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Document 62018CC0622

Conclusioni dell’avvocato generale G. Pitruzzella, presentate il 18 settembre 2019.
AR contro Cooper International Spirits LLC e a.
Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Cour de cassation.
Rinvio pregiudiziale – Ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa – Direttiva 2008/95/CE – Articolo 5, paragrafo 1, lettera b) – Articolo 10, paragrafo 1, primo comma – Articolo 12, paragrafo 1 – Decadenza di un marchio per mancanza di uso effettivo – Diritto, per il titolare del marchio, di far valere una violazione dei suoi diritti esclusivi derivante dall’uso, da parte di un terzo, di un segno identico o simile durante il periodo anteriore alla data di decorrenza della decadenza.
Causa C-622/18.

Court reports – general – 'Information on unpublished decisions' section

ECLI identifier: ECLI:EU:C:2019:755

 CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

GIOVANNI PITRUZZELLA

presentate il 18 settembre 2019 ( 1 )

Causa C‑622/18

AR

contro

Cooper International Spirits LLC,

St Dalfour SAS,

Établissements Gabriel Boudier SA

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Cour de cassation (Corte di cassazione, Francia)]

«Rinvio pregiudiziale – Ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa – Decadenza di un marchio per mancanza di uso effettivo – Diritto per il titolare del marchio di opporsi all’uso da parte di un terzo di un segno identico o simile per il periodo anteriore alla data di decorrenza della decadenza»

1. 

Il titolare di un marchio, che non l’abbia mai sfruttato e sia stato dichiarato decaduto dai propri diritti su di esso per mancanza di uso effettivo alla scadenza del termine di cinque anni successivo alla pubblicazione della registrazione, può esercitare un’azione per contraffazione e chiedere il risarcimento del danno che avrebbe subito a seguito dell’utilizzazione da parte di un terzo, anteriormente alla data di decorrenza della decadenza, di un segno simile per prodotti o servizi identici o simili che si prestino a confusione con il suo marchio?

2. 

Tale è, in sostanza, la questione sollevata dalla Cour de cassation (Corte di cassazione, Francia) nella domanda di pronuncia pregiudiziale oggetto delle presenti conclusioni, che verte sull’interpretazione dell’articolo 5, paragrafo 1, lettera b), e degli articoli 10 e 12 della direttiva 2008/95/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 ottobre 2008, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa ( 2 ).

3. 

Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia che vede opposto AR alle società Cooper International Spirits LLC (in prosieguo: la «Cooper International»), Établissements Gabriel Boudier SA (in prosieguo: l’«Établissements Boudier») e St Dalfour SAS (in prosieguo: la «Dalfour») riguardo a presunti atti di contraffazione del marchio francese registrato «SAINT GERMAIN» commessi anteriormente alla decadenza di quest’ultimo.

I. Contesto normativo

A.   Diritto dell’Unione

4.

L’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 2008/95 enuncia quanto segue:

«Il marchio di impresa registrato conferisce al titolare un diritto esclusivo. Il titolare ha il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare nel commercio:

a)

un segno identico al marchio di impresa per prodotti o servizi identici a quelli per cui è stato registrato;

b)

un segno che, a motivo dell’identità o della somiglianza col marchio di impresa e dell’identità o somiglianza dei prodotti o servizi contraddistinti dal marchio di impresa e dal segno, possa dare adito a un rischio di confusione per il pubblico, compreso il rischio che si proceda a un’associazione tra il segno e il marchio di impresa».

5.

L’articolo 10 della direttiva 2008/95, intitolato «Uso del marchio di impresa», al suo paragrafo 1, prevede quanto segue:

«Se, entro cinque anni dalla data in cui si è chiusa la procedura di registrazione, il marchio di impresa non ha formato oggetto da parte del titolare di un uso effettivo nello Stato membro interessato per i prodotti o servizi per i quali è stato registrato, o se tale uso è stato sospeso per un periodo ininterrotto di cinque anni, il marchio di impresa è sottoposto alle sanzioni previste nella presente direttiva, salvo motivo legittimo per il mancato uso».

6.

L’articolo 12 della direttiva 2008/95, intitolato «Motivi di decadenza», al suo paragrafo 1 dispone quanto segue:

«Il marchio di impresa è suscettibile di decadenza se entro un periodo ininterrotto di cinque anni esso non ha formato oggetto di uso effettivo nello Stato membro interessato per i prodotti o servizi per i quali è stato registrato e se non sussistono motivi legittimi per il suo mancato uso».

B.   Diritto francese

7.

L’articolo R. 712‑23 del code de la propriété intellectuelle (codice della proprietà intellettuale) precisa che «[l]a data in cui un marchio si ritiene registrato, in particolare ai fini dell’applicazione degli articoli L. 712‑4 e L. 712‑5, è: 1o [p]er i marchi francesi, quella del Bulletin officiel de la propriété industrielle nel quale la registrazione è pubblicata».

8.

Ai sensi dell’articolo L. 713‑1 del codice della proprietà intellettuale, «[l]a registrazione del marchio conferisce al suo titolare un diritto di proprietà su tale marchio per i prodotti e servizi da lui designati».

9.

L’articolo L. 713‑2 di tale codice, che vieta gli atti designati, nel diritto dei marchi francese, come atti di «contraffazione per riproduzione», dispone quanto segue:

«Sono vietati, salvo autorizzazione del proprietario:

a)

la riproduzione, l’uso o l’apposizione di un marchio, anche con l’aggiunta di parole come “formula, stile, sistema, imitazione, genere o metodo”, nonché l’uso di un marchio riprodotto, per prodotti o servizi identici a quelli per i quali il marchio è stato registrato (…)».

10.

L’articolo L. 713‑3, lettera b), del medesimo codice, che prende invece in considerazione gli atti rientranti nella categoria della «contraffazione per imitazione», stabilisce che «[s]ono vietati, salvo autorizzazione del proprietario, ove possa risultarne un rischio di confusione per il pubblico: (…), [l]’imitazione di un marchio e l’uso di un marchio imitato, per prodotti o servizi identici o simili a quelli per i quali il marchio è stato registrato».

11.

L’articolo L. 714‑5, primo comma, del codice della proprietà intellettuale prevede quanto segue:

«Incorre nella decadenza dai suoi diritti il proprietario del marchio che, senza giustificato motivo, non ne abbia fatto uso effettivo, per i prodotti e servizi considerati nella registrazione, per un periodo ininterrotto di cinque anni».

12.

L’ultimo comma di tale articolo prevede che «[l]a decadenza decorre dalla data di scadenza del termine di cinque anni previsto al primo comma del presente articolo. Essa ha effetto assoluto».

II. Procedimento principale, questione pregiudiziale e procedimento dinanzi alla Corte

13.

AR, ricorrente nel procedimento principale, era titolare del marchio francese semifigurativo «SAINT GERMAIN», depositato il 5 dicembre 2005, la cui registrazione è stata pubblicata il 12 maggio 2006, per designare, in particolare, i prodotti «bevande alcoliche (ad eccezione delle birre), sidri, digestivi, vini e liquori, estratti o essenze alcolici» (in prosieguo: «i prodotti di cui trattasi nel procedimento principale»).

14.

Avendo appreso che la Cooper International, con sede negli Stati Uniti, distribuiva un liquore di sambuco con la denominazione «St‑Germain», prodotto dalla Dalfour e da un subfornitore di quest’ultima, l’Établissements Boudier, l’8 giugno 2012 AR ha citato tali tre società (in prosieguo, congiuntamente: le «convenute nel procedimento principale») dinanzi al tribunal de grande instance de Paris (Tribunale di primo grado di Parigi, Francia) per contraffazione di marchio per riproduzione o, in subordine, per imitazione.

15.

