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Document 62010CP0188

Presa di posizione dell’avvocato generale J. Mazák, 7 giugno 2010.
Aziz Melki (C-188/10) e Sélim Abdeli (C-189/10).
Domande di pronuncia pregiudiziale: Cour de cassation - Francia.
Rinvio pregiudiziale – Art. 267 TFUE – Esame della conformità di una legge nazionale sia con il diritto dell’Unione, sia con la Costituzione nazionale – Regime nazionale che prevede il carattere prioritario di un procedimento incidentale di legittimità costituzionale – Art. 67 TFUE – Libera circolazione delle persone – Soppressione del controllo alle frontiere interne – Regolamento (CE) n. 562/2006 – Artt. 20 e 21 – Regime nazionale che autorizza controlli d’identità nella zona compresa tra la frontiera terrestre della Francia con gli Stati parti della convenzione di Schengen ed una linea tracciata a 20 chilometri da tale frontiera.
Cause riunite C-188/10 e C-189/10.

European Court Reports 2010 I-05667

ECLI identifier: ECLI:EU:C:2010:319

PRESA DI POSIZIONE DI J. MAZÁK – CAUSE RIUNITE C-188/10 E C-189/10



PRESA DI POSIZIONE DELL’AVVOCATO GENERALE

JÁN MAZÁK

presentata il 7 giugno 2010 (1)

Cause riunite C‑188/10 e C‑189/10

Aziz Melki e Sélim Abdeli

[domande di pronuncia pregiudiziale presentate dalla Cour de cassation (Francia)]

«Principi generali del diritto dell’Unione – Rinvio preliminare obbligatorio al Conseil constitutionnel se la presunta illegittimità costituzionale di una disposizione di diritto interno risulta dalla sua incompatibilità con le disposizioni del diritto dell’Unione – Irrilevanza rispetto alla facoltà o all’obbligo di rinvio alla Corte a norma dell’art. 267 TFUE – Primato del diritto dell’Unione sul diritto nazionale – Libera circolazione delle persone – Mancanza di controlli delle persone alle frontiere interne – Artt. 67 TFUE e 72 TFUE – Regolamento (CE) n. 562/2006 – Artt. 20 e 21»





I –    Introduzione

1.        Le domande di pronuncia pregiudiziale vertono sull’interpretazione degli artt. 67 TFUE e 267 TFUE. La prima questione presentata dalla Cour de cassation (Corte di cassazione) (Francia) verte sulla conformità con l’art. 267 TFUE della legge organica francese 10 dicembre 2009, n. 2009-1523, relativa all’applicazione dell’art. 61‑1 della Costituzione della Repubblica francese, che istituisce la «questione prioritaria dei costituzionalità» in forza del suddetto art. 61‑1. Questo nuovo meccanismo è il frutto di una riforma costituzionale, entrata in vigore il 1° marzo 2010, che instaura un controllo di legittimità costituzionale a posteriori delle disposizioni legislative. La Cour de cassation chiede alla Corte di precisare se l’art. 267 TFUE osti gli artt. 23‑2 e 23‑5 del decreto legislativo 7 novembre 1958, n. 1067, recante legge organica sul Conseil constitutionnel, come modificato dalla legge organica francese n. 2009-1523 (in prosieguo: il «decreto legislativo n. 58‑1067»), che impongono ai giudici nazionali di pronunciarsi in via prioritaria sulla trasmissione, al Conseil constitutionnel (Corte costituzionale), della questione di legittimità costituzionale ad essi sottoposta, laddove detta questione verta sull’illegittimità costituzionale di una disposizione di diritto interno a causa della sua incompatibilità con le disposizioni del diritto dell’Unione.

2.        La seconda questione proposta riguarda la conformità dell’art. 78‑2, quarto comma, del codice di procedura penale francese, che autorizza il controllo di identità di qualsiasi persona, da parte delle autorità di polizia indicate, segnatamente, in una zona compresa tra la frontiera terrestre della Francia con gli Stati parti della convenzione di applicazione dell’accordo di Schengen del 14 giugno 1985, tra i governi degli Stati dell’Unione economica Benelux, della Repubblica federale di Germania e della Repubblica francese, relativo all’eliminazione graduale dei controlli alle frontiere comuni (GU 2000, L 239, pag. 19), firmata a Schengen il 19 giugno 1990 (in prosieguo: la «convenzione firmata a Schengen il 19 giugno 1990») ed una linea tracciata a venti chilometri da detta frontiera, con l’art. 67 TFUE che prevede l’assenza di controlli delle persone alle frontiere interne.

II – Ambito normativo

A –    Il diritto dell’Unione

3.        A termini dell’art. 20 del regolamento (CE) del Parlamento europeo e del Consiglio 15 marzo 2006, n. 562, che istituisce un codice comunitario relativo al regime di attraversamento delle frontiere da parte delle persone (codice frontiere Schengen, GU L 105, pag. 1):

«Le frontiere interne possono essere attraversate in qualunque punto senza che sia effettuata una verifica di frontiera sulle persone, indipendentemente dalla loro nazionalità».

4.        L’art. 21 di questo regolamento, intitolato «Verifiche all’interno del territorio», così prevede:

«La soppressione del controllo di frontiera alle frontiere interne non pregiudica:

a)      l’esercizio delle competenze di polizia da parte delle autorità competenti degli Stati membri in forza della legislazione nazionale, nella misura in cui l’esercizio di queste competenze non abbia effetto equivalente alle verifiche di frontiera; ciò vale anche nelle zone di frontiera. Ai sensi della prima frase, l’esercizio delle competenze di polizia può non essere considerato equivalente, in particolare, all’esercizio delle verifiche di frontiera quando le misure di polizia:

i)      non hanno come obiettivo il controllo di frontiera;

ii)      si basano su informazioni e l’esperienza generali di polizia quanto a possibili minacce per la sicurezza pubblica e sono volte, in particolare, alla lotta contro la criminalità transfrontaliera;

iii)      sono ideate ed eseguite in maniera chiaramente distinta dalle verifiche sistematiche sulle persone alle frontiere esterne;

iv)      sono effettuate sulla base di verifiche a campione;

b)      il controllo di sicurezza sulle persone effettuato nei porti o aeroporti dalle autorità competenti in forza della legislazione di ciascuno Stato membro, dai responsabili portuali o aeroportuali o dai vettori, sempreché tale controllo venga effettuato anche sulle persone che viaggiano all’interno di uno Stato membro;

c)      la possibilità per uno Stato membro di prevedere nella legislazione nazionale l’obbligo di possedere o di portare con sé documenti d’identità;

d)      l’obbligo per i cittadini di paesi terzi di dichiarare la loro presenza nel territorio di uno Stato membro, ai sensi delle disposizioni dell’art. 22 della convenzione di Schengen».

5.        L’art. 37 di questo regolamento, intitolato «Notifica di informazioni da parte degli Stati membri», prevede:

«Entro il 26 ottobre 2006, gli Stati membri notificano alla Commissione le loro disposizioni interne relative all’art. 21, lett. c) e d) (…).

Le informazioni comunicate dagli Stati membri sono pubblicate nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea, serie C».

6.        In applicazione dell’art. 37 del regolamento n. 562/2006, la Repubblica francese ha notificato il seguente testo, relativo all’obbligo di possesso e di porto di titoli e di documenti, in virtù dell’art. 21, lett. c), di detto regolamento:

«La legislazione francese prevede questo obbligo all’articolo L.611-1 del Codice sull’ingresso e sul soggiorno degli stranieri e sul diritto d’asilo (Code de l’entrée et du séjour des étrangers et du droit d’asile, Ceseda), il quale stabilisce che, indipendentemente o a seguito di un controllo di identità, le persone di nazionalità straniera, su richiesta dei funzionari di polizia giudiziaria oppure, sotto supervisione di questi ultimi, di agenti o assistenti di polizia giudiziaria, devono essere in grado di esibire i documenti che li autorizzano a circolare o a soggiornare nel territorio francese» (2).

B –    Il diritto nazionale

7.        L’art. 61‑1 della Costituzione della Repubblica francese così dispone:

«Qualora, durante un procedimento pendente dinanzi ad un giudice, si sostenga che una disposizione legislativa pregiudica i diritti e le libertà garantiti dalla Costituzione, su rinvio del Conseil d’État (Conseil d’État) o della Cour de cassation (Corte di cassazione), può essere investito della questione il Conseil constitutionnel (Corte costituzionale) che si pronuncia entro un termine stabilito.

Le condizioni di applicazione del presente articolo sono fissate con legge organica».

8.        L’art. 62 della Costituzione della Repubblica francese stabilisce quanto segue:

«Una disposizione dichiarata incostituzionale sul fondamento dell’art. 61 non può essere promulgata né applicata.

Una disposizione dichiarata incostituzionale in virtù dell’art. 61-1 è abrogata a decorrere dalla pubblicazione della decisione del Conseil constitutionnel, o da una data successiva fissata da detta decisione. Il Conseil constitutionnel determina le condizioni e i limiti nei quali gli effetti prodotti dalla disposizione possono essere rimessi in causa.

Contro le decisioni del Conseil constitutionnel non è esperibile alcun ricorso. Esse s’impongono a tutti i poteri pubblici e a tutte le autorità amministrative e giurisdizionali».

9.        L’art. 88‑1 della Costituzione della Repubblica francese enuncia:

«La Repubblica partecipa all’Unione europea costituita da Stati che hanno liberamente scelto di esercitare in comune talune delle loro competenze in forza del Trattato sull’Unione europea e del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, quali risultano dal Trattato firmato a Lisbona il 13 dicembre 2007».

10.      L’art. l della legge organica n. 2009-1523 prevede:

«Dopo il capo II del titolo II del decreto legislativo 7 novembre 1958, n. 1067, di approvazione della legge organica sul Conseil constitutionnel, è stato inserito un capo II bis, intitolato

“Capo II bis

La questione prioritaria di legittimità costituzionale

Sezione 1

Disposizioni applicabili dinanzi agli organi giurisdizionali i cui giudici di ultima istanza sono il Conseil d’État o la Cour de cassation

Articolo 23-1. – Dinanzi agli organi giurisdizionali i cui giudici di ultima istanza sono il Conseil d’État o la Cour de cassation, il motivo relativo ad una lesione, da parte di una disposizione legislativa, dei diritti e delle libertà garantiti dalla Costituzione, è presentato, a pena di irricevibilità, in una memoria distinta e motivata. Siffatto motivo può essere sollevato per la prima volta in sede di impugnazione. Esso non può essere sollevato d’ufficio. (…)

Art. 23-2. – Il giudice adito si pronuncia senza indugio con una decisione motivata sulla trasmissione della questione prioritaria di legittimità costituzionale al Conseil d’État o alla Cour de cassation. Si procede a detta trasmissione se sono soddisfatte le seguenti condizioni:

1°      La disposizione contestata sia applicabile alla controversia o al procedimento, o costituisca il fondamento di procedimenti penali;

2°      Essa non sia già stata dichiarata conforme alla Costituzione nella motivazione e nel dispositivo di una decisione del Conseil constitutionnel, salva l’ipotesi di mutamento delle circostanze;

3°      La questione presenti carattere serio.

