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Document 62019CJ0016

Sentenza della Corte (Grande Sezione) del 26 gennaio 2021.
VL contro Szpital Kliniczny im. dra J. Babińskiego Samodzielny Publiczny Zakład Opieki Zdrowotnej w Krakowie.
Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Sąd Okręgowy w Krakowie.
Rinvio pregiudiziale – Politica sociale – Parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro – Direttiva 2000/78/CE – Articolo 2, paragrafo 1 e paragrafo 2, lettere a) e b) – “Nozione di discriminazione” – Discriminazione diretta – Discriminazione indiretta – Discriminazione fondata sulla disabilità – Differenza di trattamento all’interno di un gruppo di lavoratori disabili – Concessione di un’integrazione salariale ai lavoratori disabili che hanno presentato, successivamente a una data fissata dal datore di lavoro, un certificato di riconoscimento di disabilità – Esclusione dei lavoratori disabili che hanno presentato il proprio certificato prima di tale data.
Causa C-16/19.

Court reports – general – 'Information on unpublished decisions' section

ECLI identifier: ECLI:EU:C:2021:64

 SENTENZA DELLA CORTE (Grande Sezione)

26 gennaio 2021 ( *1 )

«Rinvio pregiudiziale – Politica sociale – Parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro – Direttiva 2000/78/CE – Articolo 2, paragrafo 1 e paragrafo 2, lettere a) e b) – “Nozione di discriminazione” – Discriminazione diretta – Discriminazione indiretta – Discriminazione fondata sulla disabilità – Differenza di trattamento all’interno di un gruppo di lavoratori disabili – Concessione di un’integrazione salariale ai lavoratori disabili che hanno presentato, successivamente a una data fissata dal datore di lavoro, un certificato di riconoscimento di disabilità – Esclusione dei lavoratori disabili che hanno presentato il proprio certificato prima di tale data»

Nella causa C‑16/19,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dal Sąd Okręgowy w Krakowie (Tribunale regionale di Cracovia, Polonia), con decisione del 27 novembre 2018, pervenuta in cancelleria il 2 gennaio 2019, nel procedimento

VL

contro

Szpital Kliniczny im. dra J. Babińskiego Samodzielny Publiczny Zakład Opieki Zdrowotnej w Krakowie,

LA CORTE (Grande Sezione),

composta da K. Lenaerts, presidente, R. Silva de Lapuerta, vicepresidente, A. Prechal, M. Vilaras, E. Regan e M. Ilešič, presidenti di sezione, E. Juhász, T. von Danwitz (relatore), S. Rodin, F. Biltgen, K. Jürimäe, C. Lycourgos e N. Jääskinen, giudici,

avvocato generale: G. Pitruzzella

cancelliere: M. Aleksejev, capo unità

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 10 marzo 2020,

considerate le osservazioni presentate:

per VL, da M. Podskalna e A.M. Niżankowska-Horodecka, adwokaci;

per lo Szpital Kliniczny im. dra J. Babińskiego Samodzielny Publiczny Zakład Opieki Zdrowotnej w Krakowie, da A. Salamon, radca prawny;

per il governo polacco, da B. Majczyna, A. Siwek‑Ślusarek e D. Lutostańska, in qualità di agenti;

per il governo portoghese, da A. Pimenta, J. Marques e P. Barros da Costa, in qualità di agenti;

per la Commissione europea, da A. Szmytkowska e C. Valero, in qualità di agenti,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 18 giugno 2020,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1

La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 2 della direttiva 2000/78/CE del Consiglio, del 27 novembre 2000, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro (GU 2000, L 303, pag. 16).

2

Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra VL e lo Szpital Kliniczny im. dra J. Babińskiego Samodzielny Publiczny Zakład Opieki Zdrowotnej w Krakowie (ospedale clinico dott. J. Babiński, istituto autonomo di gestione dell’assistenza sanitaria pubblica di Cracovia, Polonia) in merito al versamento di un’integrazione salariale.

Contesto normativo

Diritto dell’Unione

3

I considerando 11 e 12 della direttiva 2000/78 così recitano:

«(11)

La discriminazione basata su religione o convinzioni personali, handicap, età o tendenze sessuali può pregiudicare il conseguimento degli obiettivi del trattato [FUE], in particolare il raggiungimento di un elevato livello di occupazione e di protezione sociale, il miglioramento del tenore e della qualità della vita, la coesione economica e sociale, la solidarietà e la libera circolazione delle persone.

(12)

Qualsiasi discriminazione diretta o indiretta basata su religione o convinzioni personali, handicap, età o tendenze sessuali nei settori di cui alla presente direttiva dovrebbe essere pertanto proibita in tutta l[’Unione europea]. (...)».

4

Ai sensi dell’articolo 1 della direttiva succitata, intitolato «Obiettivo»:

«La presente direttiva mira a stabilire un quadro generale per la lotta alle discriminazioni fondate sulla religione o le convinzioni personali, gli handicap, l’età o le tendenze sessuali, per quanto concerne l’occupazione e le condizioni di lavoro[,] al fine di rendere effettivo negli Stati membri il principio della parità di trattamento».

