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Document 52013DC0139
REPORT FROM THE COMMISSION TO THE EUROPEAN PARLIAMENT, THE COUNCIL AND THE EUROPEAN ECONOMIC AND SOCIAL COMMITTEE First Report on the application of Directive 2005/29/EC of the European Parliament and of the Council of 11 May 2005 concerning unfair business-to-consumer commercial practices in the internal market and amending Council Directive 84/450/EEC, Directives 97/7/EC, 98/27/EC and 2002/65/EC of the European Parliament and of the Council and Regulation (EC) No 2006/2004 of the European Parliament and of the Council (‘Unfair Commercial Practices Directive’)
RELAZIONE DELLA COMMISSIONE AL PARLAMENTO EUROPEO, AL CONSIGLIO E AL COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO Prima relazione sull’applicazione della direttiva 2005/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 maggio 2005, relativa alle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato interno e che modifica la direttiva 84/450/CEE del Consiglio e le direttive 97/7/CE, 98/27/CE e 2002/65/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e il regolamento (CE) n. 2006/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio (“direttiva sulle pratiche commerciali sleali”)
RELAZIONE DELLA COMMISSIONE AL PARLAMENTO EUROPEO, AL CONSIGLIO E AL COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO Prima relazione sull’applicazione della direttiva 2005/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 maggio 2005, relativa alle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato interno e che modifica la direttiva 84/450/CEE del Consiglio e le direttive 97/7/CE, 98/27/CE e 2002/65/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e il regolamento (CE) n. 2006/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio (“direttiva sulle pratiche commerciali sleali”)
/* COM/2013/0139 final */
RELAZIONE DELLA COMMISSIONE AL PARLAMENTO EUROPEO, AL CONSIGLIO E AL COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO Prima relazione sull’applicazione della direttiva 2005/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 maggio 2005, relativa alle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato interno e che modifica la direttiva 84/450/CEE del Consiglio e le direttive 97/7/CE, 98/27/CE e 2002/65/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e il regolamento (CE) n. 2006/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio (“direttiva sulle pratiche commerciali sleali”) /* COM/2013/0139 final */
RELAZIONE DELLA COMMISSIONE AL PARLAMENTO
EUROPEO, AL CONSIGLIO E AL COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO Prima relazione sull’applicazione della
direttiva 2005/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 maggio
2005, relativa alle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori nel
mercato interno e che modifica la direttiva 84/450/CEE del Consiglio e le
direttive 97/7/CE, 98/27/CE e 2002/65/CE del Parlamento europeo e del Consiglio
e il regolamento (CE) n. 2006/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio
(“direttiva sulle pratiche commerciali sleali”) 1. INTRODUZIONE La presente
relazione[1]
contiene una prima valutazione dell’applicazione negli Stati membri della
direttiva 2005/29/CE sulle pratiche commerciali sleali[2] (di seguito, “la direttiva”) e
un esame dei suoi effetti. Costituisce una delle iniziative principali adottate
in vista dell'attuazione dell’agenda europea dei consumatori[3]. Ai fini della
presente relazione, nel corso del 2011 sono stati inviati agli Stati membri e
ad una vasta gamma di portatori d'interessi dei questionari mirati[4]. Per quanto riguarda
l’applicazione della direttiva nei settori dei servizi finanziari e dei beni
immobili[5],
la presente relazione si fonda sui dati raccolti per conto della Commissione
attraverso uno studio condotto tra il 2011 e il 2012[6]. La direttiva è
stata adottata l'11 maggio 2005 con l'obiettivo di garantire che i consumatori
non siano tratti in inganno o sottoposti ad un marketing aggressivo e che le
qualità vantate dai professionisti nell’Unione siano chiare, accurate e
comprovate, permettendo in tal modo ai consumatori di fare scelte informate ed
appropriate. Le sue norme di principio sono volte a far sì che il quadro
legislativo sia sufficientemente flessibile da adattarsi a nuovi metodi di
vendita, prodotti e tecniche di marketing. La direttiva ha carattere orizzontale e disciplina l’intera gamma di
operazioni commerciali tra imprese e consumatori (business-to-consumers,
“B2C”), concluse online o meno e aventi ad oggetto sia beni che servizi. La direttiva ha il
duplice scopo di contribuire al completamento del mercato interno mediante la
rimozione degli ostacoli legati alle divergenze tra i diritti nazionali in
materia di pratiche commerciali sleali, e di conseguire un livello elevato di
tutela dei consumatori. 2. RECEPIMENTO DELLA DIRETTIVA 2.1. Calendario Gli Stati membri erano tenuti ad adottare e
pubblicare le misure di recepimento della direttiva entro il 12 giugno 2007,
assicurandone l’entrata in vigore a livello nazionale entro il 12 dicembre
2007. Tuttavia, si sono registrati notevoli ritardi
nel recepimento, principalmente a causa del campo d'applicazione molto ampio
della direttiva. La sua natura di armonizzazione piena, sancita dalla “clausola
del mercato interno”[7],
ha altresì richiesto agli Stati membri una revisione su vasta scala delle
rispettive legislazioni nazionali al fine di garantire l’adeguatezza alle norme
della direttiva. Solo alcuni Stati membri[8] hanno recepito la direttiva
entro i termini previsti, l’ultimo recepimento è stato completato alla fine del
2009[9], mentre la maggior parte delle
misure nazionali sono state attuate tra il 2008 e il 2009[10]. Le azioni promosse dalla
Commissione dinanzi alla Corte di giustizia hanno portato alla condanna di due
Stati membri[11],
mentre altri procedimenti sono stati archiviati in seguito all’avvenuta
notifica delle misure adottate[12]. 2.2. Impostazioni dell’attuazione
negli Stati membri e caratteristiche del processo di recepimento Le scelte tecniche
fatte dagli Stati membri per dare attuazione alla direttiva possono essere
raggruppate in due categorie, distinte a seconda della pre-esistenza o meno
nello Stato membro di una disciplina sulle pratiche commerciali sleali. Alcuni
Stati membri hanno inserito le norme della direttiva in leggi vigenti: leggi
sulla concorrenza sleale (Germania, Austria, Danimarca, Spagna), codici del
consumo (Francia, Italia, Bulgaria, Repubblica ceca, Malta), codici civili
(Paesi Bassi) o leggi specifiche (Belgio, Finlandia e Svezia); altri hanno
optato per una nuova legge ad hoc che recepisse la direttiva quasi
letteralmente (Regno Unito, Portogallo, Romania, Ungheria, Cipro, Polonia,
Slovenia, Slovacchia, Estonia, Irlanda, Lussemburgo, Lettonia, Lituania e
Grecia). 2.3. Articolo 4 – clausola del
mercato interno L’articolo 4 della
direttiva, noto come “clausola del mercato interno”, esprime l’effetto di
armonizzazione piena della direttiva e vieta agli Stati membri di discostarsi
dalle disposizioni in essa contenute. Questa caratteristica è stata confermata
dalla Corte di giustizia nella causa “Total Belgium” nonché nell’ambito
di altre procedure di rinvio pregiudiziale[13]
in cui la Corte ha costantemente ritenuto che “la direttiva procede ad
un’armonizzazione completa di dette norme a livello comunitario. Pertanto, […]
gli Stati membri non possono adottare misure più restrittive di quelle definite
dalla direttiva, anche al fine di garantire un livello più elevato di tutela
dei consumatori”. L’aspetto
dell’armonizzazione piena si è rivelato il più problematico ai fini dell'attuazione
della direttiva: la clausola del mercato interno ha richiesto un adeguamento
sostanziale degli ordinamenti giuridici nazionali alle norme della direttiva.
In particolare, gli Stati membri hanno dovuto effettuare un’ampia verifica
delle rispettive legislazioni nazionali ed abrogare le norme incompatibili con
la direttiva, norme riguardanti principalmente divieti di specifiche pratiche
commerciali non figuranti nell’allegato I della direttiva (la cosiddetta “lista
nera” delle pratiche vietate in tutte le circostanze), specialmente nel settore
delle vendite promozionali. La clausola del
mercato interno ha portato ad una sostanziale semplificazione delle norme sulla
pubblicità ingannevole e sulle pratiche commerciali sleali nelle operazioni
commerciali tra imprese e consumatori in tutta l’UE, sostituendo i 27 regimi
nazionali con un unico insieme di norme e mantenendo al contempo un elevato
livello di tutela dei consumatori. Si è trattato di un’operazione necessaria
per superare specifici ostacoli giuridici dovuti alla frammentarietà della
normativa sulle pratiche commerciali sleali, che generava costi, complessità e
incertezza per imprese e consumatori. 2.4. Deroghe Stabilendo che “in
merito ai “servizi finanziari” […] e ai beni immobili gli Stati membri possono
imporre obblighi più dettagliati o vincolanti di quelli previsti dalla presente
direttiva nel settore che essa armonizza”, l’articolo 3, paragrafo 9,
introduce un rilevante limite alla piena armonizzazione della direttiva. A
questi due settori si applica infatti un’armonizzazione minima: come illustrato
al considerando 9, “per i servizi finanziari e i beni immobili occorrono,
tenuto conto della loro complessità e dei gravi rischi inerenti, obblighi
particolareggiati, inclusi gli obblighi positivi per i professionisti”. Di
conseguenza, in questi settori gli Stati membri possono imporre norme che vanno
al di là delle disposizioni della direttiva, purché rispettino le altre norme
del diritto dell’Unione. Come illustrato di
seguito, dalla consultazione è emerso che non vi è motivo per rimuovere detto
limite, sia rispetto ai servizi finanziari che ai beni immobili. Una seconda deroga
temporanea al principio di armonizzazione piena si applica alle norme nazionali
che danno attuazione alle direttive contenenti clausole di armonizzazione
minima. Ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 5, per un periodo di sei anni a
decorrere dal 12 giugno 2013 gli Stati membri possono continuare ad
applicare disposizioni nazionali[14]
più dettagliate o vincolanti di quelle previste dalla direttiva, in attuazione
di direttive contenenti clausole minime di armonizzazione[15]. A norma del paragrafo 6 dello stesso articolo,
gli Stati membri notificano alla Commissione senza indugio le disposizioni
nazionali applicate sulla base dell’articolo 3, paragrafo 5. Solo cinque Stati membri dichiarano di aver
mantenuto disposizioni di cui all’articolo citato[16]: uno Stato membro[17], ad esempio, ha notificato
disposizioni per la tutela dei minori in materia di pubblicità televisiva, in
attuazione della direttiva sui servizi di media audiovisivi[18]; un altro ha omesso di
notificare una misura restrittiva riguardante le vendite porta a porta[19]. Una certa ritrosia verso
l’abrogazione di talune misure nazionali (entro il 12 giugno 2013) può spiegare
perché alcuni Stati membri abbiano sinora utilizzato l’articolo 3, paragrafo 5. La Commissione ritiene che la deroga non debba
essere ulteriormente estesa; pur avendo alcuni Stati membri segnalato la
necessità di un’estensione, tale necessità può essere soddisfatta grazie ad
altre norme dell'Unione. 2.5. Relazione tra la direttiva e
le norme settoriali dell'Unione La direttiva è una
legge generale che disciplina le pratiche sleali nelle operazioni commerciali
tra imprese e consumatori. Si applica a tutte le pratiche B2C, salvo se
esplicitamente convenuto altrimenti, come nel caso di condizioni di
stabilimento o di regimi di autorizzazione (si veda l’articolo 3, paragrafo 8).
Qualora la legislazione settoriale contrasti con le norme generali della
direttiva, prevarranno le corrispondenti disposizioni della lex specialis[20]. Spesso un tale conflitto si
verifica perché la lex specialis contiene obblighi d’informazione
precontrattuale più dettagliati, o norme più severe sulle modalità di
presentazione delle informazioni ai consumatori (si veda il considerando 10
della direttiva). Tuttavia, l’esistenza di specifiche norme dell’Unione in un
dato settore non esclude l’applicazione della direttiva: in questi casi e per
tutti gli aspetti non disciplinati dalla lex specialis, la direttiva
completa le norme settoriali e colma le eventuali restanti lacune nel regime di
tutela dei consumatori contro le pratiche commerciali sleali[21]. 2.6. Seguiti del recepimento La presente
analisi mette in luce inaccuratezze in vari Stati membri legate, in qualche
caso, a concetti fondamentali della direttiva. A questo proposito i servizi
della Commissione hanno condotto un ampio controllo del recepimento e sono
attualmente impegnati in un dialogo strutturato con gli Stati membri
interessati. 3. APPLICAZIONE DELLA DIRETTIVA 3.1. Applicazione uniforme 3.1.1. Ruolo e giurisprudenza della
Corte di giustizia Il ruolo della
Corte di giustizia nel garantire l'interpretazione e l'applicazione uniforme
del diritto dell'Unione in tutti gli Stati membri è stato cruciale per quanto
riguarda la direttiva. Le sue pronunce si sono dimostrate di grande utilità al
fine di chiarire questioni generali legate al rapporto tra la direttiva e il
diritto nazionale, così come problemi più specifici relativi all’interpretazione
di alcune delle sue norme sostanziali. Dal canto suo, la Commissione interviene
nei procedimenti dinanzi alla Corte di giustizia a titolo di amicus curiae. Dal 2009, la Corte
si è pronunciata su diverse questioni pregiudiziali, confermando in particolare
la natura di armonizzazione piena della direttiva e il fatto che gli Stati
membri non possono conservare norme nazionali che vanno al di là delle sue
disposizioni. A questo
proposito, la Corte ha statuito che sono incompatibili con la direttiva le
norme nazionali di seguito descritte. - Il divieto
generale di offerte congiunte: ·
le cause riunite C-261/07 e C-299/07 (Total
Belgium, 23 aprile 2009) riguardavano rispettivamente una società di
carburanti che offriva, a ciascun rifornimento, il servizio di soccorso
stradale gratuito, e una società che aveva pubblicato una rivista contenente un
buono sconto su prodotti venduti in un negozio di biancheria; ·
la causa C-522/08 (Telekomunikacja Polska,
11 marzo 2010) riguardava un’impresa di telecomunicazioni che aveva subordinato
la conclusione di un contratto per la fornitura di servizi di accesso ad
internet su banda larga alla conclusione di un contratto di servizi telefonici.
