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Document 62016CC0266

Conclusioni dell’avvocato generale M. Wathelet, presentate il 10 gennaio 2018.
Western Sahara Campaign UK contro Commissioners for Her Majesty's Revenue and Customs e Secretary of State for Environment, Food and Rural Affairs.
Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta da High Court of Justice (England & Wales), Queen's Bench Division (Administrative Court).
Rinvio pregiudiziale – Accordo di partenariato tra la Comunità europea e il Regno del Marocco nel settore della pesca – Protocollo che fissa le possibilità di pesca previste da tale accordo – Atti di conclusione dell’accordo e del protocollo – Regolamenti che ripartiscono le possibilità di pesca fissate dal protocollo tra gli Stati membri – Competenza giurisdizionale – Interpretazione – Validità alla luce dell’articolo 3, paragrafo 5, TUE e del diritto internazionale – Applicabilità di detto accordo e di detto protocollo al territorio del Sahara occidentale e alle acque adiacenti.
Causa C-266/16.

Court reports – general – 'Information on unpublished decisions' section

ECLI identifier: ECLI:EU:C:2018:1

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

MELCHIOR WATHELET

presentate il 10 gennaio 2018 ( 1 )

Causa C‑266/16

Western Sahara Campaign UK,

The Queen

contro

Commissioners for Her Majesty’s Revenue and Customs,

Secretary of State for Environment, Food and Rural Affairs

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla High Court of Justice (England & Wales), Queen’s Bench Division (Administrative Court)] [Alta Corte di giustizia (Inghilterra e Galles), divisione del Queen’s Bench (sezione amministrativa), Regno Unito]

«Rinvio pregiudiziale – Accordo di partenariato tra la Comunità europea e il Regno del Marocco nel settore della pesca – Protocollo che fissa le possibilità di pesca previste dall’accordo – Atti che approvano la conclusione dell’accordo e del protocollo – Regolamenti che ripartiscono le possibilità di pesca fissate dal protocollo tra gli Stati membri – Validità alla luce dell’articolo 3 TUE e del diritto internazionale – Applicazione al Sahara occidentale e alle acque ad esso adiacenti»

Indice

 

I. Introduzione

 

II. Contesto normativo

 

A. Accordo di pesca

 

B. Protocollo del 2013

 

C. Regolamento n. 764/2006

 

D. Decisione 2013/785/UE

 

E. Regolamento n. 1270/2013

 

III. Procedimento principale e questioni pregiudiziali

 

IV. Procedimento dinanzi alla Corte

 

V. Sulla terza e la quarta questione pregiudiziale

 

A. Sulla competenza della Corte

 

B. Nel merito

 

1. Osservazioni preliminari

 

2. Invocabilità delle norme di diritto internazionale per contestare la validità degli atti contestati

 

a) Principi generali

 

b) Sull’invocabilità delle norme di diritto internazionale applicabili alla conclusione di accordi internazionali riguardanti lo sfruttamento delle risorse naturali del Sahara occidentale

 

1) Diritto all’autodeterminazione

 

(i) Il diritto all’autodeterminazione fa parte dei diritti dell’uomo

 

(ii) Il diritto all’autodeterminazione quale principio di diritto internazionale generale, di diritto internazionale convenzionale e obbligo erga omnes

 

– L’Unione è vincolata dal diritto all’autodeterminazione

 

– Il diritto all’autodeterminazione è una norma di diritto internazionale che, sotto il profilo del suo contenuto, è incondizionata e sufficientemente precisa

 

– La natura e l’economia del diritto all’autodeterminazione non ostano al controllo giurisdizionale degli atti contestati

 

2) Principio di sovranità permanente sulle risorse naturali

 

3) Norme di diritto internazionale umanitario applicabili alla conclusione degli accordi internazionali riguardanti lo sfruttamento delle risorse naturali del territorio occupato

 

3. Sulla validità del regolamento n. 764/2006, della decisione 2013/785 e del regolamento n. 1270/2013 nonché sulla compatibilità dell’accordo di pesca e del protocollo del 2013 con le norme invocabili di diritto internazionale alle quali rinvia l’articolo 3, paragrafo 5, TUE

 

a) Sul rispetto, da parte degli atti contestati, del diritto del popolo del Sahara occidentale all’autodeterminazione nonché dell’obbligo di non riconoscere una situazione illecita derivante dalla violazione di tale diritto e di non prestare aiuto o assistenza al mantenimento di tale situazione

 

1) Sull’esistenza di una libera volontà del popolo del Sahara occidentale di perseguire, mediante gli atti contestati, il suo sviluppo economico e di disporre delle sue ricchezze e delle sue risorse naturali

 

2) Sull’obbligo di non riconoscere una situazione illecita derivante dalla violazione del diritto del popolo del Sahara occidentale all’autodeterminazione e di non prestare aiuto o assistenza al mantenimento di tale situazione

 

3) Gli accordi internazionali applicabili al Sahara occidentale sarebbero stati conclusi con il Regno del Marocco in base a un titolo diverso dalla sua affermazione di sovranità su tale territorio?

 

(i) Il Regno del Marocco quale potenza amministratrice de facto del Sahara occidentale

 

(ii) Il Regno del Marocco quale potenza occupante del Sahara occidentale

 

– Sull’applicabilità del diritto internazionale umanitario al Sahara occidentale

 

– Sull’esistenza di un’occupazione militare nel Sahara occidentale

 

– Sulla capacità della potenza occupante di concludere accordi internazionali applicabili al territorio occupato e sulle condizioni di legittimità alle quali è subordinata la conclusione di siffatti accordi

 

b) Sul rispetto, da parte degli atti contestati, del principio di sovranità permanente sulle risorse naturali e delle norme di diritto internazionale umanitario applicabili allo sfruttamento delle risorse naturali del territorio occupato

 

1) Principio di sovranità permanente sulle risorse naturali

 

2) Articolo 55 del regolamento dell’Aia del 1907

 

3) Sul rispetto, da parte degli atti contestati, del principio di sovranità permanente sulle risorse naturali e dell’articolo 55 del regolamento dell’Aia del 1907

 

c) Sui limiti all’obbligo di non riconoscimento

 

4. Sintesi

 

VI. Sulla domanda del Consiglio di limitare temporaneamente gli effetti della dichiarazione di invalidità

 

VII. Conclusione

I. Introduzione

1.

La presente domanda di pronuncia pregiudiziale verte sulla validità dell’accordo di partenariato nel settore della pesca tra la Comunità europea e il Regno del Marocco ( 2 ) (in prosieguo: l’«accordo di pesca»), del protocollo tra l’Unione europea e il Regno del Marocco che fissa le possibilità di pesca e la contropartita finanziaria previste dall’accordo di pesca ( 3 ) (in prosieguo: il «protocollo del 2013») e del regolamento (UE) n. 1270/2013 del Consiglio, del 15 novembre 2013, relativo alla ripartizione delle possibilità di pesca a norma del protocollo del 2013 ( 4 ), nella parte in cui istituiscono e attuano lo sfruttamento, da parte dell’Unione europea e del Regno del Marocco, delle risorse biologiche marine del Sahara occidentale.

2.

Si tratta della prima domanda di pronuncia pregiudiziale sulla validità di accordi internazionali conclusi dall’Unione nonché dei loro atti di conclusione. In tal senso, con tale domanda vengono sollevate nuove questioni di diritto, riguardanti, al contempo, la competenza della Corte a pronunciarsi sulla validità degli accordi internazionali conclusi dall’Unione, le condizioni che devono essere soddisfatte dai singoli per far valere norme di diritto internazionale in sede di esame della validità di tali accordi internazionali, nonché l’interpretazione di tali norme. Tali questioni sono di primaria importanza per quanto riguarda il controllo giurisdizionale dell’azione esterna dell’Unione e il processo di decolonizzazione del Sahara occidentale, in atto dagli anni ’60.

3.

È vero che varie risposte a tali questioni avranno implicazioni politiche. Tuttavia, come ha dichiarato la Corte internazionale di giustizia, «il fatto che una questione giuridica presenti anche aspetti politici, “come avviene, per loro natura, nel caso di numerose questioni che si pongono nella vita internazionale”, non basta a privarla del suo carattere di “questione giuridica” e a “privare la Corte di una competenza espressamente conferitale dal suo Statuto (…)”. A prescindere dagli aspetti politici della questione sollevata, la Corte non può negare un carattere giuridico ad una questione che la invita ad espletare una funzione essenzialmente giudiziaria (…)» ( 5 ).

II. Contesto normativo

A. Accordo di pesca

4.

L’accordo di pesca fa seguito a una serie di accordi conclusi a partire dal 1987 nel settore della pesca tra l’Unione e il Regno del Marocco. La sua conclusione è stata approvata a nome della Comunità con il regolamento n. 764/2006. Conformemente all’articolo 17 di tale regolamento, quest’ultimo è entrato in vigore il 28 febbraio 2007 ( 6 ).

5.

Ai sensi del preambolo e degli articoli 1 e 3, l’accordo di pesca istituisce un partenariato avente lo scopo di contribuire a un’efficace attuazione della politica della pesca del Regno del Marocco e, in senso più ampio, alla conservazione nonché allo sfruttamento sostenibili e responsabili delle risorse biologiche marine, mediante norme relative alla cooperazione economica, finanziaria, tecnica e scientifica tra le parti, alle condizioni per l’accesso dei pescherecci battenti bandiera di uno Stato membro dell’Unione alle zone di pesca marocchine, alle modalità di controllo delle attività di pesca in tali zone, nonché alla cooperazione tra le imprese del settore della pesca.

6.

L’articolo 2, intitolato «Definizioni», prevede quanto segue:

«Ai fini del presente accordo, del protocollo, nonché dell’allegato, valgono le seguenti definizioni:

a)

“zona di pesca marocchina”: le acque soggette alla sovranità o alla giurisdizione del Regno del Marocco;

(…)».

7.

L’articolo 5, intitolato «Accesso delle navi comunitarie alle zone di pesca marocchine», dispone quanto segue:

«1.   Il Marocco si impegna ad autorizzare le navi [dell’Unione] a operare nelle proprie zone di pesca, in conformità del presente accordo, del protocollo e del relativo allegato.

(…)

4.   [L’Unione] si impegna ad adottare tutti i provvedimenti atti a garantire che le proprie navi rispettino le disposizioni del presente accordo nonché la legislazione che disciplina l’esercizio della pesca nelle acque soggette alla giurisdizione del Marocco, in conformità della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare».

8.

L’articolo 7, intitolato «Contropartita finanziaria», recita:

«1.   [L’Unione] concede al Marocco una contropartita finanziaria in conformità delle condizioni stabilite nel protocollo e nell’allegato. Tale contropartita è definita sulla base delle due componenti seguenti:

a)

una compensazione finanziaria per l’accesso delle navi comunitarie alle zone di pesca marocchine, fatti salvi i canoni per le licenze dovuti dalle navi medesime;

b)

un contributo finanziario [dell’Unione] a favore dell’instaurazione di una politica nazionale della pesca basata su una pesca responsabile e sullo sfruttamento sostenibile delle risorse alieutiche nelle acque marocchine.

2.   La componente della contropartita finanziaria di cui al paragrafo 1, lettera b), è stabilita, di comune accordo e in conformità delle disposizioni del protocollo, in funzione degli obiettivi identificati dalle due parti, che dovranno essere conseguiti nell’ambito della politica settoriale della pesca in Marocco in base a una programmazione annuale e pluriennale per l’attuazione di tale politica».

9.

L’articolo 11, intitolato «Zona di applicazione», prevede quanto segue:

«Il presente accordo si applica, da una parte, ai territori in cui si applica il trattato [FUE], alle condizioni ivi stabilite e, dall’altra, al territorio del Marocco e alle acque soggette alla giurisdizione marocchina».

10.

L’articolo 13, intitolato «Composizione delle controversie», prevede che «[l]e parti contraenti si consultano in caso di controversia in merito all’interpretazione o all’applicazione del presente accordo».

11.

Ai sensi dell’articolo 16, «[i]l protocollo e l’allegato, con le relative appendici, formano parte integrante del presente accordo». Tale protocollo e tale allegato con le relative appendici erano stati conclusi per un periodo di quattro anni ( 7 ). Pertanto, non sono più in vigore, ma sono sostituiti dal protocollo del 2013 e dal suo allegato e relative appendici.

B. Protocollo del 2013

12.

Il 18 novembre 2013 l’Unione e il Regno del Marocco hanno firmato il protocollo del 2013 che fissa le possibilità di pesca e la contropartita finanziaria previste dall’accordo di pesca. Tale protocollo è entrato in vigore il 15 luglio 2014 ( 8 ).

13.

L’articolo 1 di detto protocollo, intitolato «Principi generali», dispone quanto segue:

«Il protocollo, con il relativo allegato e le appendici, costituisce parte integrante dell’accordo [di pesca] (…), che rientra nel quadro dell’accordo [di associazione]. (…)

L’attuazione del presente protocollo avviene conformemente (…) all’articolo 2 dello stesso accordo, relativo al rispetto dei principi democratici e dei diritti fondamentali dell’uomo».

14.

L’articolo 2, intitolato «Periodo di applicazione, durata e possibilità di pesca», prevede che:

«A decorrere dalla data di applicazione e per un periodo di quattro anni, le possibilità di pesca concesse a norma dell’articolo 5 dell’accordo di pesca sono fissate nella tabella allegata al presente protocollo.

Il paragrafo 1 si applica fatte salve le disposizioni degli articoli 4 e 5 del presente protocollo.

(…)».

15.

Ai sensi dell’articolo 3, intitolato «Contropartita finanziaria»:

«1.   Per il periodo di cui all’articolo 2, il valore annuo totale stimato del protocollo ammonta a 40000000 EUR, di cui:

a)

30000000 EUR a titolo della contropartita finanziaria di cui all’articolo 7 dell’accordo di pesca, ripartiti come segue:

i)

16000000 EUR come compensazione finanziaria per l’accesso alla risorsa;

ii)

14000000 EUR come sostegno alla politica settoriale della pesca in Marocco.

b)

10000000 EUR corrispondenti all’importo stimato dei canoni a carico degli armatori per le licenze di pesca rilasciate in forza dell’articolo 6 dell’accordo di pesca, secondo le modalità previste al capo I, sezioni D ed E, dell’allegato del presente protocollo.

(…)

4.   La contropartita finanziaria di cui al paragrafo 1, lettera a), è versata al tesoriere generale del Regno del Marocco su un conto aperto presso la Tesoreria generale del Regno del Marocco, le cui coordinate sono comunicate dalle autorità marocchine.

5.   Fatte salve le disposizioni dell’articolo 6 del presente protocollo, l’impiego della contropartita finanziaria è di esclusiva competenza delle autorità del Marocco».

16.

L’articolo 6, intitolato «Sostegno alla politica settoriale della pesca in Marocco», dispone quanto segue:

«1.   La contropartita finanziaria di cui all’articolo 3, paragrafo 1, lettera a), punto ii), del presente protocollo contribuisce allo sviluppo e all’attuazione della politica settoriale della pesca in Marocco nel quadro della strategia “Halieutis” di sviluppo del settore della pesca.

2.   Tale dotazione è impiegata e gestita dal Marocco in funzione degli obiettivi concordati dalle due parti in sede di commissione mista e della conseguente programmazione annuale e pluriennale[,] in conformità alla strategia “Halieutis”, nonché di una stima dell’impatto previsto dei progetti da realizzare.

(…)

6.   Secondo la natura dei progetti e la durata della loro realizzazione, il Marocco presenta in sede di commissione mista una relazione sull’attuazione dei progetti giunti a termine nel quadro del sostegno settoriale previsto a norma del presente protocollo, includendovi le ricadute economiche e sociali previste, in particolare gli effetti sull’occupazione e sugli investimenti, nonché ogni impatto quantificabile delle azioni realizzate e la loro distribuzione geografica. Questi dati saranno elaborati sulla base di indicatori che dovranno essere definiti con maggiore precisione in sede di commissione mista.

7.   Il Marocco presenta inoltre, prima della scadenza del protocollo, una relazione finale sull’attuazione del sostegno settoriale previsto a norma del presente protocollo, includendovi gli elementi di cui ai paragrafi precedenti.

8.   Se necessario, le due parti continueranno a monitorare l’attuazione del sostegno settoriale dopo la scadenza del presente protocollo e, ove del caso, durante la sua sospensione, secondo le modalità previste dal presente protocollo.

(…)».

C. Regolamento n. 764/2006

17.

Ai sensi del suo primo considerando, «[l’Unione] e il Regno del Marocco hanno negoziato e siglato un accordo di partenariato nel settore della pesca che conferisce ai pescatori [dell’Unione] possibilità di pesca nelle acque soggette alla sovranità o alla giurisdizione del Regno del Marocco».

18.

Ai sensi dell’articolo 1 di tale regolamento, «[è] approvato, a nome [dell’Unione], [l’accordo di pesca]».

D. Decisione 2013/785/UE

19.

Conformemente al considerando 2 di tale decisione, «[l]’Unione ha negoziato con il Regno del Marocco un nuovo protocollo che conferisce alle navi dell’Unione possibilità di pesca nelle acque soggette alla sovranità o alla giurisdizione del Regno del Marocco in materia di pesca».

20.

Ai sensi dell’articolo 1 della medesima decisione, «[è] approvato a nome dell’Unione il protocollo [del 2013]».

E. Regolamento n. 1270/2013

21.

Conformemente al considerando 2 di tale regolamento, «[l]’Unione europea ha negoziato con il Regno del Marocco un nuovo protocollo dell’accordo di partenariato (di seguito: «nuovo protocollo») che conferisce alle navi dell’Unione possibilità di pesca nelle acque soggette alla sovranità o alla giurisdizione del Regno del Marocco in materia di pesca. Il nuovo protocollo è stato siglato il 24 luglio 2013».

22.

L’articolo 1, paragrafo 1, ripartisce tra gli Stati membri le possibilità di pesca fissate dal protocollo del 2013. Secondo tale ripartizione, il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord beneficia di una quota pari a 4525 tonnellate nella zona di pesca pelagica industriale.

III. Procedimento principale e questioni pregiudiziali

23.

La Western Sahara Campaign UK (in prosieguo: la «WSC») è un’organizzazione di volontariato indipendente con sede nel Regno Unito avente lo scopo di promuovere il riconoscimento del diritto del popolo del Sahara occidentale all’autodeterminazione.

24.

Tale organizzazione ha proposto due ricorsi connessi contro i Commissioners for Her Majesty’s Revenue and Customs (amministrazione tributaria e doganale, Regno Unito) e il Secretary of State for Environment, Food and Rural Affairs (Ministro per l’Ambiente, l’Alimentazione e gli Affari rurali, Regno Unito).

25.

L’amministrazione tributaria e doganale è il convenuto nel primo ricorso con il quale la WSC contesta il trattamento tariffario preferenziale concesso ai prodotti originari del Sahara occidentale, certificati come prodotti originari del Regno del Marocco. Il Ministro per l’Ambiente, l’Alimentazione e gli Affari rurali è il convenuto nel secondo ricorso con il quale la WSC contesta la possibilità offerta al Ministro, mediante gli atti contestati, di rilasciare licenze per effettuare la pesca nelle acque adiacenti al Sahara occidentale.

26.

In tali ricorsi la WSC contesta la legittimità dell’Accordo euromediterraneo che istituisce un’associazione tra le Comunità europee e i loro Stati membri e il Regno del Marocco, firmato a Bruxelles il 26 febbraio 1996 (GU 2000, L 70, pag. 2; in prosieguo: l’«accordo di associazione») e dell’accordo di pesca nella parte in cui sono applicabili al Sahara occidentale. Secondo la WSC, tali accordi sono invalidi per il motivo che essi sono contrari ai principi generali del diritto dell’Unione e all’articolo 3, paragrafo 5, TUE, che impone all’Unione di rispettare il diritto internazionale. In tali circostanze, la WSC ritiene che detti accordi, conclusi nel contesto di un’occupazione illegittima, violino varie norme di diritto internazionale, tra le quali, in particolare, il diritto del popolo del Sahara occidentale all’autodeterminazione, l’articolo 73 della Carta delle Nazioni Unite, il principio di sovranità permanente sulle risorse naturali e le norme di diritto internazionale umanitario applicabili alle occupazioni militari.

27.

L’amministrazione tributaria e doganale e il Ministro per l’Ambiente, l’Alimentazione e gli Affari rurali replicano che la WSC non è legittimata a far valere le norme di diritto internazionale al fine di contestare la validità di detti accordi e che, in ogni caso, i suoi ricorsi, volti a contestare dinanzi ai giudici inglesi la politica del Regno del Marocco nei confronti del Sahara occidentale, non possono essere definiti in via giudiziaria. Essi sostengono, nel merito, che non sussistono elementi, in detti accordi, che consentano di concludere che l’Unione ha riconosciuto la violazione di norme imperative di diritto internazionale o ha prestato assistenza a tale violazione. Inoltre, a loro avviso, il fatto che il Regno del Marocco continui a occupare il Sahara occidentale non osta alla conclusione con lo stesso di un accordo di sfruttamento delle risorse naturali di tale territorio e, in ogni caso, le parti di detti accordi riconoscono che tale sfruttamento deve operare a vantaggio del popolo di tale territorio.

28.

In tale contesto, la High Court of Justice (England & Wales), Queen’s Bench Division (Administrative Court) [Alta Corte di giustizia (Inghilterra e Galles), divisione del Queen’s Bench (sezione amministrativa)], Regno Unito] dichiara che «[le istituzioni dell’Unione] non sono sempre legittimate a restare indifferenti dinanzi alla questione relativa al luogo in cui si trovano le frontiere sovrane di uno Stato terzo, soprattutto in caso di occupazione illegittima del territorio di un altro Stato» ( 9 ) salvo violare i principi della Carta delle Nazioni Unite e i principi che si impongono all’Unione, indipendentemente dall’ampio potere discrezionale di cui dispongono le istituzioni dell’Unione nel settore degli affari esteri.

29.

Secondo detto giudice, anche se il Regno del Marocco sostiene che il Sahara occidentale fa parte del suo territorio sovrano, tale rivendicazione non è riconosciuta dalla comunità internazionale in generale, né dall’Unione in particolare. Per contro, secondo il giudice del rinvio, la presenza del Regno del Marocco costituisce un’occupazione, che esso qualifica addirittura come «occupazione continua» ( 10 ). Si tratterebbe quindi di accertare se sia legittimo per un’organizzazione come l’Unione, che rispetta i principi della Carta delle Nazioni Unite, concludere con uno Stato terzo un accordo riguardante un territorio situato all’esterno delle frontiere riconosciute di tale Stato.

30.

A tal riguardo, detto giudice considera che, sebbene le istituzioni dell’Unione non incorrano in un errore manifesto nel concludere che l’occupazione continua del territorio del Sahara occidentale da parte del Regno del Marocco non osta, alla luce del diritto internazionale, alla conclusione di un qualsiasi accordo per lo sfruttamento delle risorse naturali del territorio considerato, la questione sostanziale consiste nell’accertare se gli accordi specifici considerati siano contrari a taluni principi di diritto internazionale e se si sia tenuto sufficientemente conto della volontà della popolazione del Sahara occidentale e dei suoi rappresentanti riconosciuti.

31.

Secondo detto giudice, esistono argomenti per concludere che le istituzioni dell’Unione sono incorse in un errore manifesto di valutazione nell’applicazione del diritto internazionale, nel senso che detti accordi sono stati conclusi senza che il Regno del Marocco riconoscesse la sua qualità di potenza amministratrice e rispettasse gli obblighi derivanti dall’articolo 73 della Carta delle Nazioni Unite nonché l’obbligo di promuovere l’autodeterminazione del popolo del Sahara occidentale.

32.

In tali circostanze, la High Court of Justice (England & Wales), Queen’s Bench Division (Administrative Court) [Alta Corte di giustizia (Inghilterra e Galles), divisione del Queen’s Bench (sezione amministrativa)] ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)

Se, nell’[accordo d’associazione], i riferimenti al «Marocco» negli articoli 9, 17 e 94 del protocollo n. 4 si riferiscano esclusivamente al territorio sovrano del Marocco, come riconosciuto dalle Nazioni Unite e dall’Unione e, pertanto, ostino a che prodotti originari del Sahara occidentale siano importati nell’Unione esenti da dazi doganali ai sensi dell’accordo d’associazione con il Marocco.

2)

Ove i prodotti originari del Sahara occidentale possano essere importati nell’Unione esenti da dazi doganali ai sensi dell’accordo d’associazione con il Marocco, se quest’ultimo sia valido, in considerazione dell’obbligo di cui all’articolo 3, paragrafo 5, [TUE] di contribuire all’osservanza dei principi pertinenti di diritto internazionale e al rispetto dei principi della Carta delle Nazioni Unite e dei limiti in cui l’accordo d’associazione con il Marocco sia stato concluso a favore del popolo saharawi, in suo nome, secondo i suoi desideri e/o in consultazione con i suoi rappresentanti riconosciuti.

3)

Se l’accordo [di pesca] (approvato e attuato dal regolamento n. 764/2006, dalla decisione 2013/785 e dal regolamento n. 1270/2013) sia valido, in considerazione dell’obbligo di cui all’articolo 3, paragrafo 5, [TUE] di contribuire all’osservanza dei principi pertinenti del diritto internazionale e al rispetto dei principi della Carta delle Nazioni Unite e dei limiti in cui l’accordo di pesca sia stato concluso a favore del popolo saharawi, in suo nome, secondo i suoi desideri e/o in consultazione con i suoi rappresentanti riconosciuti.

4)

Se la ricorrente sia legittimata ad impugnare la validità degli atti dell’Unione sulla base di una presunta violazione del diritto internazionale da parte dell’Unione, con particolare riguardo alle seguenti circostanze:

a)

il fatto che, sebbene ai sensi del diritto nazionale la ricorrente sia legittimata ad impugnare la validità degli atti dell’Unione, non vanta alcun diritto ai sensi del diritto dell’Unione; e/o

b)

il principio affermato nella causa dell’oro monetario preso a Roma nel 1943 (CIJ Recueil, 1954, pag. 19), secondo cui la Corte internazionale di giustizia non può formulare conclusioni che censurino la condotta o pregiudichino i diritti di uno Stato che non è parte di un procedimento dinanzi ad essa e non ha accettato di essere vincolato dalle decisioni della stessa».

33.

Con ordinanza del 23 novembre 2016, il giudice del rinvio ha disposto l’intervento della Confédération marocaine de l’agriculture et du développement rural (Comader), in quanto parte interessata, nel procedimento dinanzi ad esso pendente.

IV. Procedimento dinanzi alla Corte

34.

La domanda di pronuncia pregiudiziale è stata depositata presso la cancelleria della Corte il 13 maggio 2016. Hanno presentato osservazioni scritte i governi spagnolo, francese e portoghese, nonché il Consiglio e la Commissione europea.

35.

Con lettera del 17 gennaio 2017, la Corte ha interpellato il giudice del rinvio per sapere se, tenuto conto della sentenza del 21 dicembre 2016, Consiglio/Front Polisario (C‑104/16 P, EU:C:2016:973), il giudice del rinvio intendesse mantenere o revocare la prima e la seconda questione pregiudiziale.

36.

Con lettera del 3 febbraio 2017, il giudice del rinvio ha revocato la prima e la seconda questione pregiudiziale dichiarando che la risposta non era più necessaria.

37.

Con lettera del 17 febbraio 2017, la Corte ha invitato le parti del procedimento principale nonché gli intervenienti a esprimersi dinanzi ad esso sull’eventuale incidenza della sentenza del 21 dicembre 2016, Consiglio/Front Polisario (C‑104/16 P, EU:C:2016:973), sulla risposta alla terza questione pregiudiziale e a rispondere a una serie di quesiti entro tre settimane; la WSC, la Comader, i governi spagnolo e francese ( 11 ) nonché il Consiglio e la Commissione hanno ottemperato a tali richieste.

38.

Il 6 settembre 2017 si è tenuta un’udienza, nel corso della quale la WSC, la Comader, i governi spagnolo e francese nonché il Consiglio e la Commissione hanno presentato osservazioni orali.

V. Sulla terza e la quarta questione pregiudiziale

39.

Con la terza questione, il giudice del rinvio interroga la Corte sulla validità dell’accordo di pesca, quale è stato approvato dal regolamento n. 764/2006 e attuato dal protocollo del 2013 (approvato dalla decisione 2013/785) nonché dal regolamento n. 1270/2013, tenuto conto, da un lato, dell’obbligo di cui all’articolo 3, paragrafo 5, TUE di «contribui[re] alla rigorosa osservanza (…) del diritto internazionale [e] al rispetto dei principi della Carta delle Nazioni Unite» e, dall’altro, dei limiti in cui tale accordo sia stato concluso a favore del popolo saharawi, in suo nome, secondo i suoi desideri e/o in consultazione con i suoi rappresentanti riconosciuti.

40.

Con la quarta questione, il giudice del rinvio interroga la Corte sulle condizioni di invocabilità del diritto internazionale in sede di controllo giurisdizionale degli atti dell’Unione mediante una domanda di pronuncia pregiudiziale sulla validità.

41.

A mio avviso, tali questioni pregiudiziali sono strettamente connesse e devono essere esaminate congiuntamente.

A. Sulla competenza della Corte

42.

La terza questione pregiudiziale ha ad oggetto l’accordo di pesca (come integrato dal protocollo del 2013) e invita la Corte a pronunciarsi sulla validità di tale accordo internazionale concluso dall’Unione. Tuttavia, essa fa altresì riferimento agli atti di approvazione e di attuazione di tale accordo adottati dal Consiglio.

43.

Il Consiglio ritiene che la Corte non sia competente a pronunciarsi, in via pregiudiziale, sulla validità dell’accordo di pesca, in quanto, quale accordo internazionale, quest’ultimo non sarebbe un atto compiuto dalle istituzioni ai sensi dell’articolo 267, primo comma, lettera b), TFUE. Secondo il Consiglio, la validità di un accordo internazionale concluso dall’Unione può essere esaminata soltanto prima della sua conclusione, mediante il procedimento di parere istituito dall’articolo 218, paragrafo 11, TFUE. In subordine, il Consiglio, sostenuto dalla Commissione e dai governi spagnolo e francese, ritiene che la domanda di pronuncia pregiudiziale possa essere considerata vertente, in realtà, sulla validità degli atti che hanno approvato la conclusione dell’accordo di pesca e del protocollo del 2013, ossia il regolamento n. 764/2006 e la decisione 2013/785.

44.

A mio avviso, tale eccezione di incompetenza deve essere respinta per le seguenti ragioni.

45.

Ai sensi dell’articolo 267, primo comma, lettera b), TFUE, la Corte è competente a pronunciarsi in via pregiudiziale «sulla validità e l’interpretazione degli atti compiuti dalle istituzioni (…) dell’Unione».

46.

Secondo una giurisprudenza costante, ai fini di tale disposizione, un accordo internazionale concluso dall’Unione costituisce, «per quanto [la riguarda], un atto compiuto da una delle istituzioni [dell’Unione]» ai sensi dell’articolo 267 TFUE ( 12 ). Su tale base, la Corte ha avuto spesso l’opportunità di interpretare, in via pregiudiziale, disposizioni di tali accordi conclusi dall’Unione ( 13 ), tra i quali, del resto, l’accordo di pesca ( 14 ).

47.

Inoltre, secondo la Corte, il controllo pregiudiziale di validità si estende a qualsiasi atto delle istituzioni «senza alcuna eccezione» ( 15 ), in quanto il Trattato FUE, «agli articoli 263 e 277, da un lato, e all’articolo 267, dall’altro, ha istituito un sistema completo di rimedi giurisdizionali e di procedimenti inteso a garantire il controllo della legittimità degli atti dell’Unione, affidandolo al giudice dell’Unione» ( 16 ).

48.

Ciò premesso, gli accordi internazionali conclusi dall’Unione rientrano, al contempo, nell’ordinamento giuridico internazionale, in quanto conclusi con terzi, e nell’ordinamento giuridico dell’Unione.

49.

Sebbene nell’ordinamento giuridico internazionale la nullità di un accordo internazionale possa verificarsi solo per motivi tassativamente elencati agli articoli da 46 a 53 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati, conclusa a Vienna il 23 maggio 1969 ( 17 ) (in prosieguo: la «Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati»), dall’articolo 218, paragrafo 11, TFUE emerge che «[l]e disposizioni di un (…) accordo [concluso dall’Unione] devono (…) essere pienamente compatibili con i trattati [UE e FUE] nonché con i principi costituzionali che ne discendono» ( 18 ).

50.

Per evitare, quanto più possibile, le complicazioni giuridiche e di politica internazionale derivanti dall’incompatibilità con i Trattati UE e FUE di un accordo internazionale concluso dall’Unione che resti valido nel diritto internazionale gli estensori di detti trattati hanno istituito il procedimento preventivo di parere, previsto attualmente dall’articolo 218, paragrafo 11, TFUE.

51.

Al fine di fondare la propria competenza a valutare la compatibilità degli accordi internazionali nel procedimento di parere, la Corte si è del resto basata sulla circostanza che tale competenza le era conferita, in ogni caso, in forza degli articoli 258, 263 e 267 TFUE. Infatti, essa ha dichiarato che «[si poteva] interpellare la Corte di giustizia, sia [direttamente] in forza degli articoli [258 TFUE] e [263 TFUE], sia in via pregiudiziale, sul se la stipulazione di un accordo rientri nella sfera di competenza [dell’Unione] e se, eventualmente, tale competenza sia stata esercitata conformemente alle disposizioni del trattato» ( 19 ).

52.

La Corte è quindi competente a esaminare «tutte le questioni tali da generare dubbi sulla validità sostanziale o formale dell’accordo [internazionale] in relazione ai trattati [UE e FUE]» ( 20 ).

53.

