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Document 62019CC0081

Conclusioni dell’avvocato generale J. Kokott, presentate il 19 marzo 2020.
NG e OH contro SC Banca Transilvania SA.
Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Curtea de Apel Cluj.
Rinvio pregiudiziale – Tutela dei consumatori – Direttiva 93/13/CEE – Clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori – Ambito di applicazione – Articolo 1, paragrafo 2 – Nozione di “disposizioni legislative o regolamentari imperative” – Disposizioni suppletive – Contratto di credito espresso in valuta estera – Clausola relativa al rischio di cambio.
Causa C-81/19.

Court reports – general

ECLI identifier: ECLI:EU:C:2020:217

 CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

JULIANE KOKOTT

presentate il 19 marzo 2020 ( 1 )

Causa C‑81/19

NG,

OH

contro

SC Banca Transilvania SA

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Curtea de Apel Cluj (Corte d’appello di Cluj, Romania)]

Domanda di pronuncia pregiudiziale – Tutela dei consumatori – Direttiva 93/13/CEE – Clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori – Credito in valuta estera – Clausola sul tasso di cambio – Articolo 1, paragrafo 2 – Clausola contrattuale, la quale costituisce espressione di un principio generale stabilito per legge – Articolo 6, paragrafo 1 – Conseguenze giuridiche – Eliminazione della clausola abusiva – Impossibilità che il contratto sussista senza la clausola abusiva – Poteri del giudice nazionale»

I. Introduzione

1.

L’oggetto del presente procedimento pregiudiziale è ancora una volta la tutela dei consumatori dalle clausole abusive nei contratti di mutuo in valuta estera.

2.

La clausola controversa nel procedimento principale obbliga i ricorrenti a rimborsare un mutuo espresso in franchi svizzeri nella medesima valuta. Tuttavia, a causa del forte deprezzamento del leu rumeno – la valuta in cui i ricorrenti percepiscono il loro reddito – la somma da rimborsare è quasi raddoppiata per loro negli anni successivi alla conclusione del contratto di mutuo.

3.

Al riguardo, il rinvio non solleva più esplicitamente la questione fondamentale se la concessione ai consumatori di mutui in valuta estera possa essere considerata, in generale, conforme al diritto dell’Unione. Infatti, per quanto la precedente giurisprudenza della Corte indichi che il rischio di cambio in siffatti contratti di mutuo non può essere fatto gravare ipso facto su un consumatore, ne risulta altresì che tale pratica non è di per sé contraria al diritto dell’Unione ( 2 ). In base ad essa è determinante stabilire se il consumatore sia stato informato in modo chiaro e comprensibile su tale rischio ( 3 ).

4.

La presente causa si concentra piuttosto sulle conseguenze che un giudice nazionale possa eventualmente trarre dalla constatazione del carattere abusivo di una clausola sul rischio del cambio. Infatti, secondo il giudice del rinvio, tutte le conseguenze giuridiche del carattere abusivo finora individuate dalla giurisprudenza comportano un onere irragionevole per il consumatore. I giudici del rinvio devono affrontare analoghi problemi giuridici in altre tre cause attualmente pendenti ( 4 ).

II. Contesto normativo

A.   Diritto dell’Unione

5.

La direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori (in prosieguo: la «direttiva 93/13») fornisce il contesto normativo del presente caso ( 5 ).

6.

I considerando 12 e 13 della direttiva 93/13 precisano quanto segue:

«[12] considerando tuttavia che per le legislazioni nazionali nella loro forma attuale è concepibile solo un’armonizzazione parziale; che, in particolare, sono oggetto della presente direttiva soltanto le clausole non negoziate individualmente; che pertanto occorre lasciare agli Stati membri la possibilità di garantire, nel rispetto del trattato, un più elevato livello di protezione per i consumatori mediante disposizioni nazionali più severe di quelle della presente direttiva;

[13] considerando che si parte dal presupposto che le disposizioni legislative o regolamentari degli Stati membri che disciplinano, direttamente o indirettamente, le clausole di contratti con consumatori non contengono clausole abusive; che pertanto non si reputa necessario sottoporre alle disposizioni della presente direttiva le clausole che riproducono disposizioni legislative o regolamentari imperative nonché principi o disposizioni di convenzioni internazionali di cui gli Stati membri o la Comunità sono parte; che a questo riguardo l’espressione “disposizioni legislative o regolamentari imperative” che figura all’articolo 1, paragrafo 2, comprende anche le regole che per legge si applicano tra le parti contraenti allorché non è stato convenuto nessun altro accordo».

7.

L’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva 93/13 prevede quanto segue:

«Le clausole contrattuali che riproducono disposizioni legislative o regolamentari imperative e disposizioni o principi di convenzioni internazionali, in particolare nel settore dei trasporti, delle quali gli Stati membri o la Comunità sono parte, non sono soggette alle disposizioni della presente direttiva».

8.

L’articolo 3, paragrafo 1, della citata direttiva recita come segue:

«Una clausola contrattuale, che non è stata oggetto di negoziato individuale, si considera abusiva se, malgrado il requisito della buona fede, determina, a danno del consumatore, un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi delle parti derivanti dal contratto».

9.

Il successivo articolo 4, paragrafo 2, enuncia quanto segue:

«La valutazione del carattere abusivo delle clausole non verte né sulla definizione dell’oggetto principale del contratto, né sulla perequazione tra il prezzo e la remunerazione, da un lato, e i servizi o i beni che devono essere forniti in cambio, dall’altro, purché tali clausole siano formulate in modo chiaro e comprensibile».

10.

L’articolo 6, paragrafo 1, della medesima direttiva è formulato nei seguenti termini:

«Gli Stati membri prevedono che le clausole abusive contenute in un contratto stipulato fra un consumatore ed un professionista non vincolano il consumatore, alle condizioni stabilite dalle loro legislazioni nazionali, e che il contratto resti vincolante per le parti secondo i medesimi termini, sempre che esso possa sussistere senza le clausole abusive».

11.

L’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva in parola prevede quanto segue:

«Gli Stati membri, nell’interesse dei consumatori e dei concorrenti professionali, provvedono a fornire mezzi adeguati ed efficaci per far cessare l’inserzione di clausole abusive nei contratti stipulati tra un professionista e dei consumatori».

B.   Normativa nazionale

12.

Dal punto di vista della normativa nazionale, sono rilevanti per la presente fattispecie il Codul civil (codice civile rumeno) e il Codul comercial (codice del commercio rumeno), nella versione vigente alla data della conclusione del contratto.

13.

L’articolo 1578 del codice civile, che sanciva il principio nominalistico, recitava nel modo seguente:

«L’obbligazione derivante da un mutuo in danaro riguarda sempre il medesimo importo indicato nel contratto. Se interviene un aumento o una diminuzione del valore della valuta prima che scada il termine del pagamento, il debitore deve restituire l’importo ricevuto in prestito ed è obbligato a restituirlo unicamente nella valuta avente corso legale al momento del pagamento».

