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Document 62011CC0530

    Conclusioni dell'avvocato generale Kokott del 12 settembre 2013.
    Commissione europea contro Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord.
    Inadempimento di uno Stato - Partecipazione del pubblico ai processi decisionali e accesso alla giustizia in materia ambientale - Nozione di "costo non eccessivamente oneroso" di un procedimento giurisdizionale.
    Causa C-530/11.

    Court reports – general

    ECLI identifier: ECLI:EU:C:2013:554

    CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

    JULIANE KOKOTT

    presentate il 12 settembre 2013 ( 1 )

    Causa C‑530/11

    Commissione europea

    contro

    Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord

    «Convenzione di Aarhus — Direttiva 2003/35/CE — Accesso alla giustizia — Nozione di procedimento giurisdizionale “eccessivamente oneroso” — Trasposizione»

    I – Introduzione

    1.

    È notorio che l’accesso alla giustizia nel Regno Unito è piuttosto oneroso. In particolare, dalla rappresentanza processuale possono derivare costi rilevanti. Dato che, di norma, la parte soccombente sopporta le spese della parte vincitrice, ad un processo sono collegati rischi di spese rilevanti.

    2.

    Di contro, la convenzione di Aarhus ( 2 ) e, per determinati procedimenti, la sua trasposizione mediante la direttiva 2003/35/CE ( 3 ) impongono che i procedimenti giurisdizionali in materia ambientale non siano eccessivamente onerosi. La Corte di giustizia, nella sentenza Edwards ( 4 ), si è già occupata, a livello astratto, del significato di tale disposizione nel contesto del diritto inglese. Ora occorre chiarire in concreto se il Regno Unito abbia trasposto correttamente le pertinenti disposizioni.

    3.

    A tal riguardo, si tratta anzitutto della questione relativa al potere discrezionale dei giudici di limitare, in certi casi, il rischio del ricorrente di dover sostenere le spese del resistente in caso di soccombenza. Inoltre, va precisato se sia compatibile con il diritto dell’Unione il fatto che i giudici, nell’esercizio di detta competenza, limitino contemporaneamente il rischio del resistente — normalmente un’autorità pubblica — di essere tenuto a sopportare a sua volta le spese del ricorrente. Infine, non è pacifico se la tutela in via cautelare nei procedimenti in questione possa essere subordinata al fatto che il richiedente si impegni a risarcire i danni cagionati dalle misure cautelari in caso di soccombenza nel merito. A titolo di questione preliminare, occorre chiarire entro quali limiti una direttiva possa essere trasposta nel diritto nazionale per mezzo della giurisprudenza.

    II – Contesto normativo

    A – Il diritto internazionale

    4.

    Le prescrizioni applicabili alle spese giudiziali inerenti ai procedimenti in materia ambientale sono contemplate dalla convenzione di Aarhus, firmata dall’allora Comunità europea il 25 giugno 1998 ad Aarhus (Danimarca) ( 5 ).

    5.

    L’articolo 6 della convenzione prescrive una partecipazione del pubblico per l’autorizzazione di determinate attività.

    6.

    L’articolo 9 della convenzione disciplina l’accesso alla giustizia in materia ambientale. Nel caso di specie si tratta del procedimento di cui al paragrafo 2:

    «Nel quadro della propria legislazione nazionale, ciascuna Parte provvede affinché i membri del pubblico interessato

    (…)

    (…) abbiano accesso a una procedura di ricorso dinanzi ad un organo giurisdizionale e/o ad un altro organo indipendente ed imparziale istituito dalla legge, per contestare la legittimità sostanziale o procedurale di decisioni, atti od omissioni soggetti alle disposizioni dell’articolo 6 (…) della presente convenzione».

    7.

    Il paragrafo 4 ha ad oggetto, inter alia, le spese:

    «4. Fatto salvo il paragrafo 1, le procedure di cui ai paragrafi 1, 2 e 3 devono offrire rimedi adeguati ed effettivi, ivi compresi, eventualmente, provvedimenti ingiuntivi, e devono essere obiettive, eque, rapide e non eccessivamente onerose (…)».

    B – Il diritto dell’Unione

    8.