In una causa parallela, intentata dalla società di diritto statunitense Osez vous? International Spirits LLC ( 3 ), il tribunal de grande instance de Nanterre (Tribunale di primo grado di Nanterre, Francia), con sentenza del 28 febbraio 2013, avendo ritenuto che AR non avesse fornito la dimostrazione di un uso effettivo del marchio francese «SAINT GERMAIN» a partire dal suo deposito, ha dichiarato decaduti i suoi diritti su tale marchio per i prodotti di cui trattasi nel procedimento principale a decorrere dal 13 maggio 2011, ossia alla scadenza del termine di cinque anni trascorso dalla data di pubblicazione della registrazione del marchio. Tale sentenza è stata confermata da una sentenza della cour d’appel de Versailles (Corte d’appello di Versailles, Francia) dell’11 febbraio 2014, la quale, non essendo stata impugnata, è passata in giudicato.

16.

Dinanzi al tribunal de grande instance de Paris (Tribunale di primo grado di Parigi), AR ha mantenuto in essere la sua azione per contraffazione per il periodo non interessato dalla prescrizione e anteriore alla decadenza, ossia tra l’8 giugno 2009 e il 13 maggio 2011.

17.

Con sentenza del 16 gennaio 2015, tale tribunale, dopo aver considerato che nessuno sfruttamento del marchio controverso aveva avuto luogo a partire dal suo deposito, ha respinto tutte le domande di AR [in prosieguo: la «sentenza del tribunal de grande instance de Paris (Tribunale di primo grado di Parigi)»].

18.

La cour d’appel de Paris (Corte d’appello di Parigi, Francia), con sentenza del 13 settembre 2016, ha confermato tale sentenza [in prosieguo: la «sentenza della cour d’appel de Paris (Corte d’appello di Parigi)»]. Dopo aver considerato, date le differenze tra i segni in conflitto, che la contraffazione dedotta da AR poteva essere compresa solo alla luce dell’articolo L. 713‑3 del codice della proprietà intellettuale, ossia quale atto di contraffazione per imitazione, la cour d’appel de Paris (Corte d’appello di Parigi) ha considerato che la valutazione del rischio di confusione per il pubblico presuppone che il marchio fatto valere abbia formato oggetto di uno sfruttamento che lo metta a contatto con i consumatori. In proposito, essa ha ricordato anzitutto che il tribunal de grande instance de Nanterre (Tribunale di primo grado di Nanterre), in ciò confermato dalla cour d’appel de Versailles (Corte d’appello di Versailles), aveva dichiarato parzialmente decaduti i diritti di AR sul marchio di cui trattasi nel procedimento principale per mancanza di uso effettivo. Successivamente, dopo aver esaminato i documenti versati agli atti da AR, essa ha constatato che quest’ultimo non era riuscito a dimostrare che il suo marchio fosse stato realmente sfruttato. La cour d’appel de Paris (Corte d’appello di Parigi) ha, pertanto, concluso che AR non poteva far valere utilmente né un pregiudizio alla funzione di garanzia d’origine di tale marchio, che non era stato messo a contatto con il pubblico ( 4 ), né un pregiudizio al monopolio di sfruttamento conferito da quest’ultimo ( 5 ).

19.

Il 21 dicembre 2016 AR ha proposto ricorso per cassazione contro la sentenza della cour d’appel de Paris (Corte d’appello di Parigi). A sostegno della propria impugnazione, egli adduce una violazione degli articoli L. 713‑3 e L. 714‑5 del codice della proprietà intellettuale. AR contesta alla cour d’appel de Paris (Corte d’appello di Parigi) di aver respinto le sue azioni per contraffazione sebbene, nel corso del periodo di cinque anni successivo alla registrazione del suo marchio, egli avesse il diritto di vietare ai terzi di far uso, nella vita commerciale, di un segno identico o simile e in grado di violare le funzioni di detto marchio, senza dover dimostrare un uso effettivo di quest’ultimo e, pertanto, senza dimostrare che esso fosse stato effettivamente sfruttato. AR asserisce che, poiché è la registrazione che determina l’oggetto del diritto esclusivo sul marchio, il rischio di confusione ai sensi dell’articolo L. 713‑3 del codice della proprietà intellettuale dev’essere valutato in maniera astratta, facendo riferimento all’oggetto della registrazione del marchio fatto valere, se del caso non sfruttato, e non rispetto a una situazione concreta sul mercato e che pertanto un rischio di confusione può sussistere, e, di conseguenza, può ricorrere la contraffazione, in presenza di un marchio non sfruttato e quindi non noto ai consumatori. Egli fa valere, inoltre, che non è necessario che il marchio tutelato sia effettivamente sfruttato per verificare se esso svolge le sue funzioni, che basta che il segno controverso violi le funzioni «potenziali» del marchio e che la contraffazione è stata sempre valutata con riferimento all’uso del segno che contraffà e non all’uso del segno registrato.

20.

Dal canto loro, le convenute nel procedimento principale sostengono che l’uso di un segno può violare il diritto esclusivo del titolare del marchio solo se compromette una delle sue funzioni, che un marchio svolge la sua funzione essenziale solo se esso è effettivamente sfruttato dal suo titolare per indicare l’origine commerciale dei prodotti o servizi designati nella sua registrazione e che, in mancanza di sfruttamento del suo marchio conformemente alla sua funzione essenziale, il titolare non può lamentare una qualunque violazione o un qualunque rischio di violazione di tale funzione. Esse fanno valere che, di fatto, qualora il titolare non utilizzi il suo marchio per contraddistinguere i suoi prodotti, non vi è alcun rischio che il pubblico sia portato a stabilire il minimo nesso tra detti prodotti e quelli di un terzo che faccia uso di un segno simile e che esso possa ingannarsi sull’origine dei prodotti in questione. Secondo tali società, il diritto dei marchi sarebbe sviato dalla sua finalità e non svolgerebbe più il suo ruolo di elemento essenziale di un sistema di concorrenza non falsata, se si dovesse ammettere che chi si è limitato a depositare un marchio, senza mai sfruttarlo, possa riservarsi la possibilità di reclamare un risarcimento danni da terzi che sfruttino segni simili. Ciò equivarrebbe a riconoscere a tale titolare un vantaggio concorrenziale del tutto indebito.

21.

Il giudice del rinvio deduce dal fatto che il motivo di cassazione è fondato sulla violazione dell’articolo L. 713‑3 del codice della proprietà intellettuale che AR non censura la sentenza della cour d’appel de Paris (Corte d’appello di Parigi) in quanto essa ha esaminato la contraffazione solo alla luce di tale articolo, che richiede, affinché sussista la contraffazione, che sia provata l’esistenza di un rischio di confusione per il pubblico ( 6 ). Rinviando alla sentenza del 18 giugno 2009, L’Oréal e a. (C‑487/07, EU:C:2009:378, punti 5859), tale giudice ritiene che, trattandosi di valutare la contraffazione per imitazione, vada ricercato unicamente il pregiudizio che sia stato arrecato alla funzione essenziale del marchio, in ragione di un siffatto rischio di confusione.

22.

Il giudice del rinvio ricorda che, nella sentenza del 21 dicembre 2016, Länsförsäkringar (C‑654/15, EU:C:2016:998; in prosieguo: la «sentenza Länsförsäkringar»), la Corte, pronunciandosi sull’interpretazione dell’articolo 9, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 207/2009 ( 7 ), ha dichiarato che, nel corso del periodo di cinque anni che segue la registrazione di un marchio dell’Unione europea, il suo titolare può, qualora vi sia rischio di confusione, vietare ai terzi di usare nel commercio un segno identico o simile al suo marchio per tutti i prodotti e i servizi identici o simili a quelli per i quali tale marchio è stato registrato, senza dover dimostrare l’uso effettivo di detto marchio per tali prodotti o servizi. Pur sottolineando che l’interpretazione adottata in tale sentenza è trasponibile all’articolo 5, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2008/95, data la somiglianza tra le formulazioni delle due disposizioni, tale giudice evidenzia che la situazione sottoposta alla Corte in detta sentenza, nella quale il periodo di cinque anni non era ancora trascorso e nella quale nessuna domanda di decadenza per mancanza di uso effettivo aveva potuto – per definizione – essere formulata, non è identica a quella che si presenta nella controversia di cui al procedimento principale. Quest’ultima porrebbe la questione di stabilire se chi non ha mai sfruttato il suo marchio ed è stato dichiarato decaduto dai suoi diritti su di esso alla scadenza del termine di cinque anni possa lamentare di aver subito una violazione della funzione essenziale del suo marchio e un pregiudizio, a seguito dell’uso che sia stato fatto, da un terzo, di un segno identico o simile nel corso del periodo di cinque anni successivo alla registrazione del marchio, e chiedere un risarcimento danni.

