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Document 62019CC0718

Conclusioni dell’avvocato generale A. Rantos, presentate il 10 febbraio 2021.
Ordre des barreaux francophones et germanophone e a. contro Conseil des ministres.
Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Cour constitutionnelle.
Rinvio pregiudiziale – Cittadinanza dell’Unione – Articoli 20 e 21 TFUE – Direttiva 2004/38/CE – Diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri – Decisione di porre fine al soggiorno dell’interessato per motivi di ordine pubblico – Misure preventive volte ad evitare qualsiasi rischio di fuga dell’interessato durante il periodo concessogli per lasciare il territorio dello Stato membro ospitante – Disposizioni nazionali simili a quelle applicabili ai cittadini di paesi terzi ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 3, della direttiva 2008/115/CE – Durata massima del trattenimento ai fini dell’allontanamento – Disposizione nazionale identica a quella applicabile ai cittadini di paesi terzi.
Causa C-718/19.

Court reports – general – 'Information on unpublished decisions' section

ECLI identifier: ECLI:EU:C:2021:103

 CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

ATHANASIOS RANTOS

presentate il 10 febbraio 2021 ( 1 )

Causa C‑718/19

Ordre des barreaux francophones et germanophone,

Association pour le droit des Étrangers ASBL,

Coordination et Initiatives pour et avec les Réfugiés et Étrangers ASBL,

Ligue des Droits de l’Homme ASBL,

Vluchtelingenwerk Vlaanderen ASBL

contro

Conseil des ministres

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Cour constitutionnelle (Corte costituzionale, Belgio)]

«Rinvio pregiudiziale – Cittadinanza dell’Unione – Articoli 20 e 21 TFUE – Direttiva 2004/38/CE – Diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio di uno Stato membro – Provvedimento che pone fine al soggiorno per motivi di ordine pubblico – Misure preventive dirette a prevenire qualsiasi rischio di fuga in pendenza del termine concesso per lasciare il territorio o durante il periodo in cui detto termine è prorogato – Disposizioni nazionali identiche o simili a quelle applicabili ai cittadini di paesi terzi ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 3, della direttiva 2008/115/CE – Rifiuto da parte del cittadino dell’Unione di ottemperare a un provvedimento che pone fine al soggiorno per motivi di ordine pubblico o di sicurezza pubblica – Periodo massimo di trattenimento ai fini dell’allontanamento»

I. Introduzione

1.

Con le sue due questioni pregiudiziali, la Cour constitutionnelle (Corte costituzionale) belga chiede sostanzialmente alla Corte di esaminare se gli articoli 20 e 21 TFUE e le disposizioni della direttiva 2004/38/CE ( 2 ) (in prosieguo: la «direttiva soggiorno») ostino a che uno Stato membro applichi, nei confronti di cittadini dell’Unione e dei loro familiari, che sono stati oggetto di un provvedimento di allontanamento ai sensi di tale direttiva, misure identiche o simili a quelle applicabili nel diritto nazionale ai cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, in forza della direttiva 2008/115/CE ( 3 ) (in prosieguo: la «direttiva rimpatri»).

2.

A tal proposito, occorre rilevare che la Corte ha statuito che al legislatore nazionale non è vietato trarre ispirazione dalle norme di un’altra direttiva «ove ciò appaia opportuno e sempre che non vi osti nessun’altra disposizione d[el] diritto [dell’Unione]» ( 4 ). Infatti, nella sentenza Petrea ( 5 ), la Corte ha precisato che «gli Stati membri possono ispirarsi alle norme della [direttiva rimpatri] per designare le autorità competenti e definire la procedura applicabile all’adozione di un provvedimento [adottato ai sensi della direttiva soggiorno] che dispone il rimpatrio di un cittadino dell’Unione (...), se nessuna disposizione del diritto dell’Unione vi osta».

3.

Sebbene tale giurisprudenza militi, nel caso di specie, a favore di una risposta negativa alle questioni sollevate dal giudice del rinvio, resta tuttavia da verificare se essa possa applicarsi anche nell’ambito di misure, come quelle di cui trattasi nel procedimento principale – vale a dire misure preventive adottate al fine di prevenire qualsiasi rischio di fuga successivamente all’adozione di un provvedimento di allontanamento e di misure di trattenimento volte a garantirne l’esecuzione – le quali, incidendo, secondo il giudice del rinvio, sull’esercizio stesso del diritto di circolare e soggiornare liberamente sul territorio degli Stati membri, potrebbero essere considerate di natura non puramente procedurale.

4.

Tali questioni consentiranno alla Corte di esaminare, per la prima volta, la conformità con il diritto dell’Unione delle norme nazionali dirette a garantire l’esecuzione dei provvedimenti di allontanamento adottati ai sensi della direttiva soggiorno.

II. Contesto normativo

A.   Diritto dell’Unione

1. Direttiva soggiorno

5.

Il considerando 16 della direttiva soggiorno enuncia che «[i] beneficiari del diritto di soggiorno non dovrebbero essere allontanati finché non diventino un onere eccessivo per il sistema di assistenza sociale dello Stato membro ospitante».

6.

L’articolo 14, paragrafi 1 e 2, di detta direttiva prevede che i cittadini dell’Unione e i loro familiari beneficiano del diritto di soggiorno fino a tre mesi, di cui all’articolo 6, finché non diventano un onere eccessivo per il sistema di assistenza sociale dello Stato membro ospitante, e del diritto di soggiorno per un periodo superiore a tre mesi e di diritti di mantenimento di tale soggiorno, di cui agli articoli 7, 12 e 13 della stessa direttiva, finché soddisfano le condizioni fissate negli stessi. In deroga a tali disposizioni, il paragrafo 4 di detto articolo 14 dispone che un provvedimento di allontanamento non può essere adottato nei confronti di cittadini dell’Unione qualora siano lavoratori oppure siano entrati nel territorio di tale Stato membro per cercare un posto di lavoro.

7.

L’articolo 15 della direttiva soggiorno, rubricato «Garanzie procedurali», dispone, al paragrafo 1, che «[l]e procedure previste agli articoli 30 e 31 si applicano, mutatis mutandis, a tutti i provvedimenti che limitano la libera circolazione dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari per motivi non attinenti all’ordine pubblico, alla pubblica sicurezza o alla sanità pubblica».

8.

Ai sensi dell’articolo 27, paragrafi 1 e 2, di detta direttiva, «gli Stati membri possono limitare la libertà di circolazione e di soggiorno di un cittadino dell’Unione o di un suo familiare, qualunque sia la sua cittadinanza, per motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di sanità pubblica» e «[i] provvedimenti adottati per motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza rispettano il principio di proporzionalità e sono adottati esclusivamente in relazione al comportamento personale della persona nei riguardi della quale essi sono applicati. (...) Il comportamento personale deve rappresentare una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave da pregiudicare un interesse fondamentale della società. Giustificazioni estranee al caso individuale o attinenti a ragioni di prevenzione generale non sono prese in considerazione».

9.

L’articolo 28 della direttiva soggiorno, intitolato «Protezione contro l’allontanamento», dispone, al paragrafo 1, che, «[p]rima di adottare un provvedimento di allontanamento dal territorio per motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza, lo Stato membro ospitante tiene conto di elementi quali la durata del soggiorno dell’interessato nel suo territorio, la sua età, il suo stato di salute, la sua situazione familiare e economica, la sua integrazione sociale e culturale nello Stato membro ospitante e l’importanza dei suoi legami con il paese d’origine». Inoltre, ai sensi del paragrafo 2 dello stesso articolo, «[l]o Stato membro ospitante non può adottare provvedimenti di allontanamento dal territorio nei confronti del cittadino dell’Unione o del suo familiare, qualunque sia la sua cittadinanza, che abbia acquisito il diritto di soggiorno permanente nel suo territorio se non per gravi motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza».

10.

L’articolo 30, paragrafo 3, di detta direttiva dispone che «[l]a notifica [di ogni provvedimento adottato a norma dell’articolo 27, paragrafo 1, della direttiva soggiorno] riporta (...), all’occorrenza, l’indicazione del termine impartito per lasciare il territorio dello Stato membro. Fatti salvi i casi di urgenza debitamente comprovata, tale termine non può essere inferiore a un mese a decorrere dalla data di notificazione».

11.

L’articolo 33, paragrafo 2, della suddetta direttiva dispone che «[s]e il provvedimento di allontanamento (...) è eseguito a oltre due anni di distanza dalla sua adozione, lo Stato membro verifica che la minaccia che l’interessato costituisce per l’ordine pubblico o per la pubblica sicurezza sia attuale e reale, e valuta l’eventuale mutamento obiettivo delle circostanze intervenuto successivamente all’adozione del provvedimento di allontanamento».

2. Direttiva rimpatri

12.

Il considerando 16 della direttiva rimpatri enuncia che «[i]l ricorso al trattenimento ai fini dell’allontanamento dovrebbe essere limitato e subordinato al principio di proporzionalità con riguardo ai mezzi impiegati e agli obiettivi perseguiti. Il trattenimento è giustificato soltanto per preparare il rimpatrio o effettuare l’allontanamento e se l’uso di misure meno coercitive è insufficiente».

13.

L’articolo 1 di detta direttiva prevede che essa stabilisce norme e procedure comuni da applicarsi al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, nel rispetto dei diritti fondamentali in quanto principi generali del diritto dell’Unione e del diritto internazionale.

14.

L’articolo 2, paragrafo 3, della suddetta direttiva dispone che essa non si applica ai beneficiari del diritto dell’Unione alla libera circolazione.

15.

L’articolo 3, punto 7, della direttiva rimpatri definisce il «rischio di fuga» come «la sussistenza in un caso individuale di motivi basati su criteri obiettivi definiti dalla legge, per ritenere che un cittadino di un paese terzo oggetto di una procedura di rimpatrio possa tentare la fuga».

16.

A norma dell’articolo 6, paragrafo 1, della citata direttiva, gli Stati membri adottano una decisione di rimpatrio nei confronti di qualunque cittadino di un paese terzo il cui soggiorno nel loro territorio è irregolare.

