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Document 52012DC0586

COMUNICAZIONE DELLA COMMISSIONE AL PARLAMENTO EUROPEO E AL CONSIGLIO L’APPROCCIO DELL’UNIONE ALLA RESILIENZA: IMPARARE DALLE CRISI DELLA SICUREZZA ALIMENTARE

/* COM/2012/0586 final */

52012DC0586

COMUNICAZIONE DELLA COMMISSIONE AL PARLAMENTO EUROPEO E AL CONSIGLIO L’APPROCCIO DELL’UNIONE ALLA RESILIENZA: IMPARARE DALLE CRISI DELLA SICUREZZA ALIMENTARE /* COM/2012/0586 final */


COMUNICAZIONE DELLA COMMISSIONE AL PARLAMENTO EUROPEO E AL CONSIGLIO

L’APPROCCIO DELL’UNIONE ALLA RESILIENZA: IMPARARE DALLE CRISI DELLA SICUREZZA ALIMENTARE

1.           AFFRONTARE NECESSARIAMENTE LA VULNERABILITÀ CRONICA

Le recenti e ricorrenti crisi alimentari nel Sahel e nel Corno d’Africa, che hanno ridotto alla fame più di 30 milioni di persone, evidenziano la necessità di un approccio sistematico e di lungo respiro in grado di rafforzare la resilienza dei paesi e delle popolazioni vulnerabili.

Le ricadute delle crisi economiche, l’aumento e la volatilità dei prezzi alimentari, la pressione demografica, i cambiamenti climatici, la desertificazione, il degrado ambientale, la pressione sulle risorse naturali, l’inadeguatezza dei regimi di proprietà fondiaria, la scarsità degli investimenti agricoli hanno esposto numerose regioni del pianeta a rischi maggiori, soprattutto naturali. Gli effetti di queste tendenze planetarie si esplicitano nell’intensificarsi e nell’inasprirsi di crisi e catastrofi naturali. Le famiglie più povere sono particolarmente vulnerabili e questa vulnerabilità è spesso aggravata dall’instabilità politica e dai conflitti. Nonostante i progressi, la fame continua a colpire un miliardo di persone e l’insicurezza alimentare è un problema particolarmente acuto nelle regioni soggette alla siccità, dove la popolazione dipende il più delle volte dall’agricoltura e dalla pastorizia.

L’Unione figura tra i più grandi donatori al mondo e soccorre le popolazioni colpite da crisi disparate, anche se negli ultimi anni la richiesta di assistenza è considerevolmente aumentata, superando di gran lunga le risorse disponibili. Si tratta di un’assistenza vitale che interviene però essenzialmente in situazioni di emergenza, mentre andrebbe affiancata da interventi che permettano alle popolazioni a rischio di resistere, reagire e adattarsi a eventi nefasti e a situazioni di stress ricorrenti.

Rafforzare la resilienza è un impegno di lungo respiro che strategie e programmazioni nazionali devono contemplare in modo deciso. È una componente del processo di sviluppo e per uno sviluppo autenticamente sostenibile non ci si può limitare a affrontare le conseguenze delle crisi ricorrenti: bisogna risalire alle cause. Collaborare con le popolazioni vulnerabili per rafforzarne la resilienza è peraltro fondamentale per ridurre la povertà, scopo ultimo della politica di sviluppo dell’UE, come ci ricorda il programma di cambiamento dell’Unione[1].

Le strategie di resilienza devono informare diversi ambiti d’azione: sicurezza alimentare[2], adattamento ai cambiamenti climatici[3], riduzione del rischio di catastrofe[4]. L’Unione sostiene perciò sistematicamente azioni di prevenzione e preparazione nei paesi più esposti alle crisi e ha inglobato la riduzione del rischio di catastrofe e l’adattamento ai cambiamenti climatici nella cooperazione allo sviluppo e nella risposta umanitaria.

Investire nella resilienza costa meno. Affrontare le cause a monte non è solo più benefico – specie per le popolazioni colpite – che limitarsi a parare le conseguenze di crisi ricorrenti: è anche molto più conveniente in termini di costi. In un mondo che lotta contro la recessione economica e le ristrettezze di bilancio, i paesi partner e i donatori devono dimostrare di saper gestire i fondi allocati nel modo più utile possibile.

