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Document 62015CC0668

Conclusioni dell’avvocato generale N. Wahl, presentate il 1° dicembre 2016.
Jyske Finans A/S contro Ligebehandlingsnævnet.
Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Vestre Landsret.
Rinvio pregiudiziale – Parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica – Direttiva 2000/43/CE – Articolo 2, paragrafo 2, lettere a) e b) – Istituto di credito che richiede un documento di identità supplementare, consistente in una copia del passaporto o del permesso di soggiorno, alle persone che richiedono un prestito per l’acquisto di un autoveicolo e che si sono identificate mediante la loro patente di guida, nella quale è indicato un luogo di nascita situato in un paese che non è membro dell’Unione europea o dell’Associazione europea di libero scambio.
Causa C-668/15.

Court reports – general

ECLI identifier: ECLI:EU:C:2016:914

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

NILS WAHL

presentate il 1o dicembre 2016 ( 1 )

Causa C‑668/15

Jyske Finans A/S

contro

Ligebehandlingsnævnet, che agisce per conto di Ismar Huskic

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Vestre Landsret (Corte regionale dell’Ovest, Danimarca)]

«Direttiva 2000/43/CE — Articolo 2 — Parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica — Prassi commerciale di un ente creditizio nel contesto di un prestito per l’acquisto di un autoveicolo — Direttiva 2005/60/CE — Articolo 13 — Prevenzione dell’uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo — Requisito secondo il quale il cliente fornisce documenti supplementari quando dalla sua patente di guida risulta un luogo di nascita diverso dai paesi nordici, da uno Stato membro, dalla Svizzera o dal Liechtenstein»

1. 

Quali indicazioni possono emergere dal luogo di nascita di una persona riguardo alla sua origine etnica?

2. 

Stranamente poche.

3. 

In realtà, sostenere che sussiste un legame inalienabile tra il luogo di nascita di una persona e la sua appartenenza a una particolare etnia serve solo, in ultima analisi, a mantenere taluni falsi stereotipi.

4. 

Nel procedimento principale, dalla patente di guida di un soggetto richiedente un prestito risulta che il suo luogo di nascita non è un paese nordico ( 2 ), uno Stato membro dell’Unione, la Svizzera o il Liechtenstein ( 3 ). Il fatto di chiedere al cliente di esibire un passaporto rilasciato da uno di tali paesi o, in mancanza, di esibire un passaporto rilasciato da un paese terzo e un permesso di soggiorno valido (in prosieguo: la «prassi controversa») costituisce, per l’ente creditizio che concede il prestito, una discriminazione basata sull’origine etnica? In tal caso, la prassi controversa può essere giustificata facendo riferimento alla lotta al riciclaggio di denaro e al finanziamento del terrorismo?

5. 

Sono questi i temi che la Corte è chiamata ad affrontare nell’analizzare la questione in esame. Tale causa consentirà, in particolare, alla Corte di fornire indicazioni sul rapporto esistente tra la discriminazione basata sull’origine etnica, sulla nazionalità e sul luogo di nascita.

6. 

Per le ragioni esposte di seguito, una prassi come quella in discussione non sottopone i clienti a un diverso trattamento in base alla loro origine etnica. Pertanto, non ritengo necessario che la Corte esamini se tale prassi possa essere giustificata.

I – Quadro normativo

A – La legislazione UE

1. Direttiva 2000/43/CE ( 4 )

7.

L’articolo 1 della direttiva 2000/43 («Obiettivo») prevede che il suo obiettivo sia di stabilire un quadro per la lotta alle discriminazioni fondate sulla razza o l’origine etnica, al fine di rendere effettivo negli Stati membri il principio della parità di trattamento.

8.

L’articolo 2 della direttiva 2000/43 («Nozione di discriminazione») così dispone:

«1.   Ai fini della presente direttiva, il principio della parità di trattamento comporta che non sia praticata alcuna discriminazione diretta o indiretta a causa della razza o dell’origine etnica.

2.   Ai fini del paragrafo 1:

a)

sussiste discriminazione diretta quando, a causa della sua razza od origine etnica, una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un’altra in una situazione analoga;

b)

sussiste discriminazione indiretta quando una disposizione, un criterio o una prassi apparentemente neutri possono mettere persone di una determinata razza od origine etnica in una posizione di particolare svantaggio rispetto ad altre persone, a meno che tale disposizione, criterio o prassi siano oggettivamente giustificati da una finalità legittima e i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari».

9.

Ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 2, della direttiva 2000/43 («Campo di applicazione»), tale direttiva non riguarda le differenze di trattamento basate sulla nazionalità e non pregiudica le disposizioni e le condizioni relative all’ingresso e alla residenza di cittadini di paesi terzi e di apolidi nel territorio degli Stati membri, né qualsiasi trattamento derivante dalla condizione giuridica dei cittadini dei paesi terzi o degli apolidi interessati.

10.

Ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 1, della direttiva 2000/43 («Onere della prova»), gli Stati membri prendono le misure necessarie, conformemente ai loro sistemi giudiziari nazionali, per assicurare che, allorché persone che si ritengono lese dalla mancata applicazione nei loro riguardi del principio della parità di trattamento espongono, dinanzi a un tribunale o a un’altra autorità competente, fatti dai quali si può presumere che vi sia stata una discriminazione diretta o indiretta, incomba alla parte convenuta provare che non vi è stata violazione del principio della parità di trattamento.

2. Direttiva 2005/60/CE ( 5 )

11.

Il capo I della direttiva 2005/60 («Oggetto, ambito d’applicazione e definizioni») contiene gli articoli da 1 a 5. Ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 1, della direttiva 2005/60 gli Stati membri assicurano che il riciclaggio dei proventi di attività criminose e il finanziamento del terrorismo siano vietati. Ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, punto 1, la direttiva 2005/60 si applica agli enti creditizi, come definiti all’articolo 3, paragrafo 1. Ai sensi dell’articolo 5 della direttiva 2005/60, per impedire il riciclaggio e il finanziamento del terrorismo, gli Stati membri possono adottare o mantenere disposizioni più rigorose nel settore disciplinato da tale direttiva.

12.

Il capo II della direttiva 2005/60 («Obblighi di adeguata verifica della clientela») contiene gli articoli da 6 a 19. Mentre la sezione 1 di tale capo («Disposizioni di carattere generale») contiene, agli articoli da 6 a 10, norme fondamentali sugli obblighi di adeguata verifica della clientela, la sezione 2 («Obblighi semplificati di adeguata verifica della clientela») stabilisce norme che consentono di applicare procedure semplificate di adeguata verifica della clientela in talune occasioni particolari.

13.

L’articolo 13 della direttiva 2005/60 (l’unica disposizione della sezione 3 del capo II di tale direttiva, intitolata «Obblighi rafforzati di adeguata verifica della clientela») prevede quanto segue:

«1.   Gli Stati membri impongono agli enti e alle persone soggetti alla presente direttiva di applicare, oltre agli obblighi di cui agli articoli 7, 8 e all’articolo 9, paragrafo 6, obblighi rafforzati di adeguata verifica della clientela, sulla base della valutazione del rischio esistente, nelle situazioni che per loro natura possono presentare un rischio più elevato di riciclaggio o finanziamento del terrorismo e comunque nei casi indicati ai paragrafi 2, 3 e 4 e in altre situazioni che presentano un elevato rischio di riciclaggio o finanziamento del terrorismo, e che soddisfano i criteri tecnici definiti a norma dell’articolo 40, paragrafo 1, lettera c).

2.   Quando il cliente non è fisicamente presente a fini di identificazione, gli Stati membri impongono a tali enti e persone di adottare misure specifiche ed adeguate per compensare il rischio più elevato, ad esempio applicando una o più fra le misure indicate in appresso:

a)

garantire l’accertamento dell’identità del cliente tramite documenti, dati o informazioni supplementari;

b)

adottare misure supplementari per la verifica o la certificazione dei documenti forniti o richiedere di una certificazione di conferma di un ente creditizio o finanziario soggetto alla presente direttiva;

c)

garantire che il primo pagamento relativo all’operazione sia effettuato tramite un conto intestato al cliente presso un ente creditizio.

