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Document 52007DC0359

Comunicazione della Commissione al Parlamento Europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni - Verso principi comuni di flessicurezza: Posti di lavoro più numerosi e migliori grazie alla flessibilità e alla sicurezza {SEC(2007) 861} {SEC(2007) 862}

/* COM/2007/0359 def. */

52007DC0359

Comunicazione della Commissione al Parlamento Europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni - Verso principi comuni di flessicurezza: Posti di lavoro più numerosi e migliori grazie alla flessibilità e alla sicurezza {SEC(2007) 861} {SEC(2007) 862} /* COM/2007/0359 def. */


[pic] | COMMISSIONE DELLE COMUNITÀ EUROPEE |

Bruxelles, 27.6.2007

COM(2007) 359 definitivo

COMUNICAZIONE DELLA COMMISSIONE AL PARLAMENTO EUROPEO, AL CONSIGLIO, AL COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO E AL COMITATO DELLE REGIONI

Verso principi comuni di flessicurezza:

Posti di lavoro più numerosi e migliori grazie alla flessibilità e alla sicurezza

{SEC(2007) 861}{SEC(2007) 862}

INDICE

1. Le sfide e le opportunità presentate dalla globalizzazione e dal cambiamento 3

2. Una strategia integrata di flessicurezza 4

3. Politiche di flessicurezza: l'esperienza degli Stati membri 8

4. Flessicurezza e dialogo sociale 9

5. Sviluppare principi comuni di flessicurezza 10

6. Percorsi di flessicurezza 11

7. La dimensione finanziaria della flessicurezza 12

8. I prossimi passi: la flessicurezza e la strategia di Lisbona per la crescita e l'occupazione 13

ALLEGATO I PERCORSI DI FLESSICUREZZA 15

ALLEGATO II ESEMPI DI FLESSICUREZZA 22

ALLEGATO III INDICATORI DI CONTESTO PERTINENTI PER LA FLESSICUREZZA 25

1. LE SFIDE E LE OPPORTUNITÀ PRESENTATE DALLA GLOBALIZZAZIONE E DAL CAMBIAMENTO

Il modo in cui i cittadini europei vivono e lavorano sta cambiando rapidamente[1]. Se ne possono indicare quattro motivi principali: l'integrazione economica europea e internazionale, lo sviluppo di nuove tecnologie, in particolare nei settori dell'informazione e della comunicazione, l'invecchiamento demografico delle società europee unitamente a tassi d'occupazione ancora relativamente bassi e a un'elevata disoccupazione di lungo periodo che mettono a rischio la sostenibilità dei sistemi di protezione sociale. A ciò si aggiunge l'emergere, in diversi paesi, di mercati del lavoro segmentati[2] in cui coesistono lavoratori relativamente protetti e lavoratori sprovvisti di protezione (gli "insider" e gli "outsider").

Nel complesso la globalizzazione rappresenta un'occasione per la crescita e l'occupazione, ma i cambiamenti che essa reca con sé richiedono risposte rapide da parte delle imprese e dei lavoratori. L'occupazione è aumentata nell'UE e la disoccupazione registra un calo costante. Questi sviluppi positivi costituiscono un buon punto di partenza anche se nell'UE vi sono ancora 17 milioni di disoccupati (2007) e le economie europee si devono ancora ristrutturare. Il processo di adattamento richiede un mercato del lavoro maggiormente flessibile combinato con livelli di sicurezza che tengano conto contemporaneamente delle nuove esigenze dei datori di lavoro e dei lavoratori. L'Europa deve creare posti di lavoro più numerosi e migliori per gestire il cambiamento e i nuovi rischi sociali. Essa deve ridurre la segmentazione dei mercati del lavoro e il precariato e promuovere un'integrazione sostenibile e l'accumulo di competenze. Le donne, i giovani e i migranti sono già sovrarappresentati tra gli outsider del mercato del lavoro e i lavoratori anziani si trovano ad affrontare molteplici difficoltà per trovare un posto di lavoro[3]. Anche chi ha un contratto a tempo indeterminato si può sentire minacciato perché in caso di licenziamento si trova ad affrontare le stesse difficoltà a trovare un posto di lavoro di qualità.

Per raggiungere gli obiettivi di Lisbona relativi a posti di lavoro più numerosi e migliori servono nuove forme di flessibilità e di sicurezza. I singoli hanno sempre più bisogno di sicurezza dell'occupazione piuttosto che di sicurezza del posto di lavoro, poiché sono sempre meno coloro che hanno lo stesso impiego per tutta la vita. Le imprese, soprattutto le piccole e medie, devono essere in grado di adattare la loro forza lavoro al cambiamento delle condizioni economiche. Esse devono essere in grado di reclutare personale dotato di competenze meglio rispondenti alle loro esigenze, più produttivo e adattabile in modo da assicurare l'innovazione e la competitività. Tuttavia, l'Europa non si sta adeguando come potrebbe agli shock cui è esposta la sua economia. Ciò può aggravare le preoccupazioni legate all'outsourcing e alla delocalizzazione[4], oltre ad accrescere le differenze salariali e i divari tra lavoratori qualificati e lavoratori non qualificati[5]. L'UE e i suoi Stati membri devono procedere ulteriormente verso un'economia delle conoscenze dinamica e efficace, tale da distribuire la prosperità in modo più equo in tutta la società. Deve aumentare il numero di coloro che traggono profitto dal cambiamento e si deve assicurare una più intensa mobilità ascendente. Si deve riuscire a trasformare un maggior numero di "esclusi" in "inclusi".

I cittadini dell'UE accettano la necessità dell'adattamento e del cambiamento. Il 76% dei cittadini europei concorda che il fatto di avere lo stesso posto di lavoro con lo stesso datore di lavoro per tutta la vita è una cosa del passato. Il 76% ritiene inoltre che il fatto di poter passare facilmente da un lavoro all'altro costituisce oggi un vantaggio per riuscire a trovare lavoro. Il 72% dichiara che i contratti di lavoro dovrebbero diventare più flessibili per incoraggiare la creazione di posti di lavoro. E infine, l'88% dei cittadini afferma che una formazione regolare migliora le opportunità lavorative[6].

La risposta politica complessiva dell'UE alle sfide e alle opportunità presentate dalla globalizzazione è data dalla rinnovata strategia di Lisbona per la crescita e l'occupazione. Il Consiglio europeo ha sollecitato gli Stati membri "a sviluppare in maniera più sistematica nei piani nazionali di riforma strategie a tutto campo per migliorare l'adattabilità dei lavoratori e delle imprese". La Commissione, assieme agli Stati membri e alle parti sociali, è stata invitata a esaminare "lo sviluppo di una serie di principi comuni in materia di flessicurezza" quale utile riferimento per conseguire mercati del lavoro più aperti e reattivi, nonché luoghi di lavoro più produttivi[7].

2. UNA STRATEGIA INTEGRATA DI FLESSICUREZZA

La motivazione di fondo di una strategia integrata di flessicurezza è data dalla necessità di raggiungere gli obiettivi della rinnovata strategia di Lisbona[8], in particolare posti di lavoro più numerosi e migliori, e nel contempo di ammodernare il modello sociale europeo. Ciò richiede politiche che affrontino contemporaneamente aspetti quali la flessibilità dei mercati del lavoro, dell'organizzazione del lavoro e delle relazioni di lavoro nonché la sicurezza – intesa quale sicurezza dell'occupazione e sicurezza sociale.

La flessicurezza intende assicurare che i cittadini dell'UE possano beneficiare di un livello elevato di sicurezza occupazionale, vale a dire della possibilità di trovare agevolmente un lavoro in ogni fase della loro vita attiva e di avere buone prospettive di sviluppo della carriera in un contesto economico in rapido cambiamento. Essa intende anche aiutare sia i lavoratori che i datori di lavoro a cogliere appieno le opportunità che la globalizzazione presenta. Essa crea quindi una situazione in cui la sicurezza e la flessibilità possono rafforzarsi reciprocamente.

Gli Stati membri dovrebbero fare di più per rendere i loro mercati del lavoro maggiormente di favorevoli all'occupazione: le misure politiche sono spesso concepite e attuate in modo frammentato senza tenere conto delle problematiche più ampie presenti sul mercato del lavoro. Troppo spesso le politiche intendono accrescere o la flessibilità per le imprese o la sicurezza dei lavoratori con il risultato di neutralizzarsi o contraddirsi a vicenda. La ripresa dell'economia con la crescita economica al livello più alto da sei anni e con la creazione di 7 milioni di nuovi posti di lavoro tra il 2005 e il 2008 costituisce un'opportunità per l'Unione e per gli Stati membri: si devono ora raddoppiare gli sforzi e avviare le riforme necessarie per far fronte agli impegni dell'Unione in materia di crescita e occupazione e di coesione economica e sociale.

Cos'è la flessicurezza?

La flessicurezza può essere definita quale strategia integrata volta a promuovere contemporaneamente la flessibilità e la sicurezza sul mercato del lavoro.

