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Document 62008CJ0105

Sentenza della Corte (Prima Sezione) del 17 giugno 2010.
Commissione europea contro Repubblica portoghese.
Inadempimento di uno Stato - Libera prestazione dei servizi e libera circolazione dei capitali -Artt. 49 CE e 56 CE, nonché 36 e 40 dell’Accordo SEE - Fiscalità diretta - Assoggettamento ad imposta degli interessi percepiti - Trattamento sfavorevole dei non residenti - Onere della prova.
Causa C-105/08.

Raccolta della Giurisprudenza 2010 I-05331

ECLI identifier: ECLI:EU:C:2010:345

Causa C‑105/08

Commissione europea

contro

Repubblica portoghese

«Inadempimento di uno Stato — Libera prestazione dei servizi e libera circolazione dei capitali — Artt. 49 CE e 56 CE, nonché 36 e 40 dell’Accordo SEE — Fiscalità diretta — Assoggettamento ad imposta degli interessi percepiti — Trattamento sfavorevole dei non residenti — Onere della prova»

Massime della sentenza

Ricorso per inadempimento — Prova dell’inadempimento — Onere incombente alla Commissione

(Art. 226 CE)

Nell’ambito di un procedimento per inadempimento in base all’art. 226 CE, incombe alla Commissione provare la sussistenza dell’asserito inadempimento. Spetta ad essa fornire alla Corte gli elementi di fatto necessari affinché quest’ultima accerti l’esistenza dell’inadempimento, senza potersi basare su alcuna presunzione.

Pertanto, quando la Commissione intende dimostrare che una normativa tributaria nazionale comporta una tassazione più elevata degli interessi versati ad enti non residenti, e ricorre a tal fine ad un esempio numerico, spetta ad essa provare che le cifre su cui si basa il suo calcolo rispecchiano la realtà economica, qualora, da un lato, tale calcolo, che la Commissione stessa definisce «teorico», sia contestato dal governo nazionale, in quanto la premessa su cui si basa non ha alcun nesso con la realtà, e, dall’altro, detto governo presenti un calcolo, basato su un altro margine di utile, che conduce al risultato che gli enti residenti sono tassati in modo più oneroso. La Commissione può pertanto fornire, in particolare, dati statistici o dati riguardanti il livello degli interessi applicati ai crediti bancari e le condizioni di rifinanziamento per sostenere la veridicità dei propri calcoli. Laddove la Commissione non fornisca, né nel corso del procedimento scritto né in udienza, e neppure a seguito di espressa richiesta della Corte, il minimo elemento concludente che possa dimostrare la veridicità delle cifre da essa avanzate a sostegno della propria tesi e che l’esempio numerico da essa riportato non costituisce soltanto una semplice ipotesi di scuola, essa non dimostra l’inadempimento contestato.

(v. punti 26-27, 29-31)







SENTENZA DELLA CORTE (Prima Sezione)

17 giugno 2010 (*)

«Inadempimento di uno Stato – Libera prestazione dei servizi e libera circolazione dei capitali – Artt. 49 CE e 56 CE, nonché 36 e 40 dell’Accordo SEE – Fiscalità diretta – Assoggettamento ad imposta degli interessi percepiti – Trattamento sfavorevole dei non residenti – Onere della prova»

Nella causa C‑105/08,

avente ad oggetto il ricorso per inadempimento, ai sensi dell’art. 226 CE, proposto il 6 marzo 2008,

Commissione europea, rappresentata dal sig. R. Lyal e dalla sig.ra M. Afonso, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo,

ricorrente,

contro

Repubblica portoghese, rappresentata dai sigg. L. Inez Fernandes e J. Menezes Leitão nonché dalla sig.ra C. Guerra Santos, in qualità di agenti,

convenuta,

sostenuta da:

Repubblica di Lituania, rappresentata dal sig. D. Kriaučiūnas e dalla sig.ra V. Kazlauskaitė-Švenčionienė, in qualità di agenti,

interveniente,

LA CORTE (Prima Sezione),

composta dal sig. A. Tizzano, presidente di sezione, dai sigg. A. Borg Barthet, M. Ilešič, J.‑J. Kasel (relatore) e dalla sig.ra M. Berger, giudici,

avvocato generale: sig.ra J. Kokott

cancelliere: sig.ra M. Ferreira, amministratore principale

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza dell’11 febbraio 2010,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 25 marzo 2010,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        Con il suo ricorso la Commissione delle Comunità europee chiede alla Corte di constatare che la Repubblica portoghese, assoggettando gli interessi versati a istituti finanziari non residenti ad un’imposta più elevata di quella applicata agli interessi versati ad istituti finanziari residenti nel territorio portoghese, limita la libera prestazione dei servizi di credito ipotecario e di altre forme di credito da parte degli istituti finanziari residenti in altri Stati membri nonché in Stati parti dell’Accordo sullo spazio economico europeo del 2 maggio 1992 (GU 1994, L 1, pag. 3; in prosieguo: l’«Accordo SEE») ed è, pertanto, venuta meno agli obblighi ad essa imposti in forza degli artt. 49 CE e 56 CE, nonché 36 e 40 dell’Accordo SEE.

 Contesto normativo

2        Conformemente all’art. 4, n. 2, del Codice dell’imposta sulle società (Código do Imposto sobre o Rendimento das Pessoas colectivas), approvato con il decreto legge 30 novembre 1988, n. 442/B/88, nella versione risultante dal decreto legge 7 dicembre 2005, n. 211/2005 (Diário da República I, serie A, n. 234, del 7 dicembre 2005; in prosieguo: il «CIRC»), le persone giuridiche e gli altri enti che non abbiano la loro sede o direzione effettiva nel territorio nazionale sono soggette all’imposta sulle società (in prosieguo: l’«IRC») solo in relazione ai redditi conseguiti in tale territorio. Ai sensi dell’art. 4, n. 3, lett. c), del CIRC, tra i redditi interessati figurano gli interessi pagati da debitori che risiedano o abbiano la loro sede o direzione effettiva nel territorio nazionale, o il cui pagamento sia imputabile ad una stabile organizzazione stabilita in detto Stato.

3        In assenza di una convenzione volta a prevenire la doppia imposizione (in prosieguo: la «CDI»), siffatti redditi, ai sensi dell’art. 80, n. 2, lett. c), del CIRC, sono, in linea di principio, assoggettati ad un’aliquota di imposta del 20%.

4        L’IRC controverso è prelevato, ai sensi dell’art. 88, nn. 1, lett. c), 3, lett. b), e 5, del CIRC, attraverso una ritenuta definitiva alla fonte.

5        Le CDI stipulate tra la Repubblica portoghese e gli altri Stati membri dell’Unione europea nonché gli Stati parti dell’Accordo SEE prevedono, ai sensi dell’art. 11 del modello di convenzione fiscale riguardante il reddito e il patrimonio elaborato dall’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE), che l’aliquota applicata a tali redditi dallo Stato in cui si trova la loro fonte si situi tra il 10% e il 15%. Ai sensi dell’art. 90‑A, n. 1, del CIRC, in tali casi l’obbligo di ritenuta alla fonte è limitato alla parte corrispondente dell’IRC. Con riferimento ai due Stati con i quali la Repubblica portoghese non ha stipulato CDI, vale a dire la Repubblica di Cipro e il Principato del Liechtenstein, tale aliquota corrisponde al 20%.

6        Le parti della controversia concordano sul fatto che la tassazione dei redditi da interessi percepiti da istituti finanziari non residenti ha quale base d’imposta l’importo lordo dei redditi, mentre i redditi da interessi percepiti dagli istituti finanziari residenti sono compresi nel reddito imponibile di questi ultimi. Nel calcolo di tale reddito sono dedotte le spese sopportate. Tale reddito è assoggettato all’aliquota generale del 25% ai sensi dell’art. 80, n. 1, del CIRC. Secondo la Repubblica portoghese, si può considerare che, nel secondo caso di figura, l’imposta colpisce l’importo netto degli interessi, che può, in particolare, corrispondere alla differenza tra gli interessi percepiti e gli interessi pagati a terzi per ottenere il capitale necessario alla realizzazione dell’operazione di credito.