In tal senso, per evitare le complicazioni summenzionate, quando la Corte ha espresso parere negativo circa la compatibilità con i Trattati UE e FUE di un accordo internazionale «previsto», quest’ultimo non può entrare in vigore, a meno che esso non sia stato previamente modificato ( 21 ). In ogni caso, la Corte potrà controllare ex post la compatibilità ( 22 ) sostanziale o formale dell’accordo con i Trattati UE e FUE qualora sia investita di un ricorso di annullamento o di un rinvio pregiudiziale di validità.

54.

Risulta da quanto precede che la Corte è competente a controllare la validità dell’atto del Consiglio che approva la conclusione di un accordo internazionale ( 23 ), il che comprende il controllo della legittimità interna di tale decisione con riferimento all’accordo in questione ( 24 ). In tale contesto, la Corte può controllare la legittimità dell’atto del Consiglio (ivi comprese le disposizioni dell’accordo internazionale di cui esso approva la conclusione) alla luce dei Trattati UE e FUE nonché dei principi costituzionali che ne derivano, tra i quali il rispetto dei diritti fondamentali ( 25 ) e del diritto internazionale ( 26 ) conformemente all’articolo 3, paragrafo 5, TUE.

55.

Di conseguenza, la Corte è competente ad annullare (in caso di ricorso di annullamento) o a dichiarare invalida (in caso di domanda di pronuncia pregiudiziale) la decisione del Consiglio che approva la conclusione dell’accordo internazionale in questione ( 27 ) e a dichiarare l’incompatibilità di tale accordo con i Trattati Ue e FUE, nonché con i principi costituzionali che ne derivano.

56.

In tali fattispecie, l’accordo internazionale continua a vincolare le parti nel diritto internazionale e incombe alle istituzioni dell’Unione eliminare le incompatibilità tra tale accordo e i Trattati UE e FUE nonché con i principi costituzionali che ne derivano ( 28 ). Se l’eliminazione delle incompatibilità si rivela impossibile, gli Stati devono denunciare l’accordo o recedere dallo stesso ( 29 ), conformemente al procedimento previsto agli articoli 56 e da 65 a 68 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati ( 30 ) e, nella fattispecie, all’articolo 14 dell’accordo di pesca. In tal senso, si può individuare un’analogia con l’articolo 351 TFUE che prevede la medesima situazione riguardo ai trattati conclusi dagli Stati membri prima della loro adesione all’Unione.

57.

Infine, occorre precisare che il principio stabilito dalla Corte internazionale di giustizia nella causa dell’oro monetario preso a Roma nel 1943 ( 31 ) e oggetto della quarta questione pregiudiziale, secondo il quale tale giudice non può esercitare la propria competenza per dirimere una controversia fra due Stati quando, per far ciò, esso deve esaminare la condotta di uno Stato terzo che non è parte del procedimento ( 32 ), non è, come sostengono il Consiglio e a Commissione, pertinente nel caso di specie. Infatti, tale principio, contenuto nello Statuto della Corte internazionale di giustizia, non rientra nello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea e, in ogni caso, non potrebbe rientrare nel diritto dell’Unione in quanto escluderebbe d’ufficio la possibilità di controllare la compatibilità con i Trattati UE e FUE degli accordi internazionali conclusi dall’Unione senza la partecipazione al procedimento dinanzi ad essa dello Stato terzo che ha firmato l’accordo con l’Unione.

58.

Tenuto conto di tali considerazioni, con le questioni pregiudiziali sono dirette ad accertare:

la validità del regolamento n. 764/2006, nella parte in cui approva l’accordo di pesca «che conferisce ai pescatori [dell’Unione] possibilità di pesca nelle acque soggette alla sovranità o alla giurisdizione del Regno del Marocco» ( 33 );

la validità della decisione 2013/785, nella parte in cui approva il protocollo del 2013 «che conferisce alle navi dell’Unione possibilità di pesca nelle acque soggette alla sovranità o alla giurisdizione del Regno del Marocco in materia di pesca» ( 34 ) e che fissa la contropartita finanziaria per tale sfruttamento;

la validità del regolamento n. 1270/2013, nella parte in cui ripartisce tra gli Stati membri le possibilità di pesca ai sensi del protocollo del 2013, e

la compatibilità dell’accordo di pesca e del protocollo del 2013 con i Trattati UE e FUE nonché con i principi costituzionali che ne derivano, tra i quali in particolare la tutela dei diritti fondamentali e il rispetto del diritto internazionale imposto all’azione esterna dell’Unione dall’articolo 3, paragrafo 5, TUE.

59.

Farò riferimento, in prosieguo, a tutti questi atti utilizzando l’espressione «atti contestati».

B. Nel merito

1.   Osservazioni preliminari

60.

Sia per le parti del procedimento principale che per gli intervenienti dinanzi alla Corte, gli atti contestati sono applicabili al territorio del Sahara occidentale e alle acque ad esso adiacenti. Tuttavia, tale constatazione non emerge chiaramente dal dettato dell’accordo di pesca e del protocollo del 2013. Infatti, nessuna disposizione di detti atti menziona espressamente il Sahara occidentale.

61.

Occorre quindi esaminare, anzitutto, se gli atti contestati siano applicabili al Sahara occidentale in quanto, in caso contrario, la loro validità non potrebbe essere contestata con riferimento alle norme fatte valere dal giudice del rinvio e dalla WSC ( 35 ).

62.

A mio avviso, un’interpretazione dell’accordo di pesca e del protocollo del 2013 conforme alle norme interpretative dei trattati stabilite all’articolo 31 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati porta alla conclusione che tali atti sono certamente applicabili al territorio del Sahara occidentale e alle acque ad esso adiacenti, per le seguenti ragioni.

63.

Ai sensi dell’articolo 31, paragrafo 1, di tale convenzione, «[u]n trattato deve essere interpretato in buona fede in base al senso comune da attribuire ai termini del trattato nel loro contesto ed alla luce dei suo oggetto e del suo scopo». Secondo il paragrafo 2 di tale articolo, «il contesto comprende, oltre al testo, preambolo e allegati inclusi[,] (…) ogni accordo relativo al trattato e che sia intervenuto tra tutte le parti in occasione della sua conclusione». Il contesto comprende quindi il protocollo del 2006, che non è più in vigore ma il cui contenuto era, in sostanza, per quanto riguarda l’ambito di applicazione dell’accordo di pesca, identico a quello del protocollo del 2013.

64.

L’articolo 31, paragrafo 3, di detta convenzione impone altresì di tener conto, otre che del contesto, in particolare, «di ogni accordo ulteriore intervenuto tra le parti circa l’interpretazione del trattato o l’attuazione delle disposizioni in esso contenute». Di conseguenza, per interpretare l’ambito di applicazione dell’accordo di pesca, si deve tener conto delle disposizioni pertinenti del protocollo del 2013.

65.

Nella fattispecie, conformemente al suo articolo 11, l’accordo di pesca si applica, per quanto riguarda il Regno del Marocco, «al territorio del Marocco e alle acque soggette alla giurisdizione marocchina». L’articolo 2, lettera a), di tale accordo definisce i termini «zona di pesca marocchina» nella quale si effettua lo sfruttamento alieutico previsto da tale accordo come «le acque soggette alla sovranità o alla giurisdizione del Regno del Marocco» ( 36 ).

66.

Detti termini sono precisati nelle appendici 2 e 4 dell’allegato del protocollo del 2013. Su richiesta della Corte, la Commissione ha presentato sei cartine che dimostrano l’estensione delle zone di pesca conformemente alle precisazioni fornite in tali appendici:

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67.

Come emerge da tali cartine, la zona di pesca n. 3 (cat. 3: pesca artigianale al sud) si estende a sud del parallelo 30°40’00”N e al di là delle 3 miglia marine; la zona di pesca n. 4 (cat. 4: pesca demersale) si estende a sud del parallelo 29°N e al di là dell’isobata di 200 metri per i pescherecci da traino e al di là delle 12 miglia marine per i pescherecci con palangari; la zona di pesca n. 5 (cat. 5: pesca del tonno) copre tutta la zona atlantica del Marocco al di là delle 3 miglia marine, ad eccezione della zona protetta situata ad est della linea che va da 33°30’N/7°35’O a 35°48’N/6°20’O, e la zona di pesca n. 6 (cat. 6: pesca pelagica industriale) si estende a sud del parallelo 29°N e al di là delle 15 miglia marine per i pescherecci da traino congelatori e al di là delle 8 miglia marine per i pescherecci da traino RSW ( 37 ).

68.

Per quanto riguarda quest’ultima zona di pesca, dal verbale della terza commissione mista dell’accordo di pesca, che si è riunita a Bruxelles il 17 e il 18 marzo 2008, risulta che l’Unione e il Regno del Marocco hanno convenuto che l’attività di tale zona poteva operare solo a sud del parallelo 26°07’N. Infatti, il capo III dell’allegato del protocollo del 2013 nonché l’appendice 4 di tale allegato consentono al Regno del Marocco di modificare unilateralmente tali coordinate geografiche salvo comunicare qualsiasi modifica alla Commissione con un preavviso di un mese.

69.

Il limite meridionale di tali zone di pesca non è precisato né nell’accordo di pesca né nel protocollo del 2013 ( 38 ). Dato che la frontiera tra il Sahara occidentale e il Regno del Marocco è situata al parallelo 27°42’N (Pointe Stafford) ( 39 ), solo la zona di pesca n. 6, per effetto di un accordo successivo tra l’Unione e il Regno del Marocco, comprende chiaramente le acque adiacenti al Sahara occidentale. Tuttavia, dalle cartine presentate dalla Commissione risulta che le zone di pesca dal n. 3 al n. 5 si estendono sino alla frontiera marittima tra la Repubblica islamica di Mauritania e il Sahara occidentale, comprendendo così le acque adiacenti a quest’ultimo.

70.

Peraltro, i dati sui quantitativi di catture per zona di pesca forniti in udienza dalla Commissione confermano che l’accordo di pesca e il protocollo del 2013 si applicano quasi esclusivamente alle acque adiacenti al Sahara occidentale ( 40 ). Secondo le cifre fornite dalla Commissione, le catture effettuate nella sola zona di pesca n. 6 rappresentano circa il 91,5% delle catture totali effettuate conformemente all’accordo di pesca e al protocollo del 2013. Ciò dimostra chiaramente che l’applicazione dell’accordo di pesca e del protocollo del 2013 alle acque adiacenti al Sahara occidentale è esattamente quanto le parti hanno previsto sin dall’inizio.

71.

Per quanto riguarda l’applicazione dell’accordo di pesca e del protocollo del 2013 sulla terraferma, l’articolo 3, paragrafo 1, lettera a), punto ii), del protocollo del 2013 prevede che una quota della contropartita finanziaria corrisposta dall’Unione al Regno del Marocco e pari a EUR 14 milioni sia versata come sostegno alla politica settoriale della pesca nel Regno del Marocco, quota che, secondo il Consiglio e la Commissione, include investimenti in infrastrutture effettuati nel territorio del Sahara occidentale. Inoltre, il capo X dell’allegato del protocollo del 2013 prevede che una parte delle catture debba essere sbarcata nei porti marocchini, tra i quali, secondo il Consiglio e la Commissione, sono inclusi i porti del Sahara occidentale. Infine, l’accordo di pesca e il protocollo del 2013, secondo il Consiglio e la Commissione, devono operare a vantaggio del popolo del Sahara occidentale, il che costituisce di per sé un’applicazione sulla terraferma di tale accordo e di tale protocollo.

72.

In secondo luogo, la constatazione secondo la quale l’accordo di pesca è applicabile al Sahara occidentale e alle acque ad esso adiacenti è suffragata dalla sua genesi. Infatti, come rileva la Commissione, l’accordo di pesca trae origine dagli accordi di pesca conclusi con il Regno del Marocco dal Regno di Spagna prima della sua adesione all’Unione ( 41 ), che riguardavano le acque adiacenti al Sahara occidentale in quanto acque soggette alla giurisdizione marocchina ( 42 ). Rilevo inoltre che gli accordi di pesca conclusi tra l’Unione e il Regno del Marocco a decorrere dal 1988 hanno già dato luogo a varie cause riguardanti la pesca nelle acque adiacenti al Sahara occidentale ( 43 ). In tal senso, ritengo che, come i loro antecedenti, l’accordo di pesca e il protocollo del 2013 non fanno altro che riprendere e proseguire le attività di pesca del Regno di Spagna già esistenti nelle acque adiacenti al Sahara occidentale prima dell’adesione di tale Stato membro all’Unione.

73.

In terzo e ultimo luogo, l’articolo 31, paragrafo 4, di detta convenzione attribuisce un’importanza primaria all’intenzione delle parti, precisando che «un termine o un’espressione [hanno] un significato particolare se verrà accertato che tale era l’intenzione delle parti». A mio avviso, l’intento dell’Unione e del Regno del Marocco era che l’accordo di pesca fosse applicabile al Sahara occidentale e alle acque ad esso adiacenti in quanto acque soggette alla sovranità o alla giurisdizione marocchina. Nel 1976 il Regno del Marocco ha annesso la parte del Sahara occidentale che si trova a nord della linea retta che parte dal punto di intersezione della costa atlantica con il parallelo 24°N e si dirige verso il punto di intersezione del parallelo 23°N con il meridiano 13°O ( 44 ), conformemente alla Convenzione relativa ai confini internazionali stabiliti tra la Repubblica islamica di Mauritania e il Regno del Marocco, conclusa a Rabat il 14 aprile 1976 ( 45 ). L’annessione del Sahara occidentale da parte del Regno del Marocco è stata completata nel 1979 mediante l’annessione della parte meridionale del Sahara occidentale ( 46 ), concessa da detta convenzione alla Repubblica islamica di Mauritania. Il Regno del Marocco ritiene quindi che il Sahara occidentale sia soggetto alla sua sovranità e che, pertanto, le acque ad esso adiacenti rientrino nell’ambito di applicazione dell’accordo di pesca e del protocollo del 2013.

74.

Per quanto riguarda l’Unione, risulta chiaramente dalle dichiarazioni rese da vari Stati membri nell’ambito del Consiglio, in sede di approvazione del protocollo del 2013, che sia quest’ultimo che l’accordo di pesca sono applicabili al Sahara occidentale ( 47 ). Era questa, del resto, la ragione per cui, come spiegano il giudice del rinvio e la Commissione, il Parlamento europeo aveva bloccato, in un primo tempo, la rinegoziazione del protocollo che fissava le possibilità di pesca e la contropartita finanziaria previste dall’accordo di pesca. È per la stessa ragione che il Regno di Danimarca e il Regno di Svezia hanno votato in senso contrario all’approvazione della conclusione di tale protocollo, che il Regno dei Paesi Bassi ( 48 ), la Repubblica di Finlandia e il Regno Unito si sono astenuti e che la Repubblica federale di Germania, l’Irlanda e la Repubblica d’Austria hanno espresso riserve ( 49 ).

75.

In tale contesto, contrariamente all’accordo di associazione oggetto della sentenza del 21 dicembre 2016, Consiglio/Front Polisario (C‑104/16 P, EU:C:2016:973), l’intenzione mi sembra manifestamente dimostrata: l’accordo di pesca e il protocollo del 2013 sono applicabili al Sahara occidentale e alle acque ad esso adiacenti. Spetta quindi alla Corte esaminare se tale intenzione, concretizzata dagli atti contestati, incida sulla loro legittimità alla luce dell’articolo 3, paragrafo 5, TUE e delle norme di diritto internazionale fatte valere dalla WSC.

2.   Invocabilità delle norme di diritto internazionale per contestare la validità degli atti contestati

a)   Principi generali

76.

L’argomento della WSC mira, in sostanza, a rimettere in discussione gli atti contestati sotto due aspetti. In primo luogo, la WSC sostiene che l’Unione non può legittimamente concludere con il Regno del Marocco accordi applicabili al territorio del Sahara occidentale e alle acque ad esso adiacenti. In secondo luogo, anche supponendo che l’Unione possa legittimamente concludere siffatti accordi, la WSC sostiene che gli atti contestati sono, per quanto riguarda il loro contenuto, invalidi alla luce dell’articolo 3, paragrafo 5, TUE e del diritto internazionale. Ai fini del suo argomento, la WSC fa valere varie norme di diritto internazionale, tra le quali, in particolare, il diritto dei popoli all’autodeterminazione, l’articolo 73 della Carta delle Nazioni Unite, il principio di sovranità permanente sulle risorse naturali e il diritto internazionale umanitario per la parte in cui le sue norme riguardano la conclusione di accordi internazionali applicabili ai territori occupati e lo sfruttamento delle loro risorse naturali. In udienza essa ha precisato che non contestava la validità degli atti contestati con riferimento al diritto internazionale del mare.

77.

In tale contesto, sulla base dei principi enunciati nella sentenza del 21 dicembre 2011, Air Transport Association of America e a. (C‑366/10, EU:C:2011:864), il Ministro per l’Ambiente, l’Alimentazione e gli Affari rurali, la Comader, i governi spagnolo, francese e portoghese, il Consiglio nonché la Commissione contestano la possibilità della WSC di far valere tali norme di diritto internazionale.

78.

Occorre ricordare che, secondo i punti da 51 a 55 della sentenza del 21 dicembre 2011, Air Transport Association of America e a. (C‑366/10, EU:C:2011:864), l’invocabilità delle norme di diritto internazionale convenzionale è subordinata alle seguenti condizioni: l’Unione deve essere vincolata da tali norme, il loro contenuto deve essere incondizionato e sufficientemente preciso e, infine, la natura e l’economia di tali norme non devono ostare al controllo giurisdizionale dell’atto contestato.

79.

In base ai punti da 101 a 103 e 107 della sentenza del 21 dicembre 2011, Air Transport Association of America e a. (C‑366/10, EU:C:2011:864), l’invocabilità delle norme di diritto internazionale consuetudinario è subordinata alle seguenti condizioni: tali norme devono essere idonee a mettere in discussione la competenza dell’Unione ad adottare l’atto contestato e quest’ultimo deve poter incidere su diritti attribuiti al singolo dal diritto dell’Unione oppure far sorgere nei suoi confronti obblighi correlati al diritto dell’Unione stesso.

80.

A mio avviso, sebbene i singoli debbano soddisfare determinate condizioni per poter invocare le norme del diritto internazionale nell’ambito del controllo giurisdizionale degli atti dell’Unione, i principi stabiliti in tale sentenza non sono automaticamente applicabili alla causa in esame. Infatti, tali principi riguardano il controllo giurisdizionale degli atti unilaterali di diritto derivato puramente interni (regolamenti, direttive ecc.) ( 50 ) mentre, come rileva la Commissione ( 51 ), nella causa in esame si pone la distinta questione della validità di un accordo internazionale concluso dall’Unione attraverso l’atto che ne approva la conclusione (diritto derivato convenzionale) ( 52 ).

81.

A tal riguardo, occorre ricordare che la qualità di membro dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) è riservata agli Stati ( 53 ). Non essendo membro dell’ONU, l’Unione non è parte dello Statuto della Corte internazionale di giustizia, come previsto per i membri dell’ONU, dall’articolo 93 della Carta delle Nazioni Unite. Inoltre, l’articolo 34 dello Statuto della Corte internazionale di giustizia limita solo agli Stati la possibilità di comparire dinanzi ad essa.

82.

Ne consegue che il controllo dell’azione esterna dell’Unione non rientra nella competenza di un giudice internazionale e neppure della Corte internazionale di giustizia. Pertanto, anche nel caso in cui la sua azione violi le norme imperative del diritto internazionale ai sensi dell’articolo 53 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati o gli obblighi del diritto internazionale consuetudinario cosiddetti «erga omnes» ( 54 ), nessun giudice internazionale sarebbe competente a statuire su siffatta violazione.

83.

Tuttavia, taluni accordi internazionali consentono all’Unione di «di assoggettarsi alle decisioni di un organo giurisdizionale istituito o designato in forza di tali accordi, per quanto concerne l’interpretazione e l’applicazione delle loro disposizioni», facoltà riconosciutale dalla giurisprudenza della Corte ( 55 ).

84.

Così non avviene nel caso dell’accordo di pesca il cui articolo 13, intitolato «Composizione delle controversie», prevede che «[l]e parti contraenti si consultano in caso di controversia in merito all’interpretazione o all’applicazione del presente accordo». Dato che tale accordo non ha istituito un organo giurisdizionale, indipendente e imparziale, competente a risolvere le eventuali controversie in base all’accordo di pesca, la loro composizione dipende dalla buona volontà delle parti, in quanto ciascuna di esse può facilmente bloccarlo ( 56 ).

85.

Pertanto, se la Corte è, per definizione, l’unico organo giurisdizionale competente a controllare l’azione esterna dell’Unione e a verificare che tale azione contribuisca «alla rigorosa osservanza (…) del diritto internazionale [e] al rispetto dei principi della Carta delle Nazioni Unite» ( 57 ), non sorprende che la Corte abbia dichiarato che «l’esercizio delle competenze devolute alle istituzioni [dell’Unione] nel campo internazionale non può essere sottratto al controllo giurisdizionale di [validità]» ( 58 ).

86.

In tale contesto, sebbene i singoli debbano soddisfare determinate condizioni per poter invocare il diritto internazionale al fine di contestare la compatibilità di un accordo internazionale concluso dall’Unione con l’articolo 3, paragrafo 5, TUE, tali condizioni non possono essere tali da rendere impossibile, in concreto, un controllo giurisdizionale effettivo dell’azione esterna dell’Unione.

87.

Orbene, ciò è quanto accadrebbe, a mio avviso, qualora i principi stabiliti nella fattispecie oggetto della sentenza del 21 dicembre 2011, Air Transport Association of America e a. (C‑366/10, EU:C:2011:864), fossero applicati come tali al controllo di validità degli atti contestati.

88.

Infatti, talune norme di diritto internazionale fatte valere nella causa in esame sono, al contempo, norme di diritto consuetudinario e norme di diritto convenzionale, in quanto sono state codificate in vari trattati e convenzioni internazionali, mentre altre norme, come il diritto all’autodeterminazione, fanno parte del diritto internazionale generale ( 59 ) e, in quanto tali, non rientrano esclusivamente nel diritto internazionale convenzionale o consuetudinario la cui invocabilità è stata trattata dalla Corte nella sentenza del 21 dicembre 2011, Air Transport Association of America e a. (C‑366/10, EU:C:2011:864).

89.

Inoltre, se è vero che la Corte ha stabilito condizioni di invocabilità diverse da quelle del diritto internazionale convenzionale allo scopo di non escludere d’ufficio l’invocabilità delle norme di diritto internazionale convenzionale, sarebbe contrario al medesimo obiettivo, come suggeriscono il Ministro per l’Ambiente, l’Alimentazione e gli Affari rurali, i governi spagnolo, francese e portoghese nonché il Consiglio e la Commissione, subordinare l’invocabilità delle norme di diritto internazionale generale alle condizioni di invocabilità delle norme di diritto internazionale consuetudinario, nel caso in cui esse soddisfino le condizioni di invocabilità stabilite per le norme di diritto internazionale convenzionale.

90.

Siffatta soluzione escluderebbe d’ufficio l’invocabilità per i singoli di norme, pur essenziali, di diritto internazionale, come le norme imperative di diritto internazionale generale o gli obblighi di diritto internazionale cosiddetti «erga omnes» per le seguenti ragioni.

91.

Anzitutto, secondo la prima condizione di invocabilità delle norme di diritto internazionale consuetudinario considerata dalla Corte nel caso in cui l’atto contestato sia un atto di diritto derivato unilaterale puramente interno, le norme fatte valere devono poter rimettere in discussione la competenza dell’Unione ad adottare tale atto. Ricordo che, nella causa che ha dato luogo alla sentenza del 21 dicembre 2011, Air Transport Association of America e a. (C‑366/10, EU:C:2011:864), nonché nelle cause che hanno dato luogo alle sentenze citate al punto 107 di tale sentenza, era in discussione la competenza dell’Unione ad adottare l’atto contestato, del quale si asserivano gli effetti extraterritoriali.

92.

Nella causa in esame nessuno contesta la competenza ( 60 ) dell’Unione a concludere l’accordo di pesca e il protocollo del 2013 o ad adottare il regolamento n. 764/2006, la decisione 2013/785 e il regolamento n. 1270/2013. La WSC contesta, invece, la compatibilità dell’accordo di pesca e del protocollo del 2013 con il diritto primario dell’Unione nonché la legittimità interna del regolamento n. 764/2006, della decisione 2013/785 e del regolamento n. 1270/2013. Sarebbe assurdo limitare il controllo degli atti contestati unicamente alla questione della competenza dell’Unione ed escludere d’ufficio il loro controllo sostanziale con riferimento alle principali norme di diritto internazionale fatte valere nella causa in esame.

93.

Inoltre, l’applicazione della seconda condizione di invocabilità delle norme di diritto internazionale consuetudinario in una causa come quella di cui trattasi risulta ancor più problematica. Secondo tale condizione, l’atto contestato deve poter incidere su diritti attribuiti al singolo dal diritto dell’Unione oppure far sorgere nei suoi confronti obblighi correlati al diritto dell’Unione stesso ( 61 ).

94.

Nella fattispecie, gli atti contestati conferiscono diritti e obblighi solo all’Unione e al Regno del Marocco. Infatti, non ravviso alcuna disposizione in tali atti che faccia sorgere diritti od obblighi nei confronti dei singoli, diversi potenzialmente (ma ne dubito), dagli armatori dell’Unione le cui navi sono in possesso di una licenza di pesca rilasciata in base all’accordo di pesca. Pertanto, anche supponendo che possa attivare il controllo giurisdizionale degli atti contestati secondo tale condizione, una categoria di singoli sarebbe composta esclusivamente da coloro che beneficiano dell’accordo di pesca e che non hanno quindi alcun interesse a contestarlo in giudizio.

95.

Infine, perché limitare il controllo giurisdizionale «a stabilire se, nell’adottare l’atto in questione, le istituzioni dell’Unione abbiano commesso manifesti errori di valutazione riguardo ai presupposti di applicazione dei principi di cui trattasi» ( 62 ), quando tali principi presentano «lo stesso grado di precisione di una disposizione di un accordo internazionale» ( 63 ) per effetto della loro codificazione?

96.

Concludendo su tale punto, ritengo che nell’ambito del controllo giurisdizionale degli accordi internazionali conclusi dall’Unione nonché degli atti dell’Unione che approvano o attuano siffatti accordi, l’invocabilità delle norme di diritto internazionale deve essere subordinata certamente a talune condizioni, ma indipendentemente dalla loro appartenenza formale a una o a più fonti di diritto internazionale secondo la classificazione effettuata all’articolo 38, paragrafo 1, dello Statuto della Corte internazionale di giustizia. Tali condizioni sono quelle enunciate ai punti da 53 a 55 della sentenza del 21 dicembre 2011, Air Transport Association of America e a. (C‑366/10, EU:C:2011:864), secondo i quali l’Unione deve essere vincolata dalla norma invocata, il cui contenuto deve essere incondizionato e sufficientemente preciso e, infine, la cui natura ed economia non ostano al controllo giurisdizionale dell’atto contestato.

97.

È con riferimento a tali principi che esaminerò l’invocabilità delle norme di diritto internazionale fatte valere dalla WSC, pertinenti nella causa in esame.

b)   Sull’invocabilità delle norme di diritto internazionale applicabili alla conclusione di accordi internazionali riguardanti lo sfruttamento delle risorse naturali del Sahara occidentale

98.

Con gli atti contestati, l’Unione ha concluso con il Regno del Marocco e attuato un accordo internazionale che prevede lo sfruttamento, da parte dell’Unione, delle risorse alieutiche del Sahara occidentale. In tale contesto, esaminerò l’invocabilità delle norme di diritto internazionale che potrebbero rimettere in discussione sia la conclusione con il Regno del Marocco di un accordo internazionale applicabile al Sahara occidentale e alle acque ad esso adiacenti sia lo sfruttamento delle risorse naturali di tale territorio. Così facendo, prendo in considerazione il fatto che il Regno del Marocco ritiene di avere la sovranità sul Sahara occidentale, che, dal punto di vista delle istituzioni dell’Unione, il Regno del Marocco è la potenza amministratrice de facto del Sahara occidentale e che, per il giudice del rinvio e la WSC, esso è la potenza occupante del Sahara occidentale.

1) Diritto all’autodeterminazione

(i) Il diritto all’autodeterminazione fa parte dei diritti dell’uomo

99.

Anzitutto, ritengo che il diritto all’autodeterminazione non sia subordinato alle condizioni di invocabilità delle norme di diritto internazionale, in quanto fa parte dei diritti dell’uomo.

100.

Come ha dichiarato la Corte ai punti 284 e 285 della sentenza del 3 settembre 2008, Kadi e Al Barakaat International Foundation/Consiglio e Commissione (C‑402/05 P e C‑415/05 P, EU:C:2008:461), il rispetto dei diritti dell’uomo rappresenta una condizione di legittimità degli atti dell’Unione e, nell’ordinamento giuridico dell’Unione, non possono essere consentite misure incompatibili con il rispetto di questi ultimi. Pertanto, gli obblighi imposti da un accordo internazionale non possono avere l’effetto di compromettere i principi costituzionali dei Trattati UE e FUE, quali l’articolo 3, paragrafo 5, TUE e l’articolo 21 TUE, secondo cui l’azione esterna dell’Unione deve rispettare i diritti dell’uomo. Spetta quindi alla Corte garantire tale rispetto nell’ambito del sistema completo di mezzi di ricorso istituito dai Trattati UE e FUE.

101.

Secondo una giurisprudenza costante della Corte, «i diritti fondamentali fanno parte integrante dei principi generali del diritto di cui la Corte garantisce l’osservanza. A tal fine, la Corte si ispira alle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri e alle indicazioni fornite dai trattati internazionali relativi alla tutela dei diritti dell’uomo cui gli Stati membri hanno cooperato o aderito» ( 64 ).

102.

Tutti gli Stati membri (e il Regno del Marocco) sono parti del Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali (PIDESC) ( 65 ) e del Patto internazionale sui diritti civili e politici (PIDCP) ( 66 ), firmati a New York il 16 dicembre 1966, il cui comune articolo 1 dispone quanto segue:

«1.   Tutti i popoli hanno il diritto di autodeterminazione. In virtù di questo diritto, essi decidono liberamente del loro statuto politico e perseguono liberamente il loro sviluppo economico, sociale e culturale.

2.   Per raggiungere i loro fini, tutti i popoli possono disporre liberamente delle proprie ricchezze e delle proprie risorse naturali, senza pregiudizio degli obblighi derivanti dalla cooperazione economica internazionale, fondata sul principio del mutuo interesse, e dal diritto internazionale. In nessun caso un popolo può essere privato dei propri mezzi di sussistenza.

3.   Gli Stati parti del presente Patto, ivi compresi quelli che sono responsabili dell’amministrazione di territori non autonomi e di territori in amministrazione fiduciaria, debbono promuovere l’attuazione del diritto di autodeterminazione dei popoli e rispettare tale diritto, in conformità alle disposizioni dello Statuto delle Nazioni Unite» ( 67 ).

103.

Inoltre, il titolo VIII dell’Atto finale di Helsinki del 1975, rubricato «Eguaglianza dei diritti ed autodeterminazione dei popoli», al quale fa riferimento l’articolo 21, paragrafo 2, lettera c), TUE e di cui sono parti tutti gli Stati membri, sancisce il diritto all’autodeterminazione in termini quasi identici a quelli dell’articolo 1, comune al PIDESC e al PIDCP. Detto titolo dispone quanto segue:

«Gli Stati partecipanti rispettano l’eguaglianza dei diritti dei popoli e il loro diritto all’autodeterminazione, operando in ogni momento in conformità ai fini e ai principi dello Statuto delle Nazioni Unite e alle norme pertinenti del diritto internazionale, comprese quelle relative all’integrità territoriale degli Stati.

In virtù del principio dell’eguaglianza dei diritti e dell’autodeterminazione dei popoli, tutti i popoli hanno sempre il diritto, in piena libertà, di stabilire quando e come desiderano il loro regime politico interno ed esterno, senza ingerenza esterna, e di perseguire come desiderano il loro sviluppo politico, economico, sociale e culturale.

Gli Stati partecipanti riaffermano l’importanza universale del rispetto e dell’esercizio effettivo da parte dei popoli dei diritti eguali e dell’autodeterminazione per lo sviluppo di relazioni amichevoli fra loro come fra tutti gli Stati; essi ricordano anche l’importanza dell’eliminazione di qualsiasi forma di violazione di questo principio».

104.

Il diritto all’autodeterminazione è quindi un diritto dell’uomo, riconosciuto come tale da vari organismi e trattati internazionali, nonché dalla dottrina ( 68 ). Secondo la Corte internazionale di giustizia, i beneficiari di tale diritto sono i popoli dei territori non autonomi ai sensi dell’articolo 73 della Carta delle Nazioni Unite e quelli soggetti al «soggiogamento» ( 69 ), alla dominazione o allo sfruttamento stranieri ( 70 ).

(ii) Il diritto all’autodeterminazione quale principio di diritto internazionale generale, di diritto internazionale convenzionale e obbligo erga omnes

105.

In ogni caso, quale norma di diritto internazionale generale ( 71 ) e obbligo erga omnes ( 72 ), codificato in vari strumenti internazionali convenzionali ( 73 ), il diritto all’autodeterminazione soddisfa i criteri di invocabilità enunciati al paragrafo 96 delle presenti conclusioni, ossia che vincola l’Unione, che il suo contenuto è incondizionato e sufficientemente preciso e che la sua natura e la sua economia non ostano al controllo giurisdizionale degli atti contestati.

– L’Unione è vincolata dal diritto all’autodeterminazione

106.