5

L’articolo 2 della medesima direttiva, intitolato «Nozione di discriminazione», così dispone:

«1.   Ai fini della presente direttiva, per “principio della parità di trattamento” si intende l’assenza di qualsiasi discriminazione diretta o indiretta basata su uno dei motivi di cui all’articolo 1.

2.   Ai fini del paragrafo 1:

a)

sussiste discriminazione diretta quando, sulla base di uno qualsiasi dei motivi di cui all’articolo 1, una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un’altra in una situazione analoga;

b)

sussiste discriminazione indiretta quando una disposizione, un criterio o una prassi apparentemente neutri possono mettere in una posizione di particolare svantaggio le persone che professano una determinata religione o ideologia di altra natura, le persone portatrici di un particolare handicap, le persone di una particolare età o di una particolare tendenza sessuale, rispetto ad altre persone, a meno che:

i)

tale disposizione, tale criterio o tale prassi siano oggettivamente giustificati da una finalità legittima e i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari; o che

ii)

nel caso di persone portatrici di un particolare handicap, il datore di lavoro o qualsiasi persona o organizzazione a cui si applica la presente direttiva sia obbligato dalla legislazione nazionale ad adottare misure adeguate, conformemente ai principi di cui all’articolo 5, per ovviare agli svantaggi provocati da tale disposizione, tale criterio o tale prassi.

(...)

5.   La presente direttiva lascia impregiudicate le misure previste dalla legislazione nazionale che, in una società democratica, sono necessarie alla sicurezza pubblica, alla tutela dell’ordine pubblico, alla prevenzione dei reati e alla tutela della salute e dei diritti e delle libertà altrui».

6

L’articolo 3 di questa stessa direttiva, intitolato «Campo d’applicazione», prevede quanto segue:

«1.   Nei limiti dei poteri conferiti all[’Unione], la presente direttiva si applica a tutte le persone, sia del settore pubblico che del settore privato, compresi gli organismi di diritto pubblico, per quanto attiene:

(...)

c)

all’occupazione e alle condizioni di lavoro, comprese le condizioni di licenziamento e la retribuzione;

(...)

4.   Gli Stati membri possono prevedere che la presente direttiva, nella misura in cui attiene [al]le discriminazioni fondate sull’handicap o sull’età, non si applichi alle forze armate».

Diritto polacco

7

L’articolo 113 del Kodeks pracy (codice del lavoro), nella versione applicabile ai fatti di cui al procedimento principale, così dispone:

«È inammissibile qualsiasi discriminazione in materia di occupazione, diretta o indiretta, in particolare, fondata sul sesso, sull’età, sull’handicap, sulla razza, sulla religione, sulla nazionalità, sulle convinzioni politiche, sull’appartenenza sindacale, sull’origine etnica, sulla confessione, sulle tendenze sessuali, o fondata sul fatto che l’occupazione è a tempo determinato o indeterminato, a tempo pieno o parziale».

8

A norma dell’articolo 183a del medesimo codice:

«§1.   I lavoratori devono essere trattati allo stesso modo per quanto riguarda la costituzione e la cessazione del rapporto di lavoro, le condizioni di lavoro, la promozione e l’accesso alla formazione professionale, senza distinzione, in particolare, di sesso, età, handicap, razza, religione, nazionalità, convinzioni politiche, appartenenza sindacale, origine etnica, confessione, tendenze sessuali ed anche indipendentemente dal fatto che l’occupazione è a tempo determinato o indeterminato, a tempo pieno o parziale.

§2.   Per parità di trattamento in materia di occupazione si intende l’assenza di qualsiasi discriminazione, diretta o indiretta, basata su uno dei motivi di cui al paragrafo 1.

§3.   Sussiste discriminazione diretta quando, per uno dei motivi di cui al paragrafo 1, un lavoratore è stato o potrebbe essere trattato meno favorevolmente di altri lavoratori in una situazione analoga.

§4.   Sussiste discriminazione indiretta quando a seguito di una disposizione, di un criterio applicato o di una misura adottata apparentemente neutri si verificano o si potrebbero verificare differenze sfavorevoli o situazioni particolarmente svantaggiose per quanto riguarda la costituzione o la cessazione del rapporto di lavoro, le condizioni di lavoro, le promozioni, l’accesso alla formazione professionale, rispetto a tutti o ad una parte significativa di lavoratori appartenenti ad un gruppo che si contraddistingue per uno o più motivi di cui al paragrafo 1, salvo che la disposizione, il criterio o la misura siano oggettivamente giustificati da una finalità legittima e i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari.

(...)».

9

L’articolo 183b del suddetto codice prevede quanto segue:

«§1.   Per violazione del principio della parità di trattamento in materia di occupazione, fatte salve le disposizioni di cui ai paragrafi da 2 a 4, si intende una differenziazione operata dal datore di lavoro della situazione del lavoratore per uno o più motivi di cui all’articolo 183a, paragrafo 1, che produca come effetto, in particolare:

1)

il rifiuto della costituzione o della cessazione del rapporto di lavoro;

2)

la determinazione sfavorevole della retribuzione o delle altre condizioni di lavoro oppure l’esclusione dalla promozione o da altre prestazioni legate al lavoro,

3)

(...)

salvo che il datore di lavoro dimostri di aver agito per giustificati motivi.

(...)».