 Il procedimento precontenzioso e il procedimento dinanzi alla Corte

7        Il 21 marzo 2005 la Commissione inviava alla Repubblica portoghese una lettera di diffida nella quale attirava l’attenzione delle autorità portoghesi sul fatto che, assoggettando gli interessi ipotecari percepiti da istituti finanziari non residenti ad imposta più gravosa di quella applicata agli interessi percepiti da istituti finanziari residenti, tale Stato membro limitava la prestazione dei servizi di credito ipotecario e di altri tipi di crediti da parte degli istituti finanziari stranieri, venendo meno in tal modo agli obblighi ad esso incombenti in forza degli artt. 49 CE e 56 CE, nonché 36 e 40 dell’Accordo SEE.

8        Il 19 dicembre 2005 la Commissione, non convinta dalla risposta della Repubblica portoghese, inviava a tale Stato membro un parere motivato, invitandolo ad adottare i provvedimenti necessari a conformarsi ad esso entro due mesi dalla sua ricezione.

9        Il 24 febbraio 2006 la Repubblica portoghese rispondeva che avrebbe mantenuto il suo punto di vista secondo il quale il CIRC è conforme al diritto comunitario ed è in ogni caso giustificato da ragioni di coerenza e di logica interna del sistema tributario nazionale. Inoltre la soluzione avanzata dalla Commissione comporterebbe la divulgazione da parte degli istituti finanziari non residenti degli elementi necessari alla determinazione del loro reddito netto. Orbene, il controllo di tali elementi comporterebbe evidenti difficoltà per l’amministrazione tributaria portoghese.

10      La Commissione, non soddisfatta della risposta della Repubblica portoghese, decideva di proporre il presente ricorso.

11      Con ordinanza del presidente della Corte 4 agosto 2008 veniva ammesso l’intervento della Repubblica di Lituania a sostegno delle conclusioni della Repubblica portoghese.

 Sul ricorso

 Argomenti delle parti

12      La Commissione sostiene che, quand’anche l’aliquota di imposta applicabile ai redditi degli istituti finanziari non residenti sia inferiore a quella che colpisce gli analoghi redditi degli istituti finanziari residenti, l’onere tributario sopportato in Portogallo dai primi è, di fatto, decisamente maggiore, dal momento che, contrariamente agli enti residenti, essi non possono dedurre dall’ammontare dei redditi assoggettati ad imposta le spese professionali direttamente connesse all’attività esercitata. Orbene, una siffatta differenza di trattamento costituirebbe, come risulta dalla sentenza 11 ottobre 2007, causa C‑443/06, Hollmann (Racc. pag. I‑8491, punti 35‑38), una discriminazione a danno degli istituti finanziari non residenti.

13      Prevedendo una ritenuta alla fonte ad un’aliquota compresa tra il 10% e il 20% che colpisce l’ammontare lordo degli interessi percepiti in Portogallo, la normativa controversa dissuaderebbe gli istituti di credito stranieri dall’offrire i loro servizi in Portogallo, a meno che il loro margine di utile, nelle operazioni interessate, non fosse notevolmente superiore all’aliquota dell’imposta ritenuta alla fonte. Orbene, tenuto conto dell’estrema concorrenzialità dei mercati finanziari internazionali, del contesto determinato dall’esistenza di una moneta comune nella zona euro e dei livelli simili dei tassi di interesse nella maggioranza degli Stati membri, sarebbe molto poco probabile che un istituto finanziario straniero riuscisse ad ottenere un margine di utile superiore al 10%. Inoltre, per ristabilire condizioni di uguaglianza con gli istituti finanziari residenti, sui quali grava un onere tributario del 25% sui loro redditi netti, sarebbe necessario che gli istituti finanziari non residenti riuscissero a realizzare utili quattro volte superiori a quelli ottenuti dagli istituti finanziari residenti nell’esercizio delle loro rispettive attività in Portogallo.