Come ha dichiarato la Corte nella sentenza del 21 dicembre 2016, Consiglio/Front Polisario (C‑104/16 P, EU:C:2016:973), l’Unione è vincolata dal diritto all’autodeterminazione, che costituisce un diritto opponibile erga omnes nonché uno dei principi fondamentali del diritto internazionale ( 74 ). A tale titolo, «[esso] fa parte delle norme di diritto internazionale applicabili nelle relazioni tra l’Unione e il Regno del Marocco» ( 75 ).

107.

Infatti, il diritto all’autodeterminazione è sancito all’articolo 1, paragrafo 2, della Carta delle Nazioni Unite ( 76 ). Orbene, l’articolo 3, paragrafo 5, TUE, l’articolo 21, paragrafo 1, TUE, l’articolo 21, paragrafo 2, lettere b) e c), e gli articoli 23 TUE e 205 TFUE impongono all’Unione di rispettare i principi sanciti dalla Carta delle Nazioni Unite. La dichiarazione n. 13 relativa alla politica estera e di sicurezza comune, allegata all’Atto finale della conferenza intergovernativa che ha adottato il Trattato di Lisbona, firmato il 13 dicembre 2007, stabilisce che «l’Unione europea e i suoi Stati membri resteranno vincolati dalle disposizioni della Carta delle Nazioni Unite» ( 77 ).

108.

Inoltre, il diritto all’autodeterminazione rientra fra i principi dell’Atto finale di Helsinki ai quali fa riferimento l’articolo 21, paragrafo 2, lettera c), TUE ( 78 ).

109.

Infine, come emerge dall’articolo 1 del protocollo del 2013, la sua attuazione è subordinata al rispetto dei principi democratici e dei diritti dell’uomo, compreso il rispetto del diritto dei popoli all’autodeterminazione.

– Il diritto all’autodeterminazione è una norma di diritto internazionale che, sotto il profilo del suo contenuto, è incondizionata e sufficientemente precisa

110.

Come ha dichiarato la Corte al punto 55 della sentenza del 21 dicembre 2011, Air Transport Association of America e a. (C‑366/10, EU:C:2011:864), «[t]ale condizione risulta soddisfatta allorché la norma invocata stabilisce un obbligo chiaro e preciso che non è subordinato, quanto alla sua esecuzione o ai suoi effetti, all’intervento di alcun atto ulteriore».

111.

Come dimostrano i punti 90, 92 e 93 della sentenza del 21 dicembre 2016, Consiglio/Front Polisario (C‑104/16 P, EU:C:2016:973), in cui la Corte ha applicato tale diritto al Sahara occidentale e al suo popolo senza avanzare dubbi sul suo contenuto o sulla sua portata, il diritto all’autodeterminazione soddisfa tale condizione.

112.

Il fatto che la Corte internazionale di giustizia abbia dichiarato che la costruzione di un muro da parte di Israele nel territorio della Cisgiordania costituiva una violazione del diritto del popolo palestinese all’autodeterminazione in quanto sarebbe stata equivalente a una annessione de facto ( 79 ), dimostra che si tratta di un diritto il cui contenuto è sufficientemente chiaro e preciso per essere applicato.

113.

Infatti, il suo contenuto si presenta sufficientemente dettagliato in vari atti.

114.

A tal riguardo, la Corte internazionale di giustizia ha basato sull’articolo 1, paragrafo 2, della Carta delle Nazioni Unite l’esistenza di un «diritto all’indipendenza a favore dei popoli dei territori non autonomi e di quelli soggetti al soggiogamento, alla dominazione o allo sfruttamento stranieri» ( 80 ).

115.

Il contenuto di tale diritto è precisato dall’articolo 1, comune al PIDESC e al PIDCP ( 81 ), e le sue particolari modalità di attuazione in varie risoluzioni dell’Assemblea generale dell’ONU, tra le quali in particolare le risoluzioni 1514 (XV), 1541 (XV) e 2625 (XXV) cui la Corte internazionale di giustizia ha fatto spesso riferimento ( 82 ).

116.

A tal riguardo, la risoluzione 1514 (XV) dichiara quanto segue:

«1.

La soggezione dei popoli al soggiogamento, alla dominazione e allo sfruttamento stranieri costituisce un diniego dei diritti fondamentali dell’Uomo, è contraria allo Statuto delle Nazioni Unite e compromette la causa della pace e della cooperazione mondiali.

2.

Tutti i popoli hanno il diritto di libera decisione; in base a tale diritto, essi decidono liberamente del proprio statuto politico e perseguono liberamente il loro sviluppo economico, sociale e culturale.

(…)

4.

Sarà posto fine ad ogni azione armata e ad ogni misura di repressione, di qualsiasi specie, diretta contro i popoli dipendenti, per consentire a questi popoli di esercitare in modo pacifico e liberamente il loro diritto alla completa indipendenza, e sarà rispettata l’integrità del loro territorio nazionale.

(…)».

117.

La risoluzione 1541 (XV) stabilisce i principi che devono guidare le potenze amministratrici nell’esercizio dei loro obblighi derivanti dall’articolo 73 della Carta delle Nazioni Unite. Va osservato che il principio VI prevede che il diritto all’autodeterminazione si considera esercitato quando il territorio non autonomo diviene Stato indipendente e sovrano o quando si associa liberamente a uno Stato indipendente o quando si è integrato in uno Stato indipendente.

118.

Per quanto riguarda l’integrazione in uno Stato indipendente, il principio IX, lettera b), prevede che «[l]’integrazione deve risultare dal desiderio liberamente espresso delle popolazioni del territorio, pienamente consapevoli del mutamento del loro status, mediante una consultazione effettuata secondo metodi democratici e ampiamente diffusi, applicati in modo imparziale e fondati sul suffragio universale degli adulti. L’[ONU] potrà, quando lo riterrà necessario, controllare l’applicazione di tali metodi».

119.

Infine, la risoluzione 2625 (XXV) contiene la dichiarazione relativa ai principi di diritto internazionale, concernenti le relazioni amichevoli e la cooperazione fra gli Stati, in conformità con la Carta delle Nazioni Unite. Sotto il titolo, «Il principio dell’uguaglianza di diritti dei popoli e del loro diritto all’autodeterminazione», tale risoluzione impone a tutti gli Stati «il dovere di favorire, con azioni concertate con altri Stati o individualmente, la realizzazione del principio dell’uguaglianza di diritti dei popoli e del loro diritto all’autodeterminazione, in conformità con le disposizioni della Carta».

120.

Tale risoluzione impone inoltre agli Stati «il dovere di astenersi dal ricorrere a misure coercitive di qualunque genere dirette a privare i popoli sopra menzionati nella formulazione di questo principio del loro diritto all’autodeterminazione, della loro libertà e della loro indipendenza».

121.

Per quanto riguarda più in particolare i territori non autonomi, come il Sahara occidentale, tale risoluzione prevede che essi hanno «uno status separato e distinto da quello dello Stato che l’amministra; questo status separato e distinto in virtù della Carta [delle Nazioni Unite] sussiste fintanto che il popolo (…) del territorio non autonomo non eserciti il suo diritto all’autodeterminazione conformemente alla Carta e, più in particolare, ai suoi scopi e principi» ( 83 ).

122.

Infine, nelle sue disposizioni generali, la risoluzione 2625 (XXV) dichiara che «i principi della Carta inseriti nella presente Dichiarazione costituiscono i principi fondamentali del diritto internazionale e chiede di conseguenza a tutti gli Stati di ispirarsi ad essi nella loro condotta internazionale e di sviluppare le loro relazioni reciproche sulla base del rispetto rigoroso dei principi medesimi».

123.

Risulta da quanto precede che il diritto all’autodeterminazione non è subordinato, quanto alla sua esecuzione o ai suoi effetti, all’intervento di alcun atto ulteriore.

124.

Nella fattispecie, come hanno dichiarato la Corte internazionale di giustizia e la Corte, il popolo del Sahara occidentale beneficia del diritto all’autodeterminazione ( 84 ).

– La natura e l’economia del diritto all’autodeterminazione non ostano al controllo giurisdizionale degli atti contestati

125.

Al punto 89 della sentenza del 21 dicembre 2016, Consiglio/Front Polisario (C‑104/16 P, EU:C:2016:973), la Corte ha dichiarato che, nell’ambito del ricorso di annullamento dell’accordo di associazione, proposto dal Front Polisario, «si imponeva al Tribunale la presa in considerazione [del diritto all’autodeterminazione]». Ne consegue che la natura e l’economia di tale diritto non ostano al controllo giurisdizionale degli atti dell’Unione.

126.

Infatti, l’articolo 103 della Carta della Nazioni Unite dispone che «[i]n caso di contrasto tra gli obblighi contratti dai Membri delle Nazioni Unite con il presente Statuto e gli obblighi da essi assunti in base a qualsiasi altro accordo internazionale prevarranno gli obblighi derivanti dal presente Statuto».

127.

Inoltre, secondo la Corte internazionale di giustizia, «il diritto dei popoli all’autodeterminazione (…) è un diritto opponibile erga omnes» ( 85 ). Ciò implica che «siffatti obblighi, per loro natura, “riguardano tutti gli Stati” e, “[v]ista l’importanza dei diritti in questione, si può ritenere che tutti gli Stati abbiano un interesse giuridico a che tali diritti siano protetti”» ( 86 ). In tal senso, la Corte internazionale di giustizia ha dichiarato che «tutti gli Stati hanno l’obbligo di non riconoscere la situazione di illeceità derivante dalla [violazione di un obbligo erga omnes]. Essi hanno anche l’obbligo di non prestare aiuto o assistenza al mantenimento della situazione determinata da tale [violazione]. Spetta peraltro a tutti gli Stati garantire, nel rispetto della Carta delle Nazioni Unite e del diritto internazionale, che si ponga fine agli ostacoli, derivanti dalla [violazione], all’esercizio, da parte del popolo [interessato, nella fattispecie il popolo palestinese], del suo diritto all’autodeterminazione» ( 87 ).

128.

Infine, il diritto all’autodeterminazione viene spesso citato come norma imperativa di diritto internazionale la cui violazione può comportare la nullità di un trattato internazionale conformemente all’articolo 53 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati ( 88 ). Occorre sottolineare che, nel procedimento di parere consultivo dinanzi alla Corte internazionale di giustizia nella causa relativa al Sahara occidentale, il Regno di Spagna ha riconosciuto che il diritto all’autodeterminazione costituiva di per sé una norma imperativa di diritto internazionale ( 89 ), mentre il Regno del Marocco ha riconosciuto la qualità di norma imperativa al principio di decolonizzazione di cui l’autodeterminazione costituisce una modalità ( 90 ).

129.

Ne deriva che, lungi dall’ostare a un controllo giurisdizionale, l’economia e la natura del diritto all’autodeterminazione impongono alla Corte di verificare che, con gli atti contestati, l’Unione abbia rispettato tale diritto, non abbia riconosciuto una situazione illecita derivante dalla violazione di tale diritto e non abbia prestato aiuto o assistenza al mantenimento di siffatta situazione ( 91 ).

2) Principio di sovranità permanente sulle risorse naturali

130.

Il principio di sovranità permanente sulle risorse naturali garantisce il diritto sovrano di ogni Stato e di ogni popolo di disporre liberamente delle ricchezze e delle risorse naturali del suo territorio nell’interesse dello sviluppo nazionale e del benessere del suo popolo ( 92 ). È un principio di diritto internazionale consuetudinario ( 93 ) che, in quanto tale, vincola l’Unione.

131.

Come ha osservato il Segretario generale aggiunto agli affari giuridici dell’ONU, consigliere giuridico, Hans Corell, nella lettera del 29 gennaio 2002, inviata al presidente del Consiglio di sicurezza dell’ONU, «[la] portata e [gli] effetti giuridici precisi [del principio di sovranità permanente sulle risorse naturali] restano opinabili» ( 94 ).

132.

Infatti, il suo parere giuridico attesta tale difficoltà in quanto utilizza termini diversi per definire lo sfruttamento di risorse naturali a favore del popolo del territorio non autonomo. Infatti, tale parere fa riferimento a uno sfruttamento che non avviene «a danno dei bisogni e degli interessi della popolazione [del territorio non autonomo], senza che questa ne benefici» ( 95 ) oppure a uno sfruttamento «a favore dei popoli [dei territori non autonomi], in loro nome, o previa consultazione con i loro rappresentanti» ( 96 ) e conclude che uno sfruttamento non può essere intrapreso «a danno degli interessi e della volontà del popolo [del territorio non autonomo]» ( 97 ).

133.

Ciò premesso, nonostante la mutevolezza della terminologia, è vero che, quantomeno, lo sfruttamento di risorse naturali deve avvenire a favore del popolo del territorio non autonomo, il che è quanto basta per attribuire a tale criterio del principio della sovranità permanente sulle risorse naturali un carattere sufficientemente chiaro e preciso.

134.

Tale criterio può anche costituire il fondamento di un controllo giurisdizionale degli atti contestati. Infatti, il Parlamento aveva bloccato inizialmente l’adozione del protocollo concluso infine nel 2013, ritenendo che esso non prevedesse garanzie sufficienti per assicurare che lo sfruttamento alieutico delle risorse naturali del Sahara occidentale, da parte delle navi dell’Unione, avvenisse a favore del popolo di tale territorio. Inoltre, il Consiglio e la Commissione ammettono che il criterio del beneficio per il popolo del Sahara occidentale è una condizione di legittimità degli accordi, conclusi tra l’Unione e il Regno del Marocco, riguardanti tale territorio.

3) Norme di diritto internazionale umanitario applicabili alla conclusione degli accordi internazionali riguardanti lo sfruttamento delle risorse naturali del territorio occupato

135.

Per il giudice del rinvio, la WSC nonché l’amministrazione tributaria e doganale e il Ministro per l’Ambiente, l’Alimentazione e gli Affari rurali, la presenza del Regno del Marocco nel Sahara occidentale costituisce un’occupazione ( 98 ).

136.

A tal riguardo, rilevo che la questione se il Regno del Marocco sia o meno la potenza occupante del Sahara occidentale e se esso abbia concluso l’accordo di pesca e il protocollo del 2013 in tale veste è una questione di interpretazione del diritto internazionale alla quale non si applicano le condizioni di invocabilità dello stesso nel diritto dell’Unione.

137.

Tuttavia, se il Regno del Marocco è la potenza occupante del Sahara occidentale (questione sulla quale ritornerò successivamente ( 99 )), devono poter essere invocate le norme di diritto internazionale umanitario codificate nel regolamento allegato alla Convenzione dell’Aia, del 18 ottobre 1907, concernente le leggi e gli usi della guerra terrestre (in prosieguo: il «regolamento dell’Aia del 1907») e nella Convenzione di Ginevra, del 12 agosto 1949, relativa alla protezione delle persone civili in tempo di guerra (in prosieguo: la «Convenzione IV di Ginevra»), che riguardano la conclusione degli accordi internazionali applicabili al territorio occupato (articolo 43 del regolamento dell’Aia del 1907 e articolo 64, secondo comma, della Convenzione IV di Ginevra) e lo sfruttamento delle risorse naturali di tale territorio (articolo 55 del regolamento dell’Aia del 1907).

138.

Infatti, tali disposizioni soddisfano i criteri di invocabilità del diritto internazionale enunciati al paragrafo 96 delle presenti conclusioni.

139.

In primo luogo, le disposizioni del regolamento dell’Aia del 1907 e della Convenzione IV di Ginevra costituiscono principi inviolabili e opponibili erga omnes di diritto internazionale consuetudinario ( 100 ) e, in quanto tali, vincolano l’Unione.

140.

In secondo luogo, il loro contenuto è sufficientemente preciso e incondizionato, in quanto gli obblighi che esso impone alle potenze occupanti non sono subordinati, quanto alla loro esecuzione e ai loro effetti, all’intervento di alcun atto ulteriore.

141.

In terzo e ultimo luogo, la loro natura e la loro economia, in quanto norme inviolabili, non ostano al controllo giurisdizionale degli atti contestati, e in particolare del regolamento n. 764/2006, della decisione 2013/785 e del regolamento n. 1270/2013, in quanto approvano e attuano uno sfruttamento delle risorse naturali del Sahara occidentale convenuto tra l’Unione e il Regno del Marocco. Orbene, l’Unione ha l’obbligo di non riconoscere la situazione di illeceità derivante dalla violazione di tali disposizioni e di non prestare aiuto o assistenza al mantenimento della situazione determinata da tale violazione ( 101 ).

142.

Dopo aver stabilito quali sono le norme di diritto internazionale invocabili, esaminerò ora la compatibilità degli atti contestati con tali norme.

3.   Sulla validità del regolamento n. 764/2006, della decisione 2013/785 e del regolamento n. 1270/2013 nonché sulla compatibilità dell’accordo di pesca e del protocollo del 2013 con le norme invocabili di diritto internazionale alle quali rinvia l’articolo 3, paragrafo 5, TUE

a)   Sul rispetto, da parte degli atti contestati, del diritto del popolo del Sahara occidentale all’autodeterminazione nonché dell’obbligo di non riconoscere una situazione illecita derivante dalla violazione di tale diritto e di non prestare aiuto o assistenza al mantenimento di tale situazione

143.

Con la sentenza del 21 dicembre 2016, Consiglio/Front Polisario (C‑104/16 P, EU:C:2016:973), la Corte ha dichiarato che l’accordo di associazione concluso tra l’Unione e il Regno del Marocco, che secondo il suo dettato si applica al «territorio del Regno del Marocco», non è applicabile al territorio del Sahara occidentale in quanto siffatta applicazione sarebbe incompatibile con il diritto del popolo di tale territorio all’autodeterminazione nonché con gli articoli 29 (applicazione territoriale dei trattati) e 34 (principio dell’effetto relativo dei trattati secondo il quale i trattati non devono né nuocere né operare a vantaggio di terzi senza il loro consenso) della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati ( 102 ).

144.

Secondo il Consiglio e la Commissione, la causa in esame deve essere distinta da quella che ha dato luogo alla sentenza del 21 dicembre 2016, Consiglio/Front Polisario (C‑104/16 P, EU:C:2016:973) in quanto, contrariamente all’accordo di associazione, l’accordo di pesca e il protocollo del 2013 sono applicabili al Sahara occidentale. Infatti, secondo la loro interpretazione di tale sentenza, il problema dell’accordo di associazione consisteva nel fatto che tale accordo veniva applicato al Sahara occidentale senza essere ad esso giuridicamente applicabile, in quanto siffatta applicazione sarebbe stata incompatibile con il diritto del popolo di tale territorio all’autodeterminazione nonché con gli articoli 29 (applicazione territoriale dei trattati) e 34 (principio dell’effetto relativo dei trattati secondo il quale i trattati non devono né nuocere né operare a vantaggio di terzi senza il loro consenso) della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati. È in base a tale argomento che la soluzione prevista dal Consiglio e dalla Commissione, al fine di rendere l’applicazione dell’accordo di associazione al Sahara occidentale conforme alla sentenza del 21 dicembre 2016, Consiglio/Front Polisario (C‑104/16 P, EU:C:2016:973), sarebbe quella di estendere il suo ambito di applicazione mediante un accordo sotto forma di scambio di corrispondenza tra l’Unione e il Regno del Marocco per includere espressamente il Sahara occidentale.

145.

Questo argomento non mi convince. Se l’applicazione al Sahara occidentale di un accordo internazionale concluso con il Regno del Marocco, il cui ambito di applicazione territoriale non include espressamente tale territorio, fosse incompatibile con il diritto del popolo di tale territorio all’autodeterminazione, lo sarebbe a fortiori anche un accordo internazionale che, come l’accordo di pesca e il protocollo del 2013, è applicabile al territorio del Sahara occidentale e alle acque ad esso adiacenti ( 103 ) e autorizza lo sfruttamento, da parte dell’Unione ( 104 ), delle risorse alieutiche del Sahara occidentale.

146.

Tale argomento mi sembra a fortiori sufficiente per constatare la violazione del diritto del popolo del Sahara occidentale all’autodeterminazione. A fini di completezza, vorrei aggiungere che gli atti contestati non rispettano il diritto del popolo del Sahara occidentale all’autodeterminazione, in quanto non corrispondono né a un libero perseguimento del suo sviluppo economico né a una libera disposizione delle sue ricchezze e delle sue risorse naturali ( 105 ) e che, in ogni caso, anche se non violassero di per sé il diritto all’autodeterminazione, tali atti non rispetterebbero l’obbligo dell’Unione di non riconoscere una situazione illecita derivante dalla violazione del diritto del popolo del Sahara occidentale all’autodeterminazione e di non prestare aiuto o assistenza al mantenimento di tale situazione ( 106 ).

1) Sull’esistenza di una libera volontà del popolo del Sahara occidentale di perseguire, mediante gli atti contestati, il suo sviluppo economico e di disporre delle sue ricchezze e delle sue risorse naturali

147.

L’inesistenza di siffatta volontà mi sembra dimostrata dalle seguenti circostanze ( 107 ), la cui sostanza è stata discussa dalla WSC dinanzi al giudice del rinvio ed è stata ricordata da quest’ultimo ( 108 ).

148.

Il 20 dicembre 1966 l’Assemblea generale dell’ONU ha adottato la risoluzione 2229 (XXI) sulla questione dell’Ifni e del Sahara spagnolo, nella quale essa ha «[r]ibadi[to] il diritto inalienabile de[l] popol[o] (…) del Sahara spagnolo all’autodeterminazione» e ha chiesto al Regno di Spagna, nella sua veste di potenza amministratrice, di definire quanto prima «le modalità dell’organizzazione di un referendum da svolgersi sotto l’egida dell’[ONU] per consentire alla popolazione autoctona del territorio di esercitare liberamente il proprio diritto all’autodeterminazione».

149.

Il 20 agosto 1974 il Regno di Spagna ha informato l’ONU del proprio intento di organizzare, sotto l’egida di tale organizzazione, un referendum nel Sahara occidentale ( 109 ).

150.

Nel maggio 1975, nonostante le difficoltà incontrate, la missione di visita nell’ONU nel Sahara occidentale «è stata in grado di concludere, dopo il suo soggiorno nel territorio, che la maggior parte della popolazione all’interno del Sahara spagnolo era manifestamente a favore dell’indipendenza» ( 110 ).

151.

Il 16 ottobre 1975 la Corte internazionale di giustizia, a seguito di una domanda presentata dall’Assemblea generale dell’ONU nell’ambito dei lavori relativi alla decolonizzazione del Sahara occidentale, ha reso un parere consultivo secondo il quale, da un lato, il Sahara occidentale non era un territorio di nessuno (terra nullius) al momento della colonizzazione da parte del Regno di Spagna, e dall’altro, anche se taluni elementi dimostravano l’esistenza, al momento della colonizzazione spagnola, di vincoli giuridici di fedeltà fra il sultano del Marocco e alcune tribù che vivevano nel territorio del Sahara occidentale, tali elementi non dimostravano l’esistenza di alcun vincolo di sovranità territoriale fra il territorio del Sahara occidentale e il Regno del Marocco ( 111 ). La Corte non ha pertanto rilevato l’esistenza di vincoli giuridici tali da modificare l’applicazione della risoluzione 1514 (XV) dell’Assemblea generale dell’ONU riguardo alla decolonizzazione del Sahara occidentale e, in particolare, l’applicazione del principio di autodeterminazione mediante la libera e autentica espressione della volontà delle popolazioni del territorio ( 112 ).

152.

In un discorso pronunciato il giorno stesso della pubblicazione di detto parere consultivo, «il re del Marocco ha ritenuto che “tutti a[avessero] riconosciuto che il Sahara [occidentale] era [in] possesso” del Regno del Marocco e che ad esso “incomb[eva] recuperare pacificamente tale territorio”», facendo appello, a tal fine, all’organizzazione di una marcia a cui hanno partecipato 350000 persone, cosiddetta «marcia verde» ( 113 ).

153.

Adito dal Regno di Spagna, il Consiglio di sicurezza dell’ONU ha chiesto al Segretario generale dell’ONU, K. Waldheim, di redigere una relazione sui risultati delle sue consultazioni con le parti interessate, tra le quali, in particolare, il Regno del Marocco ( 114 ).

154.

Secondo la tesi di quest’ultimo, esposta in tale relazione, un referendum non era necessario, in quanto la Corte internazionale di giustizia aveva riconosciuto i vincoli storici di fedeltà tra il sultano del Marocco e le tribù che vivevano tradizionalmente nel territorio del Sahara occidentale e, in ogni caso, «le popolazioni del territorio avevano già esercitato di fatto il loro diritto all’autodeterminazione e si erano dichiarate a favore della restituzione del territorio al Marocco», e la prova più recente era «il giuramento di fedeltà al re del Marocco pronunciato a nome delle tribù saharawi dal [sig. Khatri Ould Said a Ould El Jomaini], presidente della Djemââ[ ( 115 )]» nel corso di una cerimonia che aveva avuto luogo il 4 novembre 1975 nel palazzo di Agadir ( 116 ).

155.

A seguito delle proteste espresse dal Regno di Spagna contro la marcia verde, il Consiglio di sicurezza dell’ONU ha adottato, il 6 novembre 1975, la risoluzione 380 (1975) sul Sahara occidentale, nella quale ha «[d]eplor[ato] il compimento della marcia» annunciata e ha «[c]hie[sto] al [Regno del] Marocco di ritirare immediatamente dal territorio del Sahara occidentale tutti i partecipanti a [tale] marcia». Il Regno del Marocco si è conformato a tale richiesta alcuni giorni dopo.

156.

Durante la crisi provocata dalla marcia verde, il Regno di Spagna, il Regno del Marocco e la Repubblica islamica di Mauritania si sono impegnati in negoziati trilaterali sfociati, il 14 novembre 1975, nella Dichiarazione di principi della Spagna, del Marocco e della Mauritania riguardo al Sahara occidentale ( 117 ) (in prosieguo: l’«accordo di Madrid»). In base a tale accordo, «la Spagna [avrebbe proceduto] immediatamente all’istituzione di un’amministrazione temporanea nel territorio [del Sahara occidentale], alla quale [avrebbero partecipato] il Marocco e la Mauritania in collaborazione con la Djemââ, e alla quale [sarebbero stati] trasferiti le responsabilità e i poteri [di cui essa disponeva in tale territorio in qualità di potenza amministratrice]», che è quanto è stato fatto.

157.

Detto accordo prevedeva altresì che «[l]a presenza spagnola [sarebbe cessata] definitivamente prima del 28 febbraio 1976» e che «[l]’opinione della popolazione saharawi, espressa tramite la Djemââ, [sarebbe stata rispettata]».

158.

In seguito, è risultato che detto accordo era corredato di una serie di accordi fra questi tre paesi, formalmente denominati «atti dei colloqui», volti a disciplinare taluni aspetti economici del trasferimento dell’amministrazione del Sahara occidentale, tra cui in particolare i diritti di pesca nelle acque adiacenti a tale territorio ( 118 ). L’esistenza di tali accordi nonché il fatto che essi riguardavano la pesca sono stati confermati dal Ministro degli Affari esteri del Regno di Spagna, il sig. Oreja Aguirre, in occasione del dibattito parlamentare sulla ratifica dell’accordo di pesca tra il Regno di Spagna e il Regno del Marocco del 1977 ( 119 ). Secondo il Ministro, si trattava di «linee di condotta [o] di direttive» ( 120 ).

159.

L’esistenza di un accordo sui diritti di pesca nelle acque adiacenti al Sahara occidentale nonché il fatto che la sua esistenza non è stata comunicata al Segretario generale dell’ONU sono anche confermati dai dispacci diplomatici del Segretario di Stato degli Stati Uniti ( 121 ).

160.

Il 28 novembre 1975 67 membri della Djemââ, tra i quali il vicepresidente, riuniti a El Guelta Zemmur (Sahara occidentale) hanno dichiarato all’unanimità che la Djemââ, non essendo eletta democraticamente dal popolo del Sahara occidentale, non avrebbe potuto decidere sulla sua autodeterminazione. Essi hanno deciso all’unanimità il suo scioglimento definitivo ( 122 ).

161.

Il 10 dicembre 1975 l’Assemblea generale dell’ONU ha votato due risoluzioni sulla questione del Sahara occidentale il cui contenuto non è identico ( 123 ), in quanto mancava il consenso sulle conseguenze che dovevano essere desunte dall’accordo di Madrid. In tal senso, la risoluzione 3458 A (XXX) non fa alcun accenno a tale accordo e fa riferimento al Regno di Spagna definendolo «come [p]otenza amministratrice» del Sahara occidentale ( 124 ), mentre la risoluzione 3458 B (XXX) «prende atto» ( 125 ) di tale accordo e non fa riferimento a una potenza amministratrice, ma alle «parti dell’accordo di Madrid del 14 novembre 1975» ( 126 ) e all’«amministrazione ad interim» ( 127 ).

162.

Va tuttavia osservato che tra i 144 Stati partecipanti alla 2435a seduta plenaria dell’Assemblea generale, 88 hanno votato a favore della risoluzione 3458 A (XXX), nessuno contro, 41 si sono astenuti e 15 non hanno votato. Gli Stati membri attuali dell’Unione hanno votato a favore di tale risoluzione, ad eccezione della Repubblica portoghese e del Regno di Spagna che si sono astenuti nonché della Repubblica di Malta che non ha votato. Non ha votato neppure il Regno del Marocco.

163.

Più contestata, la risoluzione 3458 B (XXX) è stata approvata soltanto da 56 Stati, mentre 42 Stati hanno votato in senso contrario, 34 si sono astenuti e 12 non hanno votato. Solo 11 degli Stati membri attuali dell’Unione hanno votato a favore di tale risoluzione ( 128 ), 10 hanno votato in senso contrario ( 129 ), 6 si sono astenuti ( 130 ) e uno non ha votato ( 131 ). Il Regno del Marocco ha votato a favore.

164.

Malgrado le loro divergenze, le due risoluzioni «ribadisc[ono] il diritto inalienabile del popolo del Sahara [occidentale] all’autodeterminazione» ( 132 ) conformemente alla risoluzione 1514 (XV) dell’Assemblea generale dell’ONU e convergono sul fatto che tale diritto debba essere esercitato liberamente ( 133 ).

165.

Inoltre, la risoluzione 3458 A (XXX) prevede che il diritto all’autodeterminazione debba essere esercitato «sotto la supervisione dell’[ONU]» e «[i]nvita il Segretario generale, che agisce di concerto con il [g]overno spagnolo, quale [p]otenza amministratrice, (…) ad adottare le disposizioni necessarie per la supervisione dell’atto di autodeterminazione» ( 134 ).

166.

Nella stessa ottica, la risoluzione 3458 B (XXX) prevede l’esercizio, da parte del popolo del Sahara occidentale, del suo diritto all’autodeterminazione «mediante una libera consultazione organizzata con l’assistenza di un rappresentante dell’[ONU] designato dal Segretario generale» ( 135 ).

167.

Sin dalla fine del 1975 il Regno di Spagna ha avviato il ritiro della propria amministrazione dal Sahara occidentale. Mentre le truppe spagnole si ritiravano, le forze marocchine e mauritane penetravano nel territorio del Sahara occidentale. In determinati luoghi sono avvenuti scontri armati fra le loro truppe e quelle del Front populaire pour la libération de la saguia‑el‑hamra et du rio de oro (Front Polisario) ( 136 ).

168.

Nel corso di una conferenza stampa nel febbraio 1976, il sig. Olof Rydbeck, ambasciatore svedese presso l’ONU e inviato speciale del Segretario generale dell’ONU per il Sahara occidentale, ha dichiarato che «così com’[era], la situazione militare [nel Sahara occidentale] rende[va] un’utile consultazione dei Saharawi assai difficile, se non addirittura impossibile» ( 137 ).

169.

Con il suo memorandum del 25 febbraio 1976, inviato al Segretario generale dell’ONU, il Regno di Spagna ha informato quest’ultimo di aver deciso di porre fine, in via definitiva, alla sua presenza nel Sahara occidentale il giorno seguente (26 febbraio 1976) e che era stata convocata per quel giorno una seduta della Djemââ, nel corso della quale il governatore spagnolo, che agiva in qualità di membro dell’amministrazione provvisoria, avrebbe informato l’assemblea di tale decisione ( 138 ).

170.

Il 26 febbraio 1976 il Regno di Spagna ha posto fine, in via definitiva, alla sua presenza nel territorio del Sahara occidentale e, con lettera recante la data di quel giorno inviata al Segretario generale dell’ONU, si è dichiarato «libero da qualsiasi responsabilità di carattere internazionale riguardo all’amministrazione [del Sahara occidentale] cessando di partecipare all’amministrazione provvisoria ivi istituita» ( 139 ) e ha affermato che «[l]a decolonizzazione del Sahara occidentale sarà completata quando la popolazione saharawi avrà potuto far conoscere validamente le proprie opinioni» ( 140 ).

171.

Lo stesso giorno, nonostante il suo scioglimento deciso da 67 dei suoi membri, la Djemââ ha approvato «[la] reintegrazione [del Sahara occidentale] nel territorio del Marocco e della Mauritania» e ha così «espr[esso] l’opinione unanime delle popolazioni saharawi e di tutte le tribù di cui essa è emanazione nonché rappresentante autentico e legittimo» ( 141 ). Dal punto di vista del Regno del Marocco, tale decisione costituisce la concretizzazione della disposizione dell’accordo di Madrid secondo la quale «[l]’opinione della popolazione saharawi, espressa tramite la Djemââ, sarà rispettata».

172.

Per quanto riguarda tale riunione della Djemââ, né il Regno di Spagna né l’ONU l’hanno riconosciuta come esercizio del diritto del popolo del Sahara occidentale all’autodeterminazione, conforme alle risoluzioni 3458 A e B (XXX) dell’Assemblea generale dell’ONU ( 142 ).

173.