10

L’articolo 2a, paragrafo 1, dell’ustawa o rehabilitacji zawodowej i społecznej oraz zatrudnianiu osób niepełnosprawnych (legge sulla riabilitazione professionale e sociale e l’occupazione delle persone portatrici di handicap), del 27 agosto 1997 (Dz. U. n. 123, posizione 776), nella versione applicabile ai fatti di cui al procedimento principale (in prosieguo: la «legge del 27 agosto 1997»), così dispone:

«Una persona portatrice di handicap è considerata parte della forza lavoro disabile a partire dalla data in cui essa presenta al datore di lavoro un certificato di riconoscimento della propria disabilità. (...)».

11

In forza dell’articolo 21 della legge succitata:

«1.   Un datore di lavoro che impiega 25 o più lavoratori in termini di occupazione a tempo pieno è obbligato (...) a versare contributi mensili al [Fondo statale per la riabilitazione delle persone disabili (PFRON)] per un importo pari al 40,65% del salario medio moltiplicato per il numero di lavoratori pari alla differenza tra il numero di lavoratori che garantiscono il rispetto dell’indice di occupazione del 6% delle persone disabili e il numero effettivo di persone disabili impiegate.

2.   I datori di lavoro che impiegano almeno il 6% di lavoratori portatori di handicap sono esentati dai contributi di cui al paragrafo 1.

(...)».

Procedimento principale e questione pregiudiziale

12

VL ha lavorato come psicologa presso l’ospedale di cui al procedimento principale, da ultimo dal 3 ottobre 2011 al 30 settembre 2016. L’8 dicembre 2011, ella ha ottenuto un certificato di riconoscimento di disabilità, qualificata come moderata e permanente, che ha trasmesso al suo datore di lavoro il 21 dicembre 2011.

13

Nella seconda metà del 2013, al termine di una riunione con il personale, il direttore dell’ospedale di cui al procedimento principale ha deciso di concedere un’integrazione salariale mensile, pari a 250 zloty polacchi (PLN) (circa EUR 60), ai lavoratori che gli avessero presentato, successivamente alla suddetta riunione, un certificato di riconoscimento di disabilità.

14

Tale misura era destinata a ridurre l’importo dei contributi dell’ospedale di cui al procedimento principale al Fondo statale per la riabilitazione delle persone disabili (in prosieguo: il «PFRON»).

15

Sulla base della decisione summenzionata, l’integrazione salariale è stata concessa individualmente a tredici lavoratori che hanno presentato il proprio certificato di riconoscimento di disabilità dopo tale riunione. Non hanno invece beneficiato dell’integrazione in questione sedici lavoratori che avevano trasmesso il proprio certificato al datore di lavoro prima della suddetta riunione, tra i quali figurava VL.

16

VL ha proposto ricorso contro il suo datore di lavoro dinanzi al Sąd Rejonowy dla Krakowa – Nowej Huty w Krakowie IV Wydział Pracy i Ubezpieczeń Społecznych (Tribunale circondariale di Cracovia – Nowa Huta in Cracovia, IV a sezione del lavoro e delle assicurazioni sociali, Polonia), adducendo di aver subìto una discriminazione relativa alle condizioni retributive.

17

Di fronte al rigetto del suo ricorso da parte del giudice summenzionato, VL ha proposto appello dinanzi al Sąd Okręgowy w Krakowie (Tribunale regionale di Cracovia, Polonia), giudice del rinvio.

18

Nell’ambito dell’appello, VL sostiene che il suo datore di lavoro ha concesso l’integrazione salariale a un gruppo di lavoratori che condividono una caratteristica comune, ossia una disabilità, ma a condizione che essi avessero trasmesso il proprio certificato di riconoscimento di disabilità dopo una data fissata dal medesimo, il che ha comportato l’esclusione dal beneficio di tale integrazione salariale dei lavoratori che avevano trasmesso il proprio certificato prima di tale data. VL ritiene che una prassi del genere, il cui scopo è stato quello di esortare i lavoratori disabili che non avessero ancora trasmesso un certificato di riconoscimento di disabilità a farlo, al fine di ridurre l’importo dei contributi dell’ospedale di cui al procedimento principale al PFRON, sia contraria alla direttiva 2000/78, la quale vieta qualsiasi discriminazione, diretta o indiretta, fondata sulla disabilità.

19

A tale riguardo, il giudice del rinvio chiede se possa configurarsi una discriminazione indiretta, ai sensi dell’articolo 2 della direttiva 2000/78, allorché viene operata una distinzione da parte di un datore di lavoro all’interno di uno stesso gruppo di lavoratori contraddistinti da una medesima caratteristica protetta, nella fattispecie la disabilità, senza che i lavoratori disabili interessati siano trattati meno favorevolmente rispetto ai lavoratori non disabili.

20

In considerazione di quanto precede, il Sąd Okręgowy w Krakowie (Tribunale regionale di Cracovia) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:

«Se l’articolo 2 della direttiva [2000/78] debba essere interpretato nel senso che costituisce una forma di violazione del principio della parità di trattamento una differenziazione di situazioni delle singole persone appartenenti ad un gruppo contraddistinto da una caratteristica protetta (l’handicap), qualora la differenziazione operata dal datore di lavoro avvenga all’interno di tale gruppo in base a un criterio apparentemente neutrale e tale criterio non possa essere oggettivamente giustificato da una finalità legittima e i mezzi impiegati per il suo conseguimento non siano appropriati e necessari».