14.

L’articolo 41 del codice del commercio prevedeva quanto segue:

«Quando la valuta indicata in un contratto non ha corso legale o commerciale nel paese e quando il suo corso non è stato determinato dalle parti stesse, il pagamento potrà essere effettuato nella valuta del paese, secondo il tasso di cambio che avrà nel giorno stesso della scadenza e nel luogo del pagamento, e se in tale luogo non vi fosse un tasso di cambio, secondo il tasso dei mercati più vicini, tranne nel caso in cui il contratto contenga la clausola “effettivo” o un’altra clausola simile».

III. Fatti e procedimento principale

15.

In base alla constatazioni del giudice del rinvio, in data 31 marzo 2006 le ricorrenti nel procedimento principale hanno stipulato, in qualità di consumatori, un contratto con la SC Volksbank România SA (in prosieguo: la «Banca Transilvania») avente ad oggetto la concessione di un credito di 90000 lei rumeni (RON).

16.

Il 15 ottobre 2008 le parti hanno stipulato un secondo contratto di mutuo per rifinanziare il contratto del 31 marzo 2006. Oggetto di tale contratto era un credito in valuta estera il cui importo era di 65000 franchi svizzeri (CHF). Ciò corrispondeva a circa RON 159126,00 pari a circa EUR 33488 ( 6 ). I ricorrenti percepiscono il loro reddito in lei rumeni.

17.

Il punto 1 della sezione 4 delle condizioni generali del secondo contratto di credito prevedeva che «tutti i pagamenti (…) devono essere effettuati nella valuta del mutuo, ad eccezione dei casi espressamente menzionati nelle condizioni speciali e nelle condizioni generali» (in prosieguo: la «clausola controversa»).

18.

La svalutazione del leu e l’apprezzamento del franco svizzero nel periodo tra ottobre 2008 e aprile 2017 hanno comportato un aumento dell’importo da rimborsare corrispondente a RON 117760, 00 (circa EUR 24772,00).

19.

Successivamente, i ricorrenti hanno proposto un’azione dinanzi al Tribunalul Specializat Cluj (Tribunale specializzato di Cluj, Romania). Essi sostengono che l’istituto di credito non abbia adempiuto in misura sufficiente ai suoi obblighi di informazione in materia di rischio di cambio. Inoltre, sarebbero stati svantaggiati indebitamente dall’assunzione di tale rischio. Essi chiedono pertanto, in sostanza, di congelare il tasso di cambio alla data di stipula del contratto.

20.

La resistente eccepisce invece che la clausola controversa si basa sul principio nominalistico sancito dall’articolo 1578 del codice civile e non può pertanto essere analizzata sotto il profilo del carattere abusivo ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva 93/13.

21.

Il giudice di primo grado ha respinto il ricorso. Sebbene esso abbia ritenuto che la clausola controversa fosse soggetta a un controllo del suo contenuto, ha tuttavia considerato che l’istituto di credito abbia adempiuto in misura sufficiente ai suoi obblighi di informazione, atteso che esso non avrebbe potuto prevedere le notevoli fluttuazioni del tasso di cambio.

22.

La controversia, a seguito dell’appello interposto da entrambe le parti, è ora pendente dinanzi al giudice del rinvio, la Curtea de Apel Cluj (Corte d’appello di Cluj, Romania). Tale giudice nutre dubbi sull’interpretazione della direttiva 93/13 con riguardo al suo ambito di applicazione, agli obblighi di informazione a carico dei professionisti e alle conseguenze giuridiche derivanti da un eventuale carattere abusivo della clausola in questione.

IV. Domanda di pronuncia pregiudiziale e procedimento dinanzi alla Corte

23.

Con ordinanza del 27 dicembre 2018, pervenuta alla Corte il 1o febbraio 2019, la Curtea de Apel Cluj (Corte d’appello di Cluj, Romania) ha sottoposto alla Corte in forza dell’articolo 267 TFUE le seguenti questioni pregiudiziali:

«1.

Se l’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva 93/13/CEE debba essere interpretato nel senso che non osta al fatto che sia analizzata sotto il profilo del carattere abusivo una clausola contrattuale che riprende una norma suppletiva alla quale le parti potevano derogare, ma in concreto non hanno derogato in quanto su di essa non vi è stato alcun negoziato, così come accade nel caso specifico analizzato per la clausola che impone il rimborso del mutuo nella stessa valuta straniera in cui esso è stato concesso.

2.

Se in un contesto in cui, nel concedere il mutuo in valuta estera, non sono stati presentati al consumatore calcoli/previsioni relativi all’impatto economico che un’eventuale fluttuazione del tasso di cambio avrà per quanto riguarda gli obblighi complessivi di pagamento derivanti dal contratto, si possa sostenere a ragione che una siffatta clausola, d’integrale assunzione del rischio di cambio da parte del consumatore (in forza del principio nominalistico), è chiara e comprensibile e che il professionista/la banca ha adempiuto in buona fede l’obbligo d’informazione della sua controparte contrattuale, in un contesto in cui il grado massimo d’indebitamento dei consumatori stabilito dalla Banca Națională a României (Banca nazionale della Romania) è stato calcolato con riferimento al tasso di cambio alla data della concessione del mutuo.

3.

Se la direttiva 93/13/CEE e la giurisprudenza elaborata in base ad essa nonché il principio di effettività ostino a che, in seguito alla dichiarazione del carattere abusivo di una clausola relativa all’attribuzione del rischio di cambio, il contratto prosegua immutato. Quale sarebbe la modifica possibile per non applicare la clausola abusiva e rispettare il principio di effettività».

24.

Nel procedimento pregiudiziale dinanzi alla Corte hanno presentato osservazioni scritte i ricorrenti, la Repubblica federale di Germania, la Romania e la Commissione europea. All’udienza del 6 febbraio 2020 erano rappresentati i ricorrenti e la resistente nel procedimento principale, la Romania e la Commissione europea.

V. Valutazione giuridica

25.

Le tre questioni pregiudiziali riguardano tre fasi in successione della valutazione svolta da parte di un giudice di uno Stato membro nel controllo del contenuto di clausole contrattuali preventivamente redatte, ai sensi della direttiva 93/13.

26.

La prima questione pregiudiziale verte sulla portata dell’ambito di applicazione della direttiva 93/13 (sub A.).

27.

In secondo luogo, il giudice del rinvio chiede se la clausola controversa sia formulata in «modo chiaro e comprensibile» ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva. Dato che i criteri di tale valutazione sono già stati elaborati dalla Corte con riguardo a clausole molto simili a quella controversa nelle cause Andriciuc ( 7 ) e Lupean ( 8 ), al riguardo è sufficiente limitarsi ad un breve rinvio alla giurisprudenza esistente (sub B.).

28.