Secondo il memorandum del 25 febbraio 1975, che il Regno di Spagna ha inviato al Segretario generale dell’ONU, «tale seduta non [fungerà] da consultazione popolare quale prevista negli accordi di Madrid del 14 novembre 1975 e nella risoluzione 3458 B (XXX) dell’Assemblea generale, a meno che non siano soddisfatte le necessarie condizioni, ivi compresa, in particolare, la presenza di un rappresentante dell’[ONU] nominato dal [Segretario generale] conformemente al paragrafo 4 della risoluzione summenzionata» ( 143 ).

174.

Nella sua risposta al memorandum del 25 febbraio 1975 del Regno di Spagna, il Segretario generale dell’ONU ha ricordato i paragrafi 7 e 8 della risoluzione 3458 A (XXX) nonché il paragrafo 4 della risoluzione 3458 B (XXX) e ha concluso come segue:

«Risulta, in base ai paragrafi succitati, che né il [g]overno spagnolo, nella sua qualità di [p]otenza amministratrice, né l’amministrazione ad interim, di cui [il Regno di] Spagna è membro, hanno adottato le misure necessarie per garantire alle popolazioni del Sahara occidentale l’esercizio del diritto all’autodeterminazione. Pertanto, sebbene il tempo a disposizione fosse stato sufficiente e fossero stati forniti i chiarimenti necessari riguardo alla riunione della Djemââ di cui, secondo quanto da voi comunicatomi ieri, il vostro governo non era a conoscenza, la presenza a tale riunione di un rappresentante dell’[ONU] da me nominato non costituirebbe di per sé un’applicazione delle risoluzioni dell’Assemblea generale summenzionate» ( 144 ).

175.

Il 14 aprile 1976 il Regno del Marocco ha concluso con la Repubblica islamica di Mauritania un trattato di ripartizione del territorio del Sahara occidentale ( 145 ) e ha annesso formalmente le province ad esso assegnate da tale trattato ( 146 ).

176.

Nel frattempo, in tale regione, era esploso un conflitto armato tra il Regno del Marocco, la Repubblica islamica di Mauritania e il Front Polisario.

177.

Nel maggio 1979 la Repubblica islamica di Mauritania ha comunicato al Segretario generale dell’ONU di essere disposta ad applicare le disposizioni delle risoluzioni 3458 A (XXX) e 3458 B (XXX) dell’Assemblea generale dell’ONU e a studiare le vie e i mezzi per pervenire all’esercizio del diritto all’autodeterminazione nel Sahara occidentale ( 147 ). Tuttavia, «[d]al luglio 1978 il [g]overno marocchino [aveva] dichiarato più volte che non avrebbe ceduto alcuna delle “province sahariane recuperate” e che non avrebbe accettato la creazione di un mini Stato controllato dal Front [Polisario] nel settore mauritano del Sahara occidentale» ( 148 ).

178.

Il 10 agosto 1979 la Repubblica islamica di Mauritania ha concluso un accordo di pace con il Front Polisario, in forza del quale ha rinunciato a qualsiasi rivendicazione territoriale sul Sahara occidentale ( 149 ). Il Regno del Marocco ha assunto immediatamente il controllo del territorio evacuato dalle forze mauritane ( 150 ) e ha provveduto alla sua annessione ( 151 ).

179.

Il 21 novembre 1979 l’Assemblea generale dell’ONU ha adottato la risoluzione 34/37 sulla questione del Sahara occidentale, nella quale essa ha «[r]iafferma[to] il diritto inalienabile del popolo del Sahara occidentale all’autodeterminazione e all’indipendenza, conformemente alla Carta dell’[ONU] (…) e agli obiettivi della [sua] risoluzione 1514 (XV)», essa ha «[d]eplor[ato] vivamente l’aggravarsi della situazione derivante dalla persistenza dell’occupazione del Sahara occidentale da parte del Marocco», ha «esorta[to] il Marocco ad impegnarsi a sua volta nel processo di pace e a porre fine all’occupazione del territorio del Sahara occidentale» e ha «[r]accomand[ato] a tal fine che il [Front Polisario], rappresentante del popolo del Sahara occidentale, partecip[asse] pienamente ad ogni ricerca di una soluzione politica equa, duratura e definitiva della questione del Sahara occidentale, conformemente alle risoluzioni e dichiarazioni dell’[ONU]» ( 152 ).

180.

Il conflitto armato tra il Regno del Marocco e il Front Polisario è proseguito fino a che, il 30 agosto 1988, entrambe le parti hanno accettato in via di principio talune proposte di accordo formulate, segnatamente, dal Segretario generale dell’ONU, che prevedevano, in particolare, la proclamazione di un cessate il fuoco, nonché l’organizzazione di un referendum di autodeterminazione sotto il controllo dell’ONU ( 153 ).

181.

Da allora non è stato registrato alcun progresso diretto a consentire al popolo Sahara occidentale di esercitare il suo diritto all’autodeterminazione. Come ha rilevato il Segretario generale dell’ONU nella sua ultima relazione sul Sahara occidentale, «[l]a difficoltà [nella ricerca di una soluzione] deriva essenzialmente dalla divergenza di opinioni e di interpretazione tra le parti riguardo alla storia del conflitto e ai documenti ad essa relativi. Il Marocco sostiene che il Sahara occidentale fa già parte del territorio nazionale e che i negoziati possono riguardare soltanto la sua proposta di statuto autonomo sotto la sovranità marocchina, fermo restando che l’Algeria deve prendere parte a tali negoziati. Il Front Polisario sostiene che, poiché l’Assemblea generale ha definito il Sahara occidentale un territorio non autonomo, spetta alla popolazione autoctona decidere sul suo futuro nell’ambito di un referendum in cui l’indipendenza costituirebbe una possibile scelta, che tutte le proposte e idee presentate da una qualsiasi delle parti devono essere oggetto di discussione e che solo il Marocco ed esso stesso devono partecipare ai negoziati» ( 154 ).

182.

Da tutti questi fatti deriva che, anziché avere la possibilità di esercitare il suo diritto all’autodeterminazione secondo le indicazioni fornite dalla Corte internazionale di giustizia nel suo parere consultivo sul Sahara occidentale ( 155 ), il popolo del Sahara occidentale è stato privato finora dell’opportunità stessa di esercitare tale diritto alle condizioni previste dalle risoluzioni 1514 (XV), 1541 (XV), 2625 (XXV) et 3458 A e B (XXX) dell’Assemblea generale dell’ONU, mediante una serie di misure che hanno portato alla ripartizione del territorio del Sahara occidentale nel 1976 e alla sua annessione nel 1976 e nel 1979. Il fatto che alcune di queste misure siano imputabili a più Stati non sminuisce in alcun modo l’esistenza e la gravità della violazione del diritto di tale popolo all’autodeterminazione.

183.

Inoltre, mentre tali risoluzioni prevedono che il diritto all’autodeterminazione implichi una libera scelta fra tre opzioni ( 156 ), tra cui l’indipendenza ( 157 ), l’associazione con un altro Stato indipendente e l’integrazione in uno Stato indipendente, nonché l’organizzazione di un referendum ( 158 ) (invece di una consultazione della Djemââ), il Regno del Marocco ha provveduto all’integrazione del Sahara occidentale nel suo territorio mediante ripartizione e annessione, senza consultazione con il popolo del Sahara occidentale e senza la supervisione dell’ONU.

184.

In tal senso, la prestazione di un giuramento di fedeltà al re del Marocco, pronunciato in nome delle tribù saharawi dal presidente della Djemââ, il 4 novembre 1975, e la riunione della Djemââ del 26 febbraio 1976, non riconosciute dall’ONU e dal Regno di Spagna quale potenza amministratrice del Sahara occidentale e membro dell’amministrazione ad interim di quest’ultimo, non si configurano come consultazione del popolo del Sahara occidentale sull’autodeterminazione richiesta dalle risoluzioni 1514 (XV), 1541 (XV), 2625 (XXV) e 3458 A e B (XXX) dell’Assemblea generale dell’ONU.

185.

Risulta da quanto precede che il Sahara occidentale è stato integrato nel Regno del Marocco senza che il popolo di tale territorio abbia espresso liberamente la propria volontà al riguardo. Poiché l’accordo di pesca e il protocollo del 2013 sono stati conclusi dal Regno del Marocco in base all’integrazione unilaterale del Sahara occidentale nel suo territorio e all’affermazione della sua sovranità su tale territorio, è evidente che il popolo del Sahara occidentale non ha disposto liberamente delle proprie risorse naturali, come imposto dall’articolo 1 comune al PIDESC e al PIDCP, dal paragrafo 2 della risoluzione 1514 (XV) dell’Assemblea generale dell’ONU e dal titolo VII dell’Atto finale di Helsinki del 1975.

186.

Pertanto, lo sfruttamento alieutico delle acque adiacenti al Sahara occidentale istituito e attuato dagli atti contestati non rispetta il diritto del popolo di tale territorio all’autodeterminazione ( 159 ).

2) Sull’obbligo di non riconoscere una situazione illecita derivante dalla violazione del diritto del popolo del Sahara occidentale all’autodeterminazione e di non prestare aiuto o assistenza al mantenimento di tale situazione

187.

Anche se la Corte dichiarasse che gli atti contestati non violano di per sé il diritto del popolo del Sahara occidentale all’autodeterminazione e che la violazione di tale diritto non è imputabile all’Unione ma esclusivamente al Regno del Marocco, resterebbe comunque il fatto che gli atti contestati non rispetterebbero l’obbligo dell’Unione di non riconoscere una situazione illecita derivante dalla violazione del diritto del popolo del Sahara occidentale all’autodeterminazione e di non prestare aiuto o assistenza al mantenimento di tale situazione ( 160 ).

188.

Come emerge dal loro dettato, l’accordo di pesca e il protocollo del 2013 riguardano il Sahara occidentale e le acque ad esso adiacenti come un accordo esclusivamente applicabile al territorio riconosciuto quale territorio sovrano del Regno del Marocco da parte della comunità internazionale.

189.

Occorre sottolineare al riguardo che, come ha dichiarato la Corte permanente di giustizia internazionale, «la facoltà di assumere impegni a livello internazionale è proprio una prerogativa della sovranità dello Stato» ( 161 ) sul territorio oggetto di tali impegni.

190.

Ciò vale anche per gli accordi internazionali riguardanti il mare. Infatti, secondo una giurisprudenza costante della Corte internazionale di giustizia, «i diritti sul mare derivano dalla sovranità dello Stato costiero sulla terra, principio che può essere sintetizzato come segue: “la terra domina il mare” (…) È quindi la situazione territoriale terrestre che si deve prendere come punto di partenza per stabilire i diritti di uno Stato costiero in mare» ( 162 ).

191.

Sempre secondo la Corte internazionale di giustizia, «[è] accertato che “[i]l titolo di uno Stato sulla zona economica esclusiva è basato sul principio secondo il quale la terra domina il mare attraverso la proiezione delle coste e dei fronti costieri” (…). Secondo quanto espresso dalla Corte (…), “la terra è la fonte giuridica del potere che uno Stato può esercitare sulle estensioni del suo territorio verso il mare” (…)» ( 163 ).

192.

Se, quindi, la terra domina il mare, non vi è dubbio che, come sostiene la Comader, il Regno del Marocco abbia concluso l’accordo di pesca ritenendo di avere la sovranità sul Sahara occidentale, con i diritti e gli obblighi sulle acque adiacenti a tale territorio che il diritto internazionale conferisce allo Stato costiero ( 164 ). Infatti, come ha proclamato il re Mohammed VI in occasione del 39° anniversario della marcia verde, «dico no al tentativo di modificare la natura di tale conflitto regionale presentandolo come un caso di decolonizzazione. Infatti, il Marocco nel suo Sahara, non è mai stato una potenza occupante o una potenza amministratrice. Esso esercita piuttosto le prerogative della sovranità sul proprio territorio» ( 165 ).

193.

Pertanto, va respinto l’argomento del Consiglio e della Commissione secondo il quale, nel fare riferimento alle «acque soggette alla sovranità o alla giurisdizione del Regno del Marocco», gli atti contestati non contengono alcun riconoscimento della pretesa di sovranità del Regno del Marocco sul territorio del Sahara occidentale e della sovranità o della giurisdizione che tale Stato pretende di esercitare sulle acque adiacenti a tale territorio.

194.

In primo luogo, la negoziazione e la conclusione con il Regno del Marocco di un accordo internazionale applicabile al Sahara occidentale e alle acque ad esso adiacenti costituiscono di per sé un riconoscimento de iure dell’integrazione ( 166 ) del Sahara occidentale nel Regno del Marocco mediante l’annessione operata nel 1976 e nel 1979, il che implica il riconoscimento della sua sovranità sul territorio, sulle acque interne e sul mare territoriale del Sahara occidentale, nonché dei diritti sovrani e della giurisdizione che il diritto internazionale conferisce allo Stato costiero sulle zone marittime situate al di là del mare territoriale.

195.

Ricordo che, nella causa relativa Timor Est, tra la Repubblica portoghese (quale potenza amministratrice espulsa da Timor Est dalla Repubblica d’Indonesia) e il Commonwealth d’Australia (quale paese terzo che aveva concluso con la Repubblica d’Indonesia un accordo internazionale applicabile a Timor Est), il Commonwealth d’Australia aveva ritenuto che l’inizio dei negoziati per la conclusione del trattato del 1989 sul Timor Gap «significa[sse] il riconoscimento de iure, da parte dell’Australia, dell’integrazione di Timor Est nel territorio dell’Indonesia» ( 167 ).

196.

Il fatto che un accordo di pesca applicabile in un territorio e nelle sue zone marittime possa costituire la prova di un riconoscimento di sovranità è dimostrato dalla storia stessa del Sahara occidentale. Ricordo al riguardo che il Regno del Marocco aveva fornito quale prova della sua sovranità sul Sahara occidentale gli accordi internazionali conclusi con vari Stati, tra i quali, in particolare, alcuni accordi di commercio e di pesca conclusi con il Regno di Spagna dal 1767 ( 168 ).

197.

Orbene, come ha dichiarato la Corte internazionale di giustizia, l’annessione di un territorio il cui popolo beneficia del diritto all’autodeterminazione, sebbene tale popolo non abbia ancora esercitato tale diritto, costituisce una violazione dell’obbligo di rispettare tale diritto ( 169 ). Pertanto, i terzi violano il loro obbligo di non riconoscere una situazione illecita derivante dalla violazione di detto diritto quando riconoscono de iure, mediante la conclusione di un accordo internazionale, l’annessione di siffatto territorio.

198.

In secondo luogo, i termini «acque soggette alla sovranità o alla giurisdizione del Regno del Marocco» non sono sufficienti per escludere il riconoscimento de iure della sovranità del Regno del Marocco sul Sahara occidentale, per due ragioni principali.

199.

La prima è che l’accordo di pesca e il protocollo del 2013 non sono applicabili unicamente alle acque adiacenti al Sahara occidentale ma anche al suo territorio ( 170 ). In tal senso, l’uso dei termini «acque soggette alla sovranità o alla giurisdizione del Regno del Marocco» non può escludere il riconoscimento de iure della sovranità del Regno del Marocco sul territorio del Sahara occidentale, e quindi la violazione del diritto del popolo di tale territorio all’autodeterminazione.

200.

La seconda ragione riguarda l’applicazione dell’accordo di pesca e del protocollo del 2013 alle acque adiacenti al Sahara occidentale. Contrariamente a quanto sostiene la Commissione, l’espressione «acque soggette alla giurisdizione marocchina» ( 171 ), ripresa dagli accordi di pesca conclusi tra il Regno di Spagna e il Regno del Marocco prima dell’adesione del Regno di Spagna all’Unione, non consente di individuare le acque adiacenti al Sahara occidentale senza riconoscere i diritti sovrani e la giurisdizione che il Regno del Marocco pretende di esercitare su tali acque quale Stato costiero ( 172 ). Al pari del principio secondo il quale la terra domina il mare, il riconoscimento della sovranità sulla terra implica il riconoscimento di diritti sovrani sul mare e viceversa.

201.

A tal riguardo, occorre sottolineare che gli accordi di pesca conclusi dal Regno di Spagna e dal Regno del Marocco risalgono a una data precedente alla ratifica della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, conclusa a Montego Bay il 10 dicembre 1982 ( 173 ), (in prosieguo: l’«UNCLOS») dall’Unione ( 174 ), dai suoi Stati membri e dal Regno del Marocco, mentre l’accordo di pesca di cui trattasi nella causa in esame è stato firmato e ratificato sotto la vigenza di tale convenzione che «prevale, tra gli Stati parti, sulle Convenzioni di Ginevra del 29 aprile 1958 sul diritto del mare» ( 175 ).

202.

La Convenzione sulla pesca e la conservazione delle risorse biologiche dell’alto mare e la convenzione sull’alto mare, firmate a Ginevra il 29 aprile 1958, non prevedevano il diritto degli Stati di istituire una zona economica esclusiva (ZEE), ma l’articolo 2 di quest’ultima convenzione disponeva che nessuno Stato avrebbe potuto pretendere di sottomettere l’alto mare alla sua sovranità e che la libertà dell’alto mare comportava la libertà di pesca. Inoltre, secondo l’articolo 6 di tale convenzione, le navi in alto mare si trovavano sotto la giurisdizione esclusiva dello Stato di cui battevano bandiera.

203.

Tale contesto giuridico, nel quale i termini «acque soggette alla giurisdizione marocchina» («aguas bajo juridicció marroquí») avevano ragion d’essere, non solo non esiste più tra l’Unione e il Regno del Marocco, ma è stato sostituito dall’UNCLOS. La locuzione «acque soggette alla sovranità o alla giurisdizione del Regno del Marocco» deve essere quindi valutata alla luce del regime giuridico istituito dall’UNCLOS che ha sancito, nel diritto internazionale, la nozione di ZEE, già esistente nella prassi degli Stati.

204.

Tale interpretazione dell’accordo di pesca alla luce dell’UNCLOS è confermata sia dal considerando 2 dell’accordo di pesca ( 176 ) che dall’articolo 5, paragrafo 4, di tale accordo, che fa riferimento alla normativa marocchina «che disciplina la pesca nelle acque soggette alla giurisdizione del Marocco, conformemente all’[UNCLOS]».

205.

Orbene, secondo l’UNCLOS, le acque interne di uno Stato e il suo mare territoriale costituiscono le acque soggette alla sua sovranità ( 177 ), mentre la ZEE rientra «[nel]la giurisdizione» dello Stato costiero ( 178 ). In tal senso, la prima parte della frase utilizzata dagli atti contestati «acque soggette alla sovranità e alla giurisdizione del Regno del Marocco» riguarda le acque interne e il mare territoriale del Regno del Marocco (acque soggette alla sua sovranità), mentre la seconda si riferisce la sua ZEE (acque soggette alla sua giurisdizione).

206.

Tuttavia, come ammette la Commissione al punto 14 delle sue risposte ai quesiti scritti posti dalla Corte, contrariamente alla ZEE istituita dalla Repubblica democratica araba dei Saharawi (entità non riconosciuta dall’Unione e dai suoi Stati membri), l’attuale ZEE marocchina, istituita nel 1981 ancor prima della ratifica dell’UNCLOS dal Regno del Marocco, non comprende le acque adiacenti al Sahara occidentale cui si riferiscono le zone di pesca dalla n. 3 alla n. 6 dell’accordo di pesca ( 179 ), ragion per cui il consiglio di governo del Regno del Marocco ha del resto adottato, il 6 luglio 2017, il progetto di legge n. 38‑17 che modifica e integra la legge n. 1‑18 che istituisce una zona economica esclusiva di 200 miglia marine al largo delle coste del Marocco e del Sahara occidentale ( 180 ).

207.

In tali circostanze, la pesca «nelle acque soggette alla giurisdizione del Marocco, in conformità [dell’UNCLOS]» ( 181 ) dovrebbe fermarsi al parallelo 27°42’N, che funge sia da limite esterno dell’attuale ZEE marocchina ( 182 ) che da frontiera tra il Regno del Marocco e il Sahara occidentale ( 183 ). Orbene, le zone di pesca dal n. 3 al n. 6 comprendono sostanzialmente le acque a sud di tale frontiera, adiacenti al Sahara occidentale.

208.

Come ammette la Commissione, la pesca in una ZEE è un diritto sovrano dello Stato costiero ( 184 ). Pertanto, concludendo l’accordo di pesca riguardante le acque che costituirebbero la ZEE del Sahara occidentale, l’Unione riconosce de iure che il Regno del Marocco esercita in tali acque un diritto sovrano.

209.

Infine, contrariamente a quanto rileva la Commissione, i termini «acque soggette alla giurisdizione» e «acque soggette alla sovranità e alla giurisdizione» non sono propri degli atti contestati, il che consentirebbe di ritenere che essi riguardino la situazione particolare del Sahara occidentale. Al contrario, si tratta di definizioni classiche dell’ambito di applicazione degli accordi di pesca conclusi dall’Unione ( 185 ) e, in tal senso, essi riguardano sia le acque interne e il mare territoriale del paese terzo (acque soggette alla sua sovranità) che la sua ZEE (acque soggette alla sua giurisdizione).

210.

Pertanto, contrariamente a quanto sostengono il Consiglio e la Commissione, l’uso dell’espressione «acque soggette alla sovranità o alla giurisdizione del Regno del Marocco» costituisce un riconoscimento dell’esercizio di diritti sovrani da parte del Regno del Marocco sul Sahara occidentale e sulle acque ad esso adiacenti. Tale riconoscimento sarà ancor più evidente al momento dell’entrata in vigore del progetto di legge n. 38‑17 con il quale il Regno del Marocco istituirà una ZEE sulle acque adiacenti al Sahara occidentale.

211.

Inoltre, con gli atti contestati, l’Unione ha prestato aiuto e assistenza al mantenimento della situazione illecita derivante dalla violazione del diritto del popolo del Sahara occidentale all’autodeterminazione. Tale aiuto assume la forma di benefici economici (in particolare la contropartita finanziaria), conferiti al Regno del Marocco dall’accordo di pesca e dal protocollo del 2013 ( 186 ).

212.

Dato che l’affermazione della sovranità marocchina sul Sahara occidentale è il risultato di una violazione del diritto del popolo di tale territorio all’autodeterminazione per le ragioni menzionate ai paragrafi da 147 a 186 delle presenti conclusioni, l’Unione è venuta meno al proprio obbligo di non riconoscere la situazione illecita derivante dalla violazione del diritto del popolo del Sahara occidentale all’autodeterminazione da parte del Regno del Marocco, nonché all’obbligo di non prestare aiuto o assistenza al mantenimento di tale situazione ( 187 ). Pertanto, nei limiti in cui siano applicabili al territorio del Sahara occidentale e alle acque ad esso adiacenti, l’accordo di pesca e il protocollo del 2013 sono incompatibili con l’articolo 3, paragrafo 5, TUE, l’articolo 21, paragrafo 1, primo comma, TUE, l’articolo 21, paragrafo 2, lettere b) e c), TUE, e gli articoli 23 TUE e 205 TFUE, che impongono all’Unione l’obbligo di garantire che la sua azione esterna protegga i diritti dell’uomo e rispetti rigorosamente il diritto internazionale.

213.

Il regolamento n. 764/2006, la decisione 2013/785 e il regolamento n. 1270/2013 sono quindi contrari all’articolo 3, paragrafo 5, TUE, all’articolo 21, paragrafo 1, primo comma, TUE, all’articolo 21, paragrafo 2, lettere b) e c), TUE, e agli articoli 23 TUE e 205 TFUE, in quanto approvano e attuano l’applicazione dell’accordo di pesca e del protocollo del 2013 al territorio del Sahara occidentale e alle acque adiacenti.

3) Gli accordi internazionali applicabili al Sahara occidentale sarebbero stati conclusi con il Regno del Marocco in base a un titolo diverso dalla sua affermazione di sovranità su tale territorio?

214.

L’analisi che precede è fondata sull’affermazione, da parte del Regno del Marocco, della sua sovranità sul Sahara occidentale, che gli avrebbe consentito di concludere con l’Unione l’accordo di pesca e il protocollo del 2013.

215.

Tuttavia, come ha dichiarato la Comader in udienza, a prescindere dalla posizione del Regno del Marocco su tale questione, quest’ultimo accetta che la posizione dell’Unione e dei suoi Stati membri possa essere diversa.

216.

Analizzerò pertanto la questione se la conclusione dell’accordo di pesca e del protocollo del 2013 possa essere giustificata in base a un altro titolo di cui il Regno del Marocco potrebbe disporre riguardo al Sahara occidentale, che gli conferirebbe ciò che la Commissione ha definito, in udienza, il «potere di concludere trattati» (treaty‑making power) che vincolano il territorio non autonomo del Sahara occidentale.

217.

A tal riguardo, il governo francese, la Commissione e il Consiglio sostengono che il Regno del Marocco è la «potenza amministratrice de facto» del Sahara occidentale, il che consentirebbe la conclusione di accordi internazionali applicabili al Sahara occidentale e alle acque ad esso adiacenti senza violazione del diritto del suo popolo all’autodeterminazione.

218.

Per contro, la WSC sostiene che, essendo la potenza occupante del Sahara occidentale ( 188 ), il Regno del Marocco non può concludere alcun accordo internazionale applicabile al Sahara occidentale e alle acque ad esso adiacenti.

219.

I governi spagnolo e portoghese non hanno preso posizione su tale questione, in quanto il governo spagnolo si limita ad affermare che il Regno del Marocco non è la potenza occupante del Sahara occidentale, senza tuttavia precisare in quale veste tale Stato potrebbe concludere accordi internazionali applicabili a tale territorio e alle acque ad esso adiacenti.

220.

Tale questione dell’esistenza, nel diritto internazionale, di una base giuridica che consenta all’Unione di concludere con il Regno del Marocco accordi internazionali applicabili al Sahara occidentale e alle acque ad esso adiacenti è una questione di interpretazione del diritto internazionale alla quale non sono applicabili le condizioni di invocabilità del diritto internazionale.

(i) Il Regno del Marocco quale potenza amministratrice de facto del Sahara occidentale

221.

A mio avviso, si deve respingere la tesi del governo francese, del Consiglio e della Commissione, secondo la quale il Regno del Marocco è la «potenza amministratrice de facto» del Sahara occidentale. Occorre sottolineare che né il governo spagnolo né il governo portoghese hanno adottato tale espressione.

222.

Dal testo dell’articolo 73 della Carta delle Nazioni Unite risulta che, con la nozione di «potenza amministratrice», si intendono «[i] [m]embri delle Nazioni Unite, i quali abbiano od assumano la responsabilità dell’amministrazione di territori [non autonomi]». Il Regno del Marocco non aveva la responsabilità dell’amministrazione del Sahara occidentale al momento della sua adesione all’ONU nel 1956 e non ha mai assunto siffatta responsabilità in quanto ritiene di avere la sovranità su tale territorio ( 189 ).

223.

Peraltro, la nozione di «potenza amministratrice de facto» non esiste nel diritto internazionale ed è stata utilizzata per la prima volta dalla Commissione nella risposta fornita in suo nome dall’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, vicepresidente della Commissione, sig.ra Catherine Ashton, alle interrogazioni parlamentari recanti i numeri di riferimento E‑001004/11, P‑001023/11 e E‑002315/11 ( 190 ).

224.

Infatti, il Consiglio e la Commissione non sono riuscite a fornire un solo ulteriore esempio in cui tale espressione sia stata utilizzata per descrivere la relazione tra uno Stato e un territorio non autonomo. Occorre sottolineare al riguardo che, nel caso contemporaneo e assai simile dell’annessione di Timor Est da parte della Repubblica d’Indonesia, l’espressione «potenza amministratrice de facto» non è stata utilizzata per descrivere la qualità di tale Stato nei suoi rapporti con Timor Est. Al contrario, la Corte internazionale di giustizia ha qualificato come occupazione l’intervento militare della Repubblica d’Indonesia a Timor Est ( 191 ).

225.

Neppure il fatto che, con l’accordo di Madrid, il Regno del Marocco sia divenuto membro dell’amministrazione ad interim del Sahara occidentale potrebbe conferirgli lo status di potenza amministratrice atta a concludere accordi internazionali applicabili al Sahara occidentale senza violare il diritto del popolo di tale territorio all’autodeterminazione. Infatti, da un lato, la legittimità dell’accordo di Madrid è fortemente contestata ( 192 ), il che è confermato dal fatto che la risoluzione 3458 B (XXX), che prende atto di detto accordo, è stata approvata solo da 56 Stati, mentre vari Stati membri dell’Unione hanno votato in senso contrario o si sono astenuti ( 193 ). D’altro lato, come emerge dal paragrafo 4 della risoluzione 3458 B (XXX), l’Assemblea generale dell’ONU ha preso atto dell’accordo di Madrid e dell’esistenza dell’amministrazione ad interim solo nei limiti in cui si riteneva che tale amministrazione adottasse ogni misura necessaria per consentire al popolo del Sahara occidentale di esercitare il suo diritto all’autodeterminazione. In tal senso, anche gli Stati che hanno votato a favore di tale risoluzione, tra i quali in particolare gli Stati Uniti, non riconoscono al Regno del Marocco la qualità di potenza amministratrice, ma riconoscono il fatto che il Regno del Marocco abbia posto il Sahara occidentale sotto il suo «controllo amministrativo» (administrative control) ( 194 ). In tale contesto, la conclusione degli accordi internazionali, e tanto più degli accordi di sfruttamento delle risorse naturali del Sahara occidentale come l’accordo di pesca, supera ampiamente l’interpretazione, anche la più estensiva, che si potrebbe attribuire al mandato conferito all’amministrazione ad interim del Sahara occidentale di cui il Regno del Marocco era membro.

226.

In ogni caso, spetta unicamente all’Assemblea generale dell’ONU riconoscere un territorio come non autonomo e, pertanto, individuare la sua potenza amministratrice ( 195 ).

227.

I due esempi forniti dalla Commissione e riguardanti le isole Cocos (Keeling) e la Nuova Guinea occidentale ( 196 ) confermano tale ruolo privilegiato dell’Assemblea generale dell’ONU. Nel caso delle isole Cocos (Keeling), il Regno Unito aveva rimosso tali isole dalla colonia di Singapore e le aveva poste sotto l’autorità del Commonwealth d’Australia ( 197 ). Anche se l’Assemblea generale dell’ONU non aveva concesso un’autorizzazione preventiva a tale trasferimento, il Commonwealth d’Australia ha continuato la prassi del Regno Unito consistente nel fornire all’ONU le informazioni previste all’articolo 73, lettera e), della Carta della Nazioni Unite a decorrere dal 1957 ( 198 ), e l’Assemblea generale ha approvato tale trasferimento successivamente, includendo il Commonwealth d’Australia, quale potenza amministratrice delle isole Cocos (Keeling), nel suo elenco dei territori non autonomi ( 199 ).

228.

Per quanto riguarda la Nuova Guinea occidentale, la cui potenza amministratrice era il Regno dei Paesi Bassi, contrariamente a quanto eccepisce la Commissione, il trasferimento di tale territorio dal Regno dei Paesi Bassi all’Autorità esecutiva temporanea delle Nazioni Unite, e da quest’ultima alla Repubblica d’Indonesia, è stato effettuato mediante un trattato internazionale entrato in vigore soltanto dopo la sua approvazione da parte dell’Assemblea generale dell’ONU ( 200 ).

229.

Nella fattispecie, mentre il Sahara occidentale è stato riconosciuto sin dal 1960, dall’Assemblea generale dell’ONU, come territorio non autonomo ( 201 ), quest’ultima non ha mai riconosciuto la qualità di potenza amministratrice (de iure o de facto) al Regno del Marocco e, addirittura, continua ancor oggi a includere il Regno di Spagna in quanto tale nel suo elenco dei territori non autonomi e delle potenze amministratrici ( 202 ).

230.

Tale conclusione è suffragata dalla lettera del 29 gennaio 2002, inviata al presidente del Consiglio di sicurezza dal Segretario generale aggiunto agli affari giuridici, consigliere giuridico, Hans Corell, secondo la quale, «[l]’[a]ccordo di Madrid non prevedeva alcun trasferimento di sovranità sul territorio né conferiva ad alcuno dei firmatari lo status di potenza amministratrice, status che la Spagna non poteva del resto trasferire unilateralmente» ( 203 ). Inoltre, anche se ha osservato che «il Marocco amministra da solo il territorio del Sahara occidentale dal [1976]», fatto, questo, incontestabile, il consigliere giuridico ha aggiunto che «[t]uttavia, il Marocco non è incluso, quale potenza amministratrice del territorio, nell’elenco dei territori non autonomi dell’ONU, [e pertanto,] non trasmette informazioni sul territorio in forza dell’[a]rticolo 73, comma e), della Carta delle Nazioni Unite» ( 204 ).

231.

Per il resto, il Segretario generale aggiunto agli affari giuridici ha analizzato per analogia la legittimità delle decisioni che sarebbero state adottate dalle autorità marocchine riguardo all’offerta e alla sottoscrizione di contratti di prospezione delle risorse minerarie del Sahara occidentale stipulati con società private estere, in base ai principi applicabili ai poteri e alle responsabilità delle potenze amministratrici sulle attività riguardanti le risorse minerarie dei territori non autonomi ( 205 ). Esso ha fondato tale analogia con il regime giuridico applicabile alle potenze amministratrici sull’idea che, dato che il Sahara occidentale è un territorio non autonomo e che tale regime esiste a beneficio del suo popolo, il Regno del Marocco dovrebbe far fronte, quantomeno, agli stessi obblighi di una potenza amministratrice.

232.

Tuttavia, tale lettera non potrebbe affatto fungere da base per fondare l’esistenza, nel diritto internazionale, della nozione di «potenza amministratrice de facto», in particolare per quanto riguarda la questione della conclusione degli accordi internazionali che, contrariamente alla sottoscrizione di contratti con società private, è «una prerogativa della sovranità» ( 206 ).

233.

