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Document 62019CC0425

Conclusioni dell’avvocato generale E. Tanchev, presentate il 29 ottobre 2020.
Commissione europea contro Repubblica italiana e a.
Impugnazione – Aiuti di Stato – Intervento di un consorzio di diritto privato tra banche a favore di uno dei suoi membri – Autorizzazione dell’intervento da parte della banca centrale dello Stato membro – Nozione di “aiuto di Stato” – Imputabilità allo Stato – Risorse statali – Indizi che consentono di concludere per l’imputabilità di una misura – Snaturamento degli elementi di diritto e di fatto – Decisione che dichiara l’aiuto incompatibile con il mercato interno.
Causa C-425/19 P.

Court reports – general

ECLI identifier: ECLI:EU:C:2020:878

 CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

EVGENI TANCHEV

presentate il 29 ottobre 2020 ( 1 )

Causa C‑425/19 P

Commissione europea

contro

Repubblica italiana,

Banca Popolare di Bari SCpA, già Tercas-Cassa di risparmio della provincia di Teramo SpA (Banca Tercas SpA),

Fondo interbancario di tutela dei depositi,

Banca d’Italia

«Impugnazione – Aiuti di Stato – Intervento di un consorzio di diritto privato tra banche in favore di uno dei suoi membri – Nozione di aiuto di Stato – Imputabilità allo Stato – Risorse statali»

Indice

 

I. Contesto normativo

 

II. Fatti all’origine della controversia

 

III. Procedimento dinanzi al Tribunale e sentenza impugnata

 

IV. Procedimento dinanzi alla Corte e conclusioni delle parti

 

V. Analisi

 

A. Sul primo motivo di impugnazione, vertente sulla violazione, da parte del Tribunale, dell’articolo 107, paragrafo 1, TFUE per quanto attiene all’onere della prova che la Commissione deve soddisfare al fine di dimostrare che una misura di aiuto è imputabile allo Stato ed è concessa mediante risorse statali

 

1. Argomenti delle parti

 

2. Valutazione

 

a) Sulla ricevibilità

 

b) Sul merito

 

1) Osservazioni preliminari

 

2) Prima parte del primo motivo di impugnazione

 

i) Censura relativa alla prova dell’imputabilità allo Stato di una misura di aiuto

 

– Nella sentenza impugnata, il Tribunale non ha fissato un livello di prova più elevato nel caso di una misura di aiuto adottata da un ente privato anziché da un’impresa pubblica

 

– Qualora la Corte ritenga che, nella sentenza impugnata, il Tribunale abbia fissato un livello di prova più elevato nel caso di una misura di aiuto adottata da un ente privato, essa dovrebbe constatare che, così facendo, il Tribunale ha commesso un errore di diritto

 

– Qualora la Corte ritenga che la censura relativa alla prova dell’imputabilità allo Stato di una misura di aiuto sia fondata, essa dovrebbe comunque respingere tale censura in quanto inconferente

 

ii) Censura relativa alla prova che una misura di aiuto è concessa mediante risorse statali

 

3) Seconda parte del primo motivo di impugnazione

 

B. Sul secondo motivo di impugnazione, vertente sullo snaturamento del diritto nazionale e dei fatti

 

1. Argomenti delle parti

 

2. Valutazione

 

a) Sulla ricevibilità

 

b) Sul merito

 

VI. Sulle spese

 

VII. Conclusione

1.

Con la presente impugnazione, la Commissione europea chiede alla Corte di giustizia di annullare la sentenza del 19 marzo 2019, Italia e a./Commissione (in prosieguo: la «sentenza impugnata») ( 2 ), con cui il Tribunale ha annullato la decisione (UE) 2016/1208 della Commissione del 23 dicembre 2015 relativa all’aiuto di Stato cui l’Italia ha dato esecuzione a favore di Banca Tercas (in prosieguo: la «decisione controversa») ( 3 ).

2.

Nella decisione in questione, la Commissione ha ritenuto che le misure adottate da un consorzio di diritto privato tra banche, il Fondo interbancario di tutela dei depositi (in prosieguo: il «FITD») a favore di Banca Tercas (Cassa di risparmio della Provincia di Teramo SpA) (in prosieguo: «Tercas»), autorizzate dalla banca centrale della Repubblica italiana, la Banca d’Italia, il 7 luglio 2014, costituivano un aiuto di Stato illegittimo e incompatibile, che la Repubblica italiana era tenuta a recuperare presso il beneficiario.

3.

Con la sentenza impugnata, il Tribunale ha accolto i ricorsi di annullamento della decisione controversa proposti dalla Repubblica italiana, dalla Banca Popolare di Bari SCpA (in prosieguo: la «BPB») e dal FITD a motivo del fatto che le misure in questione non costituivano un aiuto di Stato ai sensi dell’articolo 107, paragrafo 1, TFUE. Secondo il Tribunale, la prima condizione necessaria per qualificare una misura di aiuto come aiuto di Stato non era soddisfatta, poiché le misure adottate dal FITD a favore di Tercas non erano imputabili allo Stato né erano state concesse mediante risorse statali.

4.

Poiché l’ente che aveva concesso l’aiuto non era un organismo statale né un’impresa pubblica, bensì un ente privato, ossia il FITD, si è posta la questione se l’imputabilità allo Stato delle misure adottate da tale ente e il loro finanziamento mediante risorse statali potessero essere valutati allo stesso modo di quanto avviene in relazione a una misura di aiuto adottata, in particolare, da un’impresa pubblica, o se la Commissione dovesse assolvere un onere probatorio più gravoso. Tale questione si colloca al centro della presente impugnazione.

I. Contesto normativo

5.

L’articolo 96-ter del Testo unico bancario italiano prevede quanto segue ( 4 ):

«1.   La Banca d’Italia, avendo riguardo alla tutela dei risparmiatori e alla stabilità del sistema bancario:

a)

riconosce i sistemi di garanzia, approvandone gli statuti, a condizione che i sistemi stessi non presentino caratteristiche tali da comportare una ripartizione squilibrata dei rischi di insolvenza sul sistema bancario;

b)

coordina l’attività dei sistemi di garanzia con la disciplina delle crisi bancarie e con l’attività di vigilanza;

(…)

d)

autorizza gli interventi dei sistemi di garanzia e le esclusioni delle banche dai sistemi stessi;

(…)».

II. Fatti all’origine della controversia

6.

Tercas è una banca a capitale privato operante principalmente nella regione Abruzzo, in Italia.

7.

Il 30 aprile 2012, su proposta della Banca d’Italia, che aveva rilevato irregolarità in seno a Tercas, il Ministro italiano dell’Economia e delle Finanze ha deciso di sottoporre Tercas ad amministrazione straordinaria. La Banca d’Italia ha nominato un commissario straordinario incaricato di gestire Tercas durante l’amministrazione straordinaria (in prosieguo: il «commissario straordinario»).

8.

Nell’ottobre 2013, il commissario straordinario ha avviato trattative con la BPB, la società capogruppo di un gruppo bancario a capitale privato attivo principalmente nell’Italia meridionale, la quale aveva manifestato interesse a sottoscrivere un aumento di capitale di Tercas, a condizione che fosse eseguita una due diligence sulla Tercas e che il FITD coprisse interamente il deficit patrimoniale di tale banca.

9.

Come osservato supra, al paragrafo 2, il FITD è un consorzio di diritto privato tra banche il cui scopo è quello di garantire i depositi dei suoi membri. Nel 1996, a motivo del recepimento nel diritto italiano della direttiva 94/19/CE ( 5 ), la Banca d’Italia ha riconosciuto il FITD come uno dei sistemi di garanzia dei depositi autorizzati a operare in Italia in applicazione di tali norme.

10.

Ai sensi dell’articolo 27 dello statuto del FITD, nella versione vigente all’epoca dei fatti del caso di specie (in prosieguo: lo «statuto del FITD»), in caso di liquidazione coatta amministrativa di uno dei suoi membri, il FITD interviene rimborsando i depositi dei depositanti effettuati presso il medesimo entro il limite di EUR 100000 per depositante.

11.

Tuttavia, il FITD dispone della facoltà d’intervenire a favore dei suoi membri non solo a titolo di tale garanzia dei depositi dei depositanti menzionata al paragrafo precedente (l’intervento obbligatorio), ma anche su base volontaria, se tale intervento consente di ridurre gli oneri che possono risultare dalla garanzia dei depositi gravante sui suoi membri (gli interventi facoltativi).

12.

Così, in forza dell’articolo 28 dello statuto del FITD, tale consorzio, invece di effettuare il rimborso previsto a titolo della garanzia dei depositi dei depositanti in caso di liquidazione coatta amministrativa di un membro del consorzio, può intervenire in operazioni di cessione di attività e passività riguardanti tale membro (l’intervento facoltativo alternativo). Parimenti, in forza dell’articolo 29 dello statuto del FITD, indipendentemente dall’avvio formale di una procedura di liquidazione coatta amministrativa, tale consorzio può decidere di intervenire mediante finanziamenti, garanzie, assunzioni di partecipazioni o mediante altre forme tecniche per sostenere uno dei propri membri sottoposto ad amministrazione straordinaria, qualora sussistano prospettive di risanamento e ove sia prevedibile un minor onere rispetto a quello derivante dall’intervento del FITD nel caso di una liquidazione coatta amministrativa di tale membro (l’intervento facoltativo di sostegno o preventivo, come per Tercas).

13.

Il 28 ottobre 2013, a seguito di una domanda del commissario straordinario di Tercas basata sull’articolo 29 dello statuto del FITD, il comitato di gestione del FITD ha deciso di intervenire a sostegno di Tercas per un importo massimo di EUR 280 milioni. Il 29 ottobre 2013 il consiglio del FITD ha ratificato detta decisione. Il 4 novembre 2013, conformemente all’articolo 96-ter, primo comma, lettera d), del Testo unico bancario, la Banca d’Italia ha approvato tale intervento di sostegno.

14.

Tuttavia, pur avendo già ottenuto l’autorizzazione della Banca d’Italia, il FITD ha deciso di sospendere l’intervento previsto in considerazione di incertezze relative all’assetto economico‑patrimoniale di Tercas e al trattamento fiscale dell’intervento stesso. Infatti, il 18 marzo 2014, in esito alla due diligence sugli attivi di Tercas, richiesta dalla BPB, era sorto un disaccordo tra i periti del FITD e quelli della BPB. Tale disaccordo è stato poi risolto tramite arbitrato. Inoltre, il FITD e la BPB hanno concordato di ripartirsi gli eventuali oneri derivanti dall’assoggettamento a imposta dell’intervento nel caso in cui l’esenzione fiscale prevista non fosse stata applicata.

15.

A seguito della sospensione dell’intervento del 18 marzo 2014 e per verificare la convenienza economica dell’intervento a favore di Tercas rispetto al rimborso dei depositanti di tale banca, il FITD si è avvalso dell’ausilio di una società di revisione e consulenza. Alla luce delle risultanze presentate da tale società in una relazione del 26 maggio 2014, e tenuto conto del costo dell’intervento rispetto al costo di un indennizzo a titolo del sistema di garanzia dei depositi in caso di liquidazione, il comitato di gestione e il consiglio del FITD hanno deciso, il 30 maggio 2014, di intervenire a sostegno di Tercas.

16.

In data 1o luglio 2014 il FITD ha trasmesso alla Banca d’Italia una nuova richiesta di autorizzazione. Il 7 luglio 2014 la Banca d’Italia ha autorizzato l’intervento del FITD a favore di Tercas, ossia: in primo luogo, un contributo di EUR 265 milioni a copertura del deficit patrimoniale di Tercas; in secondo luogo, una garanzia di EUR 35 milioni a copertura del rischio di credito associato a determinate esposizioni di Tercas; in terzo luogo, una garanzia di EUR 30 milioni a copertura dei costi derivanti dal trattamento fiscale della prima misura (in prosieguo: «le misure in questione»).

17.

Il 27 luglio 2014 l’assemblea generale degli azionisti di Tercas ha deliberato, da una parte, di coprire parzialmente le perdite, tra l’altro azzerando il capitale e annullando tutte le azioni ordinarie in circolazione e, dall’altra, di aumentare il capitale a EUR 230 milioni mediante l’emissione di nuove azioni ordinarie riservate alla BPB. Questo aumento di capitale è stato effettuato il 27 luglio 2014.

18.

L’8 agosto e il 10 ottobre 2014 la Commissione ha chiesto alle autorità italiane informazioni sull’intervento del FITD a favore di Tercas. Esse hanno risposto a tali richieste di informazioni il 16 settembre e il 14 novembre 2014.

19.

Con lettera del 27 febbraio 2015 la Commissione ha informato la Repubblica italiana della propria decisione di avviare il procedimento di cui all’articolo 108, paragrafo 2, TFUE riguardo a tale intervento.

20.

Il 23 dicembre 2015 la Commissione ha adottato la decisione controversa. Come osservato supra, al paragrafo 2, con tale decisione la Commissione ha ritenuto le misure in questione aiuti incompatibili e illegittimi e ne ha disposto il recupero ( 6 ).

III. Procedimento dinanzi al Tribunale e sentenza impugnata

21.

Come indicato al precedente paragrafo 3, con la sentenza impugnata il Tribunale ha annullato la decisione controversa, ritenendo che la Commissione avesse erroneamente concluso che le misure in questione costituivano aiuti di Stato. Secondo il Tribunale, tali misure non soddisfacevano la prima condizione necessaria affinché una misura nazionale possa essere qualificata come aiuto di Stato, vale a dire essere concessa direttamente o indirettamente mediante risorse statali ed essere imputabile allo Stato ( 7 ).

22.

In primo luogo, il Tribunale ha formulato un’osservazione preliminare sulla nozione di «aiuto concesso da uno Stato». Esso ha rilevato che, secondo la giurisprudenza, vantaggi concessi tramite enti diversi dallo Stato rientrano nell’ambito di applicazione dell’articolo 107, paragrafo 1, TFUE poiché, se così non fosse, il semplice fatto di creare enti autonomi incaricati della distribuzione di aiuti permetterebbe di aggirare le norme in materia di aiuti di Stato. Secondo il Tribunale, sebbene tale giurisprudenza miri a contrastare un rischio di sotto-inclusione dei vantaggi concessi da enti diversi dallo Stato, essa determina, parimenti, un rischio di sovra-inclusione. Di conseguenza, quando l’ente diverso dallo Stato che concede l’aiuto non è un’impresa pubblica, ma un ente privato, la Commissione deve dimostrare non solo che lo Stato ha la possibilità di esercitare un’influenza dominante su tale ente, ma, altresì, che esso era in grado di esercitare tale controllo nel caso concreto.

23.

In secondo luogo, il Tribunale ha statuito che la Commissione non ha dimostrato, in modo giuridicamente sufficiente, che le misure in questione erano imputabili allo Stato.

24.

Ad avviso del Tribunale, quando una misura di aiuto è adottata da un ente privato quale il FITD, anziché da un’impresa pubblica, la Commissione non può limitarsi a dimostrare che la mancanza d’influenza e di controllo effettivi delle autorità pubbliche su tale ente sia improbabile. Essa deve invece dimostrare che detta misura è stata adottata sotto l’influenza o il controllo effettivi delle autorità pubbliche. Nella presente causa, la Commissione non aveva fornito tale prova. In primo luogo, secondo il Tribunale, le misure in questione non erano espressione di un mandato pubblico conferito dalla normativa italiana al FITD: da un lato, le misure adottate da tale consorzio a sostegno di una banca consorziata, quali le misure in questione, rispondevano principalmente a interessi privati delle banche consorziate (poiché miravano a evitare le conseguenze economiche più onerose di un rimborso dei depositi in caso di liquidazione coatta amministrativa), e, dall’altro lato, il mandato pubblico conferito al FITD dalla legge italiana consisteva unicamente nel rimborsare i depositanti, e non nell’adozione di tali misure di intervento. In secondo luogo, per quanto concerne l’autonomia del FITD nell’adozione delle misure in questione, il Tribunale ha statuito che l’imputabilità allo Stato di tali misure non poteva essere desunta dai seguenti indizi: in primo luogo, dall’autorizzazione obbligatoria delle misure da parte della Banca d’Italia (poiché la concessione di tale autorizzazione era subordinata al rispetto delle norme prudenziali in materia bancaria, e non alla verifica, da parte della Banca d’Italia, dell’opportunità dell’intervento); in secondo luogo, dalla presenza di rappresentanti della Banca d’Italia alle riunioni degli organi direttivi del FITD (poiché tali rappresentanti avevano esercitato un ruolo di meri osservatori, senza diritto di voto); in terzo luogo, dal fatto che la Banca d’Italia era stata informata dell’andamento dei negoziati tra il FITD, da un lato, e la BPB e il commissario straordinario dall’altro (poiché non vi era alcuna prova che la Banca d’Italia avesse utilizzato tali contatti al fine di influenzare il contenuto delle misure in questione); né, in quarto luogo, dalla facoltà del commissario straordinario di avviare il procedimento che poteva sfociare in misure di intervento quali quelle in questione (poiché la richiesta di intervento del FITD da parte del commissario straordinario non aveva obbligato il FITD a intervenire).

25.

In terzo luogo, il Tribunale ha ritenuto che la Commissione non aveva fornito una prova sufficiente che le misure in questione erano state concesse mediante risorse statali.

26.

A sostegno di tale conclusione, il Tribunale ha rilevato, in primo luogo, che il mandato pubblico conferito al FITD non imponeva a tale consorzio di intervenire prima del dissesto di uno dei suoi membri, richiedendo a questi ultimi le risorse necessarie. In secondo luogo, il Tribunale ha ritenuto che le autorità pubbliche non esercitavano un controllo sulle risorse usate per finanziare le misure in questione, poiché, da un lato, tali misure non erano state adottate su iniziativa del commissario straordinario, bensì su iniziativa privata, quella della BPB, e, in secondo luogo, l’autorizzazione delle misure in questione da parte della Banca d’Italia non aveva dato luogo a qualcosa di diverso da un controllo formale di regolarità. In terzo luogo, il Tribunale ha sottolineato, anzitutto, che il carattere obbligatorio dei contributi utilizzati per finanziare le misure in questione non discendeva da una disposizione normativa, bensì dallo statuto del FITD, e, inoltre, che tali misure rispondevano agli interessi dei membri del FITD ed erano state adottate all’unanimità dagli organi direttivi del FITD.

27.

Poiché la prima condizione relativa alla qualificazione di una misura nazionale come aiuto di Stato non era soddisfatta, il Tribunale ha annullato la decisione controversa, senza esaminare gli altri motivi e argomenti dedotti dal governo italiano, dalla BPB, dal FITD e dalla Banca d’Italia.

IV. Procedimento dinanzi alla Corte e conclusioni delle parti

28.

