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Document 61977CC0005

    Conclusioni dell'avvocato generale Mayras del 6 luglio 1977.
    Carlo Tedeschi contro Denkavit Commerciale s.r.l.
    Domanda di pronuncia pregiudiziale: Pretura di Lodi - Italia.
    Causa 5/77.

    Raccolta della Giurisprudenza 1977 -01555

    ECLI identifier: ECLI:EU:C:1977:119

    CONCLUSIONI DELL'AVVOCATO GENERALE HENRI MAYRAS

    DEL 6 LUGLIO 1977 ( 1 )

    Signor presidente,

    signori giudici,

    Come si desume dal fascicolo trasmessoci dal giudice nazionale, la lite che ha dato origine al presente rinvio pregiudiziale è nata dalle seguenti circostanze:

    Il 4 settembre 1976 la ditta italiana Tedeschi ordinava alla Denkavit Commerciale s.r.l., pure italiana, 10 quintali di latte in polvere tipo «Start», per consegna fra il 20 e il 25 settembre 1976. La merce di cui trattasi è un alimento completo per animali, composto in parte di polvere di latte magro (o scremato) e in parte di polvere di siero di latte. Questo è un sotto-prodotto del caseificio e contiene residui di nitrati di potassio, sostanze usate per produrre il formaggio.

    Il 12 settembre 1976, la Denkavit Commerciale si rivolgeva alla ditta Pesch, nei Paesi Bassi, e le ordinava 250 quintali di detta merce, per consegna entro il 30 settembre. Il 16 settembre, la Pesch confermava alla Denkavit Commerciale la spedizione per autotreno di 250 quintali di alimenti completi del tipo indicato. Il giorno seguente, 17 settembre, la Denkavit accusava ricevuta alla Tedeschi dell'ordine e della caparra e confermava la consegna per il 20 settembre.

    L'autotreno che trasportava la merce proveniente dai Paesi Bassi veniva però fermato al confine italiano, il 25 settembre, per ordine del veterinario di confine. Il carico, non essendo conforme ai requisiti stabiliti da un «biglietto urgente» in data 7 settembre del Ministero della sanità italiano, veniva respinto e l'autotreno tornava nei Paesi Bassi. Il «biglietto» determinava la quantità massima ammessa di nitrati di potassio in 30 parti per milione per il latte intero o magro, fresco o in polvere, e in 50 parti per milione per il siero di latte in polvere. Questo provvedimento valeva per le merci destinate tanto all'alimentazione umana quanto a quella animale.

    Il 5 ottobre 1976, la Denkavit Commerciale comunicava il contrattempo alla Tedeschi, offrendole la restituzione della caparra. Il 21 ottobre 1976, però, la Tedeschi chiedeva alla' Denkavit la restituzione del doppio della caparra per inadempimento del contratto. Dinanzi al pretore di Lodi, essa sostiene che la Denkavit aveva concluso il contratto in un momento in cui conosceva le disposizioni ministeriali ed aveva quindi consapevolmente assunto il rischio che la merce venisse fermata al confine. La Denkavit eccepisce che il mancato adempimento del contratto è dovuto all'intervento delle autorità italiane, intervento in contrasto con le disposizioni comunitarie in vigore.

    Tre associazioni nazionali di produttori di alimenti per animali sono intervenute al fianco della Denkavit. È in questa situazione che il pretore di Lodi vi interpella in merito alla legittimità, alla luce dell'art. 5 della direttiva del Consiglio 17 dicembre 1973 n. 74/63, del divieto, emanato dalle autorità italiane, di nuove sostanze ritenute nocive, sostanze non contemplate nell'allegato di detta direttiva, e della determinazione di contenuti massimi ammessi di dette sostanze.

    Benché la ditta Tedeschi non si sia valsa del diritto di presentare osservazioni, la convenuta nella causa principale, invece, sostenuta dalle tre sopra menzionate associazioni nazionali, il Consiglio, la Commissione, il governo del Regno Unito e, naturalmente, quello della Repubblica italiana hanno mostrato grande interesse per la controversia.