23.

In siffatte circostanze, con decisione del 26 settembre 2018, la Cour de cassation (Corte di cassazione) ha sospeso il procedimento pendente dinanzi ad essa e ha sollevato la seguente questione pregiudiziale:

«Se gli articoli 5, paragrafo 1, lettera b), 10 e 12 della direttiva [2008/95] debbano essere interpretati nel senso che il titolare, che non abbia mai sfruttato il suo marchio e sia stato dichiarato decaduto dai suoi diritti su quest’ultimo alla scadenza del periodo di cinque anni successivo alla pubblicazione della sua registrazione, possa ottenere il risarcimento di un danno per contraffazione facendo valere un pregiudizio arrecato alla funzione essenziale del suo marchio, a seguito dell’uso, da parte di un terzo, anteriormente alla data di decorrenza della decadenza, di un segno simile a detto marchio per designare prodotti o servizi identici o simili a quelli per i quali tale marchio è stato registrato».

24.

Nella causa oggetto delle presenti conclusioni sono state presentate osservazioni scritte da AR, dalla Cooper International (unitamente alla Dalfour), dall’Établissements Boudier, dal governo francese e dalla Commissione europea. Tali interessati hanno svolto le proprie osservazioni orali all’udienza tenutasi dinanzi alla Corte il 12 giugno 2019.

III. Analisi

A.   Regime della decadenza e sua ratio

25.

Il diritto dei marchi armonizzato degli Stati membri, esattamente come il sistema del marchio dell’Unione europea, si fonda sul riconoscimento di diritti di privativa ai soli titolari di segni distintivi destinati ad essere utilizzati nel commercio e dunque ad essere presenti sul mercato.

26.

Come precisato dalla Corte nella sentenza del 19 dicembre 2012, Leno Merken (C‑149/11, EU:C:2012:816, punto 32), dal considerando 9 della direttiva 2008/95 ( 8 ) risulta, infatti, che il legislatore dell’Unione ha inteso subordinare il mantenimento dei diritti collegati al marchio nazionale alla condizione che esso sia effettivamente utilizzato.

27.

Tale condizione relativa all’uso, da un lato, mira a garantire che il marchio registrato svolga la propria funzione distintiva in concreto e non soltanto potenzialmente e, d’altro lato, persegue obiettivi proconcorrenziali.

28.

Un marchio non utilizzato, infatti, può ostacolare la concorrenza, «limitando il novero dei segni che possono essere registrati come marchi da altri e privando i concorrenti della possibilità di utilizzare tale marchio, o un marchio simile, al momento di immettere nel mercato interno prodotti e/o servizi identici o simili a quelli contraddistinti dal marchio in questione» ( 9 ).

29.

Per le medesime ragioni, il mancato uso di un marchio (nazionale o dell’Unione europea) rischia altresì di limitare la libera circolazione delle merci e la libera prestazione dei servizi ( 10 ). La condizione relativa all’uso del marchio è dunque finalizzata anche agli obiettivi di realizzazione del mercato interno.

30.

Tanto le direttive di armonizzazione dei diritti dei marchi degli Stati membri quanto i regolamenti che disciplinano il marchio dell’Unione europea succedutisi hanno, pertanto, previsto che, mentre i diritti sul marchio (nazionale e dell’Unione europea) si acquistano con la mera formalità della registrazione ( 11 ), la conservazione di tali diritti è possibile soltanto se il segno è oggetto di «uso effettivo» nel commercio ( 12 ).

31.

L’articolo 12, paragrafo 1, della direttiva 2008/95 ( 13 ), prevedendo la perdita dei diritti sul marchio in mancanza di uso effettivo di quest’ultimo per i prodotti o servizi per i quali è stato registrato, mira a garantire che il diritto di privativa connesso alla registrazione possa essere esercitato soltanto su segni che svolgono effettivamente la loro funzione distintiva, nonché a far sì che soltanto marchi effettivamente sfruttati siano mantenuti nei registri dei marchi nazionali.

32.

La decadenza prevista all’articolo 12, paragrafo 1, della direttiva 2008/95 si produce in caso di mancato uso quinquennale del marchio.

33.

L’articolo 10, paragrafo 1, della direttiva 2008/95 distingue, in proposito, il caso in cui il marchio non ha formato oggetto di un uso effettivo durante il periodo di cinque anni successivo alla sua registrazione da quello in cui tale uso ha avuto inizio, ma è stato sospeso per un periodo ininterrotto di cinque anni. La causa oggetto delle presenti conclusioni riguarda soltanto la prima di tali ipotesi, ragion per cui, nel prosieguo, farò riferimento unicamente alla citata causa di decadenza per mancato uso.

B.   Esercizio del diritto esclusivo sul marchio nel contesto dell’azione per contraffazione

34.

La tutela del marchio registrato è garantita mediante il riconoscimento di un diritto esclusivo al suo titolare, al quale corrisponde un dovere di astensione di qualsiasi terzo (non autorizzato). Tale ius excludendi tuttavia non è assoluto.

35.

Da un lato, esso concerne l’attività del titolare (o dei terzi da lui autorizzati) nell’ambito della produzione e della distribuzione di beni o servizi, e, pertanto, ha ad oggetto l’uso del marchio e non il marchio in quanto tale, il che impedisce di interpretare i diritti conferiti da tale titolo di proprietà intellettuale quali classici diritti di proprietà ( 14 ).

36.

D’altro lato, esso può essere azionato soltanto se ricorrono gli elementi costitutivi di una delle ipotesi enunciate all’articolo 5 della direttiva 2008/95 ( 15 ), il che implica che siano dimostrati un uso illecito di un segno identico o simile al marchio registrato, nonché l’esistenza di un pregiudizio (grave) per gli interessi tutelati del titolare di quest’ultimo ( 16 ).

37.

Il diritto dei marchi armonizzato a livello dell’Unione europea ha esteso l’oggetto dell’azione per contraffazione al di là della sua ipotesi tipica, che prende in considerazione il pregiudizio arrecato alla funzione distintiva del marchio ( 17 ), in cui la lesione degli interessi del titolare del marchio è accompagnata da un danno per il pubblico sotto forma di un rischio di essere indotto in errore in occasione delle sue scelte di acquisto e di consumo ( 18 ).

38.

Il criterio che delimita l’area della tutela garantita mediante l’azione per contraffazione è individuato dalla Corte attraverso il riferimento alle funzioni giuridicamente riconosciute e tutelate di tale marchio, ossia, oltre alla funzione, essenziale, di indicazione di origine, quelle di comunicazione, di investimento, di pubblicità e di garanzia di qualità ( 19 ).

1. La contraffazione dev’essere valutata in maniera astratta o concreta?

39.

Una delle questioni che si pongono quando si esaminano le caratteristiche dell’azione per contraffazione, e che è stata ampiamente discussa sia nella fase orale del procedimento dinanzi alla Corte sia in quella scritta, riguarda il carattere astratto o concreto delle valutazioni che devono essere svolte al fine di stabilire la sussistenza di una contraffazione. Tali valutazioni tengono conto dei soli elementi risultanti dalla registrazione del marchio, ossia il segno come depositato nonché i prodotti e servizi indicati nella domanda di registrazione, oppure vengono in rilievo altre circostanze, diverse da quelle inerenti alla registrazione?

40.

Coerentemente con il carattere non assoluto del diritto esclusivo conferito dal marchio, nel senso precisato supra, la Corte tende, generalmente, a privilegiare una valutazione in concreto degli elementi costitutivi della contraffazione, che tiene conto, in particolare, delle effettive modalità di utilizzazione del segno che si asserisce essere contraffacente da parte del terzo non autorizzato ( 20 ), nonché dell’insieme delle circostanze che accompagnano tale utilizzazione ( 21 ). Un simile approccio consente, da un lato, di precisare la linea di demarcazione tra uso lecito e illecito del marchio altrui ( 22 ) e, d’altro lato, di valutare il danno subito dal titolare in relazione alla funzione del marchio alla quale è arrecato pregiudizio ( 23 ).