Con la presente impugnazione, la Commissione chiede alla Corte di annullare la sentenza impugnata, di respingere i ricorsi proposti in primo grado per l’annullamento della decisione controversa nella parte in cui contestano, da un lato, l’imputabilità allo Stato delle misure in questione e, dall’altro, l’origine statale delle risorse, nonché di rinviare la causa al Tribunale, affinché statuisca sugli altri motivi dedotti dinanzi ad esso, e di riservare le spese.

29.

Il governo italiano, la BPB e la Banca d’Italia chiedono alla Corte di respingere il ricorso e di condannare la Commissione alle spese. Il FITD chiede alla Corte di dichiarare l’impugnazione irricevibile, inconferente e infondata, di confermare la sentenza impugnata e di condannare la Commissione alle spese.

V. Analisi

30.

La Commissione deduce due motivi di impugnazione. Con il suo primo motivo, essa sostiene che il Tribunale avrebbe violato l’articolo 107, paragrafo 1, TFUE per due ragioni, entrambe le quali attengono all’onere della prova che la Commissione deve soddisfare al fine di dimostrare che una misura di aiuto è imputabile allo Stato ed è concessa mediante risorse statali. Con il suo secondo motivo, la Commissione sostiene che il Tribunale avrebbe snaturato i fatti e interpretato erroneamente le disposizioni di diritto italiano pertinenti, commettendo gravi inesattezze materiali che risultano in modo manifesto dagli atti di causa.

A. Sul primo motivo di impugnazione, vertente sulla violazione, da parte del Tribunale, dell’articolo 107, paragrafo 1, TFUE per quanto attiene all’onere della prova che la Commissione deve soddisfare al fine di dimostrare che una misura di aiuto è imputabile allo Stato ed è concessa mediante risorse statali

1.   Argomenti delle parti

31.

Il primo motivo di impugnazione è diviso in due parti, entrambe vertenti, per ragioni diverse, su una violazione dell’articolo 107, paragrafo 1, TFUE.

32.

Nella prima parte del suo primo motivo di impugnazione, la Commissione sostiene che, ai punti 69, 89, 90, 91, 114, 116, 117, 127, 128 e 131 della sentenza impugnata, il Tribunale avrebbe commesso un errore per quanto riguarda l’onere della prova che la Commissione doveva soddisfare al fine di dimostrare che le misure in questione erano imputabili allo Stato ed erano state concesse mediante risorse statali; ciò poiché esso ha imposto alla Commissione di dimostrare non soltanto che lo Stato aveva la possibilità di esercitare un’influenza dominante sull’ente erogatore dell’aiuto, ma, altresì, che esso era in grado di esercitare tale controllo nel caso concreto, unicamente in ragione del fatto che tale ente era un’impresa privata. Secondo la Commissione, non vi è alcuna ragione di distinguere a seconda del carattere pubblico o privato dell’ente erogatore dell’aiuto, con la conseguenza che, anche nel caso in cui l’aiuto è concesso da un ente privato, la Commissione non è tenuta a dimostrare che, nel caso concreto, le autorità pubbliche abbiano specificamente indotto o sollecitato tale ente ad adottare la misura di aiuto di cui trattasi. Tale distinzione non trova alcun sostegno nella giurisprudenza. La Commissione sostiene, inoltre, che, in ogni caso, il FITD non deve essere considerato un ente privato, bensì un’emanazione dello Stato, poiché ad esso sono stati affidati compiti specifici ai sensi della direttiva 94/19. Pertanto, qualora la Corte ritenga che la Commissione debba soddisfare un onere della prova più gravoso nel caso in cui l’aiuto è concesso da un ente privato, nella presente causa essa non sarebbe tenuta a soddisfare siffatto onere più gravoso. Infine, la Commissione sottolinea che, qualora la Corte ritenga che la Commissione debba soddisfare un onere della prova più gravoso nel caso in cui l’aiuto è concesso da un ente privato, le sarebbe quasi impossibile dimostrare che le misure adottate dai sistemi di garanzia dei depositi costituiti da banche pubbliche e private, quali le misure in questione, costituiscono aiuti di Stato. Di conseguenza, tali sistemi potrebbero utilizzare i mezzi finanziari disponibili per adottare «misure alternative volte a evitare il fallimento di un ente creditizio» ai sensi dell’articolo 11, paragrafo 3, della direttiva 2014/49/UE ( 8 ) senza che tale ente sia stato sottoposto alla procedura di risoluzione ai sensi dell’articolo 32 della direttiva 2014/59/UE ( 9 ).

33.

Con la seconda parte del suo primo motivo di impugnazione, la Commissione sostiene che il Tribunale avrebbe commesso un errore per quanto attiene all’onere della prova che la Commissione doveva soddisfare al fine di dimostrare che le misure in questione erano imputabili allo Stato ed erano state concesse mediante risorse statali, esaminando e valutando i vari elementi di prova prodotti dalla Commissione nella decisione controversa in modo frammentario, senza considerarli nel loro insieme e senza tener conto del loro contesto più ampio. Per tale ragione, la Commissione contesta i punti 96, da 100 a 106, 114, 115, 116 e 125 della sentenza impugnata, nonché la valutazione del Tribunale della condizione ai sensi della quale la misura di aiuto deve essere concessa mediante risorse statali.

34.

Il governo italiano sostiene che il primo motivo di impugnazione è irricevibile e, in ogni caso, infondato.

35.

In ogni caso, il governo italiano deduce l’irricevibilità del primo motivo di impugnazione (o, almeno, della sua prima parte) in quanto vertente su una questione di fatto, e della seconda parte del primo motivo di impugnazione in quanto vertente su una questione di fatto e in quanto dall’impugnazione non emerge che essa sia diretta contro i punti da 125 a 132 della sentenza impugnata.

36.

Ad avviso del governo italiano, la prima parte del primo motivo di impugnazione è infondata, poiché la Commissione, che, al fine di dimostrare l’imputabilità allo Stato di una misura di aiuto adottata da un’impresa pubblica, è tenuta a dimostrare, ai sensi della giurisprudenza, l’effettivo coinvolgimento delle autorità pubbliche nell’adozione di tale misura, è tenuta a fornire tale prova, a fortiori, nel caso di una misura di aiuto adottata da un ente privato dotato di piena autonomia decisionale. Il valore probatorio degli elementi dai quali, in quest’ultimo caso, si può dedurre l’imputabilità allo Stato della misura di aiuto deve essere ancora più forte, data l’impossibilità di fare affidamento su eventuali legami organici tra l’ente privato e lo Stato. Secondo il governo italiano, la seconda parte del primo motivo di impugnazione sarebbe parimenti infondata poiché, nel valutare i vari elementi di prova, il Tribunale ha tenuto conto del «contesto» individuato al punto 125 della sentenza impugnata e del fatto che le misure in questione costituivano un’alternativa al rimborso dei depositanti in caso di liquidazione della Tercas, che rientrava nell’ambito del mandato pubblico conferito al FITD.

37.

La BPB sostiene che il primo motivo di impugnazione è irricevibile e, in ogni caso, infondato (prima e seconda parte di tale motivo), nonché inconferente (prima parte di tale motivo).

38.

La BPB deduce l’irricevibilità, in primo luogo, della prima parte del primo motivo di impugnazione (in quanto vertente su una questione di fatto) e, in secondo luogo, dell’argomento della Commissione secondo cui il FITD deve essere considerato un’emanazione dello Stato (in quanto verte su una questione di fatto e non è stato dedotto in primo grado), e, in terzo luogo, della seconda parte del primo motivo di impugnazione (in quanto vertente su una questione di fatto).

39.

In ogni caso, secondo la BPB, la prima parte del primo motivo di impugnazione sarebbe infondata poiché, anziché imporre alla Commissione un onere della prova più gravoso al fine di dimostrare l’imputabilità allo Stato di una misura di aiuto nel caso in cui l’aiuto sia concesso da un ente privato, il Tribunale si è limitato ad applicare, ai punti 67, 69 e da 87 a 91 della sentenza impugnata, la giurisprudenza che discende dalla sentenza del 16 maggio 2002, Francia/Commissione (C‑482/99, EU:C:2002:294), tenendo conto della natura privata del FITD. Inoltre, la prima parte del primo motivo di impugnazione sarebbe, in ogni caso, inconferente, nella misura in cui è diretta contro i punti 69, 89 e 90 della sentenza impugnata, dato che i punti da 94 a 132 di tale sentenza forniscono una base giuridica sufficiente per la conclusione del Tribunale secondo cui le misure in questione non sono imputabili allo Stato. Inoltre, la prima parte del primo motivo di impugnazione è infondata e, in ogni caso, inconferente, nella misura in cui contesta l’onere della prova più gravoso asseritamente imposto alla Commissione ai fini della prova che le misure in questione sono state concesse mediante risorse statali. Infine, secondo la BPB, la seconda parte del primo motivo di impugnazione è infondata.

40.

Il FITD sostiene che il primo motivo di impugnazione è irricevibile e, in ogni caso, infondato (prima e seconda parte di tale motivo), nonché inconferente (prima parte di tale motivo).

41.

Il FITD deduce gli stessi motivi di irricevibilità della BPB.

42.

In ogni caso, secondo il FITD, la prima parte del primo motivo di impugnazione è inconferente, in quanto, da un lato, la Corte di giustizia non sarebbe competente a procedere a una nuova valutazione dei fatti alla luce di un livello di prova meno gravoso e, dall’altro, l’impugnazione non rimetterebbe in discussione la conclusione del Tribunale secondo cui le misure in questione non sono state concesse mediante risorse statali, con la conseguenza che, essendo tali condizioni cumulative, un errore del Tribunale per quanto concerne il livello di prova necessario per dimostrare che tali misure sono imputabili allo Stato non avrebbe alcun impatto sul dispositivo della sentenza impugnata. Il FITD sostiene, inoltre, che la prima parte del primo motivo di impugnazione è infondata poiché, in primo luogo, il livello di prova fissato dal Tribunale ai fini di dimostrare l’imputabilità allo Stato di una misura di aiuto concessa da un ente privato non è superiore al livello stabilito nella sentenza del 16 maggio 2002, Francia/Commissione (C‑482/99, EU:C:2002:294), e, in secondo luogo, la Commissione non deduce alcuna censura specifica per quanto attiene al livello di prova fissato dal Tribunale ai fini della dimostrazione che una misura di aiuto adottata da un ente privato è concessa mediante risorse statali (e, in ogni caso, il criterio descritto al punto 134 della sentenza impugnata non è più rigoroso di quello previsto dalla giurisprudenza). Infine, la seconda parte del primo motivo di impugnazione è, a parere del FITD, infondata, in quanto dai punti 105, 106, 114, 120, 125, 132, 144, 147, 149, 157 e 161 della sentenza impugnata emerge chiaramente che il Tribunale ha considerato le prove nel loro insieme e ha tenuto conto del contesto delle misure in questione.

43.

La Banca d’Italia sostiene che il primo motivo di impugnazione è parzialmente irricevibile (prima parte del primo motivo di impugnazione, nella parte in cui contesta la conclusione del Tribunale secondo cui le misure in questione non erano imputabili allo Stato), parzialmente infondato (prima parte del primo motivo di impugnazione nella parte in cui contesta la conclusione del Tribunale secondo cui le misure in questione non erano imputabili allo Stato, e seconda parte del primo motivo di impugnazione) e parzialmente inconferente (prima parte del primo motivo di impugnazione).

44.

La Banca d’Italia deduce l’irricevibilità della prima parte del primo motivo di impugnazione e dell’argomento della Commissione secondo cui il FITD deve essere considerato un’emanazione dello Stato, poiché sollevano questioni di fatto.

45.

Secondo la Banca d’Italia, la prima parte del primo motivo di impugnazione è infondata nella misura in cui contesta la conclusione del Tribunale secondo cui le misure in questione non erano imputabili allo Stato, dato che, in assenza di indizi con un elevato valore probatorio, quale l’esistenza di legami organici tra l’ente erogatore dell’aiuto e lo Stato, non è sufficiente che la Commissione fornisca una prova «negativa» o «indiretta», dovendo fornire una prova «positiva» che lo Stato è stato coinvolto nell’adozione della misura di aiuto. In ogni caso, la prima parte del primo motivo di impugnazione sarebbe inconferente nella misura in cui contesta la conclusione del Tribunale secondo cui le misure in questione non erano imputabili allo Stato, poiché il Tribunale ha esaminato tutti gli indizi dedotti dalla Commissione e li ha ritenuti privi di valore probatorio. Analogamente, la prima parte del primo motivo d’impugnazione sarebbe inconferente nella misura in cui contesta la conclusione del Tribunale secondo cui le misure in questione non sono state concesse mediante risorse statali, dato che, nella sentenza impugnata, il Tribunale non ha fissato un livello di prova più elevato a tale riguardo. Infine, la seconda parte del primo motivo di impugnazione sarebbe infondata poiché il Tribunale, da un lato, ha ritenuto che ciascun elemento di prova, considerato singolarmente, era privo di valore probatorio e, dall’altro, ha tenuto conto del contesto delle misure in questione.

2.   Valutazione

46.

Con il suo primo motivo di impugnazione, la Commissione sostiene che il Tribunale avrebbe commesso un errore per quanto attiene all’onere della prova che la Commissione deve soddisfare al fine di dimostrare che una misura di aiuto è imputabile allo Stato ed è concessa mediante risorse statali, violando in tal modo l’articolo 107, paragrafo 1, TFUE. Nella prima parte del suo primo motivo di impugnazione, la Commissione sostiene che il Tribunale avrebbe erroneamente imposto alla Commissione di dimostrare l’esercizio di un’influenza dominante da parte delle autorità pubbliche, in ogni fase del procedimento che ha portato all’adozione di tale misura, sull’ente erogatore dell’aiuto, unicamente in ragione del fatto che quest’ultimo è un ente privato. Nella seconda parte del suo primo motivo di impugnazione, la Commissione sostiene che il Tribunale avrebbe commesso un errore nel valutare i vari elementi di prova prodotti dalla Commissione in modo frammentario, senza considerarli nel loro insieme e senza tener conto del loro contesto più ampio.

a)   Sulla ricevibilità

47.

In primo luogo, il governo italiano, la BPB, il FITD e la Banca d’Italia contestano la ricevibilità della prima parte del primo motivo di impugnazione in quanto vertente su una questione di fatto. A loro avviso, contrariamente a quanto sostenuto dalla Commissione, il Tribunale, nella sentenza impugnata, non le avrebbe imposto un onere della prova più gravoso nel caso in cui l’ente erogatore dell’aiuto non sia un’impresa pubblica, bensì un ente privato. Piuttosto, il Tribunale si sarebbe limitato ad applicare alle misure in questione (adottate da un ente privato, il FITD, e finanziate con fondi amministrati da tale ente) la giurisprudenza che si applica quando l’aiuto è concesso da un’impresa pubblica. Secondo il governo italiano, la BPB, il FITD e la Banca d’Italia, ne consegue che, con la prima parte del suo primo motivo di impugnazione, la Commissione non invoca un errore di diritto da parte del Tribunale. Essa contesta la valutazione dei fatti e delle prove effettuata dal Tribunale. Poiché tale valutazione non è suscettibile di controllo da parte della Corte, la prima parte del primo motivo di impugnazione è, a parere del governo italiano, della BPB, del FITD e della Banca d’Italia, irricevibile.

48.

Sono dell’avviso che detta eccezione di irricevibilità debba essere respinta.

49.

Con la prima parte del primo motivo di impugnazione, la Commissione contesta l’onere della prova più gravoso che, a suo avviso, il Tribunale le avrebbe imposto di assolvere quando l’aiuto è concesso da un ente privato. Secondo la giurisprudenza, la competenza della Corte a controllare le constatazioni di fatto del Tribunale si estende, tra l’altro, alla questione se le norme relative all’onere della prova e all’assunzione delle prove siano state rispettate. In particolare, la questione se il Tribunale abbia applicato criteri giuridici corretti nella sua valutazione dei fatti e degli elementi di prova costituisce una questione di diritto soggetta al sindacato della Corte nell’ambito del giudizio di impugnazione ( 10 ). Dunque, la prima parte del primo motivo di impugnazione solleva una questione di diritto.

50.

Desidero sottolineare che la questione se, nella sentenza impugnata, il Tribunale abbia o meno imposto alla Commissione di soddisfare un onere della prova più gravoso nel caso in cui l’aiuto è concesso da un ente privato è una questione che riguarda l’interpretazione della sentenza impugnata e, quindi, il merito della causa. Siffatta questione non può, a mio avviso, incidere sulla ricevibilità della prima parte del primo motivo di impugnazione.

51.

In secondo luogo, la BPB, il FITD e la Banca d’Italia contestano la ricevibilità della censura della Commissione secondo cui, qualora la Corte ritenga che la Commissione debba soddisfare un onere della prova più gravoso allorché l’ente erogatore dell’aiuto sia un ente privato, tale onere non si applicherebbe nel caso di specie poiché il FITD non è un tipico ente privato, bensì un’emanazione dello Stato ( 11 ). Secondo la BPB, il FITD e la Banca d’Italia, si tratta di una questione di fatto.

52.

Non condivido tale eccezione di irricevibilità. A mio avviso, la questione se il FITD debba essere considerato un’emanazione dello Stato, essendo stato ad esso demandato, da un organismo pubblico, l’assolvimento di un compito di interesse pubblico ed essendo stato dotato, a tal fine, di poteri che eccedono quelli risultanti dalle norme applicabili nei rapporti fra singoli ( 12 ), riguarda la qualificazione giuridica dei fatti della causa che, ai sensi della giurisprudenza, è soggetta al controllo della Corte ( 13 ). Inoltre, anche la questione se, qualora il FITD debba essere considerato come un’emanazione dello Stato, tale circostanza lo distingua da altri enti privati e se, per tale motivo, l’onere della prova più gravoso imposto dal Tribunale allorché l’aiuto sia concesso da un ente privato non debba applicarsi agli aiuti concessi dal FITD, è una questione di diritto.

53.

In terzo luogo, il FITD e la BPB sostengono che la censura della Commissione, riassunta supra, al paragrafo 51, sarebbe irricevibile, non essendo stata dedotta in primo grado.

54.

Non condivido tale eccezione di irricevibilità. Secondo la giurisprudenza, un argomento non dedotto in primo grado non può essere considerato un motivo nuovo, irricevibile in sede di impugnazione, se rappresenta un mero ampliamento di un argomento già sviluppato nell’ambito di un motivo presentato nel ricorso dinanzi al Tribunale ( 14 ). Sostenendo che il FITD deve essere considerato come un’emanazione dello Stato, la Commissione mira a dimostrare che, per tale motivo, l’onere della prova più gravoso imposto dal Tribunale nel caso in cui l’aiuto sia concesso da un ente privato non si applica agli aiuti concessi dal FITD. Pertanto, l’affermazione della Commissione secondo cui il FITD è un’emanazione dello Stato non costituisce un motivo, ma un mero argomento a sostegno del motivo, addotto dalla Commissione in primo grado, ai sensi del quale le misure in questione sono imputabili allo Stato e sono concesse mediante risorse statali. Ne consegue che tale censura è ricevibile.