    Aggiungo che esiste una Denkavit Nederland, che ha sede in Voorthuizen, allo stesso indirizzo della Pesch. Il periodico «Denkavit Aktualiteiten» n. 29 del settembre 1969, ha pubblicato un commento secondo il quale vi erano — a quell'epoca — quattro prezzi diversi per la polvere di latte magro: 150 fiorini per la polvere di latte magro destinata al consumo umano; 129 fiorini per la polvere destinata all'alimentazione dei vitelli; 42,50 fiorini per quella destinata ai maiali e al pollame; infine, il prezzo di quella destinata all'esportazione nei paesi terzi. E il commento continuava:

    «Dev'essere ben ingenuo chi non capisce che questo sistema lascia la porta aperta alle frodi».

    A partire dal regolamento del Consiglio 27 febbraio 1975 n. 465, viene corrisposto un aiuto comunitario al latticello in polvere usato per l'alimentazione degli animali, come veniva già in precedenza corrisposto al latte magro in polvere, alla condizione che «il latte scremato e il latticello, quali risultano dalla trasformazione del latte in crema o in burro non possono … formare oggetto di una diluizione anormale rispetto alle tecniche di produzione applicate, in particolare con acqua e/o siero» (regolamento della Commissione 11 agosto 1975 n. 2114). Per quanto mi consta, non è stata ancora adottata alcuna disciplina comunitaria che stabilisca le proporzioni in cui è lecito «diluire» la polvere di siero con polvere di latte magro perchè questa possa tuttavia fruire degli aiuti comunitari.

    Il 14 settembre 1976, la Denkavit Nederland si è lamentata direttamente presso la Commissione a Bruxelles delle restrizioni inflitte dalle autorità italiane alla libera circolazione di merci peraltro rientranti in organizzazioni comuni di mercato e non ha escluso la possibilità di adire le vie legali. Voi avete sentito qui in aula i chiarimenti tecnici di uno dei suoi rappresentanti.

    I —

    Come spesso accade, vi si chiede, nell'ambito dell'art. 177, di giudicare l'applicazione di un testo comunitario, da parte delle autorità di uno Stato membro, in un caso determinato. Formulate in termini astratti, le tre questioni che vi sono state sottoposte dal giudice italiano riguardano l'ampiezza del potere che è lasciato agli Stati dalla direttiva del Consiglio 17 dicembre 1973 n. 74/63, relativa alla fissazione di quantità massime per le sostanze e per i prodotti indesiderabili negli alimenti per gli animali.

    Per il caso che, in forza dell'art. 5 di questa direttiva, si dovesse riconoscere agli Stati membri un potere discrezionale in proposito, il giudice italiano vi chiede inoltre se detto articolo non sia invalido in quanto in contrasto col principio della libera circolazione delle merci (art. 30 del trattato) e non giustificato dall'art. 36 del trattato.

    È inutile dilungarsi sulle considerazioni che hanno presieduto all'adozione della direttiva sulla quale vertono le questioni. Mi limiterò a ricordare che i regolamenti di base relativi all'organizzazione comune dei mercati dei prodotti agricoli, vegetali 0 animali, e in particolare il regolamento «latte e prodotti lattiero-caseari» n. 804/68, non hanno potuto risolvere tutti i problemi ecologici riguardanti la produzione, la libera circolazione e la distribuzione dei prodotti contemplati dai regolamenti stessi.

    Come la direttiva ricorda nella motivazione, la produzione animale occupa un posto estremamente importante nell'agricoltura della Comunità e dipende, in ampia misura, dall'uso di alimenti appropriati e di buona qualità. L'alimentazione degli animali è però sempre più orientata verso l'uso di additivi e d'altro canto gli alimenti zootecnici contengono spesso, per cause naturali o in conseguenza dell'aggiunta sconsiderata di determinate sostanze ai loro ingredienti base, elementi indesiderabili, che possono nuocere alla salute degli animali e, a causa della loro presenza nei prodotti zoologici, alla salute umana.