41.

Quando, come nella controversia di cui al procedimento principale, l’azione per contraffazione concerne l’ipotesi prevista all’articolo 5, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2008/95, che presuppone che le condotte contestate arrechino pregiudizio alla funzione distintiva del marchio registrato creando un rischio di confusione per il pubblico ( 24 ), la valutazione degli elementi costitutivi della contraffazione assume carattere ampiamente concreto, stante il ruolo centrale svolto, nell’ambito di tale valutazione, dalla percezione del pubblico interessato.

42.

Pertanto, a parte gli elementi risultanti dalla registrazione, nell’ambito della valutazione della somiglianza dei segni in conflitto e dei prodotti o servizi da essi contraddistinti, nonché nell’ambito della valutazione globale del rischio di confusione, vengono in rilievo fattori connessi, in particolare, all’intensità dello sfruttamento commerciale del marchio anteriore registrato, nonché alle sue modalità di commercializzazione. Tali fattori permettono in particolare di ponderare i differenti elementi di raffronto tra segni e tra prodotti o servizi e di modulare il grado di tutela che dev’essere concesso a detto marchio in funzione della conoscenza che ne ha il pubblico sul mercato ( 25 ).

43.

Tuttavia, sebbene fattori connessi allo sfruttamento sul mercato del marchio registrato possano influire sulla valutazione del rischio di confusione ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2008/95, ampliando l’area di tutela di tale marchio rispetto a quella che deriverebbe da una valutazione astratta condotta unicamente sulla base degli elementi risultanti dalla registrazione ( 26 ), l’operazione inversa, a mio avviso, non è autorizzata.

44.

Quindi, eccezion fatta per le conseguenze della decadenza, le modalità di sfruttamento commerciale del marchio registrato non possono essere addotte al fine di restringere la sfera di tutela di quest’ultimo come risultante dalla registrazione e ancor meno di eliminare una siffatta tutela.

45.

Il diritto esclusivo di cui all’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 2008/95 scaturisce, infatti, dalla registrazione del marchio. Lo sfruttamento commerciale del segno oggetto di tale registrazione non è un elemento costitutivo o di perfezionamento dell’acquisto di detto diritto. Come ho già spiegato supra, tale sfruttamento serve soltanto a mantenere i diritti del titolare sul marchio registrato, evitandogli di incorrere nella decadenza ( 27 ).

46.

Ciò premesso, va evidenziato che, mentre l’uso del marchio non è una condizione per l’acquisto del diritto esclusivo riconosciuto all’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 2008/95, esso è, invece, richiesto affinché il marchio eserciti la funzione essenziale per la quale tale diritto è attribuito al suo titolare e che consiste nel «garantire al consumatore o all’utilizzatore finale la provenienza del prodotto [o del servizio contrassegnato dal marchio], consentendogli di distinguere senza alcuna possibilità di confusione tale prodotto [o servizio] da quelli di diversa provenienza» ( 28 ). Orbene, per definizione, tale funzione può essere esercitata soltanto utilizzando il marchio sul mercato.

47.

Non condivido, pertanto, l’affermazione della Commissione secondo la quale il marchio inizia a svolgere la propria funzione di indicazione di origine con la registrazione.

48.

Certamente, con la registrazione, l’ordinamento giuridico riconosce al segno richiesto la «capacità» di indicare, nell’ambito del commercio, l’origine commerciale dei prodotti o servizi per i quali è stato registrato e di distinguerli da quelli che hanno una provenienza differente. Tuttavia, si tratta soltanto di un giudizio di idoneità del segno a svolgere la funzione essenziale del marchio. Affinché una simile funzione sia effettivamente esercitata, il segno dev’essere utilizzato sul mercato ed entrare in contatto con il pubblico ( 29 ).

49.

Le considerazioni che precedono mi inducono a concludere che l’analisi del rischio di confusione, che deve essere svolta nel contesto dell’applicazione dell’articolo 5, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2008/95, comporta la presa in considerazione, per quanto attiene al marchio anteriore, di elementi tanto astratti, risultanti dalla registrazione di tale marchio, quanto concreti, relativi all’uso che è stato fatto di quest’ultimo, i primi servendo ad individuare la tutela minima che dev’essere riconosciuta a detto marchio, i secondi potendo condurre ad ampliare tale tutela.

2. Ridefinizione dei termini della questione pregiudiziale

50.

Alla luce di quanto precede, la discussione relativa al carattere astratto o concreto dell’analisi del rischio di confusione, a mio avviso, riveste soltanto un’importanza limitata per quanto attiene alla risposta che occorre fornire alla questione sollevata dalla Cour de cassation (Corte di cassazione).

51.

Infatti, le condotte asseritamente costitutive di atti di contraffazione che sono in questione nella controversia di cui al procedimento principale sono state commesse in un periodo in cui il termine di cinque anni dalla pubblicazione della registrazione del marchio di AR non era scaduto e, pertanto, la decadenza non si era ancora verificata.

52.

Orbene, come ricorda il giudice del rinvio, nella sentenza Länsförsäkringar, la Corte, pronunciandosi sull’interpretazione dell’articolo 15, paragrafo 1, e dell’articolo 51, paragrafo 1, lettera a), del regolamento n. 207/2009, il cui contenuto è sostanzialmente identico a quello degli articoli 10 e 12 della direttiva 2008/95, ha dichiarato che, nel corso del periodo di cinque anni che segue la registrazione del marchio dell’Unione europea, il suo titolare può avvalersi del diritto esclusivo conferito da tale marchio, ai sensi dell’articolo 9, paragrafo 1, del regolamento in parola ( 30 ) per l’insieme dei prodotti e servizi per i quali esso è registrato, senza dover dimostrare l’uso effettivo del marchio stesso.

53.

La Corte ha quindi chiaramente sancito il principio, trasponibile nel contesto del diritto armonizzato dei marchi, secondo il quale, nel corso del periodo di cinque anni successivo alla registrazione del marchio, e in mancanza di uso effettivo di quest’ultimo da parte del suo titolare, le condizioni per la sussistenza di un rischio di confusione nel contesto di un’azione per contraffazione, e in particolare di un’azione per contraffazione per imitazione, devono essere valutate in maniera astratta, ossia con riferimento ai soli elementi risultanti dalla registrazione del marchio ( 31 ).

54.

La sentenza Länsförsäkringar inficia, dunque, la premessa da cui hanno mosso tanto la sentenza del tribunal de grande instance de Paris (Tribunale di primo grado di Parigi) quanto la sentenza della cour d’appel de Paris (Corte d’appello di Parigi), avverso la quale AR ha presentato il ricorso per cassazione oggetto del procedimento principale, premessa secondo cui l’esame del rischio di confusione nel contesto dell’azione per contraffazione per imitazione, in quanto presuppone una lesione della funzione essenziale del marchio, deve sempre essere svolto in maniera concreta ( 32 ).

55.

Ne consegue, come del resto rileva la Cour de cassation (Corte di cassazione) stessa, che la questione con la quale tale giudice deve confrontarsi non consiste nel sapere se, nelle circostanze del procedimento principale, il rischio di confusione che costituisce la condizione dell’azione per contraffazione esercitata da AR nei confronti delle convenute nel procedimento principale debba essere valutato in maniera astratta o concreta, bensì quella, che si colloca a monte, consistente nel sapere se AR rimanga legittimato, anche dopo essere stato dichiarato decaduto dai suoi diritti sul proprio marchio, a proporre un’azione per contraffazione nei confronti delle convenute nel procedimento principale per condotte che queste ultime avrebbero realizzato nel corso del periodo di cinque anni successivo alla registrazione del marchio.

56.

Se la risposta a tale questione dovesse essere affermativa, il rischio di confusione che costituisce la condizione perché simili condotte, antecedenti alla decadenza, siano qualificate come di contraffazione, secondo la sentenza Länsförsäkringar e in assenza di qualsiasi atto di sfruttamento commerciale del marchio anteriore, dovrebbe essere valutato in maniera astratta, ossia sulla base della sola registrazione di tale marchio.