La flessibilità, da un lato, ha a che fare con i momenti di passaggio ("transizioni") che contrassegnano la vita di un individuo: dal mondo della scuola a quello del lavoro, da un'occupazione a un'altra, tra la disoccupazione o l'inattività e il lavoro e dal lavoro al pensionamento. Essa non comporta soltanto una maggiore libertà per le imprese di assumere o licenziare e non implica che i contratti a tempo indeterminato siano un fenomeno obsoleto. La flessibilità significa assicurare ai lavoratori posti di lavoro migliori, la "mobilità ascendente", lo sviluppo ottimale dei talenti. La flessibilità riguarda anche organizzazioni del lavoro flessibili, capaci di rispondere con efficacia ai nuovi bisogni e alle nuove competenze richieste dalla produzione; riguarda anche una migliore conciliazione tra lavoro e responsabilità private. La sicurezza, d'altro canto, è qualcosa di più che la semplice sicurezza di mantenere il proprio posto di lavoro: essa significa dotare le persone delle competenze che consentano loro di progredire durante la loro vita lavorativa e le aiutino a trovare un nuovo posto di lavoro. Essa ha anche a che fare con adeguate indennità di disoccupazione per agevolare le transizioni. Essa comprende inoltre opportunità di formazione per tutti i lavoratori, soprattutto per quelli scarsamente qualificati e per i lavoratori anziani.

Le imprese e i lavoratori possono quindi beneficiare sia della flessibilità che della sicurezza, ad esempio grazie a una migliore organizzazione del lavoro[9], alla mobilità ascendente dovuta al miglioramento delle competenze, agli investimenti nella formazione che vanno a vantaggio delle imprese aiutando nel contempo i lavoratori ad adattarsi e ad accettare il cambiamento.

Le componenti della flessicurezza

La Commissione e gli Stati membri, in base all'esperienza e ai risultati dell'evidenza empirica, hanno raggiunto un consenso sul fatto che è possibile concepire e attuare politiche di flessicurezza attraverso quattro componenti politiche:

- forme contrattuali flessibili e affidabili (nell'ottica del datore di lavoro e del lavoratore, degli "insider" e degli "outsider") mediante una normativa del lavoro, contrattazioni collettive e un'organizzazione del lavoro moderne;

- strategie integrate di apprendimento lungo tutto l'arco della vita per assicurare la continua adattabilità e occupabilità dei lavoratori, in particolare di quelli più vulnerabili;

- efficaci politiche attive del mercato del lavoro che aiutino le persone a far fronte a cambiamenti rapidi, riducano i periodi di disoccupazione e agevolino la transizione verso nuovi posti di lavoro;

- sistemi moderni di sicurezza sociale che forniscano un adeguato supporto al reddito, incoraggino l'occupazione e agevolino la mobilità sul mercato del lavoro. Questo include un'ampia copertura delle prestazioni sociali (indennità di disoccupazione, pensioni e assistenza sanitaria) che aiutino le persone a conciliare il lavoro con le responsabilità private e familiari, come ad esempio la cura dei figli.

Come funziona la flessicurezza

L'analisi economica[10] dimostra che queste quattro componenti possono rinforzarsi l'una con l'altra e migliorare l'occupazione (complessiva come anche quella delle donne, dei giovani e dei lavoratori anziani), i tassi di coloro che sono a rischio di povertà e il capitale umano.

Mentre certi lavoratori subiscono un'elevata flessibilità e poca sicurezza, altri hanno forme contrattuali che scoraggiano o ritardano i trasferimenti. Ciò avviene in particolare laddove vi è una rigida legislazione a tutela dell'occupazione che si frappone ai licenziamenti di natura economica. Sulla base delle analisi di cui si dispone[11], una legislazione rigida a tutela dell'occupazione[12] riduce il numero di licenziamenti ma fa anche calare il numero delle transizioni dalla disoccupazione al lavoro. Al momento di reclutare nuovo personale le aziende tengono conto della probabilità di trovarsi ad incorrere in futuro in elevati costi di licenziamento. Questa è una preoccupazione particolarmente avvertita dalle piccole imprese. Le analisi[13] suggeriscono inoltre che, sebbene al livello della disoccupazione complessiva l'impatto di una legislazione rigida a tutela dell'occupazione sia limitato, esso può avere un impatto negativo sui gruppi più esposti ad incontrare problemi di accesso al mercato del lavoro, come i giovani, le donne, i lavoratori anziani e i disoccupati di lunga durata. Le donne, ad esempio, sono più soggette degli uomini a entrare e uscire ripetutamente dal mondo del lavoro, in particolare quando si trovano a dover conciliare il lavoro e la vita familiare, e risentono quindi maggiormente delle minori possibilità di assunzione determinate da una legislazione rigida a tutela dell'occupazione. Una legislazione rigida a tutela dell'occupazione incoraggia spesso il ricorso a tutta una serie di contratti temporanei scarsamente tutelati – che riguardano soprattutto donne e giovani – con limitate transizioni verso posti di lavoro a tempo indeterminato[14]. Ne risulta una segmentazione del mercato del lavoro cui la flessicurezza intende porre rimedio. La legislazione a tutela dell'occupazione ha ovviamente anche effetti positivi; in particolare, incoraggia le imprese a investire nella formazione oltre a promouovere la lealtà e una maggiore produttività dei lavoratori.

Strategie integrate di apprendimento lungo tutto l'arco della vita e migliori investimenti nelle risorse umane sono necessari per rispondere al ritmo rapido del cambiamento e dell'innovazione. Si tratta di un fattore sempre più cruciale sia per la competitività delle aziende sia per l'occupabilità di lungo periodo dei lavoratori. Un'educazione di base di elevata qualità, un'ampia gamma di capacità chiave e investimenti continuativi nelle competenze migliorano le opportunità che ha un'impresa di far fronte al cambiamento economico e le opportunità che hanno i lavoratori di rimanere occupati o di trovare una nuova occupazione. Un'elevata partecipazione all'apprendimento permanente è correlata positivamente con un tasso elevato di occupazione e un basso tasso di disoccupazione (di lungo periodo)[15]. Troppo spesso però questi investimenti vanno a solo vantaggio delle persone più qualificate[16]: le persone che hanno maggiormente bisogno di apprendere, come ad esempio i lavoratori scarsamente qualificati, i lavoratori con contratto temporaneo, i lavoratori autonomi e i lavoratori anziani, sono coloro che maggiormente risentono del sottoinvestimento in tale ambito. Le imprese possono essere scoraggiate dall'investire nell'aumento delle competenze poiché il personale formato può venire poi reclutato da altre imprese. La condivisione dei costi, ad esempio costituendo apposite fonti di finanziamento a livello settoriale, possono in parte contribuire a prevenire tale problema. Strategie inclusive di apprendimento permanente richiedono la partecipazione attiva dei governi, delle parti sociali, delle imprese e dei singoli lavoratori.

Sistemi moderni di sicurezza sociale che offrano adeguate indennità di disoccupazione, nonché politiche attive del mercato del lavoro sono componenti essenzali per la sicurezza dei redditi e per il sostegno durante i cambiamenti di lavoro. Validi sistemi di indennità di disoccupazione sono necessari per compensare le conseguenze negative sui redditi dovute ai trasferimenti da un lavoro all'altro, ma possono avere un effetto negativo sull'intensità della ricerca di lavoro e possono ridurre gli incentivi finanziari ad accettare un lavoro. A questo si può ampiamente ovviare mettendo a punto un sostegno alla ricerca del lavoro e incentivi a lavorare efficaci[17], assicurando un equilibrio tra i diritti e i doveri. Dall'evidenza empirica sisulta che un'assistenza diretta alla ricerca di un lavoro, come ad esempio corsi di tecniche di ricerca del lavoro e job club, risultano essere tra le misure più efficaci per aiutare i disoccupati a rientrare nel mondo del lavoro[18]. L'investimento in politiche attive del mercato del lavoro è associato a una più contenuta disoccupazione aggregata[19]. L'efficacia delle politiche attive del mercato del lavoro ha una correlazione positiva con legislazioni meno rigide a tutela del lavoro[20].

Un'efficace strategia di flessicurezza deve trovare un giusto equilibrio tra la funzione di assicurazione dei redditi insita nel sistema di indennità di disoccupazione e un'appropriata strategia di "attivazione" volta ad agevolare le transizioni verso il mondo del lavoro e potenziare lo sviluppo delle carriere. L'evidenza suggerisce che i i lavoratori si sentono maggiormente protetti da adeguate indennità di disoccupazione piuttosto che da una rigida protezione contro i licenziamenti. Le politiche attive del mercato del lavoro hanno anche un effetto positivo sulla sensazione di sicurezza dei lavoratori[21]. Se si chiede ai lavoratori quali sono le loro possibilità di trovare un nuovo lavoro in caso di licenziamento, gli intervistati reagiscono in modo estremamente diverso in Europa. Ad esempio, i lavoratori francesi, che godono di un'elevata legislazione a tutela dell'occupazione, ritengono molto basse le loro opportunità in tal senso mentre i lavoratori danesi, che fruiscono di una legislazione a tutela dell'occupazione alquanto moderata, considerano le loro opportunità estremamente alte[22]. Ciò indica come adeguate indennità di disoccupazione, efficaci politiche attive del mercato del lavoro e mercati del lavoro dinamici accrescano la sensazione di sicurezza dei singoli.