55.

In quarto luogo, il governo italiano eccepisce l’irricevibilità dell’argomento della Commissione secondo cui il Tribunale avrebbe valutato le prove senza tener conto del contesto dei negoziati tra il FITD, da un lato, e la BPB e il commissario straordinario, dall’altro, a motivo del fatto che dall’impugnazione non emerge che essa è diretta contro i punti da 125 a 132 della sentenza impugnata, nei quali il Tribunale ha affrontato tale questione.

56.

Tale eccezione di irricevibilità non può essere accolta, poiché nell’impugnazione si precisa che è contestato il punto 126 della sentenza impugnata.

57.

In quinto luogo, il governo italiano, la BPB e il FITD deducono l’irricevibilità della seconda parte del primo motivo di impugnazione, in quanto con esso la Commissione contesterebbe la valutazione dei fatti e delle prove effettuata dal Tribunale.

58.

Anche questa eccezione di irricevibilità deve essere respinta. Con la seconda parte del primo motivo di impugnazione, la Commissione sostiene che il Tribunale non avrebbe valutato gli elementi di prova nel loro insieme e non avrebbe tenuto conto del contesto più ampio in cui sono state adottate le misure in questione. È vero che, secondo la giurisprudenza, spetta esclusivamente al Tribunale valutare il valore da attribuire agli elementi dinanzi ad esso prodotti ( 15 ). Tuttavia, la Commissione non contesta il valore attribuito dal Tribunale a ciascun elemento di prova prodotto dinanzi ad esso. Essa contesta il fatto che il Tribunale avrebbe omesso di valutare tali elementi di prova nel loro insieme e nel loro contesto più ampio, mentre, secondo una giurisprudenza costante, l’imputabilità può essere dedotta da un insieme di indizi risultanti dalle circostanze del caso di specie e dal contesto nel quale la misura è stata adottata ( 16 ). Trattasi di una questione di diritto.

59.

Ritengo che il primo motivo di impugnazione sia interamente ricevibile.

b)   Sul merito

1) Osservazioni preliminari

60.

Secondo una giurisprudenza costante, la qualificazione di una misura come aiuto di Stato ai sensi dell’articolo 107, paragrafo 1, TFUE esige che siano soddisfatte tutte le condizioni enunciate da tale disposizione. In primo luogo, deve sussistere un intervento dello Stato o effettuato mediante risorse statali. In secondo luogo, occorre che tale intervento possa incidere sugli scambi tra gli Stati membri. In terzo luogo, è necessario che esso conceda un vantaggio selettivo al suo beneficiario. In quarto luogo, tale intervento deve falsare o minacciare di falsare la concorrenza ( 17 ).

61.

Come indicato supra, al paragrafo 21, con la sentenza impugnata il Tribunale ha annullato la decisione controversa a motivo del fatto che non era soddisfatta la prima condizione di cui al paragrafo precedente.

62.

Per quanto concerne tale condizione, si deve ricordare che, affinché determinati vantaggi possano essere qualificati come «aiuti» ai sensi dell’articolo 107, paragrafo 1, TFUE, da un lato, essi devono essere concessi direttamente o indirettamente mediante risorse statali e, dall’altro, essi devono essere imputabili allo Stato ( 18 ). Tali due sottocondizioni sono cumulative ( 19 ).

63.

In primo luogo, per valutare se una misura sia imputabile allo Stato, occorre verificare se le autorità pubbliche abbiano avuto un qualche ruolo nell’adozione di tali misure ( 20 ).

64.

Se la misura di aiuto è prevista dalla legge o da un provvedimento amministrativo, è pacifico che tale misura sia imputabile allo Stato ( 21 ). La questione dell’imputabilità si pone quando la misura è adottata da un organismo distinto dallo Stato, quale un’impresa pubblica ( 22 ).

65.

In quest’ultimo caso, dalla sentenza del 16 maggio 2002, Francia/Commissione (C‑482/99, EU:C:2002:294) (in prosieguo: la «sentenza Stardust») e dalla successiva giurisprudenza discende che l’imputabilità allo Stato di una misura di aiuto adottata da un’impresa pubblica non può essere dedotta unicamente dal fatto che tale impresa si trovi sotto il controllo statale, dato che un’impresa pubblica può agire con maggiore o minore indipendenza, a seconda del grado di autonomia ad essa concesso dallo Stato, e, pertanto, l’esercizio effettivo di tale controllo nel caso concreto non può essere automaticamente presunto. Tuttavia, non si può neppure pretendere la prova che le autorità pubbliche abbiano concretamente sollecitato l’impresa pubblica ad adottare i provvedimenti di aiuto in questione o che tali provvedimenti siano stati effettivamente assunti dietro istruzione delle autorità pubbliche, dato che, a motivo delle strette relazioni che esistono tra lo Stato e le imprese pubbliche, sarebbe assai difficile per la Commissione fornire tale prova. Di conseguenza, ai sensi della «sentenza Stardust», l’imputabilità allo Stato di un provvedimento di aiuto adottato da un’impresa pubblica può essere dedotta da un insieme di indizi risultanti dalle circostanze del caso di specie e dal contesto nel quale il provvedimento in questione è stato adottato. Tali indizi comprendono, segnatamente: il fatto che l’impresa in questione dovesse tener conto delle esigenze o delle direttive delle autorità pubbliche; l’integrazione di tale impresa nelle strutture dell’amministrazione pubblica; la natura delle sue attività e l’esercizio di queste sul mercato in normali condizioni di concorrenza con gli operatori privati; lo status giuridico dell’impresa (impresa soggetta al diritto pubblico o al diritto comune delle società); e l’intensità della tutela esercitata dalle autorità pubbliche sulla gestione dell’impresa. Ribadisco che, ai sensi della «sentenza Stardust», tali indizi devono indicare, nel caso concreto, un coinvolgimento delle autorità pubbliche ovvero l’improbabilità di una mancanza di coinvolgimento nell’adozione di un provvedimento ( 23 ).

66.

Nella presente causa, le misure in questione non sono state adottate da un’impresa pubblica, come nel caso di cui alla «sentenza Stardust», bensì da un ente privato, ossia il FITD, un consorzio di diritto privato tra banche, i cui organi direttivi, vale a dire il comitato di gestione e il consiglio, sono stati eletti dall’assemblea generale del FITD e sono composti esclusivamente da rappresentanti delle banche consorziate ( 24 ).

67.

Al punto 69 della sentenza impugnata, il Tribunale ha ritenuto che l’obbligo della Commissione di dimostrare, sulla base di un insieme di indizi, l’esercizio effettivo di controllo da parte dello Stato nel caso concreto, obbligo che, ai sensi della «sentenza Stardust», si applica nel caso di una misura di aiuto concessa da un’impresa pubblica, si applica «tanto più» nel caso di una misura di aiuto concessa da un ente privato, poiché, a differenza di un’impresa pubblica, un ente privato non possiede un «vincolo di capitale» con lo Stato e, di conseguenza, non si può presumere che si trovi sotto il controllo dello Stato. Così, ai punti 89 e 90 della sentenza impugnata, il Tribunale ha statuito che, «a differenza di una situazione in cui una misura adottata da un’impresa pubblica è imputata allo Stato, nel caso di una misura adottata da un ente privato la Commissione non può limitarsi a dimostrare (…) che la mancanza d’influenza e di controllo effettivo delle autorità pubbliche su tale ente privato sia improbabile». In tal caso occorre invece dimostrare che «[la] misura [in questione è] stata adottata sotto l’influenza o il controllo effettivo delle autorità pubbliche».

68.

Il Tribunale ha quindi esaminato le prove addotte dalla Commissione e, come indicato supra, ai paragrafi 23 e 24, ha concluso, al punto 132 della sentenza impugnata, che la Commissione non aveva dimostrato in modo giuridicamente sufficiente l’imputabilità allo Stato delle misure in questione.

69.

In secondo luogo, è pacifico che un vantaggio è concesso mediante risorse statali quando i fondi utilizzati per finanziare tale vantaggio provengono dal bilancio dello Stato (o quando, con la concessione di tale vantaggio, lo Stato rinuncia a entrate) ( 25 ).

70.

La questione dell’utilizzo o meno di risorse statali si pone quando i fondi non provengono dal bilancio dello Stato, ma da privati, cioè quando trovano la loro origine in un onere o un contributo versato da privati. In tal caso, affinché tali fondi costituiscano risorse statali, essi devono rimanere costantemente sotto controllo pubblico e, dunque, a disposizione delle autorità pubbliche, anche se amministrati da un ente distinto dallo Stato. In altri termini, lo Stato deve essere in grado di disporre di tali fondi e orientare la loro utilizzazione per finanziare un vantaggio ( 26 ). Inoltre, deve sussistere un nesso sufficientemente diretto tra il vantaggio e una riduzione del bilancio statale o un rischio economico sufficientemente concreto di oneri gravanti su tale bilancio ( 27 )

71.

Nella presente causa, i fondi utilizzati per finanziare le misure in questione non provenivano dal bilancio dello Stato, ma da contributi delle banche aderenti al FITD. La loro origine era, dunque, privata ( 28 ). Inoltre, tali fondi erano versati a un ente privato distinto dallo Stato e amministrati dallo stesso ente, segnatamente il FITD, che ha attuato le misure in questione a seguito dell’autorizzazione della Banca d’Italia.

72.

Ai punti 135 e 136 della sentenza impugnata, il Tribunale ha rilevato che, in una situazione concernente imprese pubbliche ( 29 ), si era ritenuto che le risorse di tali imprese costituivano risorse statali, poiché lo Stato era in grado, esercitando la sua influenza dominante su tali imprese, di orientare l’utilizzo delle loro risorse e che, al riguardo, era irrilevante il fatto che le risorse fossero gestite da enti distinti dallo Stato o che fossero di origine privata. Il Tribunale ha quindi esaminato le prove sulle quali la Commissione si era basata per concludere che i fondi utilizzati per finanziare le misure in questione erano risorse statali e, come indicato supra, ai paragrafi 25 e 26, ha statuito, al punto 161 della sentenza impugnata, che la Commissione non aveva dimostrato l’impiego di risorse statali.

73.

Di conseguenza, il Tribunale ha annullato la decisione controversa a motivo del fatto che la Commissione non aveva dimostrato che le misure in questione erano imputabili allo Stato e che erano state concesse mediante risorse statali.

74.

Con il primo motivo di impugnazione, la Commissione sostiene, in sostanza, che il Tribunale avrebbe violato l’articolo 107, paragrafo 1, TFUE, in primo luogo nel dichiarare che, quando l’aiuto è concesso da un ente privato quale il FITD, anziché da un’impresa pubblica, la Commissione è tenuta a soddisfare un onere probatorio più gravoso al fine di dimostrare che una misura di aiuto è imputabile allo Stato ed è concessa mediante risorse statali (prima parte del primo motivo di impugnazione), e, in secondo luogo, nel valutare gli elementi di prova prodotti al riguardo in modo frammentario, senza considerarli nel loro insieme e senza tener conto del loro contesto più ampio (seconda parte del primo motivo di impugnazione).

2) Prima parte del primo motivo di impugnazione

75.

La prima parte del primo motivo di impugnazione si articola in due censure. Con la prima censura, la Commissione sostiene che il Tribunale avrebbe commesso un errore per quanto attiene all’onere della prova imposto alla Commissione al fine di dimostrare che una misura di aiuto è imputabile allo Stato nel caso in cui tale misura sia adottata da un ente privato anziché da un’impresa pubblica (in prosieguo: la «censura relativa alla prova dell’imputabilità allo Stato di una misura di aiuto»). Con la seconda censura, la Commissione sostiene che il Tribunale avrebbe commesso un errore per quanto attiene all’onere della prova imposto alla Commissione al fine di dimostrare che una misura di aiuto è concessa mediante risorse statali, nel caso in cui i fondi utilizzati per finanziare tale misura siano amministrati da un ente privato anziché da un’impresa pubblica (in prosieguo: la «censura relativa alla prova che una misura di aiuto è concessa mediante risorse statali»). Esaminerò tali censure nell’ordine.

i) Censura relativa alla prova dell’imputabilità allo Stato di una misura di aiuto

76.

A sostegno di tale censura, la Commissione sostiene che, ai punti 69, 89, 90, 91, 114, 116, 117, 127, 128 e 131 della sentenza impugnata, il Tribunale ha dichiarato che, nel caso di una misura di aiuto adottata da un ente privato, la Commissione deve fornire la prova positiva che le autorità pubbliche hanno esercitato un’influenza dominante o un controllo sull’adozione della misura di aiuto. In particolare, secondo la Commissione, il Tribunale ha statuito che essa doveva dimostrare che tali autorità avevano esercitato la loro influenza in ogni fase del procedimento che ha portato all’adozione di tale misura, che avevano impartito istruzioni vincolanti a tale ente e che il coinvolgimento delle autorità pubbliche aveva avuto un impatto sulla misura di aiuto. Secondo la Commissione, le conclusioni del Tribunale al riguardo sono in contrasto con la giurisprudenza, che non impone alla Commissione di dimostrare che le autorità pubbliche siano state coinvolte nell’adozione della misura di aiuto, bensì soltanto che il loro coinvolgimento nell’adozione di tale misura è probabile o che la mancanza di coinvolgimento è improbabile. Sebbene tale giurisprudenza sia stata sviluppata nel contesto di misure di aiuto adottate da imprese pubbliche, non vi è motivo, secondo la Commissione, di operare una distinzione tra imprese pubbliche ed enti privati e di applicare la suddetta giurisprudenza soltanto nel caso di misure di aiuto adottate da un’impresa pubblica, sviluppando un nuovo e più rigoroso criterio per il caso di misure di aiuto adottate da un ente privato.

77.

Il governo italiano, la BPB, il FITD e la Banca d’Italia sostengono che la censura relativa alla prova dell’imputabilità allo Stato di una misura di aiuto deve essere respinta.

78.

A mio avviso, tale censura non può essere accolta per i motivi esposti nel prosieguo. In primo luogo, contrariamente a quanto sostenuto dalla Commissione, e come sostengono il governo italiano, la BPB e il FITD, il Tribunale, nella sentenza impugnata, non ha imposto alla Commissione un onere della prova più gravoso nel caso di una misura di aiuto adottata da un ente privato anziché da un’impresa pubblica. In secondo luogo, qualora la Corte ritenga che il Tribunale abbia applicato un onere della prova più gravoso nella sentenza impugnata, la censura relativa alla prova dell’imputabilità allo Stato di una misura di aiuto dovrebbe comunque essere respinta in quanto, pur fondata, è inconferente.

79.

Prima di esaminare questi motivi, desidero svolgere due osservazioni preliminari.

80.

In primo luogo, occorre rilevare, per motivi di chiarezza, che, ai sensi del punto 67 della sentenza impugnata, per «ente privato» si intende un ente «dotato di uno status privato o di un’autonomia, incluso quanto alla gestione dei suoi fondi, rispetto agli interventi dei pubblici poteri e delle finanze pubbliche». Come ricordato dal Tribunale al punto 88 della sentenza impugnata, un «ente privato» non è un’impresa pubblica, definita all’articolo 2, lettera b) della direttiva 2006/111/CE ( 30 ) della Commissione come «ogni impresa nei confronti della quale i poteri pubblici possano esercitare, direttamente o indirettamente, un’influenza dominante per ragioni di proprietà, di partecipazione finanziaria o della normativa che la disciplina». In altri termini, un ente privato è un ente che non si trova sotto il controllo dello Stato.

81.

In secondo luogo, vorrei ricordare che la questione se, al fine di dimostrare l’imputabilità allo Stato di una misura di aiuto adottata da un ente privato, la Commissione debba fornire la prova positiva che le autorità pubbliche hanno esercitato un’influenza dominante o un controllo sull’adozione di tale misura, o se sia sufficiente dimostrare che la mancanza d’influenza e di controllo effettivo delle autorità pubbliche è improbabile ( 31 ), è relazionata – a prescindere dall’affermazione della Commissione secondo cui il Tribunale avrebbe commesso un errore per quanto attiene all’onere della prova ( 32 ) – più con il livello di prova (che determina il grado di certezza o di persuasione necessario per dimostrare un fatto) che con l’onere della prova (che determina quale parte deve provare i fatti e sopporta il rischio che i fatti non siano provati) ( 33 ).

– Nella sentenza impugnata, il Tribunale non ha fissato un livello di prova più elevato nel caso di una misura di aiuto adottata da un ente privato anziché da un’impresa pubblica

82.

Come indicato supra, al paragrafo 67, dai punti 69, 89 e 90 della sentenza impugnata risulta che, nel caso di una misura di aiuto adottata da un ente privato, il Tribunale richiede la prova di un’influenza o di un controllo effettivi da parte delle autorità pubbliche (una «prova positiva», secondo le parole della Commissione), mentre nel caso di una misura di aiuto adottata da un’impresa pubblica è sufficiente che la Commissione dimostri la probabilità di un’influenza e di un controllo effettivi da parte delle autorità pubbliche (o, piuttosto, l’improbabilità di una mancanza di un’influenza e di un controllo effettivi da parte di esse).

83.

Tuttavia, sono incline a ritenere che, contrariamente a quanto potrebbe sembrare, il Tribunale non abbia in tal modo imposto un livello di prova più elevato per dimostrare l’imputabilità allo Stato di una misura di aiuto quando tale misura è adottata da un ente privato anziché da un’impresa pubblica.

84.

Esaminerò qui di seguito ciascuno dei tre argomenti addotti dalla Commissione a sostegno della sua tesi secondo cui il Tribunale avrebbe fissato siffatto livello di prova più elevato nella sentenza impugnata. Secondo la Commissione, in tale sentenza il Tribunale le avrebbe richiesto di dimostrare quanto segue: in primo luogo, che le misure in questione erano state adottate dietro istruzione delle autorità pubbliche, che hanno obbligato il FITD ad adottare tali misure; in secondo luogo, che il coinvolgimento di tali autorità ha avuto un impatto sul contenuto di tali misure; e, in terzo luogo, che le autorità pubbliche hanno avuto un’influenza o un impatto effettivi in ogni fase del procedimento che ha portato all’adozione delle misure. Nessuno di tali argomenti è, a mio avviso, persuasivo.

85.

