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Document 52008AE0770
Opinion of the European Economic and Social Committee on the Communication from the Commission to the Council and the European Parliament on VAT rates other than standard VAT rates COM(2007) 380 final — SEC(2007) 910
Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo sulle aliquote IVA diverse dall'aliquota IVA normale COM(2007) 380 def. — SEC(2007) 910
Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo sulle aliquote IVA diverse dall'aliquota IVA normale COM(2007) 380 def. — SEC(2007) 910
OJ C 211, 19.8.2008, p. 67–72
(BG, ES, CS, DA, DE, ET, EL, EN, FR, IT, LV, LT, HU, MT, NL, PL, PT, RO, SK, SL, FI, SV)
19.8.2008 |
IT |
Gazzetta ufficiale dell'Unione europea |
C 211/67 |
Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo sulle aliquote IVA diverse dall'aliquota IVA normale
COM(2007) 380 def. — SEC(2007) 910
(2008/C 211/18)
La Commissione, in data 5 luglio 2007, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito in merito alla:
Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo sulle aliquote IVA diverse dall'aliquota IVA normale
La sezione specializzata Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 28 marzo 2008, sulla base del progetto predisposto dal relatore BURANI.
Il Comitato economico e sociale europeo, in data 22 aprile 2008, nel corso della 444a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 112 voti favorevoli, nessun voto contrario e 5 astensioni.
1. Conclusioni e raccomandazioni
1.1 |
Il CESE accoglie con favore l'iniziativa della Commissione di gettare le basi di un dibattito politico in seno al PE ed al Consiglio in grado di far emergere dei principi comunemente accettati sulla concessione di deroghe al regime dell'IVA. Trattandosi di un processo con connotazioni marcatamente politiche, la data ultima della fine 2010, prevista per l'adozione di nuove regole, risulta pienamente realistica. |
1.2 |
Lo scopo originario dell'adozione del regime dell'IVA era quello di creare le premesse di un'armonizzazione fiscale che permettesse il buon funzionamento del mercato interno: le numerose modifiche intervenute nel tempo, ma soprattutto le esenzioni e le deroghe, hanno tuttavia operato in senso contrario e il tentativo di uniformare le deroghe è da considerare come il meglio che si possa fare nelle presenti circostanze. |
1.3 |
Le deroghe sono applicate in ogni Stato membro in base a criteri di fiscalità, commisti a preoccupazioni di carattere politico e sociale; esse sono ammesse quando non hanno un impatto transfrontaliero o rispondono a criteri consolidati di politica comunitaria. Il CESE ritiene da parte sua che, pur rispettando questi criteri, esse debbano essere esaminate soprattutto — anche se non esclusivamente — dal punto di vista del loro contributo ad una politica di redistribuzione dei redditi. |
1.4 |
Particolare attenzione dovrebbe essere dedicata, nel corso delle discussioni, ai servizi locali che non possono essere forniti a distanza, e che non hanno quindi un impatto diretto sul mercato interno: una categoria nella quale rientrano numerose attività che, accanto ad un'indubbia utilità economica e sociale, presentano aspetti controversi o che si prestano a considerazioni differenti: attività artigiane, ristorazione, servizi sanitari pubblici e privati, settori ad alta intensità di lavoro non qualificato, libri e giornali. |
1.5 |
Il CESE attira l'attenzione sulla necessità di accordare le esenzioni in base ad un criterio di differenziazione della spesa fra gruppi a basso reddito e gruppi a reddito più elevato: una distinzione difficile da operare. Ma ricorda soprattutto che le esenzioni devono ispirarsi a criteri di trasparenza e tenere conto dei costi che regolamentazioni imprecise o generiche comportano per le amministrazioni fiscali e per le imprese, costi che in definitiva ricadono sui consumatori finali. |
1.6 |
Particolare attenzione dovrebbe essere dedicata alle sovvenzioni dirette come opzione alternativa all'IVA ridotta: una soluzione che la Commissione prospetta, senza peraltro prendere posizione. Il CESE ritiene che questa alternativa sia da considerare con particolare cautela e sia da adottare con parsimonia e solo nei casi in cui altre soluzioni si presentino difficili; in ogni caso, le sovvenzioni non dovrebbero mai prendere la forma di aiuti di Stato. |
2. Premessa
2.1 |