In ogni caso, il giudice, quando è investito di motivi che contestano la conformità di una disposizione legislativa, da un lato, con i diritti e le libertà garantiti dalla Costituzione e, dall’altro, con gli obblighi internazionali della Francia, deve pronunciarsi in via prioritaria sulla trasmissione della questione di legittimità costituzionale al Conseil d’État o alla Cour de cassation.

La decisione di trasmettere la questione è presentata al Conseil d’État o alla Cour de cassation entro otto giorni dalla pronuncia, insieme alle memorie o alle conclusioni delle parti. Contro tale decisione non è esperibile alcun ricorso. Il rifiuto di trasmettere la questione può essere contestato soltanto in sede di ricorso avverso la decisione che definisce completamente o parzialmente la controversia.

(…)

Sezione 2

Disposizioni applicabili dinanzi al Conseil d’État e alla Cour de cassation

Art. 23-4. – Entro un termine di tre mesi a decorrere dal ricevimento della trasmissione, di cui all’art. 23-2 o all’ultimo comma dell’art. 23-1, il Conseil d’État o la Cour de cassation si pronuncia sul rinvio della questione prioritaria di legittimità costituzionale al Conseil constitutionnel. Si procede al rinvio allorché sono soddisfatte le condizioni previste ai nn. 1 e 2 dell’art. 23-2 e la questione è nuova o presenta un carattere di serietà.

Art. 23-5. – Il motivo riguardante una lesione, da parte di una disposizione legislativa, dei diritti e delle libertà garantiti dalla Costituzione può essere sollevato, anche per la prima volta in cassazione, nel corso di un procedimento dinanzi al Conseil d’État o alla Cour de cassation. Il motivo è presentato, a pena di irricevibilità, in una memoria separata e motivata. Esso non può essere rilevato d’ufficio.

In ogni caso il Conseil d’État o la Cour de cassation, quando sono dedotti motivi che contestano la conformità di una disposizione legislativa, da un lato, con i diritti e le libertà garantiti dalla Costituzione e, dall’altro, con gli obblighi internazionali della Francia, deve pronunciarsi in via prioritaria sul rinvio della questione di legittimità costituzionale al Conseil constitutionnel.

Il Conseil d’État o la Cour de cassation dispone di un termine di tre mesi a decorrere dalla presentazione del motivo per rendere la sua decisione. Il Conseil constitutionnel è investito della questione prioritaria di legittimità costituzionale allorché sono soddisfatte le condizioni previste ai nn. 1 e 2 dell’art. 23-2 e la questione è nuova o presenta un carattere di serietà.

Allorché è stato adito il Conseil constitutionnel, il Conseil d’État o la Cour de cassation sospende il procedimento sino alla pronuncia del Conseil constitutionnel.

(…)».

11.      L’art. L.611‑1 del Ceseda prevede:

«Indipendentemente o a seguito di un controllo di identità, le persone di nazionalità straniera, su richiesta dei funzionari di polizia giudiziaria oppure, sotto supervisione di questi ultimi, di agenti o assistenti di polizia giudiziaria, menzionati agli articoli 20 e 21 (1°) del codice di procedura penale, devono essere in grado di esibire i documenti che li autorizzano a circolare o a soggiornare nel territorio francese.

A seguito di un controllo di identità effettuato in applicazione degli articoli 78‑1, 78‑2 e 78‑2‑1 del codice di procedura penale, le persone aventi nazionalità straniera possono essere anche tenute a presentare i titoli e i documenti di cui al comma precedente».

12.      A termini dell’art. 78‑1 del codice di procedura penale francese:

«L’applicazione delle norme previste al presente capo è assoggettata al controllo delle autorità giudiziarie menzionate agli articoli 12 e 13.

Ogni persona che si trova sul territorio nazionale deve accettare di prestarsi ad un controllo di identità alle condizioni e ad opera delle autorità di polizia di cui agli articoli seguenti».

13.      L’art. 78‑2, commi 1-3, del codice di procedura penale francese così dispone:

«Gli ufficiali di polizia giudiziaria e, su ordine e sotto la responsabilità di questi, gli agenti di polizia giudiziaria e gli agenti di polizia giudiziaria aggiunti di cui agli artt. 20 e 21-1 possono invitare a dimostrare con ogni mezzo la sua identità qualsiasi persona nei cui riguardi esistano uno o più motivi plausibili per sospettare:

–      che abbia commesso o tentato di commettere un reato;

–      o che si appresti a commettere un delitto grave (“crime”) o meno grave (“délit”);

–      o che sia in grado di fornire informazioni utili all’inchiesta in caso di delitto grave (“crime”) o meno grave (“délit”);

–      o che sia stata oggetto di indagini ordinate da un’autorità giudiziaria.

Su mandato scritto del procuratore della Repubblica al fine di indagare e di perseguire reati che devono essere precisati, può essere ugualmente controllata l’identità di ogni persona, secondo le medesime modalità, nei luoghi e per un periodo di tempo determinati da tale magistrato. Il fatto che il controllo d’identità faccia emergere reati diversi da quelli indicati nel mandato del procuratore della Repubblica non costituisce causa di nullità delle procedure incidentali.

Può ugualmente essere controllata l’identità di qualsiasi persona, a prescindere dal suo comportamento, secondo le modalità previste al primo comma, per prevenire una minaccia per l’ordine pubblico, e segnatamente per la sicurezza delle persone o dei beni».

14.      L’art. 78-2, quarto comma, del codice di procedura penale francese stabilisce quanto segue:

«In una zona compresa tra la frontiera terrestre della Francia con gli Stati parti della convenzione firmata a Schengen il 19 giugno 1990 ed una linea tracciata a 20 chilometri dalla stessa, nonché nelle zone accessibili al pubblico di porti, aeroporti e stazioni ferroviarie o stradali aperti al traffico internazionale ed individuati con decreto, può essere parimenti controllata l’identità di qualsiasi persona, secondo le modalità previste dal primo comma, al fine di verificare il rispetto degli obblighi di legge di possedere, portare con sé ed esibire i titoli e documenti. Qualora detto controllo avvenga a bordo di un treno che effettua un collegamento internazionale, esso può essere svolto sulla parte di tratta tra la frontiera e la prima fermata situata al di là dei 20 chilometri dalla frontiera. Tuttavia, sulle linee ferroviarie che effettuano un collegamento internazionale e presentano caratteristiche di servizio particolari, il controllo può anche avvenire tra tale fermata ed una fermata situata entro il limite dei 50 chilometri seguenti. Dette linee e dette fermate sono individuate con decreto ministeriale. Quando esiste una tratta autostradale che inizia nella zona menzionata nella prima frase del presente comma, ed il primo casello autostradale si situa oltre la linea dei 20 chilometri, il controllo può essere effettuato anche nelle aree di sosta prima di tale primo casello, nonché presso tale casello e nelle aree di sosta attigue. I caselli interessati da tale disposizione sono individuati con decreto. Il fatto che il controllo di identità faccia emergere un reato diverso dal mancato rispetto degli obblighi sopra elencati non costituisce una causa di nullità delle procedure incidentali».

III – Il contesto di fatto

15.      I sigg. Melki e Abdeli, entrambi di cittadinanza algerina, in situazione irregolare in Francia, sono stati oggetto, in applicazione dell’art. 78-2, quarto comma, del codice di procedura penale francese, di un controllo di polizia nella zona compresa tra la frontiera terrestre della Francia con il Belgio ed una linea tracciata a venti chilometri da essa. Il 23 marzo 2010, il prefetto del Nord della Repubblica francese ha notificato, rispettivamente, ai sigg. Melki e Abdeli, un decreto prefettizio di riaccompagnamento alla frontiera e una decisione di mantenimento in custodia in locali non di competenza dell’amministrazione penitenziaria.

16.      I sigg. Melki e Abdeli hanno, ciascuno, depositato dinanzi al giudice delle libertà e della detenzione, investito dal prefetto di una domanda di proroga di detta custodia, una memoria che solleva una questione prioritaria di legittimità costituzionale. Entrambi hanno sostenuto che l’art. 78-2, quarto comma, del codice penale francese pregiudica i diritti e le libertà garantiti dalla Costituzione della Repubblica francese. Con due ordinanze 25 marzo 2010, il giudice delle libertà e della detenzione ha ordinato la trasmissione alla Cour de cassation della seguente questione:

«Se l’art. 78-2, [quarto] comma, del codice di procedura penale francese pregiudichi i diritti e le libertà garantiti dalla Costituzione della Repubblica francese».

17.      Il giudice delle libertà e della detenzione ha anche ordinato la proroga della custodia dei sigg. Melki e Abdeli per una durata di quindici giorni.

18.      Secondo il giudice del rinvio, per sostenere che l’art. 78-2, quarto comma, del codice di procedura penale è contrario alla Costituzione della Repubblica francese, i sigg. Melki e Abdeli invocano l’art. 88-1 della Costituzione stessa. Essi sostengono che gli impegni risultanti dal Trattato di Lisbona, tra cui quello vertente sulla libera circolazione delle persone, hanno valore costituzionale per quanto riguarda l’art. 88-1 della Costituzione e che l’art. 78-2, quarto comma, del codice di procedura penale francese, che autorizza controlli alle frontiere della Francia con gli Stati membri, è contrario al principio di libera circolazione delle persone, enunciato all’art. 67 TFUE, che prevede che l’Unione europea assicuri l’assenza di controlli sulle persone alle frontiere interne.

IV – Il rinvio pregiudiziale

19.      Nelle sue domande di pronuncia pregiudiziale, il giudice del rinvio chiarisce, in primo luogo, che dall’art. 23-2 del decreto legislativo n. 58-1067 risulta che i giudici del merito non possono decidere sulla «conventionnalité» (3) di una disposizione di legge prima di trasmettere la questione di legittimità costituzionale. Inoltre, in applicazione dell’art. 62 della Costituzione della Repubblica francese, le decisioni del Conseil constitutionnel non sono impugnabili e si impongono ai pubblici poteri e a tutte le autorità amministrative e giurisdizionali. Secondo la Cour de cassation, da ciò consegue che i giudici del merito, per effetto della legge organica n. 2009-1523, si vedono privare della possibilità di presentare una questione pregiudiziale alla Corte prima di avere trasmesso la questione prioritaria di costituzionalità. Inoltre, se il Conseil constitutionnel dichiara la disposizione legislativa in questione conforme al diritto dell’Unione, essi non potranno più, dopo questa decisione, presentare una questione pregiudiziale alla Corte di giustizia. La Cour de cassation spiega anche che, a termini dell’art. 23-5 del decreto legislativo n. 58-1067, la Cour de cassation, in tale ipotesi, non può più procedere a tale rinvio, malgrado le disposizioni imperative dell’art. 267 TFUE, né pronunciarsi sulla conformità del testo al diritto dell’Unione.

20.      In secondo luogo, la Cour de cassation si interroga sulla conformità del disposto dell’art. 78‑2, quarto comma, del codice di procedura penale francese con l’art. 67 TFUE. Secondo il giudice del rinvio, l’art. 67 TFUE non riproduce la deroga al principio di libera circolazione, risultante dalla riserva dell’ordine pubblico o della sicurezza nazionale, contenuta nella convenzione firmata a Schengen il 19 giugno 1990.

