C:2013:107, punto 59], nonché per l’effetto diretto di tutta una serie di disposizioni applicabili ai cittadini di detti Stati membri nonché agli Stati stessi [v., in questo senso, sentenza del 5 febbraio 1963, van Gend & Loos, 26/62, EU:C:1963:1, pag. 23; parere 1/09, dell’8 marzo 2011, EU:C:2011:123, punto 65, e parere 2/13 (Adesione dell’Unione alla CEDU), del 18 dicembre 2014, EU:C:2014:2454, punto 166 e giurisprudenza citata].

37

Al centro di tale costruzione giuridica si collocano proprio i diritti fondamentali, quali riconosciuti dalla Carta – che, ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, TUE, ha lo stesso valore giuridico dei Trattati –, e il rispetto di tali diritti costituisce un presupposto della legittimità degli atti dell’Unione, sicché non possono ammettersi in quest’ultima misure incompatibili con questi medesimi diritti [v., in questo senso, sentenze del 18 giugno 1991, ERT, C‑260/89, EU:C:1991:254, punto 41; del 29 maggio 1997,Kremzow, C‑299/95, EU:C:1997:254, punto 14; del 12 giugno 2003, Schmidberger, C‑112/00, EU:C:2003:333, punto 73, e del 3 settembre 2008, Kadi e Al Barakaat International Foundation/Consiglio e Commissione, C‑402/05 P e C‑415/05 P, EU:C:2008:461, punti 283284, e parere 2/13 (Adesione dell’Unione alla CEDU), del 18 dicembre 2014, EU:C:2014:2454, punto 169].

38

La Corte ha peraltro statuito, per quanto attiene al principio del ne bis in idem, sancito dall’articolo 50 della Carta, oggetto del procedimento principale, che tale disposizione dispiega effetto diretto (sentenza del 20 marzo 2018, Garlsson Real Estate e a., C‑537/16, EU:C:2018:193, punto 68).

39

Per garantire la preservazione delle caratteristiche specifiche e dell’autonomia di tale ordinamento giuridico, i Trattati hanno istituito un sistema giurisdizionale destinato ad assicurare la coerenza e l’unità nell’interpretazione del diritto dell’Unione [parere 2/13 (Adesione dell’Unione alla CEDU), del 18 dicembre 2014, EU:C:2014:2454, punto 174].

40

In tale contesto, spetta ai giudici nazionali e alla Corte garantire la piena applicazione del diritto dell’Unione nell’insieme degli Stati membri, nonché la tutela giurisdizionale dei diritti spettanti agli amministrati in forza del diritto dell’Unione [parere 1/09, EU:C:2011:123, punto 68 e giurisprudenza citata, nonché parere 2/13 (Adesione dell’Unione alla CEDU), del 18 dicembre 2014, EU:C:2014:2454, punto 175].

41

La chiave di volta del sistema giurisdizionale così concepito è costituita dal procedimento di rinvio pregiudiziale previsto dall’articolo 267 TFUE, il quale, instaurando un dialogo da giudice a giudice proprio tra la Corte e i giudici degli Stati membri, mira ad assicurare l’unità di interpretazione del diritto dell’Unione (v., in tal senso, sentenza del 5 febbraio 1963, van Gend & Loos, 26/62, EU:C:1963:1, pag. 23), permettendo così di garantire la coerenza, la piena efficacia e l’autonomia di tale diritto nonché, in ultima istanza, il carattere peculiare dell’ordinamento istituito dai Trattati [parere 2/13 (Adesione dell’Unione alla CEDU), del 18 dicembre 2014, EU:C:2014:2454, punto 176].

42

Secondo giurisprudenza consolidata, l’articolo 267 TFUE conferisce ai giudici nazionali la più ampia facoltà di adire la Corte qualora ritengano che, nell’ambito di una controversia dinanzi ad essi pendente, siano sorte questioni che implichino un’interpretazione o un accertamento della validità delle disposizioni del diritto dell’Unione necessarie per definire la controversia di cui sono investiti. I giudici nazionali sono d’altronde liberi di esercitare tale facoltà in qualsiasi momento da essi ritenuto opportuno (sentenza del 5 luglio 2016, Ognyanov, C‑614/14, EU:C:2016:514, punto 17 e giurisprudenza citata).

43

Per di più, occorre ricordare che, a norma dell’articolo 267, terzo comma, TFUE, una giurisdizione nazionale avverso le cui decisioni non possa proporsi un ricorso giurisdizionale di diritto interno è in linea di principio tenuta a rivolgersi alla Corte, quando è chiamata a pronunciarsi su una questione di interpretazione del diritto dell’Unione (v., in questo senso, sentenza del 9 settembre 2015, Ferreira da Silva e Brito e a., C‑160/14, EU:C:2015:565, punto 37 e giurisprudenza citata).