Il regime dell'IVA è per sua natura basato su un sistema complesso; nato nel 1977 come regime «provvisorio» (1), esso è ancor oggi — dopo trent'anni! — denominato tale. Nel tempo tale regime ha subito una quantità innumerevole di modifiche come risultato di adeguamenti a situazioni contingenti o durature, considerazioni di carattere politico, evoluzioni del mercato interno, allargamento. |
2.2 |
L'azione necessaria per semplificare il lavoro delle amministrazioni e dei soggetti economici è stata intrapresa dalla Commissione con la «direttiva IVA» del 2006 (2), che ha messo ordine nella legislazione e costituisce in pratica il «testo unico» della materia. I principi ispiratori di questa nuova direttiva sono quelli originari del 1977, parzialmente riveduti nel 1992: in linea generale, l'aliquota normale minima è del 15 % (3) e la percezione dell'imposta avviene di massima nel luogo d'origine. Sono però previste deroghe ed eccezioni: l'aliquota normale può essere ridotta e la tassazione di talune merci o servizi può avvenire nel luogo di destinazione. |
2.3 |
Secondo le norme, gli Stati membri (SM) possono applicare una o due aliquote ridotte, ma limitatamente ai beni e servizi elencati in allegato alla direttiva IVA (4). Tutti gli SM, con la parziale eccezione della Danimarca, si avvalgono di tale facoltà, ma in misura diversa e con applicazione a beni o servizi diversi, scelti fra quelli ammessi. Comportamenti così variegati sono ben lontani dal mettere in pratica i principi di coordinamento necessari per il buon funzionamento del mercato unico. La Commissione si propone ora di lanciare un «invito al dibattito politico» al Consiglio e al Parlamento europeo — con la partecipazione del CESE di cui si è richiesto il parere — al fine di giungere ad un accordo fra gli SM su una nuova architettura delle aliquote IVA ridotte. |
2.3.1 |
Si tratta, in pratica, di rivedere l'intera struttura delle deroghe specifiche e temporanee già concesse, le prime agli SM di meno recente adesione, e le seconde al gruppo dei «nuovi» SM, ricostruendo una struttura che tenga conto di obiettivi coerenti con la logica del mercato interno. Non si tratta di un processo semplice: si dovrà trovare un equilibrio — su base comune — tra tutte le necessità di carattere politico, economico e sociale che nel tempo hanno giustificato le deroghe e le esclusioni, applicate poi da ogni SM secondo le proprie particolari esigenze. La Commissione non si fa illusioni sulle difficoltà del percorso: prevede infatti che il processo di consultazione non potrà tradursi in una nuova regolamentazione prima della fine del 2010. |
2.4 |
Un passo preliminare, necessario per mettere tutti gli SM su un piano di parità in materia di deroghe, è stato compiuto con la proposta di direttiva che proroga fino al 31 dicembre 2010 le deroghe temporanee concesse ai nuovi SM (5). La ragione della proposta, che è stata approvata il 20 dicembre 2007, sta nel diverso regime in vigore per le deroghe: gli SM di meno recente adesione godono di deroghe senza limiti di scadenza, mentre quelle per i nuovi SM sono scadute alla fine del 2007. La proroga concessa il 20 dicembre 2007 a questi ultimi mette tutti su un piede di parità, almeno fino al 2010; per quella data la Commissione spera che il Consiglio e il Parlamento europeo avranno raggiunto un accordo sull'adozione di un regime stabile e uniforme delle aliquote IVA diverse dall'aliquota normale. |
2.5 |
La comunicazione oggetto del presente parere mira a gettare le basi di un «dibattito politico» in seno al Parlamento europeo e al Consiglio, in grado di far emergere dei principi comunemente accettati che permettano di redigere delle proposte di regolamentazione con una forte probabilità di essere accolte. Con in mente l'esperienza del passato e del presente, la Commissione è giustamente cauta nelle sue affermazioni e possibilista quanto alle decisioni da prendere: attende di ricevere dei segnali. Con la sua comunicazione si limita quindi a fornire in modo equilibrato ogni utile elemento di considerazione e di giudizio, ispirandosi ai principi consolidati del mercato unico e della strategia di Lisbona, ma senza prendere posizioni definite. Il CESE considera questa iniziativa come decisiva per il futuro del mercato interno in materia fiscale: un'occasione unica, il cui successo dipenderà dal senso di responsabilità e dalla buona volontà dei decisori. |
3. Il contenuto della comunicazione
3.1 |