Infine, va osservato che la capacità della potenza amministratrice di concludere accordi internazionali applicabili al territorio non autonomo e riguardanti elementi essenziali del diritto dei popoli, tra i quali il diritto all’autodeterminazione e il principio di sovranità permanente sulle risorse naturali, è limitata a partire dal momento in «[l’]attività [di un movimento di liberazione nazionale] ha assunto una portata internazionale» ( 207 ). Pertanto, anche se si riconoscesse al Regno del Marocco la qualità di potenza amministratrice, la sua capacità di concludere accordi internazionali applicabili al Sahara occidentale sarebbe stata «limitata» ( 208 ).

(ii) Il Regno del Marocco quale potenza occupante del Sahara occidentale

234.

Il giudice del rinvio e la WSC ritengono che il Regno del Marocco occupi il Sahara occidentale. Tuttavia, contrariamente al giudice del rinvio, la WSC ritiene che, quale potenza occupante, il Regno del Marocco non possa concludere, in nessun caso, con l’Unione un accordo internazionale applicabile al Sahara occidentale e alle acque ad esso adiacenti.

235.

Per quanto riguarda le istituzioni dell’Unione, esiste una notevole differenza tra le posizioni del Consiglio e della Commissione. Infatti, il Consiglio nega categoricamente l’applicazione al Sahara occidentale delle norme di diritto internazionale riguardanti le occupazioni militari, mentre la Commissione non la esclude sostenendo che i regimi giuridici applicabili alle potenze amministratrici e alle potenze occupanti non si escludono reciprocamente.

236.

Non condivido la tesi della WSC in quanto, a determinate condizioni, una potenza occupante può concludere accordi internazionali applicabili al territorio occupato. Ciò è quanto avviene nel caso di specie?

– Sull’applicabilità del diritto internazionale umanitario al Sahara occidentale

237.

Le disposizioni del diritto internazionale umanitario (o diritto dei conflitti armati) rilevanti ai fini dell’analisi seguente sono costituite dagli articoli 42 e 43 del regolamento dell’Aia del 1907, dagli articoli 2 e 64 della Convenzione IV di Ginevra, e dall’articolo 1, paragrafo 4, del primo protocollo addizionale, dell’8 giugno 1977, alle Convenzioni di Ginevra del 12 agosto 1949, relativo alla protezione delle vittime dei conflitti armati internazionali ( 209 ) (in prosieguo: il «protocollo addizionale I») ( 210 ).

238.

Va osservato anzitutto che, come ha dichiarato la Corte internazionale di giustizia, «[le norme fondamentali di diritto internazionale umanitario tra cui il regolamento dell’Aia del 1907] si impongono, del resto, a tutti gli Stati, a prescindere dalla ratifica o meno, da parte degli stessi, degli strumenti convenzionali che ne sono espressione, in quanto tali norme costituiscono principi inviolabili del diritto internazionale consuetudinario» ( 211 ) e «incorporano obblighi aventi per definizione natura erga omnes» ( 212 ).

239.

Infatti, ai sensi dell’articolo 1 della Convenzione IV di Ginevra, disposizione comune alle quattro convenzioni di Ginevra, «[l]e Alte Parti contraenti s’impegnano a rispettare e a far rispettare la presente Convenzione in ogni circostanza» ( 213 ).

240.

Secondo la Corte internazionale di giustizia, «[d]a tale disposizione risulta l’obbligo di ogni Stato parte di tale convenzione, che partecipi o meno a un determinato conflitto, di far rispettare le prescrizioni degli strumenti considerati» ( 214 ).

241.

In tal senso, conformemente all’articolo 3, paragrafo 5, TUE, agendo nella rigorosa osservanza del diritto internazionale, l’Unione ha l’obbligo di non riconoscere la situazione di illeceità derivante dalla violazione di tali norme e di non prestare aiuto o assistenza al mantenimento di tale situazione ( 215 ).

242.

La Convenzione IV di Ginevra è applicabile quando sono soddisfatte due condizioni, ossia l’esistenza di un conflitto armato (indipendentemente dal fatto che lo stato di guerra sia stato o meno riconosciuto) e l’insorgenza di tale conflitto tra due parti contraenti ( 216 ). Secondo la Corte internazionale di giustizia, «[i]l secondo comma dell’articolo 2 non ha lo scopo di limitare l’ambito di applicazione della convenzione come fissato dal primo comma, escludendo da tale ambito di applicazione i territori che non siano soggetti alla sovranità di una delle parti contraenti. Esso è diretto soltanto a precisare che, anche se l’occupazione effettuata nel corso del conflitto ha avuto luogo senza incontrare resistenze sul piano militare, la convenzione resta applicabile» ( 217 ).

243.

Inoltre, l’articolo 1, paragrafo 4, del protocollo addizionale I estende l’applicazione delle quattro Convenzioni di Ginevra del 1949 ai «conflitti armati nei quali i popoli lottano contro la dominazione coloniale e l’occupazione straniera (…) nell’esercizio del diritto dei popoli di disporre di sé stessi» ( 218 ). Ciò è quanto avviene nel caso del popolo del Sahara occidentale che non ha ancora esercitato tale diritto e si trova coinvolto in un processo di decolonizzazione ( 219 ).

244.

Risulta da quanto precede che il conflitto armato verificatosi nel Sahara occidentale tra il 1976 e il 1988 è un conflitto armato internazionale, il che rende il regolamento dell’Aia del 1907 applicabile al Sahara occidentale.

– Sull’esistenza di un’occupazione militare nel Sahara occidentale

245.

In tale contesto, occorre esaminare se la presenza del Regno del Marocco nel Sahara occidentale sia un’occupazione ai sensi dell’articolo 42 del regolamento dell’Aia del 1907, che l’Unione non può riconoscere o a cui non può prestare aiuto o assistenza. Secondo tale disposizione, «[u]n territorio è considerato come occupato quando si trovi posto di fatto sotto l’autorità dell’esercito nemico».

246.

A tal riguardo, occorre anzitutto sottolineare che l’esistenza di un’occupazione è una questione di fatto ( 220 ). Il giudice del rinvio nonché l’amministrazione tributaria e doganale e il Ministro per l’Ambiente, l’Alimentazione e gli Affari rurali ritengono che il Sahara occidentale si trovi sotto l’occupazione marocchina ( 221 ), il che è confermato dalla risoluzione 34/37 dell’Assemblea generale dell’ONU ( 222 ) alla quale ha fatto riferimento la Corte ai punti 35 e 105 della sentenza del 21 dicembre 2016, Consiglio/Front Polisario (C‑104/16 P, EU:C:2016:973).

247.

Inoltre, l’esistenza di un’occupazione marocchina nel Sahara occidentale è ampiamente riconosciuta ( 223 ), anche dal sig. Hans Corell ( 224 ) che, quale Segretario generale aggiunto agli affari giuridici dell’ONU e consigliere giuridico, aveva reso la consulenza giuridica sulla legittimità della decisione che avrebbero adottato le autorità marocchine di stipulare con società estere contratti di prospezione delle risorse minerarie nel Sahara occidentale ( 225 ).

248.

Infine, secondo la Corte internazionale di giustizia, per sapere se «uno Stato le cui forze militari sono presenti nel territorio di un altro Stato a causa di un intervento sia una “potenza occupante” ai sensi dello ius in bello, [si deve esaminare] se esistano elementi di prova sufficienti che dimostrino che [l’]autorità [dell’esercito nemico] era effettivamente istituita ed esercitata nelle zone in questione dallo Stato autore dell’intervento» ( 226 ).

249.

Ciò naturalmente è quanto avviene per la maggior parte del Sahara occidentale che si estende a ovest del muro di sabbia costruito e sorvegliato dall’esercito marocchino e che si trova sotto l’autorità del Regno del Marocco a partire dalla sua annessione in due fasi (nel 1976 e nel 1979 ( 227 )). Tale zona è stata amministrata da allora in modo strutturato ( 228 ) dal Regno del Marocco, senza il consenso del popolo del Sahara occidentale che non ha ancora esercitato il suo diritto all’autodeterminazione ( 229 ).

250.

Va peraltro osservato che l’esistenza di un’occupazione non si limita al territorio continentale, ma si estende anche alle acque interne e al mare territoriale ( 230 ). Dato che una ZEE non è soggetta alla sovranità dello Stato costiero, l’occupazione non si estende a quest’ultima, ma la potenza occupante del territorio costiero, nella fattispecie il Regno del Marocco, può esercitare in tale zona la giurisdizione che il diritto del mare conferisce al territorio costiero ( 231 ).

– Sulla capacità della potenza occupante di concludere accordi internazionali applicabili al territorio occupato e sulle condizioni di legittimità alle quali è subordinata la conclusione di siffatti accordi

251.

Per quanto riguarda la capacità di una potenza occupante di concludere accordi internazionali applicabili al territorio occupato, va osservato che risulta dall’articolo 43 del regolamento dell’Aia del 1907 ( 232 ) e dall’articolo 64, secondo comma, della Convenzione IV di Ginevra ( 233 ) che la potenza occupante può promulgare leggi al fine di assicurare la vita pubblica e l’amministrazione regolare del territorio occupato ( 234 ). Come osserva la Commissione, tale potere legale di cui dispone la potenza occupante in tale territorio occupato include la capacità di concludere accordi internazionali applicabili a detto territorio ( 235 ). A tal riguardo, va osservato che la Corte internazionale di giustizia non ha escluso d’ufficio la possibilità per i terzi di concludere accordi internazionali applicabili a un territorio non autonomo occupato unicamente con la potenza amministratrice che non esercita più la sua missione a causa dell’intervento militare ( 236 ).

252.

Tuttavia, nel concludere un accordo internazionale applicabile al territorio occupato, la potenza occupante deve agire nella sua qualità di potenza occupante e non quale detentore della sovranità sul territorio occupato ( 237 ), in quanto l’annessione di un territorio occupato è rigorosamente vietata ( 238 ).

253.

In tal senso, ad esempio, la Confederazione svizzera ha concluso con l’Autorità provvisoria della coalizione ( 239 ), che agiva espressamente in nome della Repubblica d’Iraq, un accordo sulla garanzia contro i rischi delle esportazioni ( 240 ), ritenendo che «uno Stato occupante dispon[ga] del potere legale nel paese che esso occupa (articolo 43 della Convenzione dell’Aia del 1907) [il che] significa in particolare che la potenza occupante può promulgare leggi o concludere accordi internazionali in nome dello Stato occupato» ( 241 ). Tale prassi era sostenuta dalle risoluzioni 1483 (2003) del 23 maggio 2003 ( 242 ) e 1511 (2003) del 16 ottobre 2003 ( 243 ) del Consiglio di sicurezza dell’ONU.

254.

Risulta chiaramente dal dettato di tale accordo quadro che quest’ultimo non è stato concluso con le potenze occupanti della Repubblica d’Iraq, ma con l’Autorità provvisoria di coalizione che «in applicazione delle leggi e degli usi di guerra (…) [aveva] temporaneamente poteri di autorità governativa in Iraq» ( 244 ). Non si trattava quindi di riconoscimento, da parte della Confederazione svizzera, di una situazione illecita derivante dall’inosservanza di norme inviolabili di diritto internazionale consuetudinario contenenti obblighi erga omnes.

255.

Nella fattispecie, il dettato dell’accordo di pesca e del protocollo del 2013 non indica espressamente che tali accordi sono stati conclusi con il Regno del Marocco nella sua qualità di potenza occupante del Sahara occidentale. Al contrario, apparentemente, il Regno del Marocco ha concluso tali accordi quale detentore della sovranità sul Sahara occidentale. Pertanto, contrariamente a quanto sostiene la Commissione al punto 139 delle sue osservazioni, l’articolo 43 del regolamento dell’Aia del 1907 e l’articolo 64, comma 2, della Convenzione IV di Ginevra non autorizzano la conclusione dell’accordo di pesca e del protocollo del 2013 nella forma e nel modo in cui sono stati conclusi, anche se il Regno del Marocco dovrebbe essere considerato la potenza occupante del Sahara occidentale.

b)   Sul rispetto, da parte degli atti contestati, del principio di sovranità permanente sulle risorse naturali e delle norme di diritto internazionale umanitario applicabili allo sfruttamento delle risorse naturali del territorio occupato

1) Principio di sovranità permanente sulle risorse naturali

256.

Il Sahara occidentale è un territorio non autonomo in via di decolonizzazione. A tal fine, lo sfruttamento delle sue ricchezze naturali rientra nell’articolo 73 della Carta delle Nazioni Unite e nel principio consuetudinario di sovranità permanente sulle risorse naturali ( 245 ). Inoltre, l’UNCLOS prevede, nella risoluzione III allegata all’Atto finale della terza conferenza delle Nazioni Unite sul diritto del mare, che «nel caso di un territorio il cui popolo non ha avuto accesso alla piena indipendenza o ad un altro regime di autonomia riconosciuto dalle Nazioni Unite o di un territorio sotto il dominio coloniale, le disposizioni relative a diritti o a interessi previsti dall’[UNCLOS] sono applicate a favore del popolo di tale territorio al fine di promuovere la sua prosperità e il suo sviluppo».

257.

In tale contesto, lo sfruttamento di risorse naturali di un territorio non autonomo, ivi compreso lo sfruttamento alieutico delle acque adiacenti a tale territorio, deve operare a vantaggio del suo popolo ( 246 ).

2) Articolo 55 del regolamento dell’Aia del 1907

258.

Quale potenza occupante del Sahara occidentale ( 247 ), il Regno del Marocco è vincolato dall’articolo 55 del regolamento dell’Aia del 1907, riguardante lo sfruttamento della proprietà pubblica del paese occupato. Secondo tale articolo, «[l]o Stato occupante sarà considerato come amministratore e usufruttuario degli edifici pubblici, immobili, foreste ed aziende agricole appartenenti allo Stato nemico e che si trovano nel paese occupato. Esso dovrà conservare il capitale di tali proprietà ed amministrarle in conformità alle regole sull’usufrutto».

259.

Al pari della Commissione, ritengo che l’articolo 55 del regolamento dell’Aia del 1907 possa essere applicato anche allo sfruttamento degli stock alieutici di zone marittime situate al largo delle coste del territorio occupato.

260.

L’usufrutto è il diritto di usare cose (ius utendi) altrui e di percepirne i frutti (ius fruendi), senza alterarne la sostanza ( 248 ). Ciò implica che la potenza occupante non può disporre dei beni pubblici del paese occupato ma può sfruttarli, percepire e vendere i loro frutti, nonché utilizzare gli utili generati dalla disposizione dei frutti di tale sfruttamento, senza tuttavia che tale sfruttamento sprechi, trascuri o distrugga il valore economico dei beni in questione o vada al di là di ciò che è necessario o abituale ( 249 ).

261.

Il testo dell’articolo 55 non prevede alcun limite specifico quanto alle finalità della disposizione dei frutti derivanti dallo sfruttamento della proprietà pubblica ( 250 ). Tuttavia, è stato dichiarato che «gli articoli 53, 55 e 56 [del regolamento dell’Aia del 1907], riguardanti la proprietà pubblica, dimostrano chiaramente che, secondo le leggi di guerra, l’economia di un paese occupato deve sopportare [solo] le spese di occupazione (…); inoltre, queste ultime devono gravare su tale economia solo nei limiti in cui essa possa ragionevolmente provvedervi» ( 251 ).

262.

Inoltre, uno sfruttamento della proprietà pubblica per soddisfare i bisogni del popolo del territorio occupato è consentito dall’articolo 55 del regolamento dell’Aia del 1907, tanto più nell’ambito di un’occupazione prolungata ( 252 ).

263.

Pertanto, al momento dell’occupazione dell’Iraq, gli Stati Uniti d’America, il Regno Unito e i membri della coalizione hanno immediatamente accettato che «il petrolio dell’Iraq fosse protetto e utilizzato a vantaggio del popolo iracheno» ( 253 ) e, conformemente al paragrafo 20 della risoluzione 1483 (2003) del Consiglio di sicurezza dell’ONU, hanno istituito il Fondo di sviluppo per l’Iraq ( 254 ) per versarvi tutti i proventi delle vendite all’esportazione di petrolio, di prodotti petroliferi e di gas naturale dell’Iraq in attesa di costituire un governo iracheno rappresentativo e riconosciuto dalla comunità internazionale.

3) Sul rispetto, da parte degli atti contestati, del principio di sovranità permanente sulle risorse naturali e dell’articolo 55 del regolamento dell’Aia del 1907

264.

Occorre rilevare anzitutto che il diritto internazionale umanitario, tra cui l’articolo 55 del regolamento dell’Aia del 1907, costituisce una lex specialis rispetto alle altre norme di diritto internazionale, ivi compresi i diritti dell’uomo, che possono essere anch’essi applicati al medesimo contesto di fatto ( 255 ).

265.

È vero che la Corte internazionale di giustizia ha dichiarato, riguardo al principio di sovranità permanente sulle risorse naturali, che «niente (…) lascia intendere che [esso] [sia] applicabil[e] al caso particolare del saccheggio e dello sfruttamento di talune risorse naturali da parte dei membri dell’esercito di uno Stato che interviene militarmente nel territorio di un altro Stato» ( 256 ).

266.

Tuttavia, la causa in esame non riguarda un caso di saccheggio e di sfruttamento di risorse naturali da parte di individui appartenenti all’esercito, ma una politica ufficiale e sistematica di sfruttamento delle risorse alieutiche ( 257 ) adottata congiuntamente dal Regno del Marocco e dall’Unione.

267.

In tal senso, talune situazioni possono rientrare esclusivamente nel diritto umanitario o esclusivamente nel diritto applicabile allo sfruttamento delle risorse naturali dei territori non autonomi, mentre altre situazioni possono rientrare, al contempo, in queste due branche del diritto internazionale ( 258 ).

268.

Come osserva la Commissione al punto 43 delle sue risposte ai quesiti scritti posti dalla Corte, i regimi giuridici applicabili ai territori non autonomi e ai territori occupati non si escludono reciprocamente. Inoltre, per quanto riguarda la causa in esame, il principio di sovranità permanente sulle risorse naturali e l’articolo 55 del regolamento dell’Aia del 1907 convergono su un punto, ossia quello secondo il quale lo sfruttamento delle risorse naturali del Sahara occidentale (quale territorio non autonomo e territorio occupato) non può essere effettuato per procurare vantaggi economici al Regno del Marocco (oltre alle spese di occupazione nei limiti in cui il Sahara occidentale possa ragionevolmente provvedervi), ma deve essere effettuato a vantaggio del popolo del Sahara occidentale.

269.

A tal riguardo, occorre ricordare che sia il Consiglio che la Commissione concordano nell’affermare che lo sfruttamento delle zone di pesca situate al largo delle coste del Sahara occidentale deve operare a vantaggio del popolo di tale territorio, considerando al contempo che le disposizioni dell’accordo di pesca nonché del protocollo del 2013 sono tali da garantire che ciò avvenga realmente.

270.

Non condivido questa tesi per le seguenti ragioni.

271.

Va osservato che l’accordo di pesca prevede uno sfruttamento sostenibile (in inglese «sustainable exploitation») degli stock alieutici ( 259 ) e, in tal senso, non porta all’esaurimento di tale risorsa. A tal fine, l’accordo di pesca risulta a prima vista conforme sia alle regole sull’usufrutto cui si riferisce l’articolo 55 del regolamento dell’Aia del 1907 ( 260 ) che al principio di sovranità permanente sulle risorse naturali. Infatti, lo sfruttamento delle acque adiacenti al Sahara occidentale che esaurisca gli stock alieutici non può essere considerato a vantaggio del popolo di tale territorio.

272.

Tuttavia, dall’articolo 2 del regolamento n. 764/2006, dalle schede tecniche delle zone di pesca dalla n. 3 alla n. 6 ( 261 ) e dalle informazioni fornite dalla Commissione in udienza ( 262 ) emerge che la maggior parte dello sfruttamento previsto nell’accordo di pesca e nel protocollo del 2013 riguarda quasi esclusivamente le acque adiacenti al Sahara occidentale. Infatti, le catture effettuate nella sola zona di pesca n. 6 (che comprende soltanto le acque adiacenti al Sahara occidentale) rappresentano circa il 91,5% delle catture totali effettuate nell’ambito dello sfruttamento alieutico istituito dall’accordo di pesca e dal protocollo del 2013.

273.

Se, pertanto, l’accordo di pesca si applica quasi esclusivamente al Sahara occidentale e alle acque ad esso adiacenti, ne consegue che anche la contropartita finanziaria, versata al Regno del Marocco dall’Unione conformemente all’articolo 7 dell’accordo di pesca, come ammettono il Consiglio e la Commissione, dovrebbe andare quasi esclusivamente a vantaggio del popolo del Sahara occidentale (salvo che sia utilizzata per coprire le spese di occupazione nei limiti in cui tale territorio possa ragionevolmente provvedervi ( 263 )).

274.

Tuttavia, l’articolo 3, paragrafo 1, del protocollo del 2013 dispone che la contropartita finanziaria annua di EUR 40 milioni è suddivisa in due sottoparti, una di EUR 30 milioni versata ai sensi dell’articolo 7 dell’accordo di pesca (EUR 16 milioni come compensazione finanziaria per l’accesso alla risorsa ed EUR 14 milioni come sostegno alla politica settoriale della pesca in Marocco) e una di EUR 10 milioni corrispondenti all’importo stimato dei canoni a carico degli armatori europei per le licenze di pesca rilasciate in forza dell’articolo 6 dell’accordo di pesca.

275.

Conformemente all’articolo 3, paragrafo 4, del protocollo del 2013, tale contropartita è versata al tesoriere generale del Regno del Marocco su un conto aperto presso la Tesoreria generale del Regno del Marocco (mentre nel caso dell’occupazione dell’Iraq i proventi delle vendite del petrolio erano versati al Fondo di sviluppo per l’Iraq).

276.

Per quanto riguarda il suo impiego, l’articolo 3, paragrafo 5, e l’articolo 6, paragrafo 1, del protocollo del 2013 prevedono che la contropartita finanziaria annua di EUR 40 milioni sia di esclusiva competenza delle autorità marocchine, ma per quanto riguarda l’importo di EUR 14 milioni (sostegno alla politica settoriale della pesca in Marocco), tali disposizioni istituiscono un meccanismo di monitoraggio e di supervisione, da parte dell’Unione nell’ambito di una commissione mista, del suo utilizzo da parte delle autorità marocchine.

277.

Orbene, conformemente all’articolo 5, paragrafo 6, del protocollo del 2013, tale meccanismo consente soltanto il monitoraggio generale delle «ricadute economiche e sociali previste [dell’accordo di pesca], in particolare gli effetti sull’occupazione e sugli investimenti, nonché ogni impatto quantificabile delle azioni realizzate e la loro distribuzione geografica».

278.

Secondo la Commissione, tale meccanismo di monitoraggio le ha consentito di garantire, per il periodo di validità del protocollo del 2013 (2014‑2018), l’utilizzo, già effettuato o da effettuare, di EUR 54 milioni per la costruzione di mercati generali di nuova generazione, di locali per pescatori, nonché di punti di sbarco attrezzati e di acquacolture, e che circa l’80% dei progetti finanziati da tale aiuto siano ubicati nel Sahara occidentale.

279.

A mio avviso, da tali elementi emerge che né l’accordo di pesca né il protocollo del 2013 contengono le garanzie giuridiche necessarie affinché lo sfruttamento alieutico soddisfi i requisiti del criterio che impone che tale sfruttamento sia a favore del popolo del Sahara occidentale.

280.

In primo luogo, il protocollo del 2013 non contiene alcun impegno da parte del Regno del Marocco di utilizzare la contropartita finanziaria versata dall’Unione a favore del popolo del Sahara occidentale in misura proporzionale ai quantitativi di catture effettuate nelle acque adiacenti al Sahara occidentale. Al contrario, mentre il 91,5% delle catture sono effettuate nella sola zona di pesca n. 6 (che comprende esclusivamente le acque adiacenti al Sahara occidentale), solo il 35% della contropartita finanziaria (EUR 14 milioni su 40) rientrano nel meccanismo di monitoraggio istituito dall’articolo 6 del protocollo del 2013.

281.

In secondo luogo, non esiste alcuna prova che l’importo di EUR 14 milioni sia effettivamente utilizzato a favore del popolo del Sahara occidentale. Al contrario, gli elementi di prova forniti dalla Commissione dimostrano che su EUR 160 milioni, da versare per un periodo di quattro anni (2014‑2018), solo EUR 54 milioni (ossia il 33,75%) sono stati utilizzati per lo sviluppo dei progetti, di cui l’80% ubicati nel Sahara occidentale.

282.

In terzo luogo, il fatto che l’80% dei progetti che beneficiano di detto importo di EUR 54 milioni siano ubicati nel Sahara occidentale non ha, di per sé, alcun significato. Ciò che rileva è conoscere la quota di tale importo di EUR 54 milioni, destinata al finanziamento dei progetti ubicati nel Sahara occidentale, ma la Commissione non ha fornito tale informazione.

283.

Infine, occorre rilevare che l’articolo 49, paragrafo 6, della Convenzione IV di Ginevra vieta alla potenza occupante di procedere «al trasferimento di una parte della sua propria popolazione civile nel territorio da essa occupato» ( 264 ). Tuttavia, non esiste alcuna disposizione nell’accordo di pesca e nel protocollo del 2013 che obblighi il Regno del Marocco a far sì che la quota della contropartita finanziaria, corrispondente allo sfruttamento alieutico delle zone di pesca situate al largo delle coste del Sahara occidentale, sia utilizzata in modo da operare soprattutto a vantaggio dei «Sahrawi originari del territorio» ( 265 ) o delle «popolazioni sahrawi originarie del territorio» ( 266 ).

284.

Ad esempio, la scheda tecnica per la zona di pesca n. 6 (Pesca pelagica industriale) prevede per le navi dell’Unione l’obbligo di imbarcare da 2 a 16 «marinai marocchini» in base alla stazza della nave ( 267 ), sebbene tale zona di pesca riguardi esclusivamente le acque adiacenti al Sahara occidentale.

285.

Pertanto, ritengo che le disposizioni dell’accordo di pesca e del protocollo del 2013 non forniscano alcuna garanzia che lo sfruttamento alieutico delle acque adiacenti al Sahara occidentale sia effettuato a vantaggio del popolo di tale territorio. In tal senso, gli atti contestati non rispettano né il principio di sovranità permanente sulle risorse naturali ( 268 ), né l’articolo 55 del regolamento dell’Aia del 1907, né l’obbligo dell’Unione di non riconoscere una situazione illecita derivante dalla violazione di tali disposizioni e di non prestare aiuto o assistenza al mantenimento di tale situazione.

286.

Risulta da quanto precede che, nella parte in cui sono applicabili al territorio del Sahara occidentale e alle acque ad esso adiacenti, l’accordo di pesca e il protocollo del 2013 sono incompatibili con l’articolo 3, paragrafo 5, TUE, l’articolo 21, paragrafo 1, primo comma, TUE, l’articolo 21, paragrafo 2, lettere b) e c), TUE, e gli articoli 23 TUE e 205 TFUE, che impongono all’Unione l’obbligo di garantire che la sua azione esterna rispetti rigorosamente il diritto internazionale.

287.

Il regolamento n. 764/2006, la decisione 2013/785 e il regolamento n. 1270/2013 sono contrari all’articolo 3, paragrafo 5, TUE, all’articolo 21, paragrafo 1, primo comma, TUE, all’articolo 21, paragrafo 2, lettere b) e c), TUE, e agli articoli 23 TUE e 205 TFUE, nella parte in cui approvano e attuano l’applicazione dell’accordo di pesca e del protocollo del 2013 al territorio del Sahara occidentale e alle acque ad esso adiacenti.

c)   Sui limiti all’obbligo di non riconoscimento

288.

A tal riguardo, in udienza, sia la Comader che la Commissione hanno sostenuto che l’obbligo di non riconoscere una situazione illecita, derivante dalla violazione di norme erga omnes di diritto internazionale, e dell’obbligo di non prestare aiuto o assistenza al mantenimento di tale situazione non può portare al divieto di conclusione degli accordi internazionali che promuovono lo sviluppo economico del popolo del Sahara occidentale, in quanto siffatto divieto si risolverebbe alla fine a suo danno.

289.

Esse invocano a tal fine il punto 125 del parere consultivo sulla Namibia ( 269 ), in cui la Corte internazionale di giustizia aveva dichiarato che «il mancato riconoscimento dell’amministrazione sudafricana nel territorio non dovrebbe avere come conseguenza di privare il popolo namibiano dei vantaggi che possono derivargli dalla cooperazione internazionale» ( 270 ).

290.

A mio avviso, tale limite all’obbligo di non riconoscimento non ha alcuna incidenza nella causa in esame.

291.

In primo luogo, la Commissione ha già tentato di utilizzare lo stesso punto 125 del parere consultivo sulla Namibia per giustificare l’accettazione, da parte delle autorità doganali britanniche, dei certificati di circolazione dei prodotti agricoli originari del territorio cipriota occupato, emessi dalla cosiddetta «Repubblica turca di Cipro del Nord», entità non riconosciuta dall’Unione e dai suoi Stati membri ( 271 ). Tuttavia, la Corte ha respinto tale approccio dichiarando che non si poteva operare alcuna analogia tra la situazione della Namibia e l’occupazione militare tuttora esistente a Cipro Nord ( 272 ). A mio avviso, ciò vale anche nel caso di specie.

292.

In secondo luogo, il limite dell’obbligo di non riconoscimento, stabilito dalla Corte internazionale di giustizia al punto 125 del suo parere consultivo sulla Namibia per non privare il popolo namibiano dei vantaggi che potevano derivargli dalla cooperazione internazionale, non potrebbe giustificare la conclusione di accordi internazionali commerciali. Da un lato, la conclusione di siffatti accordi rientrava nell’obbligo di non riconoscimento ( 273 ). D’altro lato, gli esempi dei vantaggi di cui il popolo namibiano doveva poter continuare a beneficiare sono lungi dall’includere gli accordi internazionali commerciali. Infatti, gli esempi forniti dalla Corte internazionale di giustizia riguardano la registrazione delle nascite, dei matrimoni o dei decessi presso lo stato civile, «di cui si potrebbero ignorare gli effetti solo a danno degli abitanti del territorio» ( 274 ).

4.   Sintesi

293.

Risulta da quanto precede che gli atti contestati, applicabili al territorio del Sahara occidentale e alle acque ad esso adiacenti in quanto soggetti alla sovranità o alla giurisdizione del Regno del Marocco, violano l’obbligo dell’Unione di rispettare il diritto del popolo di tale territorio all’autodeterminazione nonché il suo obbligo di non riconoscere una situazione illecita derivante dalla violazione di tale diritto e di non prestare aiuto o assistenza al mantenimento di tale situazione. Inoltre, per quanto riguarda lo sfruttamento delle risorse naturali del Sahara occidentale, gli atti contestati non prevedono le garanzie necessarie per assicurare che tale sfruttamento avvenga a beneficio del popolo di tale territorio.

VI. Sulla domanda del Consiglio di limitare temporaneamente gli effetti della dichiarazione di invalidità

294.

Il Consiglio ha chiesto alla Corte «di limitare temporaneamente gli effetti della dichiarazione di invalidità [del regolamento n. 764/2006, della decisione 2013/785 e del regolamento n. 1270/2013] in modo da consentire all’Unione di adottare le misure necessarie conformemente agli obblighi ad essa incombenti in forza del diritto internazionale» ( 275 ).

295.

Senza motivare ulteriormente la sua domanda, il Consiglio chiede in tal modo che gli effetti degli atti contestati siano mantenuti per un periodo di tempo limitato, come è stato fatto, ad esempio, nella sentenza del 3 settembre 2008, Kadi e Al Barakaat International Foundation/Consiglio e Commissione (C‑402/05 P e C‑415/05 P, EU:C:2008:461) ( 276 ). Occorre tuttavia sottolineare che il protocollo del 2013, che fa parte dell’accordo di pesca ( 277 ) ed è indispensabile ai fini della sua attuazione, scadrà il 14 luglio 2018 ( 278 ). Dato che il periodo che intercorre tra la pronuncia della sentenza nel 2018 e la scadenza di tale protocollo è particolarmente breve, non mi convince il fatto che abbia senso mantenere gli effetti degli atti contestati. In ogni caso, le ragioni che hanno giustificato il mantenimento degli effetti dell’atto contestato per un periodo di tre mesi nella causa che ha dato luogo alla sentenza del 3 settembre 2008, Kadi e Al Barakaat International Foundation/Consiglio e Commissione (C‑402/05 P e C‑415/05 P, EU:C:2008:461) ( 279 ) non sussistono nel caso di specie.

VII. Conclusione

296.

Alla luce delle suesposte considerazioni, propongo alla Corte di rispondere anzitutto alla quarta e successivamente alla terza questione pregiudiziale sollevata dalla High Court of Justice (England & Wales), Queen’s Bench Division (Administrative Court) [Alta Corte di giustizia (Inghilterra e Galles), divisione del Queen’s Bench (sezione amministrativa), Regno Unito] nei seguenti termini:

1)

a)

Nell’ambito del controllo giurisdizionale degli accordi internazionali conclusi dall’Unione europea nonché degli atti dell’Unione che approvano o attuano siffatti accordi, l’invocabilità delle norme di diritto internazionale è subordinata alle seguenti condizioni, indipendentemente dalla loro appartenenza a una o a più fonti di diritto internazionale: l’Unione deve essere vincolata dalla norma invocata, il suo contenuto deve essere incondizionato e sufficientemente preciso e, infine, la sua natura e la sua economia non devono ostare al controllo giurisdizionale dell’atto contestato.

b)

Il principio stabilito dalla Corte internazionale di giustizia nella causa dell’oro monetario preso a Roma nel 1943, secondo il quale essa non può esercitare la propria competenza nei confronti di uno Stato che non è parte nel procedimento pendente dinanzi ad essa senza il suo consenso, non è applicabile al controllo giurisdizionale degli accordi internazionali conclusi dall’Unione europea nonché degli atti dell’Unione che approvano o attuano siffatti accordi.