C.   Decadenza e legittimazione all’esercizio di un’azione per contraffazione

57.

Prima di procedere all’analisi della questione sollevata dalla Cour de cassation (Corte di cassazione), come specificata al paragrafo 55 delle presenti conclusioni, si deve osservare che tale risposta non dipende né dall’esistenza di un pregiudizio reale ed attuale per la funzione essenziale del marchio anteriore né dall’accertamento di un danno causato al titolare di tale marchio.

58.

Infatti, da un lato, se è vero che, come ricordato dal giudice del rinvio, nella sentenza del 18 giugno 2009, L’Oréal e a. (C‑487/07, EU:C:2009:378, punto 59), la Corte ha precisato che la tutela attribuita ex articolo 5, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2008/95 esige «la possibilità di un pregiudizio alla funzione essenziale del marchio» ( 33 ), dalla sentenza Länsförsäkringar risulta tuttavia che, nel corso del periodo di cinque anni successivo alla registrazione del marchio, detto pregiudizio dev’essere inteso come pregiudizio arrecato al «potenziale distintivo» del marchio anteriore non utilizzato e, dunque, prescinde dalla circostanza che tale marchio non sia stato ancora portato a conoscenza del pubblico.

59.

D’altro lato, come correttamente sottolineato dalla Commissione nelle sue osservazioni scritte, la questione della legittimazione del titolare di un marchio all’esercizio di un’azione per contraffazione al fine di ottenere il risarcimento del danno asseritamente subito a causa dell’utilizzazione di un segno che si presti a confusione con il suo marchio è indipendente dalla questione se tale utilizzazione abbia potuto concretamente causare i danni lamentati. In altri termini, l’esistenza di un danno non condiziona la legittimazione all’esercizio di un’azione per contraffazione, ma costituisce una condizione di merito della domanda di risarcimento presentata nel contesto di una simile azione.

60.

Al fine di rispondere alla questione sollevata dalla Cour de cassation (Corte di cassazione), si deve, pertanto, spostare l’attenzione dai pregiudizi che le condotte asseritamente di contraffazione delle convenute nel procedimento principale hanno potuto causare alle funzioni del marchio anteriore e agli interessi del suo titolare, alla situazione di quest’ultimo alla data in cui ha proposto l’azione per contraffazione.

61.

Orbene, dalla decisione di rinvio risulta che, alla data di presentazione di tale domanda, AR era decaduto dai propri diritti sul suo marchio ( 34 ).

62.

Dal fascicolo del procedimento principale emerge, infatti, che AR ha citato le convenute nel procedimento principale con atti dell’8 e dell’11 giugno 2012. Quanto al termine di cinque anni successivo alla registrazione del marchio SAINT GERMAIN, previsto all’articolo 10 della direttiva 2008/95, esso è scaduto il 13 maggio 2011.

63.

Sebbene sia vero che la decadenza è stata pronunciata dal tribunal de grande instance de Nanterre (Tribunale di primo grado di Nanterre) soltanto il 28 febbraio 2013, con sentenza passata in giudicato il 22 febbraio 2014, data in cui essa è stata confermata dalla cour d’appel de Versailles (Corte d’appello di Versailles), tale decadenza è divenuta efficace dalla data in cui detto termine è scaduto.

64.

Quando il titolare di un marchio propone un’azione per contraffazione, a prescindere che si tratti di contraffazione «per riproduzione» o «per imitazione», egli esercita il diritto esclusivo conferito dal marchio registrato di opporsi all’utilizzazione in ambito commerciale di un segno identico o simile al suo marchio per prodotti identici o simili a quelli per i quali tale marchio è stato registrato. Lo stesso può dirsi anche nel caso in cui l’azione miri soltanto ad ottenere il risarcimento del danno subito a causa di una simile utilizzazione, ad esempio nel caso in cui le condotte contestate siano frattanto cessate.

65.

La decadenza ha l’effetto di privare il titolare del marchio registrato del diritto esclusivo conferito da quest’ultimo ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 2008/95. A partire dalla data in cui la decadenza diviene efficace, l’esercizio di tale diritto non è dunque a priori più permesso. In altri termini, la decadenza estingue il diritto all’esercizio di un’azione per contraffazione fondato su detta disposizione ( 35 ).

66.

Ciò vale anche per le azioni, come quella proposta dal ricorrente nel procedimento principale, volte a conseguire il risarcimento del danno causato al titolare del marchio registrato mediante un siffatto uso a una data in cui i suoi diritti su tale marchio non erano ancora decaduti?

D.   Diritto del titolare decaduto ad ottenere il risarcimento per gli atti di contraffazione commessi anteriormente alla decadenza

67.

Sebbene, successivamente alla decadenza, il titolare di un marchio registrato, in linea di principio, non possa più esercitare il diritto di privativa da esso conferito, occorre tuttavia sottolineare che l’illiceità degli atti di contraffazione di un siffatto marchio, commessi nel corso del periodo di cinque anni successivo alla registrazione di quest’ultimo, non viene meno a causa della decadenza.

68.

Ne consegue che, se il diritto nazionale non fa retroagire gli effetti della decadenza dalla data di deposito della domanda di marchio o dalla data di registrazione di quest’ultimo, in modo che il marchio sia ritenuto improduttivo di qualsiasi effetto giuridico, gli atti commessi durante detto periodo di cinque anni, verificatisi prima della data di decorrenza della decadenza, possono continuare ad essere perseguiti mediante un’azione per contraffazione.

69.

Negare un simile diritto di azione al titolare di un marchio registrato decaduto dai propri diritti equivarrebbe a «regolarizzare ex post» atti di contraffazione commessi a una data in cui il marchio al quale è stato arrecato pregiudizio – nel senso illustrato al paragrafo 58 delle presenti conclusioni – era ancora tutelato.

70.

Orbene, una simile regolarizzazione, a mio avviso, non può discendere, come raccomandano in sostanza le convenute nel procedimento principale, dalla mera constatazione che il marchio in questione non è mai stato oggetto di sfruttamento commerciale.

71.

Certamente, i diritti conferiti dalla direttiva 2008/95 al titolare di un marchio registrato sono volti a permettere a quest’ultimo di esercitare la sua funzione essenziale di indicazione di origine e di svolgere il ruolo di elemento essenziale del sistema di concorrenza non falsato che il diritto dell’Unione mira a stabilire e mantenere ( 36 ). Nella stessa logica, tali diritti, come ho spiegato supra, possono essere conservati soltanto se la funzione per la quale sono stati attribuiti è effettivamente esercitata sul mercato.

72.

Potrebbe, pertanto, sembrare ingiustificato, se non abusivo, che colui che non ha mai sfruttato il proprio marchio pur beneficiando del diritto esclusivo conferito da quest’ultimo e che, del resto, non ha esercitato in tempo utile tale diritto al fine di opporsi alla violazione del proprio marchio ( 37 ) possa, dopo essere decaduto, agire nei confronti degli autori di atti di contraffazione al fine di ottenere il risarcimento del danno asseritamente subito.

73.

Tuttavia, come ho già ricordato, nella sentenza Länsförsäkringar, la Corte ha affermato che le disposizioni sulla decadenza conferiscono al titolare un «termine di grazia» per intraprendere un uso effettivo del proprio marchio, entro il quale, anche in assenza di qualsiasi sfruttamento commerciale di quest’ultimo, egli può opporsi alle lesioni ad opera di terzi del suo monopolio sull’uso di tale marchio ed ottenere il risarcimento dei danni che una simile lesione gli avrebbe causato. La circostanza che, alla scadenza di detto termine, il titolare non abbia ancora sfruttato tale marchio non incide, in linea di principio, sull’illiceità degli atti di contraffazione commessi quando il medesimo termine era ancora pendente ( 38 ).

74.

