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Document 62017TJ0419

Sentenza del Tribunale (Quinta Sezione) del 18 maggio 2018.
Mendes SA contro Ufficio dell’Unione europea per la proprietà intellettuale.
Marchio dell’Unione europea – Procedimento di decadenza – Marchio dell’Unione europea denominativo VSL
3 – Marchio divenuto una denominazione abituale nel commercio di un prodotto o di un servizio per il quale è registrato – Marchio idoneo ad indurre in errore il pubblico – Articolo 51, paragrafo 1, lettere b) e c), del regolamento (CE) n. 207/2009 [divenuto articolo 58, paragrafo 1, lettere b) e c), del regolamento (UE) 2017/1001].
Causa T-419/17.

ECLI identifier: ECLI:EU:T:2018:282

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Quinta Sezione)

18 maggio 2018 ( *1 )

«Marchio dell’Unione europea – Procedimento di decadenza – Marchio dell’Unione europea denominativo VSL#3 – Marchio divenuto una denominazione abituale nel commercio di un prodotto o di un servizio per il quale è registrato – Marchio idoneo ad indurre in errore il pubblico – Articolo 51, paragrafo 1, lettere b) e c), del regolamento (CE) n. 207/2009 [divenuto articolo 58, paragrafo 1, lettere b) e c), del regolamento (UE) 2017/1001]»

Nella causa T‑419/17,

Mendes SA, con sede in Lugano (Svizzera), rappresentata da G. Carpineti, avvocato,

ricorrente,

contro

Ufficio dell’Unione europea per la proprietà intellettuale (EUIPO), rappresentato da J. Crespo Carrillo, in qualità di agente,

convenuto,

controinteressata nel procedimento dinanzi alla commissione di ricorso dell’EUIPO, interveniente dinanzi al Tribunale,

Actial Farmaceutica Srl, con sede in Roma (Italia), rappresentata da S. Giudici, avvocato,

avente ad oggetto il ricorso proposto contro la decisione della seconda commissione di ricorso dell’EUIPO del 3 maggio 2017 (caso R 1306/2016‑2), relativa ad un procedimento per declaratoria di decadenza tra la Mendes e la Actial Farmaceutica,

IL TRIBUNALE (Quinta Sezione),

composto da D. Gratsias, presidente, A. Dittrich e P.G. Xuereb (relatore), giudici,

cancelliere: E. Coulon

visto il ricorso depositato nella cancelleria del Tribunale il 4 luglio 2017,

visto il controricorso dell’EUIPO depositato presso la cancelleria del Tribunale il 27 settembre 2017,

visto il controricorso dell’interveniente depositato presso la cancelleria del Tribunale l’11 ottobre 2017,

vista la mancata presentazione, ad opera delle parti, nel termine di tre settimane a decorrere dalla notifica della chiusura della fase scritta del procedimento, di una domanda di fissazione di udienza, e avendo deciso, in applicazione dell’articolo 106, paragrafo 3, del regolamento di procedura del Tribunale, di statuire senza aprire la fase orale del procedimento,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

Fatti all’origine della controversia

1

Il 23 dicembre 1999 la Mendes s.u.r.l. ha presentato una domanda di registrazione di marchio dell’Unione europea dinanzi all’Ufficio dell’Unione europea per la proprietà intellettuale (EUIPO), in forza del regolamento (CE) n. 40/94 del Consiglio, del 20 dicembre 1993, sul marchio comunitario (GU 1994, L 11, pag. 1), come modificato [sostituito dal regolamento (CE) n. 207/2009 del Consiglio, del 26 febbraio 2009, sul marchio dell’Unione europea (GU 2009, L 78, pag. 1), come modificato, a sua volta sostituito dal regolamento (UE) 2017/1001 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 giugno 2017, sul marchio dell’Unione europea (GU 2017, L 154, pag. 1)].

2

Il marchio di cui è stata chiesta la registrazione è il segno verbale VSL#3.

3

I prodotti per i quali è stata chiesta la registrazione rientrano nella classe 5 di cui all’Accordo di Nizza del 15 giugno 1957, relativo alla classificazione internazionale dei prodotti e dei servizi ai fini della registrazione dei marchi, come riveduto e modificato, e corrispondono alla seguente descrizione: «Prodotti farmaceutici, veterinari e igienici; sostanze dietetiche per uso medico, alimenti per bebè; prodotti nutraceutici; integratori alimentari».

4

La domanda di marchio dell’Unione europea è stata pubblicata nel Bollettino dei marchi comunitari n. 2000/059, del 24 luglio 2000, e il marchio è stato registrato il 5 luglio 2001.

5

Il 1o aprile 2004 l’EUIPO ha proceduto alla registrazione della cessione del marchio contestato effettuata dalla Mendes s.u.r.l. a favore della Actial Farmacêutica Lda.

6

Il 2 dicembre 2016 l’EUIPO ha proceduto alla registrazione della cessione del marchio contestato effettuata dalla Actial Farmacêutica Lda a favore dell’interveniente, la Actial Farmaceutica Srl.