(…)

4.   Per quanto riguarda le operazioni o i rapporti d’affari con persone politicamente esposte residenti in un altro Stato membro o in un paese terzo, gli Stati membri impongono agli enti e alle persone soggetti alla presente direttiva:

a)

di disporre di adeguate procedure basate sul rischio per determinare se il cliente sia una persona politicamente esposta;

b)

di ottenere l’autorizzazione dei massimi dirigenti prima di avviare un rapporto d’affari con tali clienti;

c)

di adottare ogni misura adeguata per stabilire l’origine del patrimonio e dei fondi impiegati nel rapporto d’affari o nell’operazione;

d)

di assicurare un controllo continuo e rafforzato del rapporto d’affari.

(…)

6.   Gli Stati membri assicurano che gli enti e le persone soggetti alla presente direttiva prestino un’attenzione particolare a qualsiasi rischio di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo connesso a prodotti o transazioni atti a favorire l’anonimato e che essi adottino le misure eventualmente necessarie per impedirne l’utilizzo per scopi di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo».

B – La normativa danese

14.

Le disposizioni della direttiva 2000/43 sono state attuate nel diritto danese dalla Lov om etnisk ligebehandling (Legge sulla parità di trattamento indipendentemente dall’origine etnica; in prosieguo: la «legge sulla parità di trattamento») ( 6 ). Il giudice del rinvio dichiara che, previo esame, il legislatore danese ha deciso di non includere, nella legge sulla parità di trattamento, il criterio della discriminazione basata sul luogo di nascita, in quanto detto criterio non figura in tale direttiva.

15.

La Lov om forebyggende foranstaltninger mod hvidvask af udbytte og finansiering af terrorisme (Legge sulla prevenzione del riciclaggio di denaro e del finanziamento del terrorismo; in prosieguo: la «legge sul riciclaggio di denaro») ( 7 ) contiene disposizioni di attuazione della direttiva 2005/60. In particolare, mentre l’articolo 12 della legge sul riciclaggio di denaro prevede norme generali sugli obblighi di adeguata verifica della clientela, l’articolo 19, che corrisponde, in linea di massima, all’articolo 13 di tale direttiva, prevede, al paragrafo 1, che, in base a una valutazione dei rischi, le persone e le imprese soggette a tale legge devono stabilire ulteriori requisiti di identificazione della clientela rispetto a quelli di cui all’articolo 12 della legge in situazioni che comportano, di per sé, un maggior rischio di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo. Esse devono soddisfare, quantomeno, i requisiti previsti ai paragrafi da 2 a 4 di tale disposizione.

II – Fatti, procedimento e questioni pregiudiziali

16.

Il sig. Ismar Huskic (in prosieguo: il «denunciante») è nato in Bosnia‑Erzegovina nel 1975. Si è trasferito con la famiglia in Danimarca nel 1993, paese in cui risiede da allora. Il sig. Huskic è diventato cittadino danese nel dicembre 2000. Vive con la sua compagna, anch’essa cittadina danese.

17.

La Jyske Finans A/S (in prosieguo: la «Jyske Finans»), controllata dell’ente creditizio Jyske Bank A/S, offre a privati e imprese prestiti e contratti di leasing per l’acquisto di automobili, in collaborazione con concessionarie di automobili.

18.

Nel giugno del 2009 il denunciante e la sua compagna hanno stipulato un contratto con una concessionaria di automobili per l’acquisito di un’automobile usata. L’acquisto dell’automobile è stato in parte finanziato tramite un prestito, contratto congiuntamente dal denunciante e dalla sua compagna con la Jyske Finans. Nell’ambito della valutazione della domanda di prestito la Jyske Finans ha chiesto al denunciante di fornire documentazione supplementare, a motivo del fatto che dalla sua patente di guida risultava che egli fosse nato in Bosnia‑Erzegovina. Nessun requisito equivalente di documentazione supplementare è stato imposto alla sua compagna che, secondo le informazioni contenute nella sua patente di guida, era nata a Odense, Danimarca.

19.

Ritenendo che la richiesta della Jyske Finans fosse discriminatoria, il sig. Ismar Huskic ha presentato una denuncia al Ligebehandlingsnævnet (commissione per la parità di trattamento), che esamina, tra l’altro, denunce in materia di discriminazione a causa della razza o dell’origine etnica. Con decisione del 10 dicembre 2010, la commissione per la parità di trattamento ha concluso che la Jyske Finans aveva operato una discriminazione indiretta nei confronti del denunciante e ha ordinato alla Jyske Finans di versare DKK 10000 (EUR 1340 circa) a titolo di risarcimento.

20.

La Jyske Finans ha ritenuto che la decisione della commissione per la parità di trattamento fosse contraria alla legge sul riciclaggio di denaro e che fosse priva della base giuridica richiesta dalla legge sulla parità di trattamento. La Jyske Finans ha scelto quindi di non ottemperare alla decisione della commissione per la parità di trattamento. Ciò ha indotto detta commissione a proporre ricorso per conto del denunciante dinanzi al Retten i Viborg (Tribunale distrettuale di Viborg, Danimarca).

21.

Con sentenza del 5 febbraio 2013, il Retten i Viborg (Tribunale distrettuale di Viborg). ha confermato la decisione della commissione per la parità di trattamento. Ha dichiarato, tuttavia, che la discriminazione della Jyske Finans nei confronti del denunciante in base al suo luogo di nascita costituiva una discriminazione diretta a causa dell’origine etnica.

22.

La Jyske Finans ha interposto appello contro la sentenza del Retten i Viborg (Tribunale di Viborg) dinanzi al giudice del rinvio.

23.

Nel corso del procedimento, la Jyske Finans ha affermato che, nel trattare la domanda di prestito del denunciante, essa ha applicato una regola interna, ossia la prassi controversa. La Jyske Finans ha affermato che la prassi controversa è stata stabilita alla luce dell’obbligo della Jyske Finans di ottemperare alla legge sul riciclaggio di denaro. Pertanto, il giudice del rinvio considera dimostrato che il requisito della documentazione supplementare che la Jyske Finans ha imposto al denunciante è basato unicamente sul fatto che dalla sua patente di guida danese risulta che egli è nato in Bosnia‑Erzegovina, e quindi in un paese terzo.

24.

Nutrendo dubbi sul fatto che la prassi controversa dia luogo a una discriminazione diretta o indiretta a causa dell’origine etnica e che tale prassi sia consentita alla luce degli obblighi imposti, tra l’altro, agli enti creditizi al fine di prevenire il riciclaggio di denaro, il giudice del rinvio ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)

Se il divieto di discriminazione diretta a causa dell’origine etnica di cui all’articolo 2, paragrafo 2, lettera a), della [direttiva 2000/43] debba essere interpretato nel senso che osta a una prassi come quella di cui trattasi nel presente procedimento, in base alla quale persone che non sono nate nei paesi nordici, in uno Stato membro, in Svizzera o in Lichtenstein sono trattate meno favorevolmente delle persone che si trovano in una situazione equivalente e che sono nate nei paesi nordici, in uno Stato membro, in Svizzera o in Lichtenstein.

2)

In caso di risposta negativa alla prima questione, se tale prassi comporti una discriminazione indiretta a causa dell’origine etnica ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 2, lettera b), della [direttiva 2000/43], a meno che essa sia oggettivamente giustificata da una finalità legittima e i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari.

3)

In caso di risposta affermativa alla seconda questione, se tale prassi possa essere giustificata, in linea di principio, in quanto mezzo appropriato e necessario per salvaguardare gli obblighi rafforzati di adeguata verifica della clientela previsti dall’articolo 13 della [direttiva 2005/60]».

25.

Hanno presentato osservazioni scritte la Jyske Finans, il Regno di Danimarca e la Commissione. Il 12 ottobre 2016, dette parti hanno svolto le loro difese orali.

III – Analisi

26.