In risposta alle grandi crisi alimentari in Africa, la Commissione ha lanciato due iniziative: l’iniziativa SHARE di sostegno alla resilienza nel Corno d’Africa[5] e il partenariato mondiale AGIR per la resilienza del Sahel[6], entrambe improntate ad un nuovo approccio che mira a rafforzare la resilienza delle popolazioni vulnerabili.

Partendo dagli insegnamenti che se ne possono trarre, questa comunicazione intende rendere più efficace il sostegno dell’Unione volto a ridurre la vulnerabilità dei paesi in via di sviluppo esposti alle catastrofi mettendo la resilienza al centro dell’azione.

La comunicazione si vuole peraltro un contributo all’ampio dibattito internazionale sul potenziamento della sicurezza alimentare e della resilienza in seno al G8, al G20, al Comitato per la sicurezza alimentare mondiale (CFS), all’iniziativa SUN (Scaling up Nutrition) per il miglioramento delle condizioni alimentari, ai negoziati per le convenzioni di Rio[7] e al Partenariato mondiale per il Corno d’Africa.

2.           IL PARADIGMA DELLA RESILIENZA

La resilienza è l’abilità di un individuo, una famiglia, una comunità, un paese o una regione di sopportare stress e shock, adattarsi e riprendersi velocemente.

La resilienza comporta due elementi: da un lato la forza intrinseca del soggetto – individuo, famiglia, comunità o struttura più estesa – di resistere meglio a stress e shock, dall’altro la sua capacità di ritornare rapidamente allo stato iniziale dopo una perturbazione.

Per rafforzare la resilienza (e ridurre la vulnerabilità) bisogna quindi o rafforzare il soggetto o ridurre l’intensità della perturbazione, o intervenire su entrambi i fronti; ci vogliono cioè una strategia articolata e un’ampia prospettiva sistemica che permettano di ridurre rischi di crisi disparate e di migliorare al tempo stesso i meccanismi di intervento e adattamento a livello locale, nazionale e regionale. Il rafforzamento della resilienza si pone alla frontiera tra gli aiuti umanitari e l’assistenza allo sviluppo.

Per rafforzare la resilienza occorre un approccio di ampio respiro che miri a alleviare le cause a monte delle crisi e a potenziare la capacità di gestire l’incertezza e il cambiamento.

3.           L’ESPERIENZA DELL’UNIONE IN FATTO DI RESILIENZA E CRISI ALIMENTARI IN AFRICA

Le famiglie, le comunità e i paesi più poveri dell’Africa subsahariana lamentano da tempo una scarsa capacità di ripresa dall’onda lunga dei cambiamenti climatici (che occasiona soprattutto periodi di siccità frequenti e intensi), delle crisi economiche e dei conflitti interni. Da tempo l’Unione soccorre le popolazioni africane colpite dalle crisi alimentari dispensando aiuti umanitari e assistenza allo sviluppo. Secondo il programma di cambiamento dell’UE, nel lungo periodo l’assistenza allo sviluppo dell’Unione si orienterà perciò alla cooperazione in materia di agricoltura sostenibile, salvaguardia degli ecosistemi e sicurezza alimentare e nutrizionale.

Nell’ottica di dare centralità alla resilienza, il sostegno all’agricoltura e alle relative politiche nazionali e regionali, comprese quelle fondiarie, dovrà permettere non solo di aumentare la produzione ma anche di migliorare il funzionamento dei mercati delle derrate e sostenere l’emancipazione politica dei gruppi vulnerabili e della società civile.

Le risposte innovative della Commissione alle crisi nel Corno d’Africa e nel Sahel offrono in tal senso insegnamenti utili per definire un approccio più sistematico e di ampio respiro che permetta di rafforzare la resilienza delle popolazioni colpite. È importante inoltre riconoscere che le donne svolgono un ruolo essenziale nel rafforzare la resilienza delle famiglie e delle comunità colpite dalle crisi. Nei paesi in situazioni di instabilità e fragilità, spesso i meno resistenti, bisogna inoltre assicurare che le iniziative strategiche tengano conto del nesso sicurezza-sviluppo e incoraggiare un approccio in grado di conferire coerenza e complementarità all’azione.

3.1.        Sostenere la resilienza del Corno d’Africa (SHARE)

L’annosa vulnerabilità dei mezzi di sussistenza nel Corno d’Africa dipende da numerosi fattori: crescita demografica e conseguente pressione sulle risorse, povertà rurale, scarsa produttività, basso potere commerciale, accesso precario alla terra e alle risorse idriche, scarsa governance, insicurezza, prolungata instabilità geopolitica. Forte di una lunga esperienza di cooperazione in agricoltura e sicurezza alimentare con i partner dello sviluppo nel Corno d’Africa, l’Unione sa oramai riconoscere quali approcci hanno maggiori possibilità di successo.