- Il divieto
generale di pratiche commerciali che subordinano la partecipazione di consumatori
ad un gioco a premi o lotteria all'acquisto di beni o servizi: ·
la causa C-304/08 (Plus Warenhandelsgesellschaft,
14 gennaio 2010) riguardava una campagna promozionale lanciata da una società
che invitava i consumatori ad acquistare beni per ottenere un dato numero di
punti che avrebbero consentito loro di partecipare all’estrazione di una
lotteria nazionale. - Il divieto
generale di effettuare vendite con buoni, non solo destinato a tutelare i
consumatori, ma diretto anche ad altri scopi: ·
la causa C-540/08 (Mediaprint, 9 novembre
2010) riguardava un quotidiano che aveva organizzato un concorso a cui i
consumatori potevano partecipare grazie ai buoni contenuti nel giornale. In
questo caso, il governo austriaco aveva sostenuto che la norma nazionale non rientrava
nel campo d’applicazione della direttiva in quanto finalizzata essenzialmente a
mantenere il pluralismo della stampa in Austria. - Il divieto
generale di annunci di sconti durante il periodo precedente i saldi, nella
misura in cui la norma in questione mira a tutelare gli interessi economici dei
consumatori: ·
la causa C-288/10 (Wamo, 30 giugno 2011)
riguardava un'impresa che aveva trasmesso un invito ad alcuni dei suoi clienti
ai fini di una vendita privata organizzata due settimane prima del periodo dei
saldi; ·
la causa C-126/11 (Inno, 15 dicembre 2011)
riguardava un'impresa che aveva offerto una carta fedeltà che consentiva ai
clienti di beneficiare di svariate offerte promozionali, compresi sconti sui
prezzi durante il periodo precedente i saldi. Si noti che in questo caso la
Corte ha ritenuto che la norma nazionale non rientrasse nel campo
d’applicazione della direttiva se il suo unico scopo era, come sostenuto dal
giudice del rinvio, la tutela della concorrenza[22]. - Il divieto generale di annunciare
“vendite di liquidazione” senza ottenere la previa autorizzazione dell’autorità
amministrativa locale competente: ·
la causa C-206/11 (Köck, 17 gennaio 2013)
riguardava un imprenditore in Austria che aveva annunciato in un quotidiano una
“liquidazione totale” dei prodotti del suo negozio senza richiedere
l’autorizzazione amministrativa come previsto dalla normativa nazionale. La
Corte di giustizia ha statuito che una pratica commerciale non rientrante
nell’allegato I della direttiva non può essere vietata per il solo fatto che
detta pratica non abbia costituito l’oggetto di una previa autorizzazione
dell’autorità amministrativa competente, senza prima avere esaminato il
carattere sleale della pratica in questione alla luce dei criteri individuati
dagli articoli da 5 a 9 della direttiva. Nella causa
C-122/10 (Ving Sverige, 12 maggio 2011) la Corte ha chiarito il concetto
di “invito all’acquisto”, definito dall’articolo 2, lettera i), della
direttiva: ha ritenuto che, ad esempio, sussiste invito all’acquisto quando
esiste un riferimento visivo al prodotto e un prezzo, pur in mancanza della
disponibilità immediata di un “mezzo” concreto per acquistare. La Corte ha
altresì stabilito che la direttiva non vieta l’uso di “prezzi di partenza”,
purché l’informazione fornita risponda ai criteri della direttiva, tenuto conto
delle circostanze del caso di specie. La questione riguardava un’agenzia di
viaggi che vende pacchetti vacanza e che aveva fatto pubblicare una
comunicazione commerciale su un quotidiano contenente solo informazioni
limitate sul viaggio pubblicizzato. In questo caso la Corte ha seguito
l’approccio adottato dai servizi della Commissione negli orientamenti, a favore
di una nozione ampia di invito all’acquisto[23]. Nella causa
C-559/11 (Pelckmans Turnhout NV, 4 ottobre 2012) la Corte ha chiarito
che una norma nazionale che non è diretta a tutelare i consumatori non rientra
nel campo d’applicazione della direttiva. Il caso riguardava la compatibilità
con la direttiva di una disposizione belga che vieta a un imprenditore di
aprire il proprio esercizio commerciale sette giorni a settimana, obbligandolo
quindi a scegliere un giorno per la chiusura settimanale dell’esercizio. La
Corte ha ritenuto che una tale norma è volta a tutelare unicamente gli
interessi dei lavoratori e dipendenti del settore della distribuzione e non
quelli dei consumatori. Nella causa
C-428/11 (Purely Creative e.a., 18 ottobre 2012), la Corte era chiamata
per la prima volta ad interpretare una disposizione dell’allegato I della
direttiva, in particolare il punto 31, che vieta al professionista di dare al
consumatore l’impressione di aver già vinto un premio, pretendendo poi che tale
premio sia subordinato al versamento di denaro o al sostenimento di costi. In
Inghilterra varie imprese avevano distribuito corrispondenza e annunci,
comprese carte “gratta e vinci” in giornali e riviste, con cui informavano i
destinatari che avevano vinto un premio, per ottenere il quale, i vincitori
dovevano chiamare un numero di telefono a tariffa maggiorata, utilizzare un
servizio di messaggistica di testo a carico del ricevente o richiedere
l’informazione per posta ordinaria. La Corte ha dichiarato che pratiche del
genere sono vietate anche se il costo imposto al consumatore è irrisorio (come
quello di un francobollo) rispetto al valore del premio e a prescindere dal
fatto che il pagamento di detti costi procuri o meno un vantaggio al
professionista. Tre rinvii
pregiudiziali sono ancora pendenti dinanzi alla Corte: ·
la causa C-435/11 (CHS Tour Services)
relativa all’interpretazione dell’articolo 5 della direttiva, in particolare
riguardo alla questione se la direttiva imponga un esame distinto del requisito
della diligenza professionale (menzionato all’articolo 5, paragrafo 2, lettera
a) della direttiva), quando viene valutato un caso concreto di azione od
omissione ingannevole; ·
la causa C-265/12 (Citroën Belux NV)
relativa alla compatibilità con la direttiva (in particolare l’articolo 3,
paragrafo 9) della norma belga che vieta ai professionisti di proporre offerte
congiunte quando almeno uno dei componenti è un servizio finanziario; ·
la causa C-281/12 (Trento Sviluppo Centrale
Adriatica) in cui il giudice del rinvio chiede se, ai fini
dell’accertamento di una violazione, la direttiva imponga che, oltre a quella
della condotta ingannevole, sia effettuata una distinta valutazione della
distorsione materiale del comportamento economico del consumatore. 3.1.2. Iniziative adottate dalla
Commissione Sin dall’inizio
del processo di recepimento, la Commissione ha adottato e adotta misure a
sostegno delle autorità e dei giudici nazionali per garantire l’attuazione
uniforme e l’applicazione coerente della direttiva. Si tratta di un compito
particolarmente arduo in un settore caratterizzato da divergenze notevoli tra
politiche nazionali, stile e tecniche di esecuzione. 3.1.3. Gli orientamenti per
l’attuazione/applicazione della direttiva Nel dicembre 2009
i servizi della Commissione hanno presentato degli orientamenti
sull’applicazione della direttiva[24]
volti a sviluppare una comune comprensione e delle prassi convergenti. Questo
documento, disponibile in 22 lingue officiali dell’Unione, ha contribuito a
chiarire alcuni concetti e disposizioni fondamentali, considerati problematici.
In esso si ritrovano esempi pratici sul funzionamento della direttiva. Malgrado
il fatto che questo documento sia sprovvisto di status giuridico formale
(valore vincolante), è stato ampiamente usato perfino nell'ambito di
procedimenti dinanzi alla Corte di giustizia[25],
oltreché da autorità e giudici nazionali nella valutazione dei singoli casi.
Gli orientamenti sono stati concepiti come un documento in continua evoluzione,
da aggiornare periodicamente con l’aumentare delle conoscenze sulle pratiche
commerciali sleali. 3.1.4. La banca dati giuridica della
direttiva Nel luglio 2011 la
Commissione ha istituito una banca dati giuridica online (la “banca dati della
direttiva”)[26].
Lo sviluppo di questa banca dati è iniziato nel 2008, insieme a quello degli
orientamenti, per garantire l’applicazione uniforme e l’esecuzione
adeguata/efficace della direttiva. La base giuridica
è molto ampia e consente al pubblico di accedere in modo agevole alla
legislazione e alla giurisprudenza degli Stati membri relative la direttiva,
oltre che ad altra documentazione utile come la pertinente dottrina.
Attualmente conta circa 330 articoli giuridici, 400 decisioni[27] e 25 contenuti di altro tipo
(come studi o orientamenti adottati dalle autorità nazionali responsabili
dell’applicazione della direttiva). Le informazioni contenute nella banca dati
sono organizzate in sezioni e possono essere filtrate mediante il riferimento a
specifici articoli della direttiva, parole chiave, giurisprudenza e dottrina.
Tutte le sezioni sono collegate tra loro e consentono anche confronti tra Stati
membri diversi. Le sezioni per paese includono sempre una descrizione del
sistema dei mezzi di esecuzione nazionale. La Commissione è
tuttora impegnata nello sviluppo della banca dati della direttiva, che deve
essere regolarmente aggiornata con nuova giurisprudenza, articoli di dottrina e
altri materiali, nell’ottica di creare, a termine, una nuova banca dati sul
diritto del consumo unificando la banca dati della direttiva sulle pratiche
commerciali sleali con l’esistente EU Consumer Law Compendium[28]. I servizi della Commissione
stanno valutando le opzioni esistenti per garantire un efficace collegamento
tra la banca dati della direttiva e il portale europeo della giustizia
elettronica[29]. 3.2. Il campo d’applicazione della
direttiva La direttiva ha un
campo d’applicazione molto vasto, come descritto dalla definizione di pratiche
commerciali (tra imprese e consumatori) di cui all’articolo 2, lettera d): “qualsiasi
azione, omissione, condotta o dichiarazione, comunicazione commerciale ivi
compresi la pubblicità e il marketing, posta in essere da un professionista,
direttamente connessa alla promozione, vendita o fornitura di un prodotto ai
consumatori”. Il “prodotto” è definito come “qualsiasi bene o servizio,
compresi i beni immobili, i diritti e le obbligazioni”[30]. La direttiva si applica
teoricamente a tutte le operazioni commerciali tra imprese e consumatori
(“B2C”) in tutti i settori, e non solo nella fase di pubblicità o
commercializzazione di un’operazione, ma anche “…durante e dopo
un'operazione commerciale relativa a un prodotto”[31]. Riguarda tuttavia solo la
tutela degli interessi economici dei consumatori relativamente a misure volte a
definire una pratica commerciale sleale o risultanti in tale definizione, ad
esclusione quindi di altri interessi come la salute e la sicurezza o
l’ambiente. Gli Stati membri mantengono la facoltà di estendere il campo
d’applicazione della direttiva o di disciplinare altri tipi di relazioni, in
conformità alle altre norme dell’Unione, così come sono liberi di decidere gli
effetti che le pratiche commerciali sleali hanno sulla validità, la formazione
o l’efficacia di un contratto, dal momento che la direttiva non armonizza il
diritto dei contratti[32]. 3.2.1. Necessità di estendere il
campo d'applicazione oltre le operazioni tra imprese e consumatori L’estensione della
direttiva al di là delle operazioni commerciali B2C è stata evocata
principalmente riguardo a tre tipi di situazioni: le operazioni escluse dal
campo d’applicazione della direttiva, che sono quelle tra imprese (business-to-business,
“B2B”), quelle tra consumatori (consumer-to-conusmer, “C2C”) e quelle in
cui i consumatori vendono o forniscono un prodotto ad un professionista (consumer-to-business,
“C2B”). Pur conservando la facoltà di disciplinare questi rapporti, la maggior
parte degli Stati membri ha scelto di attuare la direttiva mantenendone il
campo d’applicazione originale. Operazioni commerciali tra imprese Attualmente solo
quattro Stati membri applicano la direttiva, con taluni adeguamenti, anche ai
rapporti tra imprese[33].
L’estensione, a livello di Unione, del campo d’applicazione della direttiva ai
rapporti tra imprese è stata invocata in passato da alcuni portatori
d'interessi principalmente al fine di risolvere il problema delle pratiche
delle società di compilazione degli annuari, che toccano soprattutto le piccole
imprese e i liberi professionisti. Queste pratiche sono attualmente vietate
dalla direttiva 2006/114/CE concernente la pubblicità ingannevole e
comparativa. Nella sua recente comunicazione sul funzionamento generale di
questa direttiva, la Commissione ha concluso che devono essere rafforzati i
mezzi di esecuzione disponibili a livello transfrontaliero e deve essere
rivisto il quadro giuridico vigente per contrastare più efficacemente queste
pratiche[34]. Rapporti consumatore-impresa Alcune autorità
nazionali[35]
competenti per l'applicazione della normativa hanno segnalato casi in cui dei
consumatori sono stati vittime di pratiche commerciali sleali in occasione di
vendite di prodotti a professionisti. Sono stati riferiti casi in cui, ad
esempio, i consumatori hanno venduto oggetti di antiquariato e gioielli
(soprattutto oro) di loro proprietà a professionisti e sono stati ingannati
dalle affermazioni fatte dai professionisti quanto alle caratteristiche e/o al
valore degli oggetti. Solo alcuni Stati membri[36]
vorrebbero un’estensione della direttiva, mentre gli altri non sono ad essa
favorevoli. Uno Stato membro[37],
che applica la direttiva secondo il campo d’applicazione originale, ha
suggerito di adottare un approccio estensivo all’interpretazione della
direttiva[38],
piuttosto che optare per una modifica normativa a livello dell’UE. Rapporti tra consumatori Il rapido sviluppo
delle piattaforme internet ha posto la questione se rafforzare la tutela
riguardo alle operazioni commerciali tra consumatori. Dall’esperienza
dell’applicazione delle norme si nota che i maggiori problemi, in realtà, sono
causati da professionisti che si fingono consumatori nascondendo la loro reale
qualifica o i loro scopi commerciali. Queste pratiche sono già vietate dalla
direttiva che, all’allegato I, punto 22, proibisce la pratica di “falsamente
dichiarare o dare l’impressione che il professionista non agisca nel quadro
della sua attività commerciale, industriale, artigianale o professionale, o presentarsi
falsamente come consumatore”[39]. In conclusione, i
risultati della consultazione mostrano che la grande maggioranza degli Stati
membri e delle parti interessate[40]
non è favorevole ad un’estensione della direttiva, che sia alle operazioni
commerciali tra imprese o a quelle da consumatore a professionista o tra
consumatori. La Commissione è dell’avviso che al momento non vi sia motivo di
procedere ad una tale estensione. Mentre il problema specifico delle società di
compilazione degli annuari riguardante le operazioni tra imprese sarà trattato
nel quadro della revisione in corso della direttiva sulla pubblicità
ingannevole, per altri tipi di rapporti gli Stati membri hanno la facoltà di
regolamentare il settore interessato per tener conto di specificità e bisogni
nazionali. 3.2.2. Promozione delle vendite Il dibattito sulla questione delle promozioni
delle vendite è iniziato[41]
dopo che la proposta della Commissione di un regolamento in questo settore[42] era stata ritirata nel 2006
per mancanza di accordo tra gli Stati membri. La proposta conteneva una serie
di obblighi informativi volti a garantire la trasparenza delle comunicazioni
commerciali relative alle vendite promozionali e a far sì che i destinatari
interessati potessero ottenere tutte le informazioni pertinenti in essi
annunciate. La direttiva garantisce la protezione dalle
pratiche commerciali sleali nel campo delle promozioni delle vendite:
l’articolo 6, paragrafo 1, lettera d) vieta ai professionisti di ingannare i
consumatori in merito al “prezzo o il modo in cui questo è calcolato o
l'esistenza di uno specifico vantaggio quanto al prezzo”; i divieti
contenuti nell’allegato I riguardano specifiche pratiche promozionali come la
pubblicità “propagandistica” (bait advertising) (punto 5), le offerte
speciali (punto 7), le promozioni (punto 19) o i concorsi a premi (punto 31) e
l’uso del termine “gratuito” (punto 20). Nella sentenza “Total Belgium”[43] la Corte ha confermato in
particolare che, in ragione della natura di armonizzazione piena della direttiva,
gli Stati membri non possono conservare norme nazionali sulle promozioni delle
vendite che vanno al di là delle sue disposizioni. Alcuni Stati membri e portatori d’interessi
hanno sostenuto che l’abrogazione improvvisa di certe norme nazionali sulle promozioni
delle vendite può pregiudicare la tutela dei consumatori contro le vendite
promozionali ingannevoli sul piano nazionale[44].
