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Judgment of the Court (Grand Chamber) of 12 October 2004.#Nicole Wippel v Peek & Cloppenburg GmbH & Co. KG.#Reference for a preliminary ruling: Oberster Gerichtshof - Austria.#Directive 97/81/EC - Directive 76/207/EEC - Social policy - Equal treatment as between part-time and full-time workers - Equal treatment as between male and female workers - Working hours and organisation of working-time.#Case C-313/02.
Sentenza della Corte (grande sezione) del 12 ottobre 2004. Nicole Wippel contro Peek & Cloppenburg GmbH & Co. KG. Domanda di pronuncia pregiudiziale: Oberster Gerichtshof - Austria. Direttiva 97/81/CE - Direttiva 76/207/CEE - Politica sociale - Parità di trattamento tra lavoratori a tempo parziale e lavoratori a tempo pieno - Parità di trattamento tra lavoratori di sesso maschile e lavoratori di sesso femminile - Durata del lavoro ed organizzazione dell'orario di lavoro. Causa C-313/02.
Sentenza della Corte (grande sezione) del 12 ottobre 2004. Nicole Wippel contro Peek & Cloppenburg GmbH & Co. KG. Domanda di pronuncia pregiudiziale: Oberster Gerichtshof - Austria. Direttiva 97/81/CE - Direttiva 76/207/CEE - Politica sociale - Parità di trattamento tra lavoratori a tempo parziale e lavoratori a tempo pieno - Parità di trattamento tra lavoratori di sesso maschile e lavoratori di sesso femminile - Durata del lavoro ed organizzazione dell'orario di lavoro. Causa C-313/02.
(domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dall’Oberster Gerichtshof)
«Direttiva 97/81/CE — Direttiva 76/207/CEE — Politica sociale — Parità di trattamento tra lavoratori a tempo parziale e lavoratori a tempo pieno — Parità di trattamento tra lavoratori di sesso maschile e lavoratori di sesso femminile — Durata del lavoro ed organizzazione dell’orario di lavoro»
Massime della sentenza
1. Politica sociale — Lavoratori di sesso maschile e lavoratori di sesso femminile — Accesso all’impiego e condizioni di lavoro
— Parità di trattamento — Lavoratori a tempo parziale — Contratto di lavoro a tempo parziale che stabilisce la durata e l’organizzazione
dell’orario di lavoro secondo le necessità — Contratto rientrante nell’ambito di applicazione della direttiva 76/207 nonché
dell’accordo quadro allegato alla direttiva 97/81
(Direttive del Consiglio 76/207/CEE e 97/81/CE)
2. Politica sociale — Lavoratori di sesso maschile e lavoratori di sesso femminile — Accesso all’impiego e condizioni di lavoro
— Parità di trattamento — Lavoratori a tempo parziale — Disposizione nazionale che regola in modo identico la durata massima
e l’organizzazione dell’orario di lavoro per i lavoratori a tempo pieno e per i lavoratori a tempo parziale — Ammissibilità
(Direttive del Consiglio 76/207, artt. 2, n. 1, e 5, n. 1, e 97/81, accordo quadro allegato, clausola 4)
3. Politica sociale — Lavoratori di sesso maschile e lavoratori di sesso femminile — Accesso all’impiego e condizioni di lavoro
— Parità di trattamento — Lavoratori a tempo parziale — Contratto di lavoro a tempo parziale che stabilisce la durata e l’organizzazione
dell’orario di lavoro secondo le necessità e che lascia al lavoratore la scelta di accettare o rifiutare il detto lavoro —
Ammissibilità in considerazione dell’assenza di lavoratori a tempo pieno equiparabili nell’ambito della stessa impresa
(Direttive del Consiglio 76/207, artt. 2, n. 1, e 5, n. 1, e 97/81, accordo quadro allegato, clausola 4)
1. Un lavoratore che abbia un contratto di lavoro in base al quale la durata del lavoro stesso e l’organizzazione dell’orario
lavorativo siano correlate al carico di lavoro che si presenta e vengano stabilite soltanto caso per caso di comune accordo
tra le parti e che incide dunque sull’esercizio dell’attività professionale di quest’ultimo, rimodulando, secondo le necessità,
il suo orario di lavoro, rientra nell’ambito di applicazione della direttiva 76/207, relativa all’attuazione del principio
della parità di trattamento fra gli uomini e le donne per quanto riguarda l’accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione
professionali e le condizioni di lavoro.
Un lavoratore con queste caratteristiche rientra altresì nell’ambito di applicazione dell’accordo quadro allegato alla direttiva
97/81, relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale concluso dall’UNICE, dal CEEP e dalla CES, qualora egli abbia
un contratto o un rapporto di lavoro definiti dalla legge, dagli accordi collettivi o dalle prassi in vigore nello Stato membro
e sia un dipendente il cui orario di lavoro normale, calcolato su base settimanale o in media su un periodo d’impiego che
può andare fino ad un anno, è inferiore a quello di un lavoratore a tempo pieno comparabile, ai sensi della clausola 3.2 del
detto accordo quadro. I lavoratori a tempo parziale impiegati su base occasionale rientrano nell’ambito di applicazione del
detto accordo quadro laddove lo Stato membro non abbia totalmente o parzialmente escluso tali lavoratori, ai sensi della clausola
2.2 del medesimo accordo quadro, dal beneficio delle disposizioni di quest’ultimo.
(v. punti 30, 40, dispositivo 1)
2. La clausola 4 dell’accordo quadro allegato alla direttiva 97/81, relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale concluso
dall’UNICE, dal CEEP e dalla CES, e gli artt. 2, n. 1, e 5, n. 1, della direttiva 76/207, relativa all’attuazione del principio
della parità di trattamento fra gli uomini e le donne per quanto riguarda l’accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione
professionali e le condizioni di lavoro, debbono essere interpretati nel senso che non ostano ad una disposizione nazionale
che fissi la durata massima del lavoro in misura pari, in linea di principio, a 40 ore settimanali e ad 8 ore giornaliere.
Tale disposizione, infatti, disciplina anche la durata massima del lavoro e l’organizzazione dell’orario di lavoro con riferimento
sia ai lavoratori a tempo pieno sia a quelli a tempo parziale, la cui durata massima dell’orario di lavoro è, per definizione,
inferiore a quella di un lavoro a tempo pieno, e non comporta quindi un trattamento meno favorevole dei lavoratori a tempo
parziale rispetto ai lavoratori a tempo pieno in una situazione comparabile.
(v. punti 49-51, dispositivo 2)
3. La clausola 4 dell’accordo quadro allegato alla direttiva 97/81, relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale concluso
dall’UNICE, dal CEEP e dalla CES, e gli artt. 2, n. 1, e 5, n. 1, della direttiva 76/207, relativa all’attuazione del principio
della parità di trattamento fra gli uomini e le donne per quanto riguarda l’accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione
professionali e le condizioni di lavoro, debbono essere interpretati nel senso che non ostano ad un contratto di lavoro a
tempo parziale dei lavoratori di un’impresa in forza del quale la durata del lavoro settimanale e l’organizzazione dell’orario
di lavoro non siano fisse, bensì siano correlate al fabbisogno di lavoro, determinato caso per caso, restando tali lavoratori
liberi di scegliere se accettare o rifiutare il lavoro offerto, nel caso in cui tutti i contratti di lavoro degli altri lavoratori
della stessa impresa fissino la durata del lavoro settimanale e l’organizzazione dell’orario di lavoro. Tali contratti, infatti,
riguardano rapporti di lavoro aventi oggetto e causa differenti e non concernono lavoratori «a tempo pieno comparabili» ai
sensi della clausola 4 dell’accordo quadro.