La comunicazione riprende, in sintesi, uno studio di Copenaghen Economics che ha esaminato, per conto della Commissione e in esecuzione del mandato del Consiglio e del Parlamento europeo, l'impatto delle aliquote IVA ridotte e delle relative deroghe, con particolare attenzione agli aspetti sociali (distribuzione del reddito) e ai costi del sistema. Il CESE deve tributare alla Commissione un elogio particolare per la qualità del documento da essa elaborato sulla base dello studio. In esso, infatti non vi sono né elementi trascurati né angoli morti: il dibattito che ne scaturirà può basarsi su tutti gli elementi di giudizio necessari. |
3.2 |
Come premessa, la Commissione espone il suo obiettivo, che è quello di «assicurare pari opportunità agli SM nonché più trasparenza, coerenza e, soprattutto, un buon funzionamento del mercato interno, riducendo ad esempio gli ostacoli alle attività economiche transfrontaliere e i costi inerenti al rispetto della normativa in materia di IVA» (6). |
3.3 |
In concreto, e con riferimento allo studio di Copenaghen Economics, la Commissione rileva che dal punto di vista puramente economico la soluzione più razionale sarebbe quella di un'aliquota IVA unica: essa consentirebbe la riduzione dei costi di gestione per le amministrazioni e le imprese e — in linea teorica — la riduzione delle distorsioni di concorrenza. Come ogni norma rigida, l'aliquota unica rischia però di non essere sempre adatta ad ogni circostanza e necessita quindi di una certa dose di flessibilità: è questo il principio alla base delle aliquote ridotte. |
3.4 |
L'applicazione di aliquote ridotte risponde a criteri economici, ma si ispira anche a criteri sociali e politici: ne sono un esempio i servizi ad alta intensità di manodopera (specie se non qualificata) e i servizi prestati localmente quando non abbiano un'incidenza rilevante sul traffico transfrontaliero. Questi criteri si ispirano al concetto che aliquote più basse (e quindi prezzi più contenuti) aumenterebbero la produttività e l'occupazione: i cittadini farebbero maggior ricorso a prestatori professionali, diminuendo così il «fai da te» e spendendo altresì meno nell'economia sommersa. |
3.5 |
L'elenco completo delle merci e servizi che beneficiano di aliquote ridotte (articolo 98 della direttiva IVA) è contenuto nell'allegato III alla direttiva stessa; per quanto riguarda i servizi ad alta intensità di lavoro, essi devono rispondere (articolo 107) a tre criteri: oltre a quello citato nel punto precedente, deve trattarsi di servizi resi in larga misura direttamente ai consumatori finali e di servizi a natura locale, non atti a creare distorsioni della concorrenza. Per le merci e per i servizi «normali», i criteri sono meno espliciti, ma il loro stesso elenco fa comunque emergere con evidenza i motivi «sociali» sottesi: si tratta infatti di prodotti alimentari, farmaceutici, acqua, pubblicazioni, servizi televisivi, ecc. Il Comitato si riserva di commentare più avanti questi aspetti (cfr. punto 4.12). |
3.6 |
La Commissione commenta uno degli argomenti più comunemente avanzati a favore delle aliquote ridotte, e cioè quello secondo il quale esse risponderebbero a criteri di maggiore equità sociale in quanto migliorerebbero la distribuzione dei redditi a favore dei ceti meno abbienti. Lo studio, e a quanto sembra anche la Commissione, pone qualche condizione alla condivisione di questo argomento: le aliquote ridotte hanno un reale effetto distributivo soltanto se la parte di spese dedicate al consumo dei beni «favoriti» è stabile nel tempo e crea una situazione di reale differenziazione fra gruppi a basso reddito ed altri a reddito più elevato. La comunicazione rileva peraltro che esistono marcate differenze fra paese e paese, e che la maggiore o minore efficacia delle aliquote ridotte è in relazione alla maggiore o minore differenza di redditi fra le classi sociali. |
3.7 |
Un aspetto di non lieve rilevanza è quello relativo ai costi del sistema: le aliquote diverse dall'aliquota normale comportano oneri amministrativi elevati per le imprese e per le autorità fiscali, particolarmente quando la loro applicazione si presta ad interpretazioni, il che costituisce quasi la norma. |
3.8 |