In primo luogo, rilevo che, contrariamente a quanto sostenuto dalla Commissione, il Tribunale, nella sentenza impugnata, non ha ritenuto che, per dimostrare l’imputabilità allo Stato di una misura di aiuto adottata da un ente privato, la Commissione sia tenuta a dimostrare che tale misura è stata adottata sulla base di istruzioni vincolanti delle autorità pubbliche, che hanno obbligato tale ente ad adottare tali misure.

86.

Se il Tribunale avesse richiesto tale prova, avrebbe effettivamente fissato un livello di prova più elevato rispetto a quello che si applica quando la misura di aiuto è adottata da un’impresa pubblica. Osservo che, come discende dal punto 54 della «sentenza Stardust», che riguardava una misura di aiuto adottata da un’impresa pubblica, alla Commissione non è richiesto di dimostrare che la misura è stata assunta dietro istruzione delle autorità pubbliche ( 34 ). Tuttavia, nella sentenza impugnata, il Tribunale non ha richiesto alla Commissione di fornire la prova descritta supra, al paragrafo 85.

87.

Infatti, nella sentenza impugnata, il Tribunale ammette che, nel caso di una misura di aiuto adottata da un ente privato, la prova di un’influenza o di un controllo effettivi da parte delle autorità pubbliche sull’adozione della misura di aiuto può essere dedotta «sotto forma d’indizi» ( 35 ), come nel caso in cui l’ente che concede l’aiuto è un’impresa pubblica ( 36 ). Ciò significa che la Commissione può dedurre l’imputabilità allo Stato di una misura di aiuto dalle circostanze del caso e dal contesto in cui tale misura è stata adottata, anziché fornire la prova diretta che la misura è stata adottata sotto l’influenza o il controllo delle autorità pubbliche, ossia anziché dimostrare che la misura è stata adottata dietro istruzione delle autorità pubbliche.

88.

Ciò anche perché dai punti 117, 127, 128 e 131 della sentenza impugnata, cui la Commissione fa riferimento, non risulta che essa sia tenuta a fornire la prova descritta supra, al paragrafo 85.

89.

È vero che, ai punti 117 e 130 della sentenza impugnata, il Tribunale ha ritenuto, da un lato, che la Banca d’Italia, attraverso la procedura di autorizzazione cui sono sottoposte le misure in questione, non aveva il potere di «obbligare il FITD a intervenire a sostegno di una banca in difficoltà» ( 37 ) e, dall’altro, che la presentazione, da parte del commissario straordinario di Tercas, di una richiesta di intervento del FITD «non [ha] obbliga[to] in alcun modo quest’ultimo ad accoglierla» ( 38 ).

90.

Tuttavia, rilevo che, per concludere che le misure in questione non erano imputabili allo Stato, il Tribunale non si è basato unicamente sul fatto che né la Banca d’Italia né il commissario straordinario avevano obbligato il FITD a intervenire a sostegno di Tercas o avevano impartito istruzioni vincolanti a tale consorzio.

91.

Infatti, ai punti da 122 a 124 della sentenza impugnata, il Tribunale si è fondato anche sul «ruolo puramente passivo» svolto dai rappresentanti della Banca d’Italia nelle riunioni degli organi direttivi del FITD. Se tali rappresentanti avessero svolto un ruolo più attivo in tali riunioni (ad esempio, «esterna[ndo] (…) i propri dubbi» in merito agli interventi pianificati), ciò sarebbe stato interpretato, dal Tribunale, come un elemento a sostegno dell’imputabilità allo Stato delle misure in questione ( 39 ). Inoltre, al punto 126 della sentenza impugnata, il Tribunale si è basato anche sul fatto che gli incontri informali tra la Banca d’Italia, da un lato, e la BPB, il FITD e il commissario straordinario dall’altro, (in prosieguo: «incontri informali») «hanno solamente consentito alla Banca d’Italia di essere informata» dei negoziati fra il FITD da un lato e la BPB e il commissario straordinario dall’altro. Pertanto, se la Banca d’Italia si fosse avvalsa degli incontri informali «al fine di influenzare in maniera determinante il contenuto delle misure (…) in questione», tale circostanza sarebbe stata considerata dal Tribunale come un indizio dell’imputabilità allo Stato di tali misure.

92.

Per quanto concerne la conclusione del Tribunale, al punto 127 della sentenza impugnata, secondo cui «l’invit[o]» della Banca d’Italia «a giungere a un’“intesa equilibrata” con la BPB per quanto concerne la copertura del deficit patrimoniale di Tercas» era «privo di qualsiasi valore vincolante per il FITD», osservo che, al fine di accertare che tale invito non costituiva un indizio che la Banca d’Italia avesse esercitato un’influenza sull’adozione delle misure in questione, il Tribunale si è basato non soltanto sul carattere non vincolante di tale invito, ma anche sul fatto che la decisione del FITD di adottare tali misure non è stata motivata da tale invito, bensì da considerazioni economiche (ossia le conclusioni della relazione presentata da una società di revisione e rendicontazione, secondo la quale il costo delle misure in questione era inferiore al costo dell’indennizzo nel quadro del sistema di garanzia dei depositi in caso di liquidazione di Tercas).

93.

Inoltre, per quanto riguarda la circostanza, di cui al precedente paragrafo 89, che la richiesta di intervento del commissario straordinario non era vincolante per il FITD, rilevo che, al fine di accertare che il procedimento che aveva condotto all’adozione delle misure in questione non era stato avviato da un’autorità pubblica, il Tribunale si è fondato, anche al punto 131 della sentenza impugnata, sul fatto che, in pratica, «l’iniziativa di rivolgersi al FITD risulta[va] dalle richieste formulate dalla BPB, che aveva subordinato la propria sottoscrizione di un aumento di capitale di Tercas alla copertura del deficit patrimoniale di tale banca da parte del FITD».

94.

Di conseguenza, contrariamente a quanto sostenuto dalla Commissione, il Tribunale, nella sentenza impugnata, non ha richiesto alla Commissione di dimostrare, nel caso di una misura di aiuto adottata da un ente privato, che tale misura sia stata adottata dietro istruzione vincolante delle autorità pubbliche, che hanno obbligato tale ente privato ad adottarla.

95.

In secondo luogo, rilevo che, contrariamente a quanto sostiene la Commissione, il Tribunale, nella sentenza impugnata, non ha statuito che, per dimostrare che una misura di aiuto adottata da un ente privato è imputabile allo Stato, la Commissione deve provare che il coinvolgimento delle autorità pubbliche ha avuto un impatto sul contenuto di tale misura.

96.

Se il Tribunale avesse richiesto siffatta prova, infatti, esso avrebbe fissato un livello di prova più elevato rispetto al caso in cui la misura di aiuto è adottata da un’impresa pubblica. Ciò poiché, ai sensi del punto 48 della sentenza del 25 giugno 2015, SACE e Sace BT/Commissione (T‑305/13, EU:T:2015:435), che riguardava una misura di aiuto adottata da un’impresa pubblica, non è necessario che la Commissione «esamin[i] l’incidenza di siffatto coinvolgimento [delle autorità pubbliche] sul contenuto della misura» al fine di dimostrare che essa è imputabile allo Stato. Tuttavia, nella sentenza impugnata, il Tribunale non ha richiesto alla Commissione di fornire la prova descritta al paragrafo precedente.

97.

Al punto 116 della sentenza impugnata, il Tribunale non ha esaminato se, in pratica, l’intervento della Banca d’Italia abbia avuto un impatto sul contenuto delle misure in questione. Esso ha invece ritenuto che la normativa italiana non conferisce alla Banca d’Italia, nell’ambito dell’autorizzazione delle misure in questione, il potere di modificare il contenuto di tali misure (e che, pertanto, la Banca d’Italia non poteva, in tale contesto, esercitare un’influenza sul contenuto delle misure in questione). Analogamente, per concludere, al punto 126 della sentenza impugnata, che la Banca d’Italia non si è avvalsa degli incontri informali «al fine di influenzare in maniera determinante il contenuto delle misure (…) in questione», il Tribunale non ha esaminato se, in pratica, la partecipazione della Banca d’Italia agli incontri informali abbia avuto un impatto sul contenuto delle misure in questione. Risulta, invece, che il Tribunale abbia semplicemente preso atto, in tale punto, del fatto che la partecipazione della Banca d’Italia è stata del tutto passiva e a scopo puramente informativo. Lo stesso vale per il punto 127 della sentenza impugnata, in cui il Tribunale ha rilevato che l’invito della Banca d’Italia al FITD a raggiungere un’intesa equilibrata con la BPB per quanto concerne la copertura del deficit patrimoniale di Tercas non ha avuto «il benché minimo impatto» sulla decisione del FITD di adottare le misure in questione, in quanto tale decisione non è stata motivata da tale invito, bensì dalle condizioni imposte dalla BPB.

98.

In terzo luogo, è priva di fondamento l’affermazione della Commissione secondo cui il Tribunale, al punto 114 della sentenza impugnata, esigerebbe la prova che le autorità pubbliche siano state in grado di influenzare «tutte le fasi» del procedimento che ha portato all’adozione delle misure in questione. A mio avviso, il motivo per cui il Tribunale, ai punti da 115 a 131 della sentenza impugnata ( 40 ), esamina ogni fase del procedimento, una dopo l’altra, consiste nel fatto che, non avendo rinvenuto alcuna prova che le autorità pubbliche avessero esercitato un’influenza o un controllo effettivi nella prima fase, esso ha verificato se avessero esercitato tale influenza nella seconda fase, e così via. Non vi è alcuna indicazione che, se il Tribunale avesse considerato, ad esempio, che la Banca d’Italia aveva esercitato un’influenza effettiva sull’adozione delle misure in questione nel contesto della loro autorizzazione, esso avrebbe ritenuto necessario esaminare se la Banca d’Italia avesse esercitato un’influenza analoga durante le altre fasi del procedimento.

99.

Concludo che, nella sentenza impugnata, il Tribunale non ha fissato un livello di prova più elevato nel caso di una misura di aiuto adottata da un ente privato e che la censura relativa alla prova dell’imputabilità allo Stato di una misura di aiuto deve essere respinta.

100.

Tuttavia, qualora la Corte ritenga, in particolare sulla base delle considerazioni di cui supra, al paragrafo 89, che il Tribunale abbia fissato un livello di prova più elevato nella sentenza impugnata, esaminerò la questione se il Tribunale, così facendo, abbia commesso un errore di diritto.

– Qualora la Corte ritenga che, nella sentenza impugnata, il Tribunale abbia fissato un livello di prova più elevato nel caso di una misura di aiuto adottata da un ente privato, essa dovrebbe constatare che, così facendo, il Tribunale ha commesso un errore di diritto

101.

Come osservato supra, al paragrafo 78, ritengo che il Tribunale avrebbe commesso un errore di diritto nel fissare un livello di prova più elevato (ma la censura relativa alla prova dell’imputabilità allo Stato di una misura di aiuto dovrebbe comunque essere respinta in quanto inconferente).

102.

Pur trovandomi d’accordo sul fatto che, per dimostrare che una misura di aiuto adottata da un ente privato è imputabile allo Stato, la Commissione deve dimostrare un’influenza o un controllo effettivi da parte delle autorità pubbliche sull’adozione di tale misura, a mio avviso è discutibile che, nel caso di una misura di aiuto adottata da un’impresa pubblica, sia sufficiente che la Commissione dimostri che la mancanza d’influenza e di controllo effettivi delle autorità pubbliche su tale ente sia improbabile, come ritenuto dal Tribunale, in sostanza, al punto 89 della sentenza impugnata.

103.

Osservo che, nella maggior parte delle sentenze che concernono una misura di aiuto adottata da un’impresa pubblica, non viene individuato il livello di prova applicabile ( 41 ). Tuttavia, il livello di prova è stato individuato nelle sentenze del 25 giugno 2015, SACE e Sace BT/Commissione (T‑305/13, EU:T:2015:435), del 28 gennaio 2016, Slovenia/Commissione, (T‑507/12, non pubblicata, EU:T:2016:35), e del 13 dicembre 2018, Comune di Milano/Commissione (T‑167/13, EU:T:2018:940), che riguardavano misure di aiuto adottate da imprese pubbliche. In tali sentenze, il Tribunale ha statuito che «è improbabile un’assenza di coinvolgimento delle autorità pubbliche nell’adozione delle misure controverse» ( 42 ) e che «la dimostrazione, da parte della Commissione, di un siffatto coinvolgimento delle autorità pubbliche nella concessione di un aiuto non impone la produzione di una prova positiva, ma è sufficiente dimostrare l’improbabilità di una mancanza di coinvolgimento nell’adozione della misura» ( 43 ). Pertanto, sembra che, nel caso di una misura di aiuto adottata da un’impresa pubblica, sia sufficiente dimostrare la probabilità del coinvolgimento delle autorità pubbliche (o l’improbabilità del loro mancato coinvolgimento), anziché il loro effettivo coinvolgimento ( 44 ).

104.

Di converso, nella sentenza del 13 dicembre 2018, Ryanair e Airport Marketing Services/Commissione (T‑53/16, EU:T:2018:943, punto 132), che riguardava una misura di aiuto adottata da un’impresa privata ( 45 ), sembra che il livello di prova applicato vada oltre la mera probabilità di un coinvolgimento delle autorità pubbliche poiché, secondo le parole del Tribunale, la Commissione aveva dimostrato che «[i tre indizi esaminati nella decisione controversa], aveva[no] influenzato in modo determinante il comportamento [dell’ente erogatore dell’aiuto] nei confronti [del beneficiario], tanto da far considerare i[l] contratt[o] in questione imputabil[e] allo Stato».

105.

Ciò detto, vorrei sottolineare che, a mio parere, la questione principale per quanto riguarda la prova dell’imputabilità allo Stato di una misura di aiuto non è se la Commissione debba dimostrare un effettivo esercizio di influenza o controllo da parte delle autorità pubbliche o se sia sufficiente che essa dimostri la probabilità di siffatta influenza o controllo (o l’improbabilità della mancanza di un’influenza e di un controllo effettivi da parte delle autorità pubbliche). La questione principale è, invece, quella degli indizi dai quali può essere dedotta l’imputabilità allo Stato di una misura di aiuto e, in particolare, la questione se tali indizi debbano riguardare l’adozione della misura di aiuto o se sia sufficiente che si riferiscano all’ente che concede l’aiuto. In altri termini, a mio avviso, la questione principale è se la Commissione debba dimostrare un’influenza o un controllo effettivi da parte delle autorità pubbliche su tale ente o se sia sufficiente che essa dimostri un’influenza o un controllo effettivi di tali autorità sull’adozione della misura di aiuto.

106.

A tale riguardo, rilevo che, in tutte le sentenze citate supra, ai paragrafi 103 e 104, in cui viene individuato il livello di prova applicabile, l’influenza o il controllo effettivi da parte delle autorità pubbliche o l’improbabilità della mancanza di tale influenza e controllo deve riguardare l’adozione della misura di aiuto, e non semplicemente l’ente che concede l’aiuto, indipendentemente dal fatto che tale ente sia un’impresa pubblica ( 46 ) o un ente privato ( 47 ). Tuttavia, prima di trarre conclusioni, occorre tener conto anche delle altre sentenze citate supra, al paragrafo 103, in relazione alle quali la questione se l’influenza o il controllo effettivi da parte delle autorità pubbliche debba riguardare l’adozione della misura di aiuto o semplicemente l’ente che concede l’aiuto può essere risolta esaminando gli indizi dai quali è stata dedotta l’imputabilità allo Stato della misura di aiuto ( 48 ). A tale riguardo, sembra che, sebbene in alcuni casi la constatazione dell’imputabilità della misura di aiuto allo Stato sia desunta unicamente da indizi attinenti all’impresa pubblica che ha adottato la misura di aiuto, nella maggior parte dei casi essa si deduce anche da indizi concernenti l’adozione di tale misura.

107.

Ad esempio, nella sentenza del 17 settembre 2014, Commerz Nederland (C‑242/13, EU:C:2014:2224, punti da 35 a 39), l’imputabilità allo Stato delle garanzie prestate dall’impresa di gestione portuale di Rotterdam, un ente interamente detenuto dal comune, è stata desunta, «in linea di principio» (e previa verifica da parte del giudice del rinvio), dai «rapporti organici» tra l’impresa di gestione portuale e il comune ( 49 ). Le circostanze che l’amministratore unico dell’impresa di gestione portuale avesse mantenuto segreta la prestazione delle garanzie e che il comune «si [sarebbe] presumibilmente» opposto alla prestazione di tali garanzie, se ne fosse stato informato, «non sono di per sé sole idonee ad escludere (…) una siffatta imputabilità». In tal caso, gli indizi da cui è stata dedotta l’imputabilità allo Stato della misura di aiuto si riferivano esclusivamente all’ente erogatore dell’aiuto, mentre è stata prestata poca attenzione agli indizi relativi all’adozione della misura di aiuto, che deponevano a sfavore della constatazione dell’imputabilità allo Stato. In tale sentenza, la Corte è giunta a un passo dallo stabilire una presunzione (confutabile) che, a mio parere, è difficilmente conciliabile con il punto 52 della «sentenza Stardust», ai sensi del quale «il solo fatto che un’impresa pubblica si trovi sotto il controllo dello Stato non è sufficiente per imputare a quest’ultimo misure adottate da tale impresa (…)».

108.

Analogamente, nella sentenza del 27 febbraio 2013, Nitrogénművek Vegyipari/Commissione (T‑387/11, non pubblicata, EU:T:2013:98, punti da 63 a 66), la conclusione secondo cui i crediti concessi da un ente creditizio interamente detenuto dallo Stato, la Magyar Fejlesztési Bank Zrt. (in prosieguo: la «MFB»), erano imputabili allo Stato ungherese è stata dedotta unicamente da indizi relativi alla MFB, ossia il fatto che le attività della MFB erano quelle tipiche di una banca pubblica di sviluppo, che essa possedeva uno status giuridico diverso da quello di una banca commerciale e che era soggetta a un’intensa vigilanza da parte delle autorità pubbliche (in particolare poiché il ministro competente esercitava i diritti di proprietà dello Stato rispetto alla MFB e nominava e destituiva i membri dei suoi organi direttivi). Osservo che tale vigilanza era esercitata sulle operazioni della MFB e non sulla concessione dei crediti in questione.

109.