    Nel trasporre le disposizioni sull’accesso alla giustizia contemplate dall’articolo 9, paragrafo 2, della convenzione di Aarhus, l’articolo 3, punto 7, e l’articolo 4, punto 4, della direttiva 2003/35/CE hanno introdotto rispettivamente l’articolo 10 bis nella direttiva VIA ( 6 ) e l’articolo 15 bis nella direttiva IPPC ( 7 ). Il quinto comma delle due norme contiene, a tal riguardo, disposizioni sulle spese aventi lo stesso tenore:

    «Una siffatta procedura è giusta, equa, tempestiva e non eccessivamente onerosa».

    C – Il diritto del Regno Unito

    9.

    In base alla regola 44.3, paragrafo 2, delle Civil Procedure Rules vigenti per l’Inghilterra e il Galles, in linea di principio le spese della parte vincitrice vengono sopportate dalla parte soccombente. Tuttavia il giudice, in considerazione delle circostanze del caso, può decidere anche in maniera diversa. In particolare, la regola 44.3, paragrafo 6, consente di adottare un’ordinanza che limiti ad un certo importo la responsabilità per le spese della parte avversa. In Scozia e in Irlanda del Nord la normativa è simile.

    10.

    La regola 25 delle Civil Procedure Rules riguarda la tutela in via cautelare. In riferimento a detta disposizione esistono le cosiddette «Practice Directions», le quali, nella sezione 5.1, prevedono che ogni provvedimento cautelare debba imporre al richiedente l’obbligo di impegnarsi dinanzi al giudice a prestare alla controparte il risarcimento considerato necessario dallo stesso giudice. Inoltre, ai sensi della sezione 5.1A, il giudice deve verificare se un siffatto impegno si estenda anche ai danni subiti da terzi per effetto del provvedimento. Tuttavia, il giudice ha la facoltà di prescindere da tale obbligo. Mentre le disposizioni applicabili in Irlanda del Nord sono simili, la Scozia non conosce un analogo obbligo di risarcimento del danno.

    11.

    A seguito della sentenza Edwards ( 8 ), il Regno Unito ha integrato tali disposizioni per conformarsi alla convenzione di Aarhus nonché agli articoli 3, punto 7, e 4, punto 4, della direttiva 2003/35/CE, ma dette modifiche non costituiscono oggetto ratione temporis del presente procedimento.

    III – Fase precontenziosa e conclusioni delle parti

    12.

    A seguito di denuncia, in data 23 ottobre 2007 la Commissione invitava il Regno Unito a presentare osservazioni riguardanti l’adempimento degli obblighi ad esso incombenti in forza degli articoli 3, punto 7, e 4, punto 4, della direttiva 2003/35/CE.

    13.

    Nonostante le risposte fornite dal Regno Unito in data 20 dicembre 2007 e 5 settembre 2008, la Commissione trasmetteva a detto Stato membro, il 22 marzo 2010, un parere motivato, nel quale sosteneva che il Regno Unito non aveva adeguatamente recepito le menzionate disposizioni né le aveva correttamente applicate. La Commissione invitava il Regno Unito ad adottare, entro il termine di due mesi, ossia entro il 22 maggio 2010, i provvedimenti necessari per conformarsi al parere.

    14.

    Anche dopo la risposta del Regno Unito del 19 luglio 2010, la Commissione ribadiva la propria posizione e presentava, in data 18 ottobre 2011, il presente ricorso. Essa chiede che la Corte voglia:

    1)

    dichiarare che, non avendo recepito integralmente e non avendo applicato correttamente gli articoli 3, punto 7, e 4, punto 4, della direttiva 2003/35/CE, il Regno Unito è venuto meno agli obblighi ad esso incombenti in forza di tale direttiva;

    2)

    condannare il Regno Unito alle spese di giudizio.

    15.

    Il Regno Unito chiede che la Corte voglia:

    1)

    dichiarare che il Regno Unito non è venuto meno agli obblighi ad esso incombenti in forza degli articoli 3, punto 7, e 4, punto 4, della direttiva 2003/35;

    2)

    condannare la Commissione alle spese di giudizio.

    16.

    Con ordinanza del 4 maggio 2012, il presidente della Corte di giustizia ha ammesso il Regno di Danimarca e l’Irlanda come intervenienti a sostegno delle conclusioni del Regno Unito.