La Commissione, citando lo studio, non mette esplicitamente in causa il sistema delle aliquote ridotte, ma si domanda se strumenti politici alternativi non sarebbero più adeguati agli scopi che gli SM si prefiggono. Cita infatti come alternativa, o come una delle alternative, un sistema di sovvenzioni dirette, che raggiungerebbe gli stessi obiettivi con costi inferiori. Questo sistema potrebbe essere congegnato in modo da evitare ricadute negative a livello UE, garantirebbe maggiore trasparenza e sarebbe meno costoso per i bilanci degli SM. Tuttavia, si osserva, le sovvenzioni dirette potrebbero rivelarsi di dubbio vantaggio per le imprese: la loro concessione potrebbe infatti rivelarsi aleatoria e temporanea, dipendendo da necessità di bilancio dello Stato o da orientamenti politici del momento. |
3.9 |
La Commissione sembra attribuire una notevole importanza a quest'ultima alternativa, o comunque a qualunque alternativa al sistema delle aliquote ridotte: essa infatti «raccomanda agli SM di esaminare attentamente tutte le opzioni disponibili». Senza aver l'aria di prendere posizione, essa osserva che «spesso strumenti diversi si rivelano più efficaci e meno costosi per le finanze pubbliche delle aliquote IVA ridotte, e di questo occorre tener conto nel processo decisionale». |
4. Osservazioni e commenti
4.1 |
Occorre rallegrarsi con la Commissione per il rigore e l'equilibrio della sua comunicazione. In particolare, per il CESE è motivo di particolare soddisfazione il fatto di trovare conferma della fondatezza di alcune posizioni che aveva espresso a suo tempo e che verranno richiamate nel corso di questi commenti. In primo luogo, e con riferimento a quanto detto al precedente punto 3.9, il Comitato ricorda di aver manifestato la sua perplessità nei confronti del sistema delle deroghe in occasione del suo parere sulla direttiva IVA (7): disse allora che «non risulta che esista una volontà [degli SM] di prendere in esame le deroghe … al fine di eliminarle». Questa posizione si trova ora confermata e rafforzata dall'autorevole studio di Copenaghen Economics, condiviso, a quanto sembra, dalla Commissione. Tuttavia, ci si rende conto che l'ipotesi di soluzioni alternative al momento rimane tale, a meno di un ribaltamento degli orientamenti correnti degli SM. |
4.2 |
L'IVA è di per se stessa un'imposta macchinosa, di difficile applicazione, ampiamente soggetta ad evasione, di applicazione costosa per gli SM e per le imprese (8). Ma, soprattutto, non raggiunge lo scopo originario, che era quello di creare un regime definitivo di armonizzazione fiscale. Si deve tuttavia notare che l'armonizzazione fiscale non è un fine a se stesso, ma una condizione necessaria per il buon funzionamento del mercato interno. Queste erano in ogni caso le intenzioni dei fondatori, ricordate dalla Commissione con la sua comunicazione del gennaio 1993. Il Comitato considera quest'ultimo documento come una pietra miliare nella storia dell'evoluzione dell'IVA e rileva con dispiacere che esso non ha avuto seguito (se non per l'accettazione dell'aliquota minima del 15 %) a causa dell'opposizione di taluni SM. Oggi la situazione non è cambiata: il tentativo della Commissione di mettere ordine almeno nel settore delle esenzioni è da considerare certamente con favore, ma al tempo stesso costituisce una dimostrazione di impotenza a fare di più sul cammino dell'armonizzazione fiscale a livello comunitario. Di questa situazione non è obiettivamente responsabile la Commissione, ma neanche lo sono, o comunque non unicamente, gli SM: il problema fondamentale sta nella struttura stessa dell'IVA «in regime temporaneo», come più avanti sarà spiegato. |
4.3 |
Occorre in definitiva rendersi conto, e accettare ancora per lungo tempo, che nella sua concezione attuale l'IVA risponde per ogni SM a obiettivi prevalentemente fiscali, commisti a preoccupazioni politiche e sociali che si traducono nell'applicazione di aliquote ridotte o superiori al minimo. A livello comunitario, l'armonizzazione è quindi un'aspirazione che non trova riscontro nei fatti e la comunicazione in esame rappresenta un tentativo di porvi un parziale rimedio e cioè quello di armonizzare l'IVA ridotta, almeno per quelle attività che hanno un impatto transfrontaliero o rispondono a criteri già accettati di politiche comunitarie. Da parte sua il CESE sottolinea che i decisori dovrebbero tenere sempre presente che, se uno degli scopi dell'IVA ridotta è quello di operare una redistribuzione dei redditi, esso deve trovare un reale riscontro nei fatti. In altri termini, ogni riduzione dell'imposta deve essere scrupolosamente analizzata per accertare che realmente risponda ad un criterio sociale e non nasconda altri meno confessabili scopi. Altre esigenze da tenere in considerazione sono la semplificazione degli adempimenti e la trasparenza delle regole: due requisiti che facilitano la vita delle aziende ma che d'altra parte permettono controlli più facili e più economici per le autorità fiscali. |