Il punto centrale della causa è quindi costituito dalle conseguenze giuridiche che la constatazione del carattere abusivo della clausola controversa può comportare (sub C.).

A.   Sull’ambito di applicazione della direttiva 93/13 (prima questione pregiudiziale)

29.

Con la sua prima questione il giudice nazionale chiede, in sostanza, se una clausola contrattuale, la quale costituisce espressione di un principio generale stabilito per legge, sia soggetta alle disposizioni della direttiva 93/13.

30.

L’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva 93/13 esclude infatti dal suo ambito di applicazione le clausole contrattuali che «riproducono» una disposizione legislativa o regolamentare «imperativ[a]». Al riguardo, il giudice del rinvio, il solo competente a valutare i fatti ( 9 ), ha ritenuto che la clausola contrattuale controversa sia espressione del principio nominalistico sancito dall’articolo 1578 del codice civile.

31.

Per tale motivo, esso nutre dubbi sulla portata dell’ambito di applicazione della direttiva.

1. Tenore letterale dell’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva 93/13

32.

Il giudice del rinvio ritiene al riguardo problematico, in particolare, il fatto che l’articolo 1578 del codice civile non sia una norma inderogabile e quindi non possa essere considerato una disposizione «imperativa» ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva 93/13. In tale contesto, detto giudice evidenzia le ambiguità presenti nella versione linguistica rumena della direttiva. Mentre, ad esempio, la versione tedesca dell’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva utilizza il termine «bindend» [imperativo], che può comprendere sia le norme inderogabili sia quelle di natura suppletiva, il termine «obligatorii» utilizzato nella versione linguistica rumena sembra riferirsi solo alle disposizioni legislative o regolamentari inderogabili del diritto rumeno.

33.

Tuttavia, dal contesto generale della direttiva emerge chiaramente che la nozione di «imperativo» non si riferisce alla tradizionale distinzione presente nel diritto civile tra disposizioni inderogabili (e quindi «imperative») e di natura suppletiva (e quindi «facoltative»). A tal proposito, va osservato che le nozioni utilizzate dalla direttiva 93/13 sono di diritto dell’Unione e devono quindi essere interpretate in modo autonomo ( 10 ). Il significato del termine «obligatorii» nel diritto rumeno non è pertanto dirimente ai fini dell’interpretazione di tale nozione nell’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva 93/13. In realtà, secondo il considerando 13 della direttiva, la nozione in parola comprende anche tutte le regole che abbiano natura suppletiva e che dunque per legge si applicano tra le parti contraenti allorché non è stato convenuto nessun altro accordo ( 11 ).

34.

Inoltre, la circostanza che, di fatto, le parti non potessero derogare a tale disciplina al momento della conclusione del contratto non è rilevante ai fini della risposta da fornire alla questione pregiudiziale. Detta circostanza è una condizione e non un criterio di esclusione dell’applicabilità della direttiva 93/13. Altrimenti non si configurerebbe alcuna clausola contrattuale ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva medesima. Infatti, tale disposizione richiede che la clausola in questione «non sia stata oggetto di negoziato individuale».

35.

Si deve pertanto ritenere che anche una disposizione legislativa di natura suppletiva – come l’articolo 1578 del codice civile – possa, in linea di principio, costituire una norma «imperativa» ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva 93/13.

2. Ratio dell’esclusione dall’ambito di applicazione prevista dall’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva 93/13

36.

Tuttavia, da quanto premesso non consegue ancora che una clausola contrattuale come quella controversa nel procedimento principale non rientri nell’ambito di applicazione della direttiva.

37.

Al contrario, la Corte, per costante giurisprudenza, prende in considerazione anche aspetti teleologici nel valutare se una clausola contrattuale sia soggetta al controllo del contenuto conformemente all’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva 93/13.

38.

Secondo la giurisprudenza, infatti, l’esclusione dall’ambito di applicazione della direttiva 93/13 è giustificata dal fatto che è legittimo presumere che il legislatore nazionale abbia già stabilito un equilibrio tra l’insieme dei diritti e degli obblighi delle parti di determinati contratti e che le disposizioni legislative non contengano, di regola, clausole abusive ( 12 ).

39.

Sono dell’avviso che alla base di ciò non ci sia la semplice idea che un controllo del carattere abusivo sarebbe superfluo in casi siffatti. Anzi, in tal modo dovrebbe anche escludersi qualsiasi ingerenza illecita nella competenza degli Stati membri. Del resto, la direttiva 93/13, a termini del suo considerando 12, non mira ad armonizzare il diritto civile nazionale in materia di atti giuridici vietati. Ne consegue che né l’oggetto principale del contratto né la perequazione tra il prezzo e la prestazione possano essere assoggettati al controllo del contenuto, ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13. Infatti, dette questioni sono tipicamente disciplinate dal legislatore nazionale nelle disposizioni di diritto civile in materia di negozi giuridici nulli a causa del loro contenuto.

40.

Certo, ciò può comportare che una disciplina contrattuale, la quale dovrebbe essere considerata abusiva in base ai criteri di cui all’articolo 3 della direttiva 93/13, non possa essere contestata laddove il legislatore nazionale consenta espressamente un siffatto regime nei contratti stipulati con i consumatori. Tuttavia, sullo sfondo c’è, in ultima analisi, la questione se non sarebbe auspicabile limitare o addirittura proibire a livello dell’Unione la concessione ai consumatori di crediti in valuta estera. In ogni caso, lo stato attuale del diritto dell’Unione non prevede tale ipotesi ( 13 ).

41.

La Corte ha però stabilito che l’ipotesi secondo la quale il legislatore intende stabilire un ragionevole equilibrio tra gli interessi nel rapporto contrattuale in questione, mediante disposizioni legislative, costituisce una presunzione ( 14 ). Una siffatta presunzione, in linea di principio, può essere confutata ( 15 ).

42.

Di conseguenza, al controllo del contenuto sono sottratte le sole clausole che riproducono disposizioni legislative specificamente adottate per il tipo di contratto in questione o ad esso applicabili in virtù di una norma di rinvio. Infatti, solo laddove il legislatore nazionale avesse presente la specifica situazione delle parti, si sarebbe potuto stabilire un giusto equilibrio di interessi ( 16 ).

43.

La Corte ha del pari statuito che non si può presumere ipso facto che le disposizioni a carattere generale siano state oggetto di una valutazione specifica del legislatore finalizzata a stabilire tale equilibrio ( 17 ).

44.

È vero che in tal modo il contenuto normativo di una disposizione nazionale viene sottoposto indirettamente ad un controllo del carattere abusivo. Tuttavia, ciò non costituisce un’ingerenza indebita nella competenza degli Stati membri, in quanto la disposizione in questione può continuare ad essere attuata nei suoi altri settori di applicazione. Infatti, le valutazioni di cui alla direttiva 93/13 sono rilevanti unicamente per i contratti stipulati con i consumatori.