Essi ritengono che alcune delle norme nazionali vigenti più severe (come quelle
che rinviano ad un “prezzo di riferimento” per calcolare se un dato sconto
annunciato sia genuino o meno) sarebbero di grande aiuto ai consumatori e alle
autorità responsabili, anche se risulterebbero oggi giuridicamente
incompatibili con la direttiva[45]. I contributi alla consultazione mostrano che alcuni
Stati membri e portatori d’interessi sarebbero favorevoli a delle modifiche
legislative in questo campo, mediante nuove norme[46] o attraverso l’esclusione
delle promozioni delle vendite dall'ambito di applicazione della direttiva[47]. Altri Stati membri sono
esplicitamente contrari a qualunque ulteriore regolamentazione di questo
settore, mentre altri ancora[48]
auspicano più supporto da parte della Commissione su questo tema. Tra gli altri
portatori d’interessi, solo due rappresentanti delle imprese[49], il BEUC, un'associazione di
consumatori nazionale[50]
e un centro europeo dei consumatori[51]
chiedono ulteriori norme e insistono sul fatto che l’assenza di disposizioni
dettagliate provoca incertezza giuridica, mentre la Camera di commercio danese
si dice a favore dell'esclusione delle promozioni delle vendite dal campo
d'applicazione della direttiva per lasciare agli Stati membri un margine di
manovra più ampio. La Commissione
ritiene che la maggior parte delle preoccupazioni sollevate dagli Stati membri
e dalle parti interessate possa essere affrontata mediante misure volte ad
accrescere la certezza giuridica e l’uniforme applicazione della direttiva in
questo campo. Uno dei modi per ottenere un tale risultato può essere elaborare
ulteriormente gli orientamenti. La Commissione,
tuttavia, continuerà a monitorare da vicino l’applicazione della direttiva in
questo ambito e valuterà, se necessario, eventuali misure legislative. 3.3. Norme sostanziali della
direttiva Questa parte della relazione presenta una
descrizione delle norme sostanziali della direttiva (in particolare gli
articoli da 5 a 9 e l'allegato I) e dei principali problemi sorti riguardo alla
loro applicazione negli Stati membri. 3.3.1. La nozione di diligenza
professionale L’articolo 5,
paragrafo 2, è la “clausola generale” della direttiva in quanto vieta le
pratiche commerciali sleali in generale. Contiene due criteri cumulativi per
valutare se una pratica commerciale sia da considerarsi sleale, ossia: ·
se è contraria alle norme di “diligenza
professionale”, ·
e se falsa o è idonea a falsare in misura rilevante
il comportamento economico del consumatore medio. La “diligenza
professionale” è definita come, “rispetto a pratiche di mercato oneste e/o
al principio generale della buona fede nel settore di attività del
professionista, il normale grado della speciale competenza e attenzione che
ragionevolmente si possono presumere essere esercitate da un professionista nei
confronti dei consumatori”. Questa nozione incorpora principi già
consolidati nei diritti degli Stati membri, quali la “pratica di mercato
onesta” e la “buona fede”, dando ulteriore risalto ai valori normativi che si
applicano a un dato settore di attività. Il concetto di
diligenza professionale è stato correttamente recepito nella maggior parte degli
Stati membri; in alcuni, invece, pare siano state conservate le nozioni di
“buona pratica” o di “buona pratica di mercato”[52]. A questo proposito la
Commissione è attualmente in contatto con gli Stati membri interessati per
garantire che queste nozioni non portino ad un'interpretazione più restrittiva
di quanto richieda la direttiva. Alcune autorità
nazionali competenti per l’applicazione della normativa hanno sollevato la
questione se, per sanzionare un professionista per la violazione degli articoli
da 6 a 9 della direttiva, sia necessario dimostrare che la condotta ha violato
la “diligenza professionale”. La Commissione ritiene che non sia necessario e
che la diligenza professionale debba automaticamente considerarsi violata in
caso di azione od omissione ingannevole o pratica aggressiva. Per contro,
l’articolo 5 può essere applicato in maniera autonoma, come una “rete di
sicurezza” volta a garantire che qualunque pratica sleale che non trovi
disciplina nel resto della direttiva possa essere sanzionata[53]. A seguito di un
recente rinvio pregiudiziale[54],
è attualmente pendente la decisione della Corte di giustizia quanto alla
questione se sia necessario un esame distinto del requisito della diligenza
professionale quando vengono valutate delle pratiche commerciali (articoli da 6
a 9 della direttiva). 3.3.2. Tutela dei consumatori
vulnerabili L’articolo 5,
paragrafo 3, prevede una tutela specifica per i consumatori che sono
particolarmente vulnerabili a motivo della loro infermità mentale o fisica,
della loro età o ingenuità, nel caso in cui la pratica commerciale in questione
possa falsare il loro comportamento economico in un modo che il professionista
può ragionevolmente prevedere. Una particolare
categoria di consumatori vulnerabili - i bambini – gode di una protezione
supplementare nell’ambito dell’allegato I, che esplicitamente vieta al punto 28
la pratica di “[i]ncludere in un messaggio pubblicitario un'esortazione
diretta ai bambini affinché acquistino o convincano i genitori o altri adulti
ad acquistare loro i prodotti reclamizzati”. I contributi alla consultazione non hanno evidenziato problemi
significativi rispetto ai consumatori vulnerabili. Pur non chiedendo una
revisione della direttiva, il Regno Unito afferma che, qualora si procedesse in
tal senso, sarebbe opportuno aggiungervi delle disposizioni dirette a tutelare
specificamente anche gli anziani da certe pratiche aggressive. La Danimarca
sottolinea che spesso le pratiche aggressive sono mirate ai bambini nel settore
dei giochi online. Solo due Stati membri sono favorevoli ad un intervento
normativo che rafforzi la tutela contrattuale dei bambini, questione però che
non può essere trattata nell’ambito della direttiva[55]. L’esperienza e i
dati raccolti mostrano che occorre maggiore impegno per potenziare
l’applicazione della direttiva rispetto ai consumatori vulnerabili, come le
persone anziane, i bambini/adolescenti e altre categorie di cittadini che si
trovano in situazioni di fragilità[56].
L’indagine a
tappeto (“sweep”)[57]
condotta nel 2008 dalle autorità nazionali nell’ambito del regolamento sulla
cooperazione per la protezione dei consumatori (“regolamento CPC”) ha
evidenziato, ad esempio, che più della metà dei siti web oggetto d’indagine
miravano specificamente ad adolescenti e bambini. Dopo 18 mesi d’indagine a
livello nazionale, il 70% di questi siti sono stati corretti o chiusi. Il
risultato della prima fase dell’indagine a tappeto (sweep) del 2012 sul
contenuto digitale ha rivelato che i minori sono ancora presi di mira da siti
web che risultano non rispettare le norme di tutela dei consumatori, e sono
frequentemente allettati ad acquistare prodotti connessi a giochi
apparentemente gratuiti[58]. 3.3.3. Articolo 6 relativo alle
azioni ingannevoli Ai sensi
dell’articolo 6 della direttiva, si è in presenza di un’azione ingannevole
quando la pratica inganna mediante le informazioni in essa contenute o la loro
presentazione e induca o sia idonea ad indurre il consumatore medio ad assumere
una decisione di natura commerciale diversa da quella che avrebbe altrimenti
preso. Insieme all’articolo 7 relativo alle omissioni ingannevoli, questa è la
norma di gran lunga più utilizzata ai fini dell’applicazione a livello
nazionale. I risultati della
consultazione mostrano che gli Stati membri non hanno finora incontrato
particolari problemi nell’applicazione dell’articolo 6. Le pratiche citate più
spesso dai partecipanti alla consultazione riguardano informazioni false sulle
caratteristiche principali e/o il prezzo del prodotto o servizio offerto nei
settori dei servizi di telecomunicazione e internet (ad es. velocità della
banda larga), dei servizi finanziari (ad es. il credito al consumo, le
assicurazioni sulla vita), del turismo (ad es. i servizi di soggiorno, tra cui
le spese legate all’uso delle carte di credito per soggiorni in hotel, per
servizi di timeshare e prodotti collegati), del trasporto aereo e del commercio
elettronico. Un esempio recente dell'applicazione dell'articolo
6, paragrafo 1, lettera g) (che vieta ai professionisti di trarre in inganno i
consumatori quanto ai loro diritti riconosciuti da altre norme), è
particolarmente interessante per la portata europea degli effetti della pratica
in questione. Un’impresa leader nel mercato delle apparecchiature elettroniche
è stata sanzionata da un’autorità nazionale per aver offerto ai consumatori una
garanzia commerciale a pagamento che includeva servizi a cui essi avevano già
diritto gratuitamente per legge[59]. La tutela assicurata dall’articolo 6 è di ampia
portata ed è stata invocata, ad esempio, anche in merito a questioni sensibili
sotto il profilo politico relative agli scambi, come nel caso di prodotti
importati da territori la cui sovranità nazionale è controversa e per i quali
vi è il rischio che i consumatori siano tratti in inganno sulla reale origine geografica
o commerciale del prodotto, con potenziale violazione dell'articolo 6,
paragrafo 1, lettera b). Un problema sollevato energicamente da
un’associazione d’imprese[60]
riguarda l’adeguatezza dell’articolo 6, paragrafo 2 e in particolare della
lettera a) dello stesso, al fine di sanzionare la pratica dell’ “imballaggio
copiato” (copycat packaging). Il copycat packaging si riferisce
alla pratica di disegnare l’imballaggio di un prodotto (o il suo ‘trade dress’
o ‘get-up’) che gli conferisca la grafica generale (“look and feel”) di un
marchio concorrente rinomato. Il copycat packaging si distingue dalla
contraffazione dal momento che solitamente non comporta la copia di marchi
commerciali. Il problema si è presentato in paesi in cui i mezzi di ricorso
contro la concorrenza sleale non risultano soddisfacenti e i concorrenti
guardano alla direttiva come a un possibile strumento per avviare l’azione
legale. I servizi della Commissione si sono già occupati della questione negli
orientamenti del 2009. La Commissione sosterrà un intervento forte per
l’applicazione delle norme in questo settore laddove le pratiche in questione
traggano in inganno i consumatori. 3.3.4. Articolo 7, paragrafo 4 -
offerte commerciali e obblighi d’informazione relativa al prezzo I professionisti possono scegliere se includere o meno il prezzo nella
pubblicità. Tuttavia, ai sensi della direttiva[61],
tutte le comunicazioni commerciali che menzionano il prezzo sono qualificate
come “invito all’acquisto” e pertanto, in questi casi, la direttiva impone ai
professionisti, a norma dell’articolo 7, paragrafo 4, di rispettare una serie
di obblighi d’informazione specifici. L’invito
all’acquisto costituisce in effetti un momento cruciale nel processo
decisionale del consumatore ed un modo tipico di fare pubblicità e offrire
prodotti e servizi ai consumatori, anche online. È una forma, per sua natura,
diretta ed immediata di promuovere un prodotto e che provoca una reazione più
impulsiva nei consumatori esponendoli quindi a rischi maggiori. Lo scopo dell'articolo
7, paragrafo 4, è perciò di far sì che i professionisti, nel formulare offerte
commerciali ai consumatori, mettano allo stesso tempo a loro disposizione, in
modo comprensibile e non ambiguo, dati sufficienti senza trarli in inganno
omettendo informazioni importanti. Tali obblighi riguardano: le caratteristiche
principali del prodotto, l'indirizzo geografico del professionista, il prezzo
complessivo, le modalità di pagamento, consegna, esecuzione e trattamento dei
reclami e l'esistenza di un diritto di recesso o scioglimento del contratto, se
del caso. Questi obblighi vanno interpretati in combinato disposto con gli
obblighi d'informazione previsti dalla direttiva sui diritti dei consumatori[62] e dall'articolo 5 della
direttiva sul commercio elettronico[63]. Negli
orientamenti i servizi della Commissione promuovono una
nozione ampia di invito all’acquisto, unita ad un'applicazione flessibile e
proporzionata degli obblighi d'informazione, senza che, tuttavia, sia
necessario riscontrare un “meccanismo” per l’acquisto (ad esempio la
possibilità di effettuare una prenotazione online) per far scattare tali
obblighi[64].
In un rinvio pregiudiziale[65], la Corte di giustizia ha
seguito questo approccio e ha confermato che “sussiste un invito
all’acquisto […] senza che sia necessario che la comunicazione commerciale
comporti anche un mezzo concreto di acquistare il prodotto oppure che avvenga
in prossimità o in occasione di un tale mezzo”. La controversia riguardava
il mediatore per i consumatori svedese e un’agenzia di viaggi (Ving) che vende
pacchetti vacanza in tutta la Svezia, anche via internet. Rispondendo al
quesito se la Ving avesse indicato le caratteristiche principali del prodotto
in modo appropriato rispetto al mezzo e al prodotto, la Corte ha stabilito che,
pur essendo competenza del giudice del rinvio accertare tali circostanze nel
concreto, “una rappresentazione verbale o visiva del prodotto permette di
soddisfare il requisito relativo all’indicazione delle caratteristiche del
prodotto” e che un rinvio al proprio sito internet da parte del
professionista può essere utilizzato, a determinate condizioni, allo scopo di
fornire alcune informazioni su tali caratteristiche. L’articolo 7,
paragrafo 4, lettera c), della direttiva impone espressamente al professionista
di indicare il prezzo (finale) comprensivo di tutte le imposte applicabili o,
qualora il prezzo non sia ragionevolmente calcolabile in anticipo, le modalità
di calcolo dello stesso. Nella sentenza Ving Sverige la Corte ha
stabilito che l’indicazione di un prezzo di partenza nell’invito all’acquisto
non costituisce di per sé una violazione della direttiva, purché, alla luce di
tutte le circostanze del caso specifico tra cui anche la natura e le
caratteristiche del prodotto e il mezzo di comunicazione commerciale
utilizzato, tale prezzo di partenza[66]
consenta al consumatore di prendere una decisione consapevole. Il regolamento del
2008 sui servizi aerei[67]
ha completato la direttiva aggiungendo una serie di disposizioni volte a
garantire che il prezzo dei biglietti aerei sia trasparente all’atto della
prenotazione e nella pubblicità. In particolare, viene specificato che “il
prezzo finale da pagare è sempre indicato e include tutte le tariffe aeree
passeggeri o merci applicabili, nonché tutte le tasse, i diritti ed i
supplementi inevitabili e prevedibili al momento della pubblicazione”. La
direttiva sui diritti dei consumatori[68]
recentemente adottata contiene disposizioni in materia di prezzi e spese che si
applicano anche al settore dei trasporti aerei. Se da un lato vi è
un consenso generale quanto al fatto che il prezzo pubblicizzato debba
includere, sin dall’inizio[69],
tutte le imposte e le spese applicabili, i commenti ricevuti da vari portatori
d’interessi[70]
riportano che gli obblighi in materia di prezzi sono spesso trascurati negli
inviti all’acquisto. Nel 2007 la prima indagine a tappeto organizzata
nell’ambito del regolamento CPC si era concentrata sui siti web di vendita di
biglietti aerei. Le autorità di 15 Stati membri e della Norvegia avevano svolto
l’indagine su 386 siti web, di cui 145 erano risultati contenere irregolarità.