4.4 |
L'allegato III alla direttiva IVA contiene un elenco di 18 categorie alle quali l'aliquota ridotta è applicabile; ogni SM ha facoltà di scegliere le categorie, di fare esclusioni all'interno di esse e di determinare la misura dell'imposta ridotta. La comunicazione in esame invita gli SM a «esaminare i beni e servizi supplementari per cui si propongono aliquote ridotte, al fine di determinare le distorsioni che potrebbero derivare dall'applicazione — facoltativa — di tali aliquote e decidere se tali distorsioni sono accettabili» (9). Dal contesto generale della comunicazione non sembra di poter interpretare questo messaggio come un invito ad allargare la lista di tali beni e servizi, semmai il contrario. Il CESE è comunque esplicitamente contrario all'allargamento delle categorie di beni o servizi ai quali applicare le aliquote ridotte: se si vuole proseguire — almeno idealmente, per il momento — sulla via dell'armonizzazione, gli SM dovrebbero semmai ridurre, e non aumentare, l'elenco dell'allegato III. |
4.5 |
La linea della Commissione è comunque globalmente condivisibile: dimenticato — o accantonato ancora per lungo tempo — il miraggio di un regime «definitivo», una delle priorità è quella di concedere maggiore autonomia agli SM nel fissare aliquote ridotte per i servizi locali che non possono essere forniti a distanza. La Commissione rileva che questi servizi «non incidono sul funzionamento del mercato interno»: non si tratta tanto di pragmatismo quanto del riconoscimento degli imperativi politici o sociali che sono alla base della concessione di esenzioni. |
4.6 |
Occorre peraltro analizzare con attenzione le affermazioni che si prestano a facili generalizzazioni: se la tassazione di attività locali non incide sul funzionamento del mercato interno, allora ogni merce o servizio prodotto e consumato localmente dovrebbe essere soggetto ad una tassazione stabilita su base locale: un principio che sovvertirebbe totalmente le basi stesse della direttiva IVA. Certamente la Commissione non intende né stabilire né accettare tale principio. |
4.7 |
Scendendo nel dettaglio degli aspetti ricordati dalla Commissione,merita qualche commento l'affermazione secondo la quale il ricorso ad aliquote ridotte può produrre vantaggi in settori accuratamente selezionati, aumentando la produttività generale e quindi il PIL. In questa categoria rientrano i servizi prestati localmente: una riduzione dell'IVA indurrebbe i consumatori a ridurre il «fai da te» e a dedicare così maggior tempo alle loro attività professionali. Occorre però guardare la realtà: il «fai da te» è un'occupazione del tempo libero, non solo socialmente utile, ma anche economicamente valida per le famiglie, quindi da incoraggiare. D'altra parte, è possibile che una riduzione dell'imposta possa produrre maggiori introiti per il fisco, ma solo per la parte del «fai da te» sostituibile con l'intervento di imprese soggette ad imposizione fiscale; non è dato sapere quanta parte sarebbe invece trasferita al settore del lavoro nero. Certamente l'economia sommersa o parzialmente sommersa — nonché l'evasione — non emergerà solo perché fruisce di un'IVA ridotta. Ben altre misure sono necessarie a questo fine. |
4.8 |
Una nota particolare è riservata ai servizi di ristorazione, che secondo la Commissione sono in una situazione non ben definita, o per meglio dire controversa. Da un lato si osserva che essi sono destinati principalmente al consumo interno, ma dall'altro si riconosce che essi hanno una notevole importanza nel quadro delle politiche turistiche di certi paesi, e per tutti quelli delle zone frontaliere. Su questo argomento non sarà facile trovare un accordo, come già si è visto in passato: secondo il Comitato, su questo particolare argomento sarà necessaria una decisione di carattere puramente politico. Ogni altra considerazione ispirata a motivi economici o fiscali rischia di prolungare le discussioni all'infinito: ciascuno rimarrà sulle proprie posizioni, giustificate da validi motivi di politica interna. |
4.9 |