    Orbene, le leggi relative agli alimenti zootecnici, che incidono quindi direttamente sul funzionamento del mercato comune agricolo (art. 100 del trattato), differiscono notevolmente nei vari Stati membri e dipendono dallo stato delle conoscenze scientifiche o tecniche. Di conseguenza, la disciplina in materia di alimenti zootecnici, fattore essenziale per l'aumento della produttività dell'agricoltura, deve del pari tendere al ravvicinamento o all'armonizzazione, sul piano comunitario, delle disposizioni nazionali relative a detti prodotti.

    Gli additivi nell'alimentazione degli animali hanno costituito oggetto della direttiva del Consiglio 23 novembre 1970 n. 70/254, modificata dalla direttiva del Consiglio 28 aprile 1973 n. 73/103.

    Per quanto riguarda la determinazione di quantità massime per le sostanze e per i prodotti indesiderabili negli alimenti zootecnici, la Commissione aveva, in un primo tempo, proposto di farne oggetto di un regolamento fondato sull'art. 43 e, di conserva con detto regolamento, aveva proposto al Consiglio un regolamento re-lativo alla distribuzione degli alimenti zootecnici. Di fatto, il Consiglio ha adottato una direttiva fondata sugli artt. 43 e 100 del trattato, mentre non è stato adottato alcun regolamento riguardante specificamente la distribuzione. Il 23 novembre 1976 il Consiglio ha adottato la direttiva n. 77/101, relativa al commercio degli alimenti zootecnici semplici. Questa direttiva, però, pubblicata nelle more del giudizio, fissa al 1o gennaio 1979 la data alla quale gli Stati membri dovranno aver posto in vigore le opportune disposizioni nazionali.

    Il sistema istituito dalla direttiva n. 74/63 è il seguente: la direttiva enumera nell'allegato le sostanze o prodotti la cui presenza negli alimenti zootecnici oltre una certa quantità, del pari indicata nell'allegato, le rende indesiderabili e implica, di conseguenza, il divieto di messa in commercio. L'elenco è stato steso da periti per ciascun alimento, stabilendo il contenuto massimo in parti per milione di sostanza tale e quale. Il fatto che una sostanza non sia stata inclusa nell'allegato al momento dell'adozione della direttiva non preclude l'ulteriore «aggiornamento» della direttiva stessa. Considerando che il contenuto dell'allegato va costantemente adeguato allo stato delle conoscenze scientifiche e tecniche, la direttiva ammette «che occorre riservare agli Stati membri la facoltà, qualora sia minacciata la salute degli animali o dell'uomo, di ridurre temporaneamente le quantità massime fissate o di fissare una quantità massima per altre sostanze o altri prodotti ovvero di vietare la presenza di tali sostanze o prodotti negli alimenti per gli animali». Questa facoltà dev'essere esercitata nel modo indicato dall'art. 5. Tuttavia, «per evitare che uno Stato membro si avvalga abusivamente di tale facoltà, è necessario decidere in merito alle eventuali modificazioni dell'allegato applicando una procedura comunitaria d'urgenza e basandosi su documenti giustificativi». Quest'ultima «procedura» è spiegata nell'art. 10 e presuppone l'intervento di un «comitato permanente degli alimenti per gli animali», secondo modalità che ricordano quelle dei comitati di gestione di cui ai regolamenti di base.

    II —

    Il governo italiano sostiene che in realtà i suoi uffici hanno inteso applicare non solo la direttiva «indesiderabili», ma anche la direttiva «additivi», e che è alla luce di questa che va in effetti valutata l'azione delle autorità italiane.

    Senza dubbio, il nitrato di cui trattasi è stato aggiunto al latte in vista della sua trasformazione in formaggio ed è per il fatto che la polvere di siero, sottoprodotto del formaggio, è stata aggiunta alla polvere di latte che detta sostanza si ritrova nella miscela per animali; essa si trova però per cause naturali in detta miscela ed è in quanto tale indesiderabile. Mentre non è quindi errato affermare che, attraverso il siero mescolato alla polvere di latte magro, i nitrati naturalmente presenti nel siero vengono ad essere aggiunti all'alimento composto, detta sostanza non è stata aggiunta per lo scopo contemplato dalla direttiva «additivi», cioè onde migliorare o aumentare la produzione animale, e i contenuti di nitrati di potassio rilevati e dichiarati dal governo italiano non sono indizio di aggiunta di una sostanza non ammessa dalla disciplina comunitaria (direttiva «additivi».