I tre principali problemi riscontrati erano l’indicazione ingannevole del
prezzo, la mancanza di informazioni sulla disponibilità delle offerte e
irregolarità connesse alla presentazione delle clausole contrattuali. Un recente studio
sulla trasparenza dei prezzi nel settore dei trasporti aerei[71] ha rilevato che molte
compagnie aeree mostrano il prezzo senza indicare le tasse, i diritti e le
spese, mentre molte fra queste aggiungono spese che sono, di fatto, inevitabili
(ad es. mezzo di pagamento gratuito in caso di utilizzo della carta di credito
della compagnia aerea) ma qualificandole come "facoltative". Questo
problema ha ripercussioni particolarmente negative nella fase in cui i
consumatori confrontano i prezzi per poter prendere una decisione consapevole[72]. In almeno due Stati membri le autorità hanno
di recente preso provvedimenti di esecuzione nei confronti di varie compagnie
aeree per impedire che venissero presentati ai consumatori prezzi suddivisi
nelle varie componenti (“frazionamento del prezzo”) o venisse mostrato il
prezzo solo alla fine del processo di prenotazione (“prezzatura a goccia”). Le
indagini si sono concentrate sui diritti legati all'uso di carte di credito e
di debito; l’esito è stato che, nel Regno Unito[73] 12 compagnie aeree hanno
accettato di includere i supplementi per l’uso di carta di debito nel prezzo
indicato e di garantire che i supplementi per pagamento con carta di credito
siano facili da identificare durante la prenotazione online, mentre in
Italia sei compagnie aeree sono state sanzionate e hanno accettato di includere
dette spese nel prezzo pubblicizzato entro la fine del 2012[74]. I riscontri
disponibili dimostrano che l’uso ricorrente di informazioni inadeguate sui
prezzi negli inviti all’acquisto non dipende da una lacuna nel quadro giuridico
vigente a livello dell'Unione[75],
che diverrà ben presto più severo; emerge altresì che le autorità
nazionali incontrano difficoltà a reagire a simili violazioni quando il
professionista si trova in un’altra giurisdizione, come accade nel caso di
altre pratiche sleali. Potrebbero essere ottenuti miglioramenti sotto questo
profilo se la Commissione svolgesse un ruolo più incisivo nel sostenere un
intervento nazionale rafforzato per far rispettare le norme e nel promuovere
una cooperazione più stretta nei casi di applicazione transfrontaliera[76]. I risultati della
consultazione confermano che, al momento, non vi è necessità di prendere in
considerazione misure regolamentari[77]. 3.3.5. Articoli 8 e 9 – pratiche
aggressive La direttiva armonizza il concetto di pratiche
commerciali aggressive, rappresentando sotto questo profilo un’innovazione a
livello dell’Unione. Queste pratiche sono già disciplinate dagli articoli 8 e 9
della direttiva e vietano ai professionisti di adottare tecniche di vendita che
limitino la libertà di scelta del consumatore, distorcendone il comportamento
economico. Sono aggressive secondo la direttiva le
pratiche che comportano il ricorso a molestie, coercizione, compreso l'uso di
forza fisica, e indebito condizionamento. Possono riguardare comportamenti
tenuti nella fase di commercializzazione come anche pratiche che intervengono
durante o a seguito della conclusione di un’operazione commerciale. Le pratiche aggressive riguardano
comportamenti già disciplinati da altre norme negli Stati membri, tra cui il
diritto dei contratti e il diritto penale. Sotto questo profilo, la direttiva
ha aggiunto un ulteriore grado di protezione che può essere attivato da
interventi di esecuzione delle pubbliche autorità, senza necessariamente dover
dare avvio ad un’azione civile o penale. In questo contesto è particolarmente rilevante
il comportamento disciplinato dall’articolo 9, lettere c), d) ed e). L’articolo
9, lettera c), vieta le pratiche che comportano lo sfruttamento da parte del
professionista di qualsivoglia evento tragico o circostanza specifica di cui è
a conoscenza, al fine di influenzare la decisione del consumatore relativa al
prodotto. L’articolo 9, lettera d), vieta ai professionisti di
imporre qualsiasi ostacolo non contrattuale sproporzionato, qualora un
consumatore intenda esercitare diritti contrattuali, compresi il diritto di
risolvere un contratto o quello di cambiare prodotto o rivolgersi ad un altro
professionista. L’articolo 9, lettera e), vieta qualsiasi minaccia di
promuovere un'azione legale ove tale azione non sia giuridicamente ammessa. L’articolo 9, lettera d), si è dimostrato molto
utile nei settori delle telecomunicazioni e dell’energia riguardo agli ostacoli
non contrattuali al passaggio ad un altro prestatore. Sono stati riportati casi
in cui, ad esempio, operatori di telecomunicazioni hanno ritardato
indebitamente la migrazione dei consumatori verso altri operatori[78], oppure fornitori di energia
hanno reso difficile ai consumatori l'esercizio del diritto di recesso[79]. Le pratiche aggressive riportate dagli Stati membri
e dai portatori d’interessi in risposta alla consultazione si verificano
principalmente nelle vendite porta a porta o in quelle fuori dai locali
commerciali. I centri europei dei consumatori che si occupano di svariate
denunce individuali, riscontrano di frequente pratiche aggressive nel settore
delle multiproprietà (club vacanze e pratiche connesse[80]). Le norme generali degli articoli 8 e 9 sulle
pratiche aggressive sono completate dalle otto pratiche aggressive specifiche,
descritte nella “lista nera”, che sono vietate in tutte le circostanze[81]. 3.3.6. Allegato I – la “lista nera”
delle pratiche vietate L’allegato I della
direttiva contiene un elenco di pratiche commerciali che devono considerarsi
sleali in tutte le circostanze e che sono pertanto vietate. L’elenco è stato
redatto per bandire pratiche che sulla base dell’esperienza sono considerate
sleali e per consentire alle autorità competenti per l’applicazione della
direttiva, ai professionisti, agli specialisti del marketing e ai clienti di
identificare tali pratiche, rafforzando così la certezza giuridica. Come descritto al
considerando 17 della direttiva, si tratta delle uniche pratiche commerciali
che si possono considerare sleali senza una valutazione caso per caso in deroga
alle disposizioni degli articoli da 5 a 9. In altre parole, se è possibile
provare nei fatti che il professionista ha messo in atto la pratica, le autorità
nazionali non sono tenute ad applicare il test della distorsione materiale
(ossia, valutare l’impatto della pratica sul comportamento economico del
consumatore medio) per prendere provvedimenti inibitori o sanzionare la
pratica. L’attuazione della
direttiva mostra che la “lista nera” si è dimostrata un utile strumento nelle
mani delle autorità responsabili del rispetto delle norme. Di seguito
un’illustrazione delle disposizioni più usate tra quelle della “lista nera”. Il punto 5 sulla
pubblicità propagandistica (“bait advertising”) e il punto 6 sulla
pubblicità con prodotti “civetta” (“bait and switch”) vietano ai
professionisti di usare offerte particolarmente attrattive su prodotti e
servizi per attirare i consumatori verso i loro siti web o negozi, o con
l’intento di vendere loro un altro prodotto. Questa disposizione è stata
applicata, ad esempio, nel settore dei trasporti aerei per impedire alle
compagnie di pubblicizzare condizioni che potevano garantire solo ad un numero
irragionevolmente basso di consumatori, tenuto conto delle dimensioni della
pubblicità. Il punto 10
stabilisce che i diritti conferiti ai consumatori dalla legge non possono
essere presentati come una caratteristica propria dell'offerta fatta dal
professionista. Questo divieto è stato particolarmente utile per trattare casi
in cui i professionisti presentano la garanzia legale di conformità come un
valore aggiunto del loro prodotto. Il punto 20 vieta
ai professionisti di descrivere un prodotto come “gratuito” quando di fatto non
lo è. Questa disposizione è stata usata riguardo ad una pratica riferita
spesso, diretta principalmente verso i consumatori vulnerabili (adolescenti),
su siti web che offrono suonerie per telefoni cellulari “gratuite” ma dove in
realtà poi i consumatori sottoscrivono un abbonamento a pagamento[82]. I servizi della Commissione
hanno chiarito negli orientamenti l’applicazione di questa disposizione alle
offerte congiunte (ad es. “due al prezzo di uno”). Il punto 17 “Affermare
falsamente che un prodotto ha la capacità di curare malattie, disfunzioni o
malformazioni” è stato usato, in combinato disposto con l’articolo 6 della
direttiva, per fermare pratiche ad esempio nel settore dei cosmetici. Il punto 31
proibisce di “dare la falsa impressione che il consumatore abbia già vinto,
vincerà […] un premio o una vincita equivalente, mentre in effetti […] non
esiste alcun premio, oppure […] qualsiasi azione volta a reclamare il premio
[…] è subordinata al versamento di denaro o al sostenimento di costi da parte
del consumatore”. È stato applicato per bandire pratiche, tra cui vere e
proprie frodi, che allettavano i consumatori a pagare considerevoli somme per
ricevere un premio che non esisteva o aveva un valore inferiore agli importi
pagati. Fra autorità nazionali si è dibattuto sull’interpretazione da dare al
fattore del “versamento di denaro o sostenimento di costi da parte del
consumatore” e, in particolare, se il fatto di obbligare il consumatore ad
effettuare una chiamata alla tariffa locale standard o a comprare un francobollo
per reclamare il premio potesse considerarsi una violazione della direttiva. La
Corte di giustizia ha chiarito questo punto escludendo la possibilità di
imporre costi anche minimi ai consumatori (come nel caso di un francobollo)[83]. Una federazione
dell’industria[84],
che rappresenta vari operatori di marketing multilivello, ritiene che
l’armonizzazione delle norme relative ai sistemi di promozione a carattere
piramidale di cui al punto 14 dell'allegato I, sia adeguata e si sia dimostrata
ampiamente benefica, consentendo a tali operatori di sviluppare un modello
commerciale unico valido in tutta l'Unione, secondo modalità simili a una sorta
di "sportello unico". L’altra grande associazione di imprese di
vendita diretta[85]
ha una posizione analoga e considera completo il quadro giuridico vigente.
Un’impresa attiva nelle vendite dirette ha suggerito, nei suoi scambi con i
servizi della Commissione, che nell’ambito dei sistemi di promozione a
carattere piramidale non ci sia distinzione tra consumatori e professionisti e
che gli Stati membri incoraggino l’applicazione delle norme nazionali che
recepiscono l’allegato I (punto 14) della direttiva, mutatis mutandis,
agli schemi di promozione a carattere piramidale nei rapporti tra imprese. La
Commissione è dell’avviso che al momento non sia necessario armonizzare
ulteriormente i sistemi di promozione piramidali[86]. Alla luce dell’esperienza delle autorità
nazionali e delle reazioni alla consultazione, non vi è attualmente l’esigenza
di modificare la “lista nera”. Non sono state individuate nuove pratiche non
disciplinate dalla direttiva. È tuttavia importante garantire l’uniforme
interpretazione dei criteri e concetti contenuti nell’allegato I, migliorando
gli orientamenti e la banca dati della direttiva. 3.4. APPLICAZIONE DELLA DIRETTIVA
A SPECIFICI SETTORI E PRATICHE COMMERCIALI 3.4.1. Asserzioni ambientali Le espressioni
“asserzione ambientale” o "asserzione ecologica” si riferiscono alla
pratica di suggerire o in altro modo dare l’impressione (nel contesto di una
comunicazione commerciale, del marketing o della pubblicità) che un prodotto o
un servizio siano ecologici (cioè che abbiano un impatto positivo
sull’ambiente) o siano meno dannosi per l’ambiente rispetto a prodotti o
servizi concorrenti. L’uso crescente di
asserzioni ambientali come strumenti di marketing e di pubblicità rispecchia
l'aumento delle preoccupazioni per l’ambiente tra la popolazione. Queste
asserzioni possono riferirsi alla maniera in cui i prodotti sono fabbricati,
imballati, distribuiti, utilizzati, consumati e/o eliminati. Al di là degli
aspetti disciplinati da specifiche norme dell’Unione (ad es. i marchi “bio” o
“eco”)[87],
la direttiva è il principale strumento di legislazione orizzontale per valutare
le asserzioni ambientali e stabilire se siano ingannevoli per il contenuto o il
modo in cui sono presentate ai consumatori[88]. Ai sensi
dell’articolo 6, paragrafo 1, lettere a) e b), della direttiva, le autorità
nazionali valutano caso per caso la pratica in questione, il contenuto
dell’asserzione ambientale e la sua incidenza sulla decisione del consumatore
medio di acquistare. Come illustrato dai servizi della Commissione negli
orientamenti[89],
l’applicazione delle disposizioni della direttiva alle asserzioni ambientali si
può sintetizzare in due principi essenziali: ·
sulla base delle norme generali della direttiva, i
professionisti devono, in particolare, presentare le dichiarazioni ecologiche
in modo specifico, accurato e inequivocabile; ·
i professionisti devono disporre di dati
scientifici a sostegno delle loro dichiarazioni ed essere pronti a fornirli in
modo comprensibile qualora la dichiarazione sia contestata. L’allegato I della
direttiva fa riferimento inoltre ad una serie di pratiche particolarmente
rilevanti per le asserzioni ambientali e vietate, a prescindere dalla loro
incidenza sul comportamento del consumatore. Si tratta dell’uso non autorizzato
di marchi di fiducia o di qualità (punto 2), della falsa approvazione o
accettazione da parte di organismi pubblici o privati (punto 4), dell’affermazione
falsa di essere firmatario di un codice di condotta (punto 1) o che tale codice
abbia l'approvazione di un organismo pubblico o privato (punto 3). Una
regolamentazione più ampia delle asserzioni ambientali può essere ottenuta solo
con la modifica della direttiva o mediante l’adozione di altre (specifiche)
norme dell’Unione. Benché alcuni Stati membri[90]
possano essere interessati ad adottare a livello nazionale norme più
dettagliate sulle asserzioni ambientali, vi è ampio consenso sulla necessità che
le modalità per affrontare questi aspetti sempre più importanti della
pubblicità in tutta l’Unione non siano intralciate da un approccio
frammentario. I risultati della consultazione mostrano che gli Stati membri e i
portatori d’interessi sono in generale soddisfatti dal vigente quadro giuridico
e ritengono che gli strumenti creati dalla direttiva e gli orientamenti dei
servizi della Commissione siano sufficienti per valutare le asserzioni
ambientali. Solo alcuni Stati membri[91]
vorrebbero regolamentare ulteriormente questo settore nell’ambito della
direttiva. Tuttavia, alcuni
portatori d’interessi sostengono che, malgrado il vigente quadro giuridico, le
dichiarazioni ecologiche ancora non vengono usate in modo responsabile e sono
spesso molto generiche, vaghe e indefinite[92].
Le associazioni di consumatori[93]
riferiscono che è inoltre difficile verificare la fondatezza di tali
dichiarazioni, specie nei settori dell’energia, dei cosmetici, degli
autoveicoli e dei detergenti. L'uso credibile e responsabile delle dichiarazioni ecologiche nella
pubblicità è estremamente importante poiché può guidare le preferenze del
consumatore e quindi contribuire allo sviluppo di un’economia più sostenibile,
coerente con la strategia Europa 2020 e con l’agenda europea dei consumatori. La Commissione è dell’avviso che i problemi individuati rispetto
all’uso delle dichiarazioni ambientali possano essere risolti con misure legate
all’applicazione e allo sviluppo di buone prassi piuttosto che mediante
modifiche legislative della direttiva. Sosterrà quindi un’applicazione adeguata
e coerente, ad esempio elaborando orientamenti su questo tema come annunciato
nell'agenda europea dei consumatori[94]. Nell’ambito dei lavori in corso sul piano d'azione per una politica
industriale sostenibile[95],
la Commissione sta tuttavia valutando in che modo l’ulteriore sviluppo degli
attuali standard scientifici possa contribuire alla verificabilità delle
dichiarazioni ecologiche. In particolare, sono al vaglio opzioni che potrebbero
consentire lo sviluppo di una “impronta ambientale” dei prodotti (ossia
formati/standard comuni che permettano di confrontare i prodotti che svolgono
le stesse funzioni). Sulla base di questo esercizio saranno soppesate le
opportune misure. Al vertice europeo dei consumatori del 29 maggio 2012 le asserzioni
ambientali sono state discusse approfonditamente e sono stati raccolti dati
sulla situazione in vari mercati dell’UE e suggerimenti sulle linee da seguire
in questo settore[96]. 3.4.2. Strumenti di controllo per i
clienti e siti web per il confronto dei prezzi Tra i vantaggi che
lo sviluppo di un mercato online nell'UE può apportare ai consumatori vi sono
la scelta e il risparmio sui prezzi. I motori di ricerca, i siti web per il
confronto di prezzi e prodotti, le riviste per i consumatori e i media sociali
sono strumenti che si stanno integrando al comportamento dei consumatori e dei
modelli commerciali.[97]
Nel 2010, quattro consumatori online su cinque nell’UE (l’81%) ha usato un sito
di confronto dei prezzi[98].
Questi strumenti però possono servire a rafforzare la fiducia del consumatore
solo se forniscono informazioni in modo chiaro, trasparente e accurato. La direttiva
contiene varie disposizioni che possono applicarsi ai siti di confronto dei
prezzi e agli strumenti di controllo per i clienti: ·
gli articoli 6 e 7 vietano ai professionisti di
usare questi siti per formulare dichiarazioni ingannevoli, omettendo
informazioni rilevanti relative tra l'altro al prezzo e/o alla disponibilità di
prodotti e servizi; ·
l’allegato I, punto 18, vieta in qualunque
circostanza la pratica di: “comunicare informazioni di fatto inesatte sulle
condizioni di mercato o sulla possibilità di ottenere il prodotto allo scopo
d'indurre il consumatore ad acquistare il prodotto a condizioni meno favorevoli
di quelle normali di mercato”; ·
la direttiva esige anche chiarezza quanto al fatto
che il sito sia indipendente, gestito o sponsorizzato (direttamente o
indirettamente) da un professionista (cfr. l’articolo 6, paragrafo 1, lettere
c) ed f), nonché l’articolo 7). A questo proposito, è vietato categoricamente
in base al punto 22 dell’allegato I della direttiva “falsamente dichiarare o
dare l’impressione che il professionista non agisca nel quadro della sua
attività commerciale, industriale, artigianale o professionale, o presentarsi
falsamente come consumatore”. I riscontri di cui
dispone la Commissione mostrano che, malgrado un quadro giuridico completo, i
consumatori hanno difficoltà a confrontare il prezzo e la qualità di prodotti
diversi a loro proposti e i problemi che incontrano minano la loro fiducia nei
siti di questo tipo. Vari portatori
d’interessi[99]
hanno segnalato problemi riguardo ai siti di confronto dei prezzi, specie in
termini di trasparenza e completezza dell’informazione fornita. Il BEUC
sottolinea che il problema è particolarmente serio nel settore dei trasporti
aerei. Uno Stato membro[100]
nota che questi siti spesso mostrano informazioni incomplete, rendendo ogni
confronto sleale. Dal documento di
lavoro dei servizi della Commissione ‘Bringing E-commerce Benefits to
Consumers’ risulta che le informazioni fornite ai consumatori attraverso
intermediari, come i siti di confronto dei prezzi, sono spesso parziali e
talvolta ingannevoli ed incorrette, specie riguardo ai prezzi, al fatto che il
rivenditore abbia o meno pagato per poter inserire il suo prodotto, ai criteri
per ordinare le offerte o alle spese di spedizione. L’esperienza in
materia di applicazione conferma che uno dei maggiori problemi deriva dal fatto
che i siti di confronto dei prezzi non mostrano chiaramente l’identità del
professionista che li gestisce e/o se i rivenditori pagano perché i loro
prodotti e servizi vi figurino (ossia, se il sito sia o meno sponsorizzato). Il
problema della pubblicità occulta sembra riguardare non solo i siti di confronto
dei prezzi, ma anche gli strumenti di controllo per i clienti in generale. I
siti web che ospitano le valutazioni degli utenti sono stati a volte oggetto di
critiche per valutazioni che appaiono fondate su pareri oggettivi di un
consumatore, quando invece sono in realtà pubblicità nascosta[101]. In uno Stato membro, ad esempio, a seguito di
un’indagine su come i consumatori confrontano i prezzi nel mercato al dettaglio
dell’energia, è stato riscontrato che un certo numero di siti web facevano
credere ai consumatori di stare consultando siti di confronto dei prezzi,
quando invece non era così[102].