Sempre in materia di servizi prestati localmente, il Comitato attira l'attenzione sul settore che rischia di diventare materia di un importante dibattito e cioè quello dei servizi sanitari pubblici e privati, che già possono fruire, sotto certe condizioni, di aliquote ridotte (10). È nota la crescente tendenza dei cittadini di alcuni SM ad avvalersi dei servizi pubblici di assistenza medica e chirurgica di altri paesi, considerati a torto o a ragione più efficienti. Questo fenomeno poco ha a che fare con la fiscalità; più pertinente è invece ai fini fiscali la scelta di ricorrere, in altri paesi, ai servizi prestati da cliniche e professionisti privati. La forte differenza fra le tariffe praticate nei diversi SM produce, particolarmente in certi settori della sanità, una diversione dal mercato nazionale verso altri paesi. La caratteristica «locale» di questi servizi è quindi in fase di attenuazione e sta piuttosto assumendo, per taluni servizi e in alcuni paesi, una connotazione transnazionale. In questo campo le distinzioni non sono facili né è possibile generalizzare: i rischi di controversie sono dunque elevati. |
4.9.1 |
Un accordo dipenderà dall'equilibrio che si riuscirà a trovare tra diverse ed opposte esigenze: da un lato, il carattere spiccatamente sociale della protezione della salute consiglierebbe l'inclusione di questi servizi fra quelli ai quali viene accordata una aliquota ridotta, dall'altro, potrebbero essere evocate questioni di concorrenza. La decisione finale dovrebbe tenere in conto il diritto del cittadino a farsi curare con il minor onere possibile per il proprio bilancio familiare; in altri termini, l'interesse del cittadino/consumatore dovrebbe essere considerato prioritario rispetto ai principi della concorrenza. |
4.10 |
Controversa è l'applicazione dell'IVA ridotta ai settori ad alta intensità di lavoro non qualificato. Lo studio citato dalla Commissione osserva che questa misura può determinare una crescita permanente dell'occupazione, ma in misura «verosimilmente limitata», il che è probabilmente vero. Anche in questo caso una decisione si presenta difficile: i settori di questo tipo (edilizia, lavori stradali, imprese di pulizia, mercati, ecc.) rispondono ad una domanda generalmente anelastica, e quindi una riduzione dell'IVA per essi avrebbe un effetto solo molto limitato sull'occupazione. D'altra parte, essi sono anche quelli nei quali l'impiego «in nero» della manodopera non qualificata è più frequente. Una riduzione dell'IVA contribuirebbe certamente a diminuire i costi delle imprese, ma rimane aperto il quesito se a questo corrisponderebbe una diminuzione dei prezzi e un aumento «reale» dell'occupazione. |
4.11 |
Più in generale, la Commissione osserva che le aliquote ridotte sono efficaci solo quando la spesa per i consumi di beni o servizi è stabile nel tempo e differisce in modo sostanziale fra i gruppi a basso reddito e quelli a reddito più elevato. Queste differenze sono più marcate nei settori dell'alimentazione, dell'abbigliamento e dell'edilizia: esistono differenze notevoli fra paese e paese; ma spesso le differenze più evidenti — e più ingiuste dal punto di vista sociale — si verificano all'interno degli stessi SM. Il CESE attira l'attenzione sul fatto che in diversi SM l'aliquota ridotta si applica per categorie, senza tener conto che all'interno di molte di esse figurano prodotti destinati alla massa dei consumatori e altri decisamente elitari, il cui prezzo è talvolta un consistente multiplo dei primi. Rimane aperto il problema di come, e con quali criteri, tassare diversamente beni o servizi che hanno la stessa denominazione ma che sono di fatto destinati, a seconda del prezzo e della qualità, a classi sociali differenti. Altro problema è quello di come adottare distinzioni durevoli, non soggette ai cambiamenti delle mode, e come farle osservare senza dover introdurre controlli costosi e complicati. Infine, rimane da considerare l'aspetto delle frodi, possibili in tutti i settori ma particolarmente nei due ora considerati: le denominazioni minuziose e dettagliate possono facilitarle, e il loro controllo è tutt'altro che agevole. Il CESE attira l'attenzione sulla necessità di applicare criteri discriminanti in base a considerazioni di carattere sociale: in altri termini, le aliquote ridotte dovrebbero dare un contributo ad una politica sociale di redistribuzione dei redditi o, quando non siano possibili le opzioni alternative di cui al punto 4.15, di appoggio a importanti programmi sociali. Ma in ogni caso deve essere assicurata la trasparenza nei confronti dei propri cittadini e degli altri Stati membri. |