21.      In tali circostanze, la Cour de cassation, con due rinvii in data 16 aprile 2010, presentava le seguente questioni pregiudiziali alla Corte di giustizia:

«1)      Se l’art. 267 [TFUE] osti ad una legislazione quale quella risultante dagli artt. 23-2, secondo comma, e 23-5, secondo comma, del decreto legislativo 7 novembre 1958, n. 1067, inseriti dalla legge organica 10 dicembre 2009, n. 1523, in quanto impongono ai giudici di pronunciarsi in via prioritaria sul rinvio, al Conseil constitutionnel, della questione di legittimità costituzionale ad essi sottoposta, qualora detta questione verta sull’illegittimità costituzionale di una disposizione di diritto interno a causa della sua incompatibilità con le disposizioni del diritto dell’Unione.

2)      Se l’art. 67 [TFUE] osti ad una legislazione quale quella risultante dall’art. 78-2, quarto comma, del codice di procedura penale, che prevede che “[i]n una zona compresa tra la frontiera terrestre della Francia con gli Stati parti della convenzione firmata a Schengen il 19 giugno 1990 ed una linea tracciata a 20 chilometri da tale frontiera, nonché nelle zone accessibili al pubblico di porti, aeroporti e stazioni ferroviarie o stradali aperti al traffico internazionale ed individuati con decreto, può essere parimenti controllata l’identità di qualsiasi persona, secondo le modalità previste dal primo comma, al fine di verificare il rispetto degli obblighi di legge di possedere, portare con sé ed esibire i titoli e documenti. Qualora detto controllo avvenga a bordo di un treno che effettua un collegamento internazionale, esso può essere svolto sulla parte di tratta tra la frontiera e la prima fermata situata al di là dei 20 chilometri dalla frontiera. Tuttavia, sulle linee ferroviarie che effettuano un collegamento internazionale e presentano caratteristiche di servizio particolari, il controllo può anche avvenire tra tale fermata ed una fermata situata entro il limite dei 50 chilometri seguenti. Dette linee e dette fermate sono individuate con decreto ministeriale. Quando esiste una tratta autostradale che inizia nella zona menzionata nella prima frase del presente comma, ed il primo casello autostradale si situa oltre la linea dei 20 chilometri, il controllo può essere effettuato anche nelle aree di sosta prima di tale primo casello nonché presso tale casello e nelle aree di sosta attigue. I caselli interessati da tale disposizione sono individuati con decreto”».

22.      Con ordinanza del presidente della Corte 20 aprile 2010, i procedimenti C‑188/l0 e C‑189/l0 sono stati riuniti ai fini delle fasi scritta ed orale del procedimento, nonché della sentenza.

23.      Nelle domande di pronuncia pregiudiziale, la Cour de cassation ha chiesto alla Corte di statuire con urgenza.

24.      Con ordinanza del presidente della Corte 12 maggio 2010, è stato disposto che i presenti procedimenti fossero trattati secondo il procedimento accelerato, in applicazione degli artt. 23 bis dello Statuto della Corte di giustizia e 104 bis del regolamento di procedura di quest’ultima.

25.      Osservazioni scritte sono state presentate dai sigg. Melki e Abdeli, dai governi francese, belga, ceco, tedesco, greco, olandese, polacco e slovacco, nonché della Commissione. Salvo il governo slovacco, essi hanno presentatato tutti osservazioni orali all’udienza 2 giugno 2010.

V –    Sulla seconda questione pregiudiziale

26.      Considero opportuno esaminare per prima la seconda questione pregiudiziale, in quanto ritengo che la soluzione della prima questione si possa rinvenire nella giurisprudenza costante della Corte in materia, mentre la seconda questione presenta una certa novità.

A –    Sulla ricevibilità della seconda questione pregiudiziale

27.      Il governo francese eccepisce l’irricevibilità della seconda questione pregiudiziale. A questo riguardo, esso sostiene che la controversia nel merito, nel cui ambito il giudice delle libertà e della detenzione ha statuito sulla compatibilità dell’art. 78-2, quarto comma, del codice di procedura penale francese con il diritto dell’Unione, è estinta (4). Pertanto, il solo procedimento ancora in corso sarebbe quello risultante dalla trasmissione alla Cour de cassation di una questione prioritaria di legittimità costituzionale, affinché questo organo giurisdizionale si pronunci su un’eventuale trasmissione della questione al Conseil constitutionnel. Orbene, con decisione 12 maggio 2010, n. 2010-605 DC, il Conseil constitutionnel avrebbe confermato la sua giurisprudenza, in virtù della quale il controllo del rispetto del diritto internazionale o dell’Unione non farebbe parte del controllo di legittimità costituzionale e non rientrerebbe pertanto nella sua competenza. Ciò premesso, il governo francese considera che la questione se l’art. 78-2, quarto comma, del codice di procedura penale francese sia compatibile con l’art. 67 TFUE è priva di qualsiasi rilevanza nel quadro dell’unico procedimento ancora in corso, che è quello dinanzi alla Cour de cassation. Pertanto, la pronuncia della Corte sulla seconda questione sollevata dalla Cour de cassation sarebbe inutile e, di conseguenza, la questione stessa sarebbe irricevibile.

28.      Occorre osservare che l’eccezione di irricevibilità, formulata dal governo francese con riguardo alla seconda questione, è basata sulla sua interpretazione del diritto nazionale, in base alla quale il controllo del rispetto del diritto dell’Unione non fa parte del controllo di legittimità costituzionale (5) e non rientra pertanto nella competenza del Conseil constitutionnel. A questo riguardo, il governo francese si fonda, segnatamente, sulla decisione 12 maggio 2010, n. 2010-605 DC.

29.      In considerazione dei riferimenti, nelle decisioni di rinvio, agli artt. 23‑2 e 23‑5 del decreto legislativo n. 58‑1067, che prevedono non solo motivi che contestano la conformità di una disposizione legislativa ai diritti e alle libertà garantiti dalla Costituzione della Repubblica francese, ma anche motivi che contestano la conformità di una disposizione legislativa agli impegni internazionali della Repubblica francese, e pertanto al diritto dell’Unione, considero che non risulta chiaramente dal fascicolo dinanzi alla Corte che la seconda questione pregiudiziale presentata dalla Cour de cassation sia priva di qualsiasi rilevanza nel quadro del procedimento pendente dinanzi a detto giudice, relativo alla questione prioritaria di legittimità costituzionale. La decisione 12 maggio 2010, n. 2010-605 DC, sembra costituire uno strumento interpretativo relativo agli artt. 23‑2 e 23‑5 del decreto n. 58-1067, ma il detto decreto non pare aver modificato la lettera delle disposizioni in questione.

30.      Ne consegue che considero la seconda questione ricevibile.

B –    Sul merito

31.      I ricorrenti nel procedimento principale sostengono che il regolamento n. 562/2006 non stabilisce alcuna distinzione tra i cittadini degli Stati membri e i cittadini di Stati terzi che beneficiano della libertà di circolazione sul territorio dell’Unione. Essi osservano che gli artt. 67 TFUE e 77 TFUE non prevedono alcun temperamento né alcuna eccezione all’esercizio della detta libertà e che questi ultimi prevedono un’assenza pura e semplice di controlli alle frontiere interne, senza che alcuna circostanza di qualsiasi natura intervenga a ristabilire la possibilità di un controllo. Secondo i ricorrenti nel procedimento principale, il quarto comma dell’art. 78-2 del codice di procedura penale francese viola di per sé siffatta libertà, posto che le verifiche sono fatte unicamente «al fine di verificare il rispetto degli obblighi di legge di possedere, portare con sé ed esibire titoli e documenti». Essi ritengono che detta disposizione consente l’instaurarsi di controlli di identità sistematici nelle zone frontaliere della Francia, e pertanto alle frontiere interne ai sensi dell’Unione. Del resto, sarebbe anche in questo senso che l’art. 78-2 del codice di procedura penale francese è applicato dai giudici francesi. I ricorrenti nel procedimento principale sostengono anche che la possibilità di effettuare detti controlli alle frontiere interne nelle ipotesi eccezionali chiaramente definite dagli artt. 23-25 del regolamento n. 562/2006 è diversa da quella prevista dalla disposizione legislativa francese.

32.      Il governo francese osserva che le disposizioni in questione sono giustificate innanzitutto dalla presenza di rilevanti flussi di popolazioni di passaggio. Al fine di garantire, segnatamente, una lotta efficace contro l’immigrazione illegale, le autorità di polizia nazionale dovrebbero dunque poter procedere, nella zona in questione, a verifiche del possesso dei documenti previsti dalla legge. Infatti, in virtù dell’art. L.611-1 Cedesa, gli stranieri dovrebbero essere in grado di presentare i titoli o i documenti in forza dei quali essi sono autorizzati a circolare o a soggiornare in Francia. D’altra parte, le disposizioni in causa sarebbero giustificate dalla necessità di lottare contro un tipo di delinquenza specifica nelle zone di passaggio e ai bordi delle frontiere. Secondo il governo francese, i controlli di polizia effettuati in forza dell’art. 78-2, quarto comma, del codice di procedura penale, in una zona di venti kilometri al di qua delle frontiere, si distinguerebbero chiaramente dai controlli di frontiera. In primo luogo, essi avrebbero lo scopo di verificare l’identità di una persona, al fine o di prevenire la commissione di reati o di turbative dell’ordine pubblico, o di ricercare gli autori di un reato. In secondo luogo, siffatti controlli si fonderebbero su informazioni generali e sull’esperienza dei servizi di polizia che avrebbero dimostrato l’utilità specifica dei controlli in detta zona. In terzo luogo, questi controlli sarebbero ideati ed eseguiti in maniera chiaramente distinta dalle verifiche sistematiche sulle persone alle frontiere esterne. Il governo francese ritiene che siffatti controlli non presentino di fatto alcuna delle caratteristiche del controllo di frontiera, che, come indicato all’art. 7 del regolamento n. 562/2006, deve essere fisso, permanente e sistematico

33.      Il governo tedesco sostiene che controlli di polizia (non sistematici) in zona frontaliera restano possibili nel rispetto delle condizioni previste all’art. 21 del regolamento n. 562/2006. Il governo greco ritiene che le misure di polizia di cui all’art. 78‑2 del codice di procedura penale francese non mirino a controllare le frontiere e non conducono ad un rifiuto di entrata. Esso considera che queste misure hanno il solo scopo di verificare che la persona controllata possieda e possa esibire, come è tenuta a fare, le autorizzazioni e i documenti previsti dalla legge, al fine di provare la sua identità. Secondo il governo ellenico, siffatti controlli non avvengono in maniera sistematica, ma rientrano nel potere discrezionale delle autorità interessate, che «possono» imporli e non sono tenute a farlo. Per questo motivo, esso ritiene che dette misure riguardino controlli ideati ed eseguiti in modo chiaramente distinto dai controlli sistematici sulle persone effettuati alle frontiere esterne. Infine, queste misure di polizia sarebbero giustificate da possibili minacce per la pubblica sicurezza, e sarebbero volte, segnatamente, a lottare contro la criminalità transfrontaliera.

34.      Il governo slovacco considera che, per motivi di ordine pubblico e di sicurezza interna, gli Stati membri hanno il diritto di procedere a controlli di polizia sul loro territorio, se questi non mirano ad un controllo alle frontiere interne, e questo, ad esempio, allo scopo di lottare contro la criminalità che supera l’ambito frontaliero o il terrorismo. Esso ritiene anche che il potere di procedere a controlli di identità nel quadro delle frontiere interne dello Stato membro, e di garantire così il rispetto dell’obbligo di portare con sé un visto o un altro titolo o di possederne uno, è del pari conforme all’art. 21, lett. c), del regolamento n. 562/2006.