7

L’8 settembre 2014 la ricorrente, la Mendes SA, ha presentato una domanda di declaratoria di decadenza del marchio contestato relativamente a tutti i prodotti per i quali tale marchio era stato registrato, ai sensi dell’articolo 51, paragrafo 1, lettere b) e c), del regolamento n. 207/2009 [divenuto articolo 58, paragrafo 1, lettere b) e c), del regolamento 2017/1001], in ragione del fatto che, in primo luogo, il suddetto marchio sarebbe divenuto, per l’attività o l’inattività dell’interveniente, la denominazione abituale nel commercio dei prodotti in questione e che, in secondo luogo, il suddetto marchio, per l’uso che ne viene fatto, indurrebbe in errore il pubblico.

8

Con decisione del 2 giugno 2016, la divisione di annullamento ha respinto la domanda di declaratoria di decadenza.

9

Contro la decisione della divisione di annullamento la ricorrente ha presentato, in data 19 luglio 2016, un ricorso dinanzi all’EUIPO, a norma degli articoli da 58 a 64 del regolamento n. 207/2009 (divenuti articoli da 66 a 71 del regolamento 2017/1001).

10

Con decisione del 3 maggio 2017 (in prosieguo: la «decisione impugnata»), la seconda commissione di ricorso dell’EUIPO ha respinto il ricorso. In primo luogo, la commissione di ricorso ha considerato, in sostanza, che gli elementi di prova prodotti dalla ricorrente non consentivano di dimostrare che il marchio contestato fosse divenuto la denominazione abituale nel commercio dei prodotti per i quali esso era stato registrato. In secondo luogo, la commissione di ricorso ha ritenuto, in sostanza, che l’uso ingannevole del marchio contestato non fosse stato debitamente comprovato dalla ricorrente.

Conclusioni delle parti

11

La ricorrente conclude che il Tribunale voglia:

annullare la decisione impugnata;

disporre l’integrale rifusione a suo favore delle spese afferenti al procedimento, o quanto meno disporre l’integrale compensazione delle stesse.

12

L’EUIPO e l’interveniente concludono che il Tribunale voglia:

respingere il ricorso;

condannare la ricorrente alle spese.

In diritto

Sulla ricevibilità dei documenti prodotti per la prima volta dinanzi al Tribunale

13

L’EUIPO fa valere che gli allegati A.9, A.36 e A.39 dell’atto introduttivo del giudizio, relativi alle World Gastroenterology Organization Global Guidelines (linee guida dell’Organizzazione mondiale di gastroenterologia, allegato A.9), al contenuto del sito internet «www.vsl3.co.uk» (allegato A.36) e alla confezione del prodotto in oggetto distribuito con formulazione modificata (allegato A.39), sono stati presentati per la prima volta dinanzi al Tribunale e, pertanto, sono inammissibili.

14

Nel caso di specie, occorre rilevare che gli allegati A.9, A.36 e A.39 dell’atto introduttivo non facevano parte del fascicolo amministrativo presentato dalla ricorrente dinanzi alla commissione di ricorso dell’EUIPO.

15

A tal proposito, occorre rammentare che il ricorso dinanzi al Tribunale ha ad oggetto il controllo di legittimità delle decisioni adottate dalle commissioni di ricorso dell’EUIPO, ai sensi dell’articolo 65 del regolamento n. 207/2009 (divenuto articolo 72 del regolamento 2017/1001), ragion per cui la funzione del Tribunale non è quella di riesaminare le circostanze di fatto alla luce dei documenti presentati per la prima volta dinanzi ad esso.

16

Detti documenti devono essere, quindi, respinti senza che sia necessario esaminare il loro valore probatorio [v., in tal senso, sentenza del 24 novembre 2005, Sadas/UAMI – LTJ Diffusion (ARTHUR ET FELICIE), T‑346/04, EU:T:2005:420, punto 19 e la giurisprudenza ivi citata].

Nel merito

17

A sostegno del suo ricorso, la ricorrente invoca due motivi. Il primo verte su una violazione dell’articolo 51, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 207/2009. Il secondo verte su una violazione dell’articolo 51, paragrafo 1, lettera c), del regolamento n. 207/2009.

Sul primo motivo, vertente su una violazione dell’articolo 51, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 207/2009

18

Nell’ambito del primo motivo, vertente su una violazione dell’articolo 51, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 207/2009, la ricorrente afferma, anzitutto, che la commissione di ricorso è incorsa in un errore nella definizione del pubblico di riferimento e per quanto riguarda la percezione da parte di quest’ultimo del marchio contestato. La ricorrente sostiene inoltre che la trasformazione del marchio contestato in denominazione abituale nel commercio del prodotto per il quale esso è registrato è addebitabile al suo titolare.

19

L’EUIPO e l’interveniente contestano gli argomenti della ricorrente.

20

Ai sensi dell’articolo 51, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 207/2009, il titolare del marchio dell’Unione europea è dichiarato decaduto dai suoi diritti, su domanda presentata all’EUIPO o su domanda riconvenzionale in un’azione per contraffazione, se, per l’attività o l’inattività del suo titolare, il marchio è divenuto denominazione abituale nel commercio di un prodotto o di un servizio per il quale esso è registrato.