17.

L’articolo 7 di detta direttiva, intitolato «Partenza volontaria», prevede, al paragrafo 3, che per la durata del periodo per la partenza volontaria possono essere imposti obblighi diretti a evitare il rischio di fuga, come l’obbligo di presentarsi periodicamente alle autorità, la costituzione di una garanzia finanziaria adeguata, la consegna di documenti o l’obbligo di dimorare in un determinato luogo.

18.

Nel capo IV della direttiva rimpatri, intitolato «Trattenimento ai fini dell’allontanamento», l’articolo 15, paragrafo 1, dispone che, «[s]alvo se nel caso concreto possono essere efficacemente applicate altre misure sufficienti ma meno coercitive, gli Stati membri possono trattenere il cittadino di un paese terzo sottoposto a procedure di rimpatrio soltanto per preparare il rimpatrio e/o effettuare l’allontanamento, in particolare quando: a) sussiste un rischio di fuga o b) il cittadino del paese terzo evita od ostacola la preparazione del rimpatrio o dell’allontanamento. Il trattenimento ha durata quanto più breve possibile ed è mantenuto solo per il tempo necessario all’espletamento diligente delle modalità di rimpatrio». I paragrafi 5 e 6 dello stesso articolo prevedono, rispettivamente, che «[i]l trattenimento è mantenuto finché perdurano le condizioni di cui al paragrafo 1 e per il periodo necessario ad assicurare che l’allontanamento sia eseguito. Ciascuno Stato membro stabilisce un periodo limitato di trattenimento, che non può superare i sei mesi» e che «[g]li Stati membri non possono prolungare il periodo di cui al paragrafo 5, salvo che per un periodo determinato non superiore ad altri dodici mesi conformemente alla legislazione nazionale, nei casi in cui, nonostante sia stato compiuto ogni ragionevole sforzo, l’operazione di allontanamento rischia di durare più a lungo a causa: a) della mancata cooperazione da parte del cittadino di un paese terzo interessato, o b) dei ritardi nell’ottenimento della necessaria documentazione dai paesi terzi».

B.   Diritto belga

19.

La loi du 15 décembre 1980 sur l’accès au territoire, le séjour, l’établissement et l’éloignement des étrangers (legge del 15 dicembre 1980 in materia di ingresso nel territorio, soggiorno, stabilimento ed espulsione degli stranieri) ( 6 ) è stata modificata dalla loi du 24 février 2017 (legge del 24 febbraio 2017) al fine di rafforzare la protezione dell’ordine pubblico e della sicurezza nazionale ( 7 ) (in prosieguo: la «legge del 24 febbraio 2017»). Quest’ultima legge recepisce parzialmente, in particolare, le direttive soggiorno e rimpatri.

20.

Gli articoli da 27 a 32 della legge del 24 febbraio 2017 hanno inserito nella legge del 15 dicembre 1980, rispettivamente, gli articoli da 44 ter a 44 octies.

21.

L’articolo 44 ter della legge del 15 dicembre 1980, come modificata dalla legge del 24 febbraio 2017 (in prosieguo: la «legge del 15 dicembre 1980»), prevede quanto segue:

«L’ordine di lasciare il territorio notificato a un cittadino dell’Unione o ad un suo familiare indica il termine entro il quale egli deve lasciare il territorio del Regno. Fatti salvi i casi di urgenza debitamente comprovata, tale termine non può essere inferiore a un mese dalla notifica della decisione.

Il termine di cui al comma 1 può essere prorogato dal Ministro o dal suo delegato qualora: 1o il rimpatrio volontario non possa avvenire entro il suddetto termine; oppure 2° le circostanze specifiche della situazione dell’interessato lo giustifichino. (...)»

22.

L’articolo 44 quater di tale legge stabilisce quanto segue:

«In pendenza del termine di cui all’articolo 44 ter, il cittadino dell’Unione o il suo familiare non può essere sottoposto ad allontanamento forzato.

Al fine di evitare qualsiasi rischio di fuga in pendenza del termine di cui all’articolo 44 ter, il cittadino dell’Unione o il suo familiare può essere obbligato ad ottemperare a misure preventive. Il Re ha la facoltà di stabilire tali misure con decreto deliberato dal Consiglio dei ministri».

23.

L’articolo 44 quinquies di detta legge così dispone:

«§ 1 Il Ministro o il suo delegato prende ogni provvedimento necessario per l’esecuzione dell’ordine di lasciare il territorio quando: 1o al cittadino dell’Unione o al suo familiare non è stato concesso alcun termine per lasciare il territorio del Regno; 2° il cittadino dell’Unione o il suo familiare non ha lasciato il territorio del Regno entro il termine che gli era stato concesso; 3° prima della scadenza del termine concesso per lasciare il territorio del Regno, il cittadino dell’Unione o il suo familiare presenta un rischio di fuga, non ha ottemperato alle misure preventive imposte o costituisce una minaccia per l’ordine pubblico o la sicurezza nazionale.

§ 2. Qualora il cittadino dell’Unione o il suo familiare si opponga al proprio allontanamento o presenti un rischio di pericolosità in occasione del suo allontanamento, si procede al suo rimpatrio forzato, se del caso con scorta. A tal fine possono essere utilizzate misure coercitive nei suoi confronti (...).

§ 3. Il Re designa con decreto deliberato dal Consiglio dei ministri l’organismo incaricato di assicurare il controllo dei rimpatri forzati e determina le modalità di tale controllo. Detto organismo è indipendente dalle autorità competenti in materia di allontanamento».

24.

L’articolo 44 sexies della legge del 15 dicembre 1980 è così formulato:

«Quando le circostanze del caso lo giustificano, il Ministro o il suo delegato può rinviare temporaneamente l’allontanamento, informandone l’interessato.

Al fine di evitare qualsiasi rischio di fuga, il cittadino dell’Unione o il suo familiare possono essere obbligati ad ottemperare a misure preventive. Il Re ha facoltà di stabilire tali misure con decreto deliberato dal Consiglio dei ministri.

Negli stessi casi, il Ministro o il suo delegato può assegnare una residenza obbligatoria al cittadino dell’Unione o al suo familiare per il tempo necessario all’esecuzione di detta misura».

25.

A norma dell’articolo 44 septies di tale legge:

«§ 1 Qualora lo impongano motivi di ordine pubblico, di sicurezza nazionale o di sanità pubblica e sempre che non possano applicarsi efficacemente altre misure meno coercitive, i cittadini dell’Unione e i loro familiari possono essere trattenuti al fine di assicurare l’esecuzione del provvedimento di allontanamento, per il tempo strettamente necessario all’esecuzione del provvedimento e comunque per un periodo non superiore a due mesi.

Tuttavia, il Ministro o il suo delegato possono prorogare la durata del trattenimento per periodi di due mesi se le misure necessarie per l’allontanamento dello straniero sono state adottate entro sette giorni lavorativi dopo il trattenimento del cittadino dell’Unione o del suo familiare, se sono attuate con tutta la dovuta diligenza e se è ancora possibile allontanare effettivamente l’interessato entro un termine ragionevole.

Dopo la prima proroga, la decisione di prolungare la durata del trattenimento può essere assunta esclusivamente dal Ministro.

Dopo cinque mesi, il cittadino dell’Unione o il suo familiare deve essere rilasciato. Qualora la tutela dell’ordine pubblico o la sicurezza nazionale lo richiedano, il trattenimento può essere prorogato di mese in mese, ma la durata complessiva del trattenimento non può superare otto mesi.

§ 2. Il cittadino dell’Unione o il suo familiare di cui al paragrafo 1 può proporre ricorso contro il provvedimento di trattenimento di cui è oggetto, conformemente agli articoli 71 e seguenti».

26.

Ai sensi dell’articolo 44 octies di detta legge:

«Non possono essere trattenuti in luoghi determinati, ai sensi dell’articolo 74/8, § 2: 1o i cittadini dell’Unione minorenni non accompagnati; 2° i familiari di un cittadino dell’Unione minorenni non accompagnati; 3° le famiglie dei cittadini dell’Unione che comprendono almeno un minorenne».

27.

L’articolo 74/5, paragrafo 3, della medesima legge è formulato come segue:

«La durata del trattenimento in un luogo determinato situato alle frontiere non può superare i due mesi. Tuttavia, il Ministro o il suo delegato possono prorogare il trattenimento dello straniero di cui al paragrafo 1, per un periodo di due mesi: 1o se lo straniero è oggetto di un provvedimento di respingimento esecutivo; 2° e se sono state adottate le misure necessarie per l’allontanamento dello straniero, entro sette giorni lavorativi dal provvedimento di cui al punto 1, se esse sono attuate con tutta la dovuta diligenza e se è ancora possibile allontanare effettivamente lo straniero entro un termine ragionevole.

Dopo una proroga, la decisione di cui al comma precedente può essere assunta esclusivamente dal Ministro. La durata complessiva del trattenimento non può mai superare i cinque mesi.

Qualora la tutela dell’ordine pubblico o la sicurezza nazionale lo richiedano, il trattenimento dello straniero può essere prorogato di mese in mese dopo la scadenza del termine di cui al comma precedente, ma la durata complessiva del trattenimento non può superare otto mesi. (...)».

III. Procedimento principale, questioni pregiudiziali e procedimento dinanzi alla Corte

28.

La Cour constitutionnelle (Corte costituzionale) belga è stata adita di due ricorsi di annullamento della legge del 24 febbraio 2017, proposti, da un lato, dall’Ordre des barreaux francophones et germanophone (Ordine degli avvocati francofoni e germanofoni) ( 8 ) e, dall’altro, da quattro associazioni senza scopo di lucro (ASBL) (in prosieguo: i «ricorrenti nel procedimento principale») ( 9 ). Il giudice del rinvio ha disposto la riunione delle due cause.

29.