In un altro caso, i giudici di uno Stato membro hanno sanzionato un’impresa che
gestisce siti web per la prenotazione di hotel e sette delle sue controllate
per violazione delle norme sulle pratiche commerciali sleali. I siti in
questione dichiaravano di fornire un confronto tra le migliori offerte e
disponibilità, mentre invece guidavano le prenotazioni verso hotel “partner”, a
danno degli esercenti non partner[103]. I problemi
individuati in merito ai siti di confronto dei prezzi e agli strumenti di
controllo per i clienti richiedono una forte risposta in termini di rispetto
delle norme. La Commissione esaminerà in che modo, conformemente ai trattati,
possa svolgere un ruolo più attivo nell'incoraggiare l'applicazione coerente
della direttiva, in particolare rispetto a pratiche sleali aventi una
dimensione transfrontaliera, quali ad esempio quelle poste in essere online e
che pongono problemi comuni alle autorità di contrasto. Come annunciato nella
comunicazione del gennaio 2012 sul commercio elettronico, la Commissione
affronterà anche la questione della trasparenza ed affidabilità degli strumenti
di confronto attraverso il dialogo diretto con i portatori d'interessi, che
potrà eventualmente condurre alla formulazione di codici di condotta e/o ad
orientamenti validi per tutta l’Unione[104]. Come osservato nel
documento di lavoro dei servizi della Commissione ‘Bringing e-commerce
benefits to consumers’, il fattore dominante per gli acquisti online sembra
essere il prezzo, seguito dall’idea di un risparmio di tempo, dalla possibilità
di poter confrontare facilmente i prezzi, dalla flessibilità di ordinare in
qualunque momento della giornata/della settimana e dalla possibilità di trovare
online un più vasto assortimento. I prezzi ed altre informazioni fondamentali
dovrebbero essere forniti sin dall’inizio in modo chiaro e semplice in modo da
non ingannare i consumatori. Il fatto che questi siti web siano usati così
diffusamente dai consumatori per giungere ad una decisione informata moltiplica
il danno complessivo a loro procurato. Nell’applicare la
direttiva nell’Unione, deve essere riservata in futuro un’attenzione
particolare al coinvolgimento crescente dei social network nella
pubblicità online. Sulla base dei modelli di pubblicità via internet di terza
generazione (ossia "e-commerce 3.0”), i social network si vanno via via
trasformando in piattaforme in cui le imprese investono per attirare i
consumatori. Oltre a ciò che ci si può attendere da forme più tradizionali di
pubblicità online (ad es. i siti web delle imprese), i media sociali in cui i
consumatori condividono con amici e familiari quello che a loro piace possono
offrire ai professionisti un “effetto rete” alla pubblicità online e una
conoscenza strategica del comportamento e delle preferenze dei consumatori. Gli
interventi per il rispetto delle norme devono quindi concentrarsi sul modo di
garantire che i nuovi modelli pubblicitari siano sempre conformi alla direttiva,
specie riguardo alla "pubblicità occulta" e alle informazioni sul
prodotto. 3.4.3. Articolo 3, paragrafo 9 –
applicazione della direttiva ai settori dei servizi finanziari e dei beni
immobili Come ricordato
alla sezione 2.4 della presente relazione, a norma dell'articolo 3,
paragrafo 9[105],
della direttiva, ai settori dei servizi finanziari e dei beni immobili si
applica un'armonizzazione minima[106].
Ai sensi dell’articolo 18 della direttiva, la Commissione deve presentare una
relazione sull'applicazione della direttiva in questi settori e valutare in
particolare se debba essere mantenuta l’esenzione dal principio di
armonizzazione piena contenuto nell’articolo 3, paragrafo 9. A tal fine la
Commissione ha avviato uno studio sull’applicazione della direttiva ai settori
dei servizi finanziari e dei beni immobili[107].
Lo studio è stato condotto nel corso del 2011 fino agli inizi del 2012 e si
basa su un'ampia consultazione degli Stati membri e dei portatori d'interessi[108]. I riscontri
raccolti dallo studio mostrano che l’esenzione disposta dall’articolo 3,
paragrafo 9, è stata largamente usata; in altre parole, la maggior parte degli
Stati membri ha mantenuto o adottato norme nei settori dei servizi finanziari e
dei beni immobili che vanno al di là di quanto previsto dalla direttiva. Si
tratta per la maggior parte di obblighi d’informazione precontrattuale e
contrattuale specifici al settore[109].
Inoltre, molti dei divieti riguardano principalmente la vendita diretta e le
pratiche promozionali[110],
le pratiche che approfittano di particolari vulnerabilità[111] o la prevenzione del
conflitto d’interessi[112].
Ad esempio, in Austria la vendita porta a porta di crediti ipotecari è vietata
mentre in Italia è vietato collegare obbligatoriamente contratti di
assicurazione per responsabilità civile ad altri servizi di assicurazione. In
Danimarca esiste il divieto di collegare vari servizi immobiliari. A questo proposito
si noti che la questione se gli Stati membri possano vietare la vendita di
prodotti collegati quando almeno uno dei prodotti/servizi in discorso è di
natura finanziaria è pendente dinanzi alla Corte di giustizia nella causa
C-265/12 (Citroën Belux NV). In questa causa la Corte dovrà
chiarire, in particolare, la portata dell'esenzione ai sensi dell'articolo 3,
paragrafo 9. Nel caso sia dei servizi finanziari che dei beni
immobili, le pratiche sleali (definite dalla direttiva) più comunemente
riferite riguardano la mancanza di informazioni essenziali nella fase di
pubblicità e una descrizione ingannevole dei prodotti. Per i servizi finanziari, tra le pratiche riportate
risultano la mancanza nella pubblicità di informazioni circa il tasso annuale e
il costo del credito, le offerte ingannevoli di contratti di credito a tasso
d’interesse basso, e la mancanza di informazioni adeguate sugli obblighi di
legge legati alla conclusione dei contratti[113].
Per i beni immobili, sono stati rilevati i seguenti esempi di pratiche: falsa
descrizione delle caratteristiche del bene, mancanza di trasparenza rispetto al
costo del bene e alle relative imposte, pubblicità propagandistica, pratiche
aggressive da parte di agenti immobiliari come l’intimidazione dei consumatori
che vogliono vendere il proprio bene immobile affinché firmino un contratto di
esclusiva con un agente immobiliare. La Commissione ha ricevuto un gran numero di
denunce, lettere di cittadini, interrogazioni parlamentari e petizioni sui
problemi legati all’acquisto di beni immobili a Cipro, in Bulgaria e in Spagna.
A Cipro e in Bulgaria le imprese di costruzione fanno della pubblicità ingannevole
dando varie rappresentazioni false delle caratteristiche di un bene, in
particolare omettendo di dichiarare che i beni venduti restano oggetto di
ipoteche preesistenti accese a garanzia di mutui bancari presenti e futuri
contratti dalle imprese stesse. La Commissione è attualmente in contatto con le
autorità cipriote e bulgare a questo proposito per trovare una soluzione ai
problemi. In Spagna i problemi sono legati solo in parte a pubblicità
ingannevole o a pratiche sleali intese secondo la direttiva e riguardano
principalmente i rapporti tra i consumatori e le autorità locali, ad esempio
irregolarità nel concedere licenze edilizie o l’imposizione a residenti
stranieri di spese urbanistiche per lo sviluppo di nuovi progetti. È interessante
notare che, malgrado le norme nazionali vigenti, in almeno la metà dei casi
esaminati negli Stati membri in merito a pratiche sleali nei settori dei
servizi finanziari e dei beni immobili, le disposizioni della direttiva (azioni
ed omissioni ingannevoli, pratiche aggressive, talvolta combinate a pratiche
della “lista nera”) sono state usate come base giuridica; nell’altra metà dei
casi sono state applicate norme nazionali più severe[114]. Nel settore delle assicurazioni, ad esempio, il
punto 27 dell’allegato I è stato applicato a situazioni in cui degli
assicuratori avevano rifiutato di risarcire i danni obbligando i consumatori
che volevano chiedere una compensazione a titolo della polizza di
assicurazione, a produrre documenti che non potevano essere ragionevolmente considerati
pertinenti per stabilire la validità della richiesta. In questi casi, i
fornitori di servizi avevano sistematicamente omesso di rispondere alle lettere
dei consumatori per dissuaderli dall'esercitare i loro diritti derivanti dal
contratto[115]. I risultati
dell’indagine condotta nei settori dei servizi finanziari e dei beni immobili
indicano che non è opportuno eliminare l’esenzione di cui all'articolo 3,
paragrafo 9 della direttiva[116].
Le
principali ragioni sono le seguenti: il rischio finanziario maggiore (rispetto
ad altri beni e servizi) insito nei servizi finanziari e nei beni immobili; la
particolare mancanza di esperienza dei consumatori in questi settori (unita
alla mancanza di trasparenza, specie delle operazioni finanziarie); le
particolari vulnerabilità riscontrate in entrambi i settori, che rendono i
consumatori soggetti a pratiche promozionali e a pressioni; l’esperienza degli
organismi di controllo finanziari competenti nei riguardi di un sistema
nazionale che si è ampliato; e infine, il funzionamento e la stabilità dei
mercati finanziari in sé. Le
autorità responsabili e altri portatori d’interessi che hanno risposto alla
consultazione[117]
sono giunti a conclusioni simili. La grande maggioranza delle organizzazioni
che hanno partecipato alla consultazione in entrambi i settori ritiene che sia
molto o abbastanza importante mantenere l’esenzione di cui all'articolo 3,
paragrafo 9 della direttiva. 4. APPLICAZIONE 4.1. Controllo dell’applicazione
negli Stati membri La direttiva non
armonizza i sistemi di controllo dell'applicazione della direttiva. Ai sensi
dell’articolo 11, gli Stati membri sono liberi di scegliere i meccanismi che
meglio si adattano alle loro tradizioni giuridiche, purché assicurino mezzi
efficaci ed adeguati ad impedire le pratiche commerciali sleali. In base
all’articolo 13 della direttiva, spetta altresì agli Stati membri decidere il
tipo di sanzioni da applicare, purché siano “effettive, proporzionate e
dissuasive”. Il ruolo della
Commissione quanto all’applicazione complessiva della direttiva è cruciale,
perché deve garantire che sia effettiva e adeguata in tutti gli Stati membri. I regimi istituiti
dagli Stati membri a tal fine sono molteplici: in alcuni paesi l’applicazione è
assicurata principalmente da autorità pubbliche, come i mediatori per i
consumatori (Danimarca, Svezia e Finlandia), dalle autorità di tutela dei
consumatori o della concorrenza (Italia, Irlanda, Paesi bassi, Romania e Regno
Unito) e da specifici dipartimenti dei ministeri (Portogallo e Belgio); in
altri Stati membri vige un sistema di controllo privato gestito dai concorrenti
(Austria e Germania). La maggior parte dei regimi, tuttavia, combina aspetti
sia pubblici che privati. Le sanzioni vanno da provvedimenti d’ingiunzione al
risarcimento dei danni, alle ammende e alle sanzioni penali, e nella maggior
parte degli Stati membri esiste una combinazione di queste tipologie[118]. Gli Stati membri e
i portatori d’interessi ritengono che, a livello nazionale, l’applicazione
della direttiva in termini generali sia adeguata ed efficace. Tuttavia, secondo
alcuni, l’adeguatezza e l’efficacia dell’applicazione potrebbero essere
ostacolate dalla mancanza di risorse degli organismi preposti a livello
nazionale, dalla complessità e lunghezza delle procedure nonché dall'insufficiente
effetto deterrente delle sanzioni. Uno Stato membro[119] e diverse associazioni di
consumatori[120]
invocano sanzioni più severe[121]
e, in alcuni casi, mezzi di ricorso collettivi. Diversi Stati
membri e portatori d’interessi confermano che la situazione incide anche
sull’effettiva applicazione della normativa a livello transfrontaliero. La
consultazione ha evidenziato che, nei casi di pratiche commerciali sleali
transfrontaliere, dare una risposta rapida ed efficiente è una vera sfida per
le autorità responsabili dell’applicazione, dati i limiti posti dalle frontiere
giurisdizionali. Inoltre, le risorse disponibili sono limitate. Le statistiche contenute nella relazione 2012
sull’applicazione del regolamento CPC[122]
mostrano che la direttiva costituisce di gran lunga il motivo per il maggior
numero di richieste di assistenza reciproca fondate su un unico insieme
definito di norme. Tra il 2007 e il 2010, sui 1343 interventi ai sensi del
regolamento CPC, 654 (48,7%) sono risultati motivati da violazioni della direttiva.
Il resto delle richieste riguardava violazioni di altre 14 direttive (ad
esempio la direttiva 1999/44/CE su taluni aspetti della vendita e delle
garanzie dei beni di consumo) e di un regolamento. Sin dalla sua costituzione, la rete ha proceduto
annualmente, con il coordinamento della Commissione e in aggiunta alla
cooperazione bilaterale per l’applicazione della direttiva, a interventi per il
rispetto delle norme chiamati “sweep” (indagini a tappeto). In questo tipo di
indagine, le autorità competenti verificano simultaneamente siti web a campione
in un dato settore per accertarne la conformità alle norme dell’Unione sulla
tutela dei consumatori e in un secondo tempo adottano, ove necessario, le
opportune misure di esecuzione. Le cinque indagini a tappeto svolte finora
hanno contribuito a migliorare il rispetto delle norme nei settori controllati
(siti web per la vendita di biglietti aerei, di suonerie per telefoni
cellulari, di prodotti elettronici, di biglietti per manifestazioni sportive e
culturali e per l’offerta di credito al consumo). Le autorità hanno controllato
circa 2200 siti web in diversi settori; in media, l’80% di quelli in cui sono
state riscontrate violazioni della normativa di tutela dei consumatori sono
stati corretti in seguito all’intervento delle autorità nazionali. I risultati
della prima fase dell’indagine a tappeto 2012 sul contenuto digitale conferma
un tasso di non conformità simile a quello delle indagini precedenti. Le
autorità nazionali stanno attualmente procedendo a un ulteriore intervento
esecutivo per consentire alle imprese interessate di chiarire le rispettive
posizioni o di correggere i siti[123]. Benché non siano disponibili dati sul numero di
decisioni adottate e di sanzioni irrogate dalle autorità nazionali, si possono
fornire i seguenti esempi rappresentativi: in Italia, fra l’entrata in vigore
della direttiva e la metà del 2011, l’Autorità garante della concorrenza ha
emesso più di 700 decisioni e irrogato sanzioni amministrative per un totale di
91 milioni di euro; in Francia, la Direzione generale per la concorrenza, gli
affari dei consumatori e il controllo delle frodi (DGCCRF) ha emesso 1251
verbali[124]
e irrogato sanzioni in conseguenza per circa 1,7 milioni di euro[125]; in Lettonia, il Centro per
la tutela dei diritti dei consumatori ha adottato 154 decisioni vincolanti e
irrogato sanzioni per 159 400 euro; in Finlandia, il mediatore per i
consumatori ha avviato 8 azioni in giudizio; in Irlanda l’Agenzia nazionale per
i consumatori ha adottato 14 azioni, 116 note di conformità, due provvedimenti
inibitori e ha avviato 2 procedimenti penali; in Slovacchia, l’Ispettorato per
il commercio ha emanato 46 decisioni amministrative e irrogato sanzioni per un
totale di 151 800 euro; infine, in Svezia sono state emesse 18 pronunce giudiziali
e 52 provvedimenti d’ingiunzione. Occorre maggiore impegno nell’applicazione
delle norme per garantire un elevato livello di protezione dei consumatori,
specie a livello transfrontaliero ma anche in ambito nazionale. Questa
conclusione si basa sull’esperienza che la Commissione ha maturato nella
cooperazione con le autorità nazionali, sulle risposte ricevute dai centri
europei dei consumatori[126]
e da altri portatori d’interessi, nonché su altre fonti disponibili (in
particolare le relazioni sull’applicazione del regolamento CPC)[127]. 4.2. Autoregolamentazione La direttiva sostiene il principio secondo cui
l’autoregolamentazione può coadiuvare l’applicazione giudiziaria e
amministrativa, e chiarisce il ruolo che possono svolgere nell’applicazione i
responsabili dei codici[128].