(v. punti 61-62, 66, dispositivo 2)
SENTENZA DELLA CORTE (Grande Sezione) 12 ottobre 2004(1)
Nel procedimento C‑313/02,avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell'art. 234 CE, dall'Oberster Gerichtshof
(Austria) con decisione 8 agosto 2002, pervenuta in cancelleria il 5 settembre 2002, nella causa
Nicole Wippel
contro
Peek & Cloppenburg GmbH & Co. KG,
LA CORTE (Grande Sezione),,
composta dal sig. V. Skouris, presidente, dai sigg. P. Jann, C.W.A. Timmermans, A. Rosas, dalla sig. R. Silva de Lapuerta
e dal sig. K. Lenaerts, presidenti di sezione, dai sigg. J.-P. Puissochet e R. Schintgen, dalla sig.ra F. Macken (relatore),
nonché dai sigg. J.N. Cunha Rodrigues e K. Schiemann, giudici,
avvocato generale: sig.ra J. Kokott cancelliere: sig.ra M.-F. Contet, amministratore principale
vista la fase scritta del procedimento e a seguito dell'udienza del 23 marzo 2004,viste le osservazioni scritte presentate:
–
per la sig.ra Wippel, dal sig. A. Obereder, Rechtsanwalt;
–
per la Peek & Cloppenburg GmbH & Co. KG, dal sig. T. Zottl, Rechtsanwalt, e dal sig. T. Eilmansberger, Wissenschaftlicher
Berater;
–
per il governo austriaco, dai sigg. E. Riedl e G. Hesse, in qualità di agenti;
–
per il governo del Regno Unito, dal sig. J. Collins, in qualità di agente, assistito dalla sig.ra K. Smith, barrister;
–
per la Commissione delle Comunità europee, dalle sig.re N. Yerell e S. Fries e dal sig. F. Hoffmeister, in qualità di agenti,
sentite le conclusioni dell'avvocato generale, presentate all'udienza del 18 maggio 2004,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1
La presente domanda di pronuncia pregiudiziale riguarda l’interpretazione dell’art. 141 CE, dell’art. 1 della direttiva del
Consiglio 10 febbraio 1975, 75/117/CEE, per il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative all’applicazione
del principio della parità delle retribuzioni tra i lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile (GU L 45, pag. 19),
dell’art. 5 della direttiva del Consiglio 9 febbraio 1976, 76/207/CEE, relativa all’attuazione del principio della parità
di trattamento fra gli uomini e le donne per quanto riguarda l’accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali
e le condizioni di lavoro (GU L 39, pag. 40), e della direttiva del Consiglio 15 dicembre 1997, 97/81/CE, relativa all’accordo
quadro sul lavoro a tempo parziale concluso dall’UNICE, dal CEEP e dalla CES (GU 1998, L 14, pag. 9).
2
La detta domanda è stata proposta nell’ambito di una controversia promossa dalla sig.ra Wippel, lavoratrice a tempo parziale
in base ad un contratto quadro per la prestazione di lavoro secondo il fabbisogno, contro il suo datore di lavoro, la Peek
& Cloppenburg GmbH & Co. KG (in prosieguo: la «P & C»), e riguardante l’assenza nel contratto di lavoro dell’attrice di pattuizioni
in merito alla durata del lavoro ed all’organizzazione dell’orario di lavoro.
Contesto normativo
Normativa comunitaria La direttiva 76/207
3
Dall’art. 1, n. 1, della direttiva 76/207 risulta che quest’ultima è diretta ad attuare negli Stati membri il principio della
parità di trattamento fra uomini e donne per quanto riguarda l’accesso al lavoro, ivi compresa la promozione, e l’accesso
alla formazione professionale, nonché le condizioni di lavoro e, alle condizioni di cui al n. 2 dello stesso articolo, la
previdenza sociale.
4
L’art. 2, n. 1, della direttiva 76/207 così dispone:
«Ai sensi delle seguenti disposizioni il principio della parità di trattamento implica l’assenza di qualsiasi discriminazione
fondata sul sesso, direttamente o indirettamente, in particolare mediante riferimento allo stato matrimoniale o di famiglia».
5
L’art. 5 della medesima direttiva stabilisce quanto segue:
«1. L’applicazione del principio della parità di trattamento per quanto riguarda le condizioni di lavoro, comprese le condizioni
inerenti al licenziamento, implica che siano garantite agli uomini e alle donne le medesime condizioni, senza discriminazioni
fondate sul sesso.
2. A tal fine, gli Stati membri prendono le misure necessarie affinché:
a)
siano soppresse le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative contrarie al principio della parità di trattamento;
b)
siano nulle, possano essere dichiarate nulle o possano essere modificate le disposizioni contrarie al principio della parità
di trattamento contenute nei contratti collettivi o nei contratti individuali di lavoro, nei regolamenti interni delle imprese
nonché negli statuti delle professioni indipendenti;
c)
siano riesaminate quelle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative contrarie al principio della parità di trattamento,
originariamente ispirate da motivi di protezione non più giustificati; per le disposizioni contrattuali di analoga natura,
le parti sociali siano sollecitate a procedere alle opportune revisioni».
La direttiva 93/104
6
L’art. 1 della direttiva del Consiglio 23 novembre 1993, 93/104/CE, concernente taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario
di lavoro (GU L 307, pag. 18), stabilisce prescrizioni minime di sicurezza e di salute in materia di organizzazione dell’orario
di lavoro e si applica a tutti i settori di attività, privati o pubblici, ad eccezione dei trasporti aerei, ferroviari, stradali,
marittimi, fluviali e lacustri, della pesca marittima, delle altre attività in mare, nonché delle attività dei medici in formazione.
7
La sezione II della direttiva medesima prevede le misure che gli Stati membri devono adottare affinché ogni lavoratore benefici,
in particolare, di periodi minimi di riposo giornaliero e settimanale, e disciplina altresì la durata massima settimanale
del lavoro.
8
L’art. 3 della detta direttiva, intitolato «Riposo giornaliero», ha il seguente tenore:
«Gli Stati membri prendono le misure necessarie affinché ogni lavoratore benefici, nel corso di ogni periodo di 24 ore, di
un periodo minimo di riposo di 11 ore consecutive».
9
Per quanto riguarda la durata massima settimanale del lavoro, l’art. 6 della medesima direttiva dispone quanto segue:
«Gli Stati membri prendono le misure necessarie affinché, in funzione degli imperativi di protezione della sicurezza e della
salute dei lavoratori:
(...)