3. POLITICHE DI FLESSICUREZZA: L'ESPERIENZA DEGLI STATI MEMBRI

Negli ultimi anni il dibattito sulla flessicurezza si è ispirato ai risultati positivi in termini occupazionali e socioeconomici registrati in alcuni Stati membri, come indicato dalla rilanciata job strategy dell'OCSE[23]. L'OCSE caratterizza la flessicurezza essenzialmente nel seguente modo: una legislazione moderata a tutela dell'occupazione; un'elevata partecipazione all'apprendimento permanente; un investimento elevato in politiche attive del mercato del lavoro (sia passive che attive); sistemi generosi di indennità di disoccupazione che equilibrino i diritti e i doveri; un'ampia copertura assicurata dai sistemi di sicurezza sociale; e un'elevata copertura sindacale. I risultati socioeconomici sono caratterizzati da elevati tassi di occupazione, ridotti tassi di disoccupazione e contenuti tassi di povertà relativa rispetto alla media UE. Studi condotti nell'ambito dell'OCSE[24], dell'OIL[25] e della Commissione europea[26] indicano che le politiche di flessicurezza hanno contribuito alla realizzazione di questi risultati positivi.

In linea con la strategia per la crescita e l'occupazione, la flessicurezza va vista in un contesto più ampio. Politiche macroeconomiche valide e finanziariamente sostenibili e efficaci politiche microeconomiche, nonché mercati dei prodotti, servizi e capitali aperti e competitivi creano un contesto in cui le aziende possono cogliere le opportunità emergenti, finanziare nuove idee commerciali e creare posti di lavoro. Analogamente, la flessicurezza deve essere integrata da politiche sociali indirizzate ai gruppi svantaggiati e alle persone che si trovano più lontane dal mercato del lavoro.

L'allegato II riporta alcuni esempi di paesi che conducono politiche efficaci di flessicurezza o affrontano le sfide cui sono esposti in modo globale, orientato alla flessicurezza.

Per monitorare l'efficacia delle politiche di flessicurezza gli Stati membri e la Commissione stanno discutendo la definizione e l'uso di indicatori pertinenti; i risultati di queste attività ancora in corso sono riportati nell'allegato III.

4. FLESSICUREZZA E DIALOGO SOCIALE

Il coinvolgimento attivo delle parti sociali è la chiave per far sì che la flessicurezza vada a vantaggio di tutti. È altresì essenziale che tutti gli attori interessati siano pronti ad accettare il cambiamento e ad assumersene la responsabilità. Strategie integrate di flessicurezza sono spesso applicate in paesi in cui il dialogo – e soprattutto la fiducia – tra le parti sociali e tra le parti sociali e le autorità pubbliche ha svolto un ruolo importante. Le parti sociali si trovano spesso nella posizione migliore per rispondere alle esigenze dei datori di lavoro e dei lavoratori e cogliere le sinergie tra di esse, ad esempio per quanto concerne l'organizzazione del lavoro o la concezione e l'attuazione di strategie di apprendimento permanente. Il sostegno delle parti sociali agli obiettivi centrali della strategia di Lisbona è un elemento importante: tradurre questo sostegno in iniziative politiche concrete rientra ugualmente nelle responsabilità dei governi e delle parti sociali. Una strategia integrata di flessicurezza – contrapposta a misure politiche separate – è concepibilmente il modo migliore per assicurare che le parti sociali si impegnino in un dibattito generale sull'adattabilità.

L'esperienza insegna che un approccio di partenariato è il più idoneo per sviluppare una politica di flessicurezza. Spetta ovviamente a questi attori, in quanto organizzazioni autonome, decidere per conto loro in che modo partecipare, nell'ambito del dialogo sociale, alle politiche di flessicurezza.

In certi Stati membri la flessicurezza potrebbe costituire un quadro per un processo volto a definire obiettivi nazionali di adattamento e cambiamento per quanto concerne gli aspetti dell'occupazione, della produttività, della flessibilità e della sicurezza. Tale processo richiederebbe una maggiore sensibilizzazione sui bisogni specifici in materia di cambiamento e di miglioramenti politici. Esso verrebbe avviato dalle autorità pubbliche con il coinvolgimento delle parti sociali ed eventualmente di altri interessati. Si potrebbe avviare un dialogo nazionale con i rappresentanti dei datori di lavoro, dei lavoratori, del governo e di altre parti con il compito di formulare una serie di approcci politici o di negoziare un pacchetto di misure. Ciò potrebbe sfociare nell'adozione di una strategia nazionale integrata di flessicurezza. La Commissione incoraggia gli Stati membri a collaborare con le parti sociali al fine di includere i loro approcci in materia di flessicurezza nei programmi nazionali di riforma.

5. SVILUPPARE PRINCIPI COMUNI DI FLESSICUREZZA

Se da un lato le politiche e le misure di flessicurezza devono rispecchiare le più svariate situazioni nazionali, tutti gli Stati membri dell'UE si trovano ad affrontare la stessa sfida della modernizzazione e dell'adattamento alla globalizzazione e al cambiamento. Per tale motivo, onde agevolare i dibattiti nazionali nell'ambito degli obiettivi comuni della strategia per la crescita e l'occupazione, appare opportuno raggiungere un consenso a livello UE su una serie di "principi comuni di flessicurezza".

Questi principi comuni potrebbero costituire un utile riferimento per realizzare mercati del lavoro più aperti e reattivi e posti di lavoro più produttivi. Essi possono aiutare gli Stati membri a definire e attuare strategie di flessicurezza che tengano pienamente conto delle sfide, delle opportunità e delle circostanze specifiche cui sono confrontati, con la partecipazione attiva delle parti sociali.

I principi comuni potrebbero essere:

1. La flessicurezza comporta accordi contrattuali flessibili e affidabili (nell'ottica sia del datore di lavoro che del lavoratore, degli insider e degli outsider), strategie integrate di apprendimento permanente, efficaci politiche attive del mercato del lavoro e sistemi moderni di sicurezza sociale. Il suo obiettivo è rafforzare l'attuazione della strategia per la crescita e l'occupazione, creare posti di lavoro migliori e più numerosi e rafforzare il modello sociale europeo mettendo a punto nuove forme di flessibilità e sicurezza volte ad aumentare l'adattabilità, l'occupazione e la coesione sociale.

2. La flessicurezza implica un giusto equilibrio tra diritti e responsabilità per i datori di lavoro, i lavoratori, le persone in cerca di impiego e le autorità pubbliche.

3. La flessicurezza dovrebbe essere adattata alle circostanze, ai mercati del lavoro e alle relazioni industriali propri degli Stati membri. La flessicurezza non riguarda un modello unico di mercato del lavoro né un'unica strategia politica.

4. La flessicurezza dovrebbe ridurre il divario tra gli insider e gli outsider nel mercato del lavoro. Gli insider hanno bisogno di protezione e sostegno per essere pronti alle transizioni da un lavoro all'altro. Gli outsider – compresi i disoccupati, tra i quali si annoverano preponderantemente le donne, i giovani e i migranti – hanno bisogno di facili punti d'accesso al lavoro e di supporti per progredire verso soluzioni contrattuali stabili.

5. Va promossa la flessicurezza interna (all'interno dell'impresa) come anche quella esterna (da un'impresa all'altra). Una sufficiente libertà di assumere e licenziare deve essere accompagnata da transizioni sicure da un lavoro all'altro. Si deve incoraggiare la mobilità ascendente come anche quella tra disoccupazione o inattività e lavoro. Posti di lavoro di qualità elevata caratterizzati da quadri capaci, una buona organizzazione del lavoro e un continuo aggiornamento delle competenze sono tra gli obiettivi della flessicurezza. La protezione sociale deve incoraggiare, non ostacolare, la mobilità.

6. La flessicurezza dovrebbe supportare la parità di genere promuovendo un accesso equo a un'occupazione di qualità per le donne e gli uomini e offrendo possibilità di conciliare il lavoro e la vita familiare, oltre a fornire pari opportunità ai migranti, ai giovani disabili e ai lavoratori anziani.

7. La flessicurezza richiede un clima di fiducia e il dialogo tra le autorità pubbliche, le parti sociali e gli altri attori, un clima in cui tutti sono pronti ad assumersi la responsabilità del cambiamento e a produrre risposte politiche equilibrate.

8. Le politiche di flessicurezza hanno implicazioni finanziarie e dovrebbero contribuire a politiche di bilancio sane e finanziariamente sostenibili. Esse dovrebbero mirare a un'equa distribuzione dei costi e benefici, soprattutto tra le imprese, i singoli individui e i bilanci pubblici, con un'attenzione particolare per la situazione specifica delle piccole e medie imprese.Allo stesso tempo, politiche di flessicurezza efficaci possono contribuire a questo obiettivo generale.

6. PERCORSI DI FLESSICUREZZA

L'attuazione dei principi comuni di flessicurezza negli Stati membri richiede la definizione di combinazioni e sequenze di politiche e misure pianificate e negoziate adeguatamente. Poiché gli Stati membri presentano un contesto socioeconomico, culturale e istituzionale estremamente variegato, le combinazioni e sequenze specifiche saranno anch'esse diverse.

Se è vero che la flessicurezza non interessa un modello unico di mercato del lavoro o un'unica strategia politica, le buone pratiche raccolte in tutta l'Unione forniscono ampie opportunità agli Stati membri di apprendere l'uno dall'altro e di analizzare ciò che può funzionare meglio nella loro situazione specifica.

È possibile identificare diverse combinazioni e sequenze "tipiche" delle componenti politiche della flessicurezza al fine di meglio affrontare le sfide tipiche che i paesi si trovano ad affrontare sulla via della flessicurezza; tali combinazioni e sequenze sono i percorsi di flessicurezza. I quattro percorsi tipici – e le sfide cui intendono dare risposta - riportati nell'allegato I non rispecchiano – né lo potrebbero – la situazione concreta di un paese specifico. Ciascun percorso però – o addirittura una combinazione di essi - affronta sfide specifiche proprie a diversi Stati membri.