Tuttavia, nella sentenza del 13 dicembre 2018, Comune di Milano/Commissione (T‑167/13, EU:T:2018:940, punti da 75 a 96), l’imputabilità allo Stato italiano degli aumenti di capitale effettuati dalla SEA SpA, società pubblica di gestione degli aeroporti milanesi, a favore della sua controllata Sea Handling SpA, è stata desunta non soltanto dai rapporti organici tra la SEA e il Comune di Milano (che deteneva la maggioranza delle azioni e dei diritti di voto nella SEA e nominava i membri degli organi direttivi della SEA), ma anche da un indizio relativo all’adozione della misura di aiuto. Tale indizio consisteva nell’accordo sindacale concluso dal Comune di Milano, dalla SEA e da vari sindacati, con il quale la SEA si era impegnata a compensare le perdite subite dalla Sea Handling, un sostegno successivamente attuato mediante gli aumenti di capitale in questione, ossia misure di aiuto. Come osservato dal Tribunale al punto 81 di tale sentenza, il Comune di Milano aveva partecipato alla negoziazione di tale accordo sindacale e, sottoscrivendo l’accordo, aveva dato il proprio avallo, nella sua qualità di azionista di maggioranza della SEA, all’impegno di tale società a ripianare le perdite della sua controllata e alla sua successiva attuazione da parte della SEA.

110.

Analogamente, nella sentenza del 13 maggio 2020, easyJet Airline/Commissione (T‑8/18, EU:T:2020:182, punti da 117 a 140), l’imputabilità alla regione autonoma della Sardegna (Italia) (in prosieguo: la «regione autonoma») dei pagamenti effettuati dalle società di gestione degli aeroporti sardi a favore delle compagnie aeree, a fronte della garanzia di collegamenti point-to-point da parte di queste ultime tra la Sardegna e taluni aeroporti europei, è stata desunta da indizi relativi all’adozione della misura di aiuto. Tali indizi erano i seguenti: in primo luogo, il fatto che i fondi utilizzati dalle società di gestione aeroportuale per remunerare le compagnie aeree erano messi a disposizione dalla regione autonoma a seguito dell’approvazione, da parte di quest’ultima, di un programma di attività dettagliato di tali società di gestione, da redigere in conformità con le direttive adottate dal governo della regione autonoma; e, in secondo luogo, il fatto che il meccanismo di rimborso delle spese anticipate dalle società di gestione aeroportuale consentiva alla regione autonoma di controllare l’attuazione dei programmi di attività delle società di gestione aeroportuale (poiché le spese derivanti dagli accordi tra le società di gestione aeroportuale e le compagnie aeree potevano essere rimborsate soltanto se il contenuto e la portata di tali accordi erano conformi alle direttive summenzionate). Osservo che l’influenza e il controllo esercitati dalla regione autonoma riguardavano il contenuto e l’attuazione dei programmi di attività delle società di gestione aeroportuale e che tale attuazione consisteva precisamente nella misura di aiuto (ossia la remunerazione versata dalle società di gestione aeroportuale alle compagnie aeree).

111.

Di conseguenza, come indicato supra, ai paragrafi 102 e 106, nel caso in cui l’ente che concede l’aiuto è un’impresa pubblica, non è sempre sufficiente che la Commissione dimostri un’influenza o un controllo effettivi da parte delle autorità pubbliche (o l’improbabilità della mancanza di tale influenza e controllo) su siffatta impresa. Essa è tenuta a dimostrare un’influenza o un controllo effettivi (o l’improbabilità della loro mancanza) sull’adozione della misura di aiuto. Il motivo per cui il livello di prova varia potrebbe trovarsi nella circostanza che, come ha affermato la Corte al punto 52 della «sentenza Stardust», «[u]n’impresa pubblica può agire con maggiore o minore indipendenza, a seconda del grado di autonomia ad essa concesso dallo Stato».

112.

Ne consegue che il livello di prova applicato nel caso di una misura di aiuto adottata da un’impresa pubblica è, in alcuni casi, simile, se non identico, a quello che si applica quando la misura di aiuto è adottata da un ente privato.

113.

Infatti, nella sentenza del 13 dicembre 2018, Ryanair e Airport Marketing Services/Commissione (T‑53/16, EU:T:2018:943, punti da 125 a 141), l’imputabilità a un ente statale, ossia il Syndicat mixte pour l’aménagement et le développement de l’aéroport de Nîmes (in prosieguo: lo «SMAN»), del contratto di servizi aeroportuali tra la Ryanair e l’ente privato gestore dell’aeroporto di Nîmes (Francia), vale a dire la Veolia Transport Aéroport de Nîmes (in prosieguo: la «VTAN»), è stata dedotta da indizi concernenti la conclusione di tale contratto. Tali indizi consistevano: in primo luogo, nel fatto che la convenzione di concessione di servizio pubblico conclusa tra lo SMAN e la VTAN incaricava quest’ultima non solo della gestione dell’aeroporto di Nîmes, ma anche dello sviluppo del traffico aereo, compito potenzialmente incompatibile con l’obiettivo principale di un gestore privato aeroportuale della massimizzazione della propria redditività; in secondo luogo, nel fatto che diverse dichiarazioni della VTAN precedenti alla conclusione del contratto di servizi aeroportuali in questione mostravano che la VTAN era consapevole del fatto che i rapporti con la Ryanair erano tali da penalizzare la redditività della gestione dell’aeroporto di Nîmes e che essa era disposta a stabilire una relazione con la Ryanair solo in ragione del contributo forfettario offerto dallo SMAN; e, in terzo luogo, nel fatto che la redditività della concessione della VTAN si fondava su detto contributo forfettario, il cui importo era stato calcolato in base ai costi e ai ricavi derivanti dal contratto con la Ryanair.

114.

Devo altresì rilevare che, nella sentenza del 13 maggio 2020, easyJet Airline/Commissione (T‑8/18, EU:T:2020:182, punti 279), citata supra, al paragrafo 110, il Tribunale, dopo aver osservato che una delle società di gestione aeroportuale era privata, non ha menzionato la natura privata di tale ente all’atto di valutazione dell’imputabilità, né tantomeno ha operato una distinzione rispetto alle misure adottate dalle altre società pubbliche di gestione aeroportuale.

115.

Di conseguenza, mentre dalla giurisprudenza risulta che, nel caso di una misura di aiuto adottata da un’impresa privata, la Commissione deve dimostrare un’influenza o un controllo effettivi da parte delle autorità pubbliche sull’adozione di tale misura, tale criterio è stato applicato dai giudici dell’Unione anche nei casi in cui la misura di aiuto è stata adottata da un’impresa pubblica.

116.

Rilevo altresì che, nella sentenza del 13 dicembre 2018, Ryanair e Airport Marketing Services/Commissione (T‑53/16, EU:T:2018:943, punto 135), citata supra, al paragrafo 113, il Tribunale non ha richiesto la prova che la misura di aiuto fosse stata adottata dall’impresa privata dietro istruzione delle autorità pubbliche. Ciò deriva dal fatto che l’argomento della Ryanair secondo cui lo SMAN si era sistematicamente astenuto dall’esercitare il suo potere di influenza sulla condotta della VTAN nelle sue trattative con la Ryanair è stato considerato irrilevante, poiché lo SMAN aveva il diritto di decidere liberamente di intervenire nei negoziati tra la VTAN e la Ryanair, e «sarebbe potuto intervenire se la VTAN avesse cercato di imporre alla Ryanair condizioni tali da condurre quest’ultima a ridurre il suo traffico nell’aeroporto di Nîmes» ( 50 ).

117.

Concludo che dalla giurisprudenza non risulta che si applichi un livello di prova più stringente nel caso di una misura di aiuto adottata da un ente privato anziché da un’impresa pubblica.

118.

Devo inoltre rilevare che, mentre uno degli indizi elencati al punto 56 della sentenza Stardust, ossia l’esistenza di rapporti organici con lo Stato (o, nelle parole della Corte, l’«integrazione [dell’ente erogatore dell’aiuto] nelle strutture dell’amministrazione pubblica»), non può ovviamente consentire di imputare allo Stato una misura adottata da un ente privato, gli altri indizi elencati in tale sentenza possono essere utilizzati, e sono stati utilizzati ( 51 ), per accertare l’imputabilità allo Stato di tale misura. Il fatto che, nel caso di una misura di aiuto adottata da un ente privato, manchi un indizio, implica che gli altri indizi devono essere particolarmente persuasivi. Ciò non significa tuttavia che, in questo caso, il livello di prova sia più elevato. Significa semplicemente che occorre soddisfare lo stesso livello di prova basandosi su indizi diversi dall’esistenza di rapporti organici con lo Stato.

119.

Concludo che, qualora la Corte ritenga che, nella sentenza impugnata, il Tribunale abbia applicato un livello di prova più elevato esclusivamente in ragione della natura privata dell’ente che ha concesso l’aiuto e, in particolare, che abbia richiesto la prova che la misura di aiuto sia stata adottata dietro istruzione delle autorità pubbliche, essa dovrebbe constatare che il Tribunale, così facendo, ha commesso un errore.

120.

Prima di spiegare il motivo per cui ritengo che, come indicato supra, al paragrafo 78, la censura relativa alla prova dell’imputabilità allo Stato di una misura di aiuto dovrebbe comunque essere respinta in quanto inconferente, vorrei sottolineare che, contrariamente a quanto sostiene la Commissione, in primo luogo, il rigetto della presente impugnazione non pregiudicherebbe il presupposto su cui si fondano le direttive 2014/49 e 2014/59 e, in secondo luogo, è irrilevante la questione se il FITD possa o meno essere considerato un’«emanazione dello Stato» ai sensi della sentenza del 12 luglio 1990, Foster e a. (C‑188/89, EU:C:1990:313).

121.

In primo luogo, non concordo con l’argomento della Commissione secondo cui, qualora la Corte ritenga che le misure in questione non siano imputabili allo Stato e che, pertanto, non costituiscono un aiuto di Stato, nessuna misura adottata da un sistema di garanzia dei depositi potrebbe costituire un aiuto di Stato, con la conseguenza che tali sistemi potrebbero utilizzare i mezzi finanziari disponibili per misure di intervento volte a evitare il fallimento di un ente creditizio senza che tale ente sia stato sottoposto alla procedura di risoluzione. Secondo la Commissione, ciò metterebbe a repentaglio il presupposto su cui si basano le direttive 2014/49 e 2014/59, ossia che tutte le misure adottate dai sistemi di garanzia dei depositi costituiscono aiuti di Stato.

122.

È opportuno precisare che i sistemi di garanzia dei depositi ( 52 ), il cui compito principale è quello di proteggere i depositanti dalle conseguenze dell’insolvenza di un ente creditizio, possono comunque andare oltre tale funzione ( 53 ) e utilizzare i mezzi finanziari disponibili «per misure alternative volte a evitare il fallimento di un ente creditizio», ai sensi dell’articolo 11, paragrafo 3, della direttiva 2014/49. Tuttavia, siffatto uso dei fondi disponibili di un sistema di garanzia dei depositi è subordinato alla condizione che non sia stata avviata alcuna azione di risoluzione per quanto concerne l’ente creditizio interessato. Ai sensi dell’articolo 32, paragrafo 4, lettera d), della direttiva 2014/59, può essere avviata un’azione di risoluzione quando l’ente necessita di «un sostegno finanziario pubblico straordinario», definito dall’articolo 2, paragrafo 1, punto 28) della medesima direttiva come «aiuti di Stato ai sensi dell’articolo 107, paragrafo 1, TFUE (…) forniti per mantenere o ripristinare la solidità, la liquidità o la solvibilità di un ente [creditizio]».

123.

Pertanto, nella presente causa, laddove le misure in questione fossero considerate aiuti di Stato, potrebbe essere avviata un’azione di risoluzione nei confronti del loro beneficiario (Tercas), il che impedirebbe al FITD, in quanto sistema di garanzia dei depositi riconosciuto ( 54 ) di utilizzare i mezzi finanziari disponibili «per misure alternative» volte a evitare il fallimento di Tercas ai sensi dell’articolo 11, paragrafo 3, della direttiva 2014/49, quali le misure in questione ( 55 ). Di converso, qualora la Corte ritenga che le misure in questione non costituiscano aiuti di Stato, non potrebbe essere adottata alcuna azione di risoluzione nei confronti di Tercas e, pertanto, il FITD potrebbe utilizzare i fondi disponibili per adottare misure come quelle in questione senza violare l’articolo 11, paragrafo 3, della direttiva 2014/49.

124.

Per i motivi esposti nel prosieguo, non condivido l’argomento della Commissione riassunto supra, al paragrafo 121.

125.

In primo luogo, se la Corte dovesse ritenere che le misure in questione non sono imputabili allo Stato e non costituiscono un aiuto di Stato, non ne conseguirebbe che nessuna misura adottata da un sistema di garanzia dei depositi potrebbe costituire un aiuto di Stato. Ciò dipenderebbe dalle caratteristiche del sistema di garanzia dei depositi e della misura in questione. A tale riguardo, rilevo che, in varie occasioni, le misure adottate dai sistemi di garanzia dei depositi sono state considerate aiuti di Stato ( 56 ).

126.

In secondo luogo, ricordo che l’articolo 11, paragrafo 3, della direttiva 2014/49 consente espressamente ai sistemi di garanzia dei depositi di utilizzare i mezzi finanziari disponibili per evitare il fallimento di un ente creditizio, a condizione che tale ente non sia stato sottoposto a risoluzione. Se, come suggerisce la Commissione, qualsiasi misura adottata da un sistema di garanzia dei depositi fosse considerata un aiuto di Stato, ciò potrebbe, in pratica, impedire ai sistemi di garanzia dei depositi di adottare misure alternative ai sensi di tale disposizione, dato che mancherebbe una condizione. Ciò potrebbe dunque privare tale disposizione del suo contenuto.

127.

In secondo luogo, non condivido l’argomento avanzato dalla Commissione secondo cui il FITD non sarebbe un tipico ente privato, bensì un’«emanazione dello Stato» ai sensi della sentenza del 12 luglio 1990, Foster e a. (C‑188/89, EU:C:1990:313, punto 18), con la conseguenza che, qualora la Corte ritenga che si applichi un livello di prova più elevato nel caso di una misura di aiuto adottata da un ente privato, tale livello non si applicherebbe alle misure adottate dal FITD.

128.

Osservo che il concetto di emanazione dello Stato è stato sviluppato in relazione alla dottrina dell’effetto diretto delle direttive nelle controversie di tipo «verticale» tra i singoli e lo Stato. Secondo una giurisprudenza costante, le disposizioni di una direttiva che siano incondizionate e sufficientemente precise possono essere invocate dai singoli nei confronti di organismi o enti soggetti all’autorità o al controllo dello Stato o che dispongono di poteri che eccedono i limiti di quelli risultanti dalle norme che si applicano nei rapporti fra singoli. Anche organismi o enti incaricati da un’autorità di svolgere funzioni di interesse pubblico e dotati, a tal fine, di poteri che eccedono quelli risultanti dalle norme applicabili nei rapporti fra singoli sono assimilabili allo Stato ( 57 ).

129.

Non vedo in che modo la questione se un organismo o un ente possa essere considerato un’emanazione dello Stato e se, in quanto tale, possa essere considerato come assimilabile allo Stato per quanto concerne l’effetto «verticale» delle direttive possa essere in qualche modo relazionata alla qualificazione come aiuto di Stato delle misure adottate da tale organismo o ente. Il concetto di emanazione dello Stato non è stato sviluppato a tal fine e non vedo il motivo per cui dovrebbe essere utilizzato per individuare il livello di prova applicabile alla dimostrazione che una misura di aiuto è imputabile allo Stato.

130.

In ogni caso, a mio avviso, il FITD non potrebbe essere considerato un’emanazione dello Stato ai sensi della giurisprudenza citata supra, al paragrafo 128. Ciò poiché, a differenza del Motor Insurers Bureau of Ireland, che è stato considerato un’emanazione dello Stato nella sentenza del 10 ottobre 2017, Farrell (C‑413/15, EU:C:2017:745, punti 3840), invocata dalla Commissione, il FITD non agisce in forza di un mandato pubblico quando, come nel caso di specie, interviene in assenza di una liquidazione coatta amministrativa di uno dei suoi membri, e non dispone di poteri che eccedono i limiti di quelli risultanti dalle norme che si applicano nei rapporti fra singoli, non avendo il potere di esigere un contributo da parte dei suoi membri.

131.

Concludo che, qualora la Corte ritenga che, nella sentenza impugnata, il Tribunale abbia applicato un livello di prova più elevato nel caso di una misura di aiuto adottata da un ente privato, dovrebbe constatare che il Tribunale, così facendo, ha commesso un errore. Tuttavia, dovrebbe comunque respingere la censura relativa alla prova dell’imputabilità allo Stato di una misura di aiuto poiché, come dimostrerò nel prosieguo, tale censura è inconferente.

– Qualora la Corte ritenga che la censura relativa alla prova dell’imputabilità allo Stato di una misura di aiuto sia fondata, essa dovrebbe comunque respingere tale censura in quanto inconferente

132.

Ciò a motivo del fatto che gli indizi elencati ai punti da 96 a 132 della sentenza impugnata non consentono di imputare allo Stato le misure in questione, anche qualora si ritenga applicabile lo stesso livello di prova nel caso in cui l’ente che concede l’aiuto sia un ente privato o un’impresa pubblica (e, di conseguenza, che la Commissione non sia tenuta, per provare l’imputabilità allo Stato di una misura di aiuto adottata da un ente privato, a dimostrare che le autorità pubbliche hanno spinto tale ente ad adottare la misura in questione, che il loro coinvolgimento ha avuto un impatto sul contenuto della misura e che esse hanno esercitato un’influenza in ogni fase del procedimento).

133.

In primo luogo, concordo con il Tribunale sul fatto che il mandato pubblico conferito al FITD dall’articolo 96-ter, primo comma, del Testo unico bancario italiano non è un indizio che consenta di imputare allo Stato le misure in questione, dato che, come osservato dal Tribunale al punto 101 della sentenza impugnata, tale mandato consiste unicamente nel rimborsare i depositanti, con la conseguenza che quando, come nel caso in esame, il FITD adotta misure di intervento a sostegno di una banca aderente, non agisce in forza di un mandato pubblico.

134.

In secondo luogo, l’imputabilità allo Stato italiano delle misure in questione non può essere dedotta dal fatto che tali misure sono soggette all’autorizzazione della Banca d’Italia. Dai punti 116 e 118 della sentenza impugnata emerge che, nell’ambito della procedura di autorizzazione, la Banca d’Italia non poteva esercitare alcuna influenza, né sull’adozione delle misure in questione né sul loro contenuto, poiché l’unico scopo di tale procedura era la verifica della conformità delle misure stesse alle norme prudenziali che disciplinano il settore bancario.

135.