21

Occorre constatare che non esiste alcuna giurisprudenza riguardante l’applicazione dell’articolo 51, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 207/2009. Tuttavia, la Corte, nelle cause che hanno dato luogo alle sentenze del 29 aprile 2004, Björnekulla Fruktindustrier (C‑371/02, EU:C:2004:275), e del 6 marzo 2014, Backaldrin Österreich The Kornspitz Company (C‑409/12, EU:C:2014:130), è stata chiamata a interpretare l’articolo 12, paragrafo 2, lettera a), della prima direttiva 89/104/CEE del Consiglio, del 21 dicembre 1988, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati Membri in materia di marchi d’impresa (GU 1989, L 40, pag. 1), e l’articolo 12, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2008/95/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 ottobre 2008, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa (GU 2008, L 299, pag. 25), il cui contenuto è, in sostanza, identico a quello dell’articolo 51, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 207/2009.

22

Risulta dalla giurisprudenza della Corte applicabile, per analogia, all’articolo 51, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 207/2009, che tale articolo riguarda un caso in cui il marchio non è più atto ad adempiere la sua funzione di indicazione d’origine (v., per analogia, sentenze del 29 aprile 2004, Björnekulla Fruktindustrier,C‑371/02, EU:C:2004:275, punto 22, e del 6 marzo 2014, Backaldrin Österreich The Kornspitz Company,C‑409/12, EU:C:2014:130, punto 19).

23

Fra le diverse funzioni del marchio, la funzione di indicazione d’origine ricopre un ruolo fondamentale. Essa consente di identificare il prodotto o il servizio designato dal marchio come proveniente da una determinata impresa e, quindi, di distinguere tale prodotto o servizio da quelli di altre imprese. Tale impresa è quella sotto il cui controllo il prodotto o il servizio viene commercializzato (v., per analogia, sentenza del 6 marzo 2014, Backaldrin Österreich The Kornspitz Company, C‑409/12, EU:C:2014:130, punto 20 e la giurisprudenza ivi citata).

24

Il legislatore dell’Unione europea ha sancito la funzione di indicazione d’origine del marchio disponendo, all’articolo 4 del regolamento n. 207/2009 (divenuto articolo 4 del regolamento 2017/1001), che i segni riproducibili graficamente possono costituire un marchio solo a condizione che essi siano adatti a distinguere i prodotti o i servizi di un’impresa da quelli di altre imprese (v., per analogia, sentenza del 6 marzo 2014, Backaldrin Österreich The Kornspitz Company, C‑409/12, EU:C:2014:130, punto 21 e la giurisprudenza ivi citata).

25

Così, mentre l’articolo 7 del regolamento n. 207/2009 (divenuto articolo 7 del regolamento 2017/1001) elenca dei casi in cui il marchio non è idoneo, ab initio, a svolgere la funzione di indicazione d’origine, l’articolo 51, paragrafo 1, lettera b), del medesimo regolamento riguarda la situazione in cui l’uso del marchio si è talmente generalizzato che il segno costituente il marchio tende a designare la categoria, il genere o la natura dei prodotti o dei servizi oggetto della registrazione, e non più i prodotti o i servizi specifici che provengono da una determinata impresa (v., per analogia, conclusioni dell’avvocato generale Léger nella causa Björnekulla Fruktindustrier, C‑371/02, EU:C:2003:615, paragrafo 50). Il marchio, divenuto la denominazione abituale di un prodotto, ha pertanto perso il suo carattere distintivo, sicché non adempie più la suddetta funzione (v., per analogia, sentenza del 6 marzo 2014, Backaldrin Österreich The Kornspitz Company, C‑409/12, EU:C:2014:130, punto 22 e la giurisprudenza ivi citata).

26

Il titolare di un marchio può allora decadere dai diritti che gli sono conferiti dall’articolo 9 del regolamento n. 207/2009 (divenuto articolo 9 del regolamento 2017/1001) qualora, in primo luogo, il marchio in questione sia divenuto, nel commercio, una denominazione abituale di un prodotto o di un servizio per il quale esso è registrato e, in secondo luogo, tale trasformazione sia dovuta all’attività o all’inattività di detto titolare (v., in tal senso e per analogia, sentenza del 6 marzo 2014, Backaldrin Österreich The Kornspitz Company, C‑409/12, EU:C:2014:130, punto 30, e conclusioni dell’avvocato generale Cruz Villalón nella causa Backaldrin Österreich The Kornspitz Company, C‑409/12, EU:C:2013:563, paragrafo 31). Si tratta di condizioni cumulative.

27

È alla luce dei suesposti principi che occorre esaminare il presente motivo di ricorso.