    17.

    Le parti hanno presentato le proprie osservazioni scritte nonché, all’udienza dell’11 luglio 2013, ad eccezione della Danimarca, le proprie osservazioni orali.

    IV – Valutazione giuridica

    18.

    Sebbene la Commissione fondi il proprio ricorso sugli articoli 3, punto 7, e 4, punto 4, della direttiva 2003/35/CE, mi sembra tuttavia più appropriato far riferimento, nella disamina dei motivi del ricorso, alle norme introdotte da detti articoli, ossia l’articolo 10 bis della direttiva VIA e l’articolo 15 bis della direttiva IPPC. In base al quinto comma delle due disposizioni, di identico tenore, le procedure ivi previste per il riesame delle autorizzazioni di cui alle due direttive non devono essere eccessivamente onerose. Così viene trasposto l’articolo 9, paragrafo 4, della convenzione di Aarhus con riguardo alle procedure di ricorso previste dall’articolo 9, paragrafo 2, della stessa convenzione.

    19.

    Il ricorso proposto dalla Commissione ha ad oggetto la trasposizione di tale normativa nell’ordinamento delle tre circoscrizioni giurisdizionali del Regno Unito, vale a dire Inghilterra e Galles, inclusa Gibilterra, Scozia nonché Irlanda del Nord (a tal riguardo, v. sub B), ma verte anche sulla sua applicazione (a tal riguardo, v. sub C). In primo luogo vorrei però brevemente indicare i punti della sentenza Edwards ( 9 ), medio tempore emanata, che assumono importanza per il presente caso e, alla luce di questi, analizzare determinati argomenti dedotti dalle parti i quali, per quanto abbiano una relazione con la questione delle spese di giudizio, non contribuiscono tuttavia a chiarire i singoli motivi di ricorso (a tal riguardo, v. sub A).

    A – Osservazione preliminare

    20.

    L’articolo 10 bis, quinto comma, della direttiva VIA e l’articolo 15 bis, quinto comma, della direttiva IPPC, nonché l’articolo 9, paragrafo 4, della convenzione istituiscono un obbligo di tutela contro spese processuali eccessive, obbligo che è stato precisato con la sentenza Edwards.

    21.

    In base ad essa, i soggetti di cui all’articolo 10 bis della direttiva VIA e dall’articolo 15 bis della direttiva IPPC non devono essere dissuasi dal proporre o dal proseguire un ricorso giurisdizionale rientrante nell’ambito di applicazione di tali articoli dall’onere finanziario che potrebbe risultarne. A tal riguardo, è necessario tener conto tanto dell’interesse del soggetto che desidera difendere i propri diritti quanto dell’interesse generale connesso alla tutela dell’ambiente ( 10 ).

    22.

    Secondo la Corte, inoltre, il requisito che il procedimento non sia eccessivamente oneroso riguarda il complesso degli oneri finanziari derivanti dalla partecipazione al procedimento giurisdizionale. Pertanto, il carattere eccessivamente oneroso deve essere valutato globalmente, tenendo conto di tutte le spese sostenute dall’interessato ( 11 ). Queste ultime comprendono, in linea di principio, anche i costi della rappresentanza processuale.

    23.

    Nella sentenza Edwards la Corte ha infine precisato che, contrariamente alla tesi sostenuta dalla Danimarca, il requisito del carattere non eccessivamente oneroso del procedimento giurisdizionale non può essere valutato dal giudice nazionale in modo diverso a seconda che egli statuisca in esito ad un procedimento di primo grado, ad un appello o ad un’ulteriore impugnazione ( 12 ). Tale affermazione non può però essere interpretata nel senso che, nella valutazione delle spese ammissibili nelle giurisdizioni superiori, si possa non tener conto delle spese già sostenute. Piuttosto, ogni giudice deve badare a che le spese di tutti i gradi di giudizio nel loro complesso non siano eccessivamente onerose o proibitive.

    24.