    Vi sono, del resto, numerosi punti comuni fra dette due direttive. Entrambe contemplano l'intervento dello stesso comitato permamente degli alimenti per gli animali, creato con decisione del Consiglio 20 luglio 1970, e le modalità d'intervento di detto comitato sono pratica-mente identiche nei due casi dopoché, con direttiva del Consiglio 28 aprile 1973 (n. 73/103), il procedimento di adeguamento degli allegati della direttiva «additivi» è stato uniformato a quello della direttiva «indesiderabili».

    In forza degli artt. 9 e 10 di quest'ultima direttiva, il comitato esercita un'influenza diretta sul procedimento di deliberazione. Quando si «fa riferimento» al procedimento di cui all'art. 9 (modifica comunitaria da apportarsi a causa dello stato delle conoscenze scientifiche o tecniche, ad esempio aggiunta dei nitriti di sodio con direttiva della Commissione 1o dicembre 1976 n. 76/934), come nel caso in cui si «fa riferimento» al procedimento di cui all'art. 10 (modifica apportata unilateralmente da uno Stato membro), la Commissione può emanare i provvedimenti in progetto solo se il comitato emette parere positivo; se il comitato non dà l'assenso o non formula alcun parere entro il termine stabilito dal suo presidente (art. 9, n. 3) oppure entro due giorni (art. 10, n. 3), la Commissione si rivolge immediatamente al Consiglio il quale provvede senza consultare il Parlamento. Se il Consiglio non ha provveduto entro tre mesi (art. 9, n. 4) o quindici giorni (art. 10, n. 4), la Commissione decide in ultima istanza, con effetto immediato.

    In pratica, i poteri degli Stati sono gli stessi: in fatto di additivi, la direttiva ha steso un elenco delle sostanze ammesse, e tutte le altre sono vietate. Uno Stato membro può sospendere provvisoriamente l'autorizzazione ad usare un additivo o ridurne la quantità massima fissata. In fatto di «indesiderabili», la direttiva ha steso un elenco di sostanze vietate; ciò non significa però che tutte le altre sostanze «indesiderabili» siano ammesse: sussiste la riserva di cui agli artt. 5 e 6.

    Astenendomi dal valutare la pertinenza o la necessità delle questioni che vi sono state sottoposte, mi atterrò esclusiva-mente alla direttiva «indesiderabili». Il governo italiano sostiene comunque — a torto o a ragione — che, al di là di una certa quantità, la presenza, anche naturale e involontaria, di nitrati di potassio è indesiderabile, il che ci riconduce in pratica alla stessa situazione che avremmo se si trattasse di un additivo non autorizzato.

    III —

    Pur evitando di valutare la conformità al trattato del provvedimento nazionale criticato nella causa principale, è cionondimeno opportuno, per farsi un'idea esatta dei limiti delle questioni, prendere in esame le circostanze nelle quali il pro-cedimento italiano è stato emanato.

    Gli Stati membri dovevano mettere in vigore il 1o gennaio 1976 le disposizioni legislative, regolamentari o amministrative richieste dalla direttiva n. 74/63.

    La Repubblica italiana ha «recepito» nel proprio ordinamento giuridico detta direttiva con decreto ministeriale 30 dicembre 1975, entrato in vigore il 1o gennaio 1976. I nitrati di potassio non figuravano tra le sostanze enumerate nell'allegato.

    Il 5 agosto 1976, con «biglietto urgente», il Ministero della sanità italiano disponeva dei controlli veterinari sulle importazioni di siero di latte in polvere e di alimenti composti contenenti siero e fissava a 1 ppm il contenuto massimo ammesso per il nitrato di potassio. Questo limite, dato che non era fondato sulle disposizioni allora in vigore, costituiva un'innovazione da introdursi secondo le modalità di cui all'art. 5 della direttiva.

    Il 7 settembre veniva emesso il «biglietto urgente» dello stesso Ministero (direzione generale dei servizi veterinari), criticato nella causa principale.