Questi percorsi sono stati sviluppati sulla base delle situazioni degli Stati membri tenendo conto della relazione del gruppo di esperti sulla flessicurezza[27].

Gli Stati membri, alla luce della loro situazione specifica e del loro contesto istituzionale, dovrebbero esaminare, in consultazione con le parti sociali e con gli altri attori – le sfide specifiche e i percorsi tipici che possono aiutare ad affrontarle al fine di definire il loro percorso globale verso una migliore combinazione di flessibilità e sicurezza.

I percorsi tipici dovrebbero fungere anche da strumento per l'apprendimento reciproco e per il benchmarking nel quadro della strategia di Lisbona rinnovata.

7. LA DIMENSIONE FINANZIARIA DELLA FLESSICUREZZA

Cambiamenti crescenti nell'economia e nel mercato del lavoro richiedono che i lavoratori, nel corso della loro carriera lavorativa, si spostino più frequentemente da un posto di lavoro all'altro. Ciò può comportare che essi debbano ricorrere a indennità di disoccupazione nel periodo in cui fruiscono di un aiuto per la ricerca attiva di un posto di lavoro e per il miglioramento delle loro competenze.

Nei paesi in cui esiste già un sistema di indennità di disoccupazione e queste sono generose, l'applicazione del principio dei diritti e doveri dovrebbe contribuire all'efficacia dei costi che il sistema comporta. Nei paesi in cui i sistemi di indennità sono meno sviluppati, le autorità possono contemplare l'eventualità di riassegnare le risorse in modo da potenziare le politiche di flessicurezza e ripartire gli eventuali costi addizionali tra gettiti diversi, agendo sulla leva fiscale o su quella contributiva.

I costi finanziari della flessicurezza andrebbero però sempre valutati alla luce dei vantaggi finanziari derivanti da un accresciuto dinamismo del mercato del lavoro, dall'aumento dell'occupazione e della produttività. Uno studio[28] stima che un aumento del 10% della spesa per le politiche attive del mercato del lavoro per ciascun disoccupato riduce dello 0,4% il tasso di disoccupazione. Un intervento tempestivo riduce i costi di lungo periodo della disoccupazione e le relative conseguenze negative in termini di salute e di esclusione sociale[29].

Per migliorare l'apprendimento permanente occorrerà fare un uso più efficiente, e a volte maggiore, delle risorse pubbliche e private, ma ciò dovrebbe comportare un ritorno in termini di aumento dell'occupazione e di accresciuta produttività del lavoro. Si è stimato che le persone che seguono una formazione professionale sul posto di lavoro guadagnano mediamente 5% di più di quelli che non lo fanno[30]. Una parte significativa dei costi della formazione sul posto di lavoro è sostenuta attualmente dai datori di lavoro e continuerà ad esserlo. Ma anche le politiche pubbliche possono incoraggiare iniziative di apprendimento permanente finanziate dai singoli individui, ad esempio mediante detrazioni fiscali. Nella maggior parte dei paesi i lavoratori possono essere responsabilizzati a investire nell'apprendimento permanente e a avvalersi dell'offerta di formazione disponibile. Per tale motivo i lavoratori possono essere anch'essi chiamati a sostenere parte dei costi, investendo ad esempio il loro tempo.

Il rafforzamento delle politiche attive del mercato del lavoro può richiedere che si concentrino nuove risorse su politiche personalizzate e preventive. Queste politiche però non diventano più efficaci se ci si limita ad aumentare la spesa totale. La loro efficacia dipende dalla loro qualità e dalla loro pertinenza per il mercato del lavoro, dal fatto di essere appropriate e dall'efficace combinazione di sicurezza e disponibilità ad accettare il cambiamento, nonché dal dinamismo dei mercati del lavoro. Efficaci politiche antidiscriminatorie servono anch'esse a completare le politiche attive del mercato del lavoro.

Le politiche di flessicurezza comportano spesso costi e devono rimanere pienamente compatibili con sane politiche di bilancio sostenibili sul piano finanziario. In certi paesi la spesa legata alla flessicurezza è di per sé sufficientemente elevata, ma se ne deve accrescere l'efficacia, in particolare migliorando la struttura dell'apprendimento permanente e delle politiche attive del mercato del lavoro. In altri paesi vi è un chiaro bisogno di risorse supplementari con conseguente aumento della spesa pubblica e privata se non altro nel breve termine; tuttavia questo finanziamento supplementare non deve provenire necessariamente da una maggiorazione della spesa pubblica, bensì anche da un'equa distribuzione dei costi tra le imprese, le singole persone e i bilanci pubblici e da una ridistribuzione della spesa pubblica tra le priorità politiche.

Il finanziamento delle politiche di flessicurezza: il contributo comunitario

Gli orientamenti comunitari per la coesione e quelli per lo sviluppo rurale evidenziano il contributo della politica di coesione e dello sviluppo rurale agli obiettivi strategici dell'Unione e in particolare della strategia di Lisbona. Più specificamente tutte le misure che rientrano negli orientamenti per l'occupazione (comprese quindi le politiche di flessicurezza) sono finanziabili dal Fondo sociale europeo (FSE), che nel periodo di programmazione 2007-2013 metterà a disposizione degli Stati membri circa 70 miliardi di euro, e in molti casi il Fondo europeo di sviluppo regionale può anch'esso fornire un sostegno finanziario. Tra le azioni suscettibili di essere finanziate vi sono la formazione a livello d'impresa e le misure attive del mercato del lavoro, tra cui l'assistenza ai disoccupati affinché trovino un lavoro, l'apprendimento permanente e la promozione del lavoro autonomo e dell'imprenditorialità. Il Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione può anch'esso recare un importante contributo comunitario.

8. I PROSSIMI PASSI: LA FLESSICUREZZA E LA STRATEGIA DI LISBONA PER LA CRESCITA E L'OCCUPAZIONE

L'obiettivo della presente comunicazione è incoraggiare un ampio dibattito tra le istituzioni dell'UE, gli Stati membri, le parti sociali e gli altri attori affinché il Consiglio europeo possa adottare, entro la fine del 2007, un insieme di principi comuni di flessicurezza. Questi principi comuni dovrebbero ispirare e promuovere l'attuazione degli orientamenti integrati per la crescita e l'occupazione e in particolare gli orientamenti per l'occupazione.

La prossima relazione comune sull'occupazione per il periodo 2007/2008 dovrebbe analizzare in particolare in che misura gli Stati membri stanno sviluppando strategie politiche integrate comprendenti le quattro componenti della flessicurezza. Nella sua analisi dei programmi nazionali di riforma di quest'anno relativi alla strategia di Lisbona la Commissione formulerà commenti preliminari sul modo in cui gli Stati membri potrebbero trarre vantaggio da principi e percorsi comuni di flessicurezza nella concezione delle loro politiche specifiche.

Durante il prossimo ciclo degli orientamenti integrati gli Stati membri saranno invitati a utilizzare i loro programmi di riforma nazionali per riferire esplicitamente sulle loro strategie di flessicurezza. La Commissione monitorerà le strategie nelle relazioni annuali di andamento e riferirà sui progressi compiuti in materia di strategia di flessicurezza alla fine del ciclo di Lisbona. La Commissione proporrà un programma di apprendimento reciproco rafforzato e più puntuale per assicurare che gli Stati membri beneficino di politiche di flessicurezza funzionanti.

Considerato il ruolo del dialogo sociale nella definizione e attuazione di strategie efficaci di flessicurezza la Commissione invita le parti sociali europee a impegnarsi in un dialogo a livello comunitario sulla base dei principi comuni della flessicurezza approvati dal Consiglio europeo. Tale dibattito integrerà e alimenterà il ruolo centrale delle parti sociali nei loro rispettivi contesti nazionali. Il vertice sociale trilaterale del 2008 potrebbe incentrare le sue discussioni sulla flessicurezza.

ALLEGATO I PERCORSI DI FLESSICUREZZA

Percorso 1: affrontare la segmentazione contrattuale

Questo percorso tipico può presentare un interesse per i paesi in cui la sfida maggiore è costituita da mercati del lavoro segmentati caratterizzati da una separazione tra insider e outsider. Questo percorso servirebbe a distribuire la flessibilità e la sicurezza in modo più equo tra la forza lavoro. Creerebbe punti d'accesso all'occupazione per coloro che entrano per la prima volta nel mercato del lavoro e incoraggerebbe la loro progressione verso forme contrattuali migliori.

In questi paesi i contratti a tempo indeterminato sono stati considerati lo strumento principale di protezione nel contesto della normativa del lavoro e degli accordi collettivi. Le opportunità di formazione e la sicurezza sociale tendono ad essere collegate ai contratti a tempo indeterminato. In seguito ai tentativi per aumentare la flessibilità del mercato del lavoro si sono diffusi i contratti a tempo determinato, i contratti a chiamata, il lavoro tramite agenzia, ecc. I lavoratori si trovano spesso a lavorare per lunghi periodi con una sequela di contratti a tempo determinato prima di ottenere un contratto a tempo indeterminato. Piuttosto che punti di partenza per migliorare la propria condizione, questi contratti rischiano di diventare delle trappole. In questi paesi la sicurezza tende a basarsi sulla protezione del lavoro piuttosto che sulle prestazioni sociali. Ne consegue che le indennità di disoccupazione sono alquanto ridotte e i sistemi di assistenza sociale sono poco sviluppati. Gli enti che gestiscono le indennità e i servizi pubblici per l'impiego, nella loro situazione attuale, necessitano di un rafforzamento istituzionale per garantire una sana gestione ed efficaci politiche attive del mercato del lavoro per i disoccupati.