La siccità che ha colpito la regione nel 2011, la peggiore degli ultimi 60 anni, ha avuto un tale impatto da trasformare in crisi una situazione già precaria (provocando condizioni di carestia in Somalia).

Messi al corrente dai sistemi di allarme rapido per la sicurezza alimentare, l’Unione e gli Stati membri hanno approntato una risposta commisurata all’ampiezza della crisi:

– elaborando un quadro analitico umanitario/di sviluppo comune che ha permesso agli operatori del settore di collaborare su una base comune secondo priorità condivise;

– dispensando congiuntamente – Unione e Stati membri – 790 milioni di EUR in aiuti umanitari tra il 2011 e il 2012, di cui 181 milioni della sola Commissione. Oltre a finanziare le attività di soccorso, questi aiuti hanno gettato le basi del processo di ripresa, distribuendo per esempio sementi e attrezzi e adottando misure per migliorare la gestione idrica e per ripopolare le mandrie;

– mobilitando prontamente, nell’immediata fase di ripresa, fondi a breve termine per lo sviluppo. Per il periodo 2012-2013 l’impegno della Commissione a sostegno di produzione agricola e zootecnica, nutrizione, salute degli animali, approvvigionamento idrico e gestione delle risorse naturali ammonta a 250 milioni di EUR.

Oltre alla risposta nel breve periodo, l’Unione ha approntato un approccio strutturato di lungo respiro per aiutare i paesi e le comunità colpite a riprendersi dalla siccità e a acquisire maggiore capacità di far fronte a episodi futuri:

– un impegno a collaborare con e tramite i partner regionali. L’Unione e altri donatori bilaterali aiutano il segretariato dell’IGAD, l’Autorità intergovernativa per lo sviluppo, a potenziare la propria capacità e a coordinare e promuovere iniziative transfrontaliere di sviluppo dell’allevamento e di gestione delle risorse naturali;

– un impegno a collaborare con altri donatori attivi nella regione. La comunità dei donatori ha lanciato una piattaforma leggera di coordinamento, la Global Alliance for Action for Resilience and Growth (alleanza mondiale di intervento per la resilienza e la crescita)[8] che opera a stretto contatto con l’IGAD. L’alleanza è un forum che riunisce i partner nazionali e i donatori impegnati nella resilienza alla siccità;

un impegno di ampio respiro ad affrontare le questioni strutturali e rafforzare la resilienza nel lungo periodo. A seconda della singola situazione nazionale o locale, i finanziamenti dell’Unione nel periodo 2014-2020 andranno in via prioritaria ad una serie di temi e settori: benessere degli animali, sviluppo dell’allevamento, gestione delle risorse naturali, riduzione del rischio di catastrofe, commercio nazionale e regionale, nutrizione, governance, ricerca, trasferimento di tecnologia e flussi demografici.

3.2.        AGIR Sahel: il partenariato mondiale dell’UE per la resilienza del Sahel

Nell’arco delle ultime nove campagne agricole il Sahel ha subito sei crisi alimentari distinte. La sottonutrizione affligge la regione e gli indicatori superano ampiamente i livelli di guardia. Attualmente sono a rischio 12 milioni di persone, cioè il 20% della popolazione. I più colpiti dalle perturbazioni alimentari e economiche sono le donne e i bambini, soprattutto nei periodi difficili tra i cicli di raccolto.

In questi anni l’Africa occidentale ha fatto passi avanti grazie alle principali istituzioni e piattaforme, come la rete RPCA (Réseau de Prévention des Crises Alimentaires) di prevenzione delle crisi alimentari e il CILSS (Comité permanent Inter-Etats de Lutte contre la Sécheresse au Sahel), il comitato permanente interstatale di lotta contro la siccità nel Sahel. Sulla scorta degli insegnamenti tratti, sono stati sviluppati approcci per affrontare meglio le crisi alimentari. Il funzionamento dei sistemi di allarme rapido è migliorato permettendo ai paesi e ai donatori di anticipare meglio le crisi in corso.

Il piano d’azione dell’Unione in risposta alla crisi del Sahel del 2012 stanzia circa 500 milioni di EUR: 123 milioni in aiuti umanitari e 372 milioni per i programmi di sviluppo.