Nell’ambito di tali ricorsi, la Cour constitutionnelle (Corte costituzionale) si interroga sulla compatibilità con il diritto dell’Unione di talune disposizioni della legge del 24 febbraio 2017 in materia di allontanamento dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari. Più in particolare, il giudice del rinvio dubita della compatibilità con gli articoli 20 e 21 TFUE e con la direttiva soggiorno di due disposizioni di tale legge, che prevedono la possibilità di imporre al cittadino dell’Unione o al suo familiare, che sia stato oggetto di un provvedimento di allontanamento, da un lato, misure preventive durante il termine impartitogli per lasciare il territorio belga, al fine di prevenire qualsiasi rischio di fuga, e dall’altro, una misura di trattenimento, dopo la scadenza di tale periodo, al fine di assicurare l’esecuzione del provvedimento di allontanamento.

30.

Il giudice del rinvio motiva i propri dubbi nel modo seguente.

31.

Da un lato, per quanto riguarda le misure preventive, esso rileva che la direttiva soggiorno non prevede disposizioni riguardanti misure che potrebbero essere adottate nei confronti dei cittadini dell’Unione o dei loro familiari al fine di prevenire un rischio di fuga, qualora siano stati oggetto di un provvedimento di allontanamento e che, in mancanza di armonizzazione nel diritto dell’Unione, queste ultime possono essere adottate dal legislatore nazionale, il quale dovrebbe, in linea di principio, essere libero di farlo ispirandosi a disposizioni analoghe applicabili nel diritto nazionale ai cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare a norma della direttiva soggiorno. A tal riguardo, il giudice del rinvio rileva come la Corte abbia già dichiarato, nella sentenza Petrea ( 10 ), che gli Stati membri possono ispirarsi alle disposizioni della direttiva rimpatri per designare le autorità competenti e definire la procedura applicabile all’adozione di un provvedimento che imponga il rimpatrio di un cittadino dell’Unione, sempre che non vi osti nessun’altra disposizione del diritto dell’Unione. Il giudice del rinvio, tuttavia, si chiede se tale giurisprudenza si applichi al caso di specie, ritenendo, in sostanza, che le misure preventive, che hanno necessariamente un effetto sull’esercizio stesso del diritto alla libera circolazione e di soggiorno, non possano essere qualificate come disposizioni procedurali.

32.

Dall’altro, per quanto riguarda la misura di trattenimento, il giudice del rinvio constata che la legge del 24 febbraio 2017 stabilisce una parità di trattamento tra i cittadini dell’Unione e i loro familiari e tutti gli altri stranieri, in attesa dell’allontanamento verso qualsiasi Stato del mondo, in particolare per quanto riguarda la durata massima del trattenimento di otto mesi. Orbene, il giudice del rinvio si interroga, sostanzialmente, sulla proporzionalità di tale durata massima, in particolare, tenendo conto che si potrebbe desumere dalla direttiva soggiorno che la durata del trattenimento debba essere limitata al tempo strettamente necessario per l’esecuzione del provvedimento di allontanamento ( 11 ).

33.

In tale contesto, la Cour constitutionnelle (Corte costituzionale) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)

Se il diritto dell’Unione, e più in particolare gli articoli 20 e 21 [TFUE] e la [direttiva soggiorno], debbano essere interpretati nel senso che ostano a una normativa nazionale che applica ai cittadini dell’Unione e ai loro familiari disposizioni analoghe a quelle che costituiscono la trasposizione, per quanto riguarda i cittadini di paesi terzi, dell’articolo 7, paragrafo 3, della [direttiva rimpatri], vale a dire, disposizioni che consentono di obbligare il cittadino dell’Unione o il suo familiare ad ottemperare a misure preventive dirette ad evitare qualsiasi rischio di fuga in pendenza del termine concessogli per lasciare il territorio a seguito dell’adozione di un provvedimento che pone fine al soggiorno per motivi di ordine pubblico o durante il periodo in cui detto termine è prorogato.

2)

Se il diritto dell’Unione, in particolare gli articoli 20 e 21 [TFUE] e la [direttiva soggiorno], debbano essere interpretati nel senso che ostano a una normativa nazionale che applica ai cittadini dell’Unione e ai loro familiari che non hanno ottemperato a un provvedimento che pone fine al soggiorno per motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza una disposizione identica a quella applicata ai cittadini di paesi terzi che si trovano nella stessa situazione per quanto riguarda il periodo massimo di trattenimento ai fini dell’allontanamento, pari a otto mesi».

34.

Hanno presentato osservazioni scritte i ricorrenti nel procedimento principale, i governi belga, danese, spagnolo e polacco nonché la Commissione europea. Fatta eccezione per i governi spagnolo e polacco, le suddette parti sono state altresì sentite nel corso dell’udienza tenutasi il 16 novembre 2020.

IV. Analisi

A.   Osservazioni preliminari

35.

Al centro degli interrogativi del giudice del rinvio si pone la questione se il diritto dell’Unione osti a che uno Stato membro applichi, nei confronti di cittadini dell’Unione e dei loro familiari che siano stati oggetto di un provvedimento di allontanamento dal proprio territorio ai sensi della direttiva soggiorno, misure di esecuzione identiche o simili a quelle applicabili all’allontanamento dei cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, in virtù della direttiva rimpatri, qualora esse possano incidere sull’esercizio stesso del diritto di circolare e di soggiornare liberamente sul territorio degli Stati membri.

36.

Prima di iniziare la mia analisi, ritengo utile fornire una panoramica del contesto normativo applicabile e della relativa giurisprudenza (punto 1), e chiarire la portata delle questioni pregiudiziali sollevate (punto 2).

1. Sul contesto normativo applicabile e la relativa giurisprudenza

37.

Occorre ricordare, in via preliminare, che la cittadinanza dell’Unione – quale introdotta dal Trattato di Maastricht ( 12 ) – conferisce a ciascun cittadino dell’Unione un diritto fondamentale e individuale di circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, fatte salve le limitazioni e le condizioni previste dai trattati e le disposizioni adottate in applicazione degli stessi. Tale diritto è attualmente conferito ai cittadini dell’Unione dall’articolo 21, paragrafo 1, TFUE, come ribadito dall’articolo 45 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

38.

La direttiva soggiorno, che disciplina, in particolare, le modalità d’esercizio del diritto di libera circolazione e di soggiorno nel territorio degli Stati membri da parte dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari, mira ad agevolarne e rafforzarne l’esercizio ( 13 ). Orbene, detta direttiva prevede non solo norme che disciplinano le condizioni per ottenere i vari diritti di soggiorno in essa contemplati, ma contiene anche un insieme di disposizioni volte a regolamentare la situazione che deriva dalla perdita del beneficio di uno di tali diritti.

39.

A tal riguardo, la direttiva soggiorno prevede due fattispecie in cui gli Stati membri possono adottare decisioni che limitano la libera circolazione e il soggiorno dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari, e in particolare, «provvedimenti di allontanamento», vale a dire quando tali provvedimenti siano adottati «per motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di sanità pubblica» (articolo 27, paragrafo 1, di detta direttiva), o quando tali provvedimenti siano adottati «per motivi non attinenti all’ordine pubblico, alla pubblica sicurezza o alla sanità pubblica» (articolo 15, paragrafo 1, di detta direttiva) ( 14 ).

40.

Oltre alle ipotesi in cui possono essere adottati provvedimenti di allontanamento nei confronti dei cittadini dell’Unione o dei loro familiari, la direttiva soggiorno prevede un certo numero di norme e garanzie procedurali da osservare, vale a dire in particolare quelle di cui agli articoli 15, 30, 31 e 33. Tra tali norme figura quella prevista dall’articolo 30, paragrafo 3, di detta direttiva, secondo la quale il termine impartito per lasciare il territorio dello Stato membro in seguito a un provvedimento di allontanamento, fatti salvi i casi di urgenza, non può essere inferiore a un mese a decorrere dalla data di notificazione di tale provvedimento.

41.

Orbene, ad eccezione di tali disposizioni, la direttiva soggiorno non prevede un regime specifico per l’attuazione o l’esecuzione dei provvedimenti di allontanamento né, a maggior ragione, disposizioni relative a misure preventive adottate per prevenire qualsiasi rischio di fuga in pendenza del termine per lasciare volontariamente il territorio né disposizioni sul trattenimento ai fini di tale allontanamento. Parimenti, detta direttiva non contiene alcuna disposizione che osti esplicitamente a che tali misure siano adottate dagli Stati membri.

42.

In mancanza di norme dell’Unione in materia, spetta all’ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro stabilire le modalità di esecuzione dei provvedimenti di allontanamento, in forza del principio dell’autonomia procedurale, purché tali modalità non siano meno favorevoli rispetto a quelle che regolano situazioni analoghe assoggettate al diritto interno (principio di equivalenza) e non rendano in pratica impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti attribuiti dall’ordinamento dell’Unione (principio di effettività) ( 15 ).

43.

Nell’ambito dell’esercizio di tale competenza nazionale relativa alla determinazione delle modalità di esecuzione dei provvedimenti di allontanamento, è opportuno ricordare che la Corte ha già statuito che il diritto dell’Unione non osta, in linea di principio, all’utilizzazione delle norme concernenti i cittadini dei paesi terzi ai fini dell’instaurazione del sistema applicabile ai cittadini dell’Unione, nonostante il fatto che le direttive soggiorno e rimpatri non condividano necessariamente il medesimo oggetto ( 16 ). La Corte, infatti, ha statuito nella sentenza Petrea che «gli Stati membri possono ispirarsi alle norme della [direttiva rimpatri, che concerne i cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare] per designare le autorità competenti e definire la procedura applicabile all’adozione di un provvedimento [di allontanamento di un cittadino dell’Unione], se nessuna norma del diritto dell’Unione vi osta» ( 17 ).

44.

Ne consegue che, nella presente causa, nella misura in cui la direttiva soggiorno non contiene norme relative all’esecuzione di provvedimenti di allontanamento, deve essere consentito, in linea di principio, agli Stati membri di ispirarsi alle disposizioni della direttiva rimpatri, la quale è stata adottata successivamente e contiene disposizioni pertinenti al riguardo.