    Dalle risposte date e dai documenti prodotti all'udienza si desume che, al livello comunitario, detti provvedimenti nazionali sono stati accompagnati dai passi e dagli interventi seguenti:

    Sin dal luglio 1976, il governo italiano esponeva alle competenti autorità della Francia, della Repubblica federale di Germania e dei Paesi Bassi le proprie preoccupazioni circa la presenza di elevate quantità di nitrati negli alimenti zootecnici a causa dell'aggiunta agli stessi di siero di latte in polvere.

    Il 27 luglio 1976, la rappresentanza permanente della Repubblica italiana a Bruxelles si rivolgeva al presidente del comitato permanente degli alimenti per gli animali, che è un rappresentante della Commissione, chiedendo l'iscrizione all'ordine del giorno della prossima riunione del comitato, prevista per il 6 e il 7 settembre, della questione della presenza di nitrati di potassio, in ragione di 40-4000 parti per milione, nel siero in polvere proveniente dalla Francia, dai Paesi Bassi e dalla Germania.

    Il 9 agosto 1976, la direzione generale agricoltura della Commissione chiedeva al governo italiano chiarimenti sui controlli effettuati al confine italiano, onde accertare la presenza di nitrati di potassio o di nitriti di sodio nella polvere di latte destinato al consumo umano e animale, nella polvere di siero e negli alimenti zootecnici. Essa ricordava al governo italiano che una comunicazione motivata dev'essere inviata agli altri Stati membri e alla Commissione perché possa essere avviato il procedimento comunitario di cui all'art. 5, n. 2, della direttiva n. 74/63.

    Il 10 agosto, il ministro della sanità italiano chiedeva alla Commissione se fosse al corrente della presenza di nitrati di potassio nelle merci di cui trattasi e la pregava di porre allo studio il problema.

    Il 20 agosto, la direzione generale agricoltura, rivolgendosi alla rappresentanza per-manente italiana e richiamandosi all' art. 7 della direttiva, pregava il governo italiano di fornire chiarimenti entro il 26 agosto.

    Il 6 e il 7 settembre il comitato permanente si riuniva onde esaminare i controlli effettuati dalle autorità italiane sin dal luglio. Sembra doversi arguire, da un telex inviato l'8 settembre ai propri membri dalla Fédération européenne des fabricants d'aliments composés pour animaux, 223 rue de la Loi, Bruxelles, che in detta riunione la Commissione avesse presentato una proposta intesa a fissare dei limiti per il contenuto di nitrati. Dinanzi al rifiuto del comitato di accettare tale proposta, la Commissione la ritirava e decideva di rivolgersi al «comitato scientifico per l'alimentazione animale», di cui parlerò più avanti.

    Il 17 settembre, la direzione generale agricoltura, richiamandosi alla riunione del comitato permanente in data 7 settembre, chiedeva alla rappresentanza permanente italiana, onde giungere ad una soluzione comunitaria, di farle avere, entro il 24 settembre, precisazioni sui controlli effettuati e sui motivi scientifici dei controlli stessi, come pure sulla prova della presenza di siero di latte nelle partite fermate.

    Il 27 settembre la rapresentanza permanente italiana, richiamandosi alla riunione del comitato permanente in data 6 e 7 settembre, nella quale i periti italiani avevano fornito chiarimenti, chiedeva nuovamente alla Commissione di formulare proposte concrete onde «armonizzare il settore» in conformità alle esigenze della sanità pubblica.

    Infine, il 7 settembre 1976, la rappresentanza permanente italiana comunicava che la documentazione tossicologica era stata spedita il giorno prima alla Commissione e ne annunziava il prossimo arrivo. Si tratta della «motivazione» contemplata dall'art. 5, n. 1, della direttiva.

    IV —

    Da questo documento circostanziatissimo emergono, a mio parere, le seguenti circostanze:

    Sin dal luglio 1976, le autorità italiane avevano preso un provvedimento analogo a quello criticato (osservazioni della Commissione, pag. 5).