Pertanto, a meno che, in forza del diritto nazionale dello Stato membro interessato, gli effetti della decadenza non retroagiscano alla data di deposito della domanda di marchio o della registrazione di quest’ultimo, il che estinguerebbe qualsiasi diritto del titolare decaduto di chiedere un risarcimento danni per atti commessi nelle more del summenzionato termine di grazia, nulla osta a mio avviso a che detto titolare proponga un’azione per contraffazione al fine di essere risarcito del danno che avrebbe subito in conseguenza di atti che, nel momento in cui sono stati commessi, arrecavano pregiudizio al suo diritto esclusivo sul marchio.

75.

Sottolineo, peraltro, che, come rilevato dalla Commissione all’udienza, non è escluso che, in taluni casi, gli atti di contraffazione commessi nel corso del periodo di cinque anni successivo alla registrazione del marchio abbiano contribuito a dissuadere il suo titolare dallo sfruttarlo o ne abbiano intralciato un uso effettivo, senza tuttavia arrivare a costituire un motivo legittimo di mancato uso impeditivo, ai sensi dell’articolo 12, paragrafo 1, della direttiva 2008/95, della decadenza ( 39 ).

76.

La soluzione che propongo alla Corte di seguire non è inficiata dall’obiter dictum contenuto al punto 28 della sentenza Länsförsäkringar, in cui la Corte ha affermato che, «a partire dal momento della scadenza del termine di cinque anni [successivo] alla registrazione del marchio dell’Unione europea la portata [del diritto esclusivo conferito all’articolo 9, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 207/2009] può essere influenzata dalla constatazione, effettuata a seguito di domanda riconvenzionale oppure di difesa nel merito presentate dal terzo nell’ambito di un’azione per contraffazione, che il titolare non ha ancora intrapreso al momento dato un uso effettivo del suo marchio per una parte o per la totalità dei prodotti e servizi per i quali quest’ultimo è stato registrato».

77.

Orbene, se è vero che, in tale punto, la Corte ha chiaramente inteso precisare che l’esercizio di detto diritto è limitato o impedito dalla decadenza, tenuto conto del tenore dell’insieme della motivazione della citata sentenza, tale affermazione, a mio avviso, dev’essere intesa come riferita alle azioni per contraffazione volte a vietare atti commessi dopo la scadenza del periodo di cinque anni successivo alla registrazione del marchio ( 40 ). Non ritengo, invece, che si possa ricavarne un argomento a favore della tesi secondo la quale il titolare decaduto dai propri diritti sul marchio per mancato uso non può ottenere, anche mediante un’azione per contraffazione, il risarcimento del danno subito a causa di atti realizzati anteriormente alla data di decorrenza della decadenza.

78.

Analogamente, ritengo che l’articolo 17 della direttiva 2015/2436 ( 41 ), che ha sostituito la direttiva 2008/95, ai sensi del quale «[i]l titolare di un marchio d’impresa ha il diritto di vietare l’uso di un segno solo nella misura in cui non possa essere incorso nella decadenza dai suoi diritti a norma dell’articolo 19 nel momento in cui è avviata l’azione per contraffazione», non riguardi la possibilità di chiedere, anche dopo la decadenza, mediante un’azione per contraffazione, il risarcimento del danno subito per atti commessi allorché il marchio esplicava ancora la propria efficacia giuridica.

79.

Infine, la soluzione che raccomando di seguire rispetta il margine di discrezionalità lasciato agli Stati membri dalla direttiva 2008/95 in sede di definizione degli effetti della decadenza e, in particolare, nell’ambito della fissazione della data di decorrenza degli effetti di quest’ultima ( 42 ). Per quanto concerne il diritto francese, come ho già sottolineato, tali effetti decorrono soltanto dalla data di scadenza del termine di cinque anni successivo alla pubblicazione della registrazione del marchio.

80.

Alla luce dell’insieme delle considerazioni che precedono, ritengo che il titolare di un marchio registrato, che non l’abbia mai utilizzato e sia stato dichiarato decaduto dai propri diritti su di esso alla scadenza del termine di cinque anni previsto all’articolo 12, paragrafo 1, della direttiva 2008/95, possa proporre un’azione per contraffazione sulla base dell’articolo 5, paragrafo 1, lettera b), di tale direttiva al fine di ottenere il risarcimento del danno che avrebbe subito a causa dell’uso, da parte di un terzo, nel corso di detto periodo di cinque anni e anteriormente alla data di decorrenza della decadenza, di un segno simile per prodotti o servizi identici o simili che si prestino a confusione con il proprio marchio.

81.

Se la Corte dovesse decidere di non seguire tale proposta e dovesse pervenire alla conclusione che il titolare decaduto dai propri diritti sul marchio per mancanza di uso effettivo di quest’ultimo non è più legittimato a proporre un’azione per contraffazione, anche qualora una simile azione sia volta a conseguire il risarcimento del danno subito a causa di atti di contraffazione commessi nel corso del periodo di cinque anni successivo alla registrazione del marchio, le propongo, in via subordinata, di riconoscere, sulla base delle considerazioni esposte ai paragrafi da 66 a 69 delle presenti conclusioni, che un simile risarcimento può essere ottenuto mediante azioni aventi un fondamento giuridico differente da quello sotteso all’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 2008/95, come un’azione per concorrenza sleale o un’azione per responsabilità extracontrattuale ( 43 ), qualora ricorrano le condizioni imposte dal diritto nazionale per esperire tali rimedi.

82.

Simili azioni, esperibili da colui che non può avvalersi di diritti privativi, sarebbero fondate sui medesimi fatti materiali addotti a sostegno di un’azione per contraffazione di marchio, se ne risulta un illecito ( 44 ).

83.

Per le ragioni illustrate ai paragrafi da 39 a 49 delle presenti conclusioni, anche in una simile configurazione, il rischio di confusione tra i segni in conflitto, necessario al fine di poter constatare la sussistenza di una contraffazione, e dunque di un comportamento illecito, dovrebbe essere valutato facendo riferimento ai soli elementi risultanti dalla registrazione del marchio ( 45 ).

IV. Conclusione

84.

Sulla base dell’insieme delle precedenti considerazioni, suggerisco alla Corte di rispondere nel modo seguente alla questione pregiudiziale sollevata dalla Cour de cassation (Corte di cassazione, Francia):

L’articolo 5, paragrafo 1, lettera b), e gli articoli 10 e 12, paragrafo 1, della direttiva 2008/95/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 ottobre 2008, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa, devono essere interpretati nel senso che il titolare di un marchio registrato, che non l’abbia mai utilizzato e sia stato dichiarato decaduto dai propri diritti su di esso alla scadenza del termine di cinque anni previsto all’articolo 12, paragrafo 1, della direttiva in parola, può proporre un’azione per contraffazione sulla base dell’articolo 5, paragrafo 1, lettera b), di tale direttiva al fine di ottenere il risarcimento del danno che avrebbe subito a causa dell’uso, da parte di un terzo, nel corso di detto periodo di cinque anni e anteriormente alla data di decorrenza della decadenza, di un segno simile per prodotti o servizi identici o simili che si prestino a confusione con il proprio marchio. Nel contesto di una simile azione, il rischio di confusione tra i segni in conflitto, necessario al fine di poter constatare la sussistenza di una contraffazione, dev’essere valutato facendo riferimento ai soli elementi risultanti dalla registrazione del marchio.


( 1 ) Lingua originale: il francese.

( 2 ) GU 2008, L 299, pag. 25. La direttiva 2008/95 è stata sostituita, a decorrere dal 15 gennaio 2019, dalla direttiva (UE) 2015/2436 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2015, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa (GU 2015, L 336, pag. 1), che ha proceduto alla sua rifusione.

( 3 ) Dagli atti relativi a tale procedimento risulta che la società Osez vous? International Spirits, LLC è titolare del marchio dell’Unione europea «SAINT GERMAIN», depositato il 17 aprile 2007 per designare i vini ed altre bevande alcoliche, ad eccezione delle birre.

( 4 ) Secondo le valutazioni della cour d’appel de Paris (Corte d’appello di Parigi), i documenti prodotti da AR si limitavano a dimostrare l’effettività di preparativi in vista del lancio di una crema di cognac contrassegnata dal marchio di cui trattasi nel procedimento principale nonché la partecipazione della società di cui AR è titolare a fiere commerciali durante il 2007.