4.11.1 |
La stessa osservazione potrebbe essere fatta a proposito dei libri e giornali, che talora vedono accomunate in un'unica categoria le pubblicazioni socialmente giustificabili con altre che non hanno alcun valore educativo o di intrattenimento o che, peggio, sono fuori o ai limiti delle leggi o della comune coscienza civile. Per quanto difficili, le distinzioni sembrano necessarie, e in ogni caso giustificabili in termini di trasparenza democratica. |
4.12 |
La Commissione osserva infine che una pluralità di aliquote comporta costi significativi per le imprese e per le autorità fiscali: si tratta di un'osservazione ovvia. Il Comitato preferirebbe si parlasse piuttosto di un aumento dei costi, tenuto conto che nel campo della fiscalità l'IVA è già di per sé l'imposta di gran lunga più costosa da applicare e da riscuotere. Questa constatazione è già stata messa in rilievo dal CESE (11) e viene qui richiamata insieme a un invito agli SM di rendere noto a quanto ammonti il gettito netto dell'IVA per il loro bilancio, una volta dedotta la parte destinata al bilancio comunitario e le spese di gestione, di riscossione, di controllo e di repressione delle frodi. Si raccomanda alla Commissione di fare proprio, in nome della trasparenza, questo invito, e anche di riflettere se non sia il caso di mettere allo studio un sistema alternativo di fiscalità (12). Ci si augura che l'eventuale ripensamento dell'intera materia si basi anche sui risultati — che potrebbero essere sorprendenti — in materia di benefici per il fisco : una volta conosciute le «vere» risultanze, non è impossibile che siano le stesse autorità fiscali a prendere l'iniziativa. |
4.13 |
Tuttavia, la questione ora sul tappeto è solo quella, contingente, dell'aumento dei costi «per le imprese e le autorità fiscali», relativi alle spese amministrative e contabili connesse all'applicazione — e all'interpretazione — di norme in deroga agli standard. Il Comitato fa osservare che ogni aumento di costi per le imprese viene trasferito sui consumatori finali, per cui occorrerà valutare, caso per caso, se e in quale misura l'applicazione di un'aliquota ridotta si traduca realmente in un beneficio per i cittadini. Oggi la grande maggioranza dei casi — numerosissimi — di contenzioso è dovuta alla genericità delle classificazioni, e alle conseguenti interpretazioni controverse, interventi di consulenti, ispezioni, ricorsi: le nuove regole dovrebbero dunque essere concepite anche in funzione della loro economicità di applicazione. |
4.14 |
Per il momento, il sistema delle aliquote ridotte, seppure costoso, è il solo praticabile; ma, tenendo presente che la Commissione stessa l'ha definito «rigido e incoerente» (13), il Comitato si augura che le discussioni politiche fra il Consiglio e il PE portino a decisioni comuni ispirate certamente ai principi del mercato interno, ma sempre nel rispetto delle esigenze dei cittadini/consumatori, delle aziende e delle amministrazioni fiscali. |
4.15 |
In materia di opzioni alternative alle aliquote ridotte, la Commissione ha posto il quesito se queste non possano essere sostituite da sovvenzioni dirette: uno strumento politico, quest'ultimo, più efficace, più trasparente e meno costoso. Il Comitato ritiene che delle soluzioni alternative a carattere nazionale siano una via percorribile in qualche caso particolare e in via temporanea, a condizione di evitare ogni misura che abbia le caratteristiche di un aiuto di Stato. Comunque, ogni tipo di soluzione a carattere nazionale alternativa alle deroghe IVA dovrebbe essere decisa in base a criteri di trasparenza, tenendo presente che, in ogni caso, essa costituirebbe un ulteriore allontanamento dagli obiettivi del mercato unico. |
4.16 |
Infine, a complemento ulteriore dei numerosi pareri sulla materia, il Comitato torna a formulare un suggerimento di semplice buon senso e di trasparenza: si elimini la denominazione di «provvisorio» per il regime IVA corrente. Un tale aggettivo, ancora in essere dopo trent'anni e senza prospettive a medio termine di diventare definitivo, è una mistificazione che toglie credibilità alle regole dell'Unione. E giustifica, se mai ce ne fosse bisogno, il vecchio adagio secondo il quale «nulla è più definitivo del provvisorio». |
Bruxelles, 22 aprile 2008.