35.      Il governo olandese osserva che il controllo francese nella zona frontaliera si distingue, per la sua finalità e il suo contenuto, dal controllo di frontiera. Il controllo di frontiera avrebbe lo scopo di accertare che le persone, compresi i loro mezzi di trasporto e gli oggetti in loro possesso, possano essere autorizzate ad entrare nel territorio dell’area di Schengen, o autorizzate a lasciarlo. Detto controllo sarebbe incentrato sulle condizioni di ingresso in uno Stato membro appartenente all’area di Schengen o sulle condizioni per uscirne. Esso comporterebbe in ogni caso la verifica del possesso di un documento di viaggio valido. Nel caso di ingresso nel territorio, possono essere controllati anche lo scopo del soggiorno e i mezzi di sussistenza. Secondo il governo olandese, si può verificare anche se l’ingresso di una persona, di un mezzo di trasporto o di un oggetto nel territorio possa rappresentare un rischio per l’ordine pubblico e per la sicurezza. Si tratterebbe di un controllo completamente diverso dal controllo francese nella zona frontaliera, che ha la finalità di verificare il rispetto degli obblighi di legge di possedere, portare con sé ed esibire titoli e documenti, segnatamente i documenti di identità o i titoli di soggiorno. Il controllo del possesso di siffatti documenti sarebbe, per quanto riguarda il contenuto, di natura completamente diversa e avrebbe uno scopo del tutto differente dal controllo di frontiera. Inoltre, il controllo francese nella zona frontaliera sarebbe anche diverso dal controllo di frontiera, come lo intende il governo olandese, nel modo in cui è effettuato. Secondo il governo olandese, il controllo di frontiera è effettuato in maniera sistematica e continua, e nei confronti di ogni persona che attraversi la frontiera. Secondo il governo belga, l’art. 67 TFUE deve essere letto alla luce della convenzione firmata a Schengen il 19 giugno 1990, che costituisce parte integrante del diritto dell’Unione, e non vieta alle autorità nazionali di effettuare un controllo di identità. Di conseguenza, secondo questo governo, il diritto dell’Unione non osta ad una legislazione come quella risultante dall’art. 78-2, quarto comma, del codice di procedura penale francese.

36.      Il governo ceco è del parere che le condizioni stabilite dal regolamento n. 562/2006 escludono che gli organi di polizia di uno Stato membro diano generalmente prova di una maggiore severità nei loro controlli di identità nella zona frontaliera (all’interno delle frontiere dell’area Schengen) rispetto al resto del territorio nazionale, indipendentemente dal fatto che tale comportamento derivi da disposizioni legislative e regolamentari, da direttive interne o semplicemente dalla prassi degli organi competenti. A giudizio di questo governo, la creazione di poteri o di procedure di polizia speciali in vista di un controllo legato in maniera generale ad un territorio frontaliero particolare, senza un motivo concreto degno di essere preso in considerazione, è per sua natura una misura di controllo alle frontiere interne. Siffatta conclusione nulla cambierebbe alla possibilità per lo Stato membro di procedere a controlli di polizia sul suo territorio sulla base di una norma generale, ossia senza un nesso con le frontiere interne e con l’attraversamento delle medesime. La Commissione considera che, con riserva delle verifiche che rientrano nella competenza del giudice nazionale, l’unica categoria di persone con maggiore probabilità di essere scoperte dai controlli di identità effettuati in prossimità della frontiera è composta proprio da persone che hanno attraversato la frontiera illecitamente. Pertanto, a giudizio della Commissione, le disposizioni dell’art. 78‑2, quarto comma, del codice di procedura penale francese non costituiscono una semplice verifica del rispetto dell’obbligo di essere in possesso di documenti di identità. Esse dovrebbero invece essere qualificate come controlli di frontiera dissimulati, vietati prima facie dall’art. 20 del regolamento n. 562/2006 (6).

37.      Nelle decisioni di rinvio, il giudice del rinvio ha espressamente richiamato le disposizioni dell’art. 67, n. 2, TFUE, il quale prevede, segnatamente, che l’Unione europea garantisce che non vi siano controlli sulle persone alle frontiere interne. Di conseguenza, considero che la seconda questione pregiudiziale della Cour de cassation parta dal principio che le disposizioni dell’art. 78‑2, quarto comma, del codice di procedura penale francese possano costituire controlli sulle persone alle frontiere interne.

38.      Dato che ritengo che la presente questione riguardi unicamente l’attraversamento delle frontiere interne da parte delle persone, non esaminerò né le regole applicabili ai controlli alle frontiere esterne, né la vasta gamma di misure diverse attuate in seno all’Unione per compensare l’assenza, ricercata dagli Stati membri, di controlli sulle persone alle frontiere interne (7).

39.      Con l’adozione del regolamento n. 562/2006, che istituisce un codice comunitario relativo al regime di attraversamento delle frontiere da parte delle persone, sono state attuate misure volte a garantire che non vi siano controlli delle persone quando attraversano le frontiere, nonché regole applicabili al controllo di frontiera sulle persone che attraversano le frontiere esterne degli Stati membri dell’Unione (8). Ai sensi del suo ventesimo ‘considerando’, il regolamento n. 562/2006 rispetta i diritti fondamentali ed osserva i principi riconosciuti, in particolare, dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

40.      L’art. 20 del regolamento n. 562/2006 dispone che le frontiere interne possono essere attraversate in qualunque punto senza che sia effettuata una verifica di frontiera sulle persone, indipendentemente dalla loro nazionalità. Garantendo l’assenza di verifiche sulle persone alle frontiere interne, l’art. 20 del regolamento n. 562/2006 vieta, in linea di massima, siffatte verifiche (9). Ai sensi dell’art. 2, n. 10, del regolamento n. 562/2006, le «verifiche di frontiera» sono «le verifiche effettuate ai valichi di frontiera al fine di accertare che le persone, compresi i loro mezzi di trasporto e gli oggetti in loro possesso, possano essere autorizzate ad entrare nel territorio degli Stati membri o autorizzate a lasciarlo».

41.      Ne consegue che le verifiche alle frontiere vertono sul diritto di entrare nel territorio degli Stati membri o di lasciarlo (10).

42.      Occorre rilevare che l’art. 21 di detto regolamento prevede che la soppressione del controllo di frontiera alle frontiere interne non pregiudica alcune prerogative degli Stati membri. Tuttavia, ritengo che i termini utilizzati per indicare siffatte prerogative debbano essere interpretati restrittivamente, dato che esse costituiscono deroghe al principio generale della soppressione dei controlli alle frontiere interne. Siffatte prerogative devono essere applicate dagli Stati membri secondo i principi della buona fede e conformemente allo scopo e allo spirito di detto principio generale.

43.      Considero pertanto che queste prerogative, tassativamente elencate all’art. 21 del regolamento n. 562/2006, non debbano pregiudicare la soppressione del controllo alle frontiere interne. Del resto, ciò emerge chiaramente dall’art. 21, lett. a), del regolamento n. 562/2006, che prevede che la soppressione del controllo di frontiera alle frontiere interne non pregiudica, segnatamente, l’esercizio delle competenze di polizia da parte delle autorità competenti degli Stati membri in forza della legislazione nazionale, peraltro anche nelle zone di frontiera, nella misura in cui l’esercizio di queste competenze non abbia effetto equivalente alle verifiche di frontiera. Questa stessa disposizione elenca quattro circostanze nelle quali l’esercizio delle competenze di polizia non può essere considerato equivalente all’esercizio delle verifiche di frontiera, ossia, in primo luogo, quando le misure di polizia non hanno come obiettivo il controllo di frontiera, in secondo luogo quando si basano su informazioni e l’esperienza generali di polizia quanto a possibili minacce per la sicurezza pubblica e sono volte, in particolare, alla lotta contro la criminalità transfrontaliera, in terzo luogo, quando sono ideate ed eseguite in maniera chiaramente distinta dalle verifiche sistematiche sulle persone alle frontiere esterne, e, infine, quando sono effettuate sulla base di verifiche a campione.

44.      Non emerge chiaramente dalla lettera dell’art. 21, lett. a), del regolamento n. 562/2006 se le quattro circostanze in questione siano cumulative o meno. Inoltre, considero che vi sia una certa sovrapposizione tra queste circostanze, e, segnatamente, tra la terza e la quarta. A mio avviso, queste quattro circostanze sono enunciate soltanto a titolo di esempio (11), posto che la questione chiave è se le misure di polizia abbiano un effetto equivalente a quello delle verifiche di frontiera, una questione che deve essere esaminata caso per caso.

45.      Le circostanze in questione costituiscono dunque fattori o indizi che possono aiutare a constatare che l’esercizio delle competenze di polizia non ha un effetto equivalente a quello delle verifiche di frontiera, ma l’esistenza di una o più circostanze non è necessariamente un elemento decisivo sotto questo profilo. Di conseguenza, considero che dall’art. 21, lett. a), del regolamento n. 562/2006 consegue che l’esercizio delle competenze di polizia esclude misure che hanno un effetto equivalente a quello delle verifiche di frontiera, anche se in un caso concreto siano soddisfatte una o più delle circostanze enunciate all’art. 21, lett. a), del regolamento n. 562/2006 (12).

46.      L’art. 21, lett. c), del regolamento n. 562/2006 prevede che la soppressione del controllo alle frontiere interne non pregiudica la possibilità per uno Stato membro di prevedere nella legislazione nazionale l’obbligo di possedere o di portare con sé documenti d’identità (13). Tuttavia, ritengo che gli eventuali controlli del rispetto dell’obbligo di possedere e di portare con sé titoli e documenti possano costituire, a seconda delle circostanze, un ostacolo al principio generale della soppressione del controllo alle frontiere interne, segnatamente, allorché siffatti controlli siano effettuati in modo sistematico, arbitrario o inutilmente restrittivo (14).

47.      Dalle decisioni di rinvio emerge che il controllo di polizia effettuato sui ricorrenti nei procedimenti principali, in applicazione dell’art. 78-2, quarto comma, del codice di procedura penale francese, è stato effettuato nella zona compresa tra la frontiera terrestre della Francia con il Belgio ed una linea a venti chilometri dalla medesima. Con riserva di verifica ad opera del giudice nazionale, sembra che i controlli in questione non siano avvenuti in un punto di passaggio frontaliero, né peraltro in un altro punto della frontiera. Considero, come del resto ha sostenuto la Commissione che, al fine di garantire l’effetto utile dell’art. 20 del regolamento n. 562/2006, e nonostante una certa ambiguità nella formulazione dell’art. 2, punto 10, di questo regolamento (15), le verifiche frontaliere non debbano necessariamente essere attuate in uno spazio geografico che coincide con una frontiera per essere considerate come controlli sulle persone alle frontiere interne. A mio avviso, per controllare se delle verifiche non violino l’art. 20 del regolamento n. 562/2006, occorre esaminare, segnatamente, l’obiettivo, e/o le modalità, e/o gli effetti delle stesse, alla luce delle specificità della fattispecie in esame (16).