2.

a)

L’accordo di partenariato nel settore della pesca tra la Comunità europea e il Regno del Marocco e il protocollo tra l’Unione europea e il Regno del Marocco che fissa le possibilità di pesca e la contropartita finanziaria previste da tale accordo sono incompatibili con l’articolo 3, paragrafo 5, TUE, l’articolo 21, paragrafo 1, primo comma, TUE, l’articolo 21, paragrafo 2, lettere b) e c), TUE, e gli articoli 23 TUE e 205 TFUE, nella parte in cui sono applicabili al territorio del Sahara occidentale e alle acque ad esso adiacenti.

b)

Il regolamento (CE) n. 764/2006 del Consiglio, del 22 maggio 2006, relativo alla conclusione di un accordo di partenariato nel settore della pesca tra la Comunità europea e il Regno del Marocco, la decisione 2013/785/UE del Consiglio, del 16 dicembre 2013, relativa alla conclusione, a nome dell’Unione europea, del protocollo tra l’Unione europea e il Regno del Marocco che fissa le possibilità di pesca e la contropartita finanziaria previste dall’accordo di partenariato nel settore della pesca fra l’Unione europea e il Regno del Marocco e il regolamento (UE) n. 1270/2013 del Consiglio, del 15 novembre 2013, relativo alla ripartizione delle possibilità di pesca a norma del protocollo tra l’Unione europea e il Regno del Marocco che fissa le possibilità di pesca e la contropartita finanziaria previste dall’accordo di partenariato nel settore della pesca fra l’Unione europea e il Regno del Marocco, sono invalidi.


( 1 ) Lingua originale: il francese.

( 2 ) GU 2006, L 141, pag. 4. La conclusione di tale accordo è stata approvata dal regolamento (CE) n. 764/2006 del Consiglio, del 22 maggio 2006, relativo alla conclusione di un accordo di partenariato nel settore della pesca tra la Comunità europea e il Regno del Marocco (GU 2006, L 141, pag. 1).

( 3 ) GU 2013, L 328, pag. 2. La conclusione di tale protocollo è stata approvata dalla decisione 2013/785/UE del Consiglio, del 16 dicembre 2013, relativa alla conclusione, a nome dell’Unione europea, del protocollo tra l’Unione europea e il Regno del Marocco che fissa le possibilità di pesca e la contropartita finanziaria previste dall’accordo di partenariato nel settore della pesca fra l’Unione europea e il Regno del Marocco (GU 2013, L 349, pag. 1).

( 4 ) GU 2013, L 328, pag. 40.

( 5 ) Conseguenze giuridiche della costruzione di un muro nei territori palestinesi occupati, parere consultivo (CIJ Recueil 2004, pag. 136, punto 41).

( 6 ) V. GU 2007, L 78, pag. 31.

( 7 ) V. articolo 1, paragrafo 1, del protocollo che fissa le possibilità di pesca e la contropartita finanziaria previste dall’accordo di partenariato nel settore della pesca tra la Comunità europea e il Regno del Marocco (GU 2006, L 141, pag. 9).

( 8 ) GU 2014, L 228, pag. 1.

( 9 ) V. sentenza del 19 ottobre 2015 nella causa Western Sahara Campaign UK, R (on the application of) v HM Revenue and Customs [2015] EWHC 2898 (Admin), punto 39. Si tratta della sentenza del giudice del rinvio sulla quale lo stesso ha basato la sua domanda di pronuncia pregiudiziale.

( 10 ) V. sentenza del 19 ottobre 2015 nella causa Western Sahara Campaign UK, R (on the application of) v HM Revenue and Customs [2015] EWHC 2898 (Admin), punti 40, 43, 48 e 49.

( 11 ) Al governo francese è stata concessa una proroga del termine di una settimana.

( 12 ) Sentenza del 30 aprile 1974, Haegeman (181/73, EU:C:1974:41, punto 4). V. anche, in tal senso, sentenze del 30 settembre 1987, Demirel (12/86, EU:C:1987:400, punto 7), del 15 giugno 1999, Andersson e Wåkerås‑Andersson (C‑321/97, EU:C:1999:307, punto 26), e del 25 febbraio 2010, Brita (C‑386/08, EU:C:2010:91, punto 39).

( 13 ) Più recentemente, v. sentenza del 28 marzo 2017, Rosneft (C‑72/15, EU:C:2017:236, punti da 108 a 117).

( 14 ) V. sentenza del 9 ottobre 2014, Ahlström e a. (C‑565/13, EU:C:2014:2273).

( 15 ) V. sentenza del 13 dicembre 1989, Grimaldi (C‑322/88, EU:C:1989:646, punto 8). V. anche, in tal senso, sentenze dell’11 maggio 2006, Friesland Coberco Dairy Foods (C‑11/05, EU:C:2006:312, punto 36), e del 13 giugno 2017, Florescu e a. (C‑258/14, EU:C:2017:448, punto 30).

( 16 ) Sentenza del 28 marzo 2017, Rosneft (C‑72/15, EU:C:2017:236, punto 66 e giurisprudenza ivi citata). Il corsivo è mio.

( 17 ) Recueil des traités des Nations Unies, vol. 1155, pag. 331.

( 18 ) V. parere 1/15 (Accordo PNR UE‑Canada), del 26 luglio 2017 (EU:C:2017:592, punto 67).

( 19 ) Parere 1/75 (Accordo OCSE – Norma sulle spese locali), dell’11 novembre 1975 (EU:C:1975:145).

( 20 ) Parere 1/15 (Accordo PNR UE‑Canada), del 26 luglio 2017 (EU:C:2017:592, punto 70).

( 21 ) V. sentenza del 3 settembre 2008, Kadi e Al Barakaat International Foundation/Consiglio e Commissione (C‑402/05 P e C‑415/05 P, EU:C:2008:461, punto 309) e articolo 218, paragrafo 11, TFUE.

( 22 ) Parlo di «compatibilità» e non di «validità» per evitare che si crei confusione con le cause di nullità dei Trattati tassativamente elencate agli articoli da 46 a 53 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati.

( 23 ) V. sentenza del 9 agosto 1994, Francia/Commissione (C‑327/91, EU:C:1994:305, punti da 13 a 17) in cui la Corte ha dichiarato che il ricorso di annullamento proposto dalla Repubblica francese doveva riguardare l’atto con il quale la Commissione aveva autorizzato la conclusione dell’accordo internazionale in questione anziché l’accordo stesso.

( 24 ) V., in tal senso, sentenza del 3 settembre 2008, Kadi e Al Barakaat International Foundation/Consiglio e Commissione (C‑402/05 P e C‑415/05 P, EU:C:2008:461, punto 289) che rinvia alla sentenza del 10 marzo 1998, Germania/Consiglio (C‑122/95, EU:C:1998:94).

( 25 ) V. sentenza del 3 settembre 2008, Kadi e Al Barakaat International Foundation/Consiglio e Commissione (C‑402/05 P e C‑415/05 P, EU:C:2008:461, punti 283, 284, 289, 304, 308, 316326).

( 26 ) V. articolo 3, paragrafo 5, TUE e sentenza del 21 dicembre 2011, Air Transport Association of America e a. (C‑366/10, EU:C:2011:864, punto 101 e giurisprudenza ivi citata).

( 27 ) V. Etienne, J., «L’accord de pêche CE‑Maroc: quels remèdes juridictionnels européens à quelle illicéité internationale?», Revue belge de droit international, 2010, pagg. da 77 a 107, in particolare pagg. 104 e 105.

( 28 ) V., in tal senso, sentenza del 22 dicembre 2008, Régie Networks (C‑333/07, EU:C:2008:764, punto 124 e giurisprudenza ivi citata).

( 29 ) V., in tal senso, sentenze del 14 settembre 1999, Commissione/Belgio (C‑170/98, EU:C:1999:411, punto 42), nonché del 4 luglio 2000, Commissione/Portogallo (C‑84/98, EU:C:2000:359, punto 40).

( 30 ) Tale procedimento prevede la notifica di un atto avente lo scopo di dichiarare la nullità del trattato o la decisione di recedere dallo stesso. Se la controparte solleva obiezioni e le parti non riescono a giungere a una soluzione, si prevede di sottoporre la controversia alla Corte internazionale di giustizia o a un tribunale arbitrale ad hoc. Lo stesso vale per la Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati tra Stati e organizzazioni internazionali o tra organizzazioni internazionali, conclusa a Vienna il 21 marzo 1986, che, tuttavia, non è ancora in vigore (v. articoli da 65 a 68). Poiché le organizzazioni internazionali non possono adire la Corte internazionale di giustizia, tale convenzione prevede che detto giudice possa essere adito mediante il procedimento di parere istituito dall’articolo 96 della Carta delle Nazioni Unite. Se l’Assemblea generale dell’ONU o il Consiglio di sicurezza non accolgono la domanda di avvio di tale procedimento, la controversia può essere sottoposta a un procedimento arbitrale.

( 31 ) CIJ Recueil 1954, pag. 19.

( 32 ) Come ha ricordato la Corte internazionale di giustizia, «uno dei principi fondamentali [del suo] Statuto è che essa non può dirimere una controversia tra Stati senza che questi ultimi abbiano riconosciuto la sua giurisdizione» [Timor Est (Portogallo c. Australia), sentenza (CIJ Recueil 1995, pag. 90, punto 26 e giurisprudenza ivi citata)].

( 33 ) V. considerando 1 e articolo 1 del regolamento n. 764/2006.

( 34 ) V. considerando 2 e articolo 1 della decisione 2013/785.

( 35 ) V., in tal senso, sentenza del 21 dicembre 2016, Consiglio/Front Polisario (C‑104/16 P, EU:C:2016:973).

( 36 ) V. anche considerando 1 del regolamento n. 764/2006.

( 37 ) V. appendice 2 dell’allegato del protocollo del 2013.

( 38 ) V. appendice 4 dell’allegato del protocollo del 2013.

( 39 ) V. Bennafla, K., «Illusion cartographique au Nord, barrière de sable à l’Est: les frontières mouvantes du Sahara occidental», L’Espace politique, 2013, punto 212, accessibile sul sito Internet http://espacepolitique.revues.org/2644.

( 40 ) Secondo la Commissione, le catture effettuate sono ripartite tra le sei zone di pesca stabilite dall’accordo di pesca e dal protocollo del 2013 nel seguente modo: 1138 tonnellate nella zona di pesca n. 1; 406 tonnellate nella zona di pesca n. 2; 191 tonnellate nella zona di pesca n. 3; 5035 tonnellate nella zona di pesca n. 4; 234 tonnellate nella zona di pesca n. 5 e 75686 tonnellate nella zona di pesca n. 6. Sebbene tutte le tonnellate pescate non abbiano lo stesso valore, è evidente che l’accordo di pesca e il protocollo del 2013 si applicano quasi esclusivamente alle acque adiacenti al Sahara occidentale.

( 41 ) L’esistenza di un collegamento diretto tra l’accordo di pesca di cui trattasi nel procedimento principale e gli accordi di pesca conclusi tra il Regno di Spagna e il Regno del Marocco è confermato dall’Atto relativo alle condizioni di adesione del Regno di Spagna e della Repubblica portoghese e agli adattamenti dei trattati (GU 1985, L 302, pag. 23) i cui «articoli 167, paragrafo 3, e 354, paragrafo 3, (…), laddove fanno riferimento alle attività di pesca, impongono al Consiglio di preservare le attività di pesca poste in essere dalla Spagna e dal Portogallo sulla base degli accordi di pesca da essi conclusi anteriormente alla loro adesione [all’Unione]» (sentenza dell’8 marzo 1995, HANSA‑Fisch/Commissione, T‑493/93, EU:T:1995:47, punto 37).

( 42 ) V. accordo di cooperazione in materia di pesca marittima tra il governo del Regno di Spagna e il governo del Regno del Marocco, firmato a Rabat il 17 febbraio 1977 (mai entrato in vigore) e protocollo di accordo transitorio in materia di pesca marittima, firmato a Rabat il 29 giugno 1979 (BOE n. 253 del 22 ottobre 1979, pag. 24551), che trattano della zona di pesca a sud di Cap Noun (tale capo è situato al parallelo 29°N, che corrisponde alla linea di base per le zone di pesca n. 4 e n. 6 dell’accordo di pesca) e qualificano tale zona come acque soggette alla giurisdizione marocchina («aguas bajo jurisdicció marroquí»). V. anche accordo del 1o agosto 1983 di cooperazione sulla pesca marittima tra il Regno di Spagna e il Regno del Marocco (BOE n. 243 dell’11 ottobre 1983, pag. 27588) il cui articolo 1 fa riferimento alle acque soggette alla giurisdizione marocchina («aguas bajo jurisdicció marroquí»). Il suo allegato II distingue anche due zone di pesca, una a nord e una a sud di Cap Noun. Quella a sud comprendeva le acque adiacenti al Sahara occidentale.

( 43 ) V. sentenza del 9 ottobre 2014, Ahlström e a. (C‑565/13, EU:C:2014:2273, punto 17). V. anche ordinanza del 30 aprile 1999, Pescados Congelados Jogamar/Commissione (T‑311/97, EU:T:1999:89, punto 6) riguardante il peschereccio di un armatore spagnolo fermato da una corvetta marocchina e dirottato verso il porto della città di El‑Aaiun situata nel Sahara occidentale.

( 44 ) V. dahir (regio decreto) recante la legge n. 1‑76‑468, del 6 agosto 1976, di modifica del dahir n. 1‑59‑351, del 2 dicembre 1959, relativo alla suddivisione amministrativa del Regno, Bulletin officiel du Royaume du Maroc, n. 3328, pag. 914.

( 45 ) V. Convenzione relativa ai confini internazionali stabiliti tra la Repubblica islamica di Mauritania e il Regno del Marocco, firmata a Rabat il 14 aprile 1976, Annuaire de l’Afrique du Nord, 1976, vol. 15, pagg. 848 e 849, e dahir n. 1‑76‑380, del 16 aprile 1976, di ratifica e pubblicazione di detta convenzione, Bulletin officiel du Royaume du Maroc, n. 3311‑bis, pag. 499.

( 46 ) V. dahir n. 2‑79‑430, del 14 agosto 1979, che modifica e completa gli articoli 1 e 2 del dahir n. 1‑59‑351, del 2 dicembre 1959, relativo alla suddivisione amministrativa del Regno, Bulletin officiel du Royaume du Maroc, n. 3485, pag. 489.

( 47 ) Disponibili sul sito Internet del Consiglio (http://register.consilium.europa.eu/doc/srv?l=EN&f=ST%2015723%202013%20ADD%201).

( 48 ) Secondo il Regno dei Paesi Bassi, «[i]l protocollo del 2013 non si riferisce espressamente al Sahara occidentale, ma consente la sua applicazione alle zone marittime adiacenti al Sahara occidentale che non sono soggette né alla sovranità né alla giurisdizione del Regno del Marocco» («The protocol does not explicitly refer to […] Western Sahara, but allows for its application to maritime areas adjacent to […] Western Sahara that are not under the sovereignty or juridiction of Morocco»). V. dichiarazione del Regno dei Paesi Bassi contenuta nel documento del Consiglio 15723/13 Add 1 del 14 novembre 2013 disponibile sul sito Internet del Consiglio http://register.consilium.europa.eu/doc/srv?l=EN&f=ST%2015723%202013%20ADD%201. Il corsivo è mio.

( 49 ) V. dichiarazioni contenute nel documento del Consiglio 15723/13 Add 1 del 14 novembre 2013 disponibile sul sito Internet del Consiglio http://register.consilium.europa.eu/doc/srv?l=EN&f=ST%2015723%202013%20ADD%201.

( 50 ) V. punti 48, 74, 84, 102 della sentenza del 21 dicembre 2011, Air Transport Association of America e a. (C‑366/10, EU:C:2011:864) in cui la Corte fa riferimento alla «legittimità», all’«invalidità» o alla «validità di un atto dell’Unione, quale la direttiva 2008/101». Il corsivo è mio.

( 51 ) V. punti 23 e 24 delle sue risposte ai quesiti scritti posti dalla Corte.

( 52 ) V., in tal senso, la distinzione fra il controllo di validità degli accordi internazionali conclusi dall’Unione (anche alla luce del diritto internazionale al quale rinvia l’articolo 3, paragrafo 5, TUE) e il controllo di validità degli atti interni dell’Unione alla luce del diritto internazionale operata in Lenaerts, K., Maselis, I., e Gutman, K., EU Procedural Law, Oxford University Press, Oxford, 2014, §§ 10.05 e 10.08.

( 53 ) V. articoli da 3 a 6 della Carta delle Nazioni Unite.

( 54 ) Per la nozione di obblighi erga omnes, v. parere consultivo del 9 luglio 2004 sulle conseguenze giuridiche della costruzione di un muro nei territori palestinesi occupati (CIJ Recueil 2004, pag. 136, punto 155). Tale nozione è stata riconosciuta anche dalla Corte al punto 88 della sentenza del 21 dicembre 2016, Consiglio/Front Polisario (C‑104/16 P, EU:C:2016:973).

( 55 ) Parere 2/15 (Accordo di libero scambio con Singapore), del 16 maggio 2017 (EU:C:2017:376, punto 298 e giurisprudenza ivi citata).

( 56 ) V., in tal senso, ordinanza del 30 aprile 1999, Pescados Congelados Jogamar/Commissione (T‑311/97, EU:T:1999:89, punto 12): «Con lettera del 29 luglio 1997, nonché in occasione di una riunione tenutasi lo stesso giorno tra il signor Gallimore, incaricato d’affari della delegazione della Commissione a Rabat, e il signor Rhanmi, segretario generale del ministero della Pesca marocchino, le autorità [dell’Unione] hanno convocato una seduta straordinaria della commissione mista prevista all’articolo 10 dell’accordo [di pesca UE‑Marocco del 1996]. [Tale invito è stato più volte reiterato]. Tuttavia, le autorità marocchine hanno sempre respinto l’invito, ritenendo che non si fosse in presenza di una violazione dell’accordo». Il corsivo è mio.

( 57 ) Articolo 3, paragrafo 5, TUE. Il corsivo è mio. V. anche articolo 21, paragrafo 1, primo comma, TUE, articolo 21, paragrafo 2, lettere b) e c), TUE, articoli 23 TUE e 205 TFUE. La Corte ha dichiarato che lungi dall’essere programmatiche, tali disposizioni impongono, tra l’altro, il rispetto dei diritti dell’uomo e del diritto internazionale «a qualsiasi azione dell’Unione, compreso nel settore della PESC» (v. sentenza del 14 giugno 2016, Parlamento/Consiglio,C‑263/14, EU:C:2016:435, punto 47).

( 58 ) Sentenza del 9 agosto 1994, Francia/Commissione (C‑327/91, EU:C:1994:305, punto 16).

( 59 ) V. Conformità al diritto internazionale della Dichiarazione unilaterale di indipendenza del Kosovo, parere consultivo (CIJ Recueil 2010, pag. 403, punto 79).

( 60 ) Per un’interpretazione particolarmente flessibile di tale condizione ma non effettivamente suffragata dal testo del punto 107 di detta sentenza, v. Lenaerts, K., «Direct applicability and direct effect of international law in the EU legal order» pubblicato in Govaere, I., Lannon, E., van Elsuwege, P., e Adam, S. (a cura di), The European Union in the World: Essays in Honour of Marc Maresceau, Brill, Leida, 2013, pagg. da 45 a 64, in particolare pag. 61.

( 61 ) Il criterio è molto simile a quello della legittimazione e dell’interesse ad agire che, in un rinvio pregiudiziale, dovrebbero essere valutati, a mio avviso, solo con riferimento al diritto nazionale.

( 62 ) Sentenza del 21 dicembre 2011, Air Transport Association of America e a. (C‑366/10, EU:C:2011:864, punto 110).

( 63 ) Sentenza del 21 dicembre 2011, Air Transport Association of America e a. (C‑366/10, EU:C:2011:864, punto 110).

( 64 ) Sentenza del 3 settembre 2008, Kadi e Al Barakaat International Foundation/Consiglio e Commissione (C‑402/05 P e C‑415/05 P, EU:C:2008:461, punto 283 e giurisprudenza ivi citata). Il corsivo è mio. Il fatto che, nel 2009, la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea sia divenuta obbligatoria non esclude la pertinenza del riferimento ai trattati internazionali che vincolano tutti gli Stati membri.

( 65 ) Recueil des traités des Nations unies, vol. 993, pag. 3.

( 66 ) Recueil des traités des Nations unies, vol. 999, pag. 171.

( 67 ) Il corsivo è mio.

( 68 ) V. punto 1 della Dichiarazione sulla concessione dell’indipendenza ai paesi ed ai popoli coloniali approvata con la risoluzione dell’Assemblea generale dell’ONU 1514 (XV) del 20 dicembre 1960; parere n. 2 della Commissione arbitrale della Conferenza europea per la pace in Jugoslavia [composta dai sigg. Robert Badinter, presidente del Conseil constitutionnel (Consiglio costituzionale, Francia), Roman Herzog, presidente della Bundesverfassungsgericht (Corte costituzionale federale Germania), Aldo Corasaniti, presidente della Corte costituzionale (Italia), Francisco Tomás y Valiente, presidente del Tribunal Constitucional (Corte costituzionale, Spagna) e dalla sig.ra Irène Pétry (presidente della Corte arbitrale belga)], 1993, International Law Reports, vol. 92, pagg. da 168 a 169, punti 2 e 3; Gros‑Espiell, H., Le droit à l’autodétermination. Application des résolutions de l’ONU, 1980, E/CN.4/Sub.2/405/Rev.1., punto 57); Doehring, K., «Self‑Determination», pubblicato in Simma, B. (a cura di), The Charter of the United Nations: A Commentary, 2a ed., Oxford University Press, Oxford, 2002, vol. 1, pagg. da 48 a 53; Dobelle, J.‑F., «Article 1, paragraphe 2», pubblicato in Cot, J.‑P., Pellet, A., e Forteau, M., La Charte des Nations unies: commentaire article par article, 3a ed., Economica, Parigi, 2005, pagg. da 337 a 356, in particolare da pagg. da 340 a 341; Dinstein, Y., The International Law of Belligerent Occupation, Cambridge University Press, Cambridge, 2009, pag. 51; Saxer, U., Die international Steuerung der Selbstbestimmung und der Staatssentstehung, Springer, Heidelberg, 2010, pagg. da 238 a 249; Oeter, S., «Self‑Determination», pubblicato in Simma, B., Khan, D.‑E., Nolte, G., e Paulus, A. (a cura di), The Charter of the United Nations: A Commentary, 3a ed., Oxford University Press, Oxford, 2012, vol. I, pagg. da 313 a 333, in particolare pag. 322. Crawford, J., «Third Party Obligations with respect to Israeli Settlements in the Occupied Palestinian Territories», parere giuridico del 24 gennaio 2012, punto 26, disponibile sul sito Internet (https://www.tuc.org.uk/sites/default/files/tucfiles/LegalOpinionIsraeliSettlements.pdf).

( 69 ) Probabilmente tradotto dal termine «subjugation».

( 70 ) V. Conformità al diritto internazionale della Dichiarazione unilaterale di indipendenza del Kosovo, parere consultivo (CIJ Recueil 2010, pag. 403, punto 79 e giurisprudenza ivi citata).

( 71 ) V. Conformità al diritto internazionale della Dichiarazione unilaterale di indipendenza del Kosovo, parere consultivo, CIJ Recueil 2010, pag. 403, punto 79.

( 72 ) V. Timor Est (Portogallo c. Australia), sentenza, CIJ Recueil 1995, pag. 90, punto 29, e Conseguenze giuridiche della costruzione di un muro nei territori palestinesi occupati, parere consultivo (CIJ, Recueil 2004, pag. 136, punti 88 e 156).

( 73 ) V., ad esempio, articolo 1, paragrafo 2, della Carta delle Nazioni Unite e articolo 1 comune al PIDESC e al PIDCP.

( 74 ) Punto 88 di detta sentenza.

( 75 ) Punto 89 di detta sentenza.

( 76 ) «I fini delle Nazioni Unite sono: (…) [s]viluppare tra le nazioni relazioni amichevoli fondate sul rispetto del principio dell’eguaglianza dei diritti e dell’autodecisione dei popoli, e prendere altre misure atte a rafforzare la pace universale; (…)». Il corsivo è mio.

( 77 ) Il corsivo è mio. L’uso del participio «vincolato» è significativo in quanto l’Unione non è parte della Carta delle Nazioni Unite.

( 78 ) V. titolo VIII rubricato «Eguaglianza dei diritti ed autodeterminazione dei popoli».

( 79 ) V. Conseguenze giuridiche della costruzione di un muro nei territori palestinesi occupati, parere consultivo (CIJ Recueil 2004, pag. 136, punti 121 e 122).

( 80 ) V. Conformità al diritto internazionale della Dichiarazione unilaterale di indipendenza del Kosovo, parere consultivo (CIJ Recueil 2010, pag. 403, punto 79 e giurisprudenza ivi citata).

( 81 ) V. paragrafi da 102 a 103 delle presenti conclusioni, nonché Conseguenze giuridiche della costruzione di un muro nei territori palestinesi occupati, parere consultivo (CIJ Recueil 2004, pag. 136, punto 88).

( 82 ) V. Conseguenze giuridiche per gli Stati della presenza continua del Sudafrica in Namibia (Africa del Sud‑Ovest) nonostante la risoluzione 276 (1970) del Consiglio di sicurezza, parere consultivo (CIJ Recueil 1971, pag. 16, punto 52); Sahara occidentale, parere consultivo (CIJ Recueil 1975, pag. 12, punti da 55 a 58), e Conseguenze giuridiche della costruzione di un muro nei territori palestinesi occupati, parere consultivo (CIJ Recueil 2004, pag. 136, punto 88). V. anche, in tal senso, Oeter, S., «Self‑Determination», pubblicato in Simma, B., Khan, D.‑E., Nolte, G., e Paulus A. (a cura di), The Charter of the United Nations: A Commentary, 3a ed., Oxford University Press, Oxford, 2012, vol. I, pagg. da 313 a 333, in particolare pagg. 320 e 321, e Dobelle, J.‑F., «Article 1, paragraphe 2», pubblicato in Cot, J.‑P., Pellet, A., e Forteau, M., La Charte des Nations unies: commentaire article par article, 3a ed., Economica, Parigi, 2005, pagg. da 337 a 356.

( 83 ) V. anche, in tal senso, sentenza del 21 dicembre 2016, Consiglio/Front Polisario (C‑104/16 P, EU:C:2016:973, punti da 90 a 92).

( 84 ) V. Sahara occidentale, parere consultivo (CIJ Recueil 1975, pag. 12) e sentenza del 21 dicembre 2016, Consiglio/Front Polisario (C‑104/16 P, EU:C:2016:973).

( 85 ) V. Timor Est (Portogallo c. Australia), sentenza (CIJ Recueil 1995, pag. 90, punto 29), e Conseguenze giuridiche della costruzione di un muro nei territori palestinesi occupati, parere consultivo (CIJ, Recueil 2004, pag. 136, punti 88 e 156).

( 86 ) Conseguenze giuridiche della costruzione di un muro nei territori palestinesi occupati, parere consultivo (CIJ, Recueil 2004, pag. 136, punto 155). V. anche, in tal senso, Barcelona Traction, Light and Power Company, Limited, seconda fase, sentenza (CIJ Recueil 1970, pag. 32, punto 33).

( 87 ) Conseguenze giuridiche della costruzione di un muro nei territori palestinesi occupati, parere consultivo (CIJ, Recueil 2004, pag. 136, punto 159). A mio avviso, tale obbligo di non riconoscimento è, di per sé, un principio di diritto internazionale che soddisfa i criteri di invocabilità enunciati al paragrafo 96 delle presenti conclusioni.

( 88 ) V. sentenza del 25 giugno 1985 n. 1981 della Corte suprema di cassazione (Italia) nella causa Yasser Arafat, Rivista di Diritto Internazionale, 1986, pagg. da 885 a 889; ordinanza del 26 ottobre 2004 del Bundesverfassungsgericht (Corte costituzionale federale, Germania), 2 BvR 955/00, 1038/01, punto 97; parere individuale del sig. Ammoun, vicepresidente, Conseguenze giuridiche per gli Stati della presenza continua del Sudafrica in Namibia (Africa del Sud‑Ovest) nonostante la risoluzione 276 (1970) del Consiglio di sicurezza, parere consultivo (CIJ Recueil 1971, pagg. 16, 77 e 78); Commissione di diritto internazionale, «Projet d’articles sur le droit des traités et commentaires», Annuaire de la Commission du droit international, 1966, vol. II, pag. 270 [pag. 248 nella versione inglese]; Commissione di diritto internazionale, «Projet d’articles sur la responsabilité de l’État pour fait internationalement illicite et commentaires», Annuaire de la Commission du droit international, 2001, vol. II, seconda parte, pag. 91 [pag. 85 nella versione inglese]; punto 3.2 della relazione scritta del Regno dei Paesi Bassi, Conformità al diritto internazionale della Dichiarazione unilaterale di indipendenza del Kosovo, parere consultivo (CIJ Recueil 2010, pag. 403); Cassese, A., Self‑Determination of Peoples: A Legal Reappraisal, Cambridge University Press, Cambridge, 2005, pagg. 133 e 136; Raič, D., Statehood and the Law of Self-Determination, Kluwer Law International, Alphen aan den Rijn, 2012, pagg. 218 e 219; Oeter, S., «Self‑Determination», pubblicato in Simma, B., Khan, D.‑E., Nolte, G., e Paulus, A. (a cura di), The Charter of the United Nations: A Commentary, 3a ed., Oxford University Press, Oxford, 2012, vol. I, pagg. da 313 a 333, in particolare pag. 316.

( 89 ) V. CIJ Mémoires, Sahara occidentale, vol. I, pag. 207, punto 344.

( 90 ) V. CIJ Mémoires, Sahara occidentale, vol. V, pag. 179. Il Regno del Marocco ha insistito sull’integrità del suo territorio per fondare la propria rivendicazione del territorio del Sahara occidentale, ma la Corte internazionale di giustizia ha respinto la sua tesi, dichiarando che il popolo del Sahara occidentale aveva il pieno godimento del diritto all’autodeterminazione.

( 91 ) La giurisprudenza della Corte internazionale di giustizia, citata al paragrafo 127 delle presenti conclusioni, fa altresì riferimento all’obbligo degli Stati di garantire che si ponga fine agli ostacoli all’esercizio del diritto di un popolo all’autodeterminazione. Non è necessario che vi faccia riferimento in questa sede.

( 92 ) V. risoluzione 1803 (XVII) dell’Assemblea generale dell’ONU.

( 93 ) V. Attività militari sul territorio del Congo (Repubblica democratica del Congo c. Uganda), sentenza (CIJ Recueil 2005, pag. 168 punto 244).

( 94 ) S/2002/161, punto 14.

( 95 ) S/2002/161, punto 14.

( 96 ) S/2002/161, punto 24.

( 97 ) S/2002/161, punto 25.

( 98 ) V. punti 27, 44.1 e 47.4 della domanda di pronuncia pregiudiziale, nonché punti 40, 43, 48 e 49 della sentenza del 19 ottobre 2015 nella causa Western Sahara Campaign UK, R (on the application of) v HM Revenue and Customs [2015] EWHC 2898 (Admin).

( 99 ) V. paragrafi da 234 a 255 delle presenti conclusioni.

( 100 ) V. paragrafo 238 delle presenti conclusioni.

( 101 ) V. paragrafo 127 delle presenti conclusioni.

( 102 ) V. punti 87, 92, 93, 97, da 106 a 108, 114, 116, 123 e 125.

( 103 ) V. paragrafi da 60 a 74 delle presenti conclusioni.

( 104 ) V., in tal senso, sentenza del 9 ottobre 2014, Ahlström e a. (C‑565/13, EU:C:2014:2273, punto 33).

( 105 ) V. articolo 1 comune al PIDESC e al PIDCP, punto 2 della risoluzione 1514 (XV) dell’Assemblea generale dell’ONU e titolo VIII dell’Atto finale di Helsinki del 1975.

( 106 ) V. Conseguenze giuridiche della costruzione di un muro nei territori palestinesi occupati, parere consultivo (CIJ Recueil 2004, pag. 136, punto 159).

( 107 ) Per un’esposizione completa dei fatti, v. Relazione del comitato speciale incaricato di studiare la situazione riguardo all’applicazione della Dichiarazione sulla concessione dell’indipendenza ai paesi ed ai popoli coloniali (A/31/23/Rev.1), Documents officiels de l’Assemblée générale, 1977, vol. II, pagg. da 203 a 225; Relazione del comitato speciale incaricato di studiare la situazione riguardo all’applicazione della Dichiarazione sulla concessione dell’indipendenza ai paesi ed ai popoli coloniali (A/31/23/Rev.1), Documents officiels de l’Assemblée générale, 1980, vol. II, pagg. da 105 a 117.

( 108 ) V. punti da 12 a 18 della sentenza del 19 ottobre 2015 nella causa Western Sahara Campaign UK, R (on the application of) v HM Revenue and Customs [2015] EWHC 2898 (Admin).