44

Infine, secondo una costante giurisprudenza della Corte, i giudici nazionali incaricati di applicare, nell’ambito delle loro competenze, le norme del diritto dell’Unione hanno l’obbligo di garantire la piena efficacia di tali norme disapplicando all’occorrenza, di propria iniziativa, qualsiasi contraria disposizione nazionale, senza chiedere né attendere la previa soppressione di tale disposizione nazionale per via legislativa o mediante qualsiasi altro procedimento costituzionale (v., in questo senso, sentenze del 9 marzo 1978, Simmenthal, 106/77, EU:C:1978:49, punti 2124, nonché del 6 marzo 2018, SEGRO e Horváth, C‑52/16 e C‑113/16, EU:C:2018:157, punto 46 e giurisprudenza citata).

45

È dunque nel rispetto di tale quadro costituzionale che vanno interpretati e applicati in seno all’Unione i diritti fondamentali, quali riconosciuti in particolare dalla Carta [parere 2/13 (Adesione dell’Unione alla CEDU), del 18 dicembre 2014, EU:C:2014:2454, punto 177].

46

Pertanto, come precisato al punto 36 della presente sentenza e come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 55 delle conclusioni, detto quadro costituzionale assicura a qualsiasi individuo la possibilità di ottenere la tutela effettiva dei diritti che ad esso sono conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione prima ancora che intervenga una decisione nazionale avente autorità di cosa giudicata.

47

Alla luce di quanto precede, occorre trarre la conclusione che le differenze tra la procedura prevista dall’articolo 363a del codice di procedura penale, da una parte, e i ricorsi intesi a tutelare i diritti che i cittadini traggono dal diritto dell’Unione, dall’altra, sono tali da non consentire di considerare tali ricorsi simili nell’accezione della giurisprudenza rammentata ai punti da 22 a 25 della presente sentenza.

48

Da ciò consegue che il principio di equivalenza non obbliga il giudice nazionale, qualora sia stata eccepita una violazione di un diritto fondamentale garantito dal diritto dell’Unione, segnatamente dalla Carta, ad estendere un mezzo di impugnazione di diritto interno che consente di ottenere, in caso di violazione della CEDU o di uno dei suoi protocolli, la ripetizione di un procedimento penale concluso con una decisione nazionale passata in giudicato.

Sul principio di effettività

49

Per quanto concerne il principio di effettività, occorre rammentare che, secondo costante giurisprudenza, ciascun caso in cui sorga la questione se una norma processuale nazionale renda impossibile o eccessivamente difficile l’applicazione del diritto dell’Unione dev’essere esaminato tenendo conto del ruolo di detta norma nell’insieme del procedimento, dello svolgimento e delle peculiarità dello stesso, dinanzi ai vari organi giurisdizionali nazionali. Sotto tale profilo si devono considerare segnatamente, se necessario, la tutela dei diritti della difesa, il principio della certezza del diritto e il regolare svolgimento del procedimento (sentenza del 22 febbraio 2018, INEOS Köln, C‑572/16, EU:C:2018:100, punto 44).

50

Per valutare se sussista una violazione del principio di effettività del diritto dell’Unione occorre chiarire se l’impossibilità di chiedere, basandosi sull’articolo 363a del codice di procedura penale, la ripetizione di un procedimento penale concluso con una decisione passata in giudicato, eccependo la violazione di un diritto fondamentale garantito dal diritto dell’Unione, come il diritto sancito dall’articolo 50 della Carta e dall’articolo 54 della CAAS, renda in pratica impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione.

51

In proposito va rilevato che il Trattato FUE non ha inteso obbligare gli Stati membri ad istituire, per salvaguardare i diritti che i singoli traggono dal diritto dell’Unione, mezzi d’impugnazione, esperibili dinanzi ai giudici nazionali, diversi da quelli già contemplati dal diritto nazionale (v., in questo senso, sentenza del 13 marzo 2007, Unibet, C‑432/05, EU:C:2007:163, punto 40 e giurisprudenza citata).

52

Occorre inoltre ricordare l’importanza che riveste, sia nell’ordinamento giuridico dell’Unione sia negli ordinamenti giuridici nazionali, il principio dell’intangibilità del giudicato. Infatti, al fine di garantire tanto la stabilità del diritto e dei rapporti giuridici quanto una buona amministrazione della giustizia, è importante che le decisioni giurisdizionali divenute definitive dopo l’esaurimento dei mezzi di ricorso disponibili o dopo la scadenza dei termini previsti per tali ricorsi non possano più essere rimesse in discussione (sentenze del 16 marzo 2006, Kapferer, C‑234/04, EU:C:2006:178, punto 20; del 29 giugno 2010, Commissione/Lussemburgo, C‑526/08, EU:C:2010:379, punto 26; del 29 marzo 2011, ThyssenKrupp Nirosta/Commissione, C‑352/09 P, EU:C:2011:191, punto 123, e del 10 luglio 2014, Impresa Pizzarotti, C‑213/13, EU:C:2014:2067, punto 58).