In terzo luogo, dai punti 123 e 126 della sentenza impugnata discende che non vi è alcuna prova che la Banca d’Italia abbia esercitato un’influenza o un controllo informali. Il suo ruolo nelle riunioni degli organi direttivi del FITD è stato «puramente passivo», poiché i suoi rappresentanti si sono limitati a esprimere la loro soddisfazione per il modo in cui la crisi di Tercas è stata gestita, o non si sono espressi affatto. Inoltre, la partecipazione della Banca d’Italia agli incontri informali le ha semplicemente consentito di essere informata degli sviluppi dei negoziati tra il FITD da un lato e la BPB e il commissario straordinario dall’altro. L’unico elemento di prova rilevante è l’invito della Banca d’Italia a raggiungere un’intesa equilibrata per quanto concerne la copertura del deficit patrimoniale di Tercas, menzionato al punto 127 della sentenza impugnata. Tuttavia, a mio avviso, tale elemento ha uno scarso valore probatorio, dato che ciò che ha spinto il FITD ad adottare le misure in questione, più che l’invito della Banca d’Italia, è stata la tutela degli interessi dei suoi membri ( 58 ).

136.

In quarto luogo, è privo di effetto il fatto che il commissario straordinario abbia richiesto al FITD di adottare le misure in questione, dato che, come rilevato dal Tribunale al punto 131 della sentenza impugnata, l’iniziativa di rivolgersi al FITD non si deve al commissario straordinario, bensì alla BPB (poiché la BPB aveva subordinato la sua sottoscrizione di un aumento di capitale di Tercas alla copertura del deficit patrimoniale di tale banca da parte del FITD).

137.

Concludo che, qualora la Corte ritenga che l’imputabilità allo Stato di una misura di aiuto adottata da un ente privato debba essere valutata alla stregua di una misura di aiuto adottata da un’impresa pubblica, non si può ritenere che la Commissione abbia dimostrato che le misure in questione sono imputabili allo Stato.

138.

Di conseguenza, la censura relativa alla prova dell’imputabilità allo Stato di una misura di aiuto deve essere respinta per il motivo esposto supra, al paragrafo 99, o, in ogni caso (qualora la Corte ritenga che, nella sentenza impugnata, il Tribunale abbia fissato un livello di prova più elevato nel caso di una misura di aiuto adottata da un ente privato), per il motivo di cui al precedente paragrafo 137.

ii) Censura relativa alla prova che una misura di aiuto è concessa mediante risorse statali

139.

Sono del parere che, nella sentenza impugnata, il Tribunale non abbia imposto alla Commissione un onere della prova più gravoso o, piuttosto, che non abbia richiesto alla Commissione di soddisfare un livello di prova più elevato per dimostrare che una misura di aiuto è concessa mediante risorse statali quando, come nel caso in esame, le risorse utilizzate per finanziare tale misura sono amministrate da un ente privato anziché da un’impresa pubblica.

140.

Ciò è dovuto al fatto che nella sentenza impugnata non vi è alcuna dichiarazione di principio ai sensi della quale la Commissione dovrebbe soddisfare un livello di prova più elevato quando le risorse utilizzate per finanziare la misura di aiuto sono amministrate da un ente privato anziché da un’impresa pubblica. Pertanto, la sentenza impugnata non individua il presunto livello di prova più elevato che la Commissione dovrebbe, in tal caso, soddisfare. Dal tenore letterale dei punti da 88 a 90 di tale sentenza e dal fatto che essi si inseriscono nella sezione intitolata «Sull’imputabilità allo Stato italiano delle misure controverse» risulta chiaramente che tali punti riguardano soltanto l’imputabilità allo Stato di una misura di aiuto. Inoltre, nei punti da 133 a 161 della sentenza impugnata non si rinviene alcuna dichiarazione di principio concernente la questione se le misure in questione siano state finanziate con risorse statali, analoga a quella di cui ai punti da 88 a 90 della stessa sentenza. Piuttosto, ai punti da 133 a 161 della sentenza impugnata, il Tribunale rinvia alla giurisprudenza sulla nozione di intervento mediante risorse statali, senza tentare di distinguere tra le risorse amministrate da un’impresa pubblica e quelle amministrate da un ente privato, il che sorprende, a maggior ragione considerando che, ai punti 135 e 136, il Tribunale, citando la sentenza del 9 novembre 2017, Commissione/TV2/Danmark (C‑656/15 P, EU:C:2017:836), rileva che essa riguarda le imprese pubbliche ( 59 ).

141.

Inoltre, non mi sembra che, ai punti da 139 a 161 della sentenza impugnata, il Tribunale si sia basato su elementi non menzionati nelle sentenze del 13 settembre 2017, ENEA (C‑329/15, EU:C:2017:671), del 28 marzo 2019, Germania/Commissione (C‑405/16 P, EU:C:2019:268), e del 15 maggio 2019, Achema e a. (C‑706/17, EU:C:2019:407), che riguardavano misure di aiuto finanziate mediante risorse gestite da imprese pubbliche. In particolare, le circostanze che la Banca d’Italia non avesse il potere di orientare l’uso delle risorse del FITD (dato che la procedura di autorizzazione non consentiva alla Banca d’Italia di effettuare un esame delle misure in questione che andasse al di là di una verifica formale della loro legittimità), e che, nonostante il contributo utilizzato dal FITD per finanziare le misure in questione fosse obbligatorio, il carattere obbligatorio di tale contributo non derivasse da una disposizione di legge, bensì dallo statuto del FITD, sembrano in linea con tali sentenze ( 60 ).

142.

Osservo inoltre che la Commissione non spiega neppure in che cosa consista il criterio più rigoroso che il Tribunale avrebbe applicato nel caso di risorse amministrate da un ente privato, né individua i punti della sentenza impugnata in cui tale criterio più rigoroso verrebbe applicato ( 61 ).

143.

Pertanto, ritengo che, nella sentenza impugnata, il Tribunale non abbia richiesto alla Commissione di soddisfare un livello di prova più elevato per dimostrare che una misura di aiuto è concessa mediante risorse statali nel caso in cui le risorse utilizzate per finanziare tale misura siano amministrate da un ente privato anziché da un’impresa pubblica.

144.

Per completezza, illustrerò brevemente le ragioni per cui, qualora la Corte ritenga che, nella sentenza impugnata, il Tribunale abbia fissato un livello di prova più elevato nel caso di risorse amministrate da un’impresa privata, la censura relativa alla prova che una misura di aiuto è concessa mediante risorse statali dovrebbe comunque essere respinta in quanto, sebbene fondata, è inconferente.

145.

Nella situazione di cui al paragrafo che precede, tale censura sarebbe fondata perché, a quanto mi risulta, non vi è alcuna indicazione nella giurisprudenza che si applichi un livello di prova più elevato nel caso in cui l’ente che amministra le risorse utilizzate per finanziare una misura di aiuto non sia un’impresa pubblica, ma un ente privato. Nel caso di risorse amministrate da un ente privato, la Corte ha applicato la giurisprudenza citata supra, al paragrafo 70, che essa ha sviluppato per quanto attiene alle risorse amministrate da un’impresa pubblica ( 62 ); in altri termini, essa ha verificato se i fondi fossero stati ottenuti mediante contributi obbligatori imposti dalla legislazione di uno Stato membro e se lo Stato avesse il potere di disporre dei fondi amministrati dall’impresa.

146.

A tal riguardo, non condivido l’argomento dedotto dalla Commissione nella sua replica secondo cui, qualora la Corte ritenga che il livello di prova da applicare per dimostrare l’imputabilità allo Stato di una misura di aiuto adottata da un ente privato sia inferiore a quello applicato nella sentenza impugnata, si dovrebbe applicare un livello di prova inferiore anche per dimostrare che tale misura è stata concessa mediante risorse statali. Secondo la Commissione, ciò deriva dal fatto che il grado di controllo esercitato dalle autorità pubbliche sull’ente che concede l’aiuto è fondamentale non soltanto per stabilire se tale misura è imputabile allo Stato, ma anche per determinare se è concessa mediante risorse statali. Basti osservare, a tale riguardo, che dalla giurisprudenza citata al precedente paragrafo 70 risulta che, qualora i fondi utilizzati per finanziare una misura di aiuto provengano da risorse private, la Commissione deve anche dimostrare che tali fondi sono stati ottenuti mediante contributi obbligatori imposti dalla legislazione di uno Stato membro.

147.

Tuttavia, come menzionato supra, al paragrafo 144, qualora la Corte constatasse che, nella sentenza impugnata, il Tribunale ha imposto alla Commissione di soddisfare un livello di prova più elevato nel caso di risorse amministrate da un ente privato, e che, così facendo, è incorso in errore, essa dovrebbe comunque respingere la censura relativa alla prova che una misura di aiuto è concessa mediante risorse statali, in quanto inconferente.

148.

Ciò poiché non risulta che le autorità pubbliche abbiano esercitato alcuna forma di controllo sull’utilizzo dei fondi derivanti dai contributi riscossi presso i membri del FITD, dato che, ai sensi dei punti 145 e 147 della sentenza impugnata, in primo luogo la Banca d’Italia non aveva il potere di orientare l’uso delle risorse del FITD nell’ambito dell’autorizzazione delle misure in questione, e, in secondo luogo, in pratica, l’intervento del FITD a favore di Tercas non è stato avviato su iniziativa delle autorità pubbliche, bensì di un’impresa privata, ossia la BPB. Ciò anche perché, come affermato dal Tribunale al punto 159 della sentenza impugnata, è indubbio che il carattere obbligatorio del contributo dei membri del FITD non deriva da una disposizione di legge, bensì da una decisione unanime di tali membri, e che, pertanto, esso non può essere assimilato a un prelievo parafiscale. A tale riguardo, osservo che, nella sentenza del 28 marzo 2019, Germania/Commissione (C‑405/16 P, EU:C:2019:268, punti 7071), la Corte ha posto l’accento sul fatto che il carattere obbligatorio del contributo utilizzato per finanziare la misura di aiuto discendeva da una disposizione di legge e la circostanza che, «in pratica», l’importo aggiuntivo pagato dai fornitori di elettricità fosse stato trasferito sui consumatori finali è stata considerata irrilevante.

149.

Concludo che la censura relativa alla prova che una misura di aiuto è concessa mediante risorse statali deve essere respinta per il motivo esposto supra, al paragrafo 143, o, in ogni caso (qualora la Corte ritenga che, nella sentenza impugnata, il Tribunale abbia richiesto alla Commissione di soddisfare un livello di prova più elevato nel caso di risorse amministrate da un ente privato), per il motivo esposto al precedente paragrafo 148.

150.

Di conseguenza, la prima parte del primo motivo di impugnazione deve essere respinta.

3) Seconda parte del primo motivo di impugnazione

151.

Con la seconda parte del primo motivo di impugnazione, la Commissione sostiene che il Tribunale avrebbe commesso un errore nel valutare in modo frammentario gli elementi di prova prodotti e avrebbe omesso di considerarli nel loro insieme e di tenere conto del loro contesto più ampio nei punti 96, da 100 a 106, 114, 115, 116 e 125 della sentenza impugnata, e per quanto concerne la prova che le misure in questione sono state concesse mediante risorse statali. A tale riguardo, la Commissione sostiene che, secondo la giurisprudenza, l’imputabilità allo Stato di una misura di aiuto può essere dedotta da una serie di indizi derivanti dalle circostanze del caso e dal contesto in cui la misura è stata adottata. Sebbene talune prove possano avere, di per sé, un valore probatorio relativamente scarso, esse possono, ove considerate congiuntamente, consentire di imputare allo Stato una determinata misura.

152.

Il governo italiano, la BPB, il FITD e la Banca d’Italia sostengono che la seconda parte del primo motivo di impugnazione debba essere respinta.

153.

Ritengo che la seconda parte del primo motivo di impugnazione debba essere respinta.

154.

Concordo con la Commissione sul fatto che le prove addotte debbano essere valutate nel loro insieme. Ciò discende dal fatto stesso che la prova dell’imputabilità allo Stato di una misura di aiuto può essere dedotta da indizi che, come dimostra l’elenco non tassativo di indizi di cui ai punti da 55 a 57 della «sentenza Stardust», possono essere di vario tipo e riguardare la misura in sé, il suo contesto o l’ente che l’ha adottata e, pertanto, possono avere un valore probatorio diverso.

155.

Tuttavia, contrariamente a quanto sostenuto dalla Commissione, il Tribunale, nella sentenza impugnata, non ha valutato le prove in modo frammentario.

156.

In primo luogo, la Commissione sostiene che, nel constatare, ai punti 96 e da 100 a 106 della sentenza impugnata, da un lato che il mandato pubblico conferito al FITD consisteva unicamente nel rimborsare i depositanti e, dall’altro lato, che adottando misure alternative a sostegno di una banca aderente in assenza della liquidazione coatta amministrativa di quest’ultima, il FITD ha agito al di fuori dell’ambito del mandato ad esso conferito, il Tribunale non avrebbe tenuto conto del fatto che tali misure alternative miravano precisamente ad evitare di dover rimborsare i depositanti in caso di liquidazione. È vero che, ai sensi dell’articolo 29, paragrafo 1, dello statuto del FITD, una condizione per l’adozione di misure come quelle in questione è che sia prevedibile un minor onere rispetto a quello derivante nel caso di una liquidazione coatta amministrativa della banca interessata, che farebbe scattare l’obbligo per il FITD di rimborsare i depositanti. Tuttavia, ciò non toglie nulla al fatto che, nell’adottare misure come quelle in questione, il FITD non ha agito nell’interesse pubblico (cioè nell’interesse dei depositanti), bensì nell’interesse delle banche aderenti, e che la decisione di adottare tali misure non è scaturita da un obbligo di legge, ma da una decisione autonoma delle banche aderenti al FITD, con la conseguenza che il mandato pubblico conferito al FITD non costituiva un indizio tale da consentire di imputare allo Stato le misure in questione.

157.

In secondo luogo, la Commissione sostiene che, nel richiedere, al punto 114 della sentenza impugnata, la prova di un’influenza o di un controllo effettivi da parte delle autorità pubbliche in ogni fase del procedimento che ha portato all’adozione delle misure in questione, il Tribunale avrebbe omesso di esaminare se, considerando tali fasi congiuntamente, si potesse ritenere che le autorità pubbliche erano coinvolte nell’adozione delle misure in questione in misura sufficiente da poterle imputare allo Stato. Ancora una volta, non sono d’accordo con la lettura della sentenza impugnata da parte della Commissione. Come spiegato supra, al paragrafo 98, il Tribunale, al punto 114 della sentenza impugnata, non ha richiesto la prova di un’influenza o di un controllo effettivi da parte delle autorità pubbliche in ogni fase del procedimento.

158.

In terzo luogo, la Commissione sostiene, in sostanza, che la circostanza che, come menzionato ai punti 115 e 116 della sentenza impugnata, l’adozione delle misure in questione fosse soggetta all’autorizzazione della Banca d’Italia e il fatto che, come rilevato dal Tribunale al punto 126 di tale sentenza, tale istituzione fosse stata informata degli sviluppi dei negoziati tra il FITD da un lato e la BPB e il commissario straordinario dall’altro, avrebbero indotto il Tribunale, ove considerati congiuntamente, a ritenere che la Banca d’Italia aveva esercitato un’influenza o un controllo effettivi sull’adozione di tali misure. Tuttavia, a mio avviso, è irrilevante la questione se tali fatti siano stati o meno valutati congiuntamente, dato che la Banca d’Italia non ha esercitato alcuna influenza o controllo effettivi né al momento dell’autorizzazione delle misure in questione (essendosi limitata a verificare la conformità di tali misure alle norme prudenziali) né quando ha partecipato agli incontri informali (poiché tali incontri non le hanno consentito di influenzare il contenuto di tali misure).

159.

In quarto luogo, la Commissione sostiene, in sostanza, che il fatto che, ai sensi dell’articolo 96, primo comma, del Testo unico bancario italiano, le banche italiane (ad eccezione delle banche di credito cooperativo) siano tenute ad aderire al FITD ( 63 ), nonché il fatto che la stessa disposizione dello statuto del FITD disciplini il contributo utilizzato per finanziare le misure in questione e il contributo utilizzato per rimborsare i depositanti in caso di liquidazione coatta amministrativa di una delle banche aderenti ( 64 ), ove considerati congiuntamente, avrebbero dovuto indurre il Tribunale a ritenere che le misure in questione erano state concesse mediante risorse statali. Non ritengo sia così. Come mostrerò nel prosieguo, al paragrafo 177, il contributo utilizzato per finanziare le misure in questione e quello utilizzato per rimborsare i depositanti non sono disciplinati dalla stessa disposizione dello statuto del FITD. In ogni caso, se è vero che l’adesione al FITD è obbligatoria per le banche italiane che non siano banche di credito cooperativo, resta il fatto che il FITD non è obbligato ad adottare misure alternative a favore di una banca aderente in assenza della liquidazione coatta amministrativa di tale banca e che, pertanto, il carattere obbligatorio dell’adesione al FITD non è sufficiente per dimostrare che le misure in questione siano state concesse mediante risorse statali.

160.

Concludo che la seconda parte del primo motivo di impugnazione deve essere respinta.

B. Sul secondo motivo di impugnazione, vertente sullo snaturamento del diritto nazionale e dei fatti

1.   Argomenti delle parti

161.

Con il suo secondo motivo di impugnazione, la Commissione sostiene che il Tribunale avrebbe snaturato il diritto nazionale e i fatti. In primo luogo, il Tribunale avrebbe snaturato l’articolo 96-ter, primo comma, del Testo unico bancario italiano statuendo, al punto 116 della sentenza impugnata, che l’autorizzazione di misure di sostegno quali quelle in questione è concessa a seguito di un mero controllo di conformità di tali misure con il quadro normativo. Secondo la Commissione, il controllo esercitato dalla Banca d’Italia va ben oltre un controllo di legittimità delle misure in questione poiché, nell’esaminare tali misure, la Banca d’Italia è tenuta ad «ave[re] riguardo alla tutela dei risparmiatori e alla stabilità del sistema bancario». In secondo luogo, il Tribunale avrebbe snaturato i fatti statuendo, ai punti 153 e 154 della sentenza impugnata, che le misure di intervento a sostegno di una banca, quali le misure in questione, sono finanziate in modo diverso rispetto al rimborso dei depositanti. Secondo la Commissione, l’articolo 21 dello statuto del FITD, cui il Tribunale fa riferimento al punto 153 della sentenza impugnata per quanto riguarda il finanziamento delle misure in questione, si applica sia alle misure in questione, sia alle misure adottate per il rimborso dei depositanti.

162.

Il governo italiano sostiene che il secondo motivo di impugnazione è irricevibile, dato che il presunto errore di interpretazione non è manifesto. Esso sostiene inoltre che il secondo motivo di impugnazione è infondato poiché, da un lato, si deve ritenere che l’articolo 96-ter, primo comma, del Testo unico bancario italiano preveda un mero controllo di legittimità, sebbene tale controllo, in alcuni casi, possa rivelarsi piuttosto complesso, e, dall’altro, all’epoca dei fatti il finanziamento di misure di intervento a sostegno di una banca quali le misure in questione è stato effettuato caso per caso, dietro richiesta del FITD.