Con la prima questione, il giudice del rinvio chiede se la prassi controversa costituisca una discriminazione diretta ai sensi della direttiva 2000/43. Se così non è, in tal caso, con la seconda questione, detto giudice chiede se tale prassi costituisca una discriminazione indiretta, salvo che essa sia oggettivamente giustificata e proporzionata. Nella terza questione il giudice del rinvio ha indicato una possibile giustificazione della prassi controversa nel caso in cui debba essere considerata, prima facie, indirettamente discriminatoria.

27.

Esaminerò l’aspetto della discriminazione e quello della giustificazione in successione, nelle parti A e B della presente analisi.

A – Sulle prime due questioni pregiudiziali

28.

Con le prime due questioni, alle quali risponderò congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se la prassi controversa, che consiste nel trattare i clienti in modo diverso a causa del loro luogo di nascita, costituisca una discriminazione diretta o indiretta ai sensi della direttiva 2000/43.

29.

Formulerò dapprima alcune osservazioni sulle ragioni per cui la discriminazione a causa dell’origine etnica, come prevista dalla direttiva 2000/43, non possa essere dimostrata unicamente in base al luogo di nascita di una persona. Tali considerazioni incideranno quindi sulla questione se la prassi controversa costituisca una discriminazione diretta o indiretta a causa dell’origine etnica.

1. Osservazioni generali

30.

Ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, della direttiva 2000/43, il principio della parità di trattamento comporta che non sia praticata alcuna discriminazione diretta o indiretta a causa «della razza o dell’origine etnica». Sono questi i due criteri in base ai quali tale direttiva ha considerato illegittimo il fatto di sottoporre le persone a un diverso trattamento.

31.

Anzitutto, per prevenire e contrastare il razzismo, è necessario definire preventivamente la nozione stessa di «razza». Tuttavia, tale operazione è divenuta sempre più inaccettabile nelle società moderne ( 8 ). Pertanto, nel corso del tempo il divieto di discriminazione a causa della razza ha forse ceduto il passo alla nozione meno esplicita e concreta di discriminazione a causa dell’origine etnica che, come accennato infra al paragrafo 35, è una forma di discriminazione razziale.

32.

La direttiva 2000/43 non definisce la nozione di «origine etnica» e quindi non fornisce una risposta alla questione se sussista un collegamento tra i due criteri menzionati supra al paragrafo 30 e il luogo di nascita di una persona ( 9 ).

33.

Ciò non può certo sorprendere. Formulare i criteri costituenti l’essenza di un’origine etnica e descrivere ciò che la distingue da altre origini etniche può essere una sfida troppo impegnativa per chiunque. Come è stato chiesto dalla Commissione in udienza, cosa rende, ad esempio, una persona di «origine etnica danese», e in che modo tale persona si distingue dal punto di vista etnico da altre persone, come quelle di origine etnica «svedese» o «norvegese» – sempreché tali origini etniche esistano davvero? Non spetta a me tentare di rispondere a tale difficile domanda.

34.

Tuttavia, di fronte al silenzio del legislatore, è stato chiesto alla Corte, che non si è sottratta a tale richiesta, di rendere un’interpretazione autorevole. Nella sentenza CHEZ Razpredelenie Bulgaria, la Corte ha dichiarato che la nozione di «origine etnica», o etnicità, «deriva dall’idea che i gruppi sociali sono caratterizzati in particolare da una comunanza di nazionalità, fede religiosa, lingua, origine culturale e tradizionale e ambiente di vita» ( 10 ).

35.

Nel fornire tale definizione, la Corte si è attenuta alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (in prosieguo: la «Corte EDU»), che aveva dichiarato che «l’etnicità e la razza sono nozioni collegate (…) L’etnicità deriva dall’idea che i gruppi sociali sono caratterizzati in particolare da una comunanza di nazionalità, fede religiosa, lingua, origine culturale e tradizionale e ambiente di vita. La discriminazione a causa dell’origine etnica di una persona è una forma di discriminazione razziale» ( 11 ).

36.

Gli indicatori dell’«origine etnica», come elencati in precedenza ai paragrafi 34 e 35, non si riferiscono al luogo di nascita di una persona Tuttavia, l’uso dei termini «in particolare» indica la natura non esaustiva di tali fattori. Pertanto, non si può escludere che il luogo di nascita di una persona possa costituire un fattore di tal genere o, quantomeno, possa essere un fattore che contribuisce a definire l’origine etnica.

37.

Mi preme tuttavia sottolineare che, nell’ambito della questione in esame, il luogo di nascita del denunciante è l’unico criterio che ha indotto la commissione per la parità di trattamento e, successivamente, il Retten i Viborg (Tribunale distrettuale di Viborg) a dichiarare che la prassi controversa costituisce una discriminazione a causa dell’origine etnica, diretta o indiretta. Ciò implica che il luogo di nascita di una persona condiziona la sua origine etnica come prevista nella direttiva 2000/43.

38.

Tuttavia, tale idea non trova conferme nella direttiva 2000/43.

39.

La discriminazione a causa del luogo di nascita è un criterio autonomo di discriminazione, distinto da altri criteri di discriminazione quali l’origine etnica o la nazionalità. Tali criteri non devono essere confusi. La direttiva 2000/43 non tutela contro situazioni di discriminazione che non siano basate sulle caratteristiche personali ivi elencate ( 12 ).

40.

Ad esempio, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 2, della direttiva 2000/43, la tutela attribuita da tale direttiva, che si applica allo stesso modo ai settori pubblico e privato in un’ampia serie di ambiti elencati all’articolo 3, paragrafo 1, della medesima direttiva, non si estende alle differenze di trattamento basate sulla nazionalità ( 13 ). Ciò è in linea con l’idea che avere una determinata nazionalità non dice molto sull’origine etnica di una persona. Come è stato precisato nella giurisprudenza menzionata supra ai paragrafi 34 e 35, la «comunanza di nazionalità» – vale a dire, la nazionalità nel senso «etnico» del termine ( 14 ) – è semplicemente un singolo fattore distintivo di una determinata appartenenza etnica.

41.

A mio avviso, la stessa logica si applica alla questione se la discriminazione basata sul luogo di nascita di una persona costituisca una discriminazione basata sull’origine etnica. Il luogo di nascita è solo un fattore specifico che consente di concludere che una persona potrebbe appartenere a un determinato gruppo etnico, ma non determina in nessun caso tale appartenenza. Ad esempio, qual è l’origine etnica di persone adottate da paesi terzi e portate nell’Unione o nell’EFTA? È impossibile fornire una risposta generale a tale questione. Inoltre, se un gruppo sociale può essere considerato una comunità etnica distinta principalmente a causa della fede religiosa, delle usanze e dello stile di vita ( 15 ), il luogo di nascita di una persona che appartiene a siffatta comunità cosa può dire dell’origine etnica di tale persona?

42.

Occorre sottolineare, inoltre, che la nozione di «luogo di nascita» è di per sé ambigua. Nella fattispecie, tale nozione, come utilizzata nella patente di guida del denunciante, è stata equiparata al suo paese d’origine – diversamente da quanto è avvenuto per la sua compagna. Un uso del criterio del «luogo di nascita» esteso all’intero paese consente di desumere più facilmente la «comunanza di nazionalità» della la persona in questione, che costituisce una delle caratteristiche indicative dell’origine etnica secondo la giurisprudenza menzionata supra ai paragrafi 34 e 35. Tuttavia, non sussiste alcuna base giuridica a sostegno dell’idea che per ogni Stato sovrano esista una sola ed unica origine etnica corrispondente.

43.

Infine, è vero che, come è stato affermato dal Regno di Danimarca, l’articolo 21 della Carta dei diritti fondamentali vieta non solo la discriminazione fondata sulla razza o sull’origine etnica, ma anche la discriminazione fondata sulla nascita. Tuttavia, il fatto di elencarle separatamente rafforza semplicemente l’idea che le nozioni di «origine etnica» e di «nascita» siano diverse.

44.

Ciò mi porta a concludere che, come riconosce il Regno di Danimarca, i criteri dell’origine etnica e del luogo di nascita non sono automaticamente e necessariamente collegati. Il luogo di nascita di una persona può costituire un fattore rilevante nel considerare se tale persona appartenga a un gruppo etnico. Tuttavia, la discriminazione a causa dell’origine etnica non può essere dimostrata facendo unicamente riferimento al luogo di nascita di una persona.