45.

Infatti, per quanto riguarda, da un lato, le misure preventive, l’articolo 7, paragrafo 3, della direttiva rimpatri prevede, che «[p]er la durata del periodo per la partenza volontaria possono essere imposti obblighi diretti a evitare il rischio di fuga, come l’obbligo di presentarsi periodicamente alle autorità, la costituzione di una garanzia finanziaria adeguata, la consegna di documenti o l’obbligo di dimorare in un determinato luogo» ( 18 ). Analogamente, per quanto attiene, dall’altro lato, alla possibilità di trattenere un cittadino dell’Unione o un suo familiare al fine di assicurare l’esecuzione di un provvedimento di allontanamento, la direttiva rimpatri inquadra in modo preciso il trattenimento ai fini dell’allontanamento, nel suo capo IV, intitolato «Trattenimento ai fini dell’allontanamento».

46.

Di conseguenza, in linea di principio, nulla impedisce agli Stati membri di applicare, mutatis mutandis, le disposizioni previste per i provvedimenti di rimpatrio dei cittadini di paesi terzi ai cittadini dell’Unione e ai loro familiari che siano stati oggetto di un provvedimento di allontanamento.

47.

Ciò premesso, affinché le disposizioni riguardanti i cittadini di paesi terzi siano effettivamente trasponibili ai cittadini dell’Unione e ai loro familiari, conformemente alla sentenza Petrea, non deve ostarvi nessuna disposizione del diritto dell’Unione. A tal riguardo, si deve ricordare che, in forza dell’articolo 21 TFUE, il diritto di soggiornare nel territorio degli Stati membri è riconosciuto a ogni cittadino dell’Unione «fatte salve le limitazioni e le condizioni previste dai trattati e dalle disposizioni adottate in applicazione degli stessi» ( 19 ). Pertanto, occorre altresì verificare se le misure preventive e di trattenimento possano costituire, di per sè, misure in grado di limitare il diritto di libera circolazione e di soggiorno di tali cittadini. In tale contesto, sebbene il diritto dell’Unione non osti affatto a che gli Stati membri istituiscano il proprio regime di esecuzione dei provvedimenti di allontanamento, è comunque necessario che siffatti regimi non pregiudichino l’effetto utile del diritto dell’Unione ( 20 ).

48.

È alla luce delle suesposte considerazioni che occorre esaminare se, e a quali condizioni, la giurisprudenza derivante dalla sentenza Petrea possa trovare applicazione per ciascuna delle misure di cui trattasi nel procedimento principale.

2. Sulla portata delle questioni pregiudiziali

49.

Al fine di eliminare ogni ambiguità sul significato e sulla portata delle due questioni pregiudiziali, ritengo necessario apportare i seguenti chiarimenti.

50.

In primo luogo, ritengo necessario fornire una precisazione terminologica sull’utilizzo dei termini «provvedimento che pone fine al soggiorno». Occorre infatti constatare che le due questioni pregiudiziali, come formulate dal giudice del rinvio, prevedono l’adozione, rispettivamente, di «misure preventive» o di «trattenimento», qualora i cittadini dell’Unione o i loro familiari siano stati oggetto di un «provvedimento che pone fine al soggiorno». Orbene, occorre precisare che, sebbene un «provvedimento che pone fine al soggiorno» comporti, in linea di principio, l’obbligo di lasciare il territorio, esso non implica necessariamente l’adozione di una misura di allontanamento, vale a dire un «ordine di lasciare il territorio», ai sensi dell’articolo 7, comma 1, della legge del 15 dicembre 1980 ( 21 ). Nella misura in cui le due questioni pregiudiziali riguardano situazioni che comportano l’adozione di una misura di allontanamento, esse vanno intese, a mio parere, come relative ai cittadini dell’Unione o ai loro familiari che sono stati oggetto non solo di un provvedimento che pone fine al soggiorno, ma anche di un provvedimento di allontanamento.

51.

In secondo luogo, va rilevato che il giudice del rinvio limita la prima questione alla possibilità di applicare ai cittadini dell’Unione «misure preventive» analoghe a quelle applicabili ai cittadini di paesi terzi nel caso in cui il provvedimento di allontanamento sia adottato «per motivi di ordine pubblico». Orbene, tale limitazione della portata della questione non risulta espressamente dalla lettera della normativa nazionale, in particolare dagli articoli 44 quater, 44 quinquies e 44 sexies della legge del 15 dicembre 1980. Come ha, infatti, confermato il governo belga nelle sue osservazioni, tali «misure preventive» possono essere adottate ogniqualvolta venga adottato un provvedimento di allontanamento nei confronti di un cittadino dell’Unione o dei suoi familiari e laddove essi presentino un rischio di fuga ( 22 ), il che implica situazioni che non costituiscono una minaccia per l’ordine pubblico, vale a dire motivi di «pubblica sicurezza o di sanità pubblica», ai sensi dell’articolo 27, paragrafo 1, della direttiva soggiorno, nonché per «motivi non attinenti [a quelli previsti all’articolo 27, paragrafo 1, di tale direttiva]», ai sensi dell’articolo 15, paragrafo 1, di detta direttiva.

52.

Invero, secondo una giurisprudenza costante, nell’ambito della cooperazione tra la Corte e i giudici nazionali istituita dall’articolo 267 TFUE, spetta esclusivamente al giudice nazionale, cui è stata sottoposta la controversia e che deve assumersi la responsabilità dell’emananda decisione giurisdizionale, valutare, alla luce delle particolarità del caso, sia la necessità di una pronuncia pregiudiziale per essere in grado di emettere la propria decisione, sia la rilevanza delle questioni che sottopone alla Corte ( 23 ). Di conseguenza, considerato che le questioni sollevate sono circoscritte ai provvedimenti di allontanamento adottati per motivi di ordine pubblico, la Corte, in via di principio, è tenuta a statuire esclusivamente su tale aspetto.

53.

Tuttavia, nel caso di specie, da un lato, dalla domanda di pronuncia pregiudiziale non risulta perché tali misure preventive debbano essere analizzate soltanto alla luce dei provvedimenti di allontanamento adottati per ragioni di ordine pubblico. Dall’altro, il «rischio di fuga» permane sia nell’ambito di provvedimenti di allontanamento adottati per motivi di ordine pubblico, sia per quelli adottati per motivi di «pubblica sicurezza o di sanità pubblica», ai sensi dell’articolo 27, paragrafo 1, della direttiva soggiorno, o anche per «motivi diversi dall’ordine pubblico, dalla pubblica sicurezza o dalla sanità pubblica», ai sensi dell’articolo 15, paragrafo 1, di tale direttiva. Pertanto, al fine di fornire una risposta completa al giudice del rinvio, propongo di ampliare la portata della prima questione pregiudiziale includendo tutti i provvedimenti di allontanamento adottati ai sensi della direttiva soggiorno.

54.

In terzo luogo, rilevo che il giudice del rinvio limita la seconda questione pregiudiziale alla possibilità di prevedere un termine massimo di trattenimento ai fini dell’allontanamento identico a quello applicabile ai cittadini di paesi terzi «nel caso in cui il provvedimento di allontanamento sia adottato «per motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza». Tuttavia, l’articolo 44 septies della legge del 15 dicembre 1980 contempla una possibilità di trattenimento «[q]ualora lo impongano motivi di ordine pubblico, di sicurezza nazionale o di sanità pubblica» ( 24 ). Si potrebbe, pertanto, pensare di ampliare la portata di tale questione, allo scopo di ricomprendere i motivi di sanità pubblica. Tuttavia, nel caso di specie, la limitazione del giudice del rinvio mi sembra giustificata nella misura in cui la seconda questione pregiudiziale fa riferimento, in modo mirato, alla disposizione di tale articolo che consente la proroga del trattenimento fino a otto mesi, solo quando «la tutela dell’ordine pubblico o la sicurezza nazionale lo richiedano».

55.

In quarto e ultimo luogo, occorre sottolineare che il governo belga propone di riformulare la seconda questione, in modo da separare la misura di trattenimento dal fatto che l’interessato non abbia lasciato il territorio entro il termine stabilito. Detto governo spiega infatti che, nel diritto belga, nessuno straniero – che sia cittadino dell’Unione, familiare o cittadino di un paese terzo – può essere trattenuto per il solo fatto di non aver ottemperato a un provvedimento che pone fine al diritto di soggiorno giustificato da motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza. Il ricorso al trattenimento sarebbe giustificato solo per preparare il rimpatrio e procedere all’allontanamento laddove l’esecuzione del provvedimento di allontanamento rischi di essere compromessa dal comportamento dell’interessato.

56.

A tale proposito, rilevo che, effettivamente, l’analisi del governo belga sembra corroborata dal tenore dell’articolo 44 septies della legge del 15 dicembre 1980. Tuttavia, la seconda questione, come sollevata dal giudice del rinvio, mi sembra conciliabile con la posizione del governo belga, in quanto, non avendo ottemperato a un provvedimento di allontanamento entro il termine prescritto, l’interessato avrà dato prova di un comportamento che pregiudica l’esecuzione di detto provvedimento e che giustifica così la sua privazione della libertà, mediante un trattenimento, al fine di procedere ad un allontanamento forzato. Propongo, pertanto, di non riformulare la seconda questione nel senso proposto dal governo belga.

57.

È alla luce delle suesposte precisazioni che propongo di procedere all’esame delle due questioni pregiudiziali.

B.   Sulla prima questione pregiudiziale

58.

Con la sua prima questione, che propongo di riformulare al fine di tenere conto delle considerazioni esposte al paragrafo 53 delle presenti conclusioni, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se gli articoli 20 e 21 TFUE nonché la direttiva soggiorno debbano essere interpretati nel senso che essi ostano a una normativa nazionale che applica, ai cittadini dell’Unione e ai loro familiari che siano stati oggetto di un provvedimento di allontanamento ai sensi della direttiva soggiorno, «misure preventive» simili a quelle che traspongono, per quanto riguarda i cittadini di paesi terzi l’articolo 7, paragrafo 3, della direttiva rimpatri, al fine di prevenire qualsiasi rischio di fuga durante il termine concesso per lasciare il territorio dello Stato membro interessato.