163.

La BPB sostiene che il secondo motivo di impugnazione è irricevibile poiché l’interpretazione del diritto nazionale è una questione di fatto e lo snaturamento addotto dalla Commissione non emerge dal fascicolo. In ogni caso, ad avviso della BPB, il secondo motivo di impugnazione sarebbe infondato. Esso sarebbe altresì inconferente, nella misura in cui lamenta lo snaturamento dell’articolo 21 dello statuto del FITD.

164.

Il FITD sostiene che il secondo motivo di impugnazione è irricevibile, poiché dai documenti contenuti nel fascicolo della Corte non emerge alcun tipo di snaturamento. In ogni caso, ad avviso del FITD, tale motivo di impugnazione sarebbe inconferente e infondato.

165.

La Banca d’Italia sostiene che il secondo motivo di impugnazione è irricevibile nella parte in cui lamenta uno snaturamento dell’articolo 96-ter, primo comma, del Testo unico bancario italiano, poiché tale snaturamento non è manifesto e non risulta dagli atti del fascicolo dinanzi alla Corte. La Banca d’Italia sostiene altresì che il secondo motivo di impugnazione è infondato e, in ogni caso, inconferente.

2.   Valutazione

a)   Sulla ricevibilità

166.

Il governo italiano, la BPB, il FITD e la Banca d’Italia contestano la ricevibilità del secondo motivo di impugnazione sulla base del fatto che l’asserito snaturamento del diritto italiano e dei fatti ( 65 ) non sarebbe manifesto e non emergerebbe dal fascicolo, con la conseguenza che tale motivo di impugnazione solleverebbe una questione di fatto.

167.

Ritengo che tale eccezione di irricevibilità debba essere respinta.

168.

Come menzionato supra, al paragrafo 49, ai sensi della giurisprudenza, una volta che le prove siano state acquisite regolarmente e che i principi generali del diritto e le norme di procedura applicabili in materia di onere e di produzione della prova siano stati rispettati, spetta unicamente al Tribunale pronunciarsi sul valore da attribuire agli elementi dinanzi ad esso prodotti. Salvo il caso di snaturamento di detti elementi, tale valutazione non costituisce pertanto una questione di diritto soggetta, di per sé, al sindacato della Corte. Tale snaturamento sussiste quando, senza dover assumere nuove prove, la valutazione dei mezzi di prova disponibili risulta, in modo evidente, inesatta. Tuttavia, tale snaturamento deve risultare manifestamente dagli atti di causa, senza necessità di effettuare una nuova valutazione dei fatti e delle prove ( 66 ).

169.

In primo luogo, rilevo che, al punto 116 della sentenza impugnata, il Tribunale ha interpretato la nozione di «autorizzazione», da parte della Banca d’Italia, delle misure di intervento adottate dai sistemi di garanzia dei depositi ai sensi dell’articolo 96‑ter, primo comma, del Testo unico bancario italiano nel senso che essa consente a tale istituzione di controllare soltanto la legittimità di tali misure (ossia la loro conformità alle norme prudenziali applicabili agli enti creditizi). Tuttavia, qualora l’obbligo di «ave[re] riguardo alla tutela dei risparmiatori e alla stabilità del sistema bancario», imposto alla Banca d’Italia dalla medesima disposizione, imponesse un controllo non soltanto della legittimità, ma anche dell’opportunità di tali misure, l’interpretazione data dal Tribunale al punto 116 della sentenza impugnata sarebbe chiaramente errata. Essa equivarrebbe a uno snaturamento delle prove ai sensi della giurisprudenza citata supra, al paragrafo 168 ( 67 ).

170.

In secondo luogo, la Commissione sostiene che, al punto 153 della sentenza impugnata, il Tribunale ha dichiarato che l’articolo 21 dello statuto del FITD prevede che le misure di intervento a sostegno di una banca, come le misure in questione, sono finanziate in modo diverso rispetto al rimborso dei depositanti, mentre, secondo la Commissione, tale disposizione non opererebbe una distinzione per quanto concerne il finanziamento di questi due tipi di misure. Se, come sostiene la Commissione, l’interpretazione dell’articolo 21 dello statuto del FITD da parte del Tribunale fosse in contrasto con il suo contenuto, ciò equivarrebbe a uno snaturamento di tale disposizione.

171.

Concludo che il secondo motivo di impugnazione è pienamente ricevibile.

b)   Sul merito

172.

Con il secondo motivo di impugnazione, la Commissione sostiene che, ai punti 116, 153 e 154 della sentenza impugnata, il Tribunale avrebbe snaturato, da un lato, l’articolo 96-ter, primo comma, del Testo unico bancario italiano e, dall’altro, l’articolo 21 dello statuto del FITD.

173.

A mio avviso, il secondo motivo di impugnazione dovrebbe essere respinto.

174.

In primo luogo, la Commissione non ha dimostrato che l’articolo 96-ter, primo comma, del Testo unico bancario italiano debba essere interpretato nel senso che consente alla Banca d’Italia di verificare se le misure di intervento adottate da un sistema di garanzia dei depositi siano opportune, anziché imporle soltanto di controllare che tali misure siano conformi alle norme prudenziali applicabili agli enti creditizi, come rilevato dal Tribunale al punto 116 della sentenza impugnata.

175.

Contrariamente a quanto sostenuto dalla Commissione, dal fatto che, ai sensi dell’articolo 96-ter, primo comma, del Testo unico bancario italiano, la Banca d’Italia sia tenuta ad «ave[re] riguardo alla tutela dei risparmiatori e alla stabilità del sistema bancario» non discende che la Banca d’Italia possa spingersi oltre un controllo di conformità delle misure con le norme prudenziali applicabili agli enti creditizi, considerato che – come sostenuto dal governo italiano, dalla BPB, dal FITD e dalla Banca d’Italia – la tutela dei risparmiatori e la stabilità del sistema bancario sono obiettivi che la Banca d’Italia deve perseguire nell’esercizio dei suoi compiti di autorità di vigilanza prudenziale. Come osservato dal governo italiano, il considerando 7 del regolamento (UE) n. 575/2013 ( 68 ) statuisce che i requisiti prudenziali per gli enti creditizi previsti da tale regolamento «mirano a garantire la stabilità finanziaria degli operatori su[i] mercati [dei servizi bancari e finanziari], nonché un elevato livello di protezione degli investitori e dei depositanti».

176.

Inoltre, contrariamente a quanto sostenuto dalla Commissione, dal fatto che l’autorizzazione, da parte della Banca d’Italia, delle misure di intervento adottate dai sistemi di garanzia dei depositi a sostegno di una banca aderente ai sensi dell’articolo 96-ter, primo comma, del Testo unico bancario italiano mira a garantire la tutela dei risparmiatori e la stabilità del sistema bancario, anziché una «sana e prudente gestione della banca [interessata]» – che è l’obiettivo della verifica di legittimità condotta dalla Banca d’Italia ai fini dell’autorizzazione di acquisizioni nel settore finanziario ai sensi dell’articolo 19 del Testo unico bancario italiano – non discende che la Banca d’Italia possa spingersi oltre una verifica di legittimità quando agisce ai sensi dell’articolo 96-ter, primo comma del Testo unico bancario italiano. Ciò poiché, come sostenuto dal governo italiano, dal FITD e dalla Banca d’Italia, la gestione sana e prudente degli enti creditizi rappresenta un obiettivo anche della vigilanza prudenziale, unitamente alla tutela dei depositanti e alla stabilità del sistema bancario. A tale riguardo, osservo che l’articolo 5, primo comma, del Testo unico bancario italiano, che il Tribunale cita al punto 116 della sentenza impugnata, elenca come obiettivi della vigilanza prudenziale degli enti creditizi non soltanto la «stabilità complessiva» del sistema bancario, ma anche la «sana e prudente gestione [degli enti creditizi]».

177.

In secondo luogo, contrariamente a quanto sostenuto dalla Commissione, il Tribunale non ha ritenuto, al punto 153 della sentenza impugnata, che l’articolo 21 dello statuto del FITD preveda che le misure di intervento adottate da un sistema di garanzia dei depositi a sostegno di una banca consorziata, come le misure in questione, siano finanziate in modo diverso rispetto al rimborso dei depositanti. La Commissione interpreta erroneamente il punto 153 della sentenza impugnata. In tale paragrafo, come sostenuto dalla BPB e dal FITD, il Tribunale ha rilevato che le misure in questione sono finanziate in modo diverso rispetto ai costi di funzionamento del FITD (nelle parole del Tribunale, «le risorse necessarie per il funzionamento del consorzio») ( 69 ), e non rispetto al rimborso dei depositi. La differenza sta nel fatto che le risorse utilizzate per coprire le spese di funzionamento del FITD, che non sono disciplinate dall’articolo 21 dello statuto del FITD, concorrono alla formazione del bilancio di tale consorzio; di converso, le risorse utilizzate per le misure di intervento a sostegno di una banca consorziata (nonché, secondo la BPB e il FITD, quelle utilizzate per finanziare il rimborso dei depositi), che sono disciplinate all’articolo 21 dello statuto del FITD, sono «anticipazioni» versate dai membri del FITD, che le gestisce in qualità di mandatario e sono fornite dalle banche aderenti al FITD dietro richiesta di tale consorzio, caso per caso.

178.

Di conseguenza, a mio avviso, il secondo motivo di impugnazione dovrebbe essere respinto in quanto infondato.

179.

Per completezza, desidero osservare che tale motivo di impugnazione è, in ogni caso, inconferente.

180.

In primo luogo, il secondo motivo di impugnazione è inconferente nella parte in cui invoca uno snaturamento dell’articolo 96-ter, primo comma del Testo unico bancario italiano al punto 116 della sentenza impugnata, dato che la conclusione del Tribunale secondo cui le misure in questione non sono imputabili allo Stato discende anche dalle constatazioni di cui ai punti da 96 a 106 e da 117 a 131 della sentenza impugnata, in particolare dal fatto che la Banca d’Italia non ha partecipato attivamente alle riunioni degli organi direttivi del FITD né agli incontri informali e che l’iniziativa dell’adozione delle misure in questione è stata presa dalla BPB, un ente privato.

181.

In secondo luogo, il secondo motivo di impugnazione è inconferente nella parte in cui invoca uno snaturamento dell’articolo 21 dello statuto del FITD, poiché la conclusione del Tribunale secondo cui le misure in questione non sono concesse mediante risorse statali discende anche dal fatto che, come menzionato al punto 154 della stessa sentenza, il carattere obbligatorio di tale contributo non derivava da una disposizione di legge, e dalle constatazioni di cui ai punti da 139 a 149 e da 155 a 161 della stessa sentenza.

182.

Di conseguenza, il secondo motivo di impugnazione deve essere respinto.

183.

Concludo che il ricorso debba essere respinto.

VI. Sulle spese

184.

Ai sensi dell’articolo 184, paragrafo 2, del regolamento di procedura, quando l’impugnazione è respinta, la Corte statuisce sulle spese.

185.

Ai sensi dell’articolo 138, paragrafo 1, del regolamento di procedura, applicabile al procedimento di impugnazione in forza dell’articolo 184, paragrafo 1, dello stesso, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché la Commissione è rimasta soccombente e il governo italiano, la BPB e il FITD ne hanno chiesto la condanna alle spese, la Commissione deve essere condannata a sopportare, oltre alle proprie spese, quelle sostenute dalla Repubblica italiana, dalla BPB e dal FITD.

186.

Ai sensi dell’articolo 184, paragrafo 4, del regolamento di procedura, se una parte interveniente in primo grado partecipa all’impugnazione, la Corte può condannarla a sopportare le proprie spese. Poiché la Banca d’Italia ha partecipato all’impugnazione, le spese da essa sostenute restano a suo carico.

VII. Conclusione

187.

Propongo pertanto alla Corte di:

respingere l’impugnazione;

condannare la Commissione europea a sopportare, oltre alle proprie spese, quelle sostenute dalla Repubblica italiana, dalla Banca Popolare di Bari SCpA e dal Fondo interbancario di tutela dei depositi;

condannare la Banca d’Italia a sopportare le proprie spese.


( 1 ) Lingua originale: l’inglese.

( 2 ) T‑98/16, T‑196/16 e T‑198/16, EU:T:2019:167.

( 3 ) Decisione della Commissione, del 23 dicembre 2015, relativa all’aiuto di Stato SA.39451 (2015/C) (ex 2015/NN) cui l’Italia ha dato esecuzione a favore di Banca Tercas [notificata con il numero C(2015) 9526] (GU 2016, L 203, pag. 1).

( 4 ) Decreto legislativo 1o settembre 1993, n. 385 – Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia (GURI n. 230, del 30 settembre 1993, supplemento ordinario n. 92) e successive modifiche e integrazioni (in prosieguo: il «Testo unico bancario italiano»).

( 5 ) Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, del 30 maggio 1994, relativa ai sistemi di garanzia dei depositi (GU 1994, L 135, pag. 5).

( 6 ) È opportuno precisare che la seconda misura menzionata supra, al paragrafo 16, ossia la garanzia di EUR 35 milioni destinata a coprire il deficit patrimoniale di Tercas, è stata valutata come pari soltanto a EUR 140000 per tener conto, segnatamente, del fatto che tali esposizioni erano state integralmente rimborsate dai debitori alla scadenza e che, pertanto, la garanzia non era stata escussa. Di converso, per quanto concerne la prima e la terza misura menzionate supra, al paragrafo 16, il relativo aiuto è stato valutato, rispettivamente, come pari a EUR 265 milioni ed EUR 30 milioni. Pertanto, alla Repubblica italiana è stato ordinato il recupero della somma totale di EUR 295,14 milioni (maggiorata degli interessi).

( 7 ) Per ragioni di completezza, è opportuno menzionare altresì che il Tribunale ha ritenuto ricevibile il ricorso proposto dal FITD, poiché tale fondo di compensazione era direttamente e individualmente interessato dalla decisione controversa.

( 8 ) Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 aprile 2014, relativa ai sistemi di garanzia dei depositi (rifusione) (GU 2014, L 173, pag. 149). La direttiva 2014/49 ha abrogato e sostituito la direttiva 94/19.

( 9 ) Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 maggio 2014, che istituisce un quadro di risanamento e risoluzione degli enti creditizi e delle imprese di investimento e che modifica la direttiva 82/891/CEE del Consiglio, e le direttive 2001/24/CE, 2002/47/CE, 2004/25/CE, 2005/56/CE, 2007/36/CE, 2011/35/UE, 2012/30/UE e 2013/36/UE e i regolamenti (UE) n. 1093/2010 e (UE) n. 648/2012, del Parlamento europeo e del Consiglio (GU 2014, L 173, pag. 190).

( 10 ) Sentenze del 25 gennaio 2007, Sumitomo Metal Industries e Nippon Steel/Commissione (C‑403/04 P e C‑405/04 P, EU:C:2007:52, punti 3940); del 25 ottobre 2011, Solvay/Commissione (C‑109/10 P, EU:C:2011:686, punto 51); dell’11 luglio 2013, Commissione/Stichting Administratiekantoor Portielje (C‑440/11 P, EU:C:2013:514, punto 59); del 16 giugno 2016, Evonik Degussa e AlzChem/Commissione (C‑155/14 P, EU:C:2016:446, punto 26) e del 18 gennaio 2017, Toshiba/Commissione (C‑623/15 P, non pubblicata, EU:C:2017:21, punto 39).

( 11 ) La Commissione fa riferimento alla giurisprudenza secondo cui un organo o un’organizzazione che sono considerati un’emanazione dello Stato sono organi o organizzazioni nei cui confronti si può invocare una direttiva dotata di effetto diretto.

( 12 ) Sentenza del 10 ottobre 2017, Farrell (C‑413/15, EU:C:2017:745, punti 3334).

( 13 ) Sentenza del 25 luglio 2018, Commissione/Spagna e a. (C‑128/16 P, EU:C:2018:591, punto 31).

( 14 ) Sentenza del 30 gennaio 2019, Belgio/Commissione (C‑587/17 P, EU:C:2019:75, punto 40).

( 15 ) Sentenza del 28 novembre 2019, ABB/Commissione (C‑593/18 P, non pubblicata, EU:C:2019:1027, punto 31).

( 16 ) Sentenza del 16 maggio 2002, Francia/Commissione (C‑482/99, EU:C:2002:294, punto 55).

( 17 ) Sentenze del 13 settembre 2017, ENEA (C‑329/15, EU:C:2017:671, punto 17); del 15 maggio 2019, Achema e a. (C‑706/17, EU:C:2019:407, punto 46); del 19 dicembre 2019, Arriva Italia e a. (C‑385/18, EU:C:2019:1121, punto 31); e del 7 maggio 2020, BTB Holding Investments e Duferco Participations Holding/Commissione (C‑148/19 P, EU:C:2020:354, punto 44).

( 18 ) Sentenze del 13 settembre 2017, ENEA (C‑329/15, EU:C:2017:671, punto 20); del 28 marzo 2019, Germania/Commissione (C‑405/16 P, EU:C:2019:268, punto 48); del 15 maggio 2019, Achema e a. (C‑706/17, EU:C:2019:407, punto 47); e del 19 dicembre 2019, Arriva Italia e a. (C‑385/18, EU:C:2019:1121, punto 33).

( 19 ) Sentenza del 13 maggio 2020, easyJet Airline/Commissione (T‑8/18, EU:T:2020:182, punto 78).

( 20 ) Sentenze del 16 maggio 2002, Francia/Commissione (C‑482/99, EU:C:2002:294, punto 52); del 19 dicembre 2013, Association Vent De Colère! e a. (C‑262/12, EU:C:2013:851, punto 17); del 13 settembre 2017, ENEA (C‑329/15, EU:C:2017:671, punto 21); del 28 marzo 2019, Germania/Commissione (C‑405/16 P, EU:C:2019:268, punto 49); e del 15 maggio 2019, Achema e a. (C‑706/17, EU:C:2019:407, punto 48).

( 21 ) V., ad esempio, sentenza del 19 dicembre 2019, Arriva Italia e a. (C‑385/18, EU:C:2019:1121, punti 3465).

( 22 ) V. conclusioni dell’avvocato generale Wathelet nella causa Commerz Nederland (C‑242/13, EU:C:2014:308, paragrafo 65).

( 23 ) Sentenza Stardust (punti da 52 a 56). V. anche sentenza del 17 settembre 2014, Commerz Nederland (C‑242/13, EU:C:2014:2224, punti da 31 a 33); del 18 maggio 2017, Fondul Proprietatea (C‑150/16, EU:C:2017:388, punti da 18 a 20); e del 23 novembre 2017, SACE e Sace BT/Commissione (C‑472/15 P, non pubblicata, EU:C:2017:885, punti da 34 a 36).