2. Sulla questione se la prassi controversa costituisca una discriminazione diretta ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2000/43

45.

La constatazione di una discriminazione diretta ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2000/43 esige che l’origine etnica debba aver determinato la decisione di imporre il trattamento o, in altri termini, che il trattamento in questione risulti introdotto e/o mantenuto per ragioni connesse all’origine etnica ( 16 ).

46.

Per giustificare la sua conclusione, relativa alla discriminazione diretta, il Retten i Viborg (Tribunale distrettuale di Viborg) ha dichiarato, in primo luogo, che la maggior parte delle persone che richiedono un prestito o un finanziamento alla Jyske Finans risiedono in Danimarca e sono di etnia danese e, in secondo luogo, che la prassi controversa implica quindi che persone nate in paesi terzi siano trattate in modo meno favorevole delle persone nate in Danimarca. Detto giudice ha proseguito sostenendo che tale differenza di trattamento non è basata sulla nazionalità di tali richiedenti, «bensì sulla loro origine geografica e, di conseguenza, sulla loro origine etnica» (il corsivo è mio).

47.

Tale logica è errata per varie ragioni.

48.

Anzitutto, come è stato concluso supra al paragrafo 44, una differenza di trattamento a causa dell’origine etnica non costituisce una conseguenza automatica della differenza di trattamento basata sull’origine geografica o sul luogo di nascita.

49.

Inoltre, l’affermazione secondo la quale la maggior parte delle persone nate al di fuori della Danimarca non sono «di etnia danese» – ammesso che siffatta origine etnica esista – non è sufficiente per dimostrare l’esistenza di un caso di discriminazione diretta. Semmai, ciò indica piuttosto la presenza di una discriminazione indiretta.

50.

Infine, è errato limitare il confronto alla contrapposizione tra la situazione delle persone nate in Danimarca, da un lato, e la situazione delle persone nate in un paese terzo, dall’altro. La prassi controversa non è semplicemente limitata a tale contrapposizione. Al contrario, il criterio adeguato di valutazione della discriminazione ai sensi della direttiva 2000/43 impone di valutare se la prassi controversa comporti una differenza di trattamento a causa dell’origine etnica tra, da un lato, una persona nata in uno Stato membro o in uno Stato EFTA e, dall’altro, una persona nata in un paese terzo.

51.

Orbene, l’ordinanza di rinvio non stabilisce che esistono elementi di prova che dimostrano il sorgere della prassi controversa per ragioni inerenti alla particolare origine etnica dei richiedenti un prestito.

52.

Tuttavia, nel corso dell’udienza, in particolare, il Regno di Danimarca ha sostenuto che sarebbe stato possibile intendere la prassi controversa come direttamente discriminatoria, in quanto il suo effetto pratico è in genere quello di gettare sospetti su cittadini danesi nati in paesi terzi che, secondo tale Stato membro, non sarebbero in genere di «origine etnica danese».

53.

A tal riguardo, anzitutto, è irrilevante ai sensi della direttiva 2000/43 il fatto che la prassi controversa tratti i cittadini danesi nati in paesi terzi in modo meno favorevole rispetto ai cittadini danesi nati nell’Unione o negli Stati EFTA. Né la loro cittadinanza né il loro luogo di nascita rappresenta una caratteristica personale tutelata dalla direttiva.

54.

Inoltre, tale argomento è basato sull’errata convinzione che il luogo di nascita, la nazionalità e l’origine etnica vadano di pari passo. Per la ragione esposta supra al paragrafo 3, tale argomento deve essere respinto.

55.

Infine, l’effetto pratico della prassi controversa non è sufficiente per dimostrare l’esistenza di un caso di discriminazione diretta ( 17 ).

56.

Su tale base, ritengo che la prassi controversa non costituisca una discriminazione diretta ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2000/43. Proseguirò ora esaminando se la prassi controversa comporti una discriminazione indiretta ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 2, lettera b), della medesima direttiva.

3. Sulla questione se la prassi controversa costituisca una discriminazione indiretta ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 2000/43

57.

Affinché una misura possa ricadere nell’ambito di applicazione dell’articolo 2, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 2000/43, è sufficiente che tale misura, pur informandosi a criteri neutri non fondati sull’etnicità, abbia l’effetto di sfavorire particolarmente le persone di «una [determinata] origine etnica» ( 18 ). La discriminazione indiretta non richiede necessariamente un intento discriminatorio ( 19 ). Tale discriminazione può essere accertata con qualsiasi mezzo, compresa l’evidenza statistica ( 20 ).

58.

Nell’esaminare se l’uso del criterio neutro del luogo di nascita, da parte della Jyske Finans, comporti una discriminazione indiretta, si potrebbe sostenere che il fatto di avere come obiettivo persone nate al di fuori dell’Unione o degli Stati EFTA ha, in genere, maggiori probabilità di incidere negativamente su persone di «una [determinata] origine etnica». È questa, infatti, in sostanza, la posizione del Regno di Danimarca, il quale ritiene che l’ulteriore requisito imposto dalla prassi controversa incida su persone nate in paesi terzi e, di conseguenza, principalmente su persone di «origine etnica non danese».

59.

Tuttavia, tale posizione è insostenibile.

60.

Supponendo, per ipotesi, che il Regno di Danimarca abbia ragione ad affermare che persone non nate in tale Stato membro non sono, in genere, di «origine etnica danese», ciò non è sufficiente per constatare una discriminazione indiretta ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 2000/43. Infatti, per essere efficace, la nozione di discriminazione indiretta ai sensi di tale disposizione richiede che la misura asseritamente discriminatoria abbia l’effetto di sfavorire una particolare origine etnica. In altri termini, tale disposizione richiede che sia individuata la particolare origine etnica (o che siano individuate le particolari origini etniche, nel caso in cui una prassi incida su più comunità etniche distinte) alla quale sia applicabile la tutela prevista da tale direttiva e che abbia subito un trattamento meno favorevole. Diversamente dalla posizione del Regno di Danimarca, esposta al precedente paragrafo 58, tale disposizione non può essere intesa nel senso che attribuisce una tutela (negativa) contro misure che probabilmente favoriscono una determinata origine etnica, senza individuare altresì una specifica origine etnica che risulti sfavorita. In tal senso, sebbene le formulazioni in lingua inglese e in lingua tedesca dell’articolo 2, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 2000/43 possano essere considerate non concludenti a tal riguardo, altre versioni linguistiche ufficiali usano termini più precisi che chiariscono il significato di tale disposizione ( 21 ) e trovano conferma nella finalità e nell’economia generale della direttiva ( 22 ). Tale finalità, conformemente al considerando 17 della medesima direttiva, consiste nel «prevenire o compensare gli svantaggi incontrati da un gruppo di persone di una determinata razza od origine etnica» (il corsivo è mio). Sarebbe contrario all’economia generale della direttiva 2000/43 applicare semplicemente l’articolo 2, paragrafo 2, lettera b), di tale direttiva in astratto, in quanto ogni singolo essere umano ha un’origine etnica, anche se potrebbe essere ancora necessario scoprire opportunamente tale origine.

61.

È vero che, l’applicazione del divieto di discriminazione a causa dell’origine etnica non richiede né che la persona interessata appartenga effettivamente alla comunità etnica obiettivo del trattamento meno favorevole (in caso di «discriminazione per associazione») ( 23 ), né che una vittima sia concretamente identificata ( 24 ). Ciò non toglie, tuttavia, che l’articolo 2, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 2000/43 richieda l’individuazione di una particolare origine etnica destinataria della misura discriminatoria. La giurisprudenza della Corte lo conferma.

62.

Infatti, in primo luogo, sebbene non si sia forse espressa deliberatamente su tale punto, la Corte ha fatto costantemente riferimento a «lavoratori dipendenti aventi una certa origine etnica o razziale», a «persone di una determinata origine etnica» e a «persone che possiedono tale origine etnica» (il corsivo è mio) ( 25 ).