I vantaggi per i cittadini e per la società si cumulerebbero se si creassero delle basi efficaci che consentano ai lavoratori di accedere al mercato del lavoro e progredirvi raggiungendo una mobilità ascendente.

Nel contesto delle forme contrattuali questo percorso mirerebbe a migliorare la posizione dei lavoratori con contratto a tempo determinato, quelli che fanno lavoro tramite agenzia o che lavorano a chiamata, ecc. Esso assicurerebbe che a questi lavoratori venga offerta una protezione adeguata, ad esempio la parità retributiva e un minimo di ore lavorative per i lavoratori a chiamata. Le condizioni secondarie dell'occupazione, come ad esempio la copertura di fondi pensione professionali e l'accesso alla formazione si applicherebbero anche a questi lavoratori. La legislazione e i contratti collettivi limiterebbero il ricorso consecutivo a contratti atipici e promuoverebbero una più tempestiva progressione verso contratti migliori.

Un approccio complementare consisterebbe nel riformulare i contratti a tempo indeterminato. Sulla base di tale opzione i lavoratori disporrebbero di un contratto a tempo indeterminato sin dall'inizio del rapporto di lavoro con il datore di lavoro e non inizierebbero più, come ora spesso accade, con una serie di contratti a tempo determinato o di contratti con agenzie. Il contratto a tempo indeterminato verrebbe riconfigurato in modo da includere un progressivo accumulo di tutela del lavoro. Esso inizierebbe con un livello di base di tutela del lavoro e la protezione si accumulerebbe progressivamente via via che il lavoratore occupa un posto di lavoro fino a raggiungere una protezione "piena". Questa strategia assicurerebbe una progressione automatica verso condizioni contrattuali migliori riducendo così il rischio di restare bloccati con una copertura contrattuale meno protetta.

Per i contratti a tempo indeterminato si dovrebbero ridefinire le regole per i licenziamenti economici riducendo la burocrazia, le lungaggini procedurali, migliorando la trasparenza dei risultati e rendendo il processo più affidabile.

Per quanto concerne l'apprendimento lungo tutto l'arco della vita , i datori di lavoro e le autorità pubbliche dovrebbero collaborare per migliorare l'offerta di formazione ai lavoratori temporanei. Attualmente a queste categorie spesso non vengono offerte possibilità di formazione poiché i datori di lavoro non sanno per quanto tempo terrànno questi lavoratori. Fondi di formazione e istituti di formazione a livello settoriale o regionale verrebbero creati per assicurare che ognuno possa beneficiare di una formazione. Per accrescere la partecipazione si rafforzerebbero gli incentivi ai lavoratori e alle imprese, compresi i contributi finanziari e i crediti d'imposta.

Le politiche attive del mercato del lavoro inizierebbero con il rafforzamento dei servizi pubblici per l'impiego in termini di personale e competenze. Si contemplerebbe la possibilità di cooperare con i partner presenti sul mercato, come ad esempio le agenzie di lavoro temporaneo. Le politiche attive del mercato del lavoro verrebbero configurate per supportare non solo i disoccupati (di lungo periodo) ma anche coloro che conoscono frequenti periodi di disoccupazione.

I sistemi di sicurezza sociale assicurerebbero la possibilità per i lavoratori temporanei di accumulare diritti e migliorerebbero la portabilità dei diritti anche fuori dell'azienda o del settore. Essi verrebbero riconfigurati al fine di erogare indennità maggiori durante periodi di disoccupazione più brevi. Si contemplerebbe l'introduzione di un sistema di assistenza sociale per accrescere la mobilità dei cittadini e renderli meno dipendenti da un sostegno familiare informale.

Si rafforzerebbe ulteriormente la fiducia tra le parti sociali offrendo loro opportunità per presentare ai loro affiliati i benefici derivanti dal cambiamento.

Per quanto concerne la sequenza temporale e il finanziamento si darebbe priorità alle necessità di ridurre la segmentazione, il che comporterebbe costi diretti limitati. Misure nel contesto dell'apprendimento permanente e delle politiche attive del mercato del lavoro rivestono la massima importanza ma possono richiedere tempo per produrre risultati. Esse richiedono anche investimenti pubblici e privati. Il miglioramento della sicurezza sociale, soprattutto la costituzione di un sistema di assistenza sociale, possono richiedere una ridistribuzione o un'intensificazione della spesa pubblica di pari passo con il monitoraggio e la condizionalità delle indennità per assicurare che tale spesa sia efficiente sul piano dei costi. La riconfigurazione delle norme relative ai licenziamenti di natura economica potrebbe avvenire in parallelo con la realizzazione di tali condizioni.

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Percorso 2: sviluppare la flessicurezza all'interno dell'impresa e offrire la sicurezza nella transizione

Questo percorso tipico riveste interesse per i paesi che presentano flussi occupazionali relativamente limitati. Esso aumenterebbe gli investimenti nell'occupabilità per consentire ai lavoratori attivi nelle imprese di aggiornare continuativamente le loro capacità ed essere così meglio preparati a futuri cambiamenti nei metodi di produzione e nell'organizzazione del lavoro. Questo percorso guarderebbe anche al di là del lavoro e del datore di lavoro attuali mettendo in atto sistemi volti ad assicurare un'efficace transizione da lavoro a lavoro in caso di ristrutturazioni aziendali e di esubero.

I paesi cui potrebbe interessare questo percorso sono quelli dominati da grandi imprese che offrono elevati livelli di protezione del lavoro. I lavoratori hanno un forte attaccamento alle loro imprese e il dinamismo del mercato del lavoro è piuttosto basso. Negli ultimi anni questa tradizione ha subito degli shock poiché le ristrutturazioni aziendali e l'outsourcing si sono fatti più frequenti. In questi paesi i sistemi di sicurezza sociale sono essenzialmente ben sviluppati e le prestazioni sono adeguate. La sfida continua ad essere quella di combinare buone indennità con forti incentivi ad accettare un posto di lavoro. La spesa per le politiche attive del mercato del lavoro è spesso aumentata notevolmente, ma i programmi non sono sempre efficaci, soprattutto laddove si tratta di offrire occasioni di rientro nel mondo del lavoro ai disoccupati di lungo periodo.

Una maggiore mobilità dei lavoratori tra le imprese andrebbe a tutto vantaggio dei cittadini e della società. I lavoratori sarebbero maggiormente inclini ad assumersi i rischi legati ai trasferimenti tra posti di lavoro se le prestazioni sociali fossero adeguate durante questi periodi di transizione e se le prospettive di trovare posti di lavoro nuovi e migliori fossero reali.

Le forme contrattuali dovrebbero rispondere ai seguenti requisiti: a) un approccio preventivo con un investimento continuo nell'apprendimento permanente (vedi oltre), una maggiore flessibilità dell'orario di lavoro e soluzioni atte a conciliare il lavoro e le responsabilità private e familiari; b) un intervento tempestivo, vale a dire che la ricerca di un nuovo posto di lavoro non verrebbe ritardata fin dal momento in cui il lavoratore fosse effettivamente messo in esubero, ma inizierebbe immediatamente allorché la minaccia si presenta, e c) azione congiunta di tutti gli attori interessati. I datori di lavoro, le parti sociali, i servizi pubblici per l'impiego e le agenzie di lavoro temporaneo collaborerebbero per organizzare le transizioni e evitare che i lavoratori in esubero diventino disoccupati (di lungo periodo). Se si soddisfano tali condizioni le procedure di licenziamento possono essere notevolmente alleggerite rendendole anche meno costose e meno lunghe.

Le imprese aumenterebbero vigorosamente i loro investimenti nell'apprendimento lungo tutto l'arco della vita e nell'occupabilità della loro forza lavoro. Ciò avverrebbe in modo da tener conto della diversità delle imprese e delle loro dimensioni. Programmi di sviluppo delle competenze offrirebbero una formazione personalizzata e programmi di sviluppo delle carriere a ogni lavoratore. Tali programmi sarebbero considerati parte integrante del contratto di lavoro e rappresenterebbero un obbligo reciproco a fare il possibile per raggiungere i requisiti di competenze concordati. Anche l'occupabilità diventerebbe oggetto di negoziazione a livello di impresa o di settore. Gli accordi collettivi fisserebbero requisiti di competenze per ciascuna occupazione pertinente, prevederebbero l'offerta formativa necessaria per raggiungere tali competenze e fisserebbero i tempi in cui i lavoratori devono raggiungere tali requisiti. Nei settori dominati da piccole e medie imprese sarebbe utile una cooperazione a livello settoriale per creare efficaci politiche di sviluppo del capitale umano.

Le politiche attive del mercato del lavoro gestite dai servizi pubblici per l'impiego contribuirebbero ad assicurare il successo delle transizioni da lavoro a lavoro (vedi sopra). Al di là di ciò, i servizi pubblici per l'impiego si concentrerebbero sui disoccupati di lungo periodo e offrirebbero programmi meglio adattati alla domanda del mercato del lavoro nonché consulenze personalizzate per le persone in cerca di lavoro.

I sistemi di sicurezza sociale si prefiggerebbero di assicurare la condizionalità delle indennità e l'efficace monitoraggio degli sforzi di cercare lavoro. I livelli delle indennità, anche se generalmente adeguati, potrebbero richiedere un incremento nei primi periodi di disoccupazione per migliorare la situazione dei lavoratori in transizione.