28

La commissione di ricorso ha considerato, al punto 41 della decisione impugnata, che gli elementi di prova prodotti dalla ricorrente non consentivano di dimostrare la trasformazione del marchio contestato in una denominazione abituale, nel commercio, del prodotto per il quale detto marchio era registrato. Più in particolare, in un primo momento, poiché la ricorrente non forniva prova del fatto che il marchio contestato era percepito dai consumatori finali come una denominazione abituale nel commercio, la commissione di ricorso ha ritenuto che ciò fosse sufficiente per respingere la domanda di declaratoria di decadenza da essa presentata. Tuttavia, in un secondo momento, la commissione di ricorso ha proseguito la propria analisi prendendo in esame la percezione che del marchio contestato avevano i venditori del prodotto commercializzato con il marchio stesso, in particolare i farmacisti. Secondo la commissione di ricorso, anche supponendo che la sanzione della decadenza per trasformazione del marchio in denominazione abituale nel commercio fosse applicabile pure all’ipotesi in cui il marchio fosse perfettamente in grado di svolgere la propria funzione di indicazione d’origine per i consumatori finali, gli elementi presentati dalla ricorrente erano insufficienti per dimostrare che i venditori del prodotto in questione percepivano il marchio contestato come una denominazione abituale nel commercio del prodotto stesso. La commissione di ricorso ha inoltre ritenuto che, in ogni caso, le prove fornite dalla ricorrente non dimostrassero in modo esaustivo che anche i medici e la comunità scientifica percepivano il marchio contestato come una denominazione abituale. Pertanto, il marchio contestato sarebbe stato perfettamente in grado di esercitare la propria funzione di indicazione d’origine.

29

Nessuno degli argomenti dedotti dalla ricorrente può rimettere in causa tale conclusione.

30

Secondo la ricorrente, la commissione di ricorso avrebbe, ingiustamente, omesso di tener conto della percezione che del marchio contestato hanno i medici specialisti e la comunità medico‑scientifica. Per quanto riguarda i consumatori finali, la ricorrente sostiene che la commissione di ricorso ha erroneamente omesso di considerare, da un lato, che, tra questi, coloro che acquistavano il prodotto commercializzato con il marchio contestato in maniera autonoma costituivano una frazione non significativa e, dall’altro, che essi avevano una limitata o mancata percezione del marchio, di cui venivano a conoscenza dopo l’emissione della prescrizione medica, non compiendo invero alcuna scelta di acquisto. La ricorrente sostiene che il pubblico di riferimento sarebbe costituito, in primo luogo, dalla comunità medico‑scientifica, in secondo luogo, dagli operatori professionali che concorrono alla commercializzazione del prodotto, in primis, i medici, e, in terzo luogo, dai consumatori finali, circoscritti tuttavia a particolari categorie di pazienti affetti da talune specifiche malattie.

31

A tal proposito, secondo la giurisprudenza, nel caso in cui intervengano intermediari nella distribuzione al consumatore o all’utilizzatore finale di un prodotto protetto da un marchio registrato, gli ambienti di riferimento di cui tener conto per valutare se detto marchio sia diventato la denominazione abituale, nel commercio, del prodotto in questione sono costituiti dall’insieme dei consumatori o degli utilizzatori finali e, a seconda delle caratteristiche del mercato del prodotto interessato, dall’insieme degli operatori professionali che intervengono nella commercializzazione di quest’ultimo (v., per analogia, sentenza del 29 aprile 2004, Björnekulla Fruktindustrier, C‑371/02, EU:C:2004:275, punto 26).

32

Infatti, il marchio costituisce parte integrante di un processo di comunicazione tra venditori e acquirenti. Tale processo può produrre il risultato auspicato ed il marchio potrà svolgere la funzione che giustifica la sua esistenza soltanto qualora entrambe le parti implicate nella comunicazione percepiscano il marchio come tale, ossia quando esse siano consapevoli della sua funzione di indicazione d’origine. Quando uno dei due gruppi intende il marchio come una designazione generica, fallisce la trasmissione dell’informazione che doveva essere comunicata con il marchio (v., per analogia, conclusioni dell’avvocato generale Cruz Villalón nella causa Backaldrin Österreich The Kornspitz Company, C‑409/12, EU:C:2013:563, paragrafo 58; v., in tal senso e per analogia, sentenza del 6 marzo 2014, Backaldrin Österreich The Kornspitz Company, C‑409/12, EU:C:2014:130, punto 29).

33

Tuttavia, anche se l’acquirente ignora di trovarsi al cospetto di un marchio, il marchio può continuare a svolgere la sua funzione di indicazione d’origine qualora un intermediario eserciti un’influenza determinante sulla decisione di acquisto dell’acquirente, di modo che la sua conoscenza della funzione di indicazione d’origine del marchio comporti la riuscita del processo di comunicazione. Ciò è quanto avviene quando, nel mercato di riferimento, sia usuale che l’intermediario fornisca consigli tali da determinare la decisione di acquisto, o addirittura prenda egli stesso tale decisione al posto del consumatore, come nel caso di farmacisti e medici riguardo ai medicinali soggetti a prescrizione (v., per analogia, conclusioni dell’avvocato generale Cruz Villalón nella causa Backaldrin Österreich The Kornspitz Company, C‑409/12, EU:C:2013:563, paragrafo 59).