59.

I ricorrenti nel procedimento principale ritengono che occorra rispondere in senso affermativo a tale questione, sicché siffatte misure preventive violerebbero gli articoli 20 TFUE e 21 TFUE e la direttiva soggiorno. Al contrario, i governi belga, danese, spagnolo e polacco suggeriscono, sulla base di un ragionamento sostanzialmente concordante, di rispondere a tale questione in senso negativo, fondandosi principalmente su un’applicazione analogica della sentenza Petrea. La Commissione precisa, a sua volta, che tali misure preventive devono potersi applicare, anche prima della scadenza del termine per la partenza volontaria previsto all’articolo 30, paragrafo 3, della direttiva soggiorno, a condizione che tali misure siano fondate su considerazioni oggettive e siano proporzionate.

1. Sull’identificazione e sulla qualificazione giuridica delle misure preventive

60.

L’articolo 44 quater della legge del 15 dicembre 1980 prevede che possono essere imposte «misure preventive» al cittadino dell’Unione o al suo familiare che abbia ricevuto un provvedimento di allontanamento, prima della scadenza del termine entro il quale deve lasciare il territorio, al fine di «evitare qualsiasi rischio di fuga». Tali misure possono essere imposte anche in caso di rinvio temporaneo dell’allontanamento ai sensi dell’articolo 44 sexies di detta legge. In caso di non ottemperanza alle misure preventive, l’articolo 44 quinquies della citata legge prevede la possibilità di adottare «tutte le misure necessarie» per l’esecuzione dell’ordine di lasciare il territorio, anche prima della scadenza del termine concesso per la partenza volontaria, qualora l’interessato presenti un rischio di fuga.

61.

A tale riguardo, è importante rilevare che tali «misure preventive» non sono definite dalla normativa nazionale, ad eccezione della possibilità dell’assegnazione di una residenza obbligatoria nell’ipotesi in cui l’allontanamento sia temporaneamente rinviato ai sensi dell’articolo 44 sexies della legge del 15 dicembre 1980. Per il resto, detta legge prevede che «[i]l Re ha facoltà di stabilire tali misure con decreto deliberato dal Consiglio dei ministri» (articoli 44 quater e 44 sexies) senza specificarne il contenuto. Il governo belga ha precisato nelle sue osservazioni che, fino ad oggi, nessun regio decreto ha stabilito tali misure ( 25 ).

62.

Va tuttavia rilevato che, secondo la relazione esplicativa delle disposizioni impugnate, queste ultime «s’ispirano ampiamente» alle disposizioni della direttiva rimpatri ( 26 ). Pertanto, poiché s’ispirano alle disposizioni «analoghe» applicabili ai cittadini di paesi terzi previste all’articolo 7, paragrafo 3, della suddetta direttiva, tali misure potrebbero consistere, in particolare, nell’«obbligo di presentarsi periodicamente alle autorità, la costituzione di una garanzia finanziaria adeguata, la consegna di documenti o l’obbligo di dimorare in un determinato luogo». La nostra analisi va quindi condotta partendo dalla premessa che siffatte misure possano effettivamente costituire «misure preventive» ai sensi delle disposizioni nazionali di cui al procedimento principale.

63.

Per quanto riguarda la qualificazione giuridica di tali misure preventive, si possono ipotizzare due approcci divergenti.

64.

Da un lato, il governo polacco, sostenuto dai governi belga e danese, fa valere che tali misure preventive costituiscono, sostanzialmente, semplici misure amministrative accessorie a un provvedimento di allontanamento esistente, che hanno il solo scopo di garantirne l’esecuzione e che non possono intervenire in assenza di quest’ultimo. Dette misure non sarebbero, quindi, idonee a limitare ulteriormente la libertà di circolazione e di soggiorno, ma mirerebbero unicamente a garantire l’esecuzione di un provvedimento di allontanamento, che, esso sì, costituisce incontestabilmente una misura limitativa della libera circolazione, ai sensi dell’articolo 15, paragrafo 1, o dell’articolo 27, paragrafo 1, della direttiva soggiorno ( 27 ).

65.

Se questo primo approccio dovesse essere accolto, le «misure preventive» potrebbero essere qualificate come misure procedurali rientranti pienamente nell’autonomia procedurale degli Stati membri, fatto salvo il rispetto dei principi di equivalenza e di effettività.

66.

Dall’altro lato, il giudice del rinvio e la Commissione rilevano che tali misure preventive, nonostante la loro natura accessoria, incidono necessariamente sui diritti e sulle libertà del cittadino dell’Unione o del familiare interessato, poiché dette misure hanno per l’appunto lo scopo di impedirne la fuga, il che potrebbe impedirgli di recarsi, se del caso, in un altro Stato membro.

67.

Se questo secondo approccio dovesse essere accolto, le «misure preventive» sarebbero qualificate non come semplici misure procedurali, bensì come misure che impongono una nuova restrizione alla libertà di circolazione, ai sensi dell’articolo 21 TFUE. Conformemente ad una giurisprudenza costante, occorrerebbe quindi verificare se tali misure preventive siano giustificate in quanto basate su considerazioni oggettive e siano proporzionate all’obiettivo legittimamente perseguito dalla normativa nazionale ( 28 ).

2. Sull’esistenza di una restrizione

68.

Per le ragioni che seguono, propongo di seguire il secondo approccio, secondo il quale le «misure preventive» non dovrebbero essere considerate semplici disposizioni procedurali, bensì misure idonee a costituire restrizioni alla libertà di circolazione, ai sensi dell’articolo 21 TFUE.

69.

In primo luogo, mi sembra importante sottolineare, anzitutto, che il fatto che un cittadino dell’Unione o un suo familiare sia stato oggetto di un provvedimento di allontanamento non significa che tale persona cessi di beneficiare del diritto di libera circolazione nel territorio dell’Unione. Infatti, è vero che tale persona deve lasciare il territorio dello Stato membro ospitante che ha pronunciato il provvedimento di allontanamento, ma essa continua a beneficiare del diritto fondamentale di libera circolazione e di soggiorno nel resto del territorio dell’Unione. Pertanto, occorre respingere la tesi secondo cui le «misure preventive», essendo accessorie ai provvedimenti di allontanamento, non possono, di per sé, essere idonee a pregiudicare il diritto di libera circolazione del destinatario del provvedimento di allontanamento. Inoltre, tale constatazione non può essere inficiata dal fatto che le misure preventive mirano ad agevolare l’allontanamento della persona interessata dallo Stato membro ospitante e non a limitare il suo diritto di circolare e soggiornare in altri Stati membri.

70.

In secondo luogo, e tenuto conto di quanto precede, sebbene il contenuto delle «misure preventive» non sia precisato nella legge del 15 dicembre 1980, mi sembra che la possibilità che tali misure pregiudichino direttamente le libertà di circolazione e di soggiorno conferite dalla direttiva soggiorno non possa essere esclusa. Tale constatazione è evidente nel caso di una misura preventiva adottata sotto forma di «assegnazione di una residenza obbligatoria», che costituisce per definizione una restrizione alla libertà di circolazione non solo nel territorio dello Stato membro interessato, ma anche nel territorio dell’Unione. Allo stesso modo, misure quali l’obbligo di presentarsi regolarmente alle autorità, di costituire una garanzia finanziaria, di consegnare documenti o di dimorare in un determinato luogo potrebbero ugualmente incidere sulla capacità dell’interessato non solo di circolare, o di soggiornare, in un altro Stato membro, ma anche di preparare la sua partenza volontaria. Più precisamente, siffatte misure preventive potrebbero pregiudicare il godimento effettivo del diritto di beneficiare di un termine di un mese, previsto all’articolo 30, paragrafo 3, della direttiva soggiorno, al fine di, in particolare, preparare la partenza volontaria verso un altro Stato membro, incidendo, in definitiva, sul diritto alla libera circolazione ( 29 ). Ciò avverrebbe in particolare se le misure preventive di cui trattasi fossero imposte sin dai primi giorni successivi alla notifica del provvedimento di allontanamento. Rilevo infatti che la formulazione dell’articolo 44 ter della legge del 15 dicembre 1980 non sembra precludere l’adozione di misure preventive prima della scadenza del termine di un mese ( 30 ).

71.

In terzo luogo, da tale analisi risulta che le «misure preventive» non hanno lo scopo di organizzare semplicemente procedure connesse all’esecuzione di un provvedimento di allontanamento. Infatti, l’esecuzione di siffatto provvedimento non richiede, in linea di principio, la previa imposizione di misure preventive. In tal senso, è vero che tali misure sono misure amministrative, ma vanno ben oltre misure di carattere puramente organizzativo o procedurale, come in particolare quelle oggetto della sentenza Petrea. Pertanto, non mi sembra opportuno trattarle come semplici norme di procedura e valutarle sotto il profilo della loro conformità con i principi di equivalenza e di effettività ( 31 ).

72.

Sulla base delle suesposte considerazioni, occorre constatare che, nonostante il fatto che la giurisprudenza derivante dalla sentenza Petrea riconosca agli Stati membri la possibilità di ispirarsi alla direttiva rimpatri al fine di adottare misure di esecuzione dei provvedimenti di allontanamento emanati in forza della direttiva soggiorno, tale giurisprudenza non può essere interamente applicata al caso di specie, poiché, contrariamente alle misure di ordine puramente organizzativo e procedurale, tali misure preventive possono pregiudicare l’esercizio stesso dei diritti conferiti dalla direttiva soggiorno e, in particolare, limitare la libertà di circolazione e di soggiorno. Per stabilire se dette misure siano conformi al diritto dell’Unione, occorre pertanto verificare se esse possano essere giustificate.

3. Sull’esistenza di una giustificazione

73.