45.

In tale contesto spetta al giudice del rinvio verificare se il legislatore, mediante l’articolo 1578 del codice civile, abbia inteso stabilire un giusto equilibrio di interessi tra professionisti e consumatori.

46.

A tal proposito, occorre segnalare che il governo rumeno ha sottolineato, nel corso dell’udienza, che tale disposizione non è specificamente concepita con riguardo ai contratti di credito ai consumatori. Il modello su cui si baserebbe la disciplina dell’articolo 1578 del codice civile è quello dei partner contrattuali aventi pari diritti. Secondo le informazioni fornite dal governo rumeno, il nuovo codice civile non contiene più una disciplina del genere, ma ha previsto a tal riguardo disposizioni specifiche sui contratti di credito ai consumatori.

47.

Ove, alla luce di tali considerazioni, il giudice del rinvio, nel corso del suo esame, dovesse giungere alla conclusione che la disposizione non sia intesa a stabilire un equilibrio di interessi tra i consumatori e i professionisti, dovrebbe considerarsi confutata la presunzione. In tal caso, non vi sarebbe alcun motivo per non procedere al controllo del contenuto.

3. Conclusione intermedia

48.

Da quanto precede si evince che l’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva 93/13 deve essere interpretato nel senso che una clausola contrattuale che costituisca espressione di un principio generale stabilito per legge è soggetta alle disposizioni di tale direttiva nei limiti in cui, tramite l’adozione della relativa disposizione di legge, il legislatore nazionale non abbia inteso stabilire un equilibrio tra l’insieme dei diritti e degli obblighi delle parti del tipo di contratto in questione. Spetta al giudice nazionale procedere alle verifiche necessarie al riguardo.

B.   Sui requisiti di una clausola contrattuale formulata «in modo chiaro e comprensibile» e di buona fede (seconda questione pregiudiziale)

49.

Con la sua seconda questione, il giudice a quo chiede, in primo luogo, se una clausola contrattuale, la quale comporti, in sostanza, l’integrale assunzione del rischio di cambio da parte del consumatore possa essere considerata «chiara e comprensibile» ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13, qualora non siano stati presentati al consumatore calcoli relativi alle conseguenze che le fluttuazioni del tasso di cambio possono avere sulle rate da lui dovute. D’altro canto, il giudice chiede se una clausola del genere debba essere considerata lesiva della buona fede, qualora il grado massimo di indebitamento, che è alla base della valutazione della capacità finanziaria, sia calcolato esclusivamente sulla base del tasso di cambio vigente alla data della conclusione del contratto.

50.

Tale questione diventa rilevante solo nel caso in cui il giudice nazionale concluda nel senso dell’applicabilità della direttiva 93/13. D’altronde, la verifica di una clausola alla luce degli obblighi di trasparenza disposti dall’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13 presuppone in ogni caso la possibilità della sua applicazione.

51.

L’esame degli obblighi di trasparenza è di notevole importanza nel caso di clausole come quella controversa nel procedimento principale. Infatti, a tal riguardo, emerge dalla giurisprudenza che una clausola secondo la quale un mutuo espresso in valuta estera deve essere rimborsato nella stessa valuta, può eventualmente rientrare nell’«oggetto principale del contratto» ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13 ( 18 ). In base a tale disposizione, tuttavia, è possibile la valutazione del carattere abusivo di una clausola del genere solo quando essa non sia formulata in modo chiaro e comprensibile ( 19 ).

52.

La Corte ha già stabilito i criteri sulla base dei quali occorre valutare se una clausola debba essere considerata, in primo luogo, chiara e comprensibile ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13, con riguardo a clausole simili a quella controversa nella presente causa.

53.

In base a detti criteri spetta al giudice del rinvio verificare, in particolare, se, sulla base delle informazioni comunicate dal professionista, il consumatore sia stato in grado di valutare l’impatto sulle rate di rimborso che deriverebbe da un forte deprezzamento della valuta nella quale egli percepisce il proprio reddito e da un aumento del tasso di interesse estero. In concreto, il professionista è tenuto ad informare espressamente il consumatore che, sottoscrivendo un contratto di mutuo in valuta estera, si espone a un rischio di cambio che gli sarà, eventualmente, economicamente difficile sostenere in caso di svalutazione della moneta nella quale egli percepisce il proprio reddito ( 20 ).

54.

Inoltre, il giudice del rinvio deve verificare se il professionista abbia informato a tal riguardo il consumatore dell’insieme delle circostanze rilevanti di cui il professionista poteva essere a conoscenza in tale momento e che erano idonee ad incidere sull’ulteriore esecuzione del contratto in questione ( 21 ). A tal riguardo, la giurisprudenza richiede che si prendano in considerazione tutte le circostanze della controversia principale, nonché, in particolare, le competenze e le conoscenze dell’istituto di credito riguardo alle possibili variazioni dei tassi di cambio e ai rischi inerenti alla sottoscrizione di un mutuo in valuta ( 22 ).

55.

Anche se, in tale contesto, non è esigibile che il professionista preveda o calcoli il deprezzamento della valuta in questione successivamente verificatosi in concreto, tale circostanza non lo esonera dai suoi obblighi di informazione completa sui potenziali rischi delle fluttuazioni dei tassi di cambio e sul fatto che queste ultime siano interamente a carico del mutuatario.

56.

Per quanto riguarda, in secondo luogo, la questione volta a chiarire se una clausola determini, in violazione del requisito della buona fede, a danno del consumatore, un significativo squilibrio, risulta dalla giurisprudenza della Corte che il giudice nazionale deve verificare, in particolare, se il professionista, qualora avesse trattato in modo leale ed equo con il consumatore, avrebbe potuto ragionevolmente aspettarsi che quest’ultimo aderisse ad una siffatta clausola nell’ambito di un negoziato individuale ( 23 ).

57.

Alla luce delle considerazioni sin qui svolte, un comportamento leale ed equo richiede, in particolare, che il consumatore sia pienamente informato di eventuali rischi. Spetta al giudice del rinvio verificare se il riferimento al grado massimo di indebitamento fosse idoneo, nel caso di specie, a occultare i rischi. Infatti, laddove detto massimale venga calcolato sulla base del tasso di cambio vigente alla data della conclusione del contratto, il consumatore, in linea con le precedenti osservazioni, deve essere del pari avvertito del fatto che il rispetto di tale massimale non garantisce che egli sarà in grado di far fronte ai suoi obblighi finanziari in caso di deprezzamento della valuta.

58.

Nel caso in cui la normativa nazionale preveda l’obbligo di tale massimale, potrebbe addirittura considerarsi una sua elusione il caso in cui la valutazione sia staticamente limitata al solo tasso di cambio vigente al momento della concessione del credito.

59.