34

Sebbene le cerchie di interessati siano costituite innanzitutto dai consumatori ed utilizzatori finali, devono essere tenuti in considerazione anche gli intermediari che svolgono un ruolo nel valutare se detto marchio sia diventato denominazione abituale (v., in tal senso e per analogia, sentenza del 6 marzo 2014, Backaldrin Österreich The Kornspitz Company, C‑409/12, EU:C:2014:130, punto 27 e la giurisprudenza ivi citata, e conclusioni dell’avvocato generale Cruz Villalón nella causa Backaldrin Österreich The Kornspitz Company, C‑409/12, EU:C:2013:563, paragrafo 59).

35

Risulta dalla giurisprudenza citata ai precedenti punti da 31 a 34 che il pubblico di riferimento, il cui punto di vista deve essere preso in considerazione per valutare se il marchio contestato sia diventato, nel commercio, la denominazione abituale del prodotto commercializzato con il marchio stesso, deve essere definito tenendo conto delle caratteristiche del mercato di tale prodotto.

36

Nel caso di specie, il prodotto commercializzato con il marchio contestato consiste in un preparato probiotico destinato al trattamento di patologie gastrointestinali. Tale prodotto farmaceutico è in libera vendita e può essere acquistato senza prescrizione medica, come peraltro ammesso dalla ricorrente. Tuttavia, la ricorrente sostiene che la parte dei consumatori finali che acquistano il prodotto farmaceutico in questione spontaneamente, per la prima volta, senza prescrizione o suggerimento medico, costituisce una frazione non significativa dell’insieme dei consumatori finali. Senza che sia necessario pronunciarsi sulla pertinenza di tale argomento, va rilevato che la ricorrente non lo comprova in alcun modo.

37

Il pubblico di riferimento include dunque, in primo luogo, i consumatori finali del prodotto commercializzato con il marchio contestato. Trattandosi di un prodotto senza obbligo di prescrizione medica, i consumatori finali, esposti in particolare sia alla pubblicità dell’interveniente sia ai commenti di altri pazienti, hanno un ruolo nella decisione di acquisto del prodotto in esame, contrariamente a quanto fatto valere dalla ricorrente (v., in tal senso, conclusioni dell’avvocato generale Kokott nella causa Alcon/UAMI, C‑412/05 P, EU:C:2006:687, paragrafo 55). Tra i consumatori finali ci sono le persone che soffrono di disturbi gastrointestinali, e non solo quelle affette da alcune patologie specifiche, come sostiene la ricorrente. Infatti, oltre alla circostanza che la ricorrente non fornisce alcun elemento di prova a sostegno della sua affermazione, risulta altresì dai documenti presentati dalla medesima che il prodotto commercializzato con il marchio contestato è utilizzato anche per il trattamento di disturbi gastrointestinali.

38

In secondo luogo, per quanto riguarda i professionisti, il pubblico di riferimento include, innanzitutto, come constatato dalla commissione di ricorso al punto 28 della decisione impugnata, i farmacisti. Questi ultimi, che possono fornire spiegazioni e consigli alle persone affette da disturbi gastrointestinali, possono avere un ruolo importante nella decisione di acquisto dei consumatori finali (v., in tal senso e per analogia, conclusioni dell’avvocato generale Cruz Villalón nella causa Backaldrin Österreich The Kornspitz Company, C‑409/12, EU:C:2013:563, paragrafo 59).

39

Il pubblico di riferimento, dal punto di vista dei professionisti, comprende anche i medici, generici o specialisti. Infatti, sebbene la decisione di acquistare farmaci non soggetti a prescrizione venga molto spesso presa dal solo consumatore finale, tali farmaci possono essere acquistati anche su indicazione dei medici (v., in tal senso, conclusioni dell’avvocato generale Kokott nella causa Alcon/UAMI, C‑412/05 P, EU:C:2006:687, paragrafo 55).

40

Invece, contrariamente a quanto afferma la ricorrente, la comunità scientifica non fa parte del pubblico di riferimento, dato che essa non partecipa in alcun modo al processo di comunicazione tra il venditore, da un lato, e l’acquirente, dall’altro. Di conseguenza, la sua influenza sulla decisione di acquisto dei consumatori finali è inesistente.

41

Di conseguenza, è tenendo conto del pubblico di riferimento così definito che occorre esaminare se il marchio contestato si sia trasformato nella denominazione abituale, nel commercio, del prodotto per il quale esso è registrato.

42

In via preliminare, nel caso di specie, alla luce dell’influenza esercitata dai professionisti, vale a dire i farmacisti e i medici, sulla decisione di acquisto dei consumatori finali, risulta dalla giurisprudenza citata ai precedenti punti da 31 a 34 che il fatto che i consumatori finali possano comunque percepire la funzione di indicazione d’origine del marchio contestato non basta per contrastare la domanda di declaratoria di decadenza di tale marchio, in considerazione dell’importanza della percezione che ne hanno i professionisti.