    Il 19 luglio, il 22 luglio e il 31 agosto, il governo italiano ha intrattenuto sul suo problema gli uffici competenti della Repubblica federale di Germania, della Repubblica francese e del Regno Unito.

    Comunque, la questione della possibile dannosità dei residui tecnologici di nitrati di potassio nel siero in polvere e negli alimenti composti contenenti siero di latte è stata sottoposta al comitato permanente degli alimenti per gli animali il 6 settembre, cioè alla vigilia dell'emanazione del «biglietto urgente» italiano e solo il 25 settembre la merce è stata fermata al confine.

    Benché il comitato permanente non sia stato ufficialmente investito della «documentazione tossicologica» italiana prima del 7 ottobre, è manifesto che, già prima di questa data, la Commissione era perfettamente al corrente del problema giacché ha «accelerato» l'istituzione del comitato scientifico per l'alimentazione animale (decisione 24 settembre 1976, pubblicata nella GU del 9 ottobre 1976), appunto per sottoporgli il problema stesso. Questo comitato, composto di scienziati di prim'ordine, ha funzione puramente consultiva, contrariamente al comitato permanente il quale partecipa invece al processo decisionale. La Commissione ha confermato che, alla data del 9 marzo 1977, detto comitato scientifico, che si è più volte riunito nel terzo trimestre del 1976, non era ancora stato in grado di pronunziarsi.

    In ogni caso, a partire dal momento in cui il comitato permanente ha ricevuto ufficialmente la motivazione del governo italiano, il procedimento di cui all'art. 5 della direttiva era regolarmente avviato e solo al termine del procedimento stesso sarà possibile sapere se il provvedimento italiano era legittimo.

    È forse possibile affermare che, dal 7 settembre al 7 ottobre il provvedimento italiano era «invalido», ma è ridivenuto «provvisoriamente valido» dopo tale data e fino a che il procedimento di cui agli artt. 5 e 10 della direttiva non si sia concluso in senso sfavorevole per la Repubblica italiana? Nell'ambito della presente causa non ritegno di potermi pronunziare su questo punto.

    Posso però dire questo:

    Il fatto che la Commissione, ancora prima di aver ricevuto la «motivazione» del governo italiano, abbia ritenuto opportuno procurarsi la consulenza del comitato scientifico, pur non avendo alcun obbligo di farlo, non la dispensava affatto dal cercare una rapida via d'uscita da una situazione francamente intollerabile per gli operatori economici: era suo compito sottoporre al comitato permanente un «progetto delle misure da adottare» e ottenere un parere dello stesso comitato. Se questo non approvava il progetto o in «mancanza di un parere», la Commissione doveva presentare senza indugio al Consiglio una proposta relativa alle mi-sure da adottare. Se il Consiglio non adottava a maggioranza qualificata le misure proposte dalla Commissione, o non adottava alcuna misura, e a meno che non si fosse pronunciato a maggioranza semplice contro le misure proposte, la Commissione doveva adottare le misure proposte e mandarle immediatamente ad effetto. Il procedimento per inadempienza avviato dalla Commissione il 16 dicembre 1976 nei confronti della Repubblica italiana, di cui non si può ancora prevedere la durata né l'esito, non ha lo stesso oggetto e non può sostituire il procedimento di cui agli artt. 5 e 10 della direttiva e, finché la Commissione non abbia adottato una decisione, lo Stato membro «può mantenere le misure da esso poste in applicazione» (art. 5, n. 2).

    V —

    Il sistema posto in essere dall'art. 5 della direttiva può interferire con l'art. 30 del trattato, ma questo articolo si può applicare solo «senza pregiudizio» dell'art. 36. Indubbiamente, la precedenza assoluta data alla tutela della salute dei consumatori e degli animali può in realtà dissimulare disegni economici. L'art. 36 stabilisce infatti che i divieti o restrizioni ivi contemplati «non devono costituire un mezzo di discriminazione arbitraria, né una restrizione dissimulata al commercio tra gli Stati membri». Di per sé, l'art. 5 lascia del tutto impregiudicata la questione, che dev'essere esaminata in sede di comitato permanente onde evitare un comportamento abusivo degli Stati membri. L'art. 10 ed i termini ch'esso contempla sono appunto destinati ad impedire un comportamento del genere.