Di conseguenza, occorre rispondere alla seconda questione nel senso che il requisito di cui all’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13, secondo il quale una clausola contrattuale contenuta in un contratto di mutuo in valuta estera, che faccia in definitiva gravare il rischio di cambio sul consumatore, deve essere redatta in modo chiaro e comprensibile, presuppone che il consumatore sia pienamente informato delle conseguenze economiche potenzialmente significative di una clausola siffatta sui suoi obblighi finanziari. Ciò vale indipendentemente dal fatto che il deprezzamento della valuta in questione verificatosi in concreto fosse già prevedibile alla data della conclusione del contratto. Spetta al giudice nazionale procedere alle verifiche necessarie al riguardo.

C.   Sulle conseguenze giuridiche della constatazione del carattere abusivo (terza questione pregiudiziale)

60.

Con la sua terza questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, quali conseguenze debbano eventualmente trarsi dalla constatazione del carattere abusivo della clausola nella fattispecie in esame, al fine di garantire la piena efficacia dei diritti dei consumatori.

61.

Secondo detto giudice, tutte le soluzioni indicate dalla precedente giurisprudenza determinano, infatti, uno svantaggio indebito del consumatore. Il giudice del rinvio ritiene allora che una soluzione adeguata potrebbe consistere nel congelare il tasso di cambio alla data della conclusione del contratto. Tuttavia, esso si domanda se l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13 e la giurisprudenza relativa a detta disposizione ostino a una siffatta modo di procedere.

62.

Ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13, i giudici nazionali sono tenuti, in linea di principio, a dichiarare inapplicabile una clausola abusiva e a mantenere valido il contratto per il resto. A tal riguardo, la Corte ha ripetutamente sottolineato che i giudici nazionali non hanno la facoltà di integrare il contratto rivedendo il contenuto di tale clausola ( 24 ). Secondo la giurisprudenza, l’eliminazione della clausola abusiva mira a sostituire all’equilibrio formale, che il contratto determina tra i diritti e gli obblighi delle parti contraenti, un equilibrio reale, finalizzato a ristabilire l’uguaglianza tra queste ultime ( 25 ).

63.

Ora, la mera eliminazione di una clausola abusiva è naturalmente subordinata alla condizione che il contratto possa continuare a sussistere sensatamente anche senza di essa. Ove, per contro, nell’esaminare la fattispecie, il giudice nazionale pervenga alla conclusione che non è possibile eliminare la clausola senza sostituirla, detto giudice sarà tenuto, in linea di principio, ad annullare il contratto nella sua interezza e a disporne la risoluzione ( 26 ).

64.

Tuttavia, vi possono essere casi in cui l’annullamento del contratto ha conseguenze particolarmente pregiudizievoli per il consumatore. Secondo la giurisprudenza della Corte, ciò può accadere, in particolare, per i contratti di mutuo come quello di cui trattasi. In siffatti casi, l’annullamento del contratto ha, in linea di principio, l’effetto di rendere immediatamente esigibile l’importo residuo dovuto a titolo del mutuo in proporzioni che potrebbero eccedere le capacità finanziarie del consumatore ( 27 ).

65.

Nella causa in esame, il giudice nazionale ritiene che non sia possibile eliminare la clausola controversa senza sostituirla, ma esclude altresì l’annullamento del contratto, poiché ciò avrebbe conseguenze particolarmente pregiudizievoli per il consumatore. In effetti, esiste il rischio che il consumatore debba rimborsare l’intero mutuo in un’unica soluzione. Inoltre, dato che il valore nominale del debito in essere è espresso in franchi svizzeri, il rimborso dovrebbe essere effettuato al tasso di cambio corrente. Ciò comporterebbe una duplice penalizzazione per il consumatore.

66.

In casi del genere, la Corte ha finora consentito di sostituire la clausola abusiva con una disposizione di diritto interno di natura suppletiva o una disciplina applicabile in caso di accordo tra le parti ( 28 ). Infatti, l’applicazione di una siffatta disposizione legislativa o disciplina comporterà, di regola, il ripristino dell’equilibrio tra i diritti e gli obblighi reciproci delle parti ( 29 ).

67.

In ogni caso, neanche tale soluzione appare appropriata per il caso di cui trattasi. Infatti, l’articolo 1578 del codice civile, che il giudice nazionale considera l’unica disposizione pertinente al riguardo, potrebbe non essere idoneo a sostituire la clausola controversa.

68.

In primo luogo, l’articolo 1578 del codice civile costituisce una disposizione sostanzialmente identica alla clausola controversa. Sarebbe quindi paradossale sostituire la clausola controversa con detta disposizione. In secondo luogo, la Corte ha stabilito che, al fine di colmare le lacune, possono in ogni caso essere prese in considerazione solo le disposizioni di legge che riflettano l’equilibrio che il legislatore nazionale ha inteso stabilire tra l’insieme dei diritti e degli obblighi delle parti di taluni contratti ( 30 ). Tuttavia, il governo rumeno ha sostenuto, nel corso dell’udienza, che il legislatore, nel redigere l’articolo 1578 del codice civile, non mirava a stabilire un equilibrio di interessi tra le parti di un contratto di credito ai consumatori ( 31 ).

69.

Dalla precedente giurisprudenza emerge pertanto unicamente ciò che il giudice nazionale non può fare in una situazione come quella di cui trattasi: non può presumere l’esistenza di un vincolo del consumatore alla clausola abusiva ( 32 ), ma non può sostituire tale clausola con una disposizione legislativa come l’articolo 1578 del codice civile nel caso in cui quest’ultima non garantisca un ragionevole equilibrio di interessi tra il professionista e il consumatore. Inoltre, il giudice non può integrare il contratto rivedendo il contenuto della clausola abusiva, ma neanche annullarlo in toto ( 33 ).

70.

La giurisprudenza non fornisce invece alcuna risposta alla questione volta a stabilire cosa il giudice nazionale possa fare in tale situazione ( 34 ).

71.

All’udienza, il governo rumeno ha affermato che la normativa rumena, in linea di principio, conferisce al giudice la facoltà di colmare le lacune del contratto attraverso una disciplina suppletiva. In particolare, un contratto potrebbe essere integrato in tal modo a seguito del venir meno della causa del negozio giuridico..

72.

A tal proposito, va osservato che la Corte ha affermato, per costante giurisprudenza, che spetta al giudice nazionale, il quale accerta la natura abusiva di una clausola, trarre tutte le conseguenze derivanti, secondo il diritto nazionale, da tale accertamento al fine di assicurarsi che il consumatore non ne sia vincolato ( 35 ).

73.

In tali circostanze, ad un giudice nazionale il quale si trovi in una situazione come quella di cui trattasi non può essere fatto divieto, per la sola sussistenza dello status di consumatore di una delle parti del contratto, di colmare la lacuna del contratto, provocata dall’eliminazione della clausola abusiva, mediante una disciplina suppletiva che ripristini l’equilibrio tra i diritti e gli obblighi reciproci delle parti. Secondo il giudice nazionale, tale risultato potrebbe essere conseguito mediante il congelamento del tasso di cambio in vigore alla data della conclusione del contratto.