43

Sebbene, nella decisione impugnata, la commissione di ricorso abbia concentrato, in un primo momento, la sua analisi unicamente sulla percezione del marchio contestato da parte dei consumatori finali, ciò non può tuttavia comportare l’annullamento della decisione impugnata nei limiti in cui la medesima commissione ha preso in considerazione, in un secondo momento, anche la percezione di tale marchio da parte degli operatori professionisti, ossia i farmacisti e i medici.

44

Ciò premesso, è giocoforza constatare che la ricorrente non è riuscita a dimostrare che i consumatori finali e i professionisti, ossia i farmacisti e i medici, percepiscano il marchio contestato come una denominazione abituale del prodotto in questione.

45

Per quanto riguarda, innanzitutto, i consumatori finali del prodotto commercializzato con il marchio contestato, la ricorrente, la quale ritiene che essi non facciano parte del pubblico di riferimento, non procede alla dimostrazione del cambiamento della percezione che essi hanno del suddetto marchio. In ogni caso, la documentazione scientifica specializzata prodotta dalla ricorrente non è diretta ai consumatori finali. Come sottolinea altresì la commissione di ricorso al punto 29 della decisione impugnata, il segno verbale VSL#3 è riportato sull’imballaggio del prodotto commercializzato con il marchio contestato, seguito, oltretutto, dal simbolo «©». Il marchio contestato è, quindi, pienamente in grado di esercitare la sua funzione di indicazione d’origine per i consumatori finali.

46

Per quanto riguarda poi i professionisti, la ricorrente, che concentra la sua dimostrazione solo sui medici specialisti e sulla comunità scientifica, ignora del tutto la percezione che del marchio contestato hanno i farmacisti e i medici generici. Ad ogni modo, la documentazione scientifica specializzata prodotta dalla ricorrente non consente di constatare, per i farmacisti e i medici, generici o specialisti, un cambiamento di percezione di tale marchio. In primo luogo, infatti, il segno verbale VSL#3 è, in alcune pubblicazioni, direttamente associato ad un’origine commerciale, menzionata tra parentesi. In secondo luogo, nella stragrande maggioranza degli articoli, il riferimento al segno verbale VSL#3 è preceduto da espressioni come «preparato probiotico», «miscela probiotica» o semplicemente «probiotico». Il marchio controverso, non essendo quindi utilizzato come nome comune, non viene presentato come la denominazione abituale nel commercio del prodotto per il quale è registrato. In terzo luogo, come osserva per completezza la commissione di ricorso al punto 38 della decisione impugnata, la ricorrente non contraddice l’interveniente quando quest’ultima sostiene che il segno verbale VSL#3 non figura in alcun dizionario, né è mai stato classificato come denominazione abituale o è iscritto nell’elenco delle denominazioni comuni internazionali (DCI).

47

Peraltro, per quanto riguarda più in particolare i farmacisti, come sottolineato dalla commissione di ricorso al punto 30 della decisione impugnata, essi sono a conoscenza delle fonti di produzione e del controllo della commercializzazione. Orbene, la ricorrente non dimostra che la documentazione prodotta, prevalentemente statunitense, eserciterebbe una qualche influenza su di essi e sulla loro percezione del marchio contestato. Ad abundantiam, come rileva ancora la commissione di ricorso senza essere contraddetta dalla ricorrente, il fatto che il marchio contestato non sia utilizzato da altre imprese, in concorrenza con l’interveniente, ostacola il cambiamento di percezione di tale marchio da parte dei farmacisti.

48

Il marchio contestato, quindi, continua ad esercitare nei confronti dei professionisti, ossia dei farmacisti e dei medici, la propria funzione di indicazione d’origine.

49

La ricorrente non può, pertanto, fondatamente sostenere che il pubblico di riferimento percepisce ormai il marchio contestato come la denominazione abituale del prodotto per il quale esso è registrato.

50

Non essendo soddisfatta la prima delle condizioni di cui al precedente punto 26, occorre respingere il primo motivo di ricorso senza esaminare se la ricorrente abbia presentato elementi che permettano di stabilire che la trasformazione del marchio contestato in denominazione abituale nel commercio dei prodotti tutelati dal marchio è dovuta all’attività o all’inattività dell’interveniente.

Sul secondo motivo, vertente su una violazione dell’articolo 51, paragrafo 1, lettera c), del regolamento n. 207/2009

51

Nell’ambito del secondo motivo, vertente su una violazione dell’articolo 51, paragrafo 1, lettera c), del regolamento n. 207/2009, la ricorrente sostiene che la commissione di ricorso ha erroneamente concluso che l’uso ingannevole del marchio contestato dopo la sua registrazione non era stato debitamente comprovato.

52

L’EUIPO e l’interveniente contestano gli argomenti della ricorrente.