48.      Infatti, l’assenza di controlli delle persone alle frontiere interne sarebbe pregiudicata ove gli Stati membri potessero attuare verifiche di frontiera dissimulate all’interno del loro territorio, ad una certa distanza dalle frontiere.

49.      Al fine di verificare la portata dell’art. 78-2, quarto comma, del codice di procedura penale francese, e fatta salva la verifica ad opera del giudice nazionale, occorre raffrontare questa disposizione, segnatamente, con le altre disposizioni del menzionato art. 78-2, che prevede le condizioni alle quali le autorità di polizia francesi possono procedere ai controlli di identità.

50.      Secondo l’art. 78-2, primo comma, del codice di procedura penale francese, le autorità di polizia francesi possono invitare a dimostrare con ogni mezzo la sua identità qualsiasi persona nei cui riguardi esistano uno o più motivi plausibili per sospettare che abbia commesso o tentato di commettere un reato, che si appresti a commettere un delitto grave o meno grave, che sia in grado di fornire informazioni utili all’inchiesta in caso un delitto grave o meno grave, o che sia stata oggetto di indagini ordinate da un’autorità giudiziaria. In applicazione dell’art. 78‑2, secondo comma, del codice di procedura penale francese, può essere ugualmente controllata l’identità di ogni persona, secondo le medesime modalità, su mandato scritto del procuratore della Repubblica a fini di indagare e di perseguire reati che esso precisa. In conformità all’art. 78-2, terzo comma, del codice di procedura penale francese, può ugualmente essere controllata l’identità di qualsiasi persona, secondo le modalità previste al primo comma del detto art. 78-2, per prevenire una minaccia per l’ordine pubblico (17).

51.      Sembra che la portata dell’art. 78-2, quarto comma, del codice di procedura penale francese si distingua nettamente dalle altre disposizioni di tale articolo. Da una parte, l’art. 78‑2, quarto comma, del codice di procedura penale francese si applica ad un zona geografica specifica del territorio nazionale francese, già delimitata dalla legge, e, dall’altra, può essere controllata l’identità di qualsiasi persona secondo le modalità previste, al fine di verificare il rispetto degli obblighi di legge di possesso, di porto e di esibizione dei titoli e dei documenti. Pertanto, detta disposizione è destinata ad applicarsi senza alcuna limitazione a qualsiasi persona che si trovi nella zona considerata (18).

52.      Ne consegue che l’art. 78‑2, quarto comma, del codice di procedura penale francese introduce incontestabilmente un regime distinto e più severo per i controlli di identità nelle zone frontaliere rispetto al resto del territorio francese.

53.      Il governo francese ha spiegato alla Corte che i controlli effettuati in applicazione dell’art. 78‑2, quarto comma, del codice di procedura penale francese sono volti a verificare l’identità di una persona, o al fine di prevenire la commissione di reati o di turbative all’ordine pubblico, o al fine di ricercare gli autori di un reato. Tuttavia, ritengo che questa osservazione non sia suffragata dai documenti presentati alla Corte. Con riserva della verifica ad opera del giudice del rinvio, i primi tre commi dell’art. 78‑2 del codice di procedura penale vertono specificamente sui controlli di identità a detti fini (19). Per contro, i controlli di identità effettuati in applicazione dell’art. 78‑2, quarto comma, del codice di procedura penale francese si concentrano unicamente sull’area geografica in cui si trova la persona in questione, ossia, segnatamente, una zona che si estende sino a venti chilometri al di qua della frontiera.

54.      Tenuto conto del campo di applicazione geografica dei controlli di identità di cui trattasi, del fatto che essi sono atti ad essere applicati a qualsiasi persona che si trovi nella zona geografica indicata, e dell’assenza di una spiegazione convincente riguardo all’obiettivo che essi perseguono, ritengo che essi costituiscano verifiche legate all’attraversamento della frontiera, che non sono ricomprese nelle prerogative degli Stati membri in applicazione dell’art. 21 del regolamento n. 562/2006. In considerazione di quanto precede, considero che siffatti controlli di identità costituiscano verifiche di frontiera dissimulate che sono vietate dall’art. 20 del regolamento n. 562/2006 e che non rientrano nelle limitate eccezioni previste all’art. 21 di questo regolamento.

55.      Di conseguenza, ritengo che l’art. 67 TFUE e gli artt. 20 e 21 del regolamento n. 562/2006 ostino ad una normativa come quella risultante dall’art. 78-2, quarto comma, del codice di procedura penale francese, che prevede che «in una zona compresa tra la frontiera terrestre della Francia con gli Stati parti della convenzione firmata a Schengen il 19 giugno 1990 ed una linea tracciata a 20 chilometri dalla stessa, nonché nelle zone accessibili al pubblico di porti, aeroporti e stazioni ferroviarie o stradali aperti al traffico internazionale ed individuati con decreto, può essere parimenti controllata l’identità di qualsiasi persona, secondo le modalità previste dal primo comma, al fine di verificare il rispetto degli obblighi di legge di possedere, portare con sé ed esibire i titoli e documenti. Qualora detto controllo avvenga a bordo di un treno che effettua un collegamento internazionale, esso può essere svolto sulla parte di tratta tra la frontiera e la prima fermata situata al di là dei 20 chilometri dalla frontiera. Tuttavia, sulle linee ferroviarie che effettuano un collegamento internazionale e presentano caratteristiche di servizio particolari, il controllo può anche avvenire tra tale fermata ed una fermata situata entro il limite dei 50 chilometri seguenti. Dette linee e dette fermate sono individuate con decreto ministeriale. Quando esiste una tratta autostradale che inizia nella zona menzionata nella prima frase del presente comma, ed il primo casello autostradale si situa oltre la linea dei 20 chilometri, il controllo può essere effettuato anche nelle aree di sosta prima di tale primo casello, nonché presso tale casello e nelle aree di sosta attigue. I caselli interessati da tale disposizione sono individuati con decreto».

VI – Sulla prima questione pregiudiziale

56.      Con la prima questione pregiudiziale, che verte sull’interpretazione dell’art. 267 TFUE, la Cour de cassation chiede alla Corte di precisare se questa disposizione osti ad una legislazione nazionale, risultante da una legge organica relativa all’applicazione dell’art. 61-1 della Costituzione della Repubblica francese, che impone ai giudici di pronunciarsi in via prioritaria sulla trasmissione, al Conseil constitutionnel, della questione di illegittimità costituzionale sollevata dinanzi a loro, quando detta questione mette in discussione la conformità alla Costituzione di una norma di diritto interno, a motivo della sua contrarietà con le disposizioni del diritto dell’Unione. Segnatamente, la Cour de cassation si chiede se le norme procedurali introdotte, in primo luogo, dall’art. 23‑2 del decreto legislativo n. 58‑1067 – che impongono ad un organo giurisdizionale, quando dinanzi ad esso sono dedotti motivi che contestano la conformità di una disposizione legislativa, da una parte, con i diritti e le libertà garantiti dalla Costituzione, e, dall’altra, con gli impegni internazionali della Repubblica francese, di pronunciarsi in via prioritaria sulla trasmissione della questione di costituzionalità al Conseil d’État o alla Cour de cassation, ai quali spetta il compito di decidere se adire il Conseil constitutionnel – e, in secondo luogo, dall’art. 23‑5 di detto decreto legislativo – che esige che il Conseil d’État o la Cour de cassation, quando sono dedotti detti motivi, si pronunci in via prioritaria sul rinvio della questione di costituzionalità al Conseil constitutionnel – pregiudichino la libertà, garantita dall’art. 267 TFUE, degli organi giurisdizionali francesi di presentare questioni pregiudiziali alla Corte di giustizia. A questo riguardo, ritengo che anche l’art. 62 della Costituzione della Repubblica francese, a cui si riferisce la Cour de cassation nelle sue domande di pronuncia pregiudiziale e che prevede che le decisioni del Conseil constitutionnel non sono impugnabili, debba essere esaminato nel quadro della prima questione pregiudiziale.

57.      Ritengo che, con la sua prima questione, la Cour de cassation voglia, segnatamente, sapere se il diritto nazionale possa limitare la libertà di un giudice nazionale di adire la Corte con un rinvio pregiudiziale, in applicazione dell’art. 267 TFUE.

A –    Sulla ricevibilità della prima questione pregiudiziale

58.      Il governo francese eccepisce l’irricevibilità della prima questione pregiudiziale. A questo riguardo, esso sostiene che questa questione si fonda su un’interpretazione manifestamente erronea del diritto nazionale, cosicché essa riveste un carattere puramente ipotetico. Senza contestare la ricevibilità della prima questione pregiudiziale, la Commissione esprime incertezze con riguardo al quadro normativo nazionale presentato nelle decisioni di rinvio. In particolare, essa considera che la portata del controllo di legittimità costituzionale effettuato dal Conseil constitutionnel francese non emerge chiaramente dalle indicazioni fornite dal giudice del rinvio.

59.      Emerge da una giurisprudenza costante che non spetta alla Corte pronunciarsi, nell’ambito di un rinvio pregiudiziale, sull’interpretazione di disposizioni nazionali né di giudicare se l’interpretazione che di queste norme dà il giudice del rinvio sia corretta. Infatti, la Corte deve prendere in considerazione, nell’ambito della ripartizione delle competenze tra quest’ultima e i giudici nazionali, il contesto di fatto e normativo, come definito dal provvedimento di rinvio, nel quale si inseriscono le questioni pregiudiziali (20).

60.      Orbene, dalle domande del giudice del rinvio emerge che queste sono fondate sulla premessa secondo la quale il diritto francese, segnatamente gli artt. 23‑2 e 23‑5 del decreto legislativo n. 58‑1067 e l’art. 62 della Costituzione della Repubblica francese, limita la libertà degli organi giurisdizionali nazionali, ivi compresa quella del giudice del rinvio, di adire la Corte in applicazione dell’art. 267 TFUE e di statuire sulla compatibilità di una disposizione nazionale con il diritto dell’Unione. A mio avviso, dato che le controversie nei procedimenti principali vertono sulla compatibilità di una disposizione nazionale con il diritto dell’Unione (21), la prima questione pregiudiziale non appare manifestamente priva di rilevanza per la soluzione delle controversie nel procedimento principale.

61.      In considerazione di quanto precede, occorre dichiarare la prima questione pregiudiziale ricevibile.

B –    Sul merito

62.      A titolo preliminare, osservo che la Corte ha già avuto occasione di pronunciarsi su controversie in cui le disposizioni di diritto nazionale limitavano la possibilità per un giudice nazionale di presentare una questione pregiudiziale alla Corte di giustizia in applicazione dell’art. 267 TFUE (22). Nelle sue sentenze in materia, la Corte si è sistematicamente pronunciata a favore della più ampia facoltà per i giudici nazionali di sottoporre questioni alla Corte sulla validità e sull’interpretazione del diritto dell’Unione. Ricordo dunque, in risposta alla prima questione sollevata, la giurisprudenza consolidata e standardizzata della Corte in materia. Inoltre, a mio giudizio, la soluzione della prima questione non può essere influenzata dal fatto che l’obiettivo della legge organica di cui trattasi sembra essere quello di accordare una tutela supplementare ai singoli in applicazione del diritto nazionale.