Sulla questione pregiudiziale

21

Con la questione posta, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 2 della direttiva 2000/78 debba essere interpretato nel senso che la prassi di un datore di lavoro consistente nell’escludere, a decorrere da una data fissata dal medesimo, dal beneficio di un’integrazione salariale versata ai lavoratori disabili dietro presentazione di un certificato di riconoscimento di disabilità coloro che avevano già presentato allo stesso datore di lavoro un simile certificato prima della suddetta data può rientrare nella «nozione di discriminazione», di cui alla citata disposizione.

22

In via preliminare, occorre ricordare che, conformemente all’articolo 3, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 2000/78, nei limiti dei poteri conferiti all’Unione, l’ambito di applicazione della stessa direttiva si estende a tutte le persone, sia del settore pubblico che del settore privato, compresi gli organismi di diritto pubblico, per quanto attiene, in particolare, all’occupazione e alle condizioni di lavoro, comprese le condizioni di licenziamento e la retribuzione.

23

Per quanto riguarda la nozione di «retribuzione», ai sensi della disposizione succitata, essa deve essere interpretata in senso ampio e comprende, segnatamente, tutti i benefici, in contanti o in natura, attuali o futuri, purché siano accordati, sia pure indirettamente, dal datore di lavoro al lavoratore in base all’impiego di quest’ultimo, in forza di un contratto di lavoro, di disposizioni di legge o a titolo volontario (v., in tal senso, sentenza del 2 giugno 2016, C, C‑122/15, EU:C:2016:391, punto 21 e giurisprudenza ivi citata).

24

Pertanto, si deve ritenere che un’integrazione salariale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, faccia parte delle condizioni di retribuzione, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 2000/78.

25

Al fine di rispondere alla questione pregiudiziale, occorre, in un primo momento, stabilire se una differenza di trattamento che si verifica all’interno di un gruppo di persone disabili possa rientrare nella «nozione di discriminazione», di cui all’articolo 2 della direttiva 2000/78.

26

Conformemente a una costante giurisprudenza della Corte, ai fini dell’interpretazione di una norma del diritto dell’Unione si deve tener conto non soltanto del tenore letterale della stessa, ma anche del suo contesto e degli scopi perseguiti dalla normativa di cui essa fa parte (v., in tal senso, sentenza del 17 aprile 2018, Egenberger, C‑414/16, EU:C:2018:257, punto 44 e giurisprudenza ivi citata).

27

Relativamente, in primo luogo, al tenore letterale dell’articolo 2 della direttiva 2000/78, il paragrafo 1 del medesimo articolo definisce il principio della parità di trattamento ai fini di tale direttiva come l’assenza di qualsiasi discriminazione diretta o indiretta basata su uno dei motivi di cui all’articolo 1 della direttiva in parola, tra i quali figura la disabilità («handicap»).

28

Questo stesso articolo 2 prevede, al paragrafo 2, lettera a), che sussiste discriminazione diretta quando, sulla base, in particolare, della disabilità, una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un’altra in una situazione analoga; e, al paragrafo 2, lettera b), che, salvo nei casi di cui ai punti i) e ii) della stessa lettera, sussiste discriminazione indiretta quando una disposizione, un criterio o una prassi apparentemente neutri possono mettere in una posizione di particolare svantaggio le persone, segnatamente, portatrici di un particolare handicap, rispetto ad altre persone.

29

A quest’ultimo riguardo, occorre rilevare che, riferendosi, da un lato, alla discriminazione «basata su» su uno dei motivi di cui all’articolo 1 della direttiva 2000/78, e, dall’altro, a un trattamento meno favorevole «sulla base» di uno di tali motivi, e impiegando le espressioni «un’altra» e «altre persone», il tenore letterale dell’articolo 2, paragrafi 1 e 2, della direttiva in parola non consente di statuire che, nel caso del motivo protetto costituito dalla disabilità, di cui al suddetto articolo 1, il divieto di discriminazione previsto dalla medesima direttiva sarebbe limitato alle sole differenze di trattamento esistenti tra persone disabili e persone non disabili. Dalla suddetta espressione «basata su» deriva invece che una discriminazione basata sulla disabilità, ai sensi di questa stessa direttiva, può essere constatata solo qualora il trattamento meno favorevole o il particolare svantaggio di cui trattasi venga patito in funzione della disabilità.

30

Per quanto attiene, in secondo luogo, al contesto nel quale si inserisce l’articolo 2 della direttiva 2000/78, neppure le altre disposizioni di tale direttiva fanno emergere la sussistenza di una limitazione come quella menzionata al punto precedente della presente sentenza. Invero, sebbene l’articolo 1 e l’articolo 3, paragrafo 4, nonché i considerando 11 e 12 della suddetta direttiva, si riferiscano genericamente alla discriminazione «fondat[a]», in particolare, sulla disabilità, essi non forniscono peraltro alcuna precisazione quanto alla persona o al gruppo di persone che possa fungere da termine di paragone per valutare l’eventuale esistenza di una simile discriminazione.