    La Danimarca evidenzia tuttavia, correttamente, che in determinate procedure di ricorso le parti possono rinunciare ad una rappresentanza processuale professionale. È ad esempio ipotizzabile che ciò accada nel caso in cui le autorità competenti siano vincolate in modo particolarmente rigido al principio inquisitorio e, pertanto, chiariscano d’ufficio tutte le questioni e le circostanze pertinenti. La possibilità di rinunciare ad una rappresentanza processuale necessita però di una valutazione concreta di tutte le condizioni giuridiche e pratiche di ciascuna procedura, nonché degli usi procedurali.

    25.

    Nel presente caso non è oggetto di contestazione che la rappresentanza tramite avvocati dinanzi ai giudici del Regno Unito sia necessaria e possa comportare spese rilevanti. Tale Stato membro giustifica tali spese con le particolari condizioni del procedimento giurisdizionale in contraddittorio del common law, che fisserebbe requisiti particolarmente rigorosi per il rappresentante processuale.

    26.

    Come accade presso i giudici dell’Unione, le spese della rappresentanza processuale nel Regno Unito sono sostenute, di regola, dalla parte soccombente. Nel caso in cui il loro ricorso non venga accolto, i ricorrenti contemplati dall’articolo 10 bis della direttiva VIA e dall’articolo 15 bis della direttiva IPPC sono tenuti conseguentemente a sostenere, di norma, le spese della controparte e le proprie. Se il ricorso viene accolto, le loro spese sono invece sostenute dalla controparte.

    27.

    Sebbene il Regno Unito, a quanto sembra, consideri giustificate le spese che si producono in tale sistema, il rischio dei costi da sostenere può dissuadere la parte interessata dal proporre o dal proseguire i ricorsi previsti dall’articolo 10 bis della direttiva VIA e dall’articolo 15 bis della direttiva IPPC. Tali procedure possono pertanto essere eccessivamente o proibitivamente onerose ai sensi di dette disposizioni. Di conseguenza, è necessario predisporre un’adeguata tutela in materia di spese processuali.

    28.

    Il Regno Unito menziona diversi meccanismi che coprono, o almeno limitano, il rischio di spese processuali. La Commissione non contesta tali meccanismi di per sé, ma, giustamente, li ritiene inadeguati a trasporre l’articolo 10 bis della direttiva VIA e l’articolo 15 bis della direttiva IPPC.

    29.

    Sebbene esista nel Regno Unito la possibilità del patrocinio a spese dello Stato, detto Stato membro non nega, però, il fatto che le associazioni non possano accedervi ( 13 ), né che sia richiesta una situazione di bisogno dell’interessato. Dato che anche le associazioni e i ricorrenti capaci finanziariamente di far fronte alle spese ( 14 ) devono essere tutelati da spese proibitive, tale strumento non è sufficiente ad assicurare la tutela in materia di spese processuali.

    30.

    Il Regno Unito rileva inoltre che il rischio di spese connesse con la proposizione di un ricorso amministrativo (judicial review) è molto limitato. Tale ricorso verrebbe ammesso solo nel caso in cui ne sia accertato il fumus boni iuris a seguito di un procedimento sommario diretto a stabilirne la ricevibilità. La partecipazione a detto procedimento comporterebbe un importo relativamente basso delle spese.

    31.

    Sebbene tale procedimento limiti i rischi di spese relativi a ricorsi con possibilità molto scarse di successo, in quanto questi ultimi sono respinti in una fase preliminare prima che possano comportare ulteriori spese, la convenzione di Aarhus e la sua trasposizione nel diritto dell’Unione non riguardano prioritariamente ricorsi con prospettive di successo particolarmente ridotte ( 15 ). L’interesse generale alla tutela dell’ambiente viene soddisfatto in misura considerevolmente maggiore qualora siano facilitati i ricorsi il cui accoglimento sia incerto, nonostante siano fondati su una tesi sostenibile. Tali procedimenti si basano, di regola, su un interesse legittimo alla tutela dell’ambiente, ma, in ragione dell’esito insicuro, i rischi di spese risultano particolarmente rilevanti.

    32.

    Infine, il Regno Unito menziona anche la possibilità di un’assicurazione per i rischi di spese processuali, la cosiddetta «After the Event Insurance». È tuttavia pacifico che anche detto strumento non copre tutti i casi. È di tutta evidenza che le imprese di assicurazione sono costrette, in particolar modo nei procedimenti ad esito incerto, vale a dire ad alto rischio, a chiedere premi che possono essere parimenti proibitivi.