14      Secondo la Commissione, nel caso di specie non si può validamente sostenere che gli istituti finanziari residenti e gli istituti finanziari non residenti non si trovino in una situazione oggettivamente analoga. Infatti, risulterebbe dalla giurisprudenza della Corte, in particolare dalle sentenze 12 giugno 2003, causa C‑234/01, Gerritse (Racc. pag. I‑5933, punto 27), e 15 febbraio 2007, causa C‑345/04, Centro Equestre da Lezíria Grande (Racc. pag. I‑1425, punto 24), che, rispetto alle spese professionali direttamente connesse all’attività esercitata in uno Stato membro da parte di un soggetto non residente e che abbiano generato redditi imponibili in tale Stato, i residenti e i non residenti si trovano in una situazione analoga, cosicché tali spese, in linea di principio, devono essere prese in considerazione in detto Stato dal momento che i residenti sono ivi assoggettati ad imposta sui loro redditi netti, vale a dire sui redditi risultanti a seguito della deduzione di tali spese. In base alla sentenza Hollmann, citata (punti 50 e 51), il principio di non discriminazione esigerebbe peraltro che, quando si applica la stessa imposta ai residenti e ai non residenti, i redditi di questi ultimi non siano tassati ad un’aliquota superiore di quella applicata ai redditi dei residenti e che la base imponibile non sia più ampia di quella prevista per questi ultimi. Gli istituti finanziari non residenti dovrebbero essere quindi, perlomeno, autorizzati a dedurre l’importo degli interessi che hanno dovuto pagare a terzi per ottenere i capitali utilizzati nelle operazioni di credito effettuate in Portogallo.

15      La Commissione rileva altresì che, contrariamente a quanto sostiene la Repubblica portoghese, non spetta allo Stato di residenza stabilire, con misure convenzionali o unilaterali volte ad evitare la doppia imposizione, l’onere tributario che graverà infine sull’investitore. Al contrario, spetterebbe allo Stato membro eliminare una discriminazione contenuta nella sua normativa. Nel caso di specie l’argomento della Repubblica portoghese non sarebbe del resto pertinente, poiché il livello della ritenuta alla fonte praticata da tale Stato membro sarebbe talmente elevato da assorbire l’intero utile derivante da un’operazione di credito effettuata in normali condizioni di mercato.

16      Infine, con riferimento all’argomento secondo il quale la differenza di trattamento controversa nel caso di specie sarebbe giustificata da motivi imperativi di interesse generale, vale a dire, da un lato, la salvaguardia della ripartizione del potere impositivo tra gli Stati membri e, dall’altro, la lotta all’evasione fiscale, la Commissione sostiene, in particolare, che esistono altre misure, segnatamente quelle previste dalla direttiva del Consiglio 19 dicembre 1977, 77/799/CEE, relativa alla reciproca assistenza fra le autorità competenti degli Stati membri nel settore delle imposte dirette (GU L 336, pag. 15), che permettono agli Stati membri di raggiungere gli obiettivi corrispondenti a tali motivi imperativi di interesse generale rispettando al contempo il principio di proporzionalità.

17      Nel suo controricorso la Commissione precisa che l’inadempimento contestato non riguarda la reale esistenza di situazioni quali quella illustrata a titolo di esempio nell’ambito del presente procedimento, bensì il mantenimento in vigore di disposizioni nazionali la cui applicazione conduce ad un’evidente differenza di trattamento tributario degli istituti finanziari residenti e degli istituti finanziari non residenti, a danno di questi ultimi.

18      La Commissione riconosce che non è possibile determinare quali dei capitali ottenuti presso terzi siano stati concretamente utilizzati da un ente per finanziare operazioni individuali di credito realizzate in un determinato Stato. Essa afferma tuttavia che non è impossibile calcolare gli importi dei redditi netti ottenuti da tale ente a fini impositivi nello Stato in cui si trova la fonte di reddito. Sarebbe sufficiente, nel caso di specie, che la Repubblica portoghese consentisse al contribuente di dedurre dall’ammontare dei redditi lordi ottenuti nel territorio di tale Stato membro un importo corrispondente alla media dei costi generalmente sopportati dallo stesso contribuente per ottenere redditi analoghi nello Stato di residenza. Al fine di evitare che gli istituti finanziari non residenti deducano costi medi che possono essere giudicati eccessivi dallo Stato in cui si trova la fonte di reddito, quest’ultimo Stato potrebbe limitare la possibilità di deduzione dei costi ad un importo massimo stabilito, ad esempio, in relazione all’importo medio dei costi sopportati dalle banche residenti per operazioni analoghe. Ad ogni modo, la difficoltà di imputare determinati costi a determinati redditi specifici non costituirebbe una ragione valida per giustificare la tassazione dei redditi lordi dei non residenti nello Stato in cui si trova la fonte di tali redditi o l’applicazione, ai detti redditi, di un onere tributario effettivo superiore a quello che colpisce i redditi analoghi percepiti da contribuenti residenti.