31

In terzo luogo, l’obiettivo perseguito dalla direttiva 2000/78 depone a favore di un’interpretazione dell’articolo 2, paragrafi 1 e 2, della medesima nel senso che essa non limita la cerchia delle persone rispetto alle quali può essere effettuato un confronto per l’individuazione di una discriminazione fondata sulla disabilità, ai sensi di detta direttiva, a quelle non disabili.

32

Conformemente all’articolo 1 della direttiva 2000/78, e come risulta sia dal titolo e dal preambolo sia dal contenuto e dalla finalità della stessa, infatti, quest’ultima mira a stabilire un quadro generale per la lotta contro le discriminazioni fondate, segnatamente, sulla disabilità per quanto concerne l’occupazione e le condizioni di lavoro, al fine di attuare, negli Stati membri, il principio della parità di trattamento, offrendo ad ogni persona una tutela efficace contro le discriminazioni fondate, segnatamente, sul motivo di discriminazione suddetto (v., in tal senso, sentenza del 23 aprile 2020, Associazione Avvocatura per i diritti LGBTI, C‑507/18, EU:C:2020:289, punto 36 e giurisprudenza ivi citata).

33

La direttiva succitata concretizza dunque, nel settore da essa disciplinato, il principio generale di non discriminazione adesso sancito dall’articolo 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (v., in tal senso, sentenza del 23 aprile 2020, Associazione Avvocatura per i diritti LGBTI, C‑507/18, EU:C:2020:289, punto 38 e giurisprudenza ivi citata).

34

Orbene, come la Corte ha già constatato, la direttiva 2000/78 ha come obiettivo, in materia di occupazione e lavoro, di combattere ogni forma di discriminazione basata sulla disabilità. Infatti, il principio della parità di trattamento sancito da detta direttiva in quest’ambito si applica non già in relazione a una determinata categoria di persone, bensì sulla scorta dei motivi indicati all’articolo 1 della stessa, elencati esaustivamente (v., in tal senso, sentenze del 17 luglio 2008, Coleman, C‑303/06, EU:C:2008:415, punti 3846, e del 21 maggio 2015, SCMD, C‑262/14, non pubblicata, EU:C:2015:336, punto 29).

35

Se è vero che i casi di discriminazione fondata sulla disabilità, ai sensi della direttiva 2000/78, sono, di norma, quelli in cui persone disabili sono oggetto di un trattamento meno favorevole o subiscono un particolare svantaggio rispetto a persone non disabili, la tutela conferita da tale direttiva sarebbe tuttavia attenuata se si dovesse ritenere che una fattispecie in cui una simile discriminazione si verifichi all’interno di un gruppo di persone che presentano tutte una disabilità si sottragga, per definizione, al divieto di discriminazione da essa previsto soltanto per il motivo che la differenza di trattamento ha luogo tra disabili.

36

Ciò premesso, e come sostenuto sia dalla Commissione europea nelle sue osservazioni in udienza sia dai governi polacco e portoghese nelle loro osservazioni scritte, il principio della parità di trattamento sancito dalla direttiva 2000/78 è volto a tutelare un lavoratore che presenta una disabilità ai sensi di tale direttiva contro qualsiasi discriminazione basata su di essa, non solo rispetto ai lavoratori non disabili, ma anche rispetto agli altri lavoratori disabili.

37

È sulla base di tale constatazione che occorre, in un secondo momento, valutare se la prassi di un datore di lavoro consistente nell’escludere, a decorrere da una data fissata dal medesimo, dal beneficio di un’integrazione salariale versata ai lavoratori disabili dietro presentazione di un certificato di riconoscimento di disabilità coloro che avevano già presentato allo stesso datore di lavoro un simile certificato prima della suddetta data possa rientrare nella «nozione di discriminazione», di cui all’articolo 2 della direttiva 2000/78.

38

Se è vero che spetta in ultima analisi al giudice nazionale, che è l’unico competente a valutare i fatti e a interpretare la legislazione nazionale, stabilire se la prassi di cui trattasi nel procedimento principale comporti una discriminazione vietata dalla direttiva 2000/78, la Corte, chiamata a fornire risposte utili al giudice nazionale, è nondimeno competente a dare indicazioni, sulla base del fascicolo del procedimento principale e delle osservazioni scritte e orali ad essa sottoposti, che consentano al medesimo giudice di pronunciarsi sulla concreta controversia di cui è stato investito (v., in tal senso, sentenze del 14 marzo 2017, G4S Secure Solutions, C‑157/15, EU:C:2017:203, punto 36, e del 6 marzo 2018, SEGRO e Horváth, C‑52/16 e C‑113/16, EU:C:2018:157, punto 79).

39

Inoltre, sebbene il giudice del rinvio abbia fatto riferimento, nella questione posta, all’esistenza di una differenza di trattamento che sarebbe fondata su un criterio apparentemente neutro, ossia la data di trasmissione del certificato di riconoscimento di disabilità, ciò non osta tuttavia di per sé, secondo una giurisprudenza costante, a che la Corte gli fornisca tutti gli elementi di interpretazione che possano essere utili per dirimere la controversia di cui è investito, indipendentemente dal fatto che esso vi abbia fatto o no riferimento nella formulazione delle sue questioni. A tale proposito, spetta alla Corte estrarre dall’insieme degli elementi forniti dal giudice nazionale, e segnatamente dalla motivazione della decisione di rinvio, gli elementi di diritto dell’Unione che richiedono un’interpretazione in considerazione dell’oggetto della controversia (sentenza del 14 marzo 2017, G4S Secure Solutions, C‑157/15, EU:C:2017:203, punto 33 e giurisprudenza ivi citata).