53

Ai sensi dell’articolo 51, paragrafo 1, lettera c), del regolamento n. 207/2009, il titolare del marchio dell’Unione europea è dichiarato decaduto dai suoi diritti, su domanda presentata all’EUIPO o su domanda riconvenzionale in un’azione per contraffazione, se, in seguito all’uso che ne viene fatto dal titolare del marchio o col suo consenso per i prodotti o servizi per i quali è registrato, il marchio è tale da poter indurre in errore il pubblico, particolarmente circa la natura, la qualità o la provenienza geografica di tali prodotti o servizi.

54

Risulta dalla giurisprudenza che la causa di decadenza di cui all’articolo 51, paragrafo 1, lettera c), del regolamento n. 207/2009 presuppone la presenza di un inganno effettivo o di un rischio sufficientemente grave di inganno nei confronti del consumatore [v., in tal senso, sentenza del 14 maggio 2009, Fiorucci/UAMI – Edwin (ELIO FIORUCCI), T‑165/06, EU:T:2009:157, punto 33; v. anche, per analogia, sentenza del 30 marzo 2006, Emanuel, C‑259/04, EU:C:2006:215, punto 47].

55

L’applicabilità dell’articolo 51, paragrafo 1, lettera c), del regolamento n. 207/2009 è subordinata all’uso ingannevole del marchio successivamente alla sua registrazione. Siffatto uso ingannevole deve essere debitamente comprovato dalla parte ricorrente (v., in tal senso, sentenza del 14 maggio 2009, ELIO FIORUCCI, T‑165/06, EU:T:2009:157, punto 36).

56

È alla luce di quanto precede che occorre valutare il presente motivo di ricorso.

57

Nel caso di specie, la commissione di ricorso ha ritenuto, al punto 52 della decisione impugnata, che l’uso ingannevole del marchio contestato dopo la sua registrazione non fosse stato debitamente comprovato dalla ricorrente. Il titolare del marchio contestato non doveva, di conseguenza, essere dichiarato decaduto dai suoi diritti, ai sensi dell’articolo 51, paragrafo 1, lettera c), del regolamento n. 207/2009. Secondo la commissione di ricorso, il consumatore interessato sarebbe ingannato dal marchio solo quando venga indotto a credere che i prodotti e i servizi presentano una determinata caratteristica che in realtà non possiedono. Tuttavia, il messaggio trasmesso dal marchio non potrebbe essere considerato ingannevole se non è sufficientemente chiaro per designare una caratteristica precisa dei prodotti e dei servizi tutelati. Avendo già stabilito che il marchio contestato non era la denominazione abituale, nel commercio, del prodotto per il quale era stato registrato, né conteneva alcuna indicazione descrittiva di detto prodotto o delle sue caratteristiche, la commissione di ricorso ha affermato che detto marchio non costituiva un’indicazione sufficientemente precisa da poter essere all’origine di un inganno effettivo o di un rischio sufficientemente grave di inganno nei confronti del consumatore.

58

La ricorrente non deduce alcun argomento atto a confutare la valutazione della commissione di ricorso.

59

In primo luogo, secondo la ricorrente, il segno verbale VSL#3 è l’acronimo di «Very Safe Lactobacilli», mentre il simbolo «#» significa «numero» in inglese e la cifra 3 si riferisce al numero di specie di bifidobatteri. Orbene, dal secondo semestre del 2014 ed in seguito alle modifiche apportate, da un produttore diverso, alla formulazione del prodotto per il quale il marchio contestato è registrato, la nozione di «very safe lactobacilli» non sarebbe più applicabile. Il fatto che l’interveniente abbia continuato ad utilizzare il marchio contestato per il nuovo prodotto, potenzialmente pericoloso, appropriandosi in maniera indebita della letteratura scientifica concernente il principio attivo «VSL#3», proverebbe il carattere ingannevole del comportamento dell’interveniente.

60

Sebbene, alla luce della formulazione dell’articolo 51, paragrafo 1, lettera c), del regolamento n. 207/2009, modifiche nella composizione di un prodotto tutelato da un marchio possano comportarne la decadenza, quest’ultima interverrà tuttavia soltanto se il marchio trasmette un’informazione inesatta circa la natura, la qualità o la provenienza di tale prodotto.

61

Orbene, risulta dai precedenti punti 49 e 50 che il marchio contestato non è diventato la denominazione abituale, nel commercio, del prodotto per il quale esso è registrato. Inoltre, la ricorrente non fornisce elementi idonei a dimostrare che il marchio contestato dovrebbe essere inteso come l’acronimo di «Very Safe Lactobacilli». Il carattere descrittivo del marchio contestato non è, di conseguenza, provato. Pertanto, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, il marchio contestato non veicola alcun messaggio chiaro relativamente al prodotto in questione o alle sue caratteristiche.

62

Dal momento che il marchio contestato non costituisce una designazione sufficientemente precisa da poter essere all’origine di un inganno effettivo o di un rischio sufficientemente grave di inganno nei confronti del consumatore, l’argomentazione della ricorrente menzionata al precedente punto 59 deve essere respinta in quanto infondata.