63.

In secondo luogo, le cause più importanti trattate dalla Corte, concernenti la direttiva 2000/43, avevano tutte ad oggetto gruppi individuati di persone ai quali non si contestava l’applicabilità della tutela contro la discriminazione ai sensi della direttiva 2000/43 ( 26 ).

64.

In terzo luogo, come affermato in sostanza dalla Commissione nel corso dell’udienza, l’esame del carattere paragonabile deve essere condotto non in maniera globale e astratta, bensì in modo specifico e concreto in riferimento al trattamento favorevole in questione ( 27 ).

65.

Tale posizione non è rimessa in discussione da un argomento, fatto valere in udienza dal Regno di Danimarca, secondo il quale la Corte EDU ha recentemente statuito, a maggioranza, che le norme nazionali sul ricongiungimento familiare, che hanno effetti generalmente sfavorevoli sulle persone di «origine etnica straniera», violano l’articolo 8 della Convenzione europea sui diritti umani, in combinato disposto con l’articolo 14 di quest’ultima ( 28 ). Tale causa riguardava la differenza di trattamento dei cittadini di uno Stato basata sulla durata della cittadinanza di questi ultimi e quindi su una questione riguardo alla quale la direttiva 2000/43 non riconosce una tutela maggiore di quanto avvenga per il luogo di nascita di una persona. Inoltre, mentre la formulazione di tali disposizioni della Convenzione – in particolare l’articolo 14 – non indica la necessità di individuare una particolare origine etnica destinataria di una misura discriminatoria, così non è nel caso dell’articolo 2, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 2000/43.

66.

Passando alla questione in esame, osservo che l’unica informazione certa a disposizione della Corte è che il denunciante è nato in Bosnia‑Erzegovina. In ogni caso, la mancanza di informazioni non è decisiva: l’eventualità che la prassi controversa costituisca una discriminazione indiretta va considerata specificamente in base alla prassi in quanto tale.

67.

In effetti, la prassi controversa sembra incidere allo stesso modo su tutte le origini etniche, in quanto i paesi terzi contengono, potenzialmente, tutte le etnie presenti sulla terra. È quindi escluso che la prassi controversa sia atta a incidere «in misura notevolmente maggiore» sulle persone di una particolare origine etnica rispetto ad altre persone ( 29 ).

68.

Alla luce delle suesposte considerazioni, ritengo che la prassi controversa non comporti una discriminazione indiretta ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 2000/43.

4. Conclusione intermedia

69.

Dalle considerazioni che precedono deriva che la prassi controversa non rientra né nell’ambito di applicazione dell’articolo 2, paragrafo 2, lettera a), né in quello dell’articolo 2, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 2000/43. È quindi superfluo esaminare la terza questione pregiudiziale. Tuttavia, nell’eventualità che la Corte possa dichiarare che la prassi controversa costituisce una discriminazione indiretta, risponderò di seguito a tale questione, ai paragrafi 72 e seguenti.

70.

Inoltre, ritengo altresì superfluo adottare una posizione sull’argomento dedotto in udienza dalla Commissione, secondo il quale la prassi controversa potrebbe causare una discriminazione illegittima tra cittadini dell’Unione, basata sul momento in cui gli stessi hanno ottenuto la cittadinanza ( 30 ). Anzitutto, il giudice del rinvio non ha formulato una questione al riguardo. Inoltre, la Corte non dispone di informazioni sufficienti per pronunciarsi su tale argomento né le parti menzionate all’articolo 23 dello Statuto della Corte di giustizia hanno avuto la possibilità di presentare osservazioni su tale nuovo argomento, come è loro diritto. Infine, e in ogni caso, fatico a cogliere la rilevanza di tale argomento in quanto, in primo luogo, l’osservazione orale della Commissione si riferiva in modo specifico a una possibile discriminazione tra cittadini danesi. Tuttavia, ancora una volta, ciò costituisce un’errata interpretazione dell’ambito di applicazione della prassi controversa, che non è limitata a tali cittadini. In secondo luogo, la giurisprudenza fatta valere dalla Commissione a sostegno della sua tesi riguarda cittadini dell’Unione che, avendo esercitato il proprio diritto alla libera circolazione, si sono stabiliti in un altro Stato membro e sono stati naturalizzati cittadini di tale Stato. Non mi risulta che nel procedimento principale ricorra tale ipotesi.

71.

Sebbene l’esperienza diretta del denunciante riguardo alla differenza di trattamento causata dalla prassi controversa possa aver suscitato rabbia, tale differenza non era vietata dalla direttiva 2000/43. In tale contesto, la Corte non dovrebbe quindi tentare di vietare tale differenza di trattamento con un’interpretazione giurisprudenziale, in quanto spetta giustamente al legislatore dell’Unione assolvere tale compito ampliando l’elenco dei criteri tutelati dalla direttiva.

B – Sulla terza questione pregiudiziale

72.

Con la terza questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se una prassi come quella in discussione possa essere considerata legittima alla luce dell’articolo 13 della direttiva 2005/60, che stabilisce norme in materia di obblighi rafforzati di adeguata verifica della clientela. Tale questione è collegata alla seconda questione pregiudiziale, in quanto rientra nella questione se la prassi controversa sia indirettamente discriminatoria. Diversamente dai casi di discriminazione diretta ( 31 ), ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 2000/43, un caso manifesto di discriminazione indiretta può sfuggire a tale classificazione qualora sia «oggettivamente giustificat[o] da una finalità legittima e i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari».

73.

La Jyske Finans, sostenuta dal Regno di Danimarca, afferma che il rispetto delle norme sulla prevenzione del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo costituisce una finalità legittima che può giustificare, in via di principio, la prassi controversa. Tuttavia, le parti dissentono sul punto se la prassi controversa sia appropriata e necessaria.

74.

La Jyske Finans ritiene che ricorra tale ipotesi, considerata, in particolare, la valutazione generale dei rischi relativa al paese interessato (la Bosnia‑Erzegovina) e la mancanza di contatti fisici tra la Jyske Finans e il denunciante quando il prestito è stato concesso. Essa sostiene inoltre che la prassi controversa è appropriata al fine di garantire una maggiore tracciabilità e una corretta identificazione dei clienti. È altresì appropriata in quanto indica l’intento dei richiedenti un prestito di creare collegamenti con uno Stato membro dell’Unione o uno Stato EFTA piuttosto che con il loro paese d’origine, con ciò garantendo, in definitiva, che la linea di credito concessa non sia monetizzata attraverso una vendita immediata del veicolo e non sia utilizzata per scopi che la direttiva 2005/60 tenta di prevenire. La Jyske Finans sostiene inoltre che la prassi controversa non stigmatizza il cliente, in quanto l’informazione che il cliente è nato in un paese terzo è riservata e la richiesta di esibire il passaporto non è quindi resa pubblica.

75.

Il Regno di Danimarca e la Commissione ritengono che la prassi controversa vada al di là di quanto è necessario. In particolare, il Regno di Danimarca sostiene che la direttiva 2005/60 non stabilisce un collegamento tra il luogo di nascita di una persona e il maggior rischio di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo. Agire secondo tale prassi contribuirebbe a far sorgere un generale sospetto nei confronti di cittadini dell’Unione o degli Stati EFTA, nati al fuori di tali territori, e a determinare la loro stigmatizzazione.

76.

Anzitutto, ritengo che l’obiettivo di prevenire il riciclaggio di denaro e il finanziamento del terrorismo possa giustificare, in via di principio, una misura indirettamente discriminatoria: nella sentenza CHEZ Razpredelenie Bulgaria, la Corte ha già dichiarato che la prevenzione di truffe e abusi costituisce una finalità legittima ai fini dell’articolo 2, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 2000/43 ( 32 ). Il riciclaggio di denaro è una forma di truffa e abuso. Inoltre, la prevenzione e la lotta al riciclaggio di denaro e al finanziamento del terrorismo sono finalità legittime che possono giustificare, in via di principio, una deroga alle norme sulla libertà di circolazione ( 33 ) e, quindi, possono essere fatte valere anche ai fini della direttiva 2000/43.