Come può vedersi dall’esperienza di certi
ordinamenti giuridici[129],
gli organismi di autoregolamentazione possono contribuire ad un maggior
rispetto delle norme giuridiche e ad alleviare l’onere gravante sugli organismi
pubblici di esecuzione. Gli Stati membri possono contare sui sistemi di
risoluzione delle controversie offerti dall’autoregolamentazione per rafforzare
la tutela dei consumatori e massimizzare la conformità alla legislazione e le
migliori prassi di mercato. La direttiva conferma però il fatto che
l’autoregolamentazione non può sostituirsi ai mezzi di esecuzione giudiziali o
amministrativi. Per di più, la direttiva rafforza l’efficacia dei codici di
condotta imponendo agli Stati membri di applicare le norme di autoregolamentazione
nei confronti dei professionisti che si sono impegnati a rispettare i codici
applicabili[130]. 5. DESCRIZIONE DEI VANTAGGI
DELLA DIRETTIVA L’esperienza maturata nei primi anni di
applicazione dimostra che la direttiva ha contribuito a rafforzare la tutela
dei consumatori negli Stati membri, proteggendo al contempo le imprese che
rispettano le regole dalle concorrenti che le violano. È stata usata dalle autorità responsabili
della tutela dei consumatori per fermare e sanzionare una vasta gamma di
pratiche commerciali sleali[131].
La direttiva è l’unico strumento a carattere generale della vigente
legislazione dell’Unione che consenta di valutare le asserzioni ambientali o le
pratiche aggressive. Le sue norme di principio si sono dimostrate
particolarmente efficaci nel consentire alle autorità nazionali di adattare le
loro valutazioni alla rapida evoluzione di prodotti, servizi e metodi di
vendita. La “lista nera” è stata per le autorità nazionali uno strumento
efficace contro le pratiche sleali comuni come la pubblicità propagandistica[132], le offerte falsamente
gratuite, la pubblicità occulta e le esortazioni dirette ai bambini. Le norme
sono state usate anche per contrastare le pratiche sleali nei settori dei
servizi finanziari e dei beni immobili. Questo quadro giuridico si presta facilmente
anche alla valutazione della natura leale delle nuove pratiche online che si
vanno sviluppando parallelamente all’evoluzione delle tecniche di pubblicità.
Può rappresentare una risposta esecutiva tempestiva agli abusi perpetrati per
mezzo di nuovi strumenti comunemente usati come i siti web per il confronto dei
prezzi e le prenotazioni collettive, o riguardo, ad esempio, al sempre maggior
coinvolgimento della pubblicità nelle reti sociali . A livello transfrontaliero circa la metà delle
misure adottate nell’ambito della rete CPC (richieste di informazioni, allarmi
e richieste di intervento) hanno riguardato violazioni della direttiva[133]. Inoltre, varie indagini a
tappeto congiunte (sweep) sono state svolte dalla rete CPC sulla base delle
disposizioni della direttiva (siti web che vendono biglietti di compagnie
aeree, servizi online per i telefoni cellulari, beni di consumo elettronici)[134]. La cooperazione con le autorità nazionali
responsabili del rispetto delle norme, e gli elementi dell’attuazione raccolti
nella banca dati della direttiva rivelano che le norme sono applicate in modo
quasi uniforme. I chiarimenti apportati dalla Corte di giustizia e dalla
Commissione hanno in effetti contribuito a questo processo. Sostituendo le normative frammentarie degli
Stati membri in materia di pratiche commerciali sleali con un unico insieme di
norme, la direttiva ha contribuito a rimuovere gli ostacoli al commercio
transfrontaliero e semplificato il quadro normativo. La strategia Europa 2020 esige il
“coinvolgimento dei cittadini ai fini della loro piena partecipazione al
mercato unico”, che richiede di “offrire loro maggiori possibilità e dare loro
maggiori garanzie per quanto riguarda l’acquisto di beni e servizi
oltrefrontiera”. L’elevato livello di tutela che la direttiva stabilisce
risulta contribuire a rafforzare la fiducia dei consumatori: dati recenti
rivelano che, rispetto al 2006 quando la direttiva non era ancora stata
recepita negli Stati membri, sono aumentati i consumatori interessati ad
effettuare acquisti transfrontalieri (52 %, +19 punti percentuali) e disposti a
spendere più denaro oltre frontiera (18 %, +5 punti percentuali)[135]. Tuttavia, va preso atto del
fatto che la crescita degli acquisti online transfrontalieri è di gran lunga
inferiore rispetto a quella sul piano nazionale, e pertanto occorre fare di più[136]. È per questo che occorre ora
mettere l’accento su una corretta e coerente applicazione della direttiva,
perché cittadini e imprese dell’Unione possano trarre pieno vantaggio dalle
opportunità offerte dal mercato unico. La Commissione ha identificato come settori
che presentano il maggior potenziale di crescita nel mercato unico quelli del
commercio al dettaglio (anche elettronico), dei trasporti, dell’economia
digitale e dell’energia/sostenibilità[137]
e in questo ambito la direttiva ha un ruolo fondamentale da svolgere. Occorre impegnarsi ancora per potenziare
l’applicazione della direttiva. Le risorse degli Stati membri sono limitate e
l’effetto deterrente delle sanzioni va rafforzato, così come va potenziata la
cooperazione nei casi transfrontalieri nell’ambito del campo d’applicazione del
regolamento CPC. La volontà di potenziare l’applicazione, sia a
livello nazionale che transfrontaliero, esige che il ruolo della
Commissione sia più incisivo, unendo le forze a quelle degli Stati
membri e sostenendoli nell’applicazione della direttiva in tutta l’UE. A questo
proposito, la Commissione valuterà in che modo potrà svolgere, nel rispetto dei
trattati, un ruolo più attivo nell'incoraggiare l'applicazione coerente della
direttiva, in particolare riguardo alle pratiche sleali che presentano una
dimensione transfrontaliera, come quelle messe in atto online e che pongono
problemi comuni alle autorità di controllo. 6. CONCLUSIONI Come annunciato nella comunicazione
sull’applicazione della direttiva sulle pratiche commerciali sleali, che
accompagna la presente relazione, non risulta opportuno modificare la direttiva
in questa fase. Questa conclusione rispecchia i risultati della consultazione e
le conclusioni preliminari tratte dall’esperienza sull’applicazione negli Stati
membri, che è già notevole ma ancora troppo limitata per un testo legislativo
di così ampia portata. Le preoccupazioni espresse da alcuni portatori
d’interessi riguardo all’applicazione della direttiva a certe pratiche
commerciali sleali possono trovare risposta in iniziative volte al
miglioramento dell’applicazione negli Stati membri. Perciò, e come descritto
nella comunicazione, occorre concentrare ulteriormente l’impegno su aree
tematiche di rilievo in cui risultano più frequenti i danni e le mancate
opportunità per i consumatori, e in cui maggiore è il potenziale di crescita
del mercato unico. [1] Questa relazione accompagna la
comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio e al
Comitato economico e sociale relativa alla direttiva sulle pratiche commerciali
sleali “Ottenere un livello elevato di tutela dei consumatori – Rafforzare
la fiducia nel mercato interno”. Ai sensi dell’articolo 18 della direttiva,
la Commissione è tenuta a presentare una relazione sull’applicazione della
direttiva con riguardo a questioni specifiche, quali i servizi finanziari e i
beni immobili, la “lista nera” delle pratiche vietate in qualunque circostanza
nonché le possibilità di armonizzare e semplificare ulteriormente. Come
illustrato al considerando 24 della direttiva, è opportuno valutare
l’applicazione della direttiva onde assicurare che sia stato affrontato il
problema degli ostacoli al mercato interno e sia stato raggiunto un alto
livello di protezione dei consumatori. [2] Direttiva 2005/29/CE del Parlamento
europeo e del Consiglio, dell’11 maggio 2005, relativa alle pratiche
commerciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato interno e che modifica
la direttiva 84/450/CEE del Consiglio e le direttive 97/7/CE, 98/27/CE e 2002/65/CE
del Parlamento europeo e del Consiglio e il regolamento (CE) n. 2006/2004 del
Parlamento europeo e del Consiglio. [3] Si veda l’agenda europea dei
consumatori, azione 3 (modernizzazione dell’acquis in materia di diritti
dei consumatori). [4] In risposta alla consultazione sono
stati ricevuti 25 contributi da parte di Stati membri (Lussemburgo e Malta non
hanno fornito alcuna risposta), due da Islanda e Norvegia e 76 da portatori
d'interessi, compresi 20 centri europei dei consumatori, 9 associazioni di
consumatori e 47 portatori d'interessi delle imprese (tra cui camere di
commercio, organizzazioni di coordinamento/federazioni e organismi di
auto-regolamentazione). [5] A norma dell'articolo 18 della
direttiva, la presente relazione fornisce una valutazione del funzionamento
dell'articolo 3, paragrafo 9, riguardante l’applicazione della direttiva
ai settori dei servizi finanziari e dei beni immobili. [6] Si veda Study on the application
of the Unfair Commercial Practices Directive to financial services and
immovable property (Studio sull’applicazione della direttiva sulle pratiche
commerciali sleali ai servizi finanziari e ai beni immobili), condotto da Civic
Consulting per conto della Commissione europea, DG Giustizia 2012,
disponibile alla pagina web http://ec.europa.eu/justice/consumer-marketing/document. [7] Cfr. articolo 4 della direttiva. [8] Belgio, Irlanda, Malta, Polonia, Slovacchia
e Slovenia hanno completato il recepimento entro il 12 luglio 2007. [9] Spagna. [10] Anche i tre paesi SEE - Islanda,
Liechtenstein e Norvegia - hanno adottato la normativa necessaria a recepire la
direttiva. [11] Si vedano le sentenze del 23 aprile 2009
nella causa C-321/08, Commissione/Spagna, e del 5 febbraio 2009 nella
causa C-282/08, Commissione/Lussemburgo. [12] L’elenco delle misure di recepimento nazionali è
accessibile tramite la banca dati sulle pratiche commerciali sleali alla pagina
web https://webgate.ec.europa.eu/ucp/ o tramite il link: http://ec.europa.eu/justice/consumer-marketing/unfair-trade/unfair-practices/index_en.htm. [13] Sentenza del 23 aprile 2009 nelle
cause riunite C-261/07 e C-299/07, VTB-VAB NV / Total Belgium NV e Galatea
BVBA / Sanoma Magazines Belgium NV; sentenza del 14 gennaio 2010 nella
causa C-304/08, Zentrale zur Bekämpfung unlauteren Wettbewerbs eV / Plus
Warenhandelsgesellschaft mbH; ordinanza del 30 giugno 2011 nella causa C-288/10,
Wamo BVBA / JBC NV and Modemakers Fashion NV; ordinanza del 15 dicembre 2011
nella causa C-126/11, Inno NV / Unizo e altri. [14] Nel settore armonizzato dalla
direttiva. [15] Tra le direttive che contengono
clausole minime di armonizzazione nel settore armonizzato dalla direttiva 2005/29/CE
ricorrono: la direttiva 98/6/CE relativa all’indicazione dei prezzi dei
prodotti offerti ai consumatori, la direttiva 97/7/CE sui contratti a distanza,
la direttiva 85/577/CEE sui contratti negoziati fuori dei locali commerciali,
la direttiva 94/47/CE relativa all’acquisizione di un diritto di godimento a
tempo parziale di beni immobili e la direttiva 90/314/CEE concernente i viaggi,
le vacanze e i circuiti “tutto compreso”. [16] Danimarca, Finlandia, Irlanda,
Lettonia e Svezia. [17] Il 10 marzo 2008 la Danimarca ha
notificato le disposizioni relative alla pubblicità televisiva contenute nella
sezione 21 dell’ordinanza n. 1368 del 15 dicembre 2005 in materia di
pubblicità e sponsorizzazione radio-televisiva. Queste norme, riguardanti tra
l’altro le caratteristiche del prodotto pubblicizzato, il prezzo e le
competenze necessarie al suo utilizzo, sono saldamente radicate nel diritto
danese, contengono una tutela particolare per i minori e attuano la direttiva
"televisione senza frontiere" (direttiva 89/552/CEE del Consiglio,
ora direttiva 2010/13/UE sui servizi di media audiovisivi). [18] Direttiva 2010/13/UE del
Parlamento europeo e del Consiglio, del 10 marzo 2010, relativa al
coordinamento di determinate disposizioni legislative, regolamentari e
amministrative degli Stati membri concernenti l'esercizio delle attività
televisive (direttiva sui servizi di media audiovisivi). [19] Il Belgio non ha notificato le
disposizioni nazionali che vietano la vendita porta a porta di prodotti di un
valore superiore a 250 euro. La compatibilità di queste misure sarà vagliata
dalla Corte di giustizia nell’ambito di un procedimento pendente contro il
Belgio. [20] L’articolo 3, paragrafo 4, della
direttiva chiarisce che “in caso di contrasto tra le disposizioni della
presente direttiva e altre norme comunitarie che disciplinino aspetti specifici
delle pratiche commerciali sleali, prevalgono queste ultime e si applicano a
tali aspetti specifici”. [21] Si vedano gli orientamenti, pagina 18-19.
Ad esempio, il regolamento sui servizi aerei (regolamento (CE) n. 1008/2008 del
Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 settembre 2008, recante norme comuni
per la prestazione di servizi aerei nella Comunità) contiene disposizioni
specifiche sulla disponibilità al pubblico delle informazioni in materia di
prezzi: ai sensi dell’articolo 23 del regolamento, oltre al prezzo finale, che
deve comprendere tutte le imposte applicabili, i diritti, le tasse o i
supplementi, i vettori aerei devono anche fornire una descrizione dettagliata
del prezzo finale. Perciò, riguardo alle informazioni precontrattuali sui
prezzi delle tariffe aeree, saranno applicate dette disposizioni più
specifiche. Le disposizioni della direttiva intervengono per vietare le
pratiche commerciali che sono suscettibili di ingannare il consumatore medio
(come la pubblicità e il marketing propagandistici delle tariffe aeree) e le
pratiche che costituiscono un comportamento aggressivo (come barriere non
contrattuali onerose e sproporzionate imposte ai consumatori che vogliono
esercitare il diritto di risolvere il contratto). [22] “[…] une disposition nationale telle que celle en cause
au principal n’est pas susceptible de relever du champ d’application de la
directive sur les pratiques commerciales déloyales si elle se limite seulement,
comme le considère la juridiction de renvoi, à réglementer les relations concurrentielles
entre commerçants et ne poursuit pas des finalités tenant à la protection des
consommateurs." (causa C‑126/11, Inno, punto 29). [23] Si veda inoltre la sezione 3.3.4
infra sull’invito all’acquisto e gli obblighi informativi sul prezzo. [24] Orientamenti per
l’attuazione/applicazione della direttiva 2005/29/CE relativa alle pratiche
commerciali sleali (documento di lavoro dei servizi della Commissione SEC(2009)
1666), 3 dicembre 2009 - http://wcmcom-ec-europa-eu-wip.wcm3vue.cec.eu.int:8080/justice/consumer-marketing/files/ucp_guidance_it.pdf
[25] Si vedano ad esempio le conclusioni
dell’Avvocato generale nella causa C-122/10, Konsumentombudsmannen KO/Ving
Sverige AB, punti 30, 40 e nota 13. [26] Si veda il sito https://webgate.ec.europa.eu/ucp/ . Questa banca dati si basa sulla decisione n. 1926/2006/CE del
Parlamento europeo e del Consiglio, del 18 dicembre 2006, che istituisce un
programma d'azione comunitaria in materia di politica dei consumatori (2007-2013)
- Azione 9: consulenza giuridica e tecnica, compresi studi, per il controllo e
la valutazione tanto del recepimento e dell'applicazione da parte degli Stati
membri della legislazione in materia di tutela dei consumatori quanto
dell'attività svolta dagli Stati membri per garantire l'esecuzione di tale
normativa, in particolare della direttiva 2005/29/CE.