63.      Ai sensi dell’art. 19, n. 3, lett. b), TUE e dell’art. 267 TFUE, la Corte è competente a statuire, in via pregiudiziale, su domanda degli organi giurisdizionali nazionali, sull’interpretazione del diritto dell’Unione o sulla validità di atti adottati dalle istituzioni dell’Unione (23).

64.      L’obiettivo essenziale della competenza accordata alla Corte in applicazione dell’art. 267 FTUE è quello di garantire che il diritto dell’Unione sia applicato in modo uniforme dai giudici nazionali. Siffatto obiettivo è infatti perseguito dalla Corte e dai giudici nazionali in uno spirito di collaborazione (24) e sulla base di una reciproca fiducia e di un dialogo tra organi giudiziari. Il procedimento di rinvio pregiudiziale, instaurato dall’art. 19 TUE e dall’art. 267 TFUE, è uno strumento procedurale essenziale per garantire l’applicazione coerente e il rispetto del diritto dell’Unione dinanzi a tutti gli organi giurisdizionali dei ventisette Stati membri.

65.      Dal testo stesso dell’art. 267 TFUE emerge chiaramente che la competenza della Corte è molto estesa e che quest’ultima, agendo in uno spirito di cooperazione, non è incline, in linea di principio, a dichiarare irricevibili le questioni sull’interpretazione dei trattati o sulla validità e l’interpretazione degli atti delle istituzioni dell’Unione ad essa rinviate dai giudici nazionali.

66.      Infatti, secondo una costante giurisprudenza, le questioni relative all’interpretazione del diritto dell’Unione godono di una presunzione di rilevanza. Il rifiuto, da parte della Corte, di pronunciarsi su una domanda proposta da un giudice nazionale è possibile soltanto qualora appaia in modo manifesto che l’interpretazione del diritto dell’Unione richiesta non ha alcun rapporto con l’effettività o l’oggetto della causa principale, qualora la questione sia di tipo ipotetico o, ancora, qualora la Corte non disponga degli elementi di fatto e di diritto necessari per rispondere in modo utile alle questioni che le sono sottoposte (25). Inoltre, dall’art. 267 TFUE emerge che i giudici nazionali possono adire la Corte unicamente se dinanzi ad essi sia pendente una lite e se essi siano stati chiamati a statuire nell’ambito di un procedimento destinato a risolversi in una pronuncia di carattere giurisdizionale (26). Spetta esclusivamente al giudice nazionale, cui è stata sottoposta la controversia e che deve assumersi la responsabilità dell’emananda decisione giurisdizionale, valutare, alla luce delle particolari circostanze di ciascuna causa, sia la necessità di una pronuncia pregiudiziale per essere in grado di pronunciare la propria sentenza sia la rilevanza delle questioni che sottopone alla Corte (27). Di conseguenza, dal momento che le questioni poste riguardano l’interpretazione di una norma del diritto dell’Unione, la Corte è, in via di principio, tenuta a statuire (28).

67.      Invece, i giudici nazionali avverso le cui decisioni può essere proposto ricorso giurisdizionale di diritto interno, in virtù dell’art. 267, secondo comma, TFUE, sono liberi di valutare l’eventuale necessità di adire la Corte con una domanda di pronuncia pregiudiziale, quando sono investiti di una questione di diritto dell’Unione, mentre quando siffatta questione è sollevata dinanzi agli organi giurisdizionali nazionali avverso le cui decisioni non sono esperibili ricorsi giurisdizionali di diritto interno, essi, a norma dell’art. 267, terzo comma, TFUE, sono tenuti ad adire la Corte (29).

68.      A questo riguardo, emerge chiaramente dalla sentenza Cilfit e a. (30) che gli organi giurisdizionali nazionali avverso le cui decisioni non sono esperibili ricorsi giurisdizionali di diritto interno sono tenuti, qualora una questione di diritto dell’Unione sia sollevata dinanzi ad essi, ad adempiere il loro obbligo di rinvio, salvo che abbiano constatato che la questione non è pertinente, o che la disposizione comunitaria di cui trattasi abbia già costituito oggetto di interpretazione da parte della Corte, ovvero che la corretta applicazione del diritto comunitario si imponga con tale evidenza da non lasciar adito a ragionevoli dubbi (31).

69.      Nella sentenza Rheinmühlen-Düsseldorf (32), la Corte ha sottolineato che gli organi giurisdizionali nazionali godono della più ampia facoltà di adire la Corte se ritengono che, nell’ambito di una controversia dinanzi ad esse pendente, siano sorte questioni, essenziali per la pronuncia nel merito, che implicano un’interpretazione o un accertamento della validità delle disposizioni del diritto comunitario (33). Inoltre, la Corte ha dichiarato che la facoltà del giudice nazionale di adire la Corte non può, in linea di principio, essere soppressa da una norma di diritto nazionale che vincola il giudice al rispetto delle valutazioni giuridiche emananti da un giudice di grado superiore (34). A questo riguardo, nella sentenza ERG e a. (35), la Corte ha dichiarato che il giudice che non decide in ultima istanza deve essere libero, segnatamente, se esso ritiene che la valutazione in diritto formulata dall’istanza superiore possa condurlo ad emettere un giudizio contrario al diritto dell’Unione, di sottoporre alla Corte le questioni che gli suscitano dubbi.

70.      Nella sentenza Kücükdeveci (36), la Corte ha recentemente sottolineato il carattere facoltativo del secondo comma dell’art. 267 TFUE e, a mio avviso, il potere discrezionale di cui dispongono i giudici degli Stati membri in applicazione di tale disposizione. Nella causa definita da detta sentenza, la questione sottoposta era se un giudice nazionale debba interrogare la Corte in via pregiudiziale sull’interpretazione del diritto dell’Unione prima di poter disapplicare una norma nazionale che esso ritenga contraria a tale diritto se, in forza del diritto nazionale, il giudice del rinvio non può disapplicare una disposizione vigente della legislazione nazionale se essa non sia stata previamente dichiarata incostituzionale dal Bundesverfassungsgericht (Corte costituzionale federale, Germania). La Corte ha dichiarato che è compito del giudice nazionale, investito di una controversia tra privati, garantire il rispetto del diritto dell’Unione disapplicando, se necessario, qualsiasi disposizione contraria della normativa nazionale, indipendentemente dall’esercizio della facoltà di cui dispone, nei casi previsti dall’art 267, secondo comma, TFUE, di sottoporre alla Corte una questione pregiudiziale sull’interpretazione del diritto dell’Unione (37).

71.      Per contro, nella sentenza Mecanarte (38), la Corte ha dichiarato che l’effetto utile del sistema instaurato dall’art. 267 TFUE esige che i giudici nazionali dispongano dei più ampi poteri di adire la Corte. In tale sentenza, in una causa che considero peraltro molto simile alla presente, essa ha dichiarato che un giudice nazionale, adito in una controversia concernente il diritto dell’Unione, il quale constati che una norma nazionale è viziata da incostituzionalità, non è privato della facoltà né dispensato dall’obbligo, di cui all’art. 267 TFUE, di sottoporre alla Corte di giustizia questioni relative all’interpretazione o alla validità del diritto dell’Unione, per il fatto che la constatazione di incostituzionalità di una norma di diritto nazionale sia soggetta a ricorso obbligatorio dinanzi alla Corte costituzionale (39). Inoltre, per quanto riguarda la questione se un giudice nazionale possa essere dispensato da un rinvio pregiudiziale, laddove l’ordinamento giuridico nazionale offra gli strumenti necessari per porre rimedio ai vizi di una norma nazionale, la Corte ha dichiarato che il potere discrezionale del giudice nazionale, ai sensi dell’art. 267, secondo comma, TFUE si estende anche alla questione relativa alla fase processuale nella quale una questione pregiudiziale debba essere sottoposta alla Corte. Ne consegue che il fatto che può essere posto rimedio ad una violazione del diritto dell’Unione nell’ambito del sistema del diritto nazionale non contravviene in alcun modo al potere discrezionale conferito al giudice nazionale, ai sensi dell’art. 267, secondo comma, TFUE.

72.      Pertanto, ritengo che emerge chiaramente dalla giurisprudenza costante della Corte che l’effetto utile del diritto dell’Unione sarebbe vanificato se il ricorso obbligatorio dinanzi ad una corte costituzionale potesse limitare o deferire il potere autonomo, accordato a tutti gli organi giurisdizionali nazionali ai sensi dell’art. 267, secondo comma, TFUE, di adire la Corte con questioni vertenti sull’interpretazione o sulla validità del diritto dell’Unione nelle cause pendenti dinanzi ad essi.

73.      Inoltre, allorché il diritto nazionale limita o deferisce il potere di valutazione dei giudici nazionali di sottoporre alla Corte questioni pregiudiziali, in applicazione dell’art. 267 TFUE, considero che debba essere applicato il principio del primato, che è la pietra angolare del diritto dell’Unione. Detto principio è stato ricordato ancora di recente nelle dichiarazioni annesse all’atto finale della conferenza intergovernamentale che ha adottato il trattato di Lisbona, firmato il 13 dicembre 2007 (40).

74.      Secondo una giurisprudenza costante, il giudice nazionale incaricato di applicare, nell’ambito della propria competenza, le norme di diritto dell’Unione ha l’obbligo di garantire la piena efficacia di tali norme, disapplicando all’occorrenza, di propria iniziativa, qualsiasi disposizione contrastante della legislazione nazionale, anche posteriore, senza doverne chiedere o attendere la previa rimozione in via legislativa o mediante qualsiasi altro procedimento costituzionale (41).

75.      Ritengo che l’art. 267 TFUE costituisca una parte integrante dell’ordinamento giuridico degli Stati membri, ove prevale sulle norme di diritto nazionale se queste sono con esso incompatibili. Qualsiasi giudice può e deve applicare integralmente l’art. 267 TFUE e, in caso di conflitto tra questo articolo e una norma di diritto interno, disapplicare quest’ultima, se necessario, di propria iniziativa in una causa pendente dinanzi a lui.

76.      Occorre anche sottolineare che, oltre al fatto che, nelle cause dinanzi ad essi pendenti, i giudici nazionali, in forza dell’art. 267, secondo comma, TFUE, dispongono di un potere discrezionale riguardo all’adizione della Corte con un rinvio pregiudiziale e che questo potere non potrà essere limitato o deferito mediante misure nazionali, una sentenza pronunciata dalla Corte in via pregiudiziale vincola questi giudici per la soluzione della lite nel procedimento principale (42). Nella sentenza Simmenthal, già citata, la Corte ha giudicato che l’effetto utile del procedimento di rinvio sarebbe ridotto se al giudice nazionale fosse impedito di applicare, immediatamente, il diritto dell’Unione in modo conforme ad una pronuncia o alla giurisprudenza della Corte. Di conseguenza, ritengo che, in caso di conflitto tra una decisione della Corte emessa a seguito di un rinvio pregiudiziale e una decisione di un giudice nazionale, ivi compresa una corte costituzionale, il primato del diritto dell’Unione imponga al giudice nazionale di applicare la decisione della Corte e di lasciare inapplicata la decisione del giudice nazionale ad essa contraria (43).