77.

Ciò che occorre ancora considerare è se la prassi controversa sia obiettivamente giustificata da tale finalità e se i mezzi utilizzati in tale prassi per conseguire detta finalità siano appropriati e necessari.

78.

A questo punto, va ricordato che, nella sentenza Safe Interenvios ( 34 ), la Corte ha fornito indicazioni sui poteri dell’ente creditizio di applicare obblighi rafforzati di adeguata verifica ai suoi clienti ai sensi della direttiva 2005/60 e, cosa ancor più importante, sui limiti a tali poteri.

79.

In primo luogo, dal temine «comunque» contenuto nell’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2005/60 deriva che le situazioni contemplate ai paragrafi da 2 a 4 della medesima direttiva non sono esaustive e che potrebbero esistere situazioni diverse da quelle in cui potrebbe essere necessario applicare misure rafforzate di adeguata verifica della clientela, sulla base della valutazione del rischio esistente ( 35 ).

80.

In secondo luogo, la direttiva 2005/60 è una direttiva di armonizzazione minima. Anche quando uno Stato membro abbia trasposto correttamente l’articolo 13 di tale direttiva nell’ordinamento interno, l’articolo 5 di quest’ultima consente allo stesso di adottare o di mantenere in vigore disposizioni più rigorose, qualora tali disposizioni mirino a rafforzare la lotta contro il riciclaggio di capitali e contro il finanziamento del terrorismo ( 36 ).

81.

In terzo luogo, lo Stato membro interessato deve esercitare il potere di applicare misure rafforzate di adeguata verifica della clientela ai sensi della direttiva 2005/60 rispettando il diritto dell’Unione ( 37 ). Qualora la normativa di uno Stato membro abbia delegato tali poteri agli enti e alle persone soggetti alla direttiva 2005/60, tale requisito deve essere applicato anche a dette parti.

82.

In quarto luogo, gli Stati membri possono identificare le misure particolari da applicare in talune precise situazioni oppure lasciare agli enti e alle persone soggetti alla direttiva 2005/60 un potere discrezionale per applicare, sulla base di una congrua valutazione del rischio, le misure giudicate proporzionate al rischio in questione in una particolare situazione. La valutazione dell’esistenza e del livello di rischio di riciclaggio di capitali e di finanziamento del terrorismo associato (a seconda dei casi) a un cliente, a un rapporto d’affari, a un conto, a un prodotto o a una transazione è fondamentale. Qualora non esista alcun rischio di riciclaggio di capitali o di finanziamento del terrorismo, non è possibile adottare misure preventive fondate su tali motivi. Inoltre, in assenza di tale valutazione, non è possibile né per lo Stato membro interessato, né, eventualmente, per un ente o una persona soggetti alla direttiva decidere caso per caso quali misure applicare ( 38 ).

83.

Tornando alla causa in esame, osservo che dalla formulazione della terza questione pregiudiziale deriva che è la legittimità della prassi controversa ad essere in discussione, più che la sua particolare applicazione nel procedimento principale. Al riguardo, come affermato in precedenza, il fatto che la vittima sia concretamente identificata non costituisce una condizione preliminare di tale valutazione ( 39 ). Pertanto, il fatto che possa essere stato legittimo richiedere informazioni supplementari al denunciante a causa del presunto maggior rischio di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo connesso al suo paese d’origine, ossia la Bosnia‑Erzegovina, è puramente casuale. In ogni caso, la Jyske Finans non dichiara di aver effettuato una specifica valutazione di tale rischio in relazione al procedimento principale.

84.

Il principale argomento della Jyske Finans consiste essenzialmente nell’affermare che essa ha richiesto una documentazione supplementare al denunciante per ottemperare alle norme sulla prevenzione del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo. Tuttavia, la Jyske Finans non indica quale fra le situazioni che impongono l’applicazione di misure rafforzate di adeguata verifica della clientela, contemplate all’articolo 13 della direttiva 2005/60, la abbia obbligata specificamente a formulare tale richiesta. Inoltre, senza necessità di fornire un’interpretazione autorevole sulla questione se l’articolo 19 della legge sul riciclaggio di denaro vada al di là dei requisiti minimi di cui alla direttiva 2005/60, non costituisce una forzatura ritenere che – salvo conferma del giudice del rinvio – a parte le situazioni previste ai paragrafi da 2 a 4 dello stesso articolo, tale disposizione, come tale, non imponga, ma piuttosto consenta alle persone e alle imprese soggette a tale legge di applicare siffatte misure in situazioni che comportano, di per sé, un maggior rischio di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo. Ritengo quindi che non sia tanto in discussione se la Jyske Finans fosse obbligata a imporre il requisito supplementare secondo la prassi controversa, quanto piuttosto se essa potesse farlo.

85.

In tale contesto, la prassi controversa può essere considerata, a mio avviso, obiettivamente giustificata, appropriata e necessaria ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 2000/43 solo se conforme ai principi derivanti dalla sentenza Safe Interenvios ( 40 ), come sintetizzati supra ai paragrafi da 79 a 82. Spetta al giudice nazionale stabilire se così avvenga nel caso di specie. Tuttavia, la Corte può fornirgli indicazioni utili alla definizione della controversia di cui è stato investito ( 41 ).

86.

Occorre sottolineare che un ente creditizio ha pienamente diritto di applicare misure rafforzate di adeguata verifica della clientela, e può anche essere obbligato ad applicarle, quando può essere individuato un maggior rischio di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo in base, tra l’altro, al tipo di cliente, di paese, di prodotto o di operazione. Non escluderei del tutto che, talvolta, sia anche possibile dedurre tale rischio unicamente dal luogo di nascita del cliente, tenuto conto, in particolare, delle raccomandazioni applicabili al riguardo del gruppo d’azione finanziaria internazionale (in prosieguo: il «GAFI») ( 42 ).

87.

Tuttavia, occorre ricordare che quando sussiste prima facie un’ipotesi di discriminazione indiretta fondata sulla razza o sull’origine etnica, la nozione di «giustificazione oggettiva» deve essere interpretata restrittivamente ( 43 ).

88.

L’affermazione della Jyske Finans secondo la quale la prassi controversa è appropriata, in quanto è più probabile che i clienti nati in paesi terzi utilizzino i beni per il quale è concessa una linea di credito per finanziare le finalità che la direttiva 2005/60 tenta di prevenire, semplicemente non è suffragata da elementi di prova. La Jyske Finans deve quanto meno dimostrare, in modo obiettivo, l’effettiva esistenza e portata del comportamento che ha dato luogo all’applicazione della prassi controversa e le precise motivazioni per cui tale comportamento potrebbe protrarsi in mancanza di tale prassi. In particolare, la Jyske Finans non può fondare le proprie giustificazioni su affermazioni generiche o non documentate ( 44 ). A tal riguardo, anche se è possibile affermare che l’articolo 13, paragrafi da 2 a 6, di tale direttiva opera indirettamente in base a stereotipi per quanto riguarda talune persone o operazioni («profiling»), diversamente dalla prassi controversa, l’applicazione di tali disposizioni richiede effettivamente una valutazione individuale.

89.

Inoltre, la prassi controversa va al di là di quanto è necessario per conseguire il fine dell’assistenza nella lotta al riciclaggio e al finanziamento del terrorismo, in quanto si applica in generale a chiunque sia nato in un paese terzo. Ciò equivale ad applicare obblighi rafforzati di adeguata verifica in situazioni non contemplate nell’articolo 13, paragrafi da 2 a 6, della direttiva 2005/60 senza alcuna valutazione individualizzata dei rischi. Il potere discrezionale conferito agli enti e alle persone soggetti alla direttiva 2005/60 di applicare obblighi rafforzati di adeguata verifica in situazioni in cui non sono tenuti a farlo non può essere esercitato in modo da eludere la tutela attribuita ai sensi della direttiva 2000/43.

90.