2)
la durata media dell’orario di lavoro per ogni periodo di 7 giorni non superi le 48 ore, comprese le ore di lavoro straordinario».
La direttiva 97/81
10
Ai sensi del suo art. 1, la direttiva 97/81 è intesa ad attuare l’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale concluso il 6
giugno 1997 tra le organizzazioni intercategoriali a carattere generale, vale a dire l’UNICE, il CEEP e la CES, e riportato
quale allegato della direttiva medesima.
11
La clausola 2 del detto accordo quadro prevede quanto segue:
«1.
Il presente accordo si applica ai lavoratori a tempo parziale che hanno un contratto o un rapporto di lavoro definito per
legge, contratto collettivo o in base alle prassi in vigore in ogni Stato membro.
(…)
2.
Gli Stati membri, dopo aver consultato le parti sociali conformemente alla legge, ai contratti collettivi o alle prassi nazionali,
e/o le parti sociali a livello appropriato conformemente alle prassi nazionali relative alle relazioni industriali, possono,
per ragioni obiettive, escludere totalmente o parzialmente dalle disposizioni del presente accordo i lavoratori a tempo parziale
che lavorano su base occasionale. Queste esclusioni dovrebbero essere riesaminate periodicamente al fine di stabilire se le
ragioni obiettive che le hanno determinate rimangono valide».
12
La clausola 3 del medesimo accordo quadro, intitolata «Definizioni», così recita:
«Ai fini del presente accordo si intende per:
1)
“lavoratore a tempo parziale”, il lavoratore il cui orario di lavoro normale, calcolato su base settimanale o in media su
un periodo di impiego che può andare fino ad un anno, è inferiore a quello di un lavoratore a tempo pieno comparabile;
2)
“lavoratore a tempo pieno comparabile”, il lavoratore a tempo pieno dello stesso stabilimento, che ha lo stesso tipo di contratto
o di rapporto di lavoro e un lavoro/occupazione identico o simile, tenendo conto di altre considerazioni che possono includere
l’anzianità e le qualifiche/competenze.
Qualora non esistesse nessun lavoratore a tempo pieno comparabile nello stesso stabilimento, il paragone si effettu[erà] con
riferimento al contratto collettivo applicabile o, in assenza di contratto collettivo applicabile, conformemente alla legge,
ai contratti collettivi o alle prassi nazionali».
13
La clausola 4.1 dell’accordo quadro prescrive quanto segue:
«Per quanto attiene alle condizioni di impiego, i lavoratori a tempo parziale non devono essere trattati in modo meno favorevole
rispetto ai lavoratori a tempo pieno comparabili per il solo motivo di lavorare a tempo parziale, a meno che un trattamento
differente sia giustificato da ragioni obiettive».
Normativa nazionale
14
Ai sensi dell’art. 2, n. 1, del Gleichbehandlungsgesetz (legge sulla parità di trattamento; in prosieguo: il «GlBG»), è vietata
qualsiasi discriminazione diretta o indiretta fondata sul sesso, in particolare, ai sensi del punto 1 di tale disposizione,
nella costituzione del rapporto di lavoro, nonché, ai sensi del successivo punto 2, nella fissazione della retribuzione e,
a norma del punto 6, nelle altre condizioni di lavoro. Le discriminazioni nella fissazione della retribuzione attribuiscono
al lavoratore il diritto ad ottenere dal datore di lavoro il pagamento della differenza, così come disposto dall’art. 2 a,
n. 2, del GlBG.
15
Quanto alla durata del lavoro ed all’organizzazione dell’orario di lavoro, l’art. 3 dell’Arbeitszeitgesetz (legge sull’orario
di lavoro; in prosieguo: l’«AZG») fissa una durata normale pari, in linea di principio, a 40 ore settimanali e ad 8 ore giornaliere.
16
Per quanto riguarda, in particolare, i lavoratori a tempo pieno, l’art. 19 c dell’AZG dispone quanto segue:
«(1) L’organizzazione dell’orario di lavoro normale e le modificazioni del medesimo devono essere oggetto di accordo, in quanto
non siano già disciplinate da norme della contrattazione collettiva.
(2) In deroga a quanto stabilito dal paragrafo 1, l’organizzazione dell’orario di lavoro normale può essere modificata dal
datore di lavoro qualora:
1. ciò risulti effettivamente giustificato da ragioni obiettive inerenti al tipo di prestazione lavorativa,
2. l’organizzazione dell’orario di lavoro normale per una data settimana venga comunicata al lavoratore con un anticipo di
almeno due settimane,
3. a tale ripartizione non ostino interessi del lavoratore meritevoli di considerazione, e
4. ciò non violi alcun accordo.
(3)È consentito derogare al paragrafo 2, punto 2, qualora ciò si renda necessario al fine di evitare, in situazioni imprevedibili,
un danno economico sproporzionato e non possa ragionevolmente pretendersi l’adozione di misure diverse. Tramite norme della
contrattazione collettiva possono essere stabilite deroghe al paragrafo 2, punto 2, in ragione di specifiche esigenze inerenti
al tipo di attività».
17
Per quanto riguarda i lavoratori a tempo parziale, l’art. 19 d dell’AZG prevede quanto segue:
«(1) Il lavoro è a tempo parziale quando l’orario di lavoro settimanale concordato è in media inferiore all’orario di lavoro normale
stabilito dalla legge o al più breve orario di lavoro normale eventualmente stabilito dalla normativa collettiva.
(2) La durata e l’organizzazione dell’orario di lavoro e le loro modificazioni devono essere oggetto di accordo in quanto non
siano già disciplinate da norme della contrattazione collettiva. Si applica l’art. 19 c, nn. 2 e 3.
(3) I lavoratori a tempo parziale sono obbligati a prestare la loro attività oltre la durata concordata (lavoro aggiuntivo)
soltanto nella misura in cui:
1. ciò sia previsto da disposizioni di legge, da norme della contrattazione collettiva o dal contratto di lavoro,
2. esista un più elevato fabbisogno di manodopera oppure il lavoro aggiuntivo sia necessario per lルesecuzione di attività
preparatorie o conclusive (art. 8), e
3. a tale lavoro aggiuntivo non ostino interessi del lavoratore meritevoli di considerazione.
(…)
(6) I lavoratori a tempo parziale non devono essere trattati in modo meno favorevole rispetto ai lavoratori a tempo pieno
a motivo del carattere temporalmente limitato della loro attività di lavoro, a meno che un trattamento differente sia giustificato
da ragioni obiettive (…). In caso di controversia spetta al datore di lavoro provare che il trattamento meno favorevole non
dipende dal lavoro a tempo parziale (…)».
18
Risulta dalla decisione di rinvio che l’accordo collettivo dei lavoratori a tempo pieno del settore del commercio in Austria
fissa la durata dell’orario di lavoro normale a 38,5 ore settimanali.