    È possibile che il governo italiano abbia voluto valersi delle direttive «additivi» o «indesiderabili» per opporsi ad una frode commerciale, che sarebbe piuttosto di competenza del comitato di gestione per i prodotti lattiero-caseari. Il fatto però che ci si sia valsi indebitamente delle due direttive d'armonizzazione o la circostanza che il procedimento di cui all'art. 10 della direttiva «indesiderabili» non sia stato, in tutto o in parte, seguito, o che non si sia ancora concluso, lasciano intatta la validità dell'art. 5.

    È poi necessario che detto procedimento sia funzionale: il Parlamento europeo ha criticato severamente, più di una volta, il fatto che dei periti possano limitare il potere di decisione della Commissione, ha ribadito che la creazione di comitati del genere non deve implicare alcuna diminuzione delle sue responsabilità. Di conseguenza, il sistema posto in essere dall'art. 5 della direttiva non mi sembra abbia nulla di illegittimo.

    VI —

    Quanto al carattere arbitrario della discriminazione che avrebbe luogo al confine, e unicamente ivi, nel commercio fra Stati membri, mi limiterò a rilevare che, secondo l'art. 7 «gli Stati membri provvedono affinché gli alimenti per gli animali conformi alla presente direttiva non vengano sottoposti ad altre restrizioni in materia di commercializzazione per quanto riguarda la presenza di sostanze e di prodotti indesiderabili», e, secondo l'art. 8, n. 1, «gli Stati membri adottano le opportune disposizioni affinché venga effettuato, almeno per sondaggio, il controllo ufficiale degli alimenti per animali per accertare l'osservanza delle norme previste dalla presente direttiva». Le condizioni poste perché un alimento possa essere immesso al consumo animale diretto, se devono essere soddisfatte in tutte le fasi della distribuzione e fino alla consegna al consumatore finale, devono esserlo all'atto della prima messa in circolazione e al momento dell'entrata in uno Stato membro. È normale che il controllo ufficiale abbia inizio al confine, non solo per motivi pratici evidenti, ma anche perché la distribuzione o la messa in commercio ha inizio al confine, soprattutto quando si tratta di una merce che non è prodotta nelle stesse quantità o nelle stesse circostanze all'interno del paese.

    In ogni modo, secondo la formula di rito, spetterà in primo luogo al giudice nazionale l'accertare se i controlli effettuati abbiano veramente la natura di sondaggi, se non abbiano avuto carattere arbitrario, se non ne sia conseguita una restrizione «dissimulata» nel commercio fra gli Stati membri e se la determinazione del contenuto di cui trattasi non sia stata fatta in modo da svantaggiare, di diritto o di fatto, le importazioni da altri Stati membri.

    Concludo proponendovi di dichiarare che:

    1.

    anche dopo il recepimento nel loro ordinamento giuridico della direttiva d'armonizzazione n. 74/63, gli Stati membri hanno il potere di considerare provvisoriamente come indesiderabili determinate sostanze le quali, benché note al momento dell'adozione di detta direttiva, non figurano nell'elenco allegato alla direttiva stessa;

    2.

    a questo proposito, il procedimento di cui agli artt. 5 e 10 va osservato, affinché la compatibilità con le norme del trattato del provvedimento unilaterale adottato dallo Stato membro possa essere accertata il più presto possibile;

    3.

    finché non venga emanata alcuna decisione, vuoi dal Consiglio, vuoi dalla Commissione, lo Stato membro può mantenere in vigore il provvedimento che abbia posto in vigore, e col quale abbia fissato il contenuto massimo di una sostanza che riteneva indesiderabile, e adottare le restrizioni della distribuzione atte a dare effetto a detto provvedimento, purché esse non siano uno strumento di discriminazione arbitraria, né una restrizione dissimulata nel commercio fra gli Stati membri;

    4.

    l'esame del fascicolo non ha posto in luce alcun elemento tale da inficiare la validità dell'art. 5 della direttiva del Consiglio n. 74/63.


    ( 1 ) Traduzione dal francese.

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