Ai sensi di una costante giurisprudenza, una normativa idonea a ostacolare la libera circolazione delle persone può essere giustificata alla luce del diritto dell’Unione solo se è basata su considerazioni oggettive di interesse generale, indipendenti dalla cittadinanza delle persone interessate, e se è proporzionata all’obiettivo legittimamente perseguito dalla normativa nazionale ( 32 ).

74.

È alla luce di detti requisiti che occorre esaminare se le misure preventive, nonostante il loro effetto restrittivo per quanto riguarda la libertà di circolazione e di soggiorno, possano essere giustificate.

75.

In primo luogo, per quanto riguarda le considerazioni oggettive, il governo belga fa valere che le misure preventive di cui trattasi sono giustificate dalla volontà del legislatore belga di evitare il «rischio di fuga» di un cittadino dell’Unione o di un suo familiare che è stato oggetto di un provvedimento di allontanamento. In effetti, questo obiettivo risulterebbe in modo chiaro dalla formulazione stessa degli articoli 44 quater e 44 quinquies della legge del 15 dicembre 1980, e sarebbe coerente con la relazione esplicativa della medesima legge ( 33 ).

76.

A mio parere, una siffatta giustificazione deve essere considerata legittima e tale da giustificare una misura restrittiva di una libertà fondamentale, come quella prevista dall’articolo 21 TFUE ( 34 ). Infatti, le misure preventive in questione mirano a garantire l’esecuzione di un provvedimento di allontanamento adottato ai sensi della direttiva soggiorno, laddove le autorità competenti ritengano, in particolare, che esista un rischio che l’interessato non vi ottemperi volontariamente entro il termine impartito. In definitiva, dette misure mirano dunque a garantire l’effetto utile della direttiva soggiorno e a non compromettere l’allontanamento dei cittadini dell’Unione o dei loro familiari, quando ciò è richiesto ai sensi della suddetta direttiva. Peraltro, e più in generale, gli Stati membri hanno un interesse legittimo ad istituire un regime relativo all’esecuzione dei provvedimenti di allontanamento, ivi comprese le norme relative al rischio di fuga, per motivi di trasparenza, certezza del diritto e prevedibilità.

77.

In secondo luogo, per quanto riguarda il controllo della proporzionalità di tali misure, conformemente alla giurisprudenza pertinente, una misura è proporzionata quando è idonea a realizzare l’obiettivo perseguito, ma al contempo non va oltre quanto necessario per il suo raggiungimento ( 35 ).

78.

La proporzionalità delle misure preventive richiede un’analisi e una ponderazione di diversi elementi di diritto e di fatto propri dello Stato membro interessato, che il giudice del rinvio è in grado di effettuare meglio della Corte, dato che, in particolare, il contenuto stesso di tali misure non è stato ancora determinato (v. paragrafo 61 delle presenti conclusioni). Peraltro, spetta al giudice del rinvio prendere in considerazione il contesto istituzionale e il modo in cui le autorità competenti applicheranno dette misure. Nell’ambito di tale valutazione di proporzionalità, mi sembrano pertinenti i seguenti elementi.

79.

Anzitutto, ritengo che un’applicazione sistematica di tali misure preventive sulla base di elementi non direttamente connessi al rischio di fuga, quali il motivo che giustifica l’allontanamento, costituirebbe una restrizione al diritto di circolare e di soggiornare eccedente quanto necessario per conseguire l’obiettivo di limitare il rischio di fuga. Infatti, il motivo dell’allontanamento, anche quando si tratta di una minaccia per l’ordine pubblico o la pubblica sicurezza, non può, di per sé, giustificare una misura preventiva. Tuttavia, mi sembra evidente che il comportamento delle persone interessate precedente all’adozione della decisione di allontanamento sarà un elemento determinante del rischio di fuga, che dovrà essere preso in considerazione dalle autorità competenti. Ad esempio, per valutare la proporzionalità della misura, si dovrà certamente tenere conto della natura della minaccia per l’ordine pubblico che giustifica l’allontanamento ( 36 ).

80.

Ritengo poi che un’applicazione proporzionata agli obiettivi perseguiti debba caratterizzarsi per il ricorso alle misure preventive unicamente qualora esista un rischio reale di fuga. Pertanto, le autorità competenti dovranno applicare tali misure in via eccezionale e sulla base di una valutazione individuale del rischio di fuga della persona interessata. Così, affinché le misure preventive siano considerate proporzionate, la scelta di ciascuna misura dovrà essere effettuata in funzione del grado di rischio di fuga. Ad esempio, l’obbligo di «dimorare in un determinato luogo», che costituisce una restrizione manifesta alla libertà di circolare e di soggiornare liberamente, sarebbe giustificato solo qualora il rischio di fuga sia particolarmente elevato. Pertanto, le autorità competenti dovranno verificare, caso per caso, se esistano, tra le misure preventive, misure meno lesive dell’esercizio dei diritti conferiti dall’articolo 21 TFUE che siano idonee a conseguire l’obiettivo di garantire l’effettiva esecuzione di un provvedimento di allontanamento. Peraltro, come osserva la Commissione, un provvedimento che impedisca puramente e semplicemente al cittadino dell’Unione o al suo familiare di ottemperare al provvedimento di allontanamento in pendenza del termine per la partenza volontaria sarebbe al contempo sproporzionato e controproducente.

81.

Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, propongo di rispondere alla prima questione pregiudiziale dichiarando che gli articoli 20 e 21 TFUE e la direttiva soggiorno devono essere interpretati nel senso che non ostano, in linea di principio, all’applicazione da parte degli Stati membri di una normativa nazionale che prevede, nei confronti dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari che siano stati oggetto di un provvedimento di allontanamento ai sensi della direttiva soggiorno, «misure preventive» analoghe a quelle che costituiscono il recepimento, per quanto riguarda i cittadini di paesi terzi, dell’articolo 7, paragrafo 3, della direttiva rimpatri, al fine di evitare qualsiasi rischio di fuga durante il termine concesso per lasciare il territorio dello Stato membro interessato, a condizione che tali misure siano basate su considerazioni oggettive e siano proporzionate.

C.   Sulla seconda questione pregiudiziale

82.

Con la seconda questione, che propongo di riformulare al fine di tenere conto delle considerazioni esposte al paragrafo 50 delle presenti conclusioni, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se gli articoli 20 e 21 TFUE nonché la direttiva soggiorno debbano essere interpretati nel senso che essi ostano a una normativa nazionale che applica, ai cittadini dell’Unione e ai loro familiari che siano stati oggetto di un provvedimento di allontanamento per motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza e che non abbiano lasciato il territorio dello Stato membro interessato entro il termine impartito da tale provvedimento, una misura di trattenimento della durata massima di otto mesi, identica a quella prevista per i cittadini di paesi terzi in soggiorno irregolare.

83.

I ricorrenti nel procedimento principale propongono di rispondere in senso affermativo alla suddetta questione, facendo valere, in sostanza, che una siffatta misura rischierebbe di sfociare in trattenimenti sproporzionati, eccedenti la durata strettamente necessaria all’allontanamento, senza che sia possibile un controllo effettivo della durata del trattenimento. Il governo belga, la cui posizione è sostanzialmente condivisa dai governi danese e spagnolo, sostiene che occorre rispondere in senso negativo a tale questione, sebbene riformulata (v. paragrafo 55 delle presenti conclusioni). Quanto alla Commissione, anch’essa propone di rispondere in senso negativo, sostenendo che gli Stati membri devono poter prevedere una durata massima di trattenimento identica a quella prevista per i cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, a condizione che tale durata resti, nei singoli casi, il più breve possibile e non ecceda il tempo strettamente necessario all’esecuzione della misura di allontanamento.

1. Sull’identificazione e sulla qualificazione giuridica della misura di trattenimento

84.

L’articolo 44 septies della legge del 15 dicembre 1980 prevede la possibilità di «trattenere», ossia di mettere in stato di trattenimento, i cittadini dell’Unione e i loro familiari, al fine di garantire l’esecuzione di una misura di allontanamento, a meno che non possano essere efficacemente applicate altre misure meno coercitive. Tale trattenimento può durare per il tempo strettamente necessario all’esecuzione della misura di allontanamento e non deve, in linea di principio, superare i due mesi. Detta disposizione prevede anche possibilità di proroga della durata del trattenimento, le quali sono identiche a quelle previste per i cittadini di paesi terzi dall’articolo 74/5, paragrafo 3, della legge del 15 dicembre 1980, vale a dire cinque mesi al massimo, che possono giungere fino a otto mesi in caso di motivi di ordine pubblico o di sicurezza nazionale. È quest’ultima proroga massima di otto mesi che preoccupa il giudice del rinvio e che sarà oggetto della presente analisi.

85.

In primo luogo, vorrei sottolineare che, come rilevato ai paragrafi da 41 a 46 delle presenti conclusioni, la direttiva soggiorno non prevede alcun regime specifico per l’attuazione o l’esecuzione delle decisioni di allontanamento né, a maggior ragione, disposizioni sul trattenimento ai fini dell’allontanamento. Parimenti, la suddetta direttiva non contiene alcuna disposizione che osti esplicitamente a che tali misure siano adottate dagli Stati membri. In mancanza di norme dell’Unione in materia, spetta quindi all’ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro disciplinare le modalità di esecuzione dei provvedimenti di allontanamento, ispirandosi, se del caso, alle disposizioni della direttiva rimpatri, che riguarda i cittadini di paesi terzi.

86.

Infatti, la possibilità di trattenimento ai fini dell’allontanamento è prevista dall’articolo 15 della direttiva rimpatri, «per preparare il rimpatrio e/o effettuare l’allontanamento, in particolare quando: a) sussiste un rischio di fuga o b) il cittadino del paese terzo evita od ostacola la preparazione del rimpatrio o dell’allontanamento». Per quanto riguarda la durata di tale trattenimento, il paragrafo 1 di detto articolo dispone che esso deve essere «quanto più breve possibile ed [essere] mantenuto solo per il tempo necessario all’espletamento diligente delle modalità di rimpatrio», e il paragrafo 5 del predetto articolo aggiunge che «[c]iascuno Stato membro stabilisce un periodo limitato di trattenimento, che non può superare i sei mesi». Inoltre, lo stesso articolo prevede, al paragrafo 6, una possibile proroga per un periodo non superiore a ulteriori dodici mesi, qualora l’operazione di allontanamento duri più a lungo a causa della mancata cooperazione da parte del cittadino di un paese terzo interessato o di ritardi nell’ottenimento della necessaria documentazione dai paesi terzi.