77.      Tenuto conto della presentazione, fatta dal giudice del rinvio, del quadro normativo nazionale, segnatamente delle norme relative alla questione prioritaria di legittimità costituzionale, considero che l’art. 267 TFUE osti ad una legislazione, come quella risultante dagli artt. 23‑2, secondo comma, e 23‑5, secondo comma, del decreto legislativo n. 58-1067, nella parte in cui essi impongono ai giudici di pronunciarsi in via prioritaria sulla trasmissione al Conseil constitutionnel della questione di legittimità costituzionale ad essi sottoposta, laddove detta questione verta sulla non conformità con la Costituzione della Repubblica francese di una disposizione di diritto interno a causa della sua contrarietà alle disposizioni del diritto dell’Unione.

VII – Conclusione

78.      Alla luce delle considerazioni che precedono, propongo alla Corte di rispondere alle questioni pregiudiziali presentate dalla Cour de cassation come segue:

1)         «L’art. 67 TFUE e gli artt. 20 e 21 del regolamento (CE) del Parlamento europeo e del Consiglio 15 marzo 2006, n. 562, che istituisce un codice comunitario relativo al regime di attraversamento delle frontiere da parte delle persone (codice frontiere Schengen), ostano ad una normativa come quella risultante dall’art. 78-2, quarto comma, del codice di procedura penale francese, che prevede che «in una zona compresa tra la frontiera terrestre della Francia con gli Stati parti della convenzione firmata a Schengen il 19 giugno 1990 ed una linea tracciata a 20 chilometri dalla stessa, nonché nelle zone accessibili al pubblico di porti, aeroporti e stazioni ferroviarie o stradali aperti al traffico internazionale ed individuati con decreto, può essere parimenti controllata l’identità di qualsiasi persona, secondo le modalità previste dal primo comma, al fine di verificare il rispetto degli obblighi di legge di possedere, portare con sé ed esibire i titoli e documenti. Qualora detto controllo avvenga a bordo di un treno che effettua un collegamento internazionale, esso può essere svolto sulla parte di tratta tra la frontiera e la prima fermata situata al di là dei 20 chilometri dalla frontiera. Tuttavia, sulle linee ferroviarie che effettuano un collegamento internazionale e presentano caratteristiche di servizio particolari, il controllo può anche avvenire tra tale fermata ed una fermata situata entro il limite dei 50 chilometri seguenti. Dette linee e dette fermate sono individuate con decreto ministeriale. Quando esiste una tratta autostradale che inizia nella zona menzionata nella prima frase del presente comma, ed il primo casello autostradale si situa oltre la linea dei 20 chilometri, il controllo può essere effettuato anche nelle aree di sosta prima di tale primo casello, nonché presso tale casello e nelle aree di sosta attigue. I caselli interessati da tale disposizione sono individuati con decreto».

2)      In considerazione della presentazione, fatta dal giudice del rinvio, del quadro normativo nazionale, segnatamente delle norme concernenti la questione prioritaria di illegittimità costituzionale, l’art. 267 TFUE osta ad una legislazione quale quella risultante dagli artt. 23‑2, secondo comma, e 23‑5, secondo comma, del decreto legislativo 7 novembre 1958, n. 1067, di approvazione della legge organica sul Conseil constitutionnel, come modificata dalla legge organica 10 dicembre 2009, n. 1523, nella parte in cui essi impongono ai giudici di pronunciarsi in via prioritaria sulla trasmissione al Conseil constitutionnel della questione di legittimità costituzionale ad essi sottoposta, laddove detta questione verta sulla non conformità con la Costituzione della Repubblica francese di una disposizione di diritto interno a causa della sua contrarietà alle disposizioni del diritto dell’Unione».


1 – Lingua originale: il francese.


2 –      Notificazioni richieste dall’art. 37 del regolamento n. 562/2006 – Possibilità per uno Stato membro di prevedere nella legislazione nazionale l’obbligo di possedere o di portare con sé documenti di identità, ai sensi dell’articolo 21, lettera c) (2008/C 18/03) (GU 2008, C 18, pag. 15).


3 – Ossia sulla conformità di una disposizione legislativa con una convenzione internazionale.


4 – Secondo il governo francese, la procedura di riconoscimento degli interessati da parte delle autorità algerine, necessaria per l’attuazione del loro riaccompagnamento alla frontiera, non ha potuto essere eseguita prima della scadenza del termine di quindici giorni di detenzione amministrativa. Pertanto, il 9 aprile 2010, il prefetto della regione Nord-Pas-de-Calais, prefetto del Nord, avrebbe deciso di rimettere in libertà i sigg. Melki e Abdeli. Ne risulterebbe che, da tale data, i sigg. Melki e Abdeli non sono più oggetto di alcuna misura privativa della libertà e anche le due ordinanze del giudice delle libertà e della detenzione, che non sono state impugnate da questi ultimi, hanno cessato di produrre qualsiasi effetto e sono divenute definitive.


5 – Secondo il governo francese, sono i giudici ordinari ad essere incaricati del controllo di «conventionnalité», ossia della conformità di una legge ad una convenzione internazionale.


6 – Il governo polacco non ha presentato osservazioni sulla seconda questione.


7 – V., in questo senso, tra l’altro, la decisione del Consiglio 23 giugno 2008, 2008/616/GAI, relativa all’attuazione della decisione 2008/615/GAI sul potenziamento della cooperazione transfrontaliera, soprattutto nella lotta al terrorismo e alla criminalità transfrontaliera (GU L 210, pag. 12), il regolamento (CE) del Consiglio 26 ottobre 2004, n. 2007, che istituisce un’Agenzia europea per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne degli Stati membri dell’Unione europea (GU L 349, pag. 1), la decisione quadro del Consiglio 18 dicembre 2006, 2006/960/GAI, relativa alla semplificazione dello scambio di informazioni e intelligence tra le autorità degli Stati membri dell’Unione europea incaricate dell’applicazione della legge (GU L 386, pag. 89), la decisione del Consiglio 6 aprile 2009, 2009/37/GAI, che istituisce l’Ufficio europeo di polizia (Europol) (GU L 121, pag. 37), e il regolamento (CE) del Parlamento europeo e del Consiglio 20 dicembre 2006, n. 1987, sull’istituzione, l’esercizio e l’uso del sistema d’informazione Schengen di seconda generazione (SIS II) (GU L 381, pag. 4).


8 – Nella sentenza 22 ottobre 2009, cause riunite C-261/08 e C-348/08, Zurita García e Choque Cabrera (non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 43), la Corte ha constatato che l’art. 62, punti 1 e 2, lett. a), CE [ossia attualmente l’art. 77, paragrafo 2, lett. e), TFUE] costituisce il fondamento normativo dell’azione del Consiglio diretta a adottare misure volte a garantire che non vi siano controlli sulle persone all’atto dell’attraversamento delle frontiere interne nonché misure relative all’attraversamento delle frontiere esterne degli Stati membri e, come tale, non ha l’oggetto o l’effetto di attribuire diritti ai cittadini dei paesi terzi né d’imporre obblighi agli Stati membri.


9 – In caso di minaccia grave al loro ordine pubblico o alla loro sicurezza, gli Stati membri, eccezionalmente e fatto salvo il rispetto di talune severe condizioni, hanno la possibilità di reintrodurre temporaneamente il controllo di frontiera alle loro frontiere interne. La portata e la durata del controllo di frontiera non andrà oltre quanto necessario per far fronte a siffatta minaccia. V. artt. 23-31 del regolamento n. 562/2006.


10 – Occorre osservare che, ai sensi del sesto ‘considerando’ del regolamento n. 562/2006, «[i]l controllo di frontiera è nell’interesse non solo dello Stato membro alle cui frontiere esterne viene effettuato, ma di tutti gli Stati membri che hanno abolito il controllo di frontiera interno. Il controllo di frontiera dovrebbe contribuire alla lotta contro l’immigrazione clandestina e la tratta degli esseri umani nonché alla prevenzione di qualunque minaccia per la sicurezza interna, l’ordine pubblico, la salute pubblica e le relazioni internazionali degli Stati membri».


11 – Mi sembra che dai termini «in particolare» discenda che l’elenco menzionato all’art. 21, lett. a), del regolamento n. 562/2006 è esemplificativo e non tassativo.


12 – Ad esempio, quanto alla terza e alla quarta circostanza in esame, a mio avviso, l’intensità effettiva delle verifiche costituisce soltanto un fattore indicativo. Infatti, è possibile ritenere che le verifiche frontaliere dissimulate siano effettuate in maniera meno intensa di quelle autorizzate dal diritto dell’Unione.


13 – V. per analogia, sentenza 17 febbraio 2005, causa C-215/03, Oulane (Racc. pag. I‑1215, punto 34). In tale sentenza, la Corte ha dichiarato che «il diritto comunitario non osta a che uno Stato membro effettui controlli sull’osservanza dell’obbligo di essere sempre muniti di un titolo di soggiorno, purché un obbligo identico sia imposto ai suoi cittadini per quel che riguarda la loro carta d’identità».


14 – V., per analogia, sentenza 27 aprile 1989, causa 321/87, Commissione/Belgio (Racc. pag. 997, punto 15).


15 – V. anche l’art. 2, punto 9, del regolamento n. 562/2006, che definisce il «controllo di frontiera» come «l’attività svolta alla frontiera, in conformità e per gli effetti del presente regolamento, in risposta esclusivamente all’intenzione di attraversare la frontiera o al suo effettivo attraversamento e indipendentemente da qualunque altra ragione, e che consiste in verifiche di frontiera e nella sorveglianza di frontiera».


16 – V., in questo senso, anche l’art. 21, lett. a), del regolamento n. 562/2006.


17 – A mio avviso, le altre disposizioni dell’art. 78-2, quinto e sesto comma, del codice di procedura penale francese, relative alla Guadalupa, alla Guyana, a Mayotte, a Saint-Martin e a Saint-Barthélemy, non sono rilevanti nella fattispecie in esame, in quanto detti dipartimenti, collettività e territori d’oltremare sono esclusi dallo spazio di libera circolazione di Schengen.


18 – Nelle sue osservazioni, il governo francese ha invocato anche l’art. L.611‑1 Cedesa. Occorre sottolineare che questa disposizione non è pertinente nella fattispecie, in quanto dalle decisioni di rinvio emerge chiaramente che i ricorrenti nel procedimento principale sono stati oggetto di controlli in applicazione dell’art. 78‑2, quarto comma, del codice di procedura penale francese. In ogni caso, appare anche, salvo verifica ad opera del giudice nazionale, che di norma i controlli dei titoli di soggiorno in applicazione dell’art. L.611‑1 Ceseda sono effettuati su tutto il territorio nazionale francese e devono essere fondati su criteri molto severi quanto alla qualità della persona che ne è oggetto in quanto di nazionalità straniera. Tuttavia, dato che l’art. L.611‑1 Cedesa prevede che le persone di nazionalità straniera possano essere tenute del pari a presentare i titoli o documenti in forza dei quali sono autorizzate a circolare o a soggiornare in Francia, a seguito di un controllo di identità effettuato in applicazione degli artt. 78‑1, 78‑2 e 78‑2‑1 del codice di procedura penale francese, sembra, salvo verifica ad opera del giudice nazionale, che il suddetto art. L.611‑1 potrebbe di fatto essere applicato in modo più rigoroso nella zona geografica rilevante, in considerazione del suo collegamento con l’art. 78-2, quarto comma, del codice di procedura penale francese. Inoltre, l’art. 78-2-1 del codice di procedura penale francese, che prevede che le autorità di polizia sono abilitate, su mandato del procuratore della Repubblica, ad entrare nei luoghi di uso professionale, non è pertinente nella fattispecie. In ogni caso, sembra che detta disposizione sia applicata su tutto il territorio francese.