Il piano, che segue un approccio in tre fasi, frutto di una stretta collaborazione tra l’assistenza umanitaria e l’assistenza allo sviluppo, contempla un ampio ventaglio di attività: miglioramento dell’approvvigionamento alimentare, sostegno ai sistemi di allarme rapido dei partner nazionali, funzionamento del mercato, tutela dell’ecosistema. Per rafforzare la resilienza secondo un approccio integrato, il piano collega programmi di emergenza e di sviluppo, miscelando finanziamenti a breve, medio e lungo termine. Affrontare le emergenze e investire al tempo stesso nella resilienza implica un’assistenza coordinata – di concerto con le organizzazioni regionali – che garantisca coerenza e complementarità, renda le famiglie più povere meno vulnerabili alle perturbazioni e risalga alle cause dell’insicurezza alimentare e nutrizionale.

Il partenariato AGIR, creato dalla Commissione il 18 giugno 2012, definisce una roadmap della resilienza che integra e rafforza le strategie regionali esistenti, come quella elaborata insieme dalla Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale ECOWAS, dall’Unione economica e monetaria dell’Africa occidentale UEMOA e dal CILSS, con il sostegno dello SWAC, il club del Sahel e dell’Africa occidentale. Le organizzazioni regionali dell’Africa occidentale hanno messo a punto, con il sostegno della comunità dei donatori, un piano d’azione regionale per rafforzare in modo stabile e permanente la resilienza della regione del Sahel; il piano sarà presentato ai primi di dicembre a Ouagadougou in occasione della riunione di alto livello di tutti gli Stati interessati.

4.           IMPARARE DALL’ESPERIENZA

Le iniziative SHARE e AGIR segnano una tappa importante nell’interazione tra assistenza umanitaria e assistenza allo sviluppo perché aumentano gli aiuti nel breve periodo, risaldano il collegamento tra soccorsi, ricostruzione e sviluppo e testimoniano dell’impegno dell’Unione a affrontare le cause dell’insicurezza alimentare nel lungo periodo.

Anche se SHARE e AGIR si concentrano sulla sicurezza alimentare nell’Africa subsahariana, il loro approccio può applicarsi a altre regioni e a altri fattori di vulnerabilità (ad es. regioni soggette a inondazioni, cicloni, terremoti, siccità, mareggiate e tsunami, cambiamenti climatici o aumento dei prezzi alimentari) in funzione di una serie di elementi comuni che l’Unione potrà utilizzare nei paesi terzi più vulnerabili. Questo approccio comporta tre componenti di base:

· valutazione dei rischi per anticipare le crisi;

· accento su prevenzione e preparazione;

· risposta potenziata alle crisi.

4.1.        Valutazione dei rischi per anticipare le crisi

Sia nel Corno d’Africa che nel Sahel i sistemi di allarme rapido preannunciavano crisi incombenti. Il funzionamento dei sistemi di allarme rapido per la sicurezza alimentare (come l’IPC “Integrated Phase Classification”) è andato migliorando e ha permesso ai paesi partner e alle istituzioni regionali di prepararsi e di approntare una risposta adeguata già prima delle crisi. Anche sistemi di allarme rapido per altri rischi, come quello di tsunami, o in altre regioni offrono oramai prestazioni migliori.

Questi sistemi informativi vanno inoltre interconnessi con le altre iniziative mondiali interessate, come il sistema di informazione sul mercato agricolo, creato nell’ambito del G20.

Bisogna poi sistematizzare il collegamento tra le informazioni fornite e i processi politico-decisionali nazionali e regionali; le politiche per l’agricoltura sostenibile e la sicurezza alimentare devono per esempio tener conto dei dati sulla sottonutrizione (infantile), sulla produzione agricola (comprese le scorte) e sui mercati (compresi i prezzi alimentari).

Queste considerazioni valgono soprattutto per le politiche e i processi in ambito nazionale, come il programma globale CAADP i cui piani di investimento non si limitano ad affrontare le carenze contingenti ma prevedono shock e stress futuri e aiutano i paesi a alleviarne le conseguenze, approntare una risposta e rafforzare la resilienza.