    33.

    Sebbene la Commissione sottolinei la necessità che le spese siano prevedibili, nel presente caso non si deve però determinare in quale misura le spese debbano poter essere effettivamente calcolate in una fase precoce del procedimento. La possibilità offerta, dal diritto del Regno Unito, di adottare misure di tutela contro spese processuali eccessive, infatti, configura uno strumento idoneo a definire il rischio massimo di spese in una fase iniziale del procedimento.

    34.

    È vero che la Commissione contesta taluni risultati e criteri di applicazione di tale strumento, ma non lo ritiene di per sé insufficiente. Quando essa critica l’incertezza degli importi delle spese processuali, le sue obiezioni si dirigono piuttosto contro il fatto che la normativa del Regno Unito non prescrive in modo sufficientemente chiaro e preciso la tutela contro spese processuali eccessive. Mi occuperò di tale problema nel prosieguo.

    B – Sulla trasposizione

    35.

    La Commissione contesta al Regno Unito di non aver recepito nel proprio ordinamento giuridico le disposizioni in materia di tutela contro spese processuali eccessive. Essa si richiama, a tal riguardo, ad una sentenza della Corte sulla normativa vigente in Irlanda. In detto Stato membro i giudici hanno la facoltà di non condannare la parte soccombente alle spese e possono, inoltre, far gravare sulla controparte l’onere delle spese sostenute da quest’ultima. Dato che si tratta soltanto di una mera prassi giurisdizionale, la Corte non ha riconosciuto in essa una trasposizione ( 16 ).

    36.

    Il Regno Unito oppone a detto argomento la giurisprudenza nazionale, fondandosi sul fatto che, ai sensi dell’articolo 288, paragrafo 3, TFUE, la direttiva vincola lo Stato membro cui è rivolta per quanto riguarda il risultato da raggiungere, salva restando la competenza degli organi nazionali in merito alla forma e ai mezzi ( 17 ).

    37.

    La Corte ha stabilito, infatti, che la trasposizione nel diritto nazionale delle norme dell’Unione non implica necessariamente la riproduzione formale e letterale delle disposizioni in una norma espressa e specifica. Può essere sufficiente il contesto giuridico generale, sempreché questo garantisca effettivamente la piena applicazione delle norme dell’Unione in modo sufficientemente chiaro e preciso ( 18 ).

    38.

    Invero la Corte non si è ancora pronunciata sulla questione se i precedenti vincolanti, cioè le decisioni giurisdizionali che caratterizzano il common law vigente nel Regno Unito, possano configurare una trasposizione sufficiente di una direttiva. Tuttavia, essa ha già affermato che, anche per valutare se una trasposizione sia sufficiente, la portata delle disposizioni legislative, regolamentari o amministrative nazionali deve essere valutata alla luce dell’interpretazione che ne danno i giudici nazionali ( 19 ).

    39.

    Ai fini della trasposizione di una direttiva, tuttavia, non può essere sufficiente il fatto che i giudici abbiano la possibilità di conformarsi ad essa e che, eventualmente, lo facciano. Infatti, per giurisprudenza costante, un potere discrezionale che può essere esercitato in conformità di una direttiva non basta a recepire le disposizioni di detta direttiva, poiché tale prassi può essere modificata in qualsiasi momento ( 20 ). Proprio a tale conclusione si è giunti nella causa menzionata dalla Commissione: i giudici irlandesi avevano un potere discrezionale che consentiva loro di garantire la tutela in materia di spese processuali, ma non avevano un obbligo in tal senso. Inoltre, nella normativa irlandese mancavano criteri per determinare i casi in cui una siffatta tutela doveva essere concessa. In quell’occasione non furono dedotti precedenti pertinenti che avrebbero fondato un obbligo del genere.

    40.

    Risulta pertanto decisivo che le pertinenti sentenze dei giudici nazionali garantiscano effettivamente la piena applicazione della tutela necessaria in materia di spese processuali in modo sufficientemente chiaro e preciso nonché vincolante ( 21 ). In presenza delle menzionate condizioni, i precedenti potrebbero assicurare la trasposizione ( 22 ).