74.

In effetti, come spiegherò nel prosieguo, né l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13, né la giurisprudenza relativa a tale disposizione ostano alla facoltà di sostituire la clausola abusiva in una situazione come quella di cui trattasi.

75.

In tale contesto, va anzitutto rammentato che la sentenza nella causa Banco Español de Crédito ( 36 ), la quale costituisce il punto di partenza della giurisprudenza in materia di divieto di integrazione dei contratti da parte del giudice, riguardava un caso in cui il contratto poteva essere mantenuto anche senza la clausola abusiva. In tal caso, l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13 dispone espressamente che la clausola deve essere semplicemente disapplicata. Non vi è pertanto spazio per una diversa conseguenza giuridica in un caso del genere.

76.

Va poi sottolineato che la motivazione addotta dalla giurisprudenza per il divieto di integrazione contrattuale si basa sul fatto che la possibilità di integrare il contratto eliminerebbe l’effetto deterrente esercitato sui professionisti dalla pura e semplice nullità delle clausole abusive. Essi rimarrebbero tentati di continuare ad utilizzare le clausole stesse qualora dovessero temere unicamente che il contratto venga integrato, per quanto necessario, dal giudice ( 37 ). Ciò è in contrasto con l’obiettivo di lungo termine di cui all’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 93/13 consistente nel far cessare l’inserzione di clausole abusive.

77.

Tale motivazione, tuttavia, non è pertinente in una situazione come quella di cui trattasi.

78.

In primo luogo, in una siffatta situazione, il giudice è chiamato ad eliminare la clausola e a porre rimedio alla lacuna contrattuale che ne consegue attraverso una disciplina che rappresenti un ragionevole equilibrio di interessi. Non si tratta quindi di ridurre la clausola, per via interpretativa, al solo contenuto lecito e, in tal modo, di tener conto, di conseguenza, per quanto possibile, degli interessi del professionista. Orbene, era proprio questo il tipo di approccio che i giudici del rinvio avevano in mente nei casi in cui la Corte ha finora negato l’ammissibilità di un’integrazione del contratto ( 38 ). Infatti, in ciascuno di detti casi il giudice intendeva mantenere la clausola abusiva in parte o per determinate situazioni.

79.

D’altra parte, nella situazione di cui trattasi, il giudice a quo deve tenere in debito conto la particolare esigenza di tutela del consumatore. Invece di basarsi unilateralmente sulla volontà effettiva dell’utilizzatore di una clausola redatta preventivamente, il giudice accerta ciò che sarebbe stato concordato secondo buona fede ( 39 ). In tal modo all’equilibrio formale che il contratto determina fra i diritti e gli obblighi delle parti, è sostituito un equilibrio reale, finalizzato a ristabilire l’uguaglianza delle parti stesse. Proprio questo è, secondo la giurisprudenza, lo scopo della disciplina di cui all’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13 ( 40 ).

80.

In secondo luogo, va osservato che l’unica alternativa possibile, ossia l’annullamento dell’intero contratto, penalizzerebbe solo il consumatore. Inoltre, l’obiettivo perseguito dalla clausola, consistente nel far gravare sul consumatore il rischio di cambio, sarebbe comunque raggiunto ( 41 ). Di conseguenza, l’annullamento dell’intero contratto non dissuaderebbe un mutuante dal continuare ad inserire tali clausole nei contratti da lui proposti ( 42 ).

81.

Occorre pertanto constatare che nell’unica alternativa possibile all’integrazione del contratto – ossia nel caso di annullamento – l’effetto deterrente non è garantito. Ne consegue che un’asserita mancanza di tale effetto non può essere al tempo stesso addotta come argomento contro l’integrazione del contratto. Ciò a maggior ragione considerato che un’integrazione del contratto che prenda in considerazione gli interessi del consumatore avrebbe senz’altro un effetto deterrente nei confronti del professionista ( 43 ).

82.

Infine, una tassativa esclusione della facoltà del giudice nazionale di colmare le lacune potrebbe comportare che, negli ordinamenti giuridici nazionali, nei quali, in linea di principio, è riconosciuta una siffatta facoltà, i consumatori si troverebbero in una posizione più sfavorevole rispetto alle altre parti contraenti. Infatti, in una situazione come quella di cui trattasi, il giudice nazionale sarebbe tenuto, in ragione dello status di consumatore di una delle parti, ad annullare il contratto, con tutte le conseguenze pregiudizievoli illustrate, mentre, al di fuori della normativa sulla tutela dei consumatori, sarebbe in grado di stabilire un ragionevole equilibrio tra gli interessi mediante una disciplina suppletiva. Una soluzione del genere non può essere auspicabile né sotto il profilo della parità di trattamento, né dal punto di vista della tutela dei consumatori.

83.

Del resto, tale soluzione corrisponde sostanzialmente alla conclusione cui è pervenuta la Corte nella causa Abanca Corporación Bancaria e Bankia ( 44 ).

84.

È vero che la Corte, nella sua sentenza nella causa menzionata, ha rilevato che un giudice nazionale non può mantenere in parte una clausola abusiva ( 45 ). Così facendo, essa viene ridotta, infatti, al solo contenuto lecito, per cui si terrebbe conto unicamente degli interessi del professionista ( 46 ). Tuttavia, la Corte ha stabilito che il giudice potrebbe sostituire la clausola abusiva con una disciplina legislativa introdotta solo successivamente alla conclusione del contratto ( 47 ). Ciò, in ultima analisi, non costituisce altro che il rimedio posto dal giudice alla lacuna contrattuale provocata dall’eliminazione di una clausola abusiva.

85.

Ne consegue che, in una situazione come quella del caso di specie, l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13 e la giurisprudenza elaborata al riguardo non ostano ad una siffatta facoltà del giudice.

86.

In questa sede, occorre infine richiamare l’attenzione sul fatto che spetta al giudice nazionale valutare quale disciplina sia in grado di stabilire un ragionevole equilibrio di interessi. Le suesposte considerazioni dimostrano che, nell’ambito dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13, sia gli aspetti relativi alla tutela dei consumatori sia quelli concernenti le sanzioni svolgono un ruolo importante. Al tempo stesso, tuttavia, la Corte sottolinea anche la necessità di un equilibrio reale. Ciò implica che la disciplina deve essere proporzionata, tenendo conto di tutte le circostanze rilevanti del singolo caso.

87.