40

La direttiva 2000/78, conformemente al combinato disposto dell’articolo 2, paragrafo 1, e dell’articolo 1, della stessa, vieta in particolare qualsiasi discriminazione diretta o indiretta basata sulla disabilità.

41

Per quanto riguarda, in primo luogo, la questione se una prassi come quella di cui trattasi nel procedimento principale possa costituire una discriminazione diretta fondata sulla disabilità, dall’articolo 2, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2000/78, come ricordato al punto 28 della presente sentenza, risulta che una discriminazione del genere sussiste quando una persona è trattata meno favorevolmente di quanto lo sia, sia stata o sarebbe trattata un’altra in una situazione analoga, sulla base della disabilità.

42

Occorre rilevare, da un lato, che il requisito relativo alla comparabilità delle situazioni al fine di determinare la sussistenza di una violazione del principio della parità di trattamento deve essere valutato alla luce di tutti gli elementi che le caratterizzano (sentenza del 22 gennaio 2019, Cresco Investigation, C‑193/17, EU:C:2019:43, punto 42 e giurisprudenza ivi citata).

43

In particolare, non è necessario che le situazioni siano identiche, ma soltanto che siano comparabili, dovendo l’esame di tale comparabilità essere condotto non già in maniera generale e astratta, bensì in modo specifico e concreto in riferimento alla prestazione di cui trattasi (v., in tal senso, sentenza del 22 gennaio 2019, Cresco Investigation, C‑193/17, EU:C:2019:43, punto 43 e giurisprudenza ivi citata).

44

Dall’altro lato, non è possibile ritenere che una disposizione o una prassi introduca una differenza di trattamento direttamente basata sulla disabilità, ai sensi del combinato disposto dell’articolo 1 e dell’articolo 2, paragrafo 2, lettera a), della direttiva in parola, ove essa si fondi su un criterio che non è inscindibilmente legato alla disabilità (v., in tal senso, sentenze del 9 marzo 2017, Milkova, C‑406/15, EU:C:2017:198, punto 42 e giurisprudenza ivi citata, nonché del 18 gennaio 2018, Ruiz Conejero, C‑270/16, EU:C:2018:17, punto 37).

45

A tale riguardo, in relazione ai motivi di cui all’articolo 1 della direttiva in parola, diversi dalla disabilità, la Corte ha dichiarato che una disparità di trattamento fondata sullo status matrimoniale dei lavoratori, e non esplicitamente sul loro orientamento sessuale, è pur sempre una discriminazione diretta fondata su tale orientamento in quanto, essendo il matrimonio all’epoca dei fatti considerati riservato, negli Stati membri interessati, alle persone di sesso diverso, i lavoratori omossessuali erano impossibilitati a soddisfare la condizione necessaria per ottenere i benefici rivendicati. In una fattispecie del genere, lo status matrimoniale non poteva essere considerato un criterio apparentemente neutro (v., in tal senso, sentenze del 1o aprile 2008, Maruko, C‑267/06, EU:C:2008:179, punto 73; del 10 maggio 2011, Römer, C‑147/08, EU:C:2011:286, punti 4952, e del 12 dicembre 2013, Hay, C‑267/12, EU:C:2013:823, punti 41, 4447).

46

La Corte ha altresì dichiarato che una disparità di trattamento tra lavoratori fondata sull’ammissione al beneficio di una pensione di vecchiaia e non espressamente sull’età, nelle condizioni di concessione di un’indennità speciale di licenziamento, costituiva una discriminazione diretta, in quanto, essendo tale ammissione soggetta al requisito dell’età minima, detta disparità di trattamento si fondava su un criterio inscindibilmente legato all’età (sentenza del 12 ottobre 2010, Ingeniørforeningen i Danmark, C‑499/08, EU:C:2010:600, punti 2324).

47

Nello stesso ordine di idee, la Corte ha dichiarato che una normativa nazionale che consentiva a un datore di lavoro di licenziare lavoratori che avevano maturato il diritto alla pensione di vecchiaia costituiva una discriminazione diretta fondata sul sesso, dal momento che il diritto a tale pensione veniva maturato dalle donne a un’età inferiore all’età alla quale lo stesso diritto veniva maturato dagli uomini (v., in tal senso, sentenza del 18 novembre 2010, Kleist, C‑356/09, EU:C:2010:703, punto 46).

48

Ne consegue che, allorché un datore di lavoro tratta un lavoratore meno favorevolmente di quanto lo sia, lo sia stato o lo sarebbe un altro dei suoi lavoratori in una situazione analoga e, alla luce di tutte le circostanze pertinenti del caso di specie, consta che tale trattamento sfavorevole è effettuato sulla base della disabilità di questo primo lavoratore, in quanto si basa su un criterio inscindibilmente legato a tale disabilità, un trattamento del genere è contrario al divieto di discriminazione diretta di cui all’articolo 2, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2000/78.