Per quanto riguarda la necessità di mantenere la prassi controversa, considerata la mancanza di contatti fisici tra la Jyske Finans e i suoi clienti, dal fascicolo depositato presso la Corte emerge che la Jyske Finans ha ritenuto essa stessa, in un documento online contenente una descrizione generale del modo in cui essa ottempera alla legge sul riciclaggio di denaro, che il rischio di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo è, in genere, relativamente limitato quando si tratta di questo tipo di operazione. Le ragioni addotte erano, tra l’altro, che il finanziamento in questione è limitato a beni mobili e che sono stabiliti precedenti contatti tra il cliente e la concessionaria di automobili (quest’ultima spesso cliente, a sua volta, della Jyske Finans). In tale contesto, l’affermazione della Jyske Finans di un rischio dovuto alla mancanza di contatti fisici risulta incoerente.

91.

Infine, per quanto riguarda l’argomento secondo il quale la Jyske Finans non rende pubblicamente noto quando chiede a un cliente di esibire un passaporto secondo la prassi controversa e, pertanto, tale requisito non ha un effetto stigmatizzante, detto argomento riguarda piuttosto la questione se la prassi controversa comporti una discriminazione. Al riguardo, come sostenuto dalla Commissione, la direttiva 2000/43 non definisce una soglia minima al di sotto della quale la tutela che essa attribuisce non viene applicata ( 45 ) né richiede che un trattamento sfavorevole sia reso pubblico per essere classificato come discriminatorio ( 46 ).

92.

Pertanto, ritengo che la prassi controversa non sia né obiettivamente giustificata dalla finalità di prevenire il riciclaggio di denaro e il finanziamento del terrorismo né necessaria per il conseguimento di tale finalità. Tuttavia, in ultima analisi, spetta al giudice del rinvio pronunciarsi su tale questione, tenuto conto di tutte le circostanze rilevanti e della norma sull’inversione dell’onere della prova stabilita all’articolo 8 della direttiva 2000/43.

93.

Tuttavia, tale compito spetterebbe al giudice del rinvio solo qualora la Corte dovesse considerare che la prassi controversa comporta una discriminazione indiretta a causa dell’origine etnica, contrariamente a quanto da me sostenuto.

IV – Conclusione

Alla luce delle suesposte considerazioni, propongo alla Corte di rispondere alle questioni pregiudiziali sollevate dal Vestre Landsret (Corte regionale dell’Ovest, Danimarca) nel senso che, secondo una corretta interpretazione dell’articolo 2 della direttiva 2000/43 del Consiglio, del 29 giugno 2000, che attua il principio della parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica, la nozione di discriminazione a causa dell’origine etnica quale utilizzata in tale direttiva non include la prassi di un ente creditizio che, nel caso in cui la patente di guida di un cliente indichi un luogo di nascita non ubicato in uno Stato membro dell’Unione o in uno Stato membro dell’Associazione europea di libero scambio, richiede a tale cliente di esibire un passaporto rilasciato da uno di tali paesi o, in mancanza, di esibire un passaporto e un permesso di soggiorno valido.


( 1 ) Lingua originale: l’inglese.

( 2 ) Vale a dire, Danimarca, Islanda, Norvegia, Svezia e Finlandia.

( 3 ) Considerati congiuntamente, tutti questi paesi formano gli Stati membri dell’Unione e gli Stati membri dell’Associazione europea di libero scambio (in prosieguo: l’«EFTA»). Ai fini delle presenti conclusioni, indicherò i paesi diversi dagli Stati membri dell’Unione e dagli Stati EFTA come «paesi terzi» e i loro cittadini come «cittadini di paesi terzi».

( 4 ) Direttiva del Consiglio, del 29 giugno 2000, che attua il principio della parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica (GU 2000, L 180, pag. 22).

( 5 ) Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 ottobre 2005, relativa alla prevenzione dell’uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo (GU 2005, L 309, pag. 15), come modificata.

( 6 ) Lovbekendtgørelse nr. 438 af 16. maj 2012, Lovtidende 2012 A, med senere ændringer (legge consolidata n. 438 del 16 maggio 2012, come modificata).

( 7 ) Lovbekendtgørelse nr. 806 af 6. august 2009, Lovtidende 2009 A (legge consolidata n. 806 del 6 agosto 2009).

( 8 ) Dal considerando 6 della direttiva 2000/43 deriva che l’Unione respinge le teorie che tentano di dimostrare l’esistenza di razze umane distinte e l’uso del termine «razza» in tale direttiva non implica l’accettazione di siffatte teorie.

( 9 ) La relazione contenuta nella proposta della Commissione, del 25 novembre 1999, di direttiva del Consiglio che attua il principio della parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica [COM(1999) 566 def.], non fornisce alcuna indicazione al riguardo.

( 10 ) Sentenza del 16 luglio 2015, CHEZ Razpredelenie Bulgaria, C‑83/14, EU:C:2015:480, punto 46.

( 11 ) V. Corte EDU, 22 dicembre 2009, Sejdić e Finci c. Bosnia‑Erzegovina, CE:ECHR:2009:1222JUD002799606, § 43. Nella sentenza del 13 dicembre 2005, Timishev c. Russia, CE:ECHR:2005:1213JUD005576200, § 55, la Corte EDU ha altresì incluso l’«appartenenza tribale» quale indicatore dell’etnicità di un gruppo sociale.

( 12 ) V. sentenza del 7 luglio 2011, Agafiţei e a., C‑310/10, EU:C:2011:467, punto 32, riguardante la discriminazione operata in funzione della «categoria socio‑professionale» di una persona. Inoltre, la direttiva 2000/43 non riguarda situazioni che esulano del suo ambito di applicazione ratione materiae. V. sentenza del 12 maggio 2011, Runevič‑Vardyn e Wardyn, C‑391/09, EU:C:2011:291, punto 47, riguardante la normativa nazionale che disciplina la registrazione dei cognomi e dei nomi negli atti di stato civile.

( 13 ) Sentenza del 24 aprile 2012, Kamberaj, C‑571/10, EU:C:2012:233, punto 49. Pertanto, il considerando 13 della direttiva 2000/43 prevede che «Qualsiasi discriminazione diretta o indiretta basata sulla razza o l’origine etnica nei settori di cui alla presente direttiva dovrebbe pertanto essere proibita in tutta [l’Unione]. Tale divieto di discriminazione dovrebbe applicarsi anche nei confronti dei cittadini dei paesi terzi, ma non comprende le differenze di trattamento basate sulla nazionalità e lascia impregiudicate le disposizioni che disciplinano l’ingresso e il soggiorno di cittadini dei paesi terzi e il loro accesso all’occupazione e all’impiego».

( 14 ) In termini linguistici, la nozione di «cittadinanza», ossia lo status inerente a una persona riconosciuta, secondo gli usi o la legge, come soggetta allo Stato sovrano o a una confederazione di Stati, non reca lo stesso significato della nozione di «nazionalità».

( 15 ) In taluni ordinamenti, tale ipotesi sembra ricorrere, tra l’altro, per il popolo ebraico o la comunità Sikh. V. Bell, M., Racism and Equality in the European Union, Oxford Studies in European Law, Oxford, 2008, pag. 16.

( 16 ) Sentenza del 16 luglio 2015, CHEZ Razpredelenie Bulgaria, C‑83/14, EU:C:2015:480, punti 76, 9195. Per una critica del requisito dell’intento, v. Cahn, C., «Court of Justice of the EU Rules Collective and Inaccessible Electrical Metres Discriminate against Roma: CHEZ Razpredelenie Bulgaria AD v. Komisia za zashita ot diskiminatsia (C‑83/14)», European Journal of Migration and Law, vol. 18, n. 1, Koninklijke Brill NV, Leiden, 2016, pagg. 123 e 124.

( 17 ) V., analogamente, conclusioni dell’avvocato generale Kokott presentate nella causa CHEZ Razpredelenie Bulgaria, C‑83/14, EU:C:2015:170, paragrafo 87.

( 18 ) V., a tal fine, sentenza del 16 luglio 2015, CHEZ Razpredelenie Bulgaria, C‑83/14, EU:C:2015:480, punto 96.