Causa principale e questioni pregiudiziali
19
Il 28 settembre 1998 la sig.ra Wippel e la P & C hanno concluso un contratto di lavoro, in forma di «contratto quadro per
la prestazione di lavoro secondo il fabbisogno», ai sensi del quale la durata del lavoro e l’organizzazione dell’orario di
lavoro erano determinate caso per caso di comune accordo tra le parti interessate. La P & C richiedeva i servizi della sig.ra Wippel
in base alla quantità di lavoro da eseguire, e la sig.ra Wippel poteva rifiutare in qualsiasi momento una chiamata lavorativa
senza necessità di giustificarsi. Era convenuto nell’allegato del contratto di lavoro che alla sig.ra Wippel non sarebbe stato
garantito un reddito fisso, laddove le due parti rinunciavano espressamente a fissare una quantità di lavoro determinata.
Risulta dal fascicolo che, in tale contesto, la P & C ha fatto intravedere alla sig.ra Wippel la possibilità di lavorare circa
tre giorni alla settimana e due sabati al mese. La retribuzione prevista era di EUR 6,54 all’ora, cui si aggiungevano le eventuali
provvigioni sulle vendite.
20
Secondo la decisione di rinvio, la sig.ra Wippel, nel corso dei mesi in cui è stata impiegata, vale a dire dall’ottobre 1998
al giugno 2000, ha lavorato in maniera saltuaria ricevendo una retribuzione corrispondentemente variabile. Durante tale periodo
essa ha raggiunto il maggior numero di ore di lavoro prestate in un mese nell’ottobre 1999, quando ha lavorato 123,32 ore.
Risulta dal fascicolo che essa in più occasioni ha fatto presente che non poteva o non intendeva lavorare in determinati giorni.
21
Nel giugno 2000 la sig.ra Wippel ha adito l’Arbeits‑ und Sozialgericht Wien (Tribunale delle cause di lavoro e in materia
di sicurezza sociale di Vienna) (Austria), chiedendo la condanna della P & C al pagamento di un importo di EUR 11 929,23,
oltre a spese e accessori. Essa ha sostenuto che la P & C era tenuta a corrisponderle la differenza tra la somma dovuta per
la durata massima di lavoro che avrebbe potuto esserle richiesta e l’importo dovuto per le ore di lavoro da essa effettivamente
prestate. La sig.ra Wippel ha affermato che la durata massima del lavoro mensile doveva costituire la base della sua retribuzione
per ciascuno dei mesi nel corso dei quali essa aveva lavorato per la P & C.
22
La sig.ra Wippel ha sostenuto che, poiché la partecipazione dei lavoratori consisteva soltanto nel rispondere con un sì o
con un no ad una chiamata lavorativa che veniva loro proposta, non era possibile parlare di consenso, e che il contratto di
lavoro concluso con la P & C era contrario ai buoni costumi. Inoltre, rinunciando per un certo tempo alla collaborazione di
un lavoratore impiegato secondo questa formula, il datore di lavoro, ossia la P & C, non avrebbe dovuto versare quasi alcun
importo a titolo di ferie retribuite, di retribuzione in caso di malattia e di indennità di buonuscita. La sig.ra Wippel ha
fatto altresì valere che la mancanza nel suo contratto di lavoro di un accordo in merito alla durata del lavoro e all’organizzazione
dell’orario di lavoro costituiva una discriminazione fondata sul sesso.
23
L’Arbeits‑ und Sozialgericht Wien ha respinto la sua domanda fondandosi sull’art. 19 d, n. 2, dell’AZG, in forza del quale,
nell’ambito di un lavoro a tempo parziale, la durata del lavoro e l’organizzazione dell’orario di lavoro debbono essere concordate
tra il datore di lavoro ed il lavoratore, e constatando inoltre che comunque, nel caso di specie, ciascuna chiamata lavorativa
era stata stabilita di comune accordo tra le parti.
24
L’Oberlandesgericht Wien (Corte d’Appello di Vienna) (Austria) ha annullato la sentenza di primo grado, rinviando la causa
dinanzi allo stesso giudice per l’esame del concreto svolgimento del rapporto di lavoro in questione, ed ha dichiarato ammissibile
un eventuale ricorso per cassazione dinanzi all’Oberster Gerichtshof (Corte di cassazione) (Austria), giudice poi effettivamente
investito della controversia oggetto della causa principale.
25
Il giudice del rinvio ha considerato, da un lato, che, in base al diritto austriaco, è priva di effetto e dev'essere dunque
dichiarata nulla una clausola, quale quella in questione nella causa principale, la quale produca l’effetto che il lavoratore
a tempo parziale rinunci, nel corso del rapporto di lavoro con il suo datore di lavoro, al diritto, riconosciutogli dall’art. 19 d,
n. 2, dell’AZG, alla determinazione per contratto della durata del suo orario di lavoro.
26
Dall’altro lato, il detto giudice ha affermato che, per quanto riguarda i lavoratori a tempo pieno, l’AZG non soltanto prevede,
all’art. 19 c, che gli orari corrispondenti alla durata normale del lavoro debbano costituire l’oggetto di un accordo tra
il datore di lavoro e il lavoratore, a meno che non siano disciplinati da norme della contrattazione collettiva, ma fissa
altresì, all’art. 3, la durata normale del lavoro in misura pari, in linea di principio, a 40 ore settimanali e ad 8 ore giornaliere.
Per contro, per quanto riguarda i lavoratori a tempo parziale, l’art. 19 d, n. 2, dell’AZG, pur disponendo anche che la durata
del lavoro e l’organizzazione dell’orario di lavoro debbano costituire l’oggetto di un accordo in quanto non siano disciplinati
da norme della contrattazione collettiva, non contiene alcun’altra disposizione che disciplini la durata del lavoro e l’organizzazione
dell’orario di lavoro a tempo parziale. Inoltre, il giudice di rinvio rileva come, secondo le statistiche disponibili, più
del 90% dei lavoratori a tempo parziale siano donne.
27
A questo proposito, preso atto che la causa principale sollevava una questione di discriminazione indiretta, caratterizzata
dal fatto che la mancanza nei contratti di lavoro a tempo parziale secondo il fabbisogno di un accordo sulla durata del lavoro
e sull’organizzazione dell’orario di lavoro penalizzava una percentuale più elevata di donne che di uomini, il giudice del
rinvio ha ritenuto che la soluzione di talune questioni fosse necessaria al fine di stabilire tanto l’interpretazione della
clausola del contratto di lavoro in questione in conformità con il diritto comunitario, quanto un risarcimento adeguato per
la sig.ra Wippel.
28
Alla luce di tali circostanze, l’Oberster Gerichtshof ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le
seguenti questioni pregiudiziali:
«1)
a)
Se l’art. 141 CE, l’art. 1 della direttiva 75/117 (…), la clausola 2 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale concluso
dall’UNICE, dal CEEP e dalla CES (…), nonché il punto 9 della Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori
del 9 dicembre 1989, siano da interpretare nel senso che (nozione di lavoratore) rientrano comunque nel loro ambito di tutela
anche persone – come l’attrice nel presente caso – che in un ampio contratto quadro per la prestazione di lavoro intermittente
concordino la retribuzione, le modalità di recesso dal rapporto ecc., stabilendo però anche che durata e organizzazione dell’orario
di lavoro dipenderanno dal carico di lavoro che si presenta e verranno fissate caso per caso soltanto di comune accordo tra
le parti.