19 – Ciò non significa che i controlli di identità, attuati in applicazione dell’art. 78‑2, quarto comma, del codice di procedura penale francese, non possano, in casi concreti, rivelare o prevenire reati, ma risulta, salvo verifica ad opera del giudice nazionale, che ci siano altre disposizioni del medesimo codice che trattano specificamente tali casi.


20 – V., in tal senso, sentenza 14 febbraio 2008, causa C‑244/06, Dynamic Medien, (Racc. pag. I-505, punto 19 e giurisprudenza ivi citata).


21 – V. precedente paragrafo 18.


22 – In precedenza art. 234 trattato CE e art. 177 trattato CEE.


23 – Posto che nella fattispecie in esame non è in discussione la validità di un atto delle istituzioni dell’Unione, in questa presa di posizione concentrerò le mie riflessioni sulla questione di interpretazione del diritto dell’Unione, ai sensi dell’art. 267 TFUE.


24 – V., per analogia, sentenza 5 marzo 2009, causa C-350/07, Kattner Stahlbau (Racc. pag. I‑1513, punto 29 e giurisprudenza ivi citata).


25 – V., segnatamente, sentenza 22 dicembre 2008, causa C-333/07, Régie Networks (Racc. pag. I‑10807, punto 46 e giurisprudenza ivi citata).


26 – V. ordinanze 18 giugno 1980, causa 138/80, Borker (Racc. pag. 1975, punto 4); 5 marzo 1986, causa 318/85, Greis Unterweger (Racc. pag. 955, punto 4); sentenze 19 ottobre 1995, causa C-111/94, Job Centre (Racc. pag. I‑3361, punto 9), e 14 giugno 2001, causa C-178/99, Salzmann (Racc. pag. I‑4421, punto 14).


27 – Sentenza 28 aprile 1983, causa 170/82, Les Fils d’Henri Ramel (Racc. pag. 1319, punto 8).


28 – V. in questo senso, segnatamente, sentenze 13 marzo 2001, causa C-379/98, PreussenElektra (Racc. pag. I‑2099, punto 38), e 26 gennaio 2010, causa C-118/08, Transportes Urbanos y Servicios Generales (non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 25).


29 – V., segnatamente, sentenza 15 settembre 2005, causa C-495/03, Intermodal Transports (Racc. pag. I‑8151, punti 31 e 33).


30 – Sentenza 6 ottobre 1982 (causa 283/81, Racc. pag. 3415, punto 21).


31 – Tuttavia, dalla sentenza Cilfit e a., cit., emerge anche che la possibilità accordata ad un giudice nazionale, le cui decisioni non possono costituire oggetto di un ricorso giurisdizionale di diritto interno, di non presentare alla Corte tutte le questioni d’interpretazione del diritto dell’Unione sollevate dinanzi ad esso deve essere valutata sulla base, tra l’altro, delle varie versioni linguistiche delle disposizioni del diritto dell’Unione in questione. Posto che attualmente ci sono ventitré lingue di lavoro ufficiali in seno all’Unione e che ogni versione linguistica è autentica, sembra poco probabile che un giudice nazionale possa, di fatto, avvalersi di questa possibilità (estremamente limitata).


32 – Sentenza 16 gennaio 1974, causa 166/73 (Racc. pag. 33, punto 3).


33 – V. anche sentenza 16 dicembre 2008, causa C-210/06, Cartesio (Racc. pag. I‑9641, punto 88).


34 – Nella sentenza Rheinmühlen-Düsseldorf, cit., la Corte ha dichiarato anche che la situazione sarebbe diversa allorché le questioni presentate da un giudice sono identiche a questioni presentate dal giudice di ultima istanza. Occorre osservare che nella sentenza 12 febbraio 1974, causa 146/73, Rheinmühlen-Düsseldorf (Racc. pag. 139, punto 3), la Corte ha dichiarato che, nel caso di un giudice che non sia di ultima istanza, l’art. 267 TFUE non esclude che i relativi provvedimenti di rinvio pregiudiziale alla Corte siano soggetti ai normali mezzi d’impugnazione predisposti dal diritto interno (v. anche sentenza Cartesio, cit., punto 89). Ne consegue che si pone la questione se, e in che misura, i mezzi di ricorso nazionali possano limitare il potere di un giudice nazionale di adire la Corte, in applicazione dell’art. 267 TFUE. Nella sentenza 12 febbraio 1974, Rheinmühlen-Düsseldorf, cit., la Corte ha sottolineato che, nonostante l’esistenza di mezzi di impugnazione nazionale, essa deve comunque attenersi al provvedimento di rinvio, che produrrà i suoi effetti finché non sarà stato revocato (v. anche sentenza Cartesio, cit., punti 92-97). Dalla giurisprudenza della Corte in materia discende che, pur riconoscendo l’esistenza di mezzi di impugnazione di diritto nazionale, quando una causa è pendente dinanzi ad un giudice nazionale il diritto nazionale non può limitare la competenza autonoma di questo giudice di investire la Corte di un rinvio pregiudiziale. In queste circostanze, la Corte deve attenersi al provvedimento di rinvio pregiudiziale, che produrrà i suoi effetti finché non sarà stato revocato o modificato dal giudice che lo ha emanato, perché solo quest’ultimo può decidere in merito a una siffatta revoca o modifica. Per una causa in cui la Corte ha declinato la sua competenza a decidere, poiché la lite non era più pendente dinanzi al giudice del rinvio, v. ordinanza 24 marzo 2009, causa C-525/06, Nationale Loterij (Racc. pag. I‑2197, punti 8-11). Occorre osservare che in quest’ultima causa il giudice del rinvio non ha ritirato la domanda di pronuncia pregiudiziale.


35 – Sentenza 9 marzo 2010, cause riunite C‑379/08 e C‑380/08 (non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 26).


36 – Sentenza 19 gennaio 2010, causa C‑555/07 (non ancora pubblicata nella Raccolta).


37 – In effetti, al punto 55 di questa sentenza, la Corte ha dichiarato che «il carattere facoltativo di tale adizione è indipendente dalle modalità che si impongono al giudice nazionale, nel diritto interno, per poter disapplicare una disposizione nazionale che ritenga contraria alla Costituzione».


38 – Sentenza 27 giugno 1991, causa C‑348/89 (Racc. pag. I‑3277, punto 44).


39 – V. punti 45-49 della sentenza. Nella causa definita da questa sentenza, il Tribunal Fiscal Aduaneiro do Porto (Portogallo) si chiede, in primo luogo, se è competente a procedere al rinvio pregiudiziale, ove constati l’illegittimità costituzionale delle disposizioni in causa, dato che la dichiarazione di incostituzionalità di una norma di diritto interno è assoggettata, a norma dell’art. 280, n. 3, della Costituzione della Repubblica portoghese, al ricorso dinanzi alla Corte costituzionale portoghese e che, di conseguenza, solo quest’ultima potrà essere competente a procedere al rinvio pregiudiziale in siffatte cause e, in secondo luogo, se il rinvio pregiudiziale non sia superfluo, in quanto è possibile rimediare ai vizi di una disposizione nazionale nell’ambito dell’ordinamento giuridico nazionale. V. anche sentenza 10 luglio 1997, causa C-261/95, Palmisani (Racc. pag. I‑4025, punti 16-21).


40 – La Dichiarazione 17 relativa al primato così enuncia:


«La conferenza ricorda che, per giurisprudenza costante della Corte di giustizia dell’Unione europea, i trattati e il diritto adottato dall’Unione sulla base dei trattati prevalgono sul diritto degli Stati membri alle condizioni stabilite dalla summenzionata giurisprudenza.


Inoltre, la conferenza ha deciso di allegare al presente atto finale il parere del Servizio giuridico del Consiglio sul primato, riportato nel documento 11197/07 (JUR 260):


"Parere del Servizio giuridico del Consiglio del 22 giugno 2007


Dalla giurisprudenza della Corte di giustizia si evince che la preminenza del diritto comunitario è un principio fondamentale del diritto comunitario stesso. Secondo la Corte, tale principio è insito nella natura specifica della Comunità europea. All’epoca della prima sentenza di questa giurisprudenza consolidata (Costa contro ENEL, 15 luglio 1964, causa 6/64 (1) ) non esisteva alcuna menzione di preminenza nel trattato. La situazione è a tutt’oggi immutata. Il fatto che il principio della preminenza non sarà incluso nel futuro trattato non altera in alcun modo l’esistenza del principio stesso e la giurisprudenza esistente della Corte di giustizia.


(1) “(…) discende che, scaturito da una fonte autonoma, il diritto nato dal trattato non potrebbe, in ragione appunto della sua specifica natura, trovare un limite in qualsiasi provvedimento interno senza perdere il proprio carattere comunitario e senza che ne risultasse scosso il fondamento giuridico della stessa comunità”».


41 – V., in tal senso, sentenze 9 marzo 1978, causa 106/77, Simmenthal (Racc. pag. 629, punto 24); 4 giugno 1992, cause riunite C-13/91 e C-113/91, Debus (Racc. pag. I-3617, punto 32); 18 luglio 2007, causa C-119/05, Lucchini (Racc. pag. I-6199, punto 61), nonché 27 ottobre 2009, causa C-115/08, ČEZ (non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 138). V. anche sentenza 19 novembre 2009, causa C-314/08, Filipiak (non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 84) in cui la Corte ha dichiarato che il differimento, da parte di una corte costituzionale (nella fattispecie il Trybunał Konstytucyjny, Corte costituzionale polacca), della data in cui le disposizioni controverse perderanno la loro efficacia vincolante non impedisce al giudice del rinvio, conformemente al principio del primato del diritto comunitario, di disapplicare tali disposizioni nell’ambito della causa di cui è investito qualora le consideri contrarie al diritto comunitario.


42 – V., in questo senso, segnatamente, sentenze 3 febbraio 1977, causa 52/76, Benedetti (Racc. pag. 163, punto 26), e 14 dicembre 2000, causa C-446/98, Fazenda Pública (Racc. pag. I‑11435, punto 49), nonché ordinanza 5 marzo 1986, causa 69/85, Wünsche (Racc. pag. 947, punto 13). V. anche il paragrafo 64 delle conclusioni presentate dall’avvocato generale Jacobs nella causa definita dalla sentenza 30 novembre 2000, causa C-195/98, Österreichischer Gewerkschaftsbund (Racc. pag. I‑10497). Nelle conclusioni presentate per causa conclusasi con la sentenza 8 settembre 2009, causa C-42/07, Liga Portuguesa de Futebol Profissional e Bwin International (non ancora pubblicata nella Raccolta) l’avvocato generale Bot ha dichiarato che l’interpretazione uniforme del diritto dell’Unione può essere garantita solo se le sentenze della Corte sono vincolanti per i giudici nazionali. Tale forza vincolante costituisce inoltre il corollario dell’obbligo dei giudici nazionali di garantire l’applicazione effettiva del diritto dell’Unione (punti 204 e 205).


43 – V., per analogia, sentenza Filipiak, cit.

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