19      La Repubblica portoghese sostiene che il trattamento discriminatorio dedotto dalla Commissione si basa su una semplice presunzione. Poiché la Commissione non avrebbe dimostrato l’esistenza dell’inadempimento contestato, il suo ricorso dovrebbe essere respinto.

20      Tale Stato membro spiega che, anche supponendo che esistano casi in cui, tenuto conto delle circostanze concrete dell’operazione finanziaria, possa essere constatata una differenza di pressione fiscale tra la tassazione degli interessi ottenuti da istituti finanziari residenti e la tassazione degli interessi percepiti da istituti finanziari non residenti, tale differenza di trattamento non è discriminatoria e non comporta nessuna limitazione della libertà sancite agli artt. 49 CE e 56 CE, nonché 36 e 40 dell’Accordo SEE.

21      Infatti, la situazione degli istituti finanziari residenti e quella degli istituti finanziari non residenti non sarebbero oggettivamente analoghe, cosicché l’esistenza di una differenza di trattamento riguardante la base imponibile relativa agli interessi percepiti nel territorio portoghese sarebbe giustificata. Tale differenza risulterebbe dalla particolare natura delle operazioni finanziarie e delle prestazioni di servizi relative alla concessione di crediti, derivante dal fatto che non è in genere possibile stabilire un nesso caratteristico tra i costi sopportati e i redditi ottenuti, né associare, per ogni singola operazione, i profitti realizzati e i fondi utilizzati per il finanziamento. Pertanto, la base di calcolo per la tassazione degli interessi percepiti dagli istituti finanziari non residenti dovrebbe essere costituita dai redditi lordi, mentre la tassazione dei redditi degli istituti finanziari residenti sarebbe effettuata sulla base dei redditi netti. Dal momento che, con riferimento a questi ultimi, sarebbe presa in considerazione la totalità dei loro redditi, indipendentemente dal luogo in cui tali redditi sono stati percepiti, sarebbe altresì possibile tenere conto della totalità dei costi sopportati.

22      La Repubblica portoghese rileva inoltre che, in ogni caso, la normativa controversa deve essere considerata giustificata da motivi imperativi di interesse generale. Essa invoca al riguardo la salvaguardia della ripartizione del potere impositivo, in conformità al principio di territorialità fiscale, e la lotta all’evasione fiscale.

23      Nella sua controreplica tale Stato membro aggiunge, in particolare, che, poiché la Commissione ammette che non è possibile determinare quali capitali siano stati concretamente utilizzati da un ente per finanziare operazioni di credito realizzate in un determinato Stato, la «creazione giuridica» su cui si basa l’argomento avanzato dalla Commissione va al di là di quanto permette il diritto comunitario. La normativa controversa non può quindi essere considerata incompatibile con il Trattato CE o con l’Accordo SEE.

24      Il sistema suggerito dalla Commissione comporterebbe l’applicazione di una deduzione astratta e artificiale ai redditi degli istituti finanziari non residenti, con la conseguenza che il risultato dell’operazione non corrisponderebbe affatto alla realtà concreta dei redditi netti degli operatori non residenti. Peraltro, in un siffatto sistema, contrariamente a quanto richiesto dalla giurisprudenza richiamata al riguardo dalla Commissione, non esisterebbe alcun nesso tra le spese prese in considerazione e l’attività che ha generato i redditi imponibili. Ne conseguirebbe che, rispetto alla normativa controversa nel caso di specie, gli enti residenti e gli enti non residenti non si troverebbero in una situazione oggettivamente analoga.