Alla luce di quanto precede, giungo alla conclusione che l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13 non osta a che il giudice nazionale elimini una clausola abusiva e la sostituisca con una disciplina suppletiva che sostituisce all’equilibrio formale dei diritti e degli obblighi delle parti contraenti un equilibrio reale, finalizzato a ristabilire la loro uguaglianza, qualora

il contratto in questione non possa essere mantenuto a seguito dell’eliminazione senza sostituzione della clausola abusiva;

l’annullamento del contratto produrrebbe conseguenze particolarmente pregiudizievoli per il consumatore, e

manchi una disposizione di natura suppletiva della normativa nazionale o applicabile in caso di accordo tra le parti del contratto in questione, con la quale possa essere sostituita la clausola eliminata.

VI. Conclusione

88.

Alla luce delle suesposte considerazioni, suggerisco alla Corte di rispondere come segue alla domanda di pronuncia pregiudiziale sottoposta dalla Curtea de Apel Cluj (Corte d’appello di Cluj, Romania):

1.

L’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva 93/13/CEE, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, deve essere interpretato nel senso che una clausola contrattuale che costituisca espressione di un principio generale stabilito per legge è soggetta alle disposizioni di tale direttiva nei limiti in cui, tramite l’adozione della relativa disposizione di legge, il legislatore nazionale non abbia inteso stabilire un equilibrio tra l’insieme dei diritti e degli obblighi delle parti del tipo di contratto in questione. Spetta al giudice nazionale procedere alle verifiche necessarie al riguardo.

2.

Il requisito di cui all’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13/CEE, secondo il quale una clausola contrattuale contenuta in un contratto di mutuo in valuta estera, che faccia in definitiva gravare il rischio di cambio sul consumatore, deve essere redatta in modo chiaro e comprensibile, presuppone che il consumatore sia pienamente informato delle conseguenze economiche potenzialmente significative di una clausola siffatta sui propri obblighi finanziari. Ciò vale indipendentemente dal fatto che il deprezzamento della valuta in questione verificatosi in concreto fosse già prevedibile alla data della conclusione del contratto. Spetta al giudice nazionale procedere alle verifiche necessarie al riguardo.

3.

L’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13/CEE deve essere interpretato nel senso che non osta a che il giudice nazionale elimini una clausola abusiva e la sostituisca con una disciplina suppletiva che sostituisce all’equilibrio formale dei diritti e degli obblighi delle parti contraenti un equilibrio reale, finalizzato a ristabilire la loro uguaglianza, qualora, in primo luogo, il contratto in questione non possa essere mantenuto a seguito dell’eliminazione senza sostituzione della clausola abusiva; in secondo luogo, l’annullamento del contratto produrrebbe conseguenze particolarmente pregiudizievoli per il consumatore e, in terzo luogo, manchi una disposizione di natura suppletiva della normativa nazionale o applicabile in caso di accordo tra le parti del contratto in questione, con la quale possa essere sostituita la clausola eliminata.


( 1 ) Lingua originale: il tedesco.

( 2 ) Tale questione fondamentale è stata chiarita con la sentenza del 20 settembre 2017, Andriciuc e a. (C‑186/16, EU:C:2017:703, punto 41), v. al riguardo anche le conclusioni dell’avvocato generale Wahl nella causa Andriciuc e a. (C‑186/16, EU:C:2017:313, paragrafo 2).

( 3 ) V. sentenze del 30 aprile 2014, Kásler e Káslerné Rábai (C‑26/13, EU:C:2014:282, punti 4041), del 20 settembre 2017, Andriciuc e a. (C‑186/16, EU:C:2017:703, punto 41), del 20 settembre 2018, OTP Bank e OTP Faktoring (C‑51/17, EU:C:2018:750, punto 68), del 14 marzo 2019, Dunai (C‑118/17, EU:C:2019:207, punto 48). Tale è l’oggetto della seconda questione pregiudiziale.

( 4 ) V. conclusioni dell’avvocato generale Szpunar nella causa Gómez del Moral Guasch (C‑125/18, EU:C:2019:695), nonché cause C‑269/19, Banca B. (GU 2019, C 238, pag. 7) e C‑346/19, Credit Europe Ipotecar IFN e Credit Europe Bank (GU 2019, C 288, pag. 19).

( 5 ) GU 1993, L 95, pag. 29.

( 6 ) Al tasso di cambio vigente al momento della sottoscrizione del contratto in data 31 marzo 2008.

( 7 ) Sentenza del 20 settembre 2017, Andriciuc e a. (C‑186/16, EU:C:2017:703).

( 8 ) Ordinanza del 22 febbraio 2018, Lupean (C‑119/17, non pubblicata, EU:C:2018:103).

( 9 ) V. sentenza del 3 aprile 2019, Aqua Med (C‑266/18, EU:C:2019:282, punto 32 e la giurisprudenza ivi citata).

( 10 ) Sentenze del 30 aprile 2014, Kásler e Káslerné Rábai (C‑26/13, EU:C:2014:282, punto 37), e del 26 febbraio 2015, Matei (C‑143/13, EU:C:2015:127, punto 50).

( 11 ) Sentenza del 20 settembre 2017, Andriciuc e a. (C‑186/16, EU:C:2017:703, punto 29).

( 12 ) Sentenze del 21 marzo 2013, RWE Vertrieb (C‑92/11, EU:C:2013:180, punto 28) e del 3 aprile 2019, Aqua Med (C‑266/18, EU:C:2019:282, punto 33). V. altresì il considerando 13 della direttiva.

( 13 ) Ciò è dimostrato, in particolare, dall’esistenza della direttiva 17/2014/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 febbraio 2014, in merito ai contratti di credito ai consumatori relativi a beni immobili residenziali, la quale, nel suo articolo 23, contiene disposizioni sulla tutela minima dei consumatori nella conclusione di contratti di credito in valuta estera, le quali devono essere trasposte dagli Stati membri. Tale direttiva non è applicabile ratione temporis nel procedimento principale.

( 14 ) Sentenza del 3 ottobre 2019, Dziubak (C‑260/18, EU:C:2019:819, punto 61).

( 15 ) V., in tal senso, sentenze del 21 marzo 2013, RWE Vertrieb (C‑92/11, EU:C:2013:180, punti 27 e segg.), e del 3 aprile 2019, Aqua Med (C‑266/18, EU:C:2019:282, punto 36).

( 16 ) V. sentenza del 21 marzo 2013, RWE Vertrieb (C‑92/11, EU:C:2013:180, punti 2729).

( 17 ) Sentenza del 3 ottobre 2019, Dziubak (C‑260/18, EU:C:2019:819, punto 61).

( 18 ) Sentenza del 20 settembre 2017, Andriciuc e a. (C‑186/16, EU:C:2017:703, punto 41), e ordinanza del 22 febbraio 2018, Lupean (C‑119/17, non pubblicata, EU:C:2018:103, punto 21).

( 19 ) V. sentenze del 20 settembre 2018, OTP Bank e OTP Faktoring (C‑51/17, EU:C:2018:750, punto 68), del 14 marzo 2019, Dunai (C‑118/17, EU:C:2019:207, punto 48).