53

Pertanto, il diritto dell’Unione non impone a un giudice nazionale di disapplicare le norme procedurali interne che attribuiscono forza di giudicato a una pronuncia giurisdizionale, neanche quando ciò permetterebbe di porre rimedio a una situazione nazionale incompatibile con detto diritto (sentenze del 10 luglio 2014, Impresa Pizzarotti, C‑213/13, EU:C:2014:2067, punto 59 e giurisprudenza citata, e del 6 ottobre 2015, Târşia, C‑69/14, EU:C:2015:662, punto 29).

54

Il diritto dell’Unione non esige, dunque, che, per tener conto dell’interpretazione di una disposizione pertinente di tale diritto offerta dalla Corte posteriormente alla decisione di un organo giurisdizionale avente autorità di cosa giudicata, quest’ultimo ritorni necessariamente su tale decisione (v., in questo senso, sentenze del 10 luglio 2014, Impresa Pizzarotti, C‑213/13, EU:C:2014:2067, punto 60, e del 6 ottobre 2015, Târşia, C‑69/14, EU:C:2015:662, punto 38).

55

Nel caso di specie, il fascicolo di cui dispone la Corte non contiene alcun elemento da cui si possa inferire che l’ordinamento giuridico austriaco non offra mezzi giurisdizionali che garantiscono in modo efficace la tutela dei diritti che i cittadini traggono dall’articolo 50 della Carta e dell’articolo 54 della CAAS.

56

Viceversa, è pacifico che i ricorrenti nel procedimento principale, quando hanno contestato le domande di assistenza giudiziaria presentate dalla procura del cantone di San Gallo dinanzi ai giudici austriaci, erano perfettamente in grado di eccepire una violazione di tale disposizione e che i giudici in parola hanno esaminato tali censure. Peraltro, il giudice del rinvio rimarca che il codice di procedura penale propone alle persone interessate svariate possibilità di avvalersi dei diritti che l’ordinamento giuridico dell’Unione europea conferisce loro.

57

Tale contesto garantisce così l’effettività del diritto dell’Unione, senza che sia necessario estendervi il mezzo di impugnazione straordinario previsto dall’articolo 363a del codice di procedura penale, che consente di rimettere in discussione decisioni nazionali passate in giudicato.

58

Del resto, come ha osservato l’avvocato generale al paragrafo 56 delle conclusioni, il principio dell’autorità di cosa giudicata non osta al riconoscimento del principio della responsabilità dello Stato per la decisione di un organo giurisdizionale di ultimo grado (sentenza del 30 settembre 2003, Köbler, C‑224/01, EU:C:2003:513, punto 40). Infatti, poiché, di norma, quando una siffatta decisione viola i diritti riconosciuti dal diritto dell’Unione, tale violazione non può più costituire oggetto di riparazione, i singoli non possono essere privati della possibilità di far valere la responsabilità dello Stato al fine di ottenere con tale mezzo una tutela giuridica dei loro diritti (sentenze del 30 settembre 2003, Köbler, C‑224/01, EU:C:2003:513, punto 34, e del 6 ottobre 2015, Târşia, C‑69/14, EU:C:2015:662, punto 40).

59

Alla luce del complesso delle considerazioni che precedono, occorre rispondere alla questione sottoposta che il diritto dell’Unione, e in particolare i principi di equivalenza e di effettività, deve essere interpretato nel senso che non obbliga un giudice nazionale ad estendere alle violazioni del diritto dell’Unione, e segnatamente alle lesioni del diritto fondamentale garantito dall’articolo 50 della Carta e dall’articolo 54 della CAAS, un mezzo di impugnazione di diritto interno che consente di ottenere, unicamente in caso di violazione della CEDU o di uno dei suoi protocolli, la ripetizione di un procedimento penale concluso con una decisione nazionale passata in giudicato.

Sulle spese

60

Nei confronti delle parti del procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

 

Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara:

 

Il diritto dell’Unione, e in particolare i principi di equivalenza e di effettività, deve essere interpretato nel senso che non obbliga un giudice nazionale ad estendere alle violazioni del diritto dell’Unione, e segnatamente alle lesioni del diritto fondamentale garantito dall’articolo 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e dall’articolo 54 della Convenzione di applicazione dell’Accordo di Schengen, del 14 giugno 1985, tra i governi degli Stati dell’Unione economica Benelux, della Repubblica federale di Germania e della Repubblica francese, relativo all’eliminazione graduale dei controlli alle frontiere comuni, firmata a Schengen (Lussemburgo) il 19 giugno 1990 ed entrata in vigore il 26 marzo 1995, un mezzo di impugnazione di diritto interno che consente di ottenere, unicamente in caso di violazione della Convenzione europea per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo delle Libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 o di uno dei suoi protocolli, la ripetizione di un procedimento penale concluso con una decisione nazionale passata in giudicato.

 

Firme


( *1 ) Lingua processuale: il tedesco.

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