63

In secondo luogo, la ricorrente sostiene, in sostanza, che l’interveniente dovrebbe essere dichiarata decaduta dai suoi diritti a causa del peggioramento della qualità del prodotto commercializzato con il marchio controverso. Secondo la ricorrente, dal secondo semestre del 2014 la formulazione di tale prodotto – e in particolare il suo profilo immunologico e biochimico – sarebbe stata radicalmente modificata. Il marchio contestato designerebbe allora un prodotto che non presenta più lo stesso profilo di sicurezza né gli stessi effetti terapeutici del passato.

64

Contrariamente a quanto afferma la ricorrente, e come risulta dalla giurisprudenza citata ai precedenti punti da 53 a 55, la tutela garantita ai consumatori ai sensi dell’articolo 51, paragrafo 1, lettera c), del regolamento n. 207/2009 verte esclusivamente sulle caratteristiche intrinseche del prodotto, che essi si attendono sulla base del messaggio trasmesso dal marchio. Tale disposizione non mira in alcun modo a far gravare sul titolare di un marchio l’obbligo di garantire un determinato livello di qualità, tranne qualora il marchio veicoli un messaggio simile. Nel caso di specie, poiché la ricorrente non è riuscita a dimostrare che il marchio contestato creava una qualche attesa da parte dei consumatori – fosse essa legata alle caratteristiche intrinseche o alla qualità del prodotto in questione –, la commissione di ricorso ha correttamente considerato, al punto 50 della decisione impugnata, che l’eventuale peggioramento del prodotto in questione potrebbe provocare una «decadenza in senso commerciale», ma non giuridico.

65

La commissione di ricorso ha altresì giustamente osservato, al punto 51 della decisione impugnata, che i consumatori erano, in ogni caso, in grado di valutare direttamente la qualità del prodotto in questione, al momento di sceglierlo, in quanto le confezioni delle due diverse formulazioni di detto prodotto fornivano tutte le informazioni necessarie sulla sua composizione. In particolare, come rileva la commissione di ricorso senza essere contraddetta su questo punto dalla ricorrente, da tali confezioni risulta che le due formulazioni del prodotto in questione contengono ciascuna otto diversi ceppi di batteri lattici vivi che, anche se di diversa origine, sono della medesima specie.

66

Pertanto, giustamente la commissione di ricorso ha constatato, al punto 52 della decisione impugnata, che l’uso ingannevole del marchio contestato dopo la sua registrazione non era stato debitamente comprovato dalla ricorrente.

67

Inoltre, occorre osservare che non può essere accolto l’argomento, non dimostrato, della ricorrente, secondo cui l’impossibilità per gli operatori del mercato di utilizzare la miscela probiotica «VSL#3» crea un monopolio improprio ed una palese distorsione della concorrenza a danno della tutela dei consumatori.

68

Ai sensi dell’articolo 9, paragrafo 1, del regolamento n. 207/2009 (divenuto articolo 9, paragrafo 1, del regolamento 2017/1001), all’interveniente, in quanto titolare del marchio contestato, è stato conferito un diritto esclusivo che le consente, segnatamente, di vietare ai terzi di fare uso di un segno che, a motivo della sua somiglianza con il marchio anteriore e dell’identità dei prodotti contraddistinti dai marchi in conflitto, possa dare adito ad un rischio di confusione per il pubblico. L’interesse del regime giuridico del marchio dell’Unione europea consiste precisamente nel fatto che esso consente ai detentori di un marchio anteriore di opporsi alla registrazione di marchi successivi che traggono indebito vantaggio dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio anteriore. Pertanto, lungi dal concedere un monopolio ingiusto e ingiustificato ai detentori di un marchio anteriore, detto regime consente a tali detentori di tutelare e valorizzare gli investimenti sostanziali affrontati per promuovere il loro marchio anteriore [sentenza del 21 febbraio 2006, Royal County of Berkshire Polo Club/UAMI – Polo/Lauren (ROYAL COUNTY OF BERKSHIRE POLO CLUB), T‑214/04, EU:T:2006:58, punto 43].

69

Nel caso di specie, poiché non è stato dimostrato dalla ricorrente che il marchio contestato era utilizzato in modo ingannevole dall’interveniente, quest’ultima ha il diritto di esercitare il proprio diritto esclusivo ai sensi dell’articolo 9, paragrafo 1, del regolamento n. 207/2009.

70

Alla luce delle suesposte considerazioni, occorre respingere il secondo motivo di ricorso e, conseguentemente, il ricorso nella sua interezza.

Sulle spese

71

Ai sensi dell’articolo 134, paragrafo 1, del regolamento di procedura del Tribunale, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda.

72

La ricorrente, rimasta soccombente, dev’essere dunque condannata a sopportare le proprie spese, nonché quelle sostenute dall’EUIPO e dall’interveniente, conformemente alle conclusioni formulate da questi ultimi.

 

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Quinta Sezione)

dichiara e statuisce:

 

1)

Il ricorso è respinto.

 

2)

La Mendes SA è condannata alle spese.

 

Gratsias

Dittrich

Xuereb

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 18 maggio 2018.

Il cancelliere

E. Coulon

Il presidente

D. Gratsias


( *1 ) Lingua processuale: l’italiano.

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