    41.

    Nel presente procedimento le parti citano diverse decisioni giurisdizionali nazionali. Sebbene la Commissione sia del parere che tali decisioni non configurino un’applicazione pratica sufficiente, esse, alla luce delle osservazioni svolte supra, risultano rilevanti anche ai fini della trasposizione.

    42.

    Pertanto, l’analisi che in questa sede dovrà essere condotta deve avere ad oggetto, anzitutto, il potere discrezionale di cui dispongono i giudici di adottare ordinanze in materia di spese processuali eccessive (punto 1); poi, la possibilità di limitare le spese che il ricorrente può far valere in caso di accoglimento del suo ricorso (punto 2), e, infine, la concessione di provvedimenti cautelari (punto 3).

    1. Sul potere discrezionale dei giudici di adottare un’ordinanza in materia di spese

    43.

    L’istituto dell’ordinanza di tutela in materia di spese è stato sviluppato dalla Court of Appeal per l’Inghilterra e il Galles nella sentenza Corner House ( 23 ) ed è stato recepito dai giudici di Scozia e Irlanda del Nord. In presenza di circostanze straordinarie, una simile ordinanza può fissare, per ogni grado di giudizio, un limite massimo di spese cui il ricorrente può essere condannato in caso di soccombenza. Tale decisione può essere adottata ad ogni stadio del procedimento, qualora il giudice sia persuaso che:

    i problemi sollevati siano di interesse pubblico generale;

    l’interesse pubblico esiga una soluzione giuridica di tali problemi;

    il ricorrente non abbia alcun interesse privato all’esito del procedimento;

    con riguardo ai mezzi finanziari del ricorrente e delle controparti, nonché alle spese prevedibili, sia giusto ed equo adottare una decisione di tutela in materia di spese, e che

    sia probabile che il ricorrente desista dal procedimento qualora non venga adottata alcuna decisione in materia di spese.

    44.

    In conseguenza di un modus procedendi così restrittivo, già la decisione in materia di spese processuali determina spese relativamente alte e costi aggiuntivi, senza contribuire al chiarimento delle questioni in materia ambientale di cui trattasi nel procedimento stesso.

    45.

    Detto strumento consente ai giudici competenti anzitutto un margine di valutazione per quanto riguarda i diversi requisiti per la concessione di un’ordinanza di tutela in materia di spese e, una volta accertato che tali requisiti ricorrono, conferisce loro il potere discrezionale di definire la tutela in materia di spese processuali da attuare in concreto. Quest’ultimo potere discrezionale investe sia la misura del rischio finanziario ammesso sia la questione se, ed eventualmente in quale misura, anche il rischio finanziario della controparte vada contestualmente limitato.

    46.

    Non possono essere censurati né il margine di valutazione né il potere discrezionale in quanto tali. Infatti, in ragione delle rilevanti differenze nelle normative degli Stati membri in ordine alle regole in materia di accesso alla giustizia, sussiste un ampio margine di discrezionalità nell’attuazione della tutela in materia di spese processuali ( 24 ). Inoltre, la stessa Corte ha riconosciuto la necessità di lasciare ai giudici margini di valutazione e un potere discrezionale in materia di tutela delle parti contro spese processuali eccessive ( 25 ). In ogni caso, nei procedimenti interessati i giudici nazionali devono essere inequivocabilmente tenuti ad esercitare il loro potere discrezionale allo scopo di assicurare una sufficiente tutela in materia di spese processuali ( 26 ).

    47.

    Il potere discrezionale di cui dispongono i giudici del Regno Unito nell’adozione dell’ordinanza in materia di spese processuali eccessive non soddisfa detti requisiti. Infatti, esso è diretto a valutare se, nel caso specifico, in via eccezionale ( 27 ) sia iniquo o ingiusto adeguarsi al principio generale secondo cui non è riconosciuta alcuna tutela in materia di spese processuali. Per contro non è dato riscontrare, a carico dei giudici del Regno Unito, un obbligo di conformarsi alle finalità della tutela contro le spese processuali eccessive nell’ambito dei procedimenti interessati.

    48.