2)
Se l’art. 141 CE, l’art. 1 della direttiva 75/117, l’art. 5 della direttiva 76/207 (…) e la clausola 4 dell’accordo quadro
sul lavoro a tempo parziale siano da interpretare nel senso che sussiste una disparità di trattamento oggettivamente non giustificata
qualora per i lavoratori a tempo pieno (circa 60% uomini e 40% donne) esistano norme di legge o accordi collettivi che non
solo disciplinano la durata dell’orario di lavoro, ma, in parte, anche l’organizzazione dello stesso, ed al cui rispetto il
lavoratore a tempo pieno ha diritto anche in assenza di un accordo contrattuale in proposito, mentre per i lavoratori a tempo
parziale, in assoluta prevalenza donne (circa 90% donne e 10% uomini), manchino norme di questo tipo anche per l’ipotesi in
cui i contraenti non concludano al riguardo alcun patto contrattuale, ancorché imposto dalla legge.
3)
Se l’art. 141 CE, l’art. 1 della direttiva 75/117, l’art. 5 della direttiva 76/207 e la clausola 4 dell’accordo quadro sul
lavoro a tempo parziale siano da interpretare nel senso che sussiste una disparità di trattamento oggettivamente non giustificata
qualora un datore di lavoro escluda espressamente qualsiasi patto sull’organizzazione e sulla durata dell’orario di lavoro
nel caso dei lavoratori a tempo parziale – per i quali si deve supporre che siano in assoluta prevalenza donne (circa 90%
donne e 10% uomini) –, mentre per i lavoratori a tempo pieno – per i quali si deve supporre che non siano nella stessa misura
prevalentemente donne – tanto la durata quanto, in parte, la distribuzione dell’orario di lavoro siano già fissate dalla legge
o dal contratto collettivo.
4)
Se l’art. 141 CE, l’art. 1 della direttiva 75/117, l’art. 5 della direttiva 76/207, nonché la clausola 4 e la clausola 1,
lett. b) (facilitazione dello sviluppo del lavoro a tempo parziale), dell’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale, siano
da interpretare nel senso che per compensare una disparità di trattamento oggettivamente non giustificata è necessario e consentito:
a)
per quanto riguarda la durata dell’orario di lavoro, assumere a riferimento un determinato parametro quantitativo, costituito,
in caso affermativo:
–
dall’orario di lavoro normale, oppure
–
dal massimo orario di lavoro settimanale effettivamente svolto, sempre che il datore di lavoro non provi che esso sia da ricondurre
ad un fabbisogno di lavoro particolarmente elevato esistente in quel momento, oppure
–
dal fabbisogno di lavoro accertato in riferimento al momento della conclusione del contratto di lavoro, oppure
–
dall’orario di lavoro settimanale medio,
nonché,
b)
per quanto riguarda l’organizzazione dell’orario di lavoro, al fine di compensare il maggior impegno del lavoratore connesso
alla flessibilità ed i vantaggi così derivanti al datore di lavoro, accordare al lavoratore:
–
un’“adeguata” maggiorazione della retribuzione oraria da determinarsi caso per caso, oppure
–
una maggiorazione minima, quale spetta ai lavoratori a tempo pieno che lavorano oltre l’orario di lavoro normale (8 ore giornaliere
o 40 ore settimanali), oppure,
–
indipendentemente dalla durata del lavoro prestato, un compenso per il tempo che non viene retribuito come orario di lavoro,
ma all’interno del quale, secondo gli accordi, potrebbe essere collocato l’orario di lavoro (orario di lavoro potenziale),
nel caso in cui il termine di preavviso sia inferiore:
–
a 15 giorni, oppure
–
ad un limite adeguato».
Quanto alle questioni pregiudizialiOsservazioni preliminari
29
Al fine di fornire una soluzione utile al giudice del rinvio, occorre verificare, in primo luogo, se un contratto di lavoro,
quale quello di cui alla presente fattispecie, il quale stabilisca che la durata del lavoro e l’organizzazione dell’orario
di lavoro siano correlate al fabbisogno di lavoro e vengano determinate soltanto caso per caso, di comune accordo tra le parti,
rientri nell’ambito di applicazione della direttiva 76/207, che stabilisce il principio della parità di trattamento tra uomini
e donne per quanto riguarda in particolare le condizioni di lavoro, ovvero se, al contrario, un tale contratto ricada sotto
l’art. 141 CE e la direttiva 75/117, riguardanti il principio della parità delle retribuzioni tra i lavoratori di sesso maschile
e quelli di sesso femminile.
30
Un contratto di lavoro quale quello in questione nella causa principale non fissa né la durata del lavoro settimanale né l’organizzazione
dell’orario di lavoro, le quali sono correlate al fabbisogno di lavoro, determinato caso per caso di comune accordo tra le
parti. In tale ipotesi, il detto contratto incide sull’esercizio dell’attività professionale dei lavoratori interessati, rimodulando,
secondo le necessità, il loro orario di lavoro.
31
Occorre pertanto constatare come un contratto di questo tipo introduca norme relative a condizioni di lavoro, ai sensi, in
particolare, dell’art. 5, n. 1, della direttiva 76/207.
32
Inoltre, le suddette norme relative alle condizioni di lavoro rientrano anche nell’ambito di applicazione della nozione di
condizioni di impiego, ai sensi della clausola 4.1 dell’accordo quadro allegato alla direttiva 97/81.
33
Il fatto che un tale tipo di contratto abbia conseguenze economiche per il lavoratore interessato non è tuttavia idoneo a
far rientrare automaticamente il detto contratto nell’ambito di applicazione dell’art. 141 CE o della direttiva 75/117, poiché
tali disposizioni sono fondate sullo stretto collegamento che intercorre fra la natura della prestazione lavorativa e l’ammontare
della retribuzione del lavoratore (v., in tal senso, sentenza 11 settembre 2003, causa C‑77/02, Steinicke, Racc. pag. I-9027,
punto 51).
34
Da tali considerazioni consegue che, nel caso in questione nella causa principale, non è necessario interpretare né l’art. 141 CE
né la direttiva 75/117.
Quanto alla prima questione
35
Con la sua prima questione il giudice del rinvio chiede in sostanza se un lavoratore che abbia un contratto di lavoro come
quello in questione nella causa principale, in base al quale la durata del lavoro stesso e l’organizzazione dell’orario lavorativo
siano correlate al carico di lavoro che si presenta e vengano determinate soltanto caso per caso di comune accordo tra le
parti, rientri nell’ambito di applicazione della direttiva 76/207 e dell’accordo quadro allegato alla direttiva 97/81.
36
Per quanto riguarda la direttiva 76/207, come già constatato dalla Corte al punto 31 della presente sentenza, un simile contratto
di lavoro rientra nell’ambito di applicazione della detta direttiva. Pertanto, anche un lavoratore che sia parte di un contratto
di questo tipo ricade sotto tale direttiva.