87.

Orbene, affinché tali disposizioni della direttiva rimpatri possano essere trasponibili ai cittadini dell’Unione, occorre che esse non costituiscano per questi ultimi, di per sé, restrizioni alla libertà di circolazione e di soggiorno delle persone interessate, a meno che esse siano giustificate e che non pregiudichino l’effetto utile del diritto dell’Unione.

2. Sull’esistenza di una restrizione

88.

A tal riguardo, ritengo che, seguendo il medesimo ragionamento applicato alle «misure preventive» (v. paragrafi da 68 a 72 delle presenti conclusioni), una misura di trattenimento non può costituire una mera misura procedurale, in quanto può essere tale da rappresentare un ostacolo alla libertà di circolazione e di soggiorno del cittadino dell’Unione. Infatti, un siffatto «trattenimento» costituisce ipso facto una restrizione alla libera circolazione, in quanto non consente alla persona interessata di circolare liberamente, anche nello Stato membro che ha pronunciato il provvedimento di allontanamento ( 37 ).

3. Sull’esistenza di una giustificazione

89.

Una siffatta restrizione, tuttavia, può essere giustificata se è basata su considerazioni oggettive e se è proporzionata all’obiettivo legittimamente perseguito dalla normativa nazionale (v. paragrafo 73 delle presenti conclusioni).

90.

A questo proposito, per quanto riguarda, in primo luogo, le considerazioni oggettive, occorre rilevare che, contrariamente a quanto previsto dall’articolo 15 della direttiva rimpatri, la formulazione dell’articolo 44 septies della legge del 15 dicembre 1980 non contiene alcuna indicazione con riguardo ai motivi che possono giustificare il ricorso a una misura di trattenimento, se non che tale trattenimento deve essere «imposto» da motivi di ordine pubblico, di sicurezza nazionale o di sanità pubblica, e che esso ha la finalità di «assicurare l’esecuzione del provvedimento di allontanamento». A tal riguardo, il governo belga ha spiegato, nelle sue osservazioni, che il ricorso al trattenimento sarebbe giustificato solo per preparare il rimpatrio ed eseguire l’allontanamento, e che esso interviene unicamente quando l’esecuzione del provvedimento di allontanamento rischia di essere compromessa dal comportamento della persona interessata. A condizione che questa interpretazione sia confermata dal giudice del rinvio, si deve concludere che una misura siffatta, che mira principalmente ad assicurare l’esecuzione di un provvedimento di allontanamento e, in definitiva, l’effetto utile di determinate disposizioni della direttiva soggiorno, mi sembra legittima e idonea a giustificare una restrizione alla libera circolazione.

91.

In secondo luogo, ritengo che, sebbene sia altresì giustificato che gli Stati membri vogliano prevedere una durata massima del trattenimento, spetti al giudice del rinvio valutare il carattere proporzionato di quest’ultimo, tenendo conto, se del caso, dell’esperienza amministrativa relativa all’attuazione dell’articolo 74/5, paragrafo 3, della legge del 15 dicembre 1980, nonché della prassi decisionale relativa al tempo normalmente necessario per eseguire un provvedimento di allontanamento di un cittadino dell’Unione verso un altro Stato membro. Ciò consentirà di stabilire se gli otto mesi eccedano in modo sproporzionato il tempo strettamente necessario all’esecuzione della misura di allontanamento. A tal proposito, potrebbero essere pertinenti i seguenti elementi.

92.

Anzitutto, il ricorso alla durata massima del trattenimento dovrebbe essere valutato non isolatamente, ma nel contesto più generale dell’applicazione dell’articolo 44 septies della legge del 15 dicembre 1980. In effetti, sulla base di tale analisi contestuale, mi sembra che il ricorso ad una proroga della durata massima di otto mesi si giustifichi solo in via eccezionale. Anzitutto, è chiaramente indicato nel citato articolo 44 septies che si adotta una misura di trattenimento «sempre che non possano applicarsi efficacemente altre misure meno coercitive». Inoltre, la proroga di un siffatto trattenimento per un periodo di due mesi è prevista solo quando le misure necessarie ai fini dell’allontanamento sono state avviate entro i sette giorni lavorativi successivi al trattenimento, il che dovrebbe normalmente accelerarle. Ancora, a seguito di tale prima proroga, una proroga successiva può essere disposta esclusivamente dal Ministro, per una durata massima di trattenimento di cinque mesi, al termine dei quali la persona interessata dovrà essere rimessa in libertà. Infine, solo qualora la tutela dell’ordine pubblico o la sicurezza nazionale lo richiedano, il trattenimento può essere prorogato di mese in mese, per una durata complessiva di otto mesi.

93.

Rilevo poi che in udienza il governo belga ha spiegato che tale durata massima di otto mesi è stata scelta in quanto la direttiva soggiorno non esclude l’adozione di un provvedimento di allontanamento nei confronti di cittadini di paesi terzi, qualora questi ultimi siano familiari di un cittadino dell’Unione. È in tale ottica che la durata massima è stata ricalcata sulla durata massima applicabile ai cittadini di paesi terzi, in forza dell’articolo 74/5, paragrafo 3, della legge del 15 dicembre 1980.

94.

Ad eccezione di questi casi molto particolari, e dato che l’articolo 44 septies della legge del 15 dicembre 1980 ha la finalità di preparare il rimpatrio ed effettuare l’allontanamento, il tempo necessario per l’allontanamento potrebbe in genere essere molto più breve nel caso di cittadini dell’Unione e di loro familiari che hanno la cittadinanza di uno Stato membro, nella misura in cui il rimpatrio nello Stato di origine richiede la cooperazione non di un paese terzo ma di uno Stato membro. Infatti, ritengo che una durata massima identica a quella prevista per i cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare ometta di prendere in considerazione taluni elementi che distinguono la situazione dei cittadini dell’Unione da quella dei cittadini di paesi terzi, vale a dire, da un lato, il sistema di cooperazione esistente tra gli Stati membri dell’Unione, che non esiste necessariamente nel caso dei paesi terzi, e, dall’altro, la particolarità che nel caso di cittadini dell’Unione la loro identità è di solito nota e non vi è alcun dubbio quanto alla loro nazionalità (quest’ultimo criterio può spesso giustificare un termine più lungo nel caso dei cittadini di paesi terzi, al fine di verificare la loro nazionalità).

95.

Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, occorre rispondere alla seconda questione pregiudiziale dichiarando che gli articoli 20 e 21 TFUE nonché la direttiva soggiorno devono essere interpretati nel senso che essi non ostano, in linea di principio, a che gli Stati membri prevedano una durata massima del trattenimento identica a quella prevista per i cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, a condizione che la durata del trattenimento resti, nei singoli casi, quanto più breve possibile e non ecceda il tempo strettamente necessario all’esecuzione del provvedimento di allontanamento, che sarà di solito inferiore a quello necessario per l’esecuzione di un provvedimento di allontanamento nei confronti di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare.

V. Conclusione

96.

Alla luce delle suesposte considerazioni, propongo alla Corte di rispondere alle questioni pregiudiziali sollevate dalla Cour constitutionnelle (Corte costituzionale, Belgio) nei termini seguenti:

1)

Gli articoli 20 e 21 TFUE e la direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE, come modificata dal regolamento (UE) n. 492/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 aprile 2001, devono essere interpretati nel senso che essi non ostano, in linea di principio, a che gli Stati membri applichino, nei confronti di un cittadino dell’Unione o di un suo familiare che sia stato oggetto di un provvedimento di allontanamento ai sensi della direttiva 2004/38, prima della scadenza del termine per la partenza volontaria previsto all’articolo 30, paragrafo 3, di detta direttiva, misure preventive intese a evitare qualsiasi rischio di fuga, come quelle di cui all’articolo 7, paragrafo 3, della direttiva 2008/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2008, recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, a condizione che tali misure siano basate su considerazioni oggettive e siano proporzionate.

2)

Gli articoli 20 e 21 TFUE nonché la direttiva 2004/38, come modificata dal regolamento n. 492/2011, devono essere interpretati nel senso che essi non ostano, in linea di principio, a che gli Stati membri prevedano, nei confronti di un cittadino dell’Unione o di un suo familiare che sia stato oggetto di un provvedimento di allontanamento ai sensi di detta direttiva, dopo la scadenza del termine per la partenza volontaria previsto dall’articolo 30, paragrafo 3 della citata direttiva, una misura di trattenimento, avente la finalità di dare esecuzione a tale provvedimento di allontanamento, avente una durata massima identica a quella prevista per i cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, a condizione che tale durata resti, nei singoli casi, quanto più breve possibile e non ecceda il tempo strettamente necessario all’esecuzione della misura di allontanamento, che sarà di solito inferiore a quello necessario per l’esecuzione di una misura di allontanamento nei confronti di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare.


( 1 ) Lingua originale: il francese.

( 2 ) Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE (GU 2004, L 158, pag. 77) come modificata dal regolamento (UE) n. 492/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 aprile 2011 (GU 2011, L 141, pag. 1, e rettifiche in GU 2004, L 229, pag. 35, e GU 2005, L 197, pag 34).

( 3 ) Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 dicembre 2008 recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare (GU 2008, L 348, pag. 98).

( 4 ) Ordinanza del 10 febbraio 2004, Mavrona (C‑85/03, EU:C:2004:83, punto 20).

( 5 ) Sentenza del 14 settembre 2017, Petrea (C‑184/16; in prosieguo: la «sentenza Petrea, EU:C:2017:684, punto 52).

( 6 ) Moniteur belge del 31 dicembre 1980, pag. 14584.

( 7 ) Moniteur belge del 19 aprile 2017, pag. 51890.