( 20 ) Sentenza del 20 settembre 2017, Andriciuc e a. (C‑186/16, EU:C:2017:703, punto 50) e ordinanza del 22 febbraio 2018, Lupean (C‑119/17, non pubblicata, EU:C:2018:103, punto 25).

( 21 ) Sentenza del 20 settembre 2017, Andriciuc e a. (C‑186/16, EU:C:2017:703, punto 54) e ordinanza del 22 febbraio 2018, Lupean (C‑119/17, non pubblicata, EU:C:2018:103, punto 27).

( 22 ) Sentenza del 20 settembre 2017, Andriciuc e a. (C‑186/16, EU:C:2017:703, punto 56) e ordinanza del 22 febbraio 2018, Lupean (C‑119/17, non pubblicata, EU:C:2018:103, punto 29).

( 23 ) Sentenza del 20 settembre 2017, Andriciuc e a. (C‑186/16, EU:C:2017:703, punto 57), e ordinanza del 22 febbraio 2018, Lupean (C‑119/17, non pubblicata, EU:C:2018:103, punto 30).

( 24 ) Sentenze del 14 giugno 2012, Banco Español de Crédito (C‑618/10, EU:C:2012:349, punto 73); del 30 aprile 2014, Kásler e Káslerné Rábai (C‑26/13, EU:C:2014:282, punto 77), e del 26 marzo 2019, Abanca Corporación Bancaria e Bankia (C‑70/17 e C‑179/17, EU:C:2019:250, punto 53).

( 25 ) Sentenze del 14 giugno 2012, Banco Español de Crédito (C‑618/10, EU:C:2012:349, punto 40); del 14 marzo 2013, Aziz (C‑415/11, EU:C:2013:164, punto 45); del 30 aprile 2014, Kásler e Káslerné Rábai (C‑26/13, EU:C:2014:282, punto 80), e del 26 marzo 2019, Abanca Corporación Bancaria e Bankia (C‑70/17 e C‑179/17, EU:C:2019:250, punti 5659).

( 26 ) V. in tal senso sentenze del 14 marzo 2019, Dunai (C‑118/17, EU:C:2019:207, punti 4852), e del 3 ottobre 2019, Dziubak (C‑260/18, EU:C:2019:819, punti 44 e seg.).

( 27 ) Sentenze del 30 aprile 2014, Kásler e Káslerné Rábai (C‑26/13, EU:C:2014:282, punti 83 e segg.), e del 26 marzo 2019, Abanca Corporación Bancaria e Bankia (C‑70/17 e C‑179/17, EU:C:2019:250, punto 58).

( 28 ) V. sentenze del 30 aprile 2014, Kásler e Káslerné Rábai (C‑26/13, EU:C:2014:282, punto 80); del 26 marzo 2019, Abanca Corporación Bancaria e Bankia (C‑70/17 e C‑179/17, EU:C:2019:250, punti 5659), e del 3 ottobre 2019, Dziubak (C‑260/18, EU:C:2019:819, punto 58).

( 29 ) Sentenze del 30 aprile 2014, Kásler e Káslerné Rábai (C‑26/13, EU:C:2014:282, punto 82), e del 26 marzo 2019, Abanca Corporación Bancaria e Bankia (C‑70/17 e C‑179/17, EU:C:2019:250, punto 57).

( 30 ) Sentenza del 3 ottobre 2019, Dziubak (C‑260/18, EU:C:2019:819, punto 60).

( 31 ) V. al riguardo in particolare paragrafi 43 e 46 delle presenti conclusioni e sentenza del 3 ottobre 2019, Dziubak (C‑260/18, EU:C:2019:819, punto 61).

( 32 ) Sentenza del 3.ottobre 2019, Dziubak (C‑260/18, EU:C:2019:819, punto 68).

( 33 ) Sentenza del 26 marzo 2019, Abanca Corporación Bancaria e Bankia (C‑70/17 e C‑179/17, EU:C:2019:250, punti 5556).

( 34 ) Ciò è illustrato in particolare dalla sentenza del 3 ottobre 2019, Dziubak (C‑260/18, EU:C:2019:819).

( 35 ) Sentenze del 15 marzo 2012, Pereničová e Perenič (C‑453/10, EU:C:2012:144, punto 30); del 30 maggio 2013, Jőrös (C‑397/11, EU:C:2013:340, punto 48), e del 21 aprile 2016, Radlinger e Radlingerová (C‑377/14, EU:C:2016:283, punto 101).

( 36 ) Sentenza del 14 giugno 2012, Banco Español de Crédito (C‑618/10, EU:C:2012:349).

( 37 ) Sentenze del 14 giugno 2012, Banco Español de Crédito (C‑618/10, EU:C:2012:349, punto 69); del 30 aprile 2014, Kásler e Káslerné Rábai (C‑26/13, EU:C:2014:282, punto 79), e del 26 marzo 2019, Abanca Corporación Bancaria e Bankia (C‑70/17 e C‑179/17, EU:C:2019:250, punto 54).

( 38 ) Sentenze del 14 giugno 2012, Banco Español de Crédito (C‑618/10, EU:C:2012:349), e del 26 marzo 2019, Abanca Corporación Bancaria e Bankia (C‑70/17 e C‑179/17, EU:C:2019:250) e ordinanza del 24 ottobre 2019, Topaz (C‑211/17, non pubblicata, EU:C:2019:906).

( 39 ) V. su tale criterio sentenze del 14 marzo 2013, Aziz (C‑415/11, EU:C:2013:164, punti 6869), e del 20 settembre 2017, Andriciuc e a. (C‑186/16, EU:C:2017:703, punto 57), nonché ordinanza del 22 febbraio 2018, Lupean (C‑119/17, non pubblicata, EU:C:2018:103, punto 30).

( 40 ) V. al riguardo supra, paragrafo 62 delle presenti conclusioni.

( 41 ) V. al riguardo supra, paragrafo 65 delle presenti conclusioni.

( 42 ) V. in tal senso sentenze del 30 aprile 2014, Kásler e Káslerné Rábai (C‑26/13, EU:C:2014:282, punti 83 e seg.), e del 26 marzo 2019, Abanca Corporación Bancaria e Bankia (C‑70/17 e C‑179/17, EU:C:2019:250, punto 58).

( 43 ) V. Al riguardo paragrafi 78 e 79 delle presenti conclusioni.

( 44 ) Sentenza del 26 marzo 2019, Abanca Corporación Bancaria e Bankia (C‑70/17 e C‑179/17, EU:C:2019:250).

( 45 ) Sentenza del 26 marzo 2019, Abanca Corporación Bancaria e Bankia (C‑70/17 e C‑179/17, EU:C:2019:250, punto 55).

( 46 ) V. al riguardo supra, paragrafo 78 delle presenti conclusioni.

( 47 ) Sentenza del 26 marzo 2019, Abanca Corporación Bancaria e Bankia (C‑70/17 e C‑179/17, EU:C:2019:250, punto 59).

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