49

Nel caso di specie, è anzitutto pacifico che la prassi di cui trattasi è all’origine di una differenza di trattamento, poiché i lavoratori disabili che avevano presentato all’ospedale di cui al procedimento principale il proprio certificato di riconoscimento di disabilità prima della data della riunione di cui al punto 13 della presente sentenza, tra i quali figura VL, sono stati trattati meno favorevolmente rispetto ai lavoratori disabili che, a tale data, non avevano ancora presentato il proprio certificato, dal momento che solo questi ultimi disponevano della possibilità di beneficiare dell’integrazione salariale proposta dal loro datore di lavoro, fornendogli, a decorrere da tale data, un certificato di riconoscimento di disabilità. Dal fascicolo di cui dispone la Corte risulta infatti che il datore di lavoro non sembra aver lasciato la possibilità ai lavoratori disabili che gli avevano già presentato il loro certificato di presentarlo nuovamente o di depositarne uno nuovo, al fine di beneficiare di una simile integrazione salariale.

50

Va poi rilevato che, alla luce della finalità di tale integrazione salariale – che è stata istituita allo scopo di ridurre l’importo dei contributi dell’ospedale di cui al procedimento principale al PFRON, esortando, come risulta dal fascicolo di cui dispone la Corte, quei lavoratori disabili già impiegati presso tale ospedale e che non avevano ancora trasmesso il loro certificato di riconoscimento di disabilità a procedere a tale trasmissione – queste due categorie di lavoratori disabili si trovavano in una situazione analoga. Infatti, come rilevato, in sostanza, dall’avvocato generale al paragrafo 84 delle conclusioni, tali lavoratori erano già entrati in servizio presso l’ospedale di cui al procedimento principale nel momento in cui esso ha deciso di istituire tale integrazione salariale e hanno tutti contribuito a produrre il risparmio economico perseguito da tale datore di lavoro, indipendentemente dalla data in cui hanno trasmesso il loro certificato di riconoscimento di disabilità.

51

Infine, è compito del giudice del rinvio stabilire, alla luce di tutte le circostanze pertinenti del caso di specie, in particolare della legislazione nazionale la cui interpretazione rientra nella sua competenza esclusiva, se la condizione temporale imposta dal datore di lavoro per beneficiare dell’integrazione salariale di cui trattasi nel procedimento principale, ossia la presentazione del certificato di riconoscimento di disabilità successivamente a una data fissata dal medesimo, costituisca un criterio inscindibilmente legato alla disabilità dei lavoratori ai quali tale integrazione è stata negata, nel qual caso dovrebbe essere constatata una discriminazione diretta fondata su tale disabilità.

52

Tra gli indizi particolarmente significativi ai fini di tale valutazione figura, da un lato, la circostanza, rilevata da VL, che, secondo la legislazione nazionale, il certificato di riconoscimento di disabilità conferisce diritti specifici che il lavoratore può far valere presso il datore di lavoro, i quali derivano direttamente dal suo status di lavoratore disabile.

53

Dall’altro lato, dal momento che il datore di lavoro non sembra aver lasciato la possibilità ai lavoratori disabili che gli avevano già presentato il loro certificato di presentarlo nuovamente o di depositarne uno nuovo, la prassi di cui trattasi nel procedimento principale, che non era prevista dalla legge del 27 agosto 1997 e per la quale non sembra essere stato stabilito alcun previo criterio trasparente ai fini dell’eventuale concessione dell’integrazione salariale di cui al procedimento principale, potrebbe essere stata tale da porre definitivamente nell’impossibilità di soddisfare tale condizione temporale un gruppo chiaramente identificato di lavoratori, composto dall’insieme dei lavoratori disabili la cui disabilità era necessariamente nota al datore di lavoro al momento dell’istituzione di tale prassi. Infatti, questi ultimi avevano previamente ufficializzato tale status di disabilità mediante la presentazione di un certificato di riconoscimento di disabilità.

54

Nell’ipotesi in cui il giudice del rinvio ravvisasse l’esistenza di una discriminazione diretta, una tale discriminazione potrebbe essere giustificata soltanto da uno dei motivi di cui all’articolo 2, paragrafo 5, della direttiva 2000/78 (v., in tal senso, sentenza del 12 dicembre 2013, Hay, C‑267/12, EU:C:2013:823, punto 45).

55

Quanto, in secondo luogo, alla questione se una prassi come quella di cui trattasi nel procedimento principale costituisca una discriminazione indiretta ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 2000/78, dalla giurisprudenza della Corte emerge che una simile discriminazione può derivare da una misura che, pur formulata in modo neutro, ossia con riferimento a criteri non connessi alla caratteristica protetta, porta tuttavia a sfavorire particolarmente le persone che possiedono tale caratteristica (v., in tal senso, sentenze del 16 luglio 2015, CHEZ Razpredelenie Bulgaria, C‑83/14, EU:C:2015:480, punto 94, e del 9 marzo 2017, Milkova, C‑406/15, EU:C:2017:198, punto 43 e giurisprudenza ivi citata).