Anche se il dialogo sociale istituzionale è ben sviluppato, occorre urgentemente rafforzare la fiducia tra le parti sociali , soprattutto a livello nazionale. Laddove possibile i livelli decentralizzati dovrebbero essere implicati nei negoziati.

Per quanto concerne la sequenza temporale e il finanziamento si dovrebbe dare priorità alle misure e agli investimenti effettuati dalle imprese e dai settori per sviluppare ulteriormente la flessicurezza interna e la sicurezza della transizione. Ciò andrebbe di pari passo con una ridefinizione delle procedure di licenziamento in modo da assicurare un intervento tempestivo e la transizione. Il miglioramento delle politiche attive del mercato del lavoro richiederebbe un miglioramento della qualità della spesa piuttosto che un aumento della sua quantità.

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Percorso 3: affrontare le carenze di competenze e opportunità tra la manodopera

Questo percorso tipico riveste interesse per i paesi in cui la sfida maggiore è data da grandi carenze di competenze e opportunità tra la popolazione. Esso promuoverebbe le opportunità delle persone scarsamente qualificate di entrare nel mondo del lavoro e di sviluppare le loro competenze per raggiungere una posizione sostenibile sul mercato del lavoro.

In questi paesi i tassi di occupazione tendono ad essere elevati, ma non tutti i gruppi sono ugualmente rappresentati nel mondo del lavoro. Si deve promuovere la mobilità ascendente. Gli accordi contrattuali tendono ad essere sufficientemente flessibili, ma in certi casi si dovrà forse fornire una maggiore protezione ai gruppi più vulnerabili sul mercato del lavoro. Le carenze di competenze e le carenze di opportunità possono portare a una segmentazione in settori e posti di lavoro e possono ripercuotersi anche sul mercato del lavoro. Vi è il rischio che determinati gruppi (donne, madri single, migranti, disabili, giovani e lavoratori anziani) vengano esclusi dal mercato del lavoro. Ciò può comportare la dipendenza di un numero elevato di persone da prestazioni sociali continue e potrebbe accrescere i tassi di povertà. Le politiche attive del mercato del lavoro dovrebbero dare forti incentivi all'accettazione di un lavoro, ma si dovrebbe fare il possibile per assicurare un miglioramento in termini di qualità del lavoro e di livelli di competenze.

Per i cittadini e la società i benefici proverrebbero da un miglioramento delle opportunità di mobilità sociale offerte alle persone scarsamente qualificate preparandole ad avanzare nell'ambito di diverse professioni e a cogliere le nuove opportunità.

Le forme contrattuali consentirebbero ai lavoratori scarsamente qualificati di accedere a un'occupazione a condizioni favorevoli per i datori di lavoro potenziali, ma consentirebbero anche loro di avanzare verso soluzioni contrattuali più stabili via via che le loro competenze migliorano e che il rapporto di lavoro acquista un carattere più permanente.

Le politiche di apprendimento lungo tutto l'arco della vita affronterebbero le carenze di opportunità tra la manodopera prendendo il via sin dal sistema d'istruzione di base. Si combatterebbe la dispersione scolastica e si migliorerebbero i livelli generali di qualifica di coloro che lasciano la scuola. Si affronterebbe il problema dell'analfabetismo e l'analfabetismo matematico. La formazione professionale verrebbe indirizzata specificamente sulle persone a bassa qualifica. Si promuoverebbero le combinazioni di lavoro e formazione nonché la mobilità tra sistemi di formazione. Si riconoscerebbe e convaliderebbe l'apprendimento informale e si organizzerebbero all'interno e all'esterno del posto di lavoro formazioni basilari e di facile accesso in materia di competenze linguistiche e uso del computer. In base alla diversità e alle dimensioni, le imprese svilupperebbero strategie integrate in materia di competenze e consentirebbero al loro personale di formarsi e di acquisire nuove competenze. Le autorità pubbliche possono migliorare gli incentivi dati alle imprese affinché queste investano nella loro forza lavoro facendo leva su incentivi fiscali o altri strumenti. Esse però aumenterebbero anche gli incentivi diretti ai lavoratori, ponendo ad esempio in atto un sistema di conti individuali di formazione. Questi conti consentirebbero ai lavoratori di spendere una certa quantità di tempo (lavorativo) e denaro per il loro sviluppo personale, in cooperazione con i loro datori di lavoro.

Le politiche attive del mercato del lavoro farebbero una chiara distinzione tra le persone in cerca di lavoro sufficientemente qualificate e coloro che hanno bisogno di rafforzare le loro competenze. Per il primo gruppo si porrebbe l'accento su un aiuto personalizzato alla ricerca di lavoro. Per il secondo gruppo tuttavia le politiche attive del mercato del lavoro si concentrerebbero sull'erogazione di una formazione adeguata a sostegno della mobilità ascendente e di una integrazione che dovrebbe essere piuttosto sostenibile che veloce.

I sistemi di sicurezza sociale offrirebbero incentivi alle persone scarsamente qualificate che ricevono indennità sociali e monitorerebbero la condizionalità di tali indennità al fine di assicurare che valga la pena accettare un lavoro, se del caso offrendo indennità supplementari o ritirando gradualmente le indennità. In tal modo si contribuirebbe a ridurre il problema dei lavoratori che versano comunque in condizioni di povertà. Tali sistemi contribuirebbero anche a ridurre i costi non salariali dei lavoratori a bassa qualifica.

Laddove il ruolo delle parti sociali non è molto sviluppato il dialogo sociale potrebbe essere rivitalizzato mettendo sul tavolo nuove tematiche di discussione, come ad esempio la R&S, l'innovazione nonché l'educazione e le competenze.

Per quanto concerne la sequenza temporale e il finanziamento si darebbe priorità ai miglioramenti a livello dell'istruzione di base, ma questi richiederebbero tempo per raggiungere un effetto. Un miglioramento della formazione sul posto di lavoro richiederebbe investimenti privati supportati da incentivi pubblici. Si devono potenziare efficaci politiche del mercato del lavoro e politiche nel settore della sicurezza sociale al fine di rendere più interessante reclutare persone con bassa qualifica.

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Percorso 4: migliorare le opportunità per coloro che ricevono prestazioni sociali e i lavoratori sommersi

Questo percorso tipico riveste interesse per i paesi che hanno attraversato di recente un'importante ristrutturazione economica che ha comportato un numero consistente di persone che si trovano a dipendere da prestazioni sociali di lungo periodo e che hanno scarse prospettive di ritornare sul mercato del lavoro. Esso mirerebbe a migliorare le opportunità per coloro che dipendono dalle prestazioni sociali e per farli passare dal lavoro sommerso a un'occupazione formale grazie allo sviluppo di efficaci politiche attive del mercato del lavoro e di sistemi di apprendimento permanente unitamente a un livello adeguato di indennità di disoccupazione.

In questi paesi le imprese tradizionali, spesso a carattere industriale, si sono trovate obbligate a mettere in esubero un numero importante di persone. I lavoratori disoccupati ricevono prestazioni spesso denominate "indennità di uscita dal mercato del lavoro" piuttosto che "transizione verso una nuova occupazione". Gli investimenti nelle politiche attive del mercato del lavoro sono limitati come sono anche scarse le possibilità di trovare una nuova occupazione. Le amministrazioni che erogano prestazioni sociali e i servizi pubblici per l'impiego hanno bisogno di un rafforzamento istituzionale per erogare efficaci politiche attive del mercato del lavoro. Si sta sviluppando una nuova attività economica, soprattutto nei servizi. Per le persone che dipendono dalle prestazioni sociali è difficile cogliere le opportunità occupazionali legate ai nuovi sviluppi economici. I nuovi posti di lavoro spesso presentano bassi livelli di protezione mentre certe misure che si applicano ai vecchi posti di lavoro possono essere troppo restrittive. Continuano le discriminazioni di genere. Molte persone si rifugiano nell'economia sommersa. Sistemi inadeguati di formazione professionale rendono difficile l'adattamento ai requisiti del mercato del lavoro per i lavoratori con basse qualifiche e i giovani senza esperienza lavorativa.

Dalla creazione di nuove opportunità per i disoccupati e dalla trasformazione di lavoro nero in lavoro dichiarato si cumulerebbero vantaggi per i cittadini e per la società.

Nel contesto delle forme contrattuali si assicurerebbe che i lavoratori occupati in settori emergenti dell'economia, molti dei quali lavorano con contratto a tempo determinato o su chiamata, ricevano adeguati livelli di protezione. La regolarizzazione del lavoro sommerso potrebbe essere resa più attraente migliorando i diritti dei lavoratori informali e fornendo loro accesso alla formazione professionale. Un'occupazione che esce dal sommerso porta a un aumento del gettito fiscale e dei contributi sociali. Le transizioni verso un lavoro dichiarato chiederebbero anche ulteriori riforme della fiscalità che grava sul lavoro, dei requisiti per la registrazione delle imprese come anche il rafforzamento degli ispettorati del lavoro e degli ispettorati delle finanze al fine di combattere il lavoro nero. I lavoratori con contratti a tempo determinato trarrebbero vantaggio dai maggiori investimenti nella loro formazione e da un'azione tempestiva in caso di minacciato esubero. Se queste condizioni si realizzano si avverte meno la necessità di applicare regole rigide in materia di licenziamenti di natura economica.