    Tale conclusione non cambia per effetto delle menzionate decisioni successive alla sentenza Corner House. Anzi, nella sentenza Morgan del 2009, si afferma che il potere discrezionale di cui dispongono i giudici nelle decisioni in materia di spese può essere incompatibile con il principio della tutela in materia di spese processuali ( 28 ).

    49.

    Anche dalla decisione del 2010, adottata nel caso Garner solo dopo il decorso del termine fissato nel parere motivato, non risulta che, medio tempore, il potere discrezionale in esame sia stato modulato in funzione della finalità di tutela in materia di spese processuali ( 29 ).

    50.

    Inoltre, i criteri applicati nel Regno Unito sono incompatibili con quanto affermato dalla Corte nella sentenza Edwards.

    51.

    Il Regno Unito sostiene che i criteri per la concessione della tutela necessaria in materia di spese processuali non costituiscono oggetto del presente procedimento, ma tale asserzione non convince. Tali criteri rappresentano, al contrario, il nucleo centrale della censura della Commissione, secondo cui il suddetto Stato membro non avrebbe trasposto in modo adeguato la normativa dell’Unione relativa all’obbligo di tutela delle parti contro spese processuali eccessive. Di conseguenza, nel presente caso detti criteri devono essere oggetto di analisi.

    52.

    La prima problematica che si pone in relazione ai criteri applicati nel Regno Unito riguarda il fatto che essi tengono conto dell’interesse pubblico e privato all’attuazione del procedimento. Sebbene la stessa Corte richieda di prendere in considerazione tali interessi ( 30 ), il Regno Unito dà atto tuttavia che essi, prima della sentenza Garner, non sono stati presi in debita considerazione ( 31 ). Pertanto, tale Stato membro ammette che, prima di detta sentenza, non era dato sufficiente riconoscimento e peso all’interesse pubblico all’attuazione della normativa in materia ambientale nelle procedure di cui all’articolo 10 bis della direttiva VIA e all’articolo 15 bis della direttiva IPPC. Dato che la sentenza in parola è stata adottata solo dopo il decorso del termine fissato nel parere motivato, essa non ha posto rimedio a tale inadempimento entro il termine prescritto.

    53.

    È altresì incompatibile con la tutela delle parti contro spese processuali eccessive il fatto che la mera esistenza di un interesse privato alla conclusione del procedimento possa ostare alla concessione di un’ordinanza di tutela in materia di spese. Per quanto anche la Corte esiga che un siffatto interesse sia preso in considerazione, tuttavia ciò non dovrebbe escludere la tutela in materia di spese processuali. Anzi, i singoli devono essere tutelati anche quando fanno valere propri diritti ad essi spettanti in forza del diritto dell’Unione ( 32 ).

    54.

    Sebbene nella sentenza pronunciata nel caso Morgan ( 33 )— apparentemente in un obiter dictum — si affermi che detto criterio debba essere applicato in modo flessibile, è comunque evidente che a tal riguardo, quantomeno, sussiste una considerevole incertezza.

    55.

    Considerare inoltre, quale criterio di esclusione della tutela delle parti contro spese processuali eccessive, la capacità del ricorrente di far fronte alle spese, vale a dire l’assenza di prova del suo stato di bisogno, viola l’obbligo di assicurare la tutela in discorso. Al contrario, le spese di un procedimento non devono superare le capacità finanziarie dell’interessato né apparire oggettivamente — vale a dire indipendentemente dalla sua capacità di farvi fronte — irragionevoli ( 34 ). In altri termini: anche i ricorrenti finanziariamente capaci di far fronte alle spese non devono essere esposti al rischio di spese eccessive o proibitive e, per i ricorrenti dotati di mezzi limitati, i rischi oggettivamente ragionevoli di spese devono essere, se del caso, ulteriormente ridotti.

    56.

    Infine, la Corte ha dichiarato che non può escludersi la tutela in materia di spese processuali nel caso in cui l’interessato non sia verosimilmente dissuaso dall’agire in giudizio per il rischio di spese eccessive ( 35 ). Invece, in base alla sentenza Corner House, un siffatto rischio di dissuasione costituisce un ulteriore requisito per la concessione di una misura di tutela in materia di spese processuali.

    57.