Ciò comprende anche lo sviluppo e la gestione di banche dati facilmente
e pubblicamente accessibili riguardanti l’applicazione della normativa
comunitaria sulla tutela dei consumatori. [27] La banca dati contiene attualmente
(maggio 2012) le sintesi di 158 decisioni amministrative e 202 pronunce
giudiziali (comprese 63 sentenze della corte nazionale di ultima istanza). [28] http://www.eu-consumer-law.org/index.html. [29] https://e-justice.europa.eu/home.do. [30] Articolo 2, lettera c), della
direttiva. [31] Articolo 3, paragrafo 1, della
direttiva. [32] Articolo 3, paragrafo 2, della
direttiva. [33] Si tratta di Germania, Austria,
Francia e Svezia. In Germania, però, solo l’allegato I della direttiva (“lista
nera”) viene applicato ai rapporti B2B, mentre in Francia lo sono solo
l’articolo 6 e l’allegato I (solo per la parte sulle pratiche ingannevoli). [34] Si veda la comunicazione della
Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e
sociale europeo e al Comitato delle regioni “Proteggere le imprese dalle
pratiche di commercializzazione ingannevoli e garantire l’effettivo rispetto
delle norme” - Revisione della direttiva 2006/114/CE concernente la
pubblicità ingannevole e comparativa, 27 novembre 2012 (COM(2012) 702 final). [35] L’Office of Fair Trading
nel Regno Unito. [36] Estonia, Irlanda, Lettonia e Romania. [37] Il Regno Unito. [38] Ad esempio, mediante un chiarimento
da parte dei servizi della Commissione negli orientamenti. [39] Si veda l’articolo 6, paragrafo 1,
lettere c) ed f), della direttiva. [40] Alcuni Stati membri (ad es. Italia e
Francia) e portatori d'interessi hanno dichiarato di poter essere favorevoli ad
un'estensione solo per risolvere problemi molto specifici come le attività
ingannevoli delle società di compilazione degli annuari; la Romania ritiene che
un’estensione della direttiva alle situazioni B2B creerebbe un approccio più
coerente riguardo alle pratiche commerciali dirette sia alle imprese che ai
consumatori; i paesi Bassi vorrebbero estendere la direttiva sino a tutelare le
imprese dal problema delle “false fatture”; Germania, Austria e Svezia, che
applicano già la totalità delle disposizioni della direttiva anche alle
operazioni tra imprese, vorrebbero che queste ultime beneficiassero dello
stesso livello di tutela dei consumatori in tutta l’UE. [41] Si vedano ad esempio le
interrogazioni parlamentari E-5539/08, E-010017/2010, E-1704/2011. [42] COM(2001) 546 definitivo del 2.10.2001;
proposta modificata COM(2002) 585 definitivo del 25.10.2002. [43] Si vedano anche le sentenze nelle
cause C-304/08 Plus Warenhandelsgesellschaft (rinvio pregiudiziale,
Germania, 14 gennaio 2010), C-540/08 Mediaprint Zeitungs (rinvio
pregiudiziale, Austria, 9 novembre 2010) e C-522/08 Telekomunikacja Polska
(rinvio pregiudiziale, Polonia, 11 marzo 2010). [44] Alcune autorità nazionali
responsabili dell’applicazione della direttiva ritengono che l’assenza di
queste norme dettagliate possa generare incertezza giuridica e rendere
l’applicazione troppo gravosa o inefficiente (ai sensi della direttiva, occorre
dimostrare caso per caso che una vendita promozionale è ingannevole). [45] Sei Stati membri (Belgio, Danimarca,
Finlandia, Francia, Irlanda e Lettonia) hanno già modificato la loro normativa
riguardo alle promozioni delle vendite, per adeguarla alla direttiva e alla
giurisprudenza della Corte di giustizia. 13 Stati membri conservano tuttora
norme più severe rispetto alla direttiva, riguardo agli sconti sui prezzi
(Belgio, Bulgaria, Estonia, Finlandia, Francia, Lettonia, Polonia, Portogallo e
Spagna) o alle lotterie commerciali (Austria, Danimarca, Finlandia, Francia,
Germania e Lussemburgo). Norme analoghe esistono in Islanda e Norvegia. [46] Francia, Germania, Irlanda, Lettonia
e Spagna. [47] Belgio, Danimarca, Spagna (e
Norvegia). [48] Slovacchia, Polonia, Bulgaria, Paesi
Bassi, Regno Unito. [49] L’Associazione europea dei marchi e
la Camera federale del lavoro austriaca. [50] CLCV - Consommation Logement
Cadre de Vie, Francia. [51] Il Centro europeo dei consumatori
irlandese. [52] Ad esempio, in Polonia, Danimarca e
Svezia. [53] Un esempio di questo tipo può
riscontrarsi nel caso di un’autorità nazionale che ha ritenuto che la pratica
di interrompere l'erogazione d'acqua senza alcuna previa comunicazione non
rispettasse il requisito della diligenza professionale. L’autorità ha
considerato che, tenuto conto dell’importanza del servizio di erogazione
dell’acqua, il professionista era tenuto a garantire un livello più elevato di
diligenza professionale e avrebbe dovuto adottare misure specifiche prima di
interrompere l’erogazione. Autorità garante della concorrenza e del mercato
italiana (AGCM), decisione del 12 marzo 2009, PS 166 - Acea Distacco
fornitura d’acqua. [54] Causa C-435/11, CHS Tour
Services. [55] La Danimarca e i Paesi Bassi fanno
riferimento al rafforzamento della tutela dei consumatori vulnerabili mediante
interventi normativi, senza tuttavia specificare soluzioni/opzioni. [56] Come menzionato nell’agenda europea
dei consumatori, occorre assicurare che i consumatori vulnerabili siano
tutelati dai rischi che derivano dagli effetti della crisi economica, dal
progressivo invecchiamento della popolazione e dalla crescente complessità dei
mercati digitali unitamente alla scarsa dimestichezza che alcuni consumatori
possono avere con l’ambiente digitale. [57] Si veda la sezione 4 della presente
relazione sull’applicazione. [58] L’ ”indagine a tappeto” condotta nel 2008 riguardava i
siti web che vendono suonerie, sfondi e altri servizi per telefoni cellulari.
Sui 500 siti controllati durante l’azione, 301 sono stati trovati in violazione
grave delle norme di diritto del consumo dell’Unione e più della metà di questi
miravano specificamente ad adolescenti e bambini. Tre sono i problemi
principali riscontrati: prezzi non chiari, mancanza di informazioni complete e
pubblicità ingannevole (in particolare, la pubblicizzazione di suonerie come
falsamente “gratuite” quando in realtà il consumatore sottoscrive un
abbonamento a pagamento). Per i risultati della prima fase dell’indagine a
tappeto 2012 sul contenuto digitale, cfr. http://ec.europa.eu/consumers/enforcement/sweep/digital_content/index_en.htm [59] Decisione dell’Autorità garante della
concorrenza e del mercato italiana (AGCM) PS7256 – Comet-Apple Prodotti in
Garanzia Provvedimento n. 23193, 27 dicembre 2011 – L’impresa sotto
indagine ha offerto una garanzia commerciale nella quale rientravano servizi a
cui i consumatori avevano già diritto ai sensi della direttiva 1999/44/CEE del
Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 maggio 1999, su taluni aspetti della
vendita e delle garanzie dei beni di consumo (ovvero, due anni di garanzia
legale nei confronti del venditore per difetto di conformità). La Commissione
ha sostenuto l’impegno delle associazioni di consumatori portando la questione
all’attenzione del CPC Network (rete delle autorità nazionali responsabili
dell’applicazione della direttiva) e per iscritto (con lettera della
vicepresidente Reding del 21 settembre 2012) a tutti i ministri dell’Unione
responsabili della protezione dei consumatori, al fine di garantire un
approccio coordinato all’applicazione laddove sorga un problema ricorrente in
vari Stati membri. [60] AIM Associazione europea delle industrie
di prodotti di marca. [61] Si veda l’articolo 2, lettera i),
della direttiva. [62] Direttiva 2011/83/UE del Parlamento
europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2011, sui diritti dei consumatori,
recante modifica della direttiva 93/13/CEE del Consiglio e della direttiva 1999/44/CE
del Parlamento europeo e del Consiglio e che abroga la direttiva 85/577/CEE del
Consiglio e la direttiva 97/7/CE del Parlamento europeo e del Consiglio. [63] Direttiva 2000/31/CE del Parlamento
europeo e del Consiglio, dell'8 giugno 2000, relativa a taluni aspetti
giuridici dei servizi della società dell'informazione, in particolare il
commercio elettronico, nel mercato interno ("direttiva sul commercio
elettronico"). [64] Il problema principale sollevato
inizialmente dai portatori d'interessi durante la fase di recepimento della
direttiva consisteva nel dire che un approccio rigido (tipo “check-list”)
all’applicazione di tali obblighi avrebbe portato ad un onere sproporzionato
per i professionisti e i pubblicitari. Essendo l’invito all’acquisto un
concetto nuovo, non era chiaro, ad esempio, in che misura l’esposizione delle
“caratteristiche principali” sarebbe stata considerata appropriata rispetto al
mezzo usato per la pubblicità ed il prodotto in questione (cfr. articolo 7,
paragrafo 4, lettera a)). La World Federation of Advertisers
(Federazione mondiale delle agenzie di pubblicità) proponeva quindi di limitare
l’applicazione degli obblighi d'informazione solo quando, insieme all'invito,
fosse messo a disposizione del consumatore un "meccanismo" per
effettuare l'acquisto. [65] Sentenza del 12 maggio 2011, nella
causa C-122/10, Konsumentombudsmannen / Ving Sverige AB. [66] Il prezzo più basso a cui possono
essere acquistati il prodotto o la categoria di prodotti pubblicizzati, anche
se questi ultimi sono disponibili anche a prezzi che non sono indicati (ad es.
biglietti per Parigi disponibili “a partire da 100 EUR”). [67] Si veda in particolare l’articolo 23
del regolamento (CE) n. 1008/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio,
del 24 settembre 2008, recante norme comuni per la prestazione di servizi aerei
nella Comunità (rifusione). [68] Si vedano in particolare l’articolo 5,
paragrafo 1, lettera c), l’articolo 19 e l’articolo 22 della direttiva sui
diritti dei consumatori. [69] Dal momento in cui il professionista
formula un “invito all’acquisto” nel senso descritto dall’articolo 7, paragrafo
4, della direttiva. [70] Otto associazioni di consumatori, 11
centri europei dei consumatori e 10 organizzazioni che rappresentano
l’industria hanno segnalato problemi in merito al prezzo. [71] Lo studio ‘Price Transparency in
the air transport sector’ della Steer Davies Gleave (2011) demandato dalla
Commissione europea, ha valutato la conformità dei siti web agli obblighi
d’informazione contenuti in cinque atti legislativi dell'UE tra cui la
direttiva 2005/29/CE sulle pratiche commerciali sleali. Sulla base degli esiti,
lo studio raccomanda di concentrare l’intervento sull’applicazione della
normativa vigente piuttosto che su una sua modifica. [72] Lo studio ‘Advertising of Prices’ (sulla pubblicità
dei prezzi) dell’Office of Fair trading ha esaminato la questione se le
modalità di presentazione dei prezzi ai consumatori incidano sul loro processo
decisionale e su quanto spendono. I risultati hanno mostrato che il ‘drip pricing’
(prezzatura “a goccia”, anche denominata prezzatura frazionata) – in cui i
consumatori vedono in un primo tempo solo una parte del prezzo e i relativi
aumenti sono aggiunti mano a mano durante il processo di acquisto – è
responsabile della maggior parte della perdita economica media, che è risultata
raggiungere il 15% del valore in questione. OFT(2010), Advertising
of prices, http://www.oft.gov.uk/OFTwork/markets-work/advertising-prices/. [73] Caso: Airline payment
surcharges - CRE-E/27017, (luglio 2012). - http://www.oft.gov.uk/OFTwork/consumer-enforcement/consumer-enforcement-completed/card-surcharges/. [74] Si vedano i provvedimenti Autorità
Garante per la Concorrenza ed il Mercato, (2011-2012): PS/4261, PS/5530,
PS/3773, PS/892, PS/6147, PS/5667, PS/7430,
PS/3771, PS/7505, PS/7493 and PS/7383 - http://www.agcm.it/consumatore.html. [75] Le conclusioni della comunicazione,
adottata dalla Commissione nel 2006, sull’applicazione della direttiva relativa
all’indicazione dei prezzi affermano che la direttiva non ha dato luogo a gravi
problemi di recepimento in alcuno Stato membro e che, in generale, la direttiva
ha contribuito a rafforzare la protezione dei consumatori. Una consultazione
più recente è stata condotta tra gli Stati membri nella primavera del 2012, per
contribuire alla valutazione da parte della Commissione dell’efficacia attuale
di questa direttiva. I risultati hanno mostrato che gli Stati membri: i) non
sono a conoscenza di problemi transfrontalieri legati all'attuazione della
direttiva (che non presenta una dimensione transfrontaliera notevole); ii)
fanno ampio uso delle deroghe previste dalla direttiva (ossia, l’esenzione per
i servizi, le vendite all’asta e le vendite di opere d’arte e d’antiquariato,
nonché della deroga temporanea all’applicazione della direttiva alle piccole
imprese); iii) sono favorevoli ad un’armonizzazione minima in questo campo (più
di 10 Stati membri hanno introdotto o mantenuto norme nazionali che prevedono
un livello di protezione dei consumatori più elevato riguardo all’indicazione
del prezzo). L’ampia maggioranza degli Stati membri ha indicato di effettuare
periodicamente controlli sistematici sul mercato e di disporre di sanzioni
efficienti (in forma di ammende) a livello nazionale per le violazioni della
direttiva. Può essere necessaria a questo proposito un’indagine ulteriore. [76] A titolo di esempio, la Francia e
l’Italia hanno segnalato, nell’ambito dei rispettivi dialoghi di lavoro con la
Commissione, che, almeno in un’occasione, le richieste di cooperazione su
questioni di prezzatura sono state rigettate da Stati membri (ad esempio,
dall’Irlanda nel settore del trasporto aereo) che hanno ritenuto le pratiche in
questione irrilevanti ai fini della potenziale dannosità per “l’interesse
collettivo dei consumatori”, come previsto dal regolamento CPC. [77] Solo sei Stati membri (Belgio,
Finlandia, Irlanda, Lituania, Romania, Paesi Bassi), oltre all’Islanda e alla
Norvegia, sono favorevoli ad un’ulteriore regolamentazione del settore degli
obblighi in materia di prezzi, sia pur per ragioni diverse (ad es. per chiarire
quando l’informazione sui prezzi sia “rilevante” e per garantire che venga
menzionato nella pubblicità il prezzo all’unità). [78] Italia, AGCM, 2009, PS1270 - Vodafone
– Ostacoli alla migrazione e retention ingannevole, Provvedimento
n. 19756. [79] Italia, AGCM, 2008, PS91 – Enel
Energia – Richiesta cambio fornitore, Provvedimento n. 18829. [80] I dati a disposizione dei servizi
della Commissione mostrano che i consumatori sono esposti a varie forme di
pressione finalizzate a concludere un contratto. [81] Si veda l’allegato I, punti da 24 a 31,
della direttiva. [82] Nell’indagine a tappeto (“sweep”) del
2008 sui siti web che vendono suonerie, sfondi e altri servizi per telefoni
cellulari, si è riscontrato che, su più di 500 siti controllati durante le
operazioni, 301 avevano commesso violazioni gravi delle norme di diritto
dell'Unione in materia di tutela dei consumatori, tra cui anche il punto 20
dell’allegato I. Cfr. punto 3.3.2 sui consumatori vulnerabili. [83] Causa C-428/11 Purely Creative e.a.