Il sistema regionale di allarme rapido (CILSS/ECOWAS/UEMOA): la rete RCPA (Food Crisis Prevention Network) per la prevenzione delle crisi alimentari è una piattaforma di scambio di informazioni tra paesi partner, donatori, ONU e organizzazioni della società civile che favorisce un’analisi comune dell’insicurezza alimentare nell’Africa occidentale. La sua capacità di allarme è stata fondamentale nella crisi del 2012.

Nella stessa logica l’Unione ha dato vita all’Alleanza mondiale contro i cambiamenti climatici per sviluppare il dialogo politico e la cooperazione con i paesi maggiormente colpiti. I sistemi di allarme rapido e la gestione delle catastrofi svolgono in tal senso un ruolo essenziale.

Sistemi di allarme rapido in Nepal: a agosto 2010 i livelli di piena del fiume Rapti hanno superato la soglia di allarme nel distretto di Chitwan. Grazie al sistema di allarme rapido lungo il corso d’acqua, collegato via radiofonica e telefonica, i comitati per la gestione delle catastrofi delle comunità a rischio hanno potuto mettere al riparo i principali beni mobili. Quando i villaggi sono stati inondati, la popolazione era già stata evacuata. Il sistema ha così permesso di ridurre al minimo i danni materiali e la perdita di vite umane.

Bangladesh: i finanziamenti all’ospedale universitario di Dhaka, mirati alla gestione di catastrofi con un gran numero di vittime e feriti, hanno permesso di sviluppare piani d’urgenza, attrezzature mediche, scorte di medicinali e formazione. A giugno 2010, quando lo scoppio di un incendio ha causato 120 morti, l’ospedale ha salvato la vita a oltre 250 persone.

ASEAN: a livello regionale la Commissione sostiene l’AADMER, un accordo nell’ambito dell’ASEAN per la gestione delle catastrofi e la risposta emergenziale che mira a rafforzare la resilienza e ridurre la vulnerabilità delle comunità e delle istituzioni locali sostenendo strategie di preparazione, mitigazione e risposta alle catastrofi naturali.

4.2.        Accento su prevenzione e preparazione

Nel Corno d’Africa e nel Sahel la risposta della comunità internazionale e dei paesi colpiti ha denotato una maggiore capacità di affrontare le conseguenze delle crisi e ha evidenziato la centralità della prevenzione (impedire l’avverarsi di una crisi) e della preparazione (capacità di un singolo, una famiglia, un paese o una regione di gestire le ricadute di avversità).

È quindi fondamentale:

– che i programmi nazionali e regionali di lungo periodo affrontino le cause a monte della vulnerabilità. La vulnerabilità agli shock può essere ridotta solo agendo tramite le politiche di sviluppo dei paesi partner; l’analisi dei rischi, così come la gestione del rischio di catastrofe e delle crisi alimentari, devono necessariamente rientrare nelle politiche nazionali/regionali che dovranno contemplare anche l’adattamento ai cambiamenti climatici e quadri d’azione del tipo NAPA (programmi d’azione nazionali per l’adattamento);

– dare più risonanza all’esperienza acquisita tramite iniziative del tipo SHARE e AGIR o progetti pilota riusciti sulla riduzione del rischio di catastrofe, come quelli finanziati nell’ambito del programma DIPECHO della Commissione per la preparazione alle catastrofi. Lo scopo è anche vedere in che modo le politiche governative nazionali o regionali possano trarre spunto da progetti di successo gestiti dalla collettività secondo un approccio dal basso;

– rafforzare la governance in risposta alla gestione delle catastrofi e la capacità degli interessati a livello locale e nazionale. La capacità delle strutture locali è essenziale per ridurre i rischi e assicurare azioni di prevenzione e preparazione e prime operazioni di risposta efficaci;

– sfruttare a pieno i partenariati pubblico-privato dove possibile, come nel caso della recente iniziativa del G8 “New Alliance for Food and Nutrition Security”.

Le crisi alimentari necessitano un approccio integrato che affronti le cause a monte dell’insicurezza alimentare. In termini di disponibilità alimentare questo significa diversificare la produzione di derrate, cosa che il degrado ambientale e i cambiamenti climatici potrebbero impedire. L’approvvigionamento di prodotti alimentari presuppone non solo che i mercati e le reti di sicurezza funzionino – non tralasciando l’importanza delle riserve, dei regimi assicurativi, degli strumenti di stoccaggio, dell’accesso dei coltivatori al mercato e ai servizi finanziari e delle scorte di sicurezza – ma implica anche investimenti in infrastrutture rurali, ricerca e trasferimento di tecnologia. Per rafforzare la resilienza dell’Africa subsahariana in una prospettiva di lungo termine, è fondamentale finanziare l’agricoltura sostenibile che dà occupazione al 60% della popolazione, soprattutto quella più vulnerabile.