( 5 ) La cour d’appel de Paris (Corte d’appello di Parigi) ha altresì escluso una violazione della funzione di investimento del marchio, fatta valere da AR facendo riferimento alla sentenza del 22 settembre 2011, Interflora e Interflora British Unit (C‑323/09, EU:C:2011:604).

( 6 ) Come ho spiegato al paragrafo 14 delle presenti conclusioni, dinanzi al tribunal de grande instance de Paris (Tribunale di primo grado di Parigi), AR aveva addotto anche una violazione dell’articolo L. 713‑2, che vieta la «contraffazione per riproduzione» del marchio.

( 7 ) Regolamento del Consiglio, del 26 febbraio 2009, sul marchio dell’Unione europea (GU 2009, L 78, pag. 1). Tale regolamento è stato sostituito, a decorrere dal 1o ottobre 2017, dal regolamento (UE) 2017/1001 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 giugno 2017, sul marchio dell’Unione europea (GU 2017, L 154, pag. 1).

( 8 ) Nello stesso senso, v. considerando 10 del regolamento n. 207/2009 e, riguardo ai testi attualmente in vigore, considerando 31 della direttiva 2015/2436 e considerando 24 del regolamento n. 2017/1001.

( 9 ) Sentenza del 19 dicembre 2012, Leno Merken (C‑149/11, EU:C:2012:816, punto 32), (relativamente al marchio dell’Unione europea); nello stesso senso, v. conclusioni dell’avvocato generale Sharpston in tale causa (EU:C:2012:422, paragrafi 3032). V. altresì sentenza Länsförsäkringar (punto 25). Le stesse considerazioni si applicano al marchio nazionale.

( 10 ) V. sentenza del 19 dicembre 2012, Leno Merken (C‑149/11, EU:C:2012:816, punto 32), sempre trattandosi del marchio dell’Unione europea.

( 11 ) V. articolo 5 della direttiva 2008/95 e articolo 9 del regolamento n. 2017/1001.

( 12 ) V., per quanto concerne gli atti attualmente in vigore, articolo 19, paragrafo 1, della direttiva 2015/2436 e articolo 58, paragrafo 1, lettera a), del regolamento n. 2017/1001.

( 13 ) Il paragrafo 2, dell’articolo 12, della direttiva 2008/95 prevede altre cause di decadenza dai diritti sul marchio che non rilevano nella causa oggetto delle presenti conclusioni.

( 14 ) V., in tal senso, conclusioni dell’avvocato generale Poiares Maduro nelle cause riunite Google France e Google (da C‑236/08 a C‑238/08, EU:C:2009:569, paragrafo 103). Il marchio può evidentemente essere considerato anche quale bene in sé, idoneo ad essere oggetto di cessione o di licenza, tuttavia, ai fini delle presenti conclusioni, tale aspetto del diritto sul marchio non è preso in considerazione.

( 15 ) In tal senso, v. sentenza del 12 novembre 2002, Arsenal Football Club (C‑206/01, EU:C:2002:651), in cui dopo aver affermato, rinviando al decimo considerando della prima direttiva 89/104/CEE del Consiglio, del 21 dicembre 1988, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa (GU 1989, L 40, pag. 1), che ha preceduto la direttiva 2008/95, il carattere assoluto della tutela del marchio in caso di duplice identità di segni e di prodotti e servizi (punto 50), ai punti 51 e 52 la Corte ha precisato che l’esercizio del diritto esclusivo previsto all’articolo 5, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 89/104 [identico all’articolo 5, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2008/95] deve essere riservato ai casi in cui l’uso del segno da parte di un terzo pregiudichi o possa pregiudicare le funzioni del marchio e, in particolare, la sua funzione essenziale di garanzia di origine e che la natura esclusiva di tale diritto può essere giustificata solo nei limiti dell’ambito di applicazione di detta disposizione. Più in generale, come sottolineato dall’avvocato generale Poiares Maduro nelle sue conclusioni nelle cause riunite Google France e Google (da C‑236/08 a C‑238/08, EU:C:2009:569, paragrafi da 101 a 112), la tutela del marchio è soggetta a talune restrizioni e limitazioni necessarie in particolare al fine di conservare la libertà di iniziativa economica e la libera concorrenza, nonché la libertà di espressione. Perciò il titolare del marchio non potrà opporsi a un uso commerciale e non commerciale considerato legittimo del segno protetto.

( 16 ) V. sentenze del 14 maggio 2002, Hölterhoff (C‑2/00, EU:C:2002:287, punto 16), e del 12 novembre 2002, Arsenal Football Club (C‑206/01, EU:C:2002:651, punto 54).

( 17 ) Si tratta dell’ipotesi ripresa all’articolo 5, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2008/95, ossia l’uso da parte di un terzo non autorizzato di un segno identico o simile al marchio registrato per beni o servizi simili, a cui si sono aggiunte le ipotesi contemplate rispettivamente all’articolo 5, paragrafo 1, lettera a) di tale direttiva (duplice identità di segni e di beni o servizi), e all’articolo 5, paragrafo 2, della medesima direttiva (tutela dei marchi notori).

( 18 ) V., in tal senso, conclusioni dell’avvocato generale Kokott nella causa Leidseplein Beheer e de Vries (C‑65/12, EU:C:2013:196, paragrafo 28).

( 19 ) V. sentenza del 18 giugno 2009, L’Oréal e a. (C‑487/07, EU:C:2009:378, punto 58).

( 20 ) Nella misura in cui ciò permette di verificare se un simile uso possa essere vietato dal titolare del marchio registrato, v., in tal senso, sentenza del 12 novembre 2002, Arsenal Football Club (C‑206/01, EU:C:2002:651, in particolare punti da 51 a 54).

( 21 ) V., ad esempio, sentenza del 25 gennaio 2007, Adam Opel (C‑48/05, EU:C:2007:55, punti 2324).

( 22 ) V., in particolare, sentenza del 12 giugno 2008, O2 Holdings e O2 (UK) (C‑533/06, EU:C:2008:339, punto 67).

( 23 ) V. sentenze del 14 maggio 2002, Hölterhoff (C‑2/00, EU:C:2002:287, punto 16), e del 12 novembre 2002, Arsenal Football Club (C‑206/01, EU:C:2002:651, punto 54).

( 24 ) Ricordo che il rischio di confusione è definito dalla Corte come «la possibilità che il pubblico possa credere che i prodotti o servizi in questione provengono dalla stessa impresa o eventualmente da imprese economicamente legate tra loro»; v. sentenza del 29 settembre 1998, Canon (C‑39/97, EU:C:1998:442, punto 29). Secondo una costante giurisprudenza, il rischio di confusione dev’essere valutato globalmente, secondo la percezione che il pubblico ha dei segni e dei prodotti o servizi in questione, e prendendo in considerazione tutti i fattori pertinenti del caso di specie, in particolare l’interdipendenza tra la somiglianza dei segni e quella dei prodotti o servizi contraddistinti [v., segnatamente, sentenze dell’11 novembre 1997, SABEL (C‑251/95, EU:C:1997:528, punti da 22 a 24), e del 29 settembre 1998, Canon (C‑39/97, EU:C:1998:442, punti da 16 a 18)].

( 25 ) Secondo una costante giurisprudenza della Corte e del Tribunale a partire dalla sentenza «faro» in materia di rischio di confusione [sentenza del 29 settembre 1998, Canon (C‑39/97, EU:C:1998:442, in particolare, punto 18, sull’ampia tutela dei marchi dotati di carattere distintivo elevato acquisito mediante l’uso, e punto 24, sull’importanza del carattere distintivo del marchio anteriore, incluso quello acquisito mediante l’uso, nella ponderazione degli elementi che vengono in rilievo in sede di valutazione globale del rischio di confusione)].

( 26 ) Un esempio particolarmente significativo delle possibilità di espansione della tutela del marchio conferita dalla registrazione è costituito dall’ipotesi dei marchi in serie, la cui tutela è riconosciuta unicamente se i marchi che fanno parte della serie sono presenti in commercio [v. sentenza del 23 febbraio 2006, Il Ponte Finanziaria/UAMI – Marine Enterprise Projects (BAINBRIDGE) (T‑194/03, EU:T:2006:65, punto 126)].