( 109 ) L’idea di un referendum non è stata accolta con entusiasmo dal Regno del Marocco. Nel corso di una colloquio privato con il sig. Kissinger, Segretario di Stato degli Stati Uniti, il re del Marocco, Hassan II, gli ha dichiarato quanto segue: «Ho detto [al Ministro spagnolo degli Affari esteri] che sono d’accordo sul fatto che la Spagna resti, ma non sono d’accordo sul fatto che il Sahara occidentale diventi indipendente. Preferisco la presenza della Spagna all’autodeterminazione per 30000 persone». Il sig. Kissinger ha risposto: «[Il presidente algerino] mi ha chiesto ieri che cosa ne pensassi e ho detto: autodeterminazione per 30‑40 000 persone che non sanno neppure dove abitano?». V. memorandum di conversazione (Rabat, 15 ottobre 1974, 13:15), pubblicato in Burton, M.F., Foreign Relations of the United States, 1969‑1976, United States Government Printing Office, Washington, 2014, vol. E‑9, parte 1 (Documenti sul Nordafrica, 1973–1976), pagg. da 258 a 261, in particolare pag. 258.

( 110 ) V. relazione del 10 ottobre 1975 della Missione di visita delle Nazioni Unite nel Sahara spagnolo, pubblicata nella «Relazione del comitato speciale incaricato di studiare la situazione riguardo all’applicazione della Dichiarazione sulla concessione dell’indipendenza ai paesi ed ai popoli coloniali» (A/10023/Rev.1), Documents officiels de l’Assemblée générale, 1977, vol. III, pagg. da 12 a 133, punto 229.

( 111 ) V. Sahara occidentale, parere consultivo (CIJ Recueil 1975, pag. 12, punto 162).

( 112 ) V. Sahara occidentale, parere consultivo (CIJ Recueil 1975, pag. 12, punto 162).

( 113 ) V. punto 30 della sentenza del 21 dicembre 2016, Consiglio/Front Polisario (C‑104/16 P, EU:C:2016:973).

( 114 ) V. risoluzione 379 (1975) del 2 novembre 1975 del Consiglio di sicurezza dell’ONU.

( 115 ) Istituita nel 1967 dall’amministrazione spagnola, la Djemââ era un organo consultivo composto da 103 membri tra i quali i sindaci di città importanti, 40 capitribù (sceicchi), 40 rappresentanti di gruppi familiari e 16 rappresentanti di gruppi professionali. V. relazione del 10 ottobre 1975 della Missione di visita delle Nazioni Unite nel Sahara spagnolo, pubblicata nella «Relazione del comitato speciale incaricato di studiare la situazione riguardo all’applicazione della Dichiarazione sulla concessione dell’indipendenza ai paesi ed ai popoli coloniali» (A/10023/Rev.1), Documents officiels de l’Assemblée générale, 1977, vol. III, pagg. da 12 a 133, punti da 126 a 142.

( 116 ) V. relazione dell’8 novembre 1975, redatta dal Segretario generale in applicazione della risoluzione 379 (1975) sulla situazione relativa al Sahara occidentale (S/11874), punto 17. V. anche verbale della 1854a sessione del Consiglio di sicurezza che ha avuto luogo il 6 novembre 1975 (S/PV.1854), punti 47 e 48.

( 117 ) Recueil des traités des Nations unies, vol. 988, pag. 259.

( 118 ) Secondo i termini di tali accordi, le delegazioni spagnola, marocchina e mauritana hanno convenuto il riconoscimento di diritti di pesca nelle acque adiacenti al Sahara occidentale a favore di 800 pescherecci spagnoli per un periodo di 20 anni alle stesse condizioni esistenti il 14 novembre 1975. V. Cortes, Diario de sesiones del Congreso de los diputados, 1978, n. 15, pag. 498 (discorso del sig. Manuel Marín González, deputato del Partido Socialista Obrero Español, successivamente vicepresidente e presidente ad interim della Commissione europea). V. anche, in tal senso, Dessaints, J., «Chronique politique Maroc», Annuaire de l’Afrique du Nord, 1975, vol. 14, pagg. da 457 a 476, in particolare pag. 463; Alemany Torres, F., «Acuerdo de pesca con Marruecos», El País, 8 febbraio 1978.

( 119 ) V. Cortes, Diario de sesiones del Congreso de los diputados, 1978, n. 15, pagg. 522 e 546.

( 120 ) V. Cortes, Diario de sesiones del Congreso de los diputados, 1978, n. 15, pag. 546.

( 121 ) V. dispaccio 1975MADRID08029 del 15 novembre 1975 dell’ambasciatore W. Stabler al Ministro H. Kissinger («Anche [il Ministro, il sig. Esteban] Herrera, ha affermato che sono stati elaborati “accordi quadro” con il Marocco e la Mauritania su altre materie pertinenti: (…) e i diritti di pesca»); dispaccio 1975STATE276309 del 21 novembre 1975 del Ministro H. Kissinger, alla Missione permanente degli Stati Uniti d’America presso l’ONU («[secondo l’ambasciatore marocchino, il sig. Abdelhadi Boutaleb] copia dell’accordo sarà depositato dai firmatari presso il Segretario generale [dell’ONU] K. Waldheim, ma la versione depositata non conterrà gli accordi accessori che conferiscono alla Spagna diritti di pesca nelle acque del Sahara occidentale e il 35% di partecipazione spagnola nelle miniere di fosfato»). I dispacci diplomatici sono disponibili sul sito Internet https://wikileaks.org/.

( 122 ) V. «Documento storico di El Guelta (Sahara occidentale) firmato il 28 novembre 1975 da 67 membri dell’Assemblea generale saharawi, da 3 membri saharawi delle Cortes (Parlamento spagnolo), dai rappresentanti degli altri membri della Djemââ e da più di 60 Chioukh e notabili delle tribù saharawi», allegato alla lettera del 9 dicembre 1975, inviata al Segretario generale dell’ONU dal rappresentante permanente dell’Algeria presso l’ONU (S/11902).

( 123 ) V. risoluzioni 3458 A e B (XXX) del 10 dicembre 1975.

( 124 ) V. paragrafo 8 di tale risoluzione.

( 125 ) V. paragrafo 1 di tale risoluzione.

( 126 ) V. paragrafo 3 di tale risoluzione.

( 127 ) V. paragrafo 4 di tale risoluzione.

( 128 ) I nove Stati membri dell’epoca più il Regno di Spagna e la Repubblica di Malta.

( 129 ) La Repubblica di Bulgaria, la Repubblica ceca e la Repubblica slovacca che all’epoca formavano la Cecoslovacchia, la Repubblica di Cipro, la Repubblica di Polonia, nonché a Repubblica slovena e la Repubblica di Croazia (quali Stati federali della Jugoslavia) e l’Estonia, la Repubblica di Lettonia e la Repubblica di Lituania (quali Stati federali dell’URSS).

( 130 ) La Repubblica ellenica, l’Ungheria, la Repubblica d’Austria, la Repubblica portoghese, la Finlandia e il Regno di Svezia.

( 131 ) La Romania.

( 132 ) Paragrafo 1 della risoluzione 3458 A (XXX). V. anche, in tal senso, paragrafo 2 della risoluzione 3458 B (XXX).

( 133 ) V. paragrafo 7 della risoluzione 3458 A (XXX) e paragrafo 4 della risoluzione 3458 B (XXX).

( 134 ) V. paragrafi 7 e 8 di tale risoluzione.

( 135 ) V. paragrafo 4 di tale risoluzione.

( 136 ) V. «Relazione del comitato speciale incaricato di studiare la situazione riguardo all’applicazione della Dichiarazione sulla concessione dell’indipendenza ai paesi ed ai popoli coloniali» (A/31/23/Rev.1), Documents officiels de l’Assemblée générale, 1977, vol. II, pagg. da 203 a 225, punto 44; Dessaints, J., «Chronique politique Maroc», Annuaire de l’Afrique du Nord, 1975, vol. 14, pagg. da 457 a 476, in particolare, pag. 464.

( 137 ) V. Keesing’s Record of World Events, 13 febbraio 1976, pag. 27746.

( 138 ) «Relazione del comitato speciale incaricato di studiare la situazione riguardo all’applicazione della Dichiarazione sulla concessione dell’indipendenza ai paesi ed ai popoli coloniali» (A/31/23/Rev.1), Documents officiels de l’Assemblée générale, 1977, vol. II, pagg. da 203 a 225, punto 45.

( 139 ) Ciò non risulta del tutto esatto. Il Regno di Spagna continua infatti ad amministrare lo spazio aereo del Sahara occidentale, che fa parte del settore «OCE» della «regione di informazione di volo» [Flight Information Region (FIR)] delle isole Canarie. V. cartine pubblicate sul sito Internet dell’ENAIRE (http://www.enaire.es/csee/ccurl/130/603/fir_canarias.swf).

( 140 ) Lettera del 26 febbraio 1976, inviata al Segretario generale dal rappresentante permanente della Spagna presso l’ONU (S/11997).

( 141 ) Mozione del 27 febbraio 1976 votata dalla Djemââ, Annuaire de l’Afrique du Nord, 1976, vol. 15, pagg. 847 e 848. Con il suo messaggio al Segretario generale dell’ONU, il sig. Khatri Ould Said a Ould El Jomaini, presidente della Djemââ, gli annunciava che «la Djemââ saharawi, riunita in sessione straordinaria in data odierna, giovedì 26 febbraio 1976, a El Aaiun, ha approvato all’unanimità la reintegrazione del [t]erritorio del Sahara nel territorio del Marocco e della Mauritania conformemente alle realtà storiche e ai vincoli che hanno sempre unito la popolazione saharawi a questi due paesi». V. «Relazione del comitato speciale incaricato di studiare la situazione riguardo all’applicazione della Dichiarazione sulla concessione dell’indipendenza ai paesi ed ai popoli coloniali» (A/31/23/Rev.1), Documents officiels de l’Assemblée générale, 1977, vol. II, pagg. da 203 a 225, punto 51.

( 142 ) Secondo il Segretario di Stato degli Stati Uniti, il sig. Cyrus Vance, «Waldheim [mi] ha detto che (…) il re Hassan ritiene che il problema sia stato risolto e che il criterio dell’autodeterminazione sia stato soddisfatto con la consultazione dell’Assemblea saharawi. Tuttavia, né la Spagna né l’Algeria accettano tale posizione, precisando al contempo che [il re] Hassan ha consultato soltanto un’assemblea superstite composta da tirapiedi marocchini [a rump assembly consisting of Moroccan stooges]». V. telegramma del Segretario di Stato Vance all’ambasciata degli Stati Uniti in Marocco del 20 maggio 1977, pubblicato in Burton, M.F., Foreign Relations of the United States, 1977‑1980, United States Government Printing Office, Washington, 2017, vol. XVII, parte 3 (Documenti sul Nordafrica), pagg. da 507 a 508, in particolare pag. 508.

( 143 ) La stessa questione è stata riproposta in seno al Parlamento spagnolo in occasione del dibattito sulla ratifica dell’accordo di pesca tra il Regno di Spagna e il Regno del Marocco del 1977 nel corso del quale il Ministro degli Affari esteri del Regno di Spagna, il sig. Oreja Aguirre, ha affermato che la Spagna non riconosceva la sovranità del Regno del Marocco sul Sahara occidentale e che il processo di decolonizzazione del Sahara occidentale sarebbe stato completato solo nel momento in cui il popolo originario di tale territorio avrebbe esercitato il suo diritto all’autodeterminazione conformemente alla risoluzione 1514 (XV) dell’Assemblea generale dell’ONU.V. Cortes, Diario de sesiones del Congreso de los diputados, 1978, n. 15, pagg. 522 e 523. V. anche, in tal senso, «Contestacíon del Gobierno a la pregunta formulada por don Gregorio Lopez Raimundo, del Grupo Parlamentario Mixto del, sobre política espanola hacia el Sahara», Boletin oficial de las Cortes generales, Série D, 23 settembre 1983, pagg. 223 e 224.

( 144 ) «Relazione del comitato speciale incaricato di studiare la situazione riguardo all’applicazione della Dichiarazione sulla concessione dell’indipendenza ai paesi ed ai popoli coloniali» (A/31/23/Rev.1), Documents officiels de l’Assemblée générale, 1977, vol. II, pagg. da 203 a 225, punto 46.

( 145 ) V. Convenzione relativa ai confini internazionali stabiliti tra la Repubblica islamica di Mauritania e il Regno del Marocco, firmata a Rabat il 14 aprile 1976, Annuaire de l’Afrique du Nord, 1976, vol. 15, pagg. 848 e 849.

( 146 ) V. paragrafo 73 delle presenti conclusioni e documenti ivi citati. Il 14 aprile 1976 il Regno del Marocco e la Repubblica islamica di Mauritania hanno firmato l’accordo di cooperazione per la valorizzazione dei territori sahariani recuperati (Annuaire de l’Afrique du Nord, 1976, vol. 15, pagg. 849 e 850) che prevedeva la partecipazione della Repubblica islamica di Mauritania nel capitale sociale della Società Fos Bucraâ (che sfruttava i fosfati del Sahara occidentale) e una cooperazione nel settore della pesca.

( 147 ) V. lettera del 23 maggio 1979 inviata dall’incaricato d’affari ad interim della Missione permanente della Mauritania presso l’ONU al suo Segretario generale (A/34/276).

( 148 ) «Relazione del comitato speciale incaricato di studiare la situazione riguardo all’applicazione della Dichiarazione sulla concessione dell’indipendenza ai paesi ed ai popoli coloniali» (A/34/23/Rev.1), Documents officiels de l’Assemblée générale, 1977, vol. II, pagg. da 105 a 117», punto 32. Secondo tale relazione, «il re Hassan II ha dichiarato che “la soluzione di pace adottata non dovrà (…) comportare la creazione di uno Stato estero tra il Marocco e la Mauritania”» (punto 32).

( 149 ) V. accordo mauritano‑saharawi, firmato ad Algeri il 10 agosto 1979, allegato alla lettera del 18 agosto 1979, inviata al Segretario generale dell’ONU dal rappresentante permanente della Repubblica islamica di Mauritania presso l’ONU (A/34/427).

( 150 ) V. Hodges, T., «The Western Sahara», Chicago Review Press, Chicago, 1984, pag. 12.

( 151 ) V. paragrafo 73 delle presenti conclusioni e documenti ivi citati.

( 152 ) 85 Stati hanno votato a favore, 6 contro, 41 si sono astenuti e 20 non hanno votato. Gli Stati membri attuali dell’Unione hanno votato a favore o si sono astenuti. V. anche, in tal senso, il paragrafo 3 della risoluzione 35/19 dell’Assemblea generale dell’ONU (88 Stati hanno votato a favore, 8 contro, 43 si sono astenuti e 15 non hanno votato).

( 153 ) V. risoluzione 621 (1988) del 20 settembre 1988 del Consiglio di sicurezza dell’ONU e risoluzione 43/33 del 22 novembre 1988 dell’Assemblea generale dell’ONU.

( 154 ) Relazione del 10 aprile 2017 del Segretario generale dell’ONU sulla situazione del Sahara occidentale (S/2017/307), punto 82.

( 155 ) Osservo con interesse che, dopo la cessazione dalle sue funzioni, l’ambasciatore dei Paesi Bassi, il sig. Peter van Walsum, inviato speciale dell’ONU per il Sahara occidentale (2005‑2008) ha riconosciuto che «in base al parere consultivo della Corte internazionale di giustizia, il Front Polisario occupa la posizione più forte nel diritto internazionale». V. van Walsum, P., «The question of Western Sahara», 16 dicembre 2012, e «The question of Western Sahara (II)», 7 febbraio 2013, pubblicati sul suo sito Internet http://www.petervanwalsum.com/the-question-of-western-sahara/.

( 156 ) V. principio VI della risoluzione 1541 (XV) dell’Assemblea generale dell’ONU.

( 157 ) V. paragrafi 3 e 4 della risoluzione 1514 (XV) dell’Assemblea generale dell’ONU; Bedjaoui, M., «Article 73», pubblicato in Cot, J.‑P., Pellet, A., e Forteau, M., La Charte des Nations unies: commentaire article par article, 3a ed., Economica, Parigi, 2005, pagg. da 1751 a 1767, in particolare pag. 1761; Fastenrath, U., «Chapter XI Declaration Regarding Non‑self‑governing Territories», pubblicato in Simma, B., Khan, D.‑E., Nolte, G., e Paulus, A. (a cura di), The Charter of the United Nations: A Commentary, 3a ed., Oxford University Press, Oxford, 2012, vol. II, pagg. da 1829 a 1839, in particolare pagg. 1834 e 1835.

( 158 ) V. risoluzione 2351 (2017) del Consiglio di sicurezza dell’ONU che «ricord[a] e riafferm[a] tutte le sue precedenti risoluzioni sul Sahara occidentale» et «decide di prorogare il mandato della [Missione delle Nazioni Unite per l’organizzazione di un referendum nel Sahara occidentale (MINURSO)]». V. anche, in tal senso, risoluzione 2229 (XXI) del 20 dicembre 1966 dell’Assemblea generale dell’ONU, paragrafi 4 e 5; risoluzione 621 (1988) del 20 settembre 1988 del Consiglio di sicurezza dell’ONU, paragrafo 2, nonché la risoluzione 43/33 del 22 novembre 1988 dell’Assemblea generale dell’ONU.

( 159 ) V. Crawford, J., «Third Party Obligations with respect to Israeli Settlements in the Occupied Palestinian Territories», parere giuridico del 24 gennaio 2012, punto 131, disponibile sul sito Internet (https://www.tuc.org.uk/sites/default/files/tucfiles/LegalOpinionIsraeliSettlements.pdf).

( 160 ) V. Conseguenze giuridiche della costruzione di un muro nei territori palestinesi occupati, parere consultivo (CIJ, Recueil 2004, pag. 136, punto 159).

( 161 ) Causa Vapeur Wimbledon (Regno Unito e a. c. Germania), sentenza del 17 agosto 1923 (CPJI Série A, n. 1, pag. 25).

( 162 ) Delimitazione marittima e questioni territoriali tra Qatar e Bahrein, decisione nel merito, sentenza (CIJ Recueil 2001, pag. 40, punto 185). V. anche, in tal senso, Piattaforma continentale del Mare del Nord, sentenza (CIJ Recueil 1969, pag. 3, punto 96); Piattaforma continentale del Mare Egeo, sentenza (CIJ Recueil 1978, pag. 3, punto 86); Delimitazione marittima nel Mar Nero (Romania c. Ucraina), sentenza (CIJ Recueil 2009, pag. 61, punto 77), nonché Disputa territoriale e marittima (Nicaragua c. Colombia), sentenza (CIJ Recueil 2012, pag. 624, punto 140).

( 163 ) Disputa territoriale e marittima (Nicaragua c. Colombia), sentenza (CIJ Recueil 2012, pag. 624, punto 140 e giurisprudenza ivi citata).

( 164 ) V., in tal senso, paragrafo 73 delle presenti conclusioni e normativa marocchina ivi citata.

( 165 ) Discorso di Sua Maestà Re Mohammed VI in occasione del 39° anniversario della marcia verde, 6 novembre 2014, disponibile sul sito Internet (http://www.sahara.gov.ma/blog/messages-royaux/discours-de-sa-majeste-le-roi-mohammed-vi-a-loccasion-du-39eme-anniversaire-de-la-marche-verte/).

( 166 ) Secondo il significato che tale termine assume nell’esercizio del diritto all’autodeterminazione. V. principi VI, VIII e IX che devono guidare gli Stati membri dell’ONU nel determinare se l’obbligo di comunicare informazioni, previsto all’articolo 73, comma e), della Carta della Nazioni Unite, sia ad essi applicabile, approvati dalla risoluzione 1541 (XV) dell’Assemblea generale dell’ONU (v. paragrafi 117 e 118 delle presenti conclusioni).

( 167 ) V. Timor Est (Portogallo c. Australia), sentenza (CIJ, Recueil 1995, pag. 90, punto 17) (il corsivo è mio). V. anche punto 69 del controricorso del Commonwealth d’Australia depositato in tale causa. La Corte internazionale di giustizia non ha statuito nel merito di tale causa, dichiarando che il fatto che la Repubblica d’Indonesia fosse terza rispetto alla controversia non le consentiva di esercitare la propria competenza.

( 168 ) V. Sahara occidentale, parere consultivo (CIJ Recueil 1975, pag. 12, punti da 108 a 127, e, in particolare, punti 109, 110, 113 e 121).

( 169 ) V. Conseguenze giuridiche della costruzione di un muro nei territori palestinesi occupati, parere consultivo (CIJ Recueil 2004, pag. 136, punti 121 e 122).

( 170 ) V. paragrafo 71 delle presenti conclusioni.

( 171 ) Articolo 11 dell’accordo di pesca.

( 172 ) V. Cortes, Diario de sesiones del Congreso de los diputados, 1978, n. 15, pagg. 523, 546 e 547 (discorso del sig. Oreja Aguirre, Ministro degli Affari esteri) sull’accordo di cooperazione in materia di pesca marittima tra il governo del Regno del Marocco e il governo del Regno di Spagna, firmato a Rabat il 17 febbraio 1977, e «Contestacíon del Gobierno a la pregunta formulada por don Gregorio Lopez Raimundo, del Grupo Parlamentario Mixto del, sobre política espanola hacia el Sahara», Boletin oficial de las Cortes generales, Série D, 23 settembre 1983, pag. 224, su tutti gli accordi di pesca conclusi sino ad allora tra il Regno di Spagna e il Regno del Marocco.

( 173 ) Recueil des traités des Nations unies, vol. 1834, pag. 3.

( 174 ) V. decisione 98/392/CE del Consiglio, del 23 marzo 1998 (GU 1998, L 179, pag. 1).

( 175 ) V. articolo 311, paragrafo 1, dell’UNCLOS. Le Convenzioni di Ginevra sul diritto del mare sono costituite dalla Convenzione sul mare territoriale e la zona contigua, firmata a Ginevra, il 29 aprile 1958 (Recueil des traités des Nations unies, vol. 516, pag. 205), dalla Convenzione sull’alto mare, firmata a Ginevra, il 29 aprile 1958 (Recueil des traités des Nations unies, vol. 450, pag. 11), dalla Convenzione sulla pesca e la conservazione delle risorse biologiche dell’alto mare, firmata a Ginevra, il 29 aprile 1958 (Recueil des traités des Nations unies, vol. 559, pag. 258) nonché dalla Convenzione sulla piattaforma continentale, firmata a Ginevra, il 29 aprile 1958 (Recueil des traités des Nations unies, vol. 499, pag. 311).

( 176 ) «V[iste] le disposizioni della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare».

( 177 ) V. articolo 2, paragrafo 1, UNCLOS, a norma del quale «[l]a sovranità dello Stato costiero si estende, al di là del suo territorio e delle sue acque interne nonché, nel caso di uno Stato arcipelago, delle sue acque arcipelagiche, a una zona di mare adiacente, denominata mare territoriale».

( 178 ) V. articolo 55 UNCLOS, a norma del quale «[l]a [ZEE] è la zona al di là del mare territoriale e ad esso adiacente, sottoposta allo specifico regime giuridico stabilito [dagli articoli da 55 a 75 di detta convenzione], in virtù del quale i diritti e la giurisdizione dello Stato costiero, e i diritti e le libertà degli altri Stati, sono disciplinati dalle pertinenti disposizioni della Convenzione». Il corsivo è mio.

( 179 ) V. articoli 8 e 9 del dahir n. 1‑81‑179 dell’8 aprile 1981 di promulgazione della legge n. 1‑81 che istituisce una zona economica esclusiva di 200 miglia marine al largo delle coste marocchine, Bulletin officiel du Royaume du Maroc, n. 3575, pag. 232 e articolo 4 del decreto n. 2‑75‑311 del 21 luglio 1975 che fissa le linee di chiusura delle baie sulle coste marocchine e le coordinate geografiche del limite delle acque territoriali e della zona di pesca esclusiva marocchina, Bulletin officiel du Royaume du Maroc, n. 3276, pag. 996. Secondo tali disposizioni, la ZEE marocchina non si estende a sud del Cap Juby/Pointe Stafford, che corrisponde alla frontiera tra il Regno del Marocco e il Sahara occidentale.

( 180 ) V. «Dominio marittimo: Il Consiglio di governo adotta due progetti di legge», Huffington Post Maroc, 7 luglio 2017, e accessibile sul sito Internet http://www.huffpostmaghreb.com/2017/07/07/loi-domaine-maritime-_n_17422798.html. Secondo il Ministro degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale del Regno del Marocco, l’istituzione di una ZEE al largo delle coste del Sahara occidentale era necessaria per «consolidare la tutela giuridica del Marocco su tali acque e porre fine a tutte le affermazioni che rimettono in discussione la sovranità del Regno su tale spazio».

( 181 ) V. articolo 5, paragrafo 4, dell’accordo di pesca.

( 182 ) V. nota a piè di pagina n. 181.

( 183 ) In tal senso, non comprendo il motivo per cui l’Unione versa al Regno del Marocco diversi milioni di euro all’anno come contropartita finanziaria per poter pescare nelle acque adiacenti al Sahara occidentale sulle quali il Regno del Marocco non ha istituito alcuna zona marittima né, certamente, una ZEE, sebbene gli atti che esso ha depositato presso l’ONU, conformemente all’articolo 75, paragrafo 2, dell’UNCLOS, non includano le acque adiacenti al Sahara occidentale tra le zone marittime marocchine.

( 184 ) V. articolo 56, paragrafo 1, lettera a), dell’UCLOS («[n]ella [ZEE] lo Stato costiero gode di (…) diritti sovrani a fini di esplorazione e di sfruttamento, di conservazione e di gestione delle risorse naturali, biologiche o non biologiche, che si trovano nelle acque soprastanti il fondo del mare, sul fondo del mare e nel relativo sottosuolo (…)»). Il corsivo è mio.

( 185 ) V., ad esempio, articolo 5, paragrafo 4, dell’accordo di partenariato nel settore della pesca tra la Comunità europea e la Repubblica delle Seicelle (GU 2006, L 290, pag. 2); articolo 2, punto a), e articolo 11, dell’accordo di partenariato nel settore della pesca tra la Comunità europea e la Repubblica islamica di Mauritania (GU 2006, L 343, pag. 4); articolo 2, lettera a), e articolo 11, dell’accordo di partenariato nel settore della pesca tra la Comunità europea e la Repubblica di Guinea‑Bissau per il periodo dal 16 giugno 2007 al 15 giugno 2011 (GU 2007, L 342, pag. 5); articolo 2, lettera c), dell’accordo di partenariato nel settore della pesca tra la Repubblica della Costa d’Avorio e la Comunità europea (GU 2008, L 48, pag. 41); articolo 1, lettera f), dell’accordo di partenariato per una pesca sostenibile tra l’Unione europea e la Repubblica del Senegal (GU 2014, L 304, pag. 3).

( 186 ) V. articolo 7 dell’accordo di pesca nonché articolo 3, paragrafi 1, 4 e 5, e articolo 6 del protocollo del 2013. Tali disposizioni non garantiscono che la contropartita finanziaria operi a vantaggio del popolo del Sahara occidentale proporzionalmente alle quantità di catture effettuate nelle acque adiacenti al Sahara occidentale. V. paragrafi da 271 a 285 delle presenti conclusioni.

( 187 ) V. Milano, E., «The New Fisheries Partnership Agreement between the EC and Morocco: Fishing too South?», Anuario español de derecho internacional, 2006, vol. 22, pagg. da 413 a 457, in particolare pagg. da 442 a 447, e Dawidowicz, M., «Trading Fish or Human Rights in Western Sahara? Self‑Determination, Non‑Recognition and the EC‑Morocco Fisheries Agreement», pubblicato in French, D. (a cura di), Statehood, Self‑Dtermination and Minorities: Reconciling Tradition and Modernity in International Law, Cambridge University Press, Cambridge, 2013, pagg. da 250 a 276.

( 188 ) Il giudice del rinvio condivide tale valutazione. Lo stesso dicasi per l’amministrazione tributaria e doganale e per il Ministro per l’Ambiente, l’Alimentazione e gli Affari rurali. V. punti 27 e 44.1, 47.4 dell’ordinanza di rinvio nonché punti 40, 43, 48 e 49 della sentenza del 19 ottobre 2015 nella causa Western Sahara Campaign UK, R (on the application of) v HM Revenue and Customs [2015] EWHC 2898 (Admin). La Commissione non esclude che il Regno del Marocco possa essere considerato potenza occupante del Sahara occidentale. V. punto 43 delle sue risposte ai quesiti scritti posti dalla Corte.

( 189 ) V. paragrafo 192 delle presenti conclusioni. V. Milano, E., «The New Fisheries Partnership Agreement between the EC and Morocco: Fishing too South?», Anuario español de derecho internacional, 2006, vol. 22, pagg. da 413 a 457, in particolare pag. 430.

( 190 ) GU 2011, C 286 E, pag. 1. In base a tale risposta, «[s]econdo la posizione delle Nazioni Unite in materia, alla quale l’Unione aderisce, il Sahara occidentale è considerato un “territorio non autonomo” e il Marocco è de facto la sua potenza amministratrice».

( 191 ) V. Timor Est (Portogallo c. Australia), sentenza, CIJ Recueil 1995, pag. 90, punto 13. In tale causa la Repubblica portoghese aveva sostenuto che, nonostante l’occupazione di Timor Est da parte della Repubblica d’Indonesia, il Commonwealth d’Australia poteva concludere un trattato internazionale applicabile a Timor Est solo con la Repubblica portoghese vista la sua qualità di potenza amministratrice di tale territorio. Non sorprende quindi che, nelle sue osservazioni scritte, depositate nella causa in esame, il governo portoghese non abbia preso posizione sulla validità degli atti contestati limitandosi ad affermare che la loro validità non poteva essere dichiarata in base all’articolo 3, paragrafo 5, TUE e che le norme di diritto internazionale fatte valere dalla WSC non erano invocabili. Tale governo non ha neppure risposto ai quesiti che gli sono stati rivolti dalla Corte, né è comparso in udienza.

( 192 ) V. sentenza del 19 ottobre 2015 nella causa Western Sahara Campaign UK, R (on the application of) v HM Revenue and Customs [2015] EWHC 2898 (Admin), punto 40, e risoluzione 3458 A (XXX) dell’Assemblea generale dell’ONU che non menziona tale accordo e definisce il Regno di Spagna potenza amministratrice. V. anche, in tal senso, Brownlie, I., African Boundaries: a Legal and Diplomatic Encyclopaedia, C. Hurst & Company, Londra, 1979, pagg. da 149 a 158, secondo il quale «[n]el 1976, la Spagna ha trasferito il territorio del Sahara spagnolo al Marocco e alla Mauritania ed è stata predisposta una ripartizione (…) Dato che la legittimità del piano di ripartizione è messa in dubbio ed è priva di base giuridica, le frontiere del Sahara occidentale meritano di essere esaminate» (traduzione libera) (pag. 149) [«In 1976 Spain transferred the territorry of Spanish Sahara to Morocco and Mauritania and a partition was arranged (…) Since the legitimacy of the partition arrangement is in question and lacks a legal basis, the frontiers of Western Sahara merit examination»]. Secondo il medesimo autore, «[è] rischioso accettare il fatto compiuto (se davvero si tratta di questo) stabilito dalla Spagna, dal Marocco e dalla Mauritania fintanto che la situazione politica non evolverà. Il mancato riconoscimento di tale risultato, da parte degli altri Stati, ha un fondamento nel diritto internazionale»] (traduzione libera) (pag. 157) [«Until the political situation evolves further, it is unsafe to accept the fait accompli (if that is what it is) arranged by Spain, Morocco and Mauritania. Non-recognition of the outcome by other States has a basis in International Law»]. V. infine Soroeta Liceras, J., «La posicíon de la Unión Europea en el conflicto del Sahara Occidental, una muestra palpable (más) de la primacía de sus intereses económicos y políticos sobre la promoción de la democracia y de los derechos humanos», Revista de Derecho Comunitario Europeo, 2009, vol. 34, pagg. da 823 a 864, in particolare pag. 832, e Saul, B., «The Status of Western Sahara as Occupied Territory under International Humanitarian Law and the Exploitation of Natural Ressources», Sydney Law School Legal Studies Research Paper, n. 15/81 (settembre 2015), pag. 18.

( 193 ) V. paragrafo 163 delle presenti conclusioni. Per contro, la risoluzione 3458 A (XXX), che non ha riconosciuto l’accordo di Madrid, è stata approvata da 88 Stati, senza voti contrari, e gli Stati membri attuali dell’Unione europea hanno votato a favore di tale risoluzione, ad eccezione del Regno di Spagna e della Repubblica portoghese che si sono astenuti nonché della Repubblica di Malta che non ha votato.

( 194 ) V., ad esempio, Burton, M.F., Foreign Relations of the United States, 1977‑1980, United States Government Printing Office, Washington, 2017, vol. XVII, parte 3 (Documenti sul Nordafrica), pagg. 90, 371, 372 e 575.

( 195 ) V. Bedjaoui, M., «Article 73», pubblicato in Cot, J.‑P., Pellet, A. e Forteau, M., La Charte des Nations unies: commentaire article par article, 3a ed., Economica, Parigi, 2005, pagg. da 1751 a 1767, in particolare pag. 1763; Fastenrath, U., «Chapter XI Declaration Regarding Non‑self-governing Territories», pubblicato in Simma, B., Khan, D.‑E., Nolte, G., e Paulus, A. (a cura di), The Charter of the United Nations: A Commentary, 3a ed., Oxford University Press, Oxford, 2012, vol. II, pagg. da 1829 a 1839, in particolare pag. 1836. V. anche, in tal senso, punto 3 della risoluzione 742 (VIII), del 27 novembre 1953, dell’Assemblea generale dell’ONU.

( 196 ) V. punto 57 delle risposte della Commissione ai quesiti scritti posti dalla Corte.

( 197 ) V. legge sulle isole Cocos del 1955 (Cocos Islands Act 1955) e regio decreto sulle isole Cocos del 1955 (Cocos Islands Order in Council 1955, SI 1955/1642). V., in tal senso, Kerr, A., A Federation in These Seas, Attorney General’s Department of the Commonwealth of Australia, 2009, pagg. da 271 a 273 e da 308 a 310; Spagnolo, B., The Continuity of Legal Systems in Theory and Practice, Hart Publishing, Oxford, 2015, pag. 62.