L'apprendimento lungo tutto l'arco della vita , i sistemi d'istruzione e formazione professionale verrebbero sviluppati in stretta cooperazione con le imprese tenendo conto dei bisogni del mercato del lavoro. Verrebbero stimolati gli investimenti delle imprese nell'apprendimento permanente. Un obbligo fatto ai datori di lavoro di investire nei loro dipendenti potrebbe essere un elemento chiave nella contrattazione collettiva. Lo sviluppo dei sistemi di apprendimento permanente e di formazione professionale richiederebbe uno stretto partenariato tra il pubblico e il privato. Occorre correlare meglio lo stanziamento delle risorse con i risultati dell'istruzione se si vuole che questi sistemi siano efficaci sul piano dei costi.

La capacità amministrativa dei servizi pubblici per l'impiego costituirà una priorità. Occorrerà migliorarla in termini di organico, competenze, processo decisionale e organizzazione del lavoro. La cooperazione tra le amministrazioni che erogano prestazioni sociali e i servizi pubblici per l'impiego verrà rafforzata in modo da porre in atto efficaci politiche attive del mercato del lavoro . Le politiche attive del mercato del lavoro si concentrerebbero sui disoccupati di lunga durata e sui lavoratori disabili nonché sui lavoratori a rischio di esubero. Esse fornirebbero un'assistenza personalizzata, nonché programmi in grado di meglio rispondere ai bisogni del mercato del lavoro per assicurare un efficace rientro nel mondo del lavoro alle persone che sono alla ricerca di un'occupazione. I partenariati pubblico-privati di tutti gli attori interessati (autorità pubbliche a tutti i livelli, enti d'istruzione e formazione, parti sociali, imprese, ONG, agenzie private di collocamento) potrebbero contribuire all'efficacia delle politiche attive del mercato del lavoro.

Per quanto concerne il sistema di sicurezza sociale le indennità di disoccupazione verrebbero portate a un livello adeguato per consentire una ricerca di lavoro senza che le persone siano tentate di scivolare nel sommerso. Contemporaneamente si devono migliorare gli incentivi al lavoro e la condizionalità delle indennità, sia dal lato dei lavoratori che da quello dei datori di lavoro. Tali incentivi incoraggerebbero da un lato le persone che dipendono da indennità di disoccupazione e che sono in grado di lavorare a cercare un posto di lavoro e dall'altro stimolerebbero i datori di lavoro a creare nuovi posti di lavoro. Verrebbero migliorate le condizioni per l'integrazione dei disabili sul mercato del lavoro. Si migliorerebbe anche la portabilità dei diritti alla sicurezza sociale.

La capacità delle parti sociali verrebbe rafforzata estendendo ad esempio i diritti a negoziare elementi chiave delle condizioni di lavoro, compreso l'orario di lavoro. I governi promuoverebbero la creazione di ampie organizzazioni inclusive del padronato e dei rappresentanti dei lavoratori e il loro confluire in organizzazioni più ampie. Si potrebbe rafforzare il dialogo sociale sia bipartito che tripartito. Il dialogo sociale a livello settoriale e regionale potrebbe essere sviluppato.

Per quanto concerne la sequenza temporale e il finanziamento si procederebbe prioritariamente a far riemergere il lavoro sommerso. In tal modo diventerebbe più sostenibile economicamente il rafforzamento istituzionale dei servizi pubblici per l'impiego e i miglioramenti da apportare alla sicurezza sociale. Gli investimenti nell'apprendimento permanente richiederebbero sforzi congiunti del settore pubblico e di quello privato. Sarebbe possibile una riconfigurazione delle procedure di licenziamento parallelamente al miglioramento delle politiche attive del mercato del lavoro, dell'apprendimento permanente e della sicurezza sociale.

ALLEGATO IIE SEMPI DI FLESSICUREZZA

Gli esempi seguenti illustrano in che modo le politiche di flessicurezza possono funzionare. Essi pongono in luce i meriti di un approccio integrato che tenga conto almeno di alcune delle quattro componenti della flessicurezza in un contesto in cui la flessibilità e la sicurezza si rafforzano reciprocamente.

Il sistema austriaco di indennità di licenziamento. L'Austria combina un'elevata flessibilità del mercato del lavoro con un livello medio di indennità sociali cui si affiancano efficaci politiche attive del mercato del lavoro e una forte fiducia nel partenariato sociale. La legislazione austriaca del lavoro stabilisce un livello di fatto relativamente basso di protezione dell'occupazione anche se le statistiche rivelano un indice medio. Questa discrepanza è dovuta ad aspetti procedurali che incoraggiano procedure di licenziamento relativamente agevoli. I datori di lavoro hanno relativamente poco bisogno di ricorrere a contratti a tempo determinato la cui percentuale si situa sotto la media (9% nel 2006 contro il 14,4% della media UE). Il tasso di disoccupazione è tra i più bassi in Europa (4,8%). La disoccupazione di lunga durata si situa a 1,3%. I tassi di occupazione sono conformi all'obiettivo di Lisbona (70,2% in totale e 63,5% per le donne). La partecipazione all'apprendimento permanente ha superato l'obiettivo UE e si situa al 12,9% (2005). Il tasso delle persone a rischio di povertà appare basso situandosi al 12%.

In questo contesto si è registrata un'importantissima innovazione nel 2003 allorché è entrato in vigore il nuovo sistema d'indennità di licenziamento. Secondo il vecchio sistema l'indennità di licenziamento versata ai lavoratori in esubero dipendeva dalla lunghezza del rapporto di lavoro. Ciò significava che i lavoratori, passando da un datore di lavoro all'altro, perdevano i diritti che avevano accumulato. Il nuovo sistema fa obbligo al datore di lavoro di versare un importo fisso mensile su un conto individuale intestato al lavoratore. I lavoratori possono attingere a questo conto in caso di licenziamento. Il nuovo sistema elimina gli effetti scoraggianti per la mobilità e impedisce che i lavoratori perdano i diritti acquisiti in caso di cessazione volontaria del rapporto di lavoro. Inoltre, le fondazioni del lavoro (Arbeitsstiftungen) costituiscono un modello particolarmente efficace per lenire le conseguenze della ristrutturazione. Esse servono quali agenzie di transizione a sostegno del collocamento da un'occupazione all'altra in caso di rischio di licenziamento collettivo in quanto applicano i principi dell'intervento tempestivo e dell'azione congiunta di tutte le parti pubbliche e private interessate.

Il "triangolo d'oro" danese. Il mercato del lavoro danese presenta un'efficace combinazione di flessibilità e sicurezza in quanto presenta una normativa del lavoro flessibile e una protezione del lavoro relativamente bassa, ampi sforzi in materia di apprendimento permanente e di politiche attive del mercato del lavoro nonché un sistema di sicurezza sociale generoso. Questo quadro risale al cosiddetto "accordo di settembre" del 1899 che ha controbilanciato il diritto di assumere e licenziare con lo sviluppo di un sistema pubblico di indennità in campo occupazionale. Negli anni '60, con la costituzione del servizio pubblico per l'impiego, lo Stato si è accollato gran parte del rischio legato all'occupazione. Alla fine degli anni '80 e all'inizio degli anni '90 a questo quadro si sono aggiunte politiche attive del mercato del lavoro volte a motivare i disoccupati a cercare e accettare un'occupazione come anche a migliorare le loro qualifiche. Lo sviluppo delle competenze è stato stimolato da un sistema di rotazione del lavoro che ha consentito ai lavoratori di formarsi mentre dei disoccupati li sostituivano temporaneamente. Questi elementi presi assieme costituiscono il cosiddetto "triangolo d'oro" di accordi contrattuali flessibili, un sistema generoso di sicurezza e previdenza sociale e ampie politiche attive del mercato del lavoro. La Danimarca è caratterizzata da tassi di occupazione estremamente elevati (77,4% nel 2006), una disoccupazione (3,9%), una disoccupazione giovanile (7,7%) e una disoccupazione di lunga durata (0,8%) molto contenute, un elevato turnover (un quarto dei lavoratori è stato con lo stesso datore di lavoro per meno di un anno), un'elevata partecipazione all'apprendimento permanente (27,4%), un tasso contenuto di persone a rischio di povertà (12%) e un sentimento generalizzato di sicurezza tra la popolazione.