In Etiopia il programma “Rete di sicurezza per la produzione” (PSNP) è particolarmente eloquente: il PSNP organizza trasferimenti in derrate o denaro alle famiglie più vulnerabili del paese, in cambio della loro partecipazione a lavori pubblici.

Principale regime di trasferimenti nell’Africa subsahariana, il PSNP costa meno (riduzione di circa un terzo dei costi) degli aiuti umanitari.

Affrontare la crisi dimenticata della sottonutrizione infantile perché gli adulti di domani siano meno vulnerabili: la fame e la sottonutrizione mietono ogni anno circa 2 600 000 vittime tra la popolazione infantile. Nei paesi in via di sviluppo un bambino su tre è sottonutrito. Il problema comincia spesso prima della nascita perché le stesse madri sono sottonutrite. Causa di vulnerabilità, soprattutto nei bambini al di sotto dei 2 anni, la sottonutrizione pregiudica lo sviluppo fisico e intellettivo rendendo gli adulti di domani meno capaci di reagire alle avversità. In molti paesi in via di sviluppo il problema, che assorbe ogni anno tra il 2 e il 3% del prodotto interno lordo, alimenta il ciclo della povertà e ostacola la crescita economica. L’Unione sostiene i partner impegnati a ridurre la sottonutrizione nel lungo termine. Occorrono approcci multisettoriali che abbraccino sanità, agricoltura, approvvigionamento idrico, servizi sanitari, crescita economica e istruzione. L’Unione sostiene il movimento SUN (Scaling Up Nutrition) che promuove azioni sotto l’egida dei partner nazionali.

La siccità nel KENYA settentrionale: la siccità del 2011 ha privato 3 700 000 kenioti di cibo, acqua potabile e servizi sanitari di base. L’Unione è intervenuta con il programma SHARE per accelerare la ripresa e lo sviluppo della resilienza prestando assistenza per razionalizzare il sistema nazionale di allarme rapido; fornendo sostegno istituzionale al ministero del Kenya settentrionale; aiutando la NDMA, l’autorità nazionale che gestisce la siccità, a gestire un fondo riserva per le catastrofi e la siccità, l’NDDCF; sviluppando nelle autorità locali la capacità di gestire un allarme rapido; finanziando progetti comunitari sulla sussistenza per creare opportunità economiche. Grazie a istituzioni più forti e agli investimenti del governo keniota nelle zone aride del paese, il Kenya potrà resistere meglio alle ricadute di questo tipo di crisi.

4.3.        Risposta potenziata alle crisi

Basandosi anche sull’esperienza nel Corno d’Africa e nel Sahel, gli elementi qui individuati possono aiutare a rispondere in modo più incisivo alle crisi:

– un quadro analitico comune elaborato insieme dagli attori umanitari e dello sviluppo:

· che individui le cause a monte delle crisi e ne precisi le ricadute sulle popolazioni più colpite;

· che valuti se gli interventi in corso affrontano le cause a monte e accerti l’esistenza di eventuali carenze nell’assistenza fornita;

· che individui le aree, geografiche e settoriali, in cui un approccio di resilienza potrebbe incidere maggiormente;

· che individui le priorità strategiche nel breve (ripresa post-emergenziale) e nel lungo termine secondo un “approccio resilienza” coerente;

– un aumento dei finanziamenti nel breve termine per sostenere la fase di ripresa post-emergenziale. Da iniziative recenti emerge la necessità di una programmazione più flessibile per reagire a fabbisogni in rapido mutamento, senza però ridurre le attuali attività di medio/lungo termine per affrontare le cause a monte. Nelle situazioni di emergenza e post-emergenza vanno pensate nuove modalità di assistenza, come i fondi fiduciari dell’Unione;

– dato che molte crisi travalicano i confini nazionali, bisogna sviluppare la capacità delle organizzazioni regionali di mettere a punto iniziative transnazionali che promuovano l’integrazione regionale;

– per le crisi di maggiore entità occorrono strutture leggere che favoriscano il coordinamento dei donatori e il dialogo strutturato con i paesi partner e le organizzazioni regionali. Bisogna distribuire formalmente i compiti valutando i vantaggi comparativi di ciascun attore in un dato contesto, con il coinvolgimento attivo degli operatori umanitari e dello sviluppo;