( 198 ) V. Répertoire de la pratique suivie par les organes des Nations unies, supplemento n. 2 (1955‑1959), vol. 3, punto 6.

( 199 ) V. Répertoire de la pratique suivie par les organes des Nations unies, supplemento n. 3 (1959‑1966), vol. 3, punto 215. V. anche, in tal senso, risoluzione 39/30 dell’Assemblea generale dell’ONU che definisce il Commonwealth d’Australia potenza amministratrice.

( 200 ) V. articoli I e XXVII dell’accordo tra la Repubblica d’Indonesia e il Regno dei Paesi Bassi sulla Nuova Guinea occidentale (Irian occidentale), firmato presso la sede dell’ONU, a New York, il 15 agosto 1962, Recueil des traités des Nations unies, vol. 437, pag. 274. V. anche, in tal senso, risoluzione 1752 (XVII) dell’Assemblea generale dell’ONU.

( 201 ) V. Répertoire de la pratique suivie par les organes des Nations unies, supplemento n. 3 (1959‑1966), vol. 3, punti da 52 a 55.

( 202 ) V. relazione del 3 febbraio 2017 del Segretario generale dell’ONU sulle informazioni relative ai territori non autonomi trasmesse ai sensi dell’articolo 73 della Carta delle Nazioni Unite, punto e) (A72/62).

( 203 ) S/2002/161, punto 6.

( 204 ) S/2002/161, punto 7.

( 205 ) S/2002/161, punti 8 e 21.

( 206 ) Causa Vapeur Wimbledon (Regno Unito e a. c. Germania), sentenza del 17 agosto 1923 (CPJI Série A, n. 1, pag. 25).

( 207 ) V. caso della delimitazione della frontiera marittima tra la Guinea‑Bissau e il Senegal, lodo del 31 luglio 1989, Recueil des sentences arbitrales, vol. XX, pagg. da 119 a 213, punti 51 e 52. La validità di tale lodo è stata confermata dalla Corte internazionale di giustizia [v. Lodo arbitrale del 31 luglio 1989, sentenza (CIJ Recueil 1991, pag. 53)]. Secondo il tribunale arbitrale, le attività del movimento di liberazione nazionale «hanno rilevanza sul piano internazionale a partire dal momento in cui costituiscono, nella vita istituzionale dello Stato territoriale, un evento anomalo che lo costringe ad adottare misure eccezionali, vale a dire quando, per controllare o tentare di controllare gli eventi, tale Stato viene indotto a ricorrere a mezzi diversi da quelli impiegati normalmente per far fronte a disordini occasionali». L’esistenza di un conflitto armato esploso tra il Front Polisario e le truppe marocchine e mauritane soddisfa tale criterio.

( 208 ) V. caso della delimitazione della frontiera marittima tra la Guinea‑Bissau e il Senegal, lodo del 31 luglio 1989, Recueil des sentences arbitrales, vol. XX, pagg. da 119 a 213, punto 52.

( 209 ) Recueil des traités des Nations unies, vol. 1125, pag. 3.

( 210 ) In ogni caso, tali norme soddisfano i criteri di invocabilità enunciati al paragrafo 96 delle presenti conclusioni per le stesse ragioni fornite al paragrafo 139 delle presenti conclusioni.

( 211 ) Liceità della minaccia o dell’uso di armi nucleari, parere consultivo (CIJ Recueil 1996, pag. 226, punto 79). V. anche, in tal senso, sentenza del 1o ottobre 946 del Tribunale militare internazionale di Norimberga nella causa Stati Uniti d’America e a. c/ Goering e a., pubblicata in Trial of the Major War Criminals before the International Military Tribunal (Nuremberg, 14 November 1945 – 1 October 1946), 1947, pagg. da 171 a 341, in particolare pagg. 253 e 254; Conseguenze giuridiche della costruzione di un muro nei territori palestinesi occupati, parere consultivo (CIJ, Recueil 2004, pag. 136, punti 89 e 157).

( 212 ) Conseguenze giuridiche della costruzione di un muro nei territori palestinesi occupati, parere consultivo (CIJ, Recueil 2004, pag. 136, punto 157).

( 213 ) Il corsivo è mio. Tutti gli Stati membri dell’Unione e il Regno del Marocco sono parti di tali convenzioni e del protocollo addizionale I. Inoltre, con dichiarazione unilaterale del 23 giugno 2015, depositata presso il Consiglio federale svizzero nella sua qualità di depositario delle Convenzioni di Ginevra, notificata agli Stati parti di tali convenzioni, il Front Polisario si è impegnato ad applicare le quattro Convenzioni di Ginevra del 1949 e il protocollo addizionale I del 1977 nel conflitto che lo vede contrapposto al Regno del Marocco.

( 214 ) Conseguenze giuridiche della costruzione di un muro nei territori palestinesi occupati, parere consultivo (CIJ, Recueil 2004, pag. 136, punto 158).

( 215 ) V. paragrafo 127 delle presenti conclusioni.

( 216 ) V. articolo 2 di tale convenzione, nonché Conseguenze giuridiche della costruzione di un muro nei territori palestinesi occupati, parere consultivo (CIJ, Recueil 2004, pag. 136, punto 95).

( 217 ) Conseguenze giuridiche della costruzione di un muro nei territori palestinesi occupati, parere consultivo (CIJ, Recueil 2004, pag. 136, punto 95).

( 218 ) Articolo 1, paragrafo 4, del protocollo addizionale I e osservazioni del Comitato internazionale della Croce Rossa (CIRC) del 1987, punto 114. V. anche, in tal senso, Roberts, A., «What is military occupation?», British Yearbook of International Law, 1985, vol. 55, pagg. da 249 a 305, in particolare pagg. 254 e 255.

( 219 ) V. David, É., Principes de droit des conflits armés, 5a ed., Bruxelles, Bruylant, 2012, pagg. 189 e 190; Milanovic, M., «The Applicability of the Conventions to “Transnational” and “Mixed” Conflicts», pubblicato in Clapham, A., Gaeta, P., e Sassòli, M. (a cura di), The 1949 Geneva Conventions: A commentary, Oxford University Press, Oxford, 2015, pagg. da 27 a 50, punto 43; Saul, B., «The Status of Western Sahara as Occupied Territory under International Humanitarian Law and the Exploitation of Natural Resources», Sydney Law School Legal Studies Research Paper, n. 15/81, settembre 2015, pagg. 5 e 6.

( 220 ) V. sentenza del 31 marzo 2003 della Camera di primo grado del Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia nella causa Le Procureur c/ Mladen Naletilić e Vinko Martinović (n. IT‑98‑34‑T), punto 211; Stato maggiore della difesa, Manuale di diritto umanitario, 1991, vol. I, punto 32; Federal Ministry of Defence of the Federal Republic of Germany, Humanitarian Law in Armed Conflicts Manual, 1992, punto 526; Cabinet du Juge‑Avocat général du Canada, Law of Armed Conflict, 2001, punto 1203(1); UK Ministry of Defence, The Manual of the Law of Armed Conflict, Oxford University Press, Oxford, 2004, punto 11.2; Ministerio de defensa, El derecho de los conflictos armados, 2a ed., Centro Geográfico del Ejército, Madrid, 2007, vol. I, pagg. 2‑20; U.S. Department of Defense, Law of War Manual, 2015, pag. 744; Dinstein, Y., The International Law of Belligerent Occupation, Cambridge University Press, Cambridge, 2009, pag. 42, punto 96; Sassòli, M., «The Concept and the Beginning of Occupation», pubblicato in Clapham, A., Gaeta, P., e Sassòli, M. (a cura di), The 1949 Geneva Conventions: A commentary, Oxford University Press, Oxford, 2015, pagg. da 1389 a 1419, punto 8.

( 221 ) V. punti 27, 44.1 e 47.4 dell’ordinanza di rinvio nonché punti 40, 43, 48 e 49 della sentenza del 19 ottobre 2015 nella causa Western Sahara Campaign UK, R (on the application of) v HM Revenue and Customs [2015] EWHC 2898 (Admin).

( 222 ) V. paragrafi 5 e 6. 85 Stati hanno votato a favore, 6 contro, 41 si sono astenuti e 20 non hanno votato. Gli Stati membri attuali dell’Unione hanno votato a favore o si sono astenuti. V. anche, in tal senso, risoluzione 35/19 dell’Assemblea generale dell’ONU.

( 223 ) V., in particolare, Roberts, A., «What is military occupation?», British Yearbook of International Law, 1985, vol. 55, pagg. da 249 a 305, in particolare pagg. da 280 a 281; Gasser, H.P., «The Conflict in Western Sahara – An Unresolved Issue from the Decolonization Period», Yearbook of International Humanitarian Law, 2002, vol. 5, pagg. da 375 a 380, in particolare pag. 379; Arai‑Takahashi, Y., The Law of Occupation: Continuity and Change of International Humanitarian Law, and its Interaction with International Human Rights Law, Martinus Nijhoff, L’Aia, 2009, pag. 140; Chinkin, C., «Laws of occupation», pubblicato in Botha, N., Olivier, M., e van Tonder, D. (a cura di), Multilateralism and International Law with Western Sahara as a Case Study, VerLoren van Themaat Centre, Pretoria, 2010, pagg. da 197 à 221, in particolare pagg. da 197 a 200; Benvenisti, E., The International Law of Occupation, 2a ed., Oxford University Press, Oxford, 2012, pag. 171; Fastenrath, U., «Chapter XI Declaration Regarding Non‑self-governing Territories», pubblicato in Simma, B., Khan, D.‑E., Nolte, G., e Paulus, A. (a cura di), The Charter of the United Nations: A Commentary, 3a ed., Oxford University Press, Oxford, 2012, vol. II, pagg. da 1829 a 1839, in particolare pag. 1837; Koutroulis, V., «The application of international humanitarian law and international human rights law in prolonged occupation: only a matter of time?», International Review of the Red Cross, 2012, vol. 94, pagg. da 165 a 205, in particolare pag. 171; David, É., Principes de droit des conflits armés, 5aa ed., Bruylant, Bruxelles, 2012, pag. 192; Ruiz Miguel, C., «La responsabilité internationale et les droits de l’homme: le cas du Sahara occidental», Cahiers de la recherche sur les droits fondamentaux, 2013, vol. 11, pagg. da 105 a 130, in particolare pag. 107; Dawidowicz, M., «Trading Fish or Human Rights in Western Sahara? Self‑Determination, Non‑Recognition and the EC‑Morocco Fisheries Agreement», pubblicato in French, D. (a cura di), Statehood, Self‑Determination and Minorities: Reconciling Tradition and Modernity in International Law, Cambridge University Press, Cambridge, 2013, pagg. da 250 a 276; Bothe, M., «The Administration of Occupied Territory», pubblicato in Clapham, A., Gaeta, P., e Sassòli, M. (a cura di), The 1949 Geneva Conventions: A commentary, Oxford University Press, Oxford, 2015, pagg. da 1455 a 1484, in particolare pag. 1459; Kontorovich, E., «Economic Dealings with Occupied Territories», Columbia Journal of Transnational Law, 2015, vol. 53, pagg. da 584 a 637, in particolare pagg. 611 e 612; Saul, B., «The Status of Western Sahara as Occupied Territory under International Humanitarian Law and the Exploitation of Natural Ressources», Sydney Law School Legal Studies Research Paper n. 15/81 (settembre 2015). V. anche sentenza del 15 giugno 2017 della High Court of South Africa (Alta Corte del Sudafrica) nella causa n. 1487/17, The Saharawi Arab Democratic Republic and Front Polisario v The Owner and charterers of the MV “NM CHERRY BLOSSOM”, punto 29.

( 224 ) V. Corell, H., «Western Sahara – status and resources», New Routes, 2010, vol. 15, pagg. da 10 a 13, in particolare pag. 11.

( 225 ) V. lettera del 29 gennaio 2002, inviata al presidente del Consiglio di sicurezza dal Segretario generale aggiunto agli affari giuridici, consigliere giuridico, (S/2002/161).

( 226 ) Attività armate nel territorio del Congo (Repubblica democratica del Congo c. Uganda), sentenza (CIJ Recueil 2005, pag. 168, punto 173). Lo stesso principio si applica all’occupazione dei territori non autonomi in forza dell’articolo 1, paragrafo 4, del protocollo addizionale I.

( 227 ) Ricordo che la Repubblica islamica di Mauritania si è ritirata dal Sahara occidentale il 14 agosto 1979 dopo aver firmato un accordo di pace con il Front Polisario. Lo stesso giorno, il Regno del Marocco ha annesso la parte del Sahara occidentale inizialmente occupata dalla Repubblica islamica di Mauritania. Quest’ultima ha riconosciuto tale «occupazione avvenuta con la forza» attraverso la dichiarazione del suo Primo ministro, del 14 agosto 1979, allegata alla lettera del 18 agosto 1979, inviata al Segretario generale dell’ONU dal rappresentante permanente della Repubblica islamica di Mauritania presso l’ONU (A/34/427).

( 228 ) Per una relazione dettagliata dell’assoggettamento del Sahara occidentale all’autorità marocchina, v. Dessaints, J., «Chronique politique Maroc», Annuaire de l’Afrique du Nord, 1975, vol. 14, pagg. da 457 a 476, in particolare pagg. da 463 a 465; Santucci, J.‑C., «Chronique politique Maroc», Annuaire de l’Afrique du Nord, 1976, vol. 15, pagg. da 357 a 379, in particolare pagg. da 359 a 361.

( 229 ) Sottolineo altresì che, anche se fosse considerato valido, l’accordo di Madrid non autorizzava affatto una presenza militare marocchina nel territorio del Sahara occidentale senza il consenso del suo popolo, consenso che non è mai stato fornito.

( 230 ) V. Dinstein, Y., The International Law of Belligerent Occupation, Cambridge University Press, Cambridge, 2009, pagg. 47 e 48; Benvenisti, E., The International Law of Occupation, 2a ed., Oxford University Press, Oxford, 2012, pag. 55; Sassòli, M., «The Concept and the Beginning of Occupation», pubblicato in Clapham, A., Gaeta, P., e Sassòli, M. (a cura di), The 1949 Geneva Conventions: A commentary, Oxford University Press, Oxford, 2015, pagg. da 1389 a 1419, punto 15.

( 231 ) V. Benvenisti, E., The International Law of Occupation, 2a ed., Oxford University Press, Oxford, 2012, pag. 55.

(

232

)

«Dopo che l’autorità del potere legale sia passata di fatto nelle mani dell’occupante, questi prenderà tutti i provvedimenti che dipendono da lui al fine di ristabilire ed assicurare, per quanto è possibile, l’ordine e la vita pubblica, rispettando, salvo impedimento assoluto, le leggi vigenti nel paese».

(

233

)

«La [p]otenza occupante potrà tuttavia assoggettare la popolazione del territorio occupato a disposizioni che siano indispensabili per permetterle di adempiere i suoi obblighi risultanti dalla presente Convenzione e di garantire l’amministrazione regolare del territorio come pure la sicurezza sia della [p]otenza occupante, sia dei membri e dei beni delle forze o dell’amministrazione d’occupazione, nonché degli stabilimenti e delle linee di comunicazione da essa utilizzate».

( 234 ) V. Sassòli, M., «Legislation and Maintenance of Public Order and Civil Life by Occupying Powers», European Journal of International Law, 2005, vol. 16, pagg. da 661 a 694; Dinstein, Y., The International Law of Belligerent Occupation, Cambridge University Press, Cambridge, 2009, pagg. 115 e 116; Arai‑Takahashi, Y., The Law of Occupation: Continuity and Change of International Humanitarian Law, and its Interaction with International Human Rights Law, Martinus Nijhoff, L’Aia, 2009, pagg. 120 e 121.

( 235 ) V. Benvenisti, E., The International Law of Occupation, 2a ed., Oxford University Press, Oxford, 2012, pagg. da 83 a 86; Bothe, M., «The Administration of Occupied Territory», pubblicato in Clapham, A., Gaeta, P., e Sassòli, M. (a cura di), The 1949 Geneva Conventions: A commentary, Oxford University Press, Oxford, 2015, pagg. da 1455 a 1484, punto 98.

( 236 ) V. Timor Est (Portogallo c. Australia), sentenza (CIJ Recueil 1995, pag. 90, punti 13 e 32). Se la Corte non ha esercitato la propria competenza in tale causa, è perché essa avrebbe dovuto pronunciarsi sulla liceità dell’integrazione di Timor Est nella Repubblica d’Indonesia. Tuttavia, ciò non le ha impedito di qualificare come occupazione l’intervento militare indonesiano (v. punto 13 della sentenza), il che, del resto, è una questione di fatto (v. paragrafo 246 delle presenti conclusioni).

( 237 ) V. Benvenisti, E., The International Law of Occupation, 2a ed., Oxford University Press, Oxford, 2012, pag. 85; Bothe, M., «The Administration of Occupied Territory», pubblicato in Clapham, A., Gaeta, P., e Sassòli, M. (a cura di), The 1949 Geneva Conventions: A commentary, Oxford University Press, Oxford, 2015, pagg. da 1455 a 1484, punto 98.

( 238 ) V. articolo 4 del protocollo addizionale I; articolo 47 della Convenzione IV di Ginevra; lodo del 18 aprile 1925 nel caso del debito pubblico ottomano (Bulgaria, Iraq, Palestina, Transgiordania, Grecia, Italia e Turchia), Recueil des sentences arbitrales, vol. 1, pagg. da 529 a 614, in particolare pag. 555; sentenza del 10 marzo 1948 del Tribunale militare n. I nella causaa RuSHA (Stati Uniti d’America c/ Greifelt e a.), Trials of War Criminals before the Nuerenberg Military Tribunals, U.S. Government Printing Office, Washington, 1950, vol. V, pag. 154; Oppenheim, L., «The Legal Relations between an Occupying Power and the Inhabitants», Law Quarterly Review, 1917, vol. 33, pagg. 363, in particolare pag. 364; Dinstein, Y., The International Law of Belligerent Occupation, Cambridge University Press, Cambridge, 2009, pagg. da 49 a 51; David, É., Principes de droit des conflits armés, 5a ed., Bruylant, Bruxelles, 2012, pagg. 582 e 583; Benvenisti, E., The International Law of Occupation, 2a ed., Oxford University Press, Oxford, 2012, pag. 85; Bothe, M., «The Administration of Occupied Territory», pubblicato in Clapham, A., Gaeta, P., e Sassòli, M. (a cura di), The 1949 Geneva Conventions: A commentary, Oxford University Press, Oxford, 2015, pagg. da 1455 a 1484, punto 10.

( 239 ) Si tratta dell’autorità di occupazione istituita in Iraq dagli Stati Uniti d’America e della loro coalizione al fine di governare il paese tra il 2003 e il 2004.

( 240 ) V. accordo quadro tra l’Autorità provvisoria della coalizione (in prosieguo: l’«Autorità») che, in applicazione delle leggi e degli usi di guerra nonché delle risoluzioni pertinenti del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, in particolare la risoluzione 1483 (2003), ha temporaneamente poteri di autorità governativa in Iraq, la Trade Bank of Iraq (TBI), istituita in forza del regolamento n. 20 dell’Autorità, e l’Ufficio per la garanzia contro i rischi delle esportazioni (GRE), che agisce per conto della Confederazione svizzera, firmato a Roma il 5 dicembre 2003, Recueil systématique du droit fédéral, 0.946.144.32.

( 241 ) Nota del 15 dicembre 2003 della Direzione del diritto internazionale pubblico della Confederazione svizzera, riportata in Ferraro, T. (a cura di), Relazione degli esperti del CIRC, «Occupation and other forms of administration of foreign territory», 2012, pag. 59. V. anche, in tal senso, Caflisch, L., «La pratique suisse en matière de droit international public 2003», Revue suisse de droit international et de droit européen, 2004, vol. 5, pagg. da 661 a 719, in particolare pagg. 663 e 664.

( 242 ) V. paragrafo 4, secondo il quale il Consiglio di sicurezza «[ha chiesto] all’Autorità [provvisoria della coalizione], conformemente alla Carta delle Nazioni Unite e alle disposizioni pertinenti di diritto internazionale, di promuovere il benessere della popolazione irachena assicurando un’amministrazione efficace del territorio, in particolare impegnandosi a ristabilire la sicurezza e la stabilità nonché a creare le condizioni che consentano al popolo iracheno di determinare liberamente il proprio futuro politico». Il corsivo è mio.

( 243 ) V. paragrafo 1, secondo il quale il Consiglio di sicurezza «[ha riaffermato] la sovranità e l’integrità territoriale dell’Iraq e [ha] sottolinea[to], in tale contesto, che L’Autorità provvisoria della coalizione (l’Autorità) esercita in via temporanea le responsabilità, i poteri e gli obblighi secondo il diritto internazionale applicabile, riconosciuti e stabiliti nella risoluzione 1483 (2003), sino a quando un governo rappresentativo, riconosciuto a livello internazionale, non sia istituito dal popolo iracheno e non assuma le responsabilità dell’Autorità». Il corsivo è mio.

( 244 ) V. titolo dell’accordo quadro (Recueil systématique du droit fédéral, 0.946.144.32).

( 245 ) V. Attività armate nel territorio del Congo (Repubblica democratica del Congo c. Uganda), sentenza (CIJ Recueil 2005, pag. 168, punto 244).

( 246 ) V. paragrafi da 130 a 134 delle presenti conclusioni.

( 247 ) V. paragrafi da 245 a 249 delle presenti conclusioni.

( 248 ) V. «Iustiniani Institutiones», Libro II, capo IV «(De usu fructu), principium», pubblicato in Krueger, P. (a cura di), Corpus Iuris Civilis, Weidmann, Berlino, 1889, vol. I; U.S. Department of State, «Memorandum of Law on Israel’s right to develop new oil field in Sinai and the Gulf of Suez», 1o ottobre 1976, International Law Materials, 1977, vol. 16, pagg. da 733 a 753, in particolare pag. 736; Ministry of Foreign Affairs of Israel, «Memorandum of Law on the Right to develop new oil fields in Sinai and the Gulf of Suez», 1o agosto 1977, International Law Materials, 1978, vol. 17, pagg. da 432 a 444, punto 2; Dinstein, Y., The International Law of Belligerent Occupation, Cambridge University Press, Cambridge, 2009, pag. 214; Van Engeland, A., «Protection of Public Property», pubblicato in Clapham, A., Gaeta, P., e Sassòli, M. (a cura di), The 1949 Geneva Conventions: A commentary, Oxford University Press, Oxford, 2015, pagg. da 1535 a 1550, punti da 20 a 22.

( 249 ) V. Dinstein, Y., The International Law of Belligerent Occupation, Cambridge University Press, Cambridge, 2009, pag. 215; Cabinet du Juge‑Avocat général du Canada, Law of Armed Conflict, 2001, punto 1243; UK Ministry of Defence, The Manual of the Law of Armed Conflict, Oxford University Press, Oxford, 2004, punto 11.86; U.S. Department of Defense, Law of War Manual, 2015, pag. 793.

( 250 ) V. Ministry of Foreign Affairs of Israel, «Memorandum of Law on the Right to develop new oil fields in Sinai and the Gulf of Suez», 1o agosto 1977, International Law Materials, 1978, vol. 17, pagg. da 432 a 444, punto 12; Cassese, A., «Powers and Duties of an Occupant in Relation to Land and Natural Resources», pubblicato in Cassese, A., Gaeta, P., e Zappalà, S. (a cura di), The Human Dimension of International Law: Selected Papers of Antonio Cassese, 2008, Oxford University Press, Oxford, pagg. da 250 a 271, in particolare pag. 258; Dinstein, Y., The International Law of Belligerent Occupation, Cambridge University Press, Cambridge, 2009, pag. 217.

( 251 ) Sentenza del 1o ottobre 1946 del Tribunale militare internazionale di Norimberga nella causa Stati Uniti d’America e a. c/ Goering e a. pubblicata in Trial of the Major War Criminals before the International Military Tribunal (Nuremberg, 14 November 1945 – 1 October 1946), 1947, pagg. da 171 a 341, in particolare pag. 239. V. anche, in tal senso, U.S. Department of State, «Memorandum of Law on Israel’s right to develop new oil field in Sinai and the Gulf of Suez», 1o ottobre 1976, International Law Materials, 1977, vol. 16, pagg. da 733 a 753, in particolare pag. 743; Ministry of Foreign Affairs of Israel, «Memorandum of Law on the Right to develop new oil fields in Sinai and the Gulf of Suez», 1o agosto 1977, International Law Materials, 1978, vol. 17, pagg. da 432 a 444, in particolare pag. 437.

( 252 ) V.U.S. Department of State, «Memorandum of Law on Israel’s right to develop new oil field in Sinai and the Gulf of Suez», 1o ottobre 1976, International Law Materials, 1977, vol. 16, pagg. da 733 a 753, in particolare pagg. da 743 a 474; Cassese, A., «Powers and Duties of an Occupant in Relation to Land and Natural Resources», pubblicato in Cassese, A., Gaeta, P., e Zappalà, S. (a cura di), The Human Dimension of International Law: Selected Papers of Antonio Cassese, 2008, Oxford University Press, Oxford, pagg. da 250 a 271, in particolare pagg. 257 e 261; Benvenisti, E., The International Law of Occupation, 2a ed., Oxford University Press, Oxford, 2012, pag. 82.

( 253 ) V. lettera dell’8 maggio 2003, inviata al presidente del Consiglio di sicurezza dai Rappresentanti permanenti degli Stati Uniti d’America e del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord presso l’Organizzazione delle Nazioni Unite (S/2003/538).

( 254 ) V. regolamento del 15 giugno 2003, dell’Autorità provvisoria della coalizione n. 2 sul Fondo di sviluppo per l’Iraq.

( 255 ) V. Liceità della minaccia o dell’uso di armi nucleari, parere consultivo (CIJ Recueil 1996, pag. 226, punto 25); Conseguenze giuridiche della costruzione di un muro nei territori palestinesi occupati, parere consultivo (CIJ, Recueil 2004, pag. 136, punti 105 e 106).

( 256 ) Attività armate nel territorio del Congo (Repubblica democratica del Congo c. Uganda), sentenza (CIJ Recueil 2005, pag. 168, punto 244).

( 257 ) V., in tal senso, Dinstein, Y., The International Law of Belligerent Occupation, Cambridge University Press, Cambridge 2009, pagg. 219 e 220.

( 258 ) V. Conseguenze giuridiche della costruzione di un muro nei territori palestinesi occupati, parere consultivo (CIJ, Recueil 2004, pag. 136, punto 106); Attività armate nel territorio del Congo (Repubblica democratica del Congo c. Uganda), sentenza (CIJ Recueil 2005, pag. 168, punti 216, 217 e 220).

( 259 ) V. preambolo nonché articolo 1, articolo 3, paragrafo 1, e articoli 4, 8 e 9 dell’accordo di pesca. V. anche, in tal senso, articoli 4 e 5 del protocollo del 2013.

( 260 ) V. paragrafi 258 e 260 delle presenti conclusioni.

( 261 ) Tali schede si trovano nell’appendice 2 dell’allegato dell’accordo di pesca. Conformemente all’articolo 16 dell’accordo di pesca, l’allegato, con le relative appendici, forma parte integrante dell’accordo.

( 262 ) V. paragrafo 70 delle presenti conclusioni.

( 263 ) V. paragrafo 261 delle presenti conclusioni. Il fascicolo non contiene alcun elemento al riguardo in quanto, ritenendo che il Regno del Marocco fosse la «potenza amministratrice de facto» del Sahara occidentale, le istituzioni dell’Unione non si sono poste il problema.

( 264 ) Siffatto trasferimento costituisce una grave violazione del protocollo addizionale I [v. articolo 85, paragrafo 4, lettera a), di tale protocollo] nonché un crimine di guerra [articolo 8, paragrafo 2, lettera b), punto viii), dello Statuto di Roma della Corte penale internazionale, Recueil des traités des Nations unies, vol. 2187, pag. 3]. Va osservato che il Regno del Marocco ha firmato ma non ha ratificato lo Statuto di Roma.

( 265 ) V. paragrafo 7 della risoluzione 3458 A (XXX) dell’Assemblea generale dell’ONU.

( 266 ) V. paragrafi 2 e 4 della risoluzione 3458 B (XXX) dell’Assemblea generale dell’ONU.

( 267 ) V. appendice 2 dell’allegato del protocollo del 2013.

( 268 ) V. Milano, E., «The New Fisheries Partnership Agreement between the EC and Morocco: Fishing too South?», Anuario español de derecho internacional, 2006, vol. 22, pagg. da 413 a 457, in particolare pagg. da 435 a 442; Soroeta Liceras, J., «La posicíon de la Unión Europea en el conflicto del Sahara Occidental, una muestra palpable (más) de la primacía de sus intereses económicos y políticos sobre la promoción de la democracia y de los derechos humanos», Revista de Derecho Comunitario Europeo, 2009, vol. 34, pagg. da 823 a 864, in particolare pagg. da 829 a 837 e da 844 a 847; Corell, H., «The legality of exploring and exploiting natural resources in Western Sahara», pubblicato in Botha, N., Olivier, M., e van Tonder, D. (a cura di), Multilateralism and International Law with Western Sahara as a Case Study, VerLoren van Themaat Centre, Pretoria, 2010, pagg. da 231 a 247, in particolare pag. 242; Etienne, J., «L’accord de pêche CE‑Maroc: quels remèdes juridictionnels européens à quelle illicéité internationale», Revue belge de droit international, 2010, pagg. da 77 a 107, in particolare pagg. da 86 a 88; Saul, B., «The Status of Western Sahara as Occupied Territory under International Humanitarian Law and the Exploitation of Natural Ressources», Sydney Law School Legal Studies Research Paper, n. 15/81 (settembre 2015), pagg. da 29 a 31. V. anche, in tal senso, «Avis juridique du bureau du conseiller juridique de l’Union africaine sur la légalité au regard du droit international, notamment des résolutions de l’ONU et des décisions de l’Organisation de l’unité africaine et de l’Union africaine, des décisions qùauraient prises les autorités marocaines ou tout autre État, groupe d’États, entreprise étrangère ou autre entité concernant l’exploration ou l’exploitation de ressources naturelles renouvelables ou non ou toute autre activité économique au Sahara occidental», allegato alla lettera del 9 ottobre 2015, inviata al presidente del Consiglio di sicurezza dal rappresentante permanente dello Zimbabwe presso l’ONU (S/2015/786).

( 269 ) Nel 1970 il Sudafrica non aveva ancora ritirato la propria amministrazione dalla Namibia, nonostante il fatto che l’Assemblea generale dell’ONU avesse posto fine al suo mandato su tale territorio ad esso conferito dalla Società delle Nazioni, che essa stessa avesse assunto direttamente la responsabilità di amministrare la Namibia e che il Consiglio di sicurezza dell’ONU avesse chiesto al Sudafrica di ritirare immediatamente la sua amministrazione dalla Namibia. Occorre ricordare che, come sul proprio territorio, il Sudafrica aveva istituito in Namibia il regime dell’apartheid. Per tali ragioni, con la risoluzione 276 (1970), il Consiglio di sicurezza ha dichiarato che «la presenza continua delle autorità sudafricane in Namibia è illegittima e che, di conseguenza, tutte le misure adottate dal [g]overno sudafricano in nome della Namibia o per quanto la riguarda, dopo la cessazione del [m]andato, sono illegittime» (paragrafo 2). Esso ha altresì chiesto «a tutti gli Stati, in particolare a quelli che hanno interessi economici o di altra natura in Namibia, di astenersi da qualsiasi rapporto con il [g]overno sudafricano che sia incompatibile con il paragrafo 2 della presente risoluzione» (paragrafo 5). In seguito, il Consiglio di sicurezza ha sottoposto alla Corte internazionale di giustizia la questione di stabilire quali fossero le conseguenze per gli Stati della presenza continua del Sudafrica in Namibia, nonostante la sua risoluzione 276 (1970).

( 270 ) Conseguenze giuridiche per gli Stati della presenza continua del Sudafrica in Namibia (Africa del Sud‑Ovest) nonostante la risoluzione 276 (1970) del Consiglio di sicurezza, parere consultivo (CIJ Recueil 1971, pag. 16).

( 271 ) V. sentenza del 5 luglio 1994, Anastasiou e a. (C‑432/92, EU:C:1994:277, punto 35).

( 272 ) V. sentenza del 5 luglio 1994, Anastasiou e a. (C‑432/92, EU:C:1994:277, punto 49).

( 273 ) V. Conseguenze giuridiche per gli Stati della presenza continua del Sudafrica in Namibia (Africa del Sud‑Ovest) nonostante la risoluzione 276 (1970) del Consiglio di sicurezza, parere consultivo (CIJ Recueil 1971, pag. 16, punto 125).

( 274 ) V. Conseguenze giuridiche per gli Stati della presenza continua del Sudafrica in Namibia (Africa del Sud‑Ovest) nonostante la risoluzione 276 (1970) del Consiglio di sicurezza, parere consultivo (CIJ Recueil 1971, pag. 16, punto 124).

( 275 ) V. punto 59 delle sue osservazioni scritte.

( 276 ) V. punti da 373 a 376 di detta sentenza.

( 277 ) V. articolo 16 dell’accordo di pesca e articolo 1, primo comma, del protocollo del 2013.

( 278 ) V. articolo 2, primo comma, del protocollo del 2013.

( 279 ) V. punti 373 e 374 di detta sentenza. La Corte ha fatto riferimento al rischio che i soggetti sottoposti a misure restrittive adottassero disposizioni volte a evitare che potessero esser loro nuovamente applicate misure di congelamento di capitali nonché alla possibilità che, nonostante i vizi di procedura constatati nella sentenza, l’applicazione di misure restrittive ai ricorrenti si rivelasse giustificata.

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