Lavoro temporaneo nei Paesi Bassi. Il cosiddetto "Accordo di Wassenaar" (1982) ha accettato la moderazione salariale in cambio di occupazione e ha aperto la via allo sviluppo di lavori part time nel contesto degli accordi collettivi. I lavori part time si basano per lo più su contratti a tempo determinato e non vanno confusi con il "lavoro precario". La grande maggioranza dei lavoratori part time, che sono per lo più donne, scelgono volontariamente questa opzione lavorativa. Negli anni '90 la relativa mancanza di flessibilità del mercato del lavoro suscitava preoccupazione, ma le autorità pubbliche non riuscivano a trovare un accordo sulla modernizzazione del diritto del lavoro. Le parti sociali (nell'ambito della Fondazione del lavoro) sono state infine invitate a negoziare un pacchetto. L'accordo si è concentrato sul rafforzamento della posizione dei lavoratori con contratto temporaneo riducendo il precariato senza pregiudicare però l'aspetto della flessibilità. Esso comportava tre ingredienti principali: 1) limitare a tre il ricorso consecutivo a contratti a tempo determinato (il contratto successivo al terzo doveva essere a tempo indeterminato); 2) eliminare gli ostacoli al funzionamento delle agenzie di lavoro temporaneo; 3) riconoscere i contratti a tempo determinato e i contratti delle agenzie di lavoro temporaneo nel codice del lavoro e introdurre una protezione e una paga minima. I lavoratori delle agenzie di lavoro temporaneo sarebbero stati coperti dagli accordi collettivi che offrivano garanzie in termini di salari, formazione e pensione integrativa. L'accordo è stato ancorato nella legislazione; la legge sulla flessibilità e la sicurezza è entrata in vigore il 1° gennaio 1999. Nel corso degli anni '90 i Paesi Bassi hanno visto una drastica riduzione della disoccupazione e una forte creazione di posti di lavoro. I tassi di occupazione sono elevati (74,3% nel 2006) e questo vale anche per le donne (67,7%). L'occupazione espressa in equivalente a tempo pieno è inferiore a causa del peso notevole del part time. La disoccupazione è contenuta (3,9%) come anche la disoccupazione giovanile (6,6%) e la disoccupazione di lunga durata (1,7%). La partecipazione all'apprendimento permanente è relativamente alta (15,9%). Con l'11% il tasso di persone a rischio di povertà è relativamente contenuto.

Riduzione dei contratti a tempo determinato in Spagna. La Spagna registra una percentuale costantemente elevata di contratti a tempo determinato che ammontano a circa il 34% dell'occupazione complessiva. Nel maggio 2006 è stato firmato tra le parti sociali, con il sostegno del governo, un ampio accordo che resterà in vigore fino alla fine del 2007 e che intende limitare l'uso eccessivo dei contratti a tempo determinato e alleggerire gli oneri che gravavano sui datori di lavoro. Ogni lavoratore che abbia avuto due o più contratti a tempo determinato con la stessa impresa e che abbia lavorato nello stesso posto per più di 24 mesi in un arco di 30 mesi acquisisce automaticamente un contratto a tempo indeterminato; sulla base di tale contratto l'indennità di licenziamento obbligatoria è ridotta da 45 a 33 paghe giornaliere per anno lavorato.

L'accordo tra le parti sociali "Towards 2016" in Irlanda. L'economia e il mercato del lavoro in Irlanda hanno registrato negli ultimi anni un periodo di rapido cambiamento. L'Irlanda si è trasformata da un'economia a basso reddito e a crescita lenta con tassi di disoccupazione elevati in un paese dalla grande crescita, redditi elevati e bassa disoccupazione. L'Irlanda ha un mercato del lavoro flessibile e sta rafforzando gli investimenti nelle politiche attive del mercato del lavoro (0,75% del PIL rispetto alla media UE dello 0,5%). La scarsa istruzione dei lavoratori anziani (41,7% dei lavoratori tra i 45 e i 54 anni ha al massimo un diploma di scuola secondaria inferiore) rispecchia i precedenti sottoinvestimenti nell'istruzione, ma la situazione sta migliorando notevolemente per quanto concerne le giovani generazioni. La partecipazione all'apprendimento permanente è ancora inferiore a quella dei paesi dell'UE con i risultati migliori e rispecchia difficoltà nell'assicurare opportunità per i lavoratori anziani e quelli a basse qualifiche. L'accordo del 2006 "Towards 2016" intende raccogliere queste sfide con un approccio globale. Esso identifica il bisogno di una maggiore partecipazione, produttività e attivazione e pone un maggiore accento sui disoccupati di lunga durata, i giovani disoccupati e le persone che sono più lontane dal mercato del lavoro. Esso ribadisce inoltre che l'aggiornamento delle competenze deve avvenire soprattutto in quanto apprendimento sul posto di lavoro (comprese le competenze di base) e deve interessare i lavoratori con le qualifiche più basse e i lavoratori vulnerabili nonché i migranti. Esso delinea piani per estendere l'apprendimento sul posto di lavoro e accrescere il finanziamento per il Fondo per l'educazione di base sul posto di lavoro che intende affrontare i problemi dell'analfabetismo e dell'analfabetismo matematico.

ALLEGATO IIIINDICATORI DI CONTESTO PERTINENTI PER LA FLESSICUREZZA

Gli indicatori elencati qui di seguito, la maggior parte dei quali sono tratti dall'elenco concordato di indicatori per il monitoraggio degli orientamenti europei per l'occupazione, possono essere considerati pertinenti per ciascuna delle quattro componenti come anche per i risultati generali del mercato del lavoro.

A. Forme contrattuali flessibili

- Rigidità della protezione dell'occupazione, totale, per i lavoratori permanenti e non permanenti (OCSE)

- Diversità delle forme contrattuali e loro relative motivazioni (EUROSTAT)

B. Strategie integrate di apprendimento lungo tutto l'arco della vita

- Percentuale della popolazione adulta tra i 25 e i 64 anni che partecipa all'istruzione e alla formazione (EUROSTAT)

- Livello d'istruzione delle coorti di età 45-54 e 25-34 (percentuale della popolazione che possiede almeno un diploma d'istruzione secondaria superiore (EUROSTAT)

C. Efficaci politiche attive del mercato del lavoro

- Spesa per le politiche attive e passive del mercato del lavoro in percentuale del PIL (EUROSTAT)

- Spesa per le politiche attive e passive del mercato del lavoro per disoccupato (EUROSTAT)

- Numero di partecipanti a politiche attive del mercato del lavoro, per tipo di misura (OCSE)

- Percentuale di disoccupati giovani o adulti cui non è stato offerto un lavoro o una misura di attivazione entro 6 o 12 mesi rispettivamente (EUROSTAT)

D. Sistemi moderni di sicurezza sociale

- Tassi netti di sostituzione nel primo anno e dopo 5 anni (OCSE)

- Trappole della disoccupazione intese quali misure dei livelli di indennità (OCSE-EUROSTAT)

E. Risultati ottenuti sul mercato del lavoro

- Tasso di occupazione, totale, per le donne e per i lavoratori anziani (EUROSTAT)

- Tasso di disoccupazione giovanile (15-24 anni) (EUROSTAT)

- Tasso di disoccupazione di lunga durata (EUROSTAT)

- Aumento della produttività del lavoro (EUROSTAT)

- Qualità del lavoro (in preparazione)

- Tassi delle persone a rischio di povertà (EUROSTAT)

[1] BEPA (2007): Europe's Social Reality.

[2] Commissione europea, "L'occupazione in Europa 2004", capitolo 4.

[3] OECD (2006): Live longer, work longer. Vedi anche OECD 2007 Employment Outlook.

[4] BEPA (2006): EU competitiveness and industrial location.

[5] J. Hudson: Inequality and the Knowledge economy: Running or standstill?

[6] European Employment and Social Policy, Special Eurobarometer 261, October 2006.

[7] Conclusioni della Presidenza, Consiglio europeo 23/24 marzo 2006 e 8 marzo 2007.

[8] Relazioni annuali sullo stato di avanzamento, del gennaio e dicembre 2006: orientamento 21.

[9] OECD (2006): Live longer, work longer.

[10] European Commission, Employment in Europe 2006, Chapter 2.

[11] OECD (2004) Employment Outlook, Chapter 2.

[12] L'OCSE valuta il rigore complessivo della legislazione a tutela dell'occupazione. Vedi ad esempio OECD (2004): Employment Outlook.

[13] Ad. es. Algan and Cahuc (2004), Job Protection: the Macho Hypothesis, IZA DP no. 1192 and Nickell and Layard, (1999), Labour Market Institutions and Economic Performance, in: Ashenfelter and Card (Eds.), Handbook of Labour Economics.

[14] Commissione europea, "L'occupazione in Europa", 2004.

[15] Employment in Europe 2006: p. 108.

[16] OECD (2005): Promoting Adult Learning.

[17] OECD (2005): From unemployment to work.

[18] Jochen Kluve, The Effectiveness of Active Labour Market Policy, IZA Discussion Paper, March 2007.

[19] OECD: OECD Jobs Strategy: Lessons from a decade's experience.

[20] Jochen Kluve (vedi sopra).

[21] OECD (2004, vedi sopra) and Postel-Vinay and Saint-Martin (2004) 'Comment les salariés perçoivent-ils la protection de l'emploi?'.

[22] European Employment and Social Policy, Special Eurobarometer 261, p. 27.

[23] OECD (2006), Boosting Jobs and Incomes, Policy Lessons from Reassessing the OECD Jobs Strategy.

[24] Ibidem.

[25] ILO, Seventh European Regional Meeting, 14-18 February 2005: official conclusions no. 18; ILO, Changing Patterns of Work, Report of the Director-General, June 2006: page 33-35. Vedi anche: S. Cazes and A. Nesporova, Flexicurity: A relevant approach in Central and Eastern Europe, ILO 2007.

[26] OECD (2006), Boosting Jobs and Incomes, Policy Lessons from Reassessing the OECD Jobs Strategy. European Commission, DG EMPL, Employment in Europe 2006.

[27] Flexicurity Pathways, report by Prof. Ton Wilthagen, rapporteur of the Flexicurity Expert Group, May 2007.

[28] Bassani and Duval, "Employment Patterns in OECD Countries: Reassessing the Role of Policies and Institutions", OECD WP n° 35, 2006.

[29] Iskra Beleva, Long-Term Unemployment as Social Exclusion, Human Development Report, UNDP 1997.

[30] De la Fuente and Ciccone, "Human capital in a global and knowledge-based economy", May 2002.

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