25      La Repubblica di Lituania, che interviene a sostegno della Repubblica portoghese, considera che, per poter accertare l’esistenza di una differenza di trattamento a danno degli istituti finanziari non residenti, si deve tener conto non solo dell’imposta prelevata nello Stato in cui si trova la fonte di reddito, ma altresì di quella applicata nello Stato di residenza degli enti in parola. Orbene, nel caso di specie, la Commissione si limiterebbe ad esaminare il trattamento risultante dall’applicazione della normativa portoghese, senza tener conto degli effetti che la normativa dello Stato di residenza di tali enti produce sulla capacità e sulla volontà di questi ultimi di offrire i loro servizi nel territorio portoghese. Si dovrebbe pertanto concludere che la Commissione non ha dimostrato l’esistenza dell’inadempimento contestato.

 Giudizio della Corte

26      Occorre anzitutto ricordare che, secondo giurisprudenza costante, nell’ambito di un procedimento per inadempimento in base all’art. 226 CE incombe alla Commissione provare la sussistenza dell’asserito inadempimento. Spetta ad essa fornire alla Corte gli elementi di fatto necessari affinché quest’ultima accerti l’esistenza dell’inadempimento, senza potersi basare su alcuna presunzione (v., in particolare, sentenze 5 ottobre 1989, causa 290/87, Commissione/Paesi Bassi, Racc. pag. 3083, punti 11 e 12, nonché 4 marzo 2010, causa C‑241/08, Commissione/ Francia, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 22).

27      Nel caso di specie, per dimostrare che la normativa portoghese, rispetto alla quale non è contestato che tratti diversamente, relativamente all’IRC, gli enti residenti e quelli non residenti, comporta una tassazione più elevata di questi ultimi, la Commissione ricorre ad un esempio numerico fondato sulla premessa che il margine di utile realizzato dall’ente di cui trattasi in tale esempio corrisponda al 10%.

28      Orbene, come risulta dalla tabella riportata dall’avvocato generale al paragrafo 31 delle sue conclusioni e per i motivi sviluppati più ampiamente nei paragrafi 37‑39 di queste stesse conclusioni, tale margine di utile riveste un ruolo determinante quando si tratta di esaminare se una normativa come quella controversa nel caso di specie comporti una tassazione più elevata degli enti non residenti, non essendo infatti l’aliquota di imposizione l’unico elemento di cui tener conto al riguardo.

29      Dal momento che il governo portoghese, da un lato, contesta tale calcolo, che la Commissione stessa definisce «teorico», in quanto la premessa su cui si basa non ha alcun nesso con la realtà e, dall’altro, presenta un calcolo, basato su un altro margine di utile, che conduce al risultato che gli enti residenti sono tassati in modo più oneroso, spettava alla Commissione, come indicato dall’avvocato generale al paragrafo 40 delle sue conclusioni, provare che le cifre su cui si basava il suo calcolo rispecchiavano la realtà economica. Pertanto, la Commissione avrebbe potuto fornire, in particolare, dati statistici o dati riguardanti il livello degli interessi applicati ai crediti bancari e le condizioni di rifinanziamento per sostenere la veridicità dei propri calcoli.

30      Si deve tuttavia constatare che, nel caso di specie, la Commissione non ha fornito, né nel corso del procedimento scritto né in udienza, e neppure a seguito di espressa richiesta della Corte, il minimo elemento concludente che potesse dimostrare la veridicità delle cifre da essa avanzate a sostegno della propria tesi e che l’esempio numerico da essa riportato non costituisce soltanto una semplice ipotesi di scuola.

31      Si deve di conseguenza constatare che, nel caso di specie, la Commissione non ha dimostrato l’inadempimento contestato alla Repubblica portoghese.

32      Il ricorso della Commissione dev’essere pertanto respinto.

 Sulle spese

33      Ai sensi dell’ art. 69, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché la Repubblica portoghese ne ha fatto domanda, la Commissione, rimasta soccombente, dev’essere condannata alle spese. Ai sensi dell’art. 69, n. 4, primo comma, dello stesso regolamento, la Repubblica di Lituania, intervenuta a sostegno delle conclusioni presentate dalla Repubblica portoghese, sopporterà le proprie spese.

Per questi motivi la Corte (Prima Sezione) dichiara e statuisce:

1)      Il ricorso è respinto.

2)      La Commissione europea è condannata alle spese.

3)      La Repubblica di Lituania sopporterà le proprie spese.

Firme


* Lingua processuale: il portoghese.

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