Cfr. la sezione 3.1.1 della presente relazione. [84] SELDIA Associazione europea delle
imprese di vendita diretta. [85] DSE, Direct Selling Europe. [86] Nessun problema è stato sollevato
riguardo al punto 14 dell’allegato I da associazioni di consumatori o da altri
portatori di interessi. [87] Regolamento (CE) n. 834/2007 del
Consiglio, del 28 giugno 2007, relativo alla produzione biologica e
all’etichettatura dei prodotti biologici e che abroga il regolamento (CEE) n. 2092/91
(GU L 189 del 20.7.2007, pagg. 1-23). Altri esempi di legislazione
specifica sono la direttiva 2010/30/UE del Parlamento europeo e del Consiglio,
del 19 maggio 2010, concernente l'indicazione del consumo di energia e di altre
risorse dei prodotti connessi al consumo energetico, mediante l'etichettatura
ed informazioni uniformi relative ai prodotti, e il regolamento (CE) n. 1222/2009
del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 novembre 2009,
sull’etichettatura dei pneumatici in relazione al consumo di carburante e ad
altri parametri fondamentali. [88] Come specificato nel considerando 10,
la direttiva offre effettivamente “una tutela ai consumatori ove a livello
comunitario non esista una specifica legislazione di settore e vieta ai
professionisti di creare una falsa impressione sulla natura dei prodotti”. [89] Orientamenti per
l’attuazione/applicazione della direttiva 2005/29/CE relativa alle pratiche
commerciali sleali (documento di lavoro dei servizi della Commissione SEC(2009)
1666), 3 dicembre 2009) - http://wcmcom-ec-europa-eu-wip.wcm3vue.cec.eu.int:8080/justice/consumer-marketing/files/ucp_guidance_it.pdf
[90] Ad esempio, la Francia. [91] Belgio, Francia, Lituania, Portogallo,
Slovenia. [92] Ad esempio, tra le espressioni più
comunemente usate si trovano: “ecologico, biodegradabile, neutro per le
emissioni di CO2, verde, sostenibile, naturale, efficiente dal punto
di vista energetico, non tossico, a basso tenore di carbonio, senza inquinanti,
pulito, a emissioni zero, equo e solidale”. [93] Ad esempio, il BEUC. [94] L’Advertising Standard Authority
(‘ASA’) del Regno Unito, ad esempio, ha ricevuto e valutato approfonditamente
un gran numero di denunce anche su asserzioni ambientali. Si veda la sezione 4
sull’applicazione. [95] Il 16 luglio 2008 la Commissione europea ha presentato il
piano d’azione "Produzione e consumo sostenibili" e "Politica
industriale sostenibile". L’11 gennaio 2012 ha avviato una consultazione
pubblica su "consumo e produzione sostenibili”. Per maggiori informazioni:
http://ec.europa.eu/environment/eussd/escp_en.htm [96] Allo European Consumer Summit del 29 maggio 2012,
la Commissione europea ha organizzato un seminario sul green washing e
le asserzioni ambientali ingannevoli. Il seminario è stato un primo passo per
raccogliere spunti sulla riflessione in materia di asserzioni ambientali a
livello dell’Unione. Per maggiori informazioni si veda il sito http://www.european-consumer-summit.eu/. [97] Si veda il documento di lavoro dei
servizi della Commissione “Bringing e-commerce benefits to consumers”,
che accompagna la comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al
Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni
“Un quadro coerente per rafforzare la fiducia nel mercato unico digitale del
commercio elettronico e dei servizi on-line” (SEC(2011) 1640 final dell’11.1.2012,
pag. 19. Gli acquirenti usano una varietà di metodi di ricerca per operare
scelte informate quando acquistano prodotti online. Durante le ricerche le loro
prime mosse sono: per il 31%, visitare i siti web dei rivenditori; per il 30%,
usare un motore di ricerca; per il 27%, usare un sito di confronto dei prezzi;
e per il 24%, visitare un mercato online, mentre per il 24% è leggere riviste
specializzate per i consumatori. [98] Si veda il documento di lavoro dei
servizi della Commissione, ‘Bringing e-commerce benefits to consumers’,
Bruxelles, 11.1.2012 (SEC(2011) 1640 final), pag. 20. Contrariamente alle
disposizioni della direttiva sul commercio elettronico, in particolare
l’articolo 5, molti siti web di confronto dei prezzi (53%) non forniscono
l’indirizzo commerciale completo, cfr. pag. 22. [99] Cinque associazioni di consumatori,
sette organizzazioni di imprese e quattro centri europei dei consumatori. [100] I Paesi Bassi. [101] Si veda il documento di lavoro dei
servizi della Commissione “Knowledge Enhancing Aspects of Consumer
Empowerment 2012-2014”, 19.7.2012, SWD (2012) 235 final. [102] Office of Fair Trading, Regno Unito, caso CRE-E-26547, 26555, 26759, 26760, 26761, gennaio 2011, http://www.oft.gov.uk/OFTwork/consumer-enforcement/consumer-enforcement-completed/heating-oil/. [103] Tribunal de Commerce, 4 ottobre 2011, Synhorcat et autres / Expedia et autres. [104] Si veda la comunicazione sul commercio
elettronico, pag. 10. [105] Articolo 3, paragrafo 9, della
direttiva: “In merito ai “servizi finanziari” definiti alla direttiva 2002/65/CE
e ai beni immobili, gli Stati membri possono imporre obblighi più dettagliati o
vincolanti di quelli previsti dalla presente direttiva nel settore che essa
armonizza.” [106] Ad esempio, la direttiva 2007/64/CE
relativa ai servizi di pagamento e la direttiva 2008/48/CE relativa al credito
al consumo contengono norme di armonizzazione piena. [107] Si veda Study on the application of
the Unfair Commercial Practices Directive to financial services and immovable
property (Studio sull’applicazione della direttiva sulle pratiche
commerciali sleali ai servizi finanziari e ai beni immobili), condotto da Civic
Consulting per conto della Commissione europea, DG Giustizia, disponibile alla
pagina web http://ec.europa.eu/justice/consumer-marketing/document. [108] Organizzazioni quali autorità
nazionali responsabili del rispetto della normativa, associazioni nazionali dei
consumatori e mediatori, oltre ad un gruppo di accademici e di portatori
d’interessi a livello europeo come la Federazione bancaria europea (EBF), la
Federazione europea dell’assicurazione e riassicurazione (CEA) e l’Organizzazione
europea dei consumatori (BEUC). [109] Ad esempio, riguardo ai servizi
finanziari, specifici obblighi d’informazione nel settore bancario (come per la
concessione di un credito garantito da terzi in Germania, o l’annuncio
pubblicitario di servizi di cambio valuta in Spagna), dei servizi
d’investimento, delle assicurazioni, degli intermediari finanziari. Riguardo ai
beni immobili, gli obblighi d’informazione legati all’acquisto di un bene,
l'operazione commerciale in sé, l’agente immobiliare e i contratti di
costruzione. [110] Ad esempio, il divieto di chiamate
telefoniche indesiderate (“cold calling”), dell’invio di messaggi
elettronici non richiesti, della vendita porta a porta di crediti ipotecari e,
per gli agenti immobiliari, di trattenere denaro senza motivo previsto dalla
legge in Austria, della vendita porta a porta di crediti personali nei Paesi
Bassi, delle offerte congiunte in Belgio e Francia. [111] Ad esempio, in Danimarca, il divieto
per le banche di finanziare l'acquisto, da parte dei loro clienti, di azioni
del capitale proprio; in Francia, il divieto per le banche di impedire ai
propri clienti di rivolgersi ad un altro assicuratore del credito (che non sia
quello della banca stessa) quando il livello della garanzia offerta è analogo. [112] Ad esempio, il divieto di crediti
usurari nella maggior parte degli Stati membri, il divieto in Francia di
pubblicizzare la possibilità di ottenere un prestito senza l’obbligo per il
consumatore di documentare la propria posizione finanziaria, o il divieto in Austria
di emettere carte di debito intestate a minori senza il previo consenso del
loro rappresentante legale. [113] Si noti che i crediti legati a beni
immobili non rientrano nel campo d’applicazione della direttiva 2008/48/CE sul
credito al consumo e che la Commissione ha presentato il 31 marzo 2011 una
proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio in merito ai
contratti di credito relativi ad immobili residenziali. [114] Si veda Study on the application of
the Unfair Commercial Practices Directive to financial services and immovable
property (Studio sull’applicazione della direttiva sulle pratiche commerciali
sleali ai servizi finanziari e ai beni immobili), condotto da Civic Consulting
per conto della Commissione europea, DG Giustizia 2012, disponibile alla
pagina web http://ec.europa.eu/justice/consumer-marketing/document. [115] Avvenuto in Portogallo, cfr. lo studio
sull’applicazione della direttiva ai servizi finanziari e ai beni immobili
nell’UE, 2012. [116] Nello studio si legge che “la
possibilità per gli Stati membri di adottare o mantenere norme più severe
rispetto a quelle della direttiva lascia loro la flessibilità necessaria per
trattare pratiche commerciali (sleali) nuove, sviluppate in reazione alla
specifica normativa nazionale nei settori dei servizi finanziari e dei beni
immobili, e che l’eliminazione dell'articolo 3, paragrafo 9, danneggerebbe
sistemi di controllo del rispetto delle norme che funzionano bene, abbassando quindi
il livello di protezione dei consumatori…”. [117] Tra i partecipanti vi sono
l’associazione europea dei consumatori BEUC e alcune associazioni di
consumatori nazionali. Uno dei risultati dello studio è che gli specifici
obblighi d’informazione nazionali sono solitamente applicati a prescindere dal
fatto che possano trarre in inganno i consumatori e sono quindi più facili da
trattare da parte delle autorità, dei giudici, delle imprese e dei consumatori.
Spesso sono anche applicati nel quadro di un diverso sistema di controllo. Di
conseguenza, lo studio ha mostrato una preferenza per le norme previgenti in
quegli Stati membri che già avevano introdotto obblighi d’informazione. Questo
è vero sia per il settore dei servizi finanziari che per quello dei beni immobili. [118] Per maggiori dettagli ed esempi sui
regimi di applicazione e sulle sanzioni negli Stati membri, si rinvia alle
sezioni “applicazione” per ciascun paese, nella banca dati della direttiva,
alla pagina web https://webgate.ec.europa.eu/ucp/public/ [119] Il Belgio. [120] BEUC, Citizens Advice
(UK), CLCV (Consommation, Logement, Cadre de Vie - FR), Which
(UK). [121] Per migliorare questo aspetto,
l’Italia, per esempio, ha di recente aumentato la sanzione massima per le
violazioni della direttiva di dieci volte, da 500 000 euro a 5 milioni di euro. [122] Il regolamento CPC istituisce un
quadro di cooperazione che collega le autorità responsabili del rispetto delle
norme negli Stati membri, per formare una rete europea (la rete CPC). Essa
consente alle autorità coinvolte di lavorare a stretto contatto per fermare in
maniera tempestiva ed efficace le pratiche commerciali che violano le norme di
tutela dei consumatori, nei casi in cui il professionista e il consumatore
siano stabiliti in paesi diversi. La rete riunisce le autorità di tutela dei
consumatori di tutti gli Stati membri (oltre che quelle di Islanda e Norvegia).
Si veda ad esempio la seconda relazione biennale della Commissione al
Parlamento europeo e al Consiglio concernente l'applicazione del regolamento
(CE) n. 2006/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 ottobre 2004,
sulla cooperazione tra le autorità nazionali responsabili dell'esecuzione della
normativa che tutela i consumatori ("Regolamento sulla cooperazione per la
tutela dei consumatori") (COM(2012) 100 final del 12.3.2012), disponibile
alla pagina web
http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=COM:2009:0336:FIN:IT:PDF [123] Per i risultati della prima fase
dell’indagine a tappeto 2012 sul contenuto digitale, cfr. http://ec.europa.eu/consumers/enforcement/sweep/digital_content/index_en.htm
[124] ”Procès verbaux”. [125] In Francia, la DGCCRF ha emanato 1195
verbali per pratiche ingannevoli, corrispondenti a sanzioni per 73 828 euro
irrogate da giudici e a sanzioni per 1 649 451 euro direttamente comminate; ha
inoltre emesso 56 verbali per pratiche aggressive per le quali i giudici hanno
irrogato sanzioni per 15 000 euro. [126] I centri europei dei consumatori di
Belgio, Repubblica ceca, Portogallo e Regno Unito hanno segnalato problemi di
applicazione della direttiva in casi transfrontalieri (suggerendo che la
cooperazione tra autorità nazionali sia migliorata o segnalando che i casi
transfrontalieri non sono affrontati adeguatamente dai giudici nazionali). I
centri europei dei consumatori di Estonia, Finlandia, Irlanda, Lettonia,
Polonia e Svezia ritengono inadeguati gli attuali poteri di esecuzione, le
sanzioni e i mezzi di ricorso. [127] Si veda ad esempio la seconda
relazione biennale della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio
concernente l'applicazione del regolamento (CE) n. 2006/2004 del Parlamento
europeo e del Consiglio, del 27 ottobre 2004, sulla cooperazione tra le
autorità nazionali responsabili dell'esecuzione della normativa che tutela i
consumatori (“regolamento sulla cooperazione per la tutela dei consumatori”). Si
legge alla pag. 9 della relazione: “il numero di autorità che non fanno
attivamente ricorso ai meccanismi di cooperazione istituiti dal regolamento CPC
resta significativo”. Non si può non ammettere che, pur essendo la direttiva di
gran lunga la base giuridica più utilizzata per azioni nel quadro della
cooperazione, il numero di richieste di assistenza reciproca fondate sulla
direttiva resta relativamente basso per questo tipo di legislazione orizzontale
e generale. [128] Si veda l’articolo 10 della direttiva.
[129] Ad esempio, nella prima metà del 2010
l’Advertising Standard Authority (‘ASA’) del Regno Unito ha ricevuto e
approfonditamente valutato 14 596 denunce che hanno portato a 6 542
cause. Le denunce vanno diminuendo (di circa il 10%) rispetto agli anni
passati, segno dell’aumentato rispetto delle norme a seguito dell’impegno
dell’autorità. Per informazioni su numeri, decisioni e cause, si veda la
relazione annuale dell’ASA alla pagina web http://www.asa.org.uk/About-ASA/Annual-Report.aspx. [130] Si veda l’articolo 6, paragrafo 2,
lettera b), della direttiva. [131] Si veda la sezione 4 della presente
relazione sull’applicazione. [132] Si veda l’allegato I, punto 5, della
direttiva, che vieta la pratica di presentare offerte allettanti ai consumatori
quando il professionista non è in grado di fornire il prodotto nelle quantità
attese rispetto (tra l’altro) all’entità della pubblicità fatta. [133] Tra il 2007 e il 2010, sui 1343 interventi
ai sensi del regolamento CPC, 654 (il 48,7%) hanno riguardato violazioni della
direttiva. Si veda la relazione della Commissione al Parlamento europeo e al
Consiglio relativa all'applicazione del regolamento (CE) n. 2006/2004 del
Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 ottobre 2004, sulla cooperazione tra
le autorità nazionali responsabili dell'esecuzione della normativa che tutela i
consumatori (“regolamento sulla cooperazione per la tutela dei consumatori”)
(COM(2012) 100 final del 12.3.2012), disponibile alla pagina web
http://ec.europa.eu/consumers/enforcement/docs/comm_biennial_report_2011_it.pdf [134] http://ec.europa.eu/consumers/enforcement/index_en.htm [135] Si veda il Flash Eurobarometro
332, Consumers’ attitudes towards cross-border trade and consumer protection,
maggio 2012, pag. 8. Rispetto al 2006 sono aumentati i
consumatori interessati a fare acquisti transfrontalieri (52%, +19%) e disposti
a spendere più denaro oltrefrontiera (18%, +5%). È in crescita anche il numero
di consumatori (50%) disposti ad acquistare beni o servizi usando un’altra
lingua dell’UE (+17 punti percentuali rispetto al 2006), laddove la percentuale
di coloro che si dicono totalmente contrari all'idea di acquistare in un'altra
lingua è scesa dal 42 % nel 2008 al 30 % nel 2011. Anche la percentuale degli
europei che dichiarano di sapere dove trovare informazioni e assistenza per gli
acquisti transfrontalieri è aumentata notevolmente: dal 24 % nel 2006 al 39 %
nel 2011. [136] Durante il periodo 2008-2010, la
percentuale della popolazione che ha adoperato il commercio elettronico in
scambi B2C è cresciuta dal 28% al 36%, mentre gli acquirenti transfrontalieri
di prodotti online sono aumentati solo dal 6% al 9%. Nel 2010 solo il 9% dei
consumatori europei ha dichiarato di acquistare online oltre frontiera
(Eurostat, Information Society Statistics, 2010). [137] Si veda l’agenda europea dei
consumatori e la comunicazione della Commissione europea “Una governance
migliore per il mercato unico”.