( 8 ) L’Ordre des barreaux francophones et germanophone ha proposto un ricorso di annullamento totale o parziale degli articoli da 5 a 52 della legge del 24 febbraio 2017.

( 9 ) L’Association pour le droit des Étrangers, la Coordination et Initiatives pour et avec les Réfugiés et Étrangers, la Ligue des Droits de l’Homme e il Vluchtelingenwerk Vlaanderen hanno proposto un ricorso per l’annullamento totale o parziale degli articoli 5, 6, da 12 a 14, da 17 a 19, 21, 22, da 24 a 26, da 28 a 31, 33, 34, 37, 41 e 45 della legge del 24 febbraio 2017.

( 10 ) Il giudice del rinvio cita altresì l’ordinanza del 10 febbraio 2004, Mavrona (C‑85/03, EU:C:2004:83), cui fanno riferimento i lavori preparatori della legge del 24 febbraio 2017.

( 11 ) Il giudice del rinvio non cita le disposizioni della direttiva soggiorno rilevanti al riguardo.

( 12 ) V. articolo 8 CE (GU 1992, C 191, pag. 1).

( 13 ) Sentenza del 7 ottobre 2010, Lassal (C‑162/09, EU:C:2010:592, punto 30 e la giurisprudenza ivi citata).

( 14 ) Occorre constatare che né l’articolo 27, paragrafo 1, né l’articolo 15, paragrafo 1, della direttiva soggiorno utilizzano i termini «provvedimenti di allontanamento». Tali disposizioni fanno, rispettivamente, riferimento più in generale, ad una «[limitazione] della libertà di circolazione e di soggiorno» o a «provvedimenti che limitano la libera circolazione». Tuttavia, dalle altre disposizioni della direttiva in parola risulta che i «provvedimenti di allontanamento» fanno chiaramente parte di tali misure (v. articolo 28, paragrafo 1, e articolo 15, paragrafi 2 e 3, di detta direttiva).

( 15 ) V., in tal senso, sentenze del 17 marzo 2016, Bensada Benallal (C‑161/15, EU:C:2016:175, punti da 23 a 25), Petrea (punto 53), e del 27 giugno 2018, Diallo (C‑246/17, EU:C:2018:499, punti 4559).

( 16 ) V. sentenza Petrea (punti da 50 a 56) e conclusioni dell’avvocato generale Szpunar nella causa Petrea (C‑184/16, EU:C:2017:324, paragrafi da 75 a 87).

( 17 ) V. sentenza Petrea (punti da 52 a 56). Nella fattispecie, la Corte ha concluso che la direttiva soggiorno non ostava a che un provvedimento di rimpatrio, adottato ai sensi della direttiva soggiorno, fosse adottato dalle stesse autorità e in base alla stessa procedura seguita per il provvedimento di rimpatrio di un cittadino di un paese terzo il cui soggiorno è irregolare, adottato ai sensi della direttiva rimpatri. Da un lato, per quanto riguarda la determinazione delle autorità competenti ad adottare le varie misure previste dalla direttiva soggiorno, la Corte ha dichiarato che tale determinazione rientra nell’autonomia procedurale degli Stati membri, tale direttiva non disponendo nulla al riguardo. Dall’altro lato, per quanto riguarda la procedura da seguire, la Corte ha ritenuto che non solo la direttiva rimpatri, a cui rinviava il diritto nazionale di cui al procedimento principale, prevedeva l’applicazione di garanzie procedurali, ma anche e soprattutto che il citato diritto faceva in ogni caso salva l’applicazione delle misure di recepimento di tale direttiva che fossero più favorevoli al cittadino dell’Unione.

( 18 ) V., altresì, articolo 3, punto 7, della direttiva rimpatri, che definisce il rischio di fuga.

( 19 ) Sentenza del 2 ottobre 2019, Bajratari (C‑93/18, EU:C:2019:809, punto 28 e giurisprudenza ivi citata).

( 20 ) V., in tal senso, sentenza del 27 giugno 2018, Diallo (C‑246/17, EU:C:2018:499, punto 46).

( 21 ) Il governo belga ha precisato che, nel diritto nazionale, il provvedimento che pone fine al soggiorno non contiene di per sé un provvedimento di rimpatrio o di allontanamento, ma che le autorità competenti possono, oltre a tale provvedimento che pone fine al soggiorno, decidere di adottare un provvedimento di rimpatrio o di allontanamento. Tali norme sono coerenti con le disposizioni della direttiva soggiorno che prevede, in sostanza, che, ai fini dell’adozione di un provvedimento di allontanamento, non è sufficiente che il cittadino dell’Unione o il suo familiare non soddisfi più le condizioni di soggiorno di cui al capo III di detta direttiva: egli deve anche rappresentare «un onere eccessivo per il sistema di assistenza sociale dello Stato membro ospitante» [v., al riguardo, l’analisi ai paragrafi da 49 a 53 delle mie conclusioni nella causa pendente Staatssecretaris van Justitie en Veiligheid (C‑719/19)].

( 22 ) L’articolo 44 quater della legge del 15 dicembre 1980, che prevede la possibilità di adottare «misure preventive», fa riferimento al termine di cui all’articolo 44 ter di tale legge, che, a sua volta, prevede la possibilità di disporre un ordine di lasciare il territorio «[q]ualora un cittadino dell’Unione o un suo familiare non abbia o non abbia più il diritto di soggiornare nel territorio».

( 23 ) Sentenza del 10 dicembre 2020, J & S Service (C‑620/19, EU:C:2020:1011, punto 31 e giurisprudenza ivi citata).

( 24 ) Il corsivo è mio.

( 25 ) Il giudice del rinvio rileva che l’«assegnazione di una residenza obbligatoria» è espressamente prevista dalla legge perché solo il legislatore può prevedere una misura restrittiva della libertà di circolazione e che il Consiglio dei ministri ne deduce che le altre «misure preventive» che il Re ha facoltà di stabilire, non possono avere lo scopo o l’effetto di limitare la libertà di circolazione.

( 26 ) «Queste nuove norme non costituiscono un recepimento della [direttiva rimpatri] ma si ispirano ampiamente ad essa» (Doc. Parl., Chambre, 2016-2017, Doc 54-2215/001, pag. 38).

( 27 ) Il governo belga aggiunge che le misure preventive non traggono fondamento dai motivi previsti dagli articoli 15 o 27 della direttiva soggiorno, bensì dall’esistenza di un rischio di fuga.

( 28 ) V. sentenze del 6 settembre 2016, Petruhhin (C‑182/15, EU:C:2016:630, punto 34), e del 13 novembre 2018, Raugevicius (C‑247/17, EU:C:2018:898, punto 31).

( 29 ) V. paragrafo 65 delle mie conclusioni nella causa pendente Staatssecretaris van Justitie en Veiligheid (C‑719/19).

( 30 ) Sebbene l’articolo 44 ter della legge del 15 dicembre 1980 preveda, in particolare, che l’«ordine di lasciare il territorio» debba indicare il termine per la partenza, che non può essere inferiore a un mese dalla notifica del provvedimento, l’articolo 44 quater di detta legge precisa che «[a]l fine di evitare qualsiasi rischio di fuga in pendenza del termine di cui all’articolo 44 ter, il cittadino dell’Unione o il suo familiare può essere obbligato ad ottemperare a misure preventive» (il corsivo è mio).

( 31 ) A questo proposito, rilevo che la conformità ai principi di equivalenza ed efficacia è raramente analizzata in un caso del genere, dato che la giurisprudenza della Corte riguarda principalmente le modalità che disciplinano le procedure amministrative e giurisdizionali intese a garantire la tutela del diritto dell’Unione [v., a titolo indicativo, sentenze del 4 ottobre 2012, Byankov (C‑249/11, EU:C:2012:608, punto 69), e del 17 marzo 2016, Bensada Benallal (C‑161/15, EU:C:2016:175, punti 2324 e giurisprudenza citata)].

( 32 ) V., in tal senso, sentenze del 12 maggio 2011, Runevič-Vardyn e Wardyn (C‑391/09, EU:C:2011:291, punto 83), e del 26 febbraio 2015, Martens (C‑359/13, EU:C:2015:118, punto 34).

( 33 ) Secondo la relazione esplicativa della legge del 24 febbraio 2017, essa mira ad «assicurare una politica di allontanamento più trasparente, più coerente e più efficace, in particolare quando lo scopo è quello di garantire l’ordine pubblico o la sicurezza nazionale, nel rispetto dei diritti fondamentali degli interessati» (Doc. Parl., Chambre, 2016-2017, Doc 54-2215/001, pag. 4).

( 34 ) V., per analogia, sentenza del 17 dicembre 2020, Generalstaatsanwaltschaft Berlin (Estradizione verso l’Ucraina) (C‑398/19, EU:C:2020:1032, punto 42), nella quale la Corte ha riconosciuto che l’obiettivo di evitare il rischio di impunità delle persone che hanno commesso un reato deve essere considerato legittimo e consente di giustificare una misura restrittiva di una libertà fondamentale, come quella prevista all’articolo 21 TFUE,

( 35 ) V., in tal senso, sentenza del 5 giugno 2018, Coman e a. (C‑673/16, EU:C:2018:385, punto 41).

( 36 ) A tal riguardo, l’articolo 27, paragrafo 2, della direttiva soggiorno precisa che i provvedimenti di allontanamento giustificati da motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza «sono adottati esclusivamente in relazione al comportamento personale della persona nei riguardi della quale essi sono applicati». Pertanto, in linea di principio, le autorità competenti disporranno di una prima valutazione del comportamento della persona interessata.

( 37 ) V., per analogia, sentenza del 17 febbraio 2005, Oulane (C-215/03, EU:C:2005:95, punti da 41 a 44), in cui la Corte ha ritenuto che un provvedimento di custodia cautelare di un cittadino dell’Unione possa costituire un ostacolo alla libera prestazione dei servizi. V., altresì, conclusioni dell’avvocato generale Léger nella causa Oulane (C-215/03, EU:C:2004:653, paragrafo 97).

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