– interventi a breve termine con effetti nel lungo termine. Anche se sono essenzialmente mirati a salvare beni e vite umane, gli interventi a breve termine, e soprattutto l’assistenza umanitaria, possono avere un impatto nel lungo periodo. Preferire ad esempio i trasferimenti in denaro agli aiuti alimentari può stimolare nel lungo periodo il mercato locale e può permettere di finanziare opere pubbliche che rendano meno probabili o attenuino ulteriori catastrofi. Occorre dare priorità a questo tipo di interventi, una volta individuati;

– nel caso di conflitti violenti, è necessario che la strategia di resilienza e l’approccio politico e di sicurezza dell’Unione nel suo insieme si sostengano in modo reciproco e coerente; bisogna inoltre sviluppare sinergie tra gli strumenti, soprattutto tra gli strumenti della politica di sicurezza e di difesa comune e lo strumento per la stabilità.

Finanziamenti flessibili tramite lo strumento alimentare dell’Unione (1 miliardo di EUR), l’AFSI e il V-FLEX – In risposta alle crisi alimentari del 2007-2008 la comunità internazionale si è mobilitata come mai prima. L’Unione è stato il primo donatore a prendere misure proattive annunciando lo stanziamento di 1 miliardo di EUR nel quadro dello strumento alimentare e dimostrando di saper intervenire rapidamente e su larga scala. Un anno dopo, nel 2009, i donatori hanno stanziato 22 miliardi di USD per l’agricoltura sostenibile e la sicurezza alimentare (AFSI: iniziativa dell’Aquila sulla sicurezza alimentare). L’Unione ha aumentato i finanziamenti di altri 3,8 miliardi di USD. Per i paesi ACP (Africa, Caraibi e Pacifico) esistono altri due meccanismi: il FLEX (Fluctuations in Export Earnings), che assiste i governi in caso di perdite dovute a fluttuazioni dei proventi da esportazione, e “FLEX vulnerabilità” (V-FLEX) a sostegno dei paesi meno resilienti e quindi maggiormente colpiti dalla crisi economica del 2009. Basandosi su stime delle perdite erariali, il V-FLEX agisce in via preventiva con adeguamenti mirati a ridurre la vulnerabilità in maniera anticiclica e a colmare i deficit di finanziamento nazionali.

5.           10 PRINCIPI PER RAFFORZARE LA RESILIENZA DEI PAESI COLPITI DA INSICUREZZA ALIMENTARE E ESPOSTI ALLE CATASTROFI

1.           La resilienza può essere rafforzata solo dal basso e l’approccio dell’Unione parte da un deciso riconoscimento del ruolo leader dei paesi partner in tal senso. Il sostegno dell’Unione sarà allineato alle politiche e alle priorità dei partner, secondo i principi stabiliti sull’efficacia degli aiuti.

2.           Gli interventi per il rafforzamento della resilienza devono basarsi su solide metodologie di valutazione del rischio e della vulnerabilità. Queste valutazioni serviranno a elaborare le strategie di resilienza nazionali e progetti e programmi specifici. L’Unione sosterrà la messa a punto di strategie nazionali di resilienza nel più ampio contesto delle strategie di sviluppo e si impegnerà con i paesi partner e con i principali attori internazionali per migliorare le metodologie di sviluppo delle valutazioni alla base di queste strategie. Ai fini dell’efficienza, l’Unione intende inoltre elaborare un quadro che misuri l’impatto e i risultati del proprio sostegno alla resilienza.

3.           Nei paesi soggetti a crisi frequenti l’assistenza esterna dell’Unione deve mirare in primo luogo a rafforzare la resilienza. I programmi finanziati dall’UE si baseranno su una valutazione operativa, elaborata in comune da attori umanitari e dello sviluppo, estesa a interventi a medio e lungo termine. I programmi affronteranno principalmente le cause a monte delle crisi offrendo sostegno alle attività di prevenzione e preparazione. L’Unione collaborerà con i paesi partner per individuare la capacità necessaria a elaborare e attuare strategie e piani di riduzione e gestione delle catastrofi nazionali e regionali.

4.           La Commissione deve tener sistematicamente conto del fattore resilienza nei piani di attuazione dell’assistenza umanitaria. Per garantire la massima complementarietà e fare in modo che gli interventi a breve termine pongano le basi per quelli a medio e lungo termine, la Commissione dovrà inoltre garantire che le azioni mirate alla resilienza vengano programmate di concerto tra assistenza umanitaria e assistenza allo sviluppo.