( 19 ) Corte EDU, 13 novembre 2007, D.H. e a. c. Repubblica ceca, CE:ECHR:2007:1113JUD005732500, § 184, riguardante la direttiva 2000/43.

( 20 ) Sentenza del 19 aprile 2012, Meister, C‑415/10, EU:C:2012:217, punto 43.

( 21 ) Così avviene, tra l’altro, per le seguenti versioni linguistiche: danese [«(…) personer af en bestemt race eller etnisk oprindelse (…)»], spagnola [«(…) personas de un origen racial o étnico concreto (…)»], francese [«(…) des personnes d’une race ou d’une origine ethnique donnée (…)»], italiana [«(…) persone di una determinata razza od origine etnica (…)»], olandese [«(…) personen van een bepaald ras of een bepaalde etnische afstamming (…)»], portoghese [«(…) pessoas de uma dada origem racial ou étnica (…)»], rumena [«(…) persoană, de o anumită rasă sau origine etnică (…)»], finlandese [«(…) tiettyä rotua tai etnistä alkuperää olevat henkilöt (…)»] e svedese [«(…) personer av en viss ras eller ett visst etniskt ursprung (…)»] (il corsivo è mio). La versione in lingua tedesca è così formulata «(…) Personen, die einer Rasse oder ethnischen Gruppe angehören (…)», mentre la versione in lingua inglese è, come affermato in precedenza, «persons of a racial or ethnic origin».

( 22 ) Per quanto riguarda le differenze linguistiche nel diritto derivato dell’Unione, v. sentenza del 22 settembre 2016, Breitsamer und Ulrich, C‑113/15, EU:C:2016:718, punto 58 e giurisprudenza ivi citata.

( 23 ) Sentenza del 16 luglio 2015, CHEZ Razpredelenie Bulgaria, C‑83/14, EU:C:2015:480, punto 56.

( 24 ) Sentenza del 10 luglio 2008, Feryn, C‑54/07, EU:C:2008:397, punti 2325.

( 25 ) V., rispettivamente, sentenze del 10 luglio 2008, Feryn, C‑54/07, EU:C:2008:397, punto 31, e del 16 luglio 2015, CHEZ Razpredelenie Bulgaria, C‑83/14, EU:C:2015:480, punti 100107.

( 26 ) La causa che ha dato luogo alla sentenza del 12 maggio 2011, Runevič‑Vardyn e Wardyn, C‑391/09, EU:C:2011:291, riguardava una persona appartenente alla minoranza polacca della Repubblica di Lituania (v. punto 15). La causa che ha dato luogo alla sentenza del 16 luglio 2015, CHEZ Razpredelenie Bulgaria, C‑83/14, EU:C:2015:480, riguardava le discriminazioni nei confronti di persone appartenenti alla comunità rom (v. punti 30 e 46). Nella causa che ha dato luogo alla sentenza del 10 luglio 2008, Feryn, C‑54/07, EU:C:2008:397, le dichiarazioni in questione erano rivolte a persone di origine marocchina; v. conclusioni dell’avvocato generale Poiares Maduro presentate nella causa Feryn, C‑54/07, EU:C:2008:155, paragrafi 1, 34. Sebbene la causa che ha dato luogo alla sentenza del 19 aprile 2012, Meister, C‑415/10, EU:C:2012:217, riguardasse un «cittadino russo» (che l’avvocato generale Mengozzi ha descritto, nelle sue conclusioni presentate nella causa Meister, C‑415/10, EU:C:2012:8, paragrafo 9, come di origine russa) alla Corte è stato chiesto di interpretare le norme in materia di onere della prova stabilite nella direttiva 2000/43, non se tale persona fosse stata oggetto di discriminazione a causa della sua origine etnica.

( 27 ) V., per quanto riguarda la parità di trattamento nel settore dell’occupazione e delle condizioni di lavoro, sentenza del 10 maggio 2011, Römer, C‑147/08, EU:C:2011:286, punto 42.

( 28 ) Corte EDU, 24 maggio 2016, Biao c. Danimarca, CE:ECHR:2016:0524JUD003859010, v. §§ 112 e 114.

( 29 ) Sentenza del 16 luglio 2015, CHEZ Razpredelenie Bulgaria, C‑83/14, EU:C:2015:480, punto 107.

( 30 ) A sostegno di tale argomento, la Commissione ha citato le sentenze del 22 settembre 1983, Auer, 271/82, EU:C:1983:243; del 23 febbraio 1994, Scholz, C‑419/92, EU:C:1994:62, e del 2 marzo 2010, Rottmann, C‑135/08, EU:C:2010:104. In tale contesto, la Commissione ha sostenuto che il principio della parità di trattamento tra i cittadini dell’Unione si applica in situazioni di natura puramente interna.

( 31 ) La discriminazione diretta può essere giustificata soltanto ai sensi dell’articolo 4 della direttiva 2000/43; v. anche considerando 18 della medesima direttiva. Al riguardo, la Corte EDU ha dichiarato che «nessuna differenza di trattamento basata esclusivamente o in misura determinante sull’origine etnica di una persona può essere obiettivamente giustificata in una società democratica contemporanea fondata sui principi del pluralismo e del rispetto delle diverse culture»; v. sentenza del 22 dicembre 2009, Sejdić e Finci c. Bosnia‑Erzegovina, CE:ECHR:2009:1222JUD002799606, § 44 e giurisprudenza ivi citata.

( 32 ) Sentenza del 16 luglio 2015, CHEZ Razpredelenie Bulgaria, C‑83/14, EU:C:2015:480, punti 113114.

( 33 ) Sentenza del 10 marzo 2016, Safe Interenvios, C‑235/14, EU:C:2016:154, punto 102 e giurisprudenza ivi citata.

( 34 ) Sentenza del 10 marzo 2016, Safe Interenvios, C‑235/14, EU:C:2016:154.

( 35 ) V., a tal fine, sentenza del 10 marzo 2016, Safe Interenvios, C‑235/14, EU:C:2016:154, punti 7273.

( 36 ) Sentenza del 10 marzo 2016, Safe Interenvios, C‑235/14, EU:C:2016:154, punto 76 e giurisprudenza ivi citata.

( 37 ) V., a tal fine, sentenza del 10 marzo 2016, Safe Interenvios, C‑235/14, EU:C:2016:154, punti 96100.

( 38 ) V., a tal fine, sentenza del 10 marzo 2016, Safe Interenvios, C‑235/14, EU:C:2016:154, punti da 106 a 108.

( 39 ) Sentenza del 10 luglio 2008, Feryn, C‑54/07, EU:C:2008:397, punti 2325.

( 40 ) Sentenza del 10 marzo 2016, Safe Interenvios, C‑235/14, EU:C:2016:154.

( 41 ) V., a tal fine, sentenza del 5 ottobre 2016, Maya Marinova, C‑576/15, EU:C:2016:740, punto 46.

( 42 ) Ai sensi del considerando 5 della direttiva 2005/60, «In particolare, [l’Unione] dovrebbe continuare a tenere conto delle raccomandazioni del [GAFI], che è il principale organismo internazionale per la lotta contro il riciclaggio e contro il finanziamento del terrorismo».

( 43 ) V. sentenza del 16 luglio 2015, CHEZ Razpredelenie Bulgaria, C‑83/14, EU:C:2015:480, punto 112.

( 44 ) V., a tal fine, sentenza del 16 luglio 2015, CHEZ Razpredelenie Bulgaria, C‑83/14, EU:C:2015:480, punti da 115 a 118.

( 45 ) Ad esempio, i termini «particolare svantaggio», utilizzati all’articolo 2, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 2000/43, semplicemente indicano uno svantaggio; v. sentenza del 16 luglio 2015, CHEZ Razpredelenie Bulgaria, C‑83/14, EU:C:2015:480, punti 9699.

( 46 ) V., a tal fine, sentenza del 19 aprile 2012, Meister, C‑415/10, EU:C:2012:217, relativa alla mancata divulgazione delle ragioni per cui una persona in cerca di lavoro non era stata assunta, sebbene, come accennato, alla Corte non sia stato chiesto di considerare se tale caso desse luogo a discriminazioni a causa dell’origine etnica.

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