37
Secondo la clausola 2.1 dell’accordo quadro allegato alla direttiva 97/81, quest’ultimo si applica ai lavoratori a tempo parziale
che hanno un contratto o un rapporto di lavoro definiti per legge, contratto collettivo o in base alle prassi in vigore in
ciascuno Stato membro. Ai sensi della clausola 3.1 del detto accordo quadro, per lavoratore a tempo parziale si intende il
lavoratore il cui orario di lavoro normale, calcolato su base settimanale o in media su un periodo di impiego che può andare
fino ad un anno, è inferiore a quello di un lavoratore a tempo pieno comparabile.
38
A norma della clausola 2.2 del detto accordo quadro, «[g]li Stati membri, dopo aver consultato le parti sociali conformemente
alla legge, ai contratti collettivi o alle prassi nazionali, e/o le parti sociali a livello appropriato conformemente alle
prassi nazionali relative alle relazioni industriali, possono, per ragioni obiettive, escludere totalmente o parzialmente
dalle disposizioni del presente accordo i lavoratori a tempo parziale che lavorano su base occasionale».
39
Come giustamente osservato dal Regno Unito, spetta al giudice di rinvio procedere agli accertamenti necessari per valutare
se tali ipotesi sussista nella fattispecie portata alla sua cognizione.
40
Alla luce delle considerazioni che precedono, occorre risolvere la prima questione dichiarando che un lavoratore che abbia
un contratto di lavoro, come quello oggetto della causa principale, in base al quale la durata del lavoro stesso e l’organizzazione
dell’orario lavorativo siano correlate al carico di lavoro che si presenta e vengano stabilite soltanto caso per caso di comune
accordo tra le parti, rientra nell’ambito di applicazione della direttiva 76/207.
Un lavoratore con queste caratteristiche rientra altresì nell’ambito di applicazione dell’accordo quadro allegato alla direttiva 97/81
qualora:
–
egli abbia un contratto o un rapporto di lavoro definiti dalla legge, dagli accordi collettivi o dalle prassi in vigore nello
Stato membro;
–
egli sia un dipendente il cui orario di lavoro normale, calcolato su base settimanale o in media su un periodo d’impiego che
può andare fino ad un anno, è inferiore a quello di un lavoratore a tempo pieno comparabile, ai sensi della clausola 3.2 del
detto accordo quadro, nonché,
–
trattandosi di lavoratori a tempo parziale impiegati su base occasionale, lo Stato membro non abbia totalmente o parzialmente
escluso tali lavoratori, ai sensi della clausola 2.2 del medesimo accordo quadro, dal beneficio delle disposizioni di quest’ultimo.
Quanto alla seconda questione
41
Con la sua seconda questione il giudice del rinvio chiede in sostanza se, nel caso in cui le stesse disposizioni nazionali
non fissino, per i lavoratori a tempo parziale, né la durata del lavoro né l’organizzazione dell’orario di lavoro, la clausola 4
dell’accordo quadro allegato alla direttiva 97/81 e gli artt. 2, n. 1, e 5, n. 1, della direttiva 76/207 debbano essere interpretati
nel senso che ostano ad un’altra disposizione, come l’art. 3 dell’AZG, che fissi la durata normale del lavoro in misura pari,
in linea di principio, a 40 ore settimanali e ad 8 ore giornaliere.
42
In primo luogo, quanto alla clausola 4 dell’accordo quadro allegato alla direttiva 97/81, tale disposizione prevede che, per
quanto riguarda le condizioni di impiego, i lavoratori a tempo parziale non devono essere trattati in modo meno favorevole
rispetto ai lavoratori a tempo pieno comparabili per il solo motivo di lavorare a tempo parziale, a meno che un trattamento
differente sia giustificato da ragioni obiettive.
43
In secondo luogo, quanto agli artt. 2, n. 1, e 5, n. 1, della direttiva 76/207, ai sensi di una costante giurisprudenza, una
normativa nazionale comporta una discriminazione indiretta ai danni dei lavoratori di sesso femminile qualora, pur essendo
formulata in modo neutro, penalizzi di fatto una percentuale notevolmente più elevata di donne che di uomini, salvo che tale
diversità di trattamento sia giustificata da fattori oggettivi ed estranei a qualsiasi discriminazione basata sul sesso (v.,
in particolare, sentenze 6 aprile 2000, causa C‑226/98, Jørgensen, Racc. pag. I-2447, punto 29; 26 settembre 2000, causa C‑322/98,
Kachelmann, Racc. pag. I‑7505, punto 23, e 9 settembre 2003, causa C‑25/02, Rinke, Racc. pag. I-8349, punto 33).
44
Pertanto, al fine di fornire una soluzione utile al giudice del rinvio, occorre verificare se l’applicazione dell’art. 3 dell’AZG
conduca, da un lato, per quanto riguarda la clausola 4 dell’accordo quadro allegato alla direttiva 97/81, ad un trattamento
meno favorevole dei lavoratori a tempo parziale rispetto ai lavoratori a tempo pieno comparabili e, dall’altro, per quanto
riguarda gli artt. 2, n. 1, e 5, n. 1, della direttiva 76/207, ad una diversità di trattamento tra queste due categorie di
lavoratori.
45
A questo proposito, l’AZG, che ha trasposto nell’ordinamento nazionale le disposizioni della direttiva 93/104, prevede, all’art. 3,
che la durata normale, cioè massima, del lavoro sia pari, in linea di principio, a 40 ore settimanali e ad 8 ore giornaliere.
Inoltre, l’art. 19 d dell’AZG definisce il lavoro a tempo parziale come la situazione in cui la durata settimanale del lavoro
convenuta è inferiore alla detta durata massima.
46
Occorre anzitutto rilevare come tanto dall’art. 118 A del Trattato CE (gli artt. 117‑120 del Trattato CE sono stati sostituiti
dagli artt. 136 CE‑143 CE), che costituisce la base giuridica della direttiva 93/104, quanto dai ‘considerando’ primo, quarto,
settimo e ottavo, nonché dalla stessa formulazione dell’art. 1, n. 1, di tale direttiva, risulti che questa si propone di
fissare prescrizioni minime destinate a migliorare le condizioni di vita e di lavoro dei lavoratori mediante un ravvicinamento
delle disposizioni nazionali riguardanti, in particolare, la durata dell’orario di lavoro (v. sentenze 26 giugno 2001, causa
C‑173/99, BECTU, Racc. pag. I-4881, punto 37, e 9 settembre 2003, causa C‑151/02, Jaeger, Racc. pag. I-8389, punto 45).
47
Inoltre, ai sensi di queste stesse disposizioni, tale armonizzazione a livello comunitario in materia di organizzazione dell’orario
di lavoro è intesa a garantire una migliore protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori, facendo godere questi
ultimi di periodi minimi di riposo – in particolare giornaliero e settimanale – e di periodi di pausa adeguati e prevedendo
un tetto per la durata della settimana lavorativa (v. sentenze 3 ottobre 2000, causa C‑303/98, Simap, Racc. pag. I‑7963, punto 49;
BECTU, cit., punto 38, e Jaeger, cit., punto 46). Tale protezione costituisce un diritto sociale conferito ad ogni lavoratore
in quanto prescrizione minima necessaria per assicurare la tutela della sua sicurezza e della sua salute (v., in tal senso,
sentenza BECTU, cit., punto 47).