( 27 ) In tal senso, riguardo all’articolo 15, paragrafo 1, e all’articolo 51, paragrafo 1, lettera a), del regolamento n. 207/2009, v. sentenza Länsförsäkringar (punto 25).

( 28 ) Secondo la definizione fornita dalla Corte a partire dalla sentenza del 23 maggio 1978, Hoffmann‑La Roche (102/77, EU:C:1978:108, punto 7); da ultima, v. sentenza del 12 giugno 2019, Hansson (C‑705/17, EU:C:2019:481, punto 31).

( 29 ) Del resto è la ragione per la quale la direttiva 2008/95 prevede la sanzione della decadenza dai diritti sul marchio in caso di mancato uso di quest’ultimo da parte del suo titolare. Sottolineo peraltro che il diritto dei marchi dell’Unione europea non riconosce la categoria dei «marchi difensivi», riconosciuta nell’ordinamento giuridico di taluni Stati membri, come la Repubblica italiana, che concerne segni destinati a non essere utilizzati nel commercio in ragione della loro funzione meramente difensiva di un altro segno oggetto di sfruttamento commerciale: nel senso dell’incompatibilità dei marchi difensivi con il sistema del marchio dell’Unione europea, v. sentenza del 23 febbraio 2006, Il Ponte Finanziaria/UAMI – Marine Enterprise Projects (BAINBRIDGE) (T‑194/03, EU:T:2006:65, punti da 42 a 46). La registrazione di marchi con l’intenzione di non farne un uso effettivo nella prassi commerciale a rigore potrebbe costituire anche un’ipotesi di registrazione in malafede ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 2, lettera d), della direttiva 2008/95.

( 30 ) La formulazione di tale articolo è praticamente identica a quella dell’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 2008/95.

( 31 ) Ciò non implica evidentemente che, qualora si sia verificata un’utilizzazione del marchio, essa sia presa in considerazione nell’ambito di tale valutazione.

( 32 ) Ricordo che, tanto la sentenza del tribunal de grande instance de Paris (Tribunale di primo grado di Parigi) quanto la sentenza della cour d’appel de Paris (Corte d’appello di Parigi) sono anteriori alla sentenza Länsförsäkringar.

( 33 ) V. in tal senso, altresì, sentenze del 9 gennaio 2003, Davidoff (C‑292/00, EU:C:2003:9, punto 28), e del 12 giugno 2008, O2 Holdings e O2 (UK) (C‑533/06, EU:C:2008:339, punto 57).

( 34 ) In proposito, rilevo che dal fascicolo del procedimento principale risulta che, dinanzi al tribunal de grande instance de Paris (Tribunale di primo grado di Parigi), AR ha affermato il contrario. La sua tesi, tuttavia, è stata correttamente respinta da tale tribunale.

( 35 ) Si deve rilevare che la decadenza non estingue tutti i diritti sul segno oggetto della registrazione, ma soltanto quelli conferiti dalla registrazione. Pertanto, l’ipotesi in cui la decadenza si verifica senza che il marchio sia stato utilizzato dev’essere distinta da quella in cui il marchio è stato oggetto di sfruttamento commerciale, successivamente interrotto per un periodo di cinque anni consecutivi. In questa seconda ipotesi, non è escluso che i consumatori conservino il ricordo del marchio, anche dopo la scadenza di detto periodo, in particolare qualora il marchio sia stato oggetto di sfruttamento intensivo. In siffatte circostanze, il suo titolare potrebbe proporre un’azione per contraffazione, anche dopo la decadenza, esercitando non già i diritti derivanti dalla sua registrazione, ormai estinti, bensì quelli riconosciutigli, se del caso, in conseguenza dell’utilizzazione che ha fatto del segno oggetto della registrazione.

( 36 ) Sulla funzione del marchio in un simile sistema, v. sentenza del 25 luglio 2018, Mitsubishi Shoji Kaisha e Mitsubishi Caterpillar Forklift Europe (C‑129/17, EU:C:2018:594, punto 30).

( 37 ) Ricordo che gli atti di contraffazione in questione nella controversia di cui al procedimento principale sono stati commessi tra l’8 giugno 2009 e il 13 maggio 2011 e che sono intercorsi tre anni tra l’inizio della contraffazione e il deposito degli atti introduttivi del procedimento da parte di AR (l’8 e l’11 giugno 2012).

( 38 ) Potrebbe essere altrimenti se fosse dimostrato che il titolare ha proceduto alla registrazione senza avere intenzione di utilizzare il segno per i fini per i quali il diritto esclusivo gli è stato riconosciuto, in modo che si possa ritenere che la registrazione sia stata fatta in malafede ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 2, lettera d), della direttiva 2008/95, e che il marchio possa essere annullato per questo motivo.

( 39 ) In proposito, rilevo che, tra le voci di danno fatte valere, in via subordinata, da AR dinanzi al tribunal de grande instance de Paris (Tribunale di primo grado di Parigi), compaiono «le conseguenze economiche negative» degli atti di contraffazione contestati alle convenute nel procedimento principale, sotto il profilo in particolare della «perdita della possibilità di integrarsi nel mercato» e dell’«impossibilità di sfruttare il marchio SAINT GERMAIN».

( 40 ) Gli effetti della decadenza sono descritti nel modo seguente all’articolo 55, paragrafo 1, del regolamento n. 207/2009: «Il marchio UE è considerato, a decorrere dalla data della domanda di decadenza o della domanda riconvenzionale, privo degli effetti di cui al presente regolamento nella misura in cui il titolare sia dichiarato decaduto dai suoi diritti. Su richiesta di una parte, nella decisione può essere fissata una data anteriore, nella quale è sopravvenuta una delle cause di decadenza».

( 41 ) Tale direttiva non è applicabile ratione temporis ai fatti di cui alla controversia principale, ma essa è stata nondimeno menzionata nelle osservazioni scritte dinanzi alla Corte e nel corso delle discussioni in udienza, in particolare dalle convenute nel procedimento principale.

( 42 ) V., in particolare, considerando 6 della direttiva 2008/95, ai sensi del quale «[g]li Stati membri dovrebbero mantenere (…) la piena libertà di fissare le disposizioni procedurali relative (…) alla decadenza (…) dei marchi di impresa acquisiti attraverso la registrazione. (…) Gli Stati membri dovrebbero mantenere la facoltà di determinare gli effetti della decadenza (…) dei marchi di impresa». Ricordo che tale margine di discrezionalità lasciato agli Stati membri è venuto meno nella direttiva 2015/2436, il cui articolo 47, paragrafo 1, prevede che «[n]ella misura in cui il titolare sia dichiarato decaduto dai suoi diritti, un marchio d’impresa registrato è considerato privo degli effetti di cui alla presente direttiva a decorrere dalla data della domanda di decadenza. Su richiesta di una parte, nella decisione sulla domanda di decadenza può essere fissata una data anteriore nella quale è sopravvenuta una delle cause di decadenza».

( 43 ) Simili azioni sarebbero fondate sui medesimi fatti addotti a sostegno di un’azione per contraffazione di marchio.

( 44 ) Rilevo che il risarcimento dei danni lamentati da AR in via subordinata, menzionati alla nota 39 delle presenti conclusioni, nonché di quello, parimenti lamentato in via subordinata, costituito dalla «perdita degli investimenti compiuti (…) per il lancio [del] marchio» può essere richiesto nel contesto di un’azione per concorrenza sleale o di un’azione per responsabilità extracontrattuale.

( 45 ) Osservo che anche tale soluzione preserverebbe il margine di discrezionalità lasciato agli Stati membri dalla direttiva 2008/95. Infatti, soltanto nella misura in cui il diritto nazionale non fa retroagire gli effetti della decadenza alla data del deposito della domanda di marchio o della sua registrazione, rimane possibile, per il titolare del marchio decaduto, proporre un’azione, su basi differenti dal suo diritto esclusivo sul marchio, al fine di ottenere il risarcimento del danno subito in conseguenza di atti commessi in una data in cui il suo diritto esclusivo sul marchio era ancora valido.

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