Il presidente
del Comitato economico e sociale europeo
Dimitris DIMITRIADIS
(1) Un regime «definitivo» dovrebbe prevedere, secondo logica, la tassazione nel luogo di destinazione, o per meglio dire di consumo. All'epoca, e ancor oggi, ostacoli di varia natura ne hanno impedito un'applicazione generalizzata.
(2) Direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d'imposta sul valore aggiunto (GU L 347 dell'11.12.2006).
(3) Articoli 96 e 97 della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d'imposta sul valore aggiunto (GU L 347 dell'11.12.2006); non è mai stato fissato un tetto massimo.
(4) Cfr. articoli 98-101 e l'allegato III alla direttiva.
(5) Proposta di direttiva COM(2007) 381 def., e parere del CESE in merito alla Proposta di direttiva del Consiglio che modifica la direttiva 2006/112/CE con riguardo ad alcune disposizioni temporanee relative alle aliquote dell'imposta sul valore aggiunto (GU C 44 del 16.2.2008, pag. 120).
(6) Comunicazione COM(2007) 380 def., nel capitolo «Introduzione».
(7) Cfr. il parere CESE in merito alla Proposta di direttiva del Consiglio relativa al sistema comune d'imposta sul valore aggiunto (rifusione) (GU C 74 del 23.3.2005, pag. 21).
(8) Cfr. a tale proposito il parere CESE contenente i commenti alla Proposta di direttiva del Consiglio che modifica la direttiva 77/388/CEE al fine di semplificare gli obblighi in materia di imposta sul valore aggiunto e alla Proposta di regolamento del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 1798/2003 per quanto concerne l'introduzione di modalità di cooperazione amministrativa nel contesto del regime dello sportello unico e della procedura di rimborso dell'imposta sul valore aggiunto (GU C 267 del 27.10.2005, pag. 45).
(9) Cfr. la comunicazione COM(2007) 380 def., punto 3.3 «Imperativi sul mercato interno», paragrafo 2.
(10) Punti 15 e 17 dell'allegato III alla direttiva IVA.
(11) Si è iniziato a battere su questo tasto con il parere CESE sul tema La lotta contro le frodi fiscali nel Mercato unico (GU C 268 del 19.9.2000, pag. 45) e diverse volte in seguito (l'ultima volta in ordine di tempo, con il parere CESE in merito alla Proposta di direttiva del Consiglio che modifica la direttiva 77/388/CEE al fine di semplificare gli obblighi in materia di imposta sul valore aggiunto e alla Proposta di regolamento del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 1798/2003 per quanto concerne l'introduzione di modalità di cooperazione amministrativa nel contesto del regime dello sportello unico e della procedura di rimborso dell'imposta sul valore aggiunto) (GU C 267 del 27.10.2005, pag. 45), naturalmente senza esito alcuno.
(12) Anche su questo punto, il CESE ha iniziato nel 2000 a richiamare l'attenzione con il parere di cui alla nota precedente, e ha continuato a farlo con una serie di pareri successivi. In proposito, il Comitato si era espresso con il suo parere sul sistema comune d'imposta sul valore aggiunto (rifusione) (GU C 74 del 23.3.2005, pag. 21).
(13) Cfr. il parere CESE in merito alla Proposta di direttiva del Consiglio che modifica la direttiva 77/388/CEE al fine di semplificare gli obblighi in materia di imposta sul valore aggiunto e alla Proposta di regolamento del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 1798/2003 per quanto concerne l'introduzione di modalità di cooperazione amministrativa nel contesto del regime dello sportello unico e della procedura di rimborso dell'imposta sul valore aggiunto (GU C 267 del 27.10.2005, pag. 45).