48
Infine, è possibile che, in taluni casi, la durata massima del lavoro e l’organizzazione dell’orario di lavoro coincidano
rispettivamente con le ore settimanali effettivamente prestate da un lavoratore a tempo pieno e con l’organizzazione dell’orario
di lavoro di tale lavoratore. Tuttavia, la direttiva 93/104 si applica senza distinzioni ai lavoratori a tempo pieno e a quelli
a tempo parziale e disciplina dunque, in particolare, la durata massima del lavoro e l’organizzazione dell’orario di lavoro
relativamente a tali due categorie di lavoratori.
49
Ne consegue che, come giustamente rilevato dal governo austriaco, l’art. 3 dell’AZG, nei limiti in cui impone un’organizzazione
dell’orario di lavoro ed una durata massima del medesimo, la quale è, per definizione, superiore a quella di un lavoro a tempo
parziale, disciplina anche la durata massima del lavoro e l’organizzazione dell’orario di lavoro con riferimento sia ai lavoratori
a tempo pieno sia a quelli a tempo parziale.
50
Pertanto, l’art. 3 dell’AZG non comporta – per quanto riguarda la clausola 4 dell’accordo quadro allegato alla direttiva 97/81
– un trattamento meno favorevole dei lavoratori a tempo parziale rispetto ai lavoratori a tempo pieno comparabili, né comporta
– per quanto riguarda gli artt. 2, n. 1, e 5, n. 1, della direttiva 76/207 – una diversità di trattamento tra tali due categorie
di lavoratori.
51
Alla luce di quanto precede, occorre risolvere la seconda questione dichiarando che la clausola 4 dell’accordo quadro allegato
alla direttiva 97/81 e gli artt. 2, n. 1, e 5, n. 1, della direttiva 76/207 debbono essere interpretati nel senso che non
ostano ad una disposizione, come l’art. 3 dell’AZG, la quale fissi la durata massima del lavoro in misura pari, in linea di
principio, a 40 ore settimanali e ad 8 ore giornaliere, e che pertanto disciplini anche la durata massima del lavoro e l’organizzazione
dell’orario di lavoro con riferimento sia ai lavoratori a tempo pieno sia a quelli a tempo parziale.
Quanto alla terza questione
52
Con la sua terza questione il giudice del rinvio chiede in sostanza se la clausola 4 dell’accordo quadro allegato alla direttiva 97/81,
da un lato, e gli artt. 2, n. 1, e 5, n. 1, della direttiva 76/207, dall’altro, debbano essere interpretati nel senso che
ostano ad un contratto di lavoro a tempo parziale, come quello in questione nella causa principale, ai sensi del quale la
durata del lavoro settimanale e l’organizzazione dell’orario di lavoro non siano fisse, bensì siano correlate al fabbisogno
di lavoro, determinato caso per caso, con facoltà per i lavoratori interessati di accettare o rifiutare la chiamata lavorativa.
53
Occorre ricordare che tale questione si colloca nel contesto della causa principale, nella quale, come risulta dal fascicolo,
il contratto di lavoro della sig.ra Wippel avrebbe dovuto, secondo quest’ultima, contenere una clausola che stabilisse una
durata fissa del lavoro settimanale con una retribuzione determinata, indipendentemente dal fatto che la persona interessata
avesse o no lavorato per tutta tale durata.
54
A questo proposito, da un lato, come già rilevato dalla Corte al punto 42 della presente sentenza, la clausola 4 dell’accordo
quadro allegato alla direttiva 97/81, in quanto riguardante le condizioni di impiego, osta a che i lavoratori a tempo parziale
vengano trattati in modo meno favorevole rispetto ai lavoratori a tempo pieno comparabili per il solo fatto di lavorare a
tempo parziale, salvo che un diverso trattamento sia giustificato da ragioni obiettive.
55
Dall’altro lato, secondo la costante giurisprudenza citata al punto 43 della presente sentenza in ordine agli artt. 2, n. 1,
e 5, n. 1, della direttiva 76/207, una normativa nazionale comporta una discriminazione indiretta ai danni dei lavoratori
di sesso femminile qualora, pur essendo formulata in modo neutro, penalizzi di fatto una percentuale notevolmente più elevata
di donne che di uomini, salvo che tale diversità di trattamento sia giustificata da fattori oggettivi ed estranei a qualsiasi
discriminazione basata sul sesso. Lo stesso vale nel caso di un contratto di lavoro quale quello in questione nella causa
principale.
56
Il divieto di discriminazione sancito dalle disposizioni sopra citate altro non è che l’espressione specifica del principio
generale di uguaglianza – principio costituente uno dei principi fondamentali del diritto comunitario – il quale impone che
situazioni comparabili non vengano trattate in modo diverso, a meno che una differenziazione non sia obiettivamente giustificata
(v. sentenze 26 giugno 2001, causa C‑381/99, Brunnhofer, Racc. pag. I‑4961, punto 28, e 17 settembre 2002, causa C‑320/00,
Lawrence e a., Racc. pag. I‑7325, punto 12). Pertanto, tale principio può applicarsi soltanto a persone poste in situazioni
comparabili (sentenza 31 maggio 2001, cause riunite C‑122/99 P e C‑125/99 P, D e Svezia/Consiglio, Racc. pag. I‑4319, punto 48).
57
Occorre dunque esaminare in primo luogo se un contratto di lavoro a tempo parziale secondo il fabbisogno, quale quello in
questione nella causa principale, porti a trattare un lavoratore come la sig.ra Wippel in modo meno favorevole rispetto ai
lavoratori a tempo pieno che si trovino in una situazione comparabile alla sua, ai sensi della clausola 4 dell’accordo quadro
allegato alla direttiva 97/81.
58
A questo proposito, la clausola 3 del detto accordo quadro fornisce criteri di definizione della figura del «lavoratore a
tempo pieno comparabile». Quest’ultimo viene definito come «il lavoratore a tempo pieno dello stesso stabilimento, che ha
lo stesso tipo di contratto o di rapporto di lavoro e un lavoro/occupazione identico o simile, tenendo conto di altre considerazioni
che possono includere l’anzianità e le qualifiche/competenze». Ai sensi di questa stessa clausola, qualora non esista alcun
lavoratore a tempo pieno comparabile nello stesso stabilimento, il paragone si effettua con riferimento al contratto collettivo
applicabile o, in assenza di contratto collettivo applicabile, conformemente alla legge, ai contratti collettivi o alle prassi
nazionali.
59
Da un lato, un lavoratore a tempo parziale secondo il fabbisogno, come la sig.ra Wippel, lavora in base ad un contratto che
non fissa né la durata del lavoro settimanale né l’organizzazione dell’orario di lavoro, bensì lascia al lavoratore stesso
la scelta se accettare o rifiutare il lavoro proposto dalla P & C. Tale lavoratore viene pagato su base oraria soltanto per
le ore di lavoro effettivamente prestate.