5.           La flessibilità è centrale per rispondere ai bisogni dei paesi colpiti dalle catastrofi. La Commissione continuerà a garantire massima flessibilità nell’attuare i programmi umanitari. Per i finanziamenti allo sviluppo, la Commissione mobiliterà con la massima flessibilità i fondi non programmabili per far fronte a crisi impreviste e grandi catastrofi. Il fattore flessibilità entrerà in gioco nella definizione dei programmi della Commissione, in modo da garantire interventi veloci e tempestivi. Per gli interventi in situazioni d’emergenza e post-emergenza, l’Unione valuterà il ricorso a fondi fiduciari.

6.           Nei paesi in situazioni di fragilità o conflitto, l’approccio dell’Unione mirato a rafforzare la resilienza deve tener conto dei problemi di sicurezza e delle loro implicazioni in termini di vulnerabilità per la popolazione. Occorrerà inoltre garantire un dialogo politico attivo con i paesi partner e le organizzazioni della regione interessata.

7.           L’Unione intende ripetere iniziative del tipo SHARE e AGIR e progetti riusciti sulla riduzione del rischio di catastrofe. Per favorire lo sviluppo e la diffusione di approcci di successo da incorporare nelle strategie di resilienza nazionali, gli insegnamenti tratti saranno scambiati e condivisi con i partner. La Commissione valuterà regolarmente i progressi del programma di resilienza, soprattutto in termini di programmazione, metodologie e risultati.

8.           L’Unione promuoverà approcci innovativi alla gestione dei rischi. La collaborazione con il comparto assicurativo e riassicurativo è particolarmente promettente in tal senso. Nei primi mesi del 2013 la Commissione presenterà un libro verde sul ruolo delle assicurazioni nella gestione delle catastrofi.

9.           Nei paesi colpiti da crisi ricorrenti, l’Unione creerà, in collaborazione con i governi interessati, con gli altri donatori, con le organizzazioni regionali e internazionali e con le altre parti in causa, piattaforme nazionali per lo scambio tempestivo di informazioni e per il coordinamento degli interventi umanitari e di sviluppo a breve, medio e lungo termine mirati a rafforzare la resilienza.

10.         L’Unione intende promuovere la resilienza a livello internazionale, per esempio nell’ambito del G8, del G20, del Comitato per la sicurezza alimentare mondiale (CFS), delle convenzioni di Rio, del processo di revisione degli obiettivi di sviluppo del millennio, dell’elaborazione di obiettivi di sviluppo sostenibili e delle discussioni sul follow-up del quadro d’azione di Hyogo 2005-2015. Il fattore resilienza sarà centrale nella collaborazione con organizzazioni come la FAO, l’IFAD, il WFP, l’UNISDR, la Banca Mondiale e con le organizzazioni della società civile.

Nel primo trimestre del 2013 la Commissione presenterà un piano d’azione su come tradurre in pratica questi principi.

[1]               COM(2011) 637, approvato dalle conclusioni del Consiglio del 14 maggio 2012.

[2]               COM(2010) 127 definitivo.

[3]               COM(2009) 147 definitivo. Libro bianco “L’adattamento ai cambiamenti climatici: verso un quadro d’azione europeo”.

[4]               Strategia dell’UE a sostegno della riduzione del rischio di catastrofi nei paesi in via di sviluppo, COM(2009) 84 del 23.2.2009. Verso una risposta dell’Unione alle situazioni di fragilità: l’intervento in circostanze difficili per lo sviluppo sostenibile, la stabilità e la pace, COM (2007) 643 del 25.10.2007.

[5]               Documento di lavoro della Commissione SEC(2012) 102 dell’11 aprile 2012.

[6]               Alliance globale pour l’Initiative Résilience (Sahel):  http://europa.eu/rapid/pressReleasesAction.do?reference=IP/12/613&format=HTML&aged=0&language=EN&

[7]               La convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, la convenzione delle Nazioni Unite sulla diversità biologica e la convenzione delle Nazioni Unite contro la desertificazione.

[8]               L’alleanza è estesa al Grande Corno d’Africa: Etiopia, Kenya, Uganda, Somalia, Gibuti, Sudan e Sud Sudan. Il segretariato è assicurato dall’agenzia USAID.

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