56

Nel caso di specie, qualora il giudice del rinvio dovesse, in definitiva, constatare che la differenza di trattamento di cui trattasi nel procedimento principale risulta da una prassi apparentemente neutra, esso dovrà altresì verificare se tale differenza di trattamento abbia avuto l’effetto di sfavorire particolarmente persone con determinate disabilità rispetto a persone con altre disabilità. La direttiva 2000/78 riguarda infatti la disabilità in generale e, quindi, senza distinzione né limitazione, tutte le disabilità, ai sensi della stessa (v., in tal senso, sentenza del 1o dicembre 2016, Daouidi, C‑395/15, EU:C:2016:917, punto 42 e giurisprudenza ivi citata).

57

In particolare, tale giudice dovrà accertare se, avendo subordinato il beneficio dell’integrazione salariale alla condizione che il certificato di riconoscimento di disabilità fosse trasmesso successivamente a una data fissata dal medesimo, la prassi istituita dall’ospedale di cui al procedimento principale abbia avuto l’effetto di sfavorire taluni lavoratori disabili per via della particolare natura della loro disabilità, in particolare del carattere manifesto di questa o del fatto che tale disabilità richiedesse soluzioni ragionevoli quali un posto o orari di lavoro adattati.

58

Fatta salva la verifica da parte del giudice del rinvio, si potrebbe infatti ritenere che siano principalmente lavoratori con una disabilità del genere a essersi visti praticamente costretti, prima della data fissata dall’ospedale di cui al procedimento principale, a ufficializzare il proprio stato di salute presso il medesimo, mediante la consegna di un certificato di riconoscimento di disabilità, mentre altri lavoratori con disabilità di natura diversa, perché ad esempio meno gravose o che non necessitano subito delle soluzioni ragionevoli come quelle di cui al punto precedente, potevano scegliere se effettuare o no una simile pratica.

59

Conformemente all’articolo 2, paragrafo 2, lettera b), punto i), della direttiva 2000/78, una differenza di trattamento che comporti, di fatto, un particolare svantaggio per le persone con una disabilità manifesta o che richiede soluzioni ragionevoli non può tuttavia costituire una discriminazione indiretta qualora essa sia oggettivamente giustificata da una finalità legittima e i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari. Nel caso di specie, dalla finalità della prassi di cui trattasi nel procedimento principale, consistente nel produrre un risparmio economico, sembra emergere che le condizioni richieste ai fini di una simile giustificazione non sono soddisfatte, circostanza che spetta al giudice del rinvio, se del caso, verificare.

60

Stante quanto precede, si deve rispondere alla questione posta dichiarando che l’articolo 2 della direttiva 2000/78 dev’essere interpretato nel senso che:

la prassi di un datore di lavoro consistente nel versare un’integrazione salariale ai lavoratori disabili che hanno presentato il loro certificato di riconoscimento di disabilità dopo una data fissata dal medesimo datore di lavoro, e non anche ai lavoratori disabili che avevano presentato tale certificato prima di tale data, può costituire una discriminazione diretta qualora risulti che tale prassi è fondata su un criterio inscindibilmente legato alla disabilità, in quanto è tale da porre definitivamente nell’impossibilità di soddisfare tale condizione temporale un gruppo chiaramente identificato di lavoratori, composto dall’insieme dei lavoratori disabili la cui disabilità era necessariamente nota al datore di lavoro al momento dell’istituzione di tale prassi;

tale prassi, benché apparentemente neutra, può costituire una discriminazione indirettamente fondata sulla disabilità qualora risulti che essa comporta un particolare svantaggio per taluni lavoratori disabili a seconda della natura della loro disabilità, in particolare del carattere manifesto di questa o del fatto che tale disabilità richiede soluzioni ragionevoli alle condizioni di lavoro, senza essere oggettivamente giustificata da una finalità legittima e senza che i mezzi per il conseguimento di tale finalità siano appropriati e necessari.

Sulle spese

61

Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

 

Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara:

 

L’articolo 2 della direttiva 2000/78/CE del Consiglio, del 27 novembre 2000, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, deve essere interpretato nel senso che:

 

la prassi di un datore di lavoro consistente nel versare un’integrazione salariale ai lavoratori disabili che hanno presentato il loro certificato di riconoscimento di disabilità dopo una data fissata dal medesimo datore di lavoro, e non anche ai lavoratori disabili che avevano presentato tale certificato prima di tale data, può costituire una discriminazione diretta qualora risulti che tale prassi è fondata su un criterio inscindibilmente legato alla disabilità, in quanto è tale da porre definitivamente nell’impossibilità di soddisfare tale condizione temporale un gruppo chiaramente identificato di lavoratori, composto dall’insieme dei lavoratori disabili la cui disabilità era necessariamente nota al datore di lavoro al momento dell’istituzione di tale prassi;

 

tale prassi, benché apparentemente neutra, può costituire una discriminazione indirettamente fondata sulla disabilità qualora risulti che essa comporta un particolare svantaggio per taluni lavoratori disabili a seconda della natura della loro disabilità, in particolare del carattere manifesto di questa o del fatto che tale disabilità richiede soluzioni ragionevoli alle condizioni di lavoro, senza essere oggettivamente giustificata da una finalità legittima e senza che i mezzi per il conseguimento di tale finalità siano appropriati e necessari.

 

Firme


( *1 ) Lingua processuale: il polacco.

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