60
Dall’altro lato, un lavoratore a tempo pieno lavora in base ad un contratto che fissa la durata del lavoro settimanale a 38,5
ore, stabilendo l’organizzazione dell’orario di lavoro e la retribuzione, e che lo obbliga a lavorare per la P & C per tutto
il tempo così determinato senza possibilità di rifiutare la prestazione, anche se egli non possa o non desideri fare ciò.
61
Alla luce di tali circostanze, il rapporto di lavoro considerato al punto precedente della presente sentenza ha un oggetto
ed una causa diversi da quelli caratterizzanti il rapporto di lavoro di un lavoratore quale la sig.ra Wippel. Ne consegue
che, nel medesimo stabilimento, nessun lavoratore a tempo pieno ha un tipo di contratto o un rapporto di lavoro uguali a quelli
della sig.ra Wippel. Risulta dal fascicolo che lo stesso vale, nelle circostanze di cui alla causa principale, per tutti i
lavoratori a tempo pieno per i quali il contratto collettivo applicabile fissa la durata del lavoro settimanale a 38,5 ore.
62
Pertanto, nelle circostanze di cui alla causa principale, non esiste alcun lavoratore a tempo pieno comparabile alla sig.ra Wippel
ai sensi dell’accordo quadro allegato alla direttiva 97/81. Ne consegue che un contratto di lavoro a tempo parziale in base
al fabbisogno, il quale non fissi né una durata del lavoro settimanale né un’organizzazione dell’orario di lavoro, non costituisce
un trattamento meno favorevole ai sensi della clausola 4 del detto accordo quadro.
63
In secondo luogo, per quanto riguarda gli artt. 2, n. 1, e 5, n. 1, della direttiva 76/207, risulta dal fascicolo che, secondo
la sig.ra Wippel, le situazioni dei lavoratori da prendere a confronto sono, da un lato, quella in cui si trovano i lavoratori
della P & C impiegati a tempo parziale in base al fabbisogno i cui contratti di lavoro non fissino né una durata del lavoro
settimanale né un’organizzazione dell’orario di lavoro e, dall’altro, quella di tutti gli altri lavoratori della P & C, tanto
a tempo pieno quanto a tempo parziale, i cui contratti di lavoro fissino tale durata e tale organizzazione.
64
Dato che l’ultima categoria di lavoratori è caratterizzata dall’obbligo di lavorare per la P & C per un periodo fisso di lavoro
settimanale, senza possibilità di rifiutare le proprie prestazioni nell’ipotesi in cui i lavoratori interessati non potessero
o non volessero lavorare, è sufficiente rilevare come, per i motivi elencati ai punti 59‑61 della presente sentenza, la situazione
nella quale si trovano tali lavoratori non sia assimilabile a quella in cui si trovano lavoratori impiegati a tempo parziale
in base al fabbisogno.
65
Ne consegue che, in circostanze quali quelle di cui alla causa principale, in cui le due categorie di lavoratori non sono
comparabili, un contratto di lavoro a tempo parziale in base al fabbisogno, il quale non fissi né una durata del lavoro settimanale
né un’organizzazione dell’orario di lavoro, non costituisce una misura indirettamente discriminatoria ai sensi degli artt. 2,
n. 1, e 5, n. 1, della direttiva 76/207.
66
Alla luce di tutto quanto precede, occorre risolvere la terza questione dichiarando che la clausola 4 dell’accordo quadro
allegato alla direttiva 97/81 e gli artt. 2, n. 1, e 5, n. 1, della direttiva 76/207 debbono essere interpretati nel senso
che, nel caso in cui tutti i contratti di lavoro degli altri lavoratori di un’impresa fissino la durata del lavoro settimanale
e l’organizzazione dell’orario di lavoro, non ostano ad un contratto di lavoro a tempo parziale dei lavoratori della medesima
impresa, come quello oggetto della causa principale, in forza del quale la durata del lavoro settimanale e l’organizzazione
dell’orario di lavoro non siano fisse, bensì siano correlate al fabbisogno di lavoro, determinato caso per caso, restando
tali lavoratori liberi di scegliere se accettare o rifiutare il lavoro offerto.
67
Alla luce delle risposte fornite alla seconda e alla terza questione pregiudiziale, non occorre rispondere alla quarta questione.
Sulle spese
68
Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice
nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute per presentare osservazioni alla Corte, diverse da quelle
delle dette parti, non danno luogo a rifusione.
Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara e statuisce:
1)
Un lavoratore che abbia un contratto di lavoro, come quello oggetto della causa principale, in base al quale la durata del
lavoro stesso e l’organizzazione dell’orario lavorativo siano correlate al carico di lavoro che si presenta e vengano stabilite
soltanto caso per caso di comune accordo tra le parti, rientra nell’ambito di applicazione della direttiva del Consiglio 9
febbraio 1976, 76/207/CEE, relativa all’attuazione del principio della parità di trattamento fra gli uomini e le donne per
quanto riguarda l’accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro.
Un lavoratore con queste caratteristiche rientra altresì nell’ambito di applicazione dell’accordo quadro allegato alla direttiva
del Consiglio 15 dicembre 1997, 97/81/CE, relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale concluso dall’UNICE, dal
CEEP e dalla CES, qualora:
–
egli abbia un contratto o un rapporto di lavoro definiti dalla legge, dagli accordi collettivi o dalle prassi in vigore nello
Stato membro;
–
egli sia un dipendente il cui orario di lavoro normale, calcolato su base settimanale o in media su un periodo d’impiego che
può andare fino ad un anno, è inferiore a quello di un lavoratore a tempo pieno comparabile, ai sensi della clausola 3.2 del
detto accordo quadro, nonché,
–
trattandosi di lavoratori a tempo parziale impiegati su base occasionale, lo Stato membro non abbia totalmente o parzialmente
escluso tali lavoratori, ai sensi della clausola 2.2 del medesimo accordo quadro, dal beneficio delle disposizioni di quest’ultimo.
2)
La clausola 4 dell’accordo quadro allegato alla direttiva 97/81 e gli artt. 2, n. 1, e 5, n. 1, della direttiva 76/207 debbono
essere interpretati nel senso che:
–
non ostano ad una disposizione, come l’art. 3 dell’Arbeitszeitgesetz (legge sull’orario di lavoro), la quale fissi la durata
massima del lavoro in misura pari, in linea di principio, a 40 ore settimanali e ad 8 ore giornaliere, e che pertanto disciplini
anche la durata massima del lavoro e l’organizzazione dell’orario di lavoro con riferimento sia ai lavoratori a tempo pieno
sia a quelli a tempo parziale;
–
nel caso in cui tutti i contratti di lavoro degli altri lavoratori di un’impresa fissino la durata del lavoro settimanale
e l’organizzazione dell’orario di lavoro, non ostano ad un contratto di lavoro a tempo parziale dei lavoratori della medesima
impresa, come quello oggetto della causa principale, in forza del quale la durata del lavoro settimanale e l’organizzazione
dell’orario di lavoro non siano fisse, bensì siano correlate al fabbisogno di lavoro, determinato caso per caso, restando
tali lavoratori liberi di scegliere se accettare o rifiutare il lavoro offerto.