( 24 ) V. supra, paragrafo 9, punto 113 della sentenza impugnata e punti da 32 a 37 della decisione controversa.

( 25 ) V., ad esempio, sentenza del 9 ottobre 2014, Ministerio de Defensa e Navantia (C‑522/13, EU:C:2014:2262, punti 2223).

( 26 ) Sentenze del 13 settembre 2017, ENEA (C‑329/15, EU:C:2017:671, punti 2531); del 28 marzo 2019, Germania/Commissione (C‑405/16 P, EU:C:2019:268, punti 57, 7580); e del 15 maggio 2019, Achema e a. (C‑706/17, EU:C:2019:407, punti 53, 6667). V. anche conclusioni dell’avvocato generale Pitruzzella nella causa Eco TLC (C‑556/19, EU:C:2020:399, paragrafi 80 e da 84 a 102).

( 27 ) Sentenze del 19 marzo 2013, Bouygues e Bouygues Télécom/Commissione e a. e Commissione/Francia e a. (C‑399/10 P e C‑401/10 P, EU:C:2013:175, punto 109), e del 28 marzo 2019, Germania/Commissione (C‑405/16 P, EU:C:2019:268, punti 6084). V. anche conclusioni dell’avvocato generale Pitruzzella nella causa Eco TLC (C‑556/19, EU:C:2020:399, paragrafi 60 e da 103 a 109).

( 28 ) V. punti da 151 a 153 della sentenza impugnata e punti da 35 a 37 della decisione controversa.

( 29 ) Il Tribunale ha fatto riferimento, ai punti da 134 a 136 della sentenza impugnata, alla sentenza del 9 novembre 2017, Commissione/TV2/Danmark (C‑656/15 P, EU:C:2017:836), che riguardava imprese pubbliche.

( 30 ) Direttiva del 16 novembre 2006, relativa alla trasparenza delle relazioni finanziarie tra gli Stati membri e le loro imprese pubbliche e alla trasparenza finanziaria all’interno di talune imprese (Versione codificata) (GU 2006, L 318, pag. 17). Osservo che la Corte si è basata su tale definizione, o meglio, sulla definizione analoga di impresa pubblica contenuta nell’articolo 2 della direttiva 80/723/CEE della Commissione, del 25 giugno 1980, relativa alla trasparenza delle relazioni finanziarie fra gli Stati Membri e le loro imprese pubbliche (GU 1980, L 195, pag. 35), abrogata e sostituita dalla direttiva 2006/111, nella «sentenza Stardust» (punto 34), e che l’articolo 2, lettera b), della direttiva 2006/111 è stato richiamato nelle sentenze del 25 giugno 2015, SACE e Sace BT/Commissione (T‑305/13, EU:T:2015:435, punto 40); del 28 gennaio 2016, Slovenia/Commissione (T‑507/12, non pubblicata, EU:T:2016:35, punto 75); e del 13 dicembre 2018, Comune di Milano/Commissione (T‑167/13, EU:T:2018:940, punto 65).

( 31 ) V. supra, paragrafi 67 e 76.

( 32 ) Rilevo, a questo proposito, che, sebbene con il primo motivo di impugnazione la Commissione invochi un errore del Tribunale per quanto attiene all’onere della prova («un errore sull’onere della prova»), essa fa riferimento in tre occasioni, nell’impugnazione e nella replica, a «un livello di prova più elevato», allo «standard applicabile» e a «uno standard probatorio» fissati dal Tribunale nella sentenza impugnata.

( 33 ) V., in tal senso, Castillo de la Torre, F. e Gippini Fournier, É., Evidence, Proof and Judicial Review in EU Competition Law, Edward Elgar, 2017 (punti 2.002, 2.008 e 2.009); Kalintiri, A., Evidence Standards in EU Competition Enforcement: The EU Approach, Hart Publishing, 2019 (pagg. 33, 34, 72 e 73); Sibony, A.-L., e Barbier de la Serre, É., «Charge de la preuve et théorie du contrôle en droit communautaire de la concurrence: pour un changement de perspective», in Revue trimestrielle de droit européen, 2007, vol. 2, pagg. da 205 a 252 (punti da 3 a 12); e Pérez Bernabeu, B., «Assessing the Standard of Proof in Fiscal State Aid», in European State Aid Law Quarterly, 2019, vol. 4, pagg. da 447 a 457 (pag. 452). V. anche conclusioni dell’avvocato generale Kokott nella causa T-Mobile Netherlands e a. (C‑8/08, EU:C:2009:110, nota 60), e conclusioni dell’avvocato generale Jääskinen nella causa Francia/Commissione (C‑559/12 P, EU:C:2013:766, paragrafo 34).

( 34 ) V. supra, paragrafo 65. V. anche sentenze del 17 settembre 2014, Commerz Nederland (C‑242/13, EU:C:2014:2224, punto 32); del 26 giugno 2008, SIC/Commissione (T‑442/03, EU:T:2008:228, punti 9697); del 10 novembre 2011, Elliniki Nafpigokataskevastiki e a./Commissione (T‑384/08, non pubblicata, EU:T:2011:650, punti 5253); del 27 febbraio 2013, Nitrogénművek Vegyipari/Commissione (T‑387/11, non pubblicata, EU:T:2013:98, punti 5960); del 25 giugno 2015, SACE e Sace BT/Commissione (T‑305/13, EU:T:2015:435, punto 44); del 28 gennaio 2016, Slovenia/Commissione (T‑507/12, non pubblicata, EU:T:2016:35, punti 6768) e del 13 dicembre 2018, Comune di Milano/Commissione (T‑167/13, EU:T:2018:940, punto 75).

( 35 ) V. punto 88 della sentenza impugnata.

( 36 ) V. supra, paragrafo 65.

( 37 ) Il corsivo è mio. Ciò in ragione del fatto che l’autorizzazione è stata concessa al termine di un mero controllo di conformità delle misure in questione con il quadro normativo, senza che la Banca d’Italia avesse il potere di verificare l’opportunità di adottare le misure in questione. Di conseguenza, soltanto gli organi direttivi del FITD avevano il potere di decidere l’adozione di tali misure e il loro eventuale contenuto (v. punti 116 e 118 della sentenza impugnata).

( 38 ) Il corsivo è mio. V. anche punto 128 di tale sentenza, in cui si afferma che la richiesta del commissario straordinario di Tercas è «non vincolante».

( 39 ) È probabile che la conclusione del Tribunale secondo cui la presenza «anche solo in veste di osservator[i]» dei rappresentanti della Banca d’Italia alle riunioni degli organi direttivi del FITD poteva essere rilevante discenda dalla circostanza che la decisione di adottare le misure in questione era rimessa a tali organi e deve essere stata adottata nel corso di una di queste riunioni.

( 40 ) L’argomento della Commissione riassunto al precedente paragrafo 98 si riferisce ai punti da 115 a 131 della sentenza impugnata, e non al punto 114 della stessa sentenza, cui fa riferimento l’impugnazione. Infatti, al punto 114 della sentenza impugnata il Tribunale si limita a rilevare che, nella decisione controversa, la Commissione ha ritenuto che le autorità pubbliche italiane possedessero l’autorità e i mezzi necessari per influenzare tutte le fasi di attuazione delle misure in questione. In tale punto, il Tribunale non statuisce che sia necessario dimostrare che le autorità pubbliche abbiano esercitato un’influenza in ogni fase di tale procedimento.

( 41 ) V., in particolare, sentenze del 17 settembre 2014, Commerz Nederland (C‑242/13, EU:C:2014:2224, punti da 34 a 39); del 27 febbraio 2013, Nitrogénművek Vegyipari/Commissione (T‑387/11, non pubblicata EU:T:2013:98, punti da 63 a 68); del 30 aprile 2014, Tisza Erőmű/Commissione (T‑468/08, non pubblicata, EU:T:2014:235, punti da 171 a 179); del 12 marzo 2020, Elche Club de Fútbol/Commissione (T‑901/16, EU:T:2020:97, punti da 52 a 63); e del 13 maggio 2020, easyJet Airline/Commissione (T‑8/18, EU:T:2020:182, punti da 117 a 140).

( 42 ) Sentenze del 25 giugno 2015, SACE e Sace BT/Commissione (T‑305/13, EU:T:2015:435, punto 82), e del 28 gennaio 2016, Slovenia/Commissione, T‑507/12, non pubblicata, EU:T:2016:35, punto 186).

( 43 ) Sentenza del 13 dicembre 2018, Comune di Milano/Commissione (T‑167/13, EU:T:2018:940, punto 80). È opportuno notare che avverso tale sentenza è attualmente pendente un’impugnazione, in cui la ricorrente lamenta, in particolare, un errore del Tribunale per quanto concerne la prova dell’imputabilità allo Stato della misura di aiuto (Comune di Milano/Commissione, C‑160/19 P).

( 44 ) Vorrei notare, tuttavia, che nella sentenza del 10 novembre 2011, Elliniki Nafpigokataskevastiki e a./Commissione (T‑384/08, non pubblicata, EU:T:2011:650, punto 77), il Tribunale ha ritenuto che «la Commissione ha dimostrato (…) che lo Stato era coinvolto nella (…) concessione della [misura di aiuto]» (il corsivo è mio), il che suggerisce che, in tale causa, la prova richiesta eccedeva la probabilità di un coinvolgimento delle autorità pubbliche.

( 45 ) La giurisprudenza che si occupa dell’imputabilità allo Stato di una misura di aiuto adottata da un ente privato è esigua. Si può fare riferimento anche alle sentenze del 15 luglio 2004, Pearle e a. (C‑345/02, EU:C:2004:448, punti 3637), e del 30 maggio 2013, Doux Élevage e Coopérative agricole UKL-ARREE (C‑677/11, EU:C:2013:348, punto 41). Tali pronunce, tuttavia, non sono particolarmente d’ausilio, essendo difficile distinguere chiaramente gli elementi pertinenti ai fini dell’imputabilità allo Stato della misura di aiuto rispetto a quelli presi in considerazione ai fini di dimostrare l’esistenza di risorse statali.

( 46 ) V. punto 77 della sentenza del 10 novembre 2011, Elliniki Nafpigokataskevastiki e a./Commissione (T‑384/08, non pubblicata, EU:T:2011:650), ai sensi della quale «lo Stato era coinvolto nella (…) concessione della [misura di aiuto]» (il corsivo è mio); punto 82 della sentenza del 25 giugno 2015, SACE e Sace BT/Commissione (T‑305/13, EU:T:2015:435), e punto 186 della sentenza del 28 gennaio 2016, Slovenia/Commissione (T‑507/12, non pubblicata, EU:T:2016:35), in cui il Tribunale ha statuito che «è improbabile che le autorità pubbliche non siano state coinvolte nell’adozione delle misure in questione» (il corsivo è mio); e punto 80 della sentenza del 13 dicembre 2018, Comune di Milano/Commissione (T‑167/13, EU:T:2018:940), ai sensi del quale «è sufficiente dimostrare l’improbabilità di una mancanza di coinvolgimento [delle autorità pubbliche] nell’adozione della misura» (il corsivo è mio).

( 47 ) V. punto 134 della sentenza del 13 dicembre 2018, Ryanair and Airport Marketing Services/Commissione (T‑53/16, EU:T:2018:943), in cui il Tribunale ha statuito che la Commissione, lungi dal «limita[rsi] (…) a dimostrare l’esistenza di una semplice influenza dello Stato sul comportamento [dell’impresa erogatrice dell’aiuto]» aveva dimostrato che le autorità pubbliche avevano «esercitato un’influenza determinante sulle decisioni adottate [dall’impresa erogatrice dell’aiuto] concernenti [il beneficiario dell’aiuto]» (il corsivo è mio).

( 48 ) Ciò poiché in tali sentenze il livello di prova applicato non viene individuato.

( 49 ) Il Comune di Rotterdam era titolare di tutte le azioni dell’impresa di gestione portuale, i membri del consiglio di amministrazione e del collegio sindacale di tale impresa erano designati dall’assemblea generale degli azionisti, e dunque dal comune, l’assessore comunale per il porto presiedeva il collegio sindacale, e, ai sensi dello statuto dell’impresa di gestione portuale, la prestazione di garanzie come quelle in questione richiedeva l’approvazione del collegio sindacale.

( 50 ) Il corsivo è mio.

( 51 ) Nel desumere l’imputabilità allo Stato della convenzione della VTAN con la Ryanair dal fatto che, in assenza del contributo forfettario offerto dallo SMAN, la convenzione non sarebbe stata redditizia e la VTAN non l’avrebbe conclusa, il Tribunale si è basato, in sostanza, su un indizio elencato al punto 56 della «sentenza Stardust» per quanto concerne le misure di aiuto adottate da imprese pubbliche, segnatamente l’indizio (dell’assenza) dell’esercizio di attività sul mercato in normali condizioni di concorrenza.

( 52 ) Un ente creditizio autorizzato in uno Stato membro non accetta depositi a meno che non sia membro di un sistema ufficialmente riconosciuto nel suo Stato membro d’origine come un «sistema di garanzia dei depositi» (v. articolo 4, paragrafi 1 e 3, della direttiva 2014/49). I sistemi di garanzia dei depositi rimborsano i depositanti, fino alla somma di EUR 100000, in caso di indisponibilità (v. articolo 6, paragrafo 1, articolo 8, paragrafo 1, e articolo 2, paragrafo 1, punto 8, della direttiva 2014/49). I sistemi di garanzia dei depositi devono avere «mezzi finanziari disponibili» per assolvere ai loro obblighi. Tali mezzi derivano dai contributi versati dai membri dei sistemi di garanzia dei depositi (v. articolo 10, paragrafo 1, della direttiva 2014/49).

( 53 ) V. considerando 14 e 16 della direttiva 2014/49.

( 54 ) V. supra, paragrafo 9.

( 55 ) Tuttavia, ciò non impedirebbe al FITD di utilizzare i mezzi finanziari disponibili per finanziare la risoluzione di Tercas, non ai sensi dell’articolo 11, paragrafo 3, della direttiva 2014/49, bensì ai sensi dell’articolo 11, paragrafo 2, di tale direttiva e conformemente all’articolo 109 della direttiva 2014/59.

( 56 ) V. decisione della Commissione del 1o agosto 2011, n. SA.33001 (2011/N) – Danimarca – Parte B – Modifica del sistema danese di liquidazione degli enti creditizi [C(2011) 5554 final]; decisione della Commissione del 30 maggio 2012, n. SA.34255 (2012/N) – Spagna – Ristrutturazione di CAM e Banco CAM – [C(2012) 3540]; e decisione della Commissione del 18 febbraio 2014, n. SA.37425 (2013/N) – Polonia — Regime di liquidazione ordinata delle cooperative di credito [C(2014) 1060 final].

( 57 ) Sentenze del 12 luglio 1990, Foster e a. (C‑188/89, EU:C:1990:313, punto 18); del 4 dicembre 1997, Kampelmann e a. (da C‑253/96 a C‑258/96, EU:C:1997:585, punto 46); del 10 ottobre 2017, Farrel (C‑413/15, EU:C:2017:745, punto 33); del 6 settembre 2018, Hampshire (C‑17/17, EU:C:2018:674, punto 54); e del 19 dicembre 2019, Pensions-Sicherungs-Verein (C‑168/18, EU:C:2019:1128, punto 48).

( 58 ) Poiché le misure in questione mirano a evitare le conseguenze economiche più onerose di un rimborso dei depositi in caso di liquidazione coatta amministrativa di Tercas.

( 59 ) Il Tribunale osserva, al punto 135 della sentenza impugnata, che «in una situazione concernente imprese pubbliche, si è giudicato che (…)» e, al punto 136 di tale sentenza, che «le tre imprese interessate erano imprese pubbliche».

( 60 ) V. sentenze del 13 settembre 2017, ENEA (C‑329/15, EU:C:2017:671, punti 3032); del 28 marzo 2019, Germania/Commissione (C‑405/16 P, EU:C:2019:268, punti 7075); e del 15 maggio 2019, Achema e a. (C‑706/17, EU:C:2019:407, punti 6466).

( 61 ) Nella sua replica, la Commissione si limita a sostenere che è sufficiente dimostrare un controllo indiretto dello Stato sull’ente che amministra i fondi. A tal fine, essa si basa sulla statuizione della Corte, al punto 59 della sentenza del 15 maggio 2019, Achema e a. (C‑706/17, EU:C:2019:407), secondo cui l’ente che amministra i fondi utilizzati per finanziare la misura di aiuto deve essere controllato «direttamente o indirettamente» dallo Stato. Osservo, tuttavia, che tale statuizione costituisce una mera riproduzione dei termini della legislazione lituana applicabile, e non una dichiarazione di principio.

( 62 ) V. sentenze del 30 maggio 2013, Doux Élevage e Coopérative agricole UKL-ARREE (C‑677/11, EU:C:2013:348, punti da 32 a 36), e dell’11 dicembre 2014, Austria/Commissione (T‑251/11, EU:T:2014:1060, punti da 67 a 76). V. anche conclusioni dell’avvocato generale Pitruzzella nella causa Eco TLC (C‑556/19, EU:C:2020:399, punti 67 e da 81 a 84).

( 63 ) V. punto 150 della sentenza impugnata e punto 33 della decisione controversa.

( 64 ) V. punto 153 della sentenza impugnata e punto 137 della decisione controversa.

( 65 ) Mentre il governo italiano, la BPB e il FITD eccepiscono l’irricevibilità del secondo motivo di impugnazione nella sua interezza, la Banca d’Italia ne contesta la ricevibilità limitatamente alla parte in cui sostiene lo snaturamento dell’articolo 96-ter, primo comma, del Testo unico bancario italiano.

( 66 ) Sentenza del 27 febbraio 2020, Lituania/Commissione (C‑79/19 P, EU:C:2020:129, punti 7071).

( 67 ) V. anche sentenze del 18 gennaio 2007, PKK e KNK/Consiglio (C‑229/05 P, EU:C:2007:32, punto 37), e del 9 giugno 2011, Comitato Venezia vuole vivere e a. /Commissione (C‑71/09 P, C‑73/09 P e C‑76/09 P, EU:C:2011:368, punto 153). V. anche conclusioni dell’avvocato generale Kokott nella causa PKK e KNK/Consiglio (C‑229/05 P, EU:C:2006:606, punto 42).

( 68 ) Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, relativo ai requisiti prudenziali per gli enti creditizi e le imprese di investimento e che modifica il regolamento (UE) n. 648/2012 (GU 2013, L 176, pag. 1).

( 69 ) Il corsivo è mio.

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