    Di conseguenza, prevedendo che i giudici dispongano di un potere discrezionale nella concessione della tutela in materia di spese processuali non collegato alla finalità di tale tutela e prevedendo che essi applichino a tal fine criteri incompatibili con gli articoli 3, punto 7, e 4, punto 4, della direttiva 2003/35, il Regno Unito è venuto meno agli obblighi ad esso incombenti in forza di tali disposizioni.

    2. Sulla limitazione reciproca delle spese

    58.

    La Commissione censura anche il fatto che, di frequente, le ordinanze di tutela in materia di spese processuali limitino contestualmente il rischio di spese della controparte. Tale problema riguarda tutte e tre le circoscrizioni giurisdizionali del Regno Unito.

    Sulla ricevibilità

    59.

    Il Regno Unito ritiene detta censura irricevibile, poiché non sarebbe stata avanzata nel procedimento precontenzioso. In effetti, la Commissione ha contestato espressamente la limitazione reciproca delle spese per la prima volta nel parere motivato ( 36 ).

    60.

    L’eccezione sollevata dal Regno Unito si fonda sul fatto che la lettera di diffida inviata dalla Commissione allo Stato membro interessato e il suo successivo parere motivato delimitano la materia del contendere, che quindi non può più essere ampliata. Infatti, la possibilità, per lo Stato membro interessato, di presentare osservazioni costituisce una garanzia essenziale, la cui osservanza è un requisito formale sostanziale per la regolarità del procedimento di accertamento dell’inadempimento di uno Stato membro. Di conseguenza, il parere motivato e il ricorso della Commissione devono vertere sugli stessi addebiti già mossi nella lettera di diffida che apre il procedimento precontenzioso ( 37 ).

    61.

    Tuttavia, tale esigenza non può arrivare ad imporre in ogni caso una perfetta coincidenza tra l’esposizione degli addebiti nella lettera di diffida, il dispositivo del parere motivato e le conclusioni del ricorso, purché l’oggetto della controversia non sia stato ampliato o modificato ( 38 ).

    62.

    In particolare, la lettera di diffida, la quale, necessariamente, può consistere solo in un primo e succinto riassunto degli addebiti, non deve soddisfare requisiti di precisione rigorosi come quelli che devono essere soddisfatti dal parere motivato. Nulla impedisce dunque alla Commissione di precisare, nel parere motivato, gli addebiti da essa già esposti in maniera più generale nella lettera di diffida ( 39 ).

    63.

    Ciò è quanto accaduto nel caso di specie. La Commissione deduce giustamente che le spese che una parte sostiene per la propria rappresentanza costituiscono ugualmente parte delle spese processuali, il cui importo dovrebbe essere limitato dagli Stati membri ( 40 ). La censura secondo cui detto rischio di spese non viene sufficientemente limitato, pertanto, era già ricompresa nella censura secondo la quale nel Regno Unito il rischio di spese non sarebbe, nel suo complesso, sufficientemente limitato.

    64.

    Tale valutazione viene confermata dalla risposta del Regno Unito all’invito a presentare osservazioni, vale a dire dalla prima lettera di detto Stato membro nel procedimento precontenzioso. In tale lettera sono menzionati, infatti, gli accordi condizionati, con i quali la parte e il proprio avvocato stabiliscono che questi percepisca un compenso solo in caso di accoglimento del ricorso, come un mezzo per contenere il rischio di spese eccessive ( 41 ). L’argomento della Commissione esposto nel parere motivato, secondo cui le ordinanze in materia di spese processuali privano di sostanza tale mezzo, in quanto limitano l’importo delle spese che il ricorrente può chiedere in caso di esito positivo, è dunque, in ultima analisi, solo una controargomentazione per indebolire detta tesi. Così tale aspetto è divenuto allo stesso tempo parte dell’oggetto del procedimento.

    65.

    Pertanto, il suddetto argomento è ricevibile e deve essere valutato.

    Nel merito

    66.

    La Commissione critica il fatto che le ordinanze di tutela in materia di spese processuali, in parte, sono configurate in base alla reciprocità, anche nel senso che, oltre al rischio della parte ricorrente di essere condannata alle spese sostenute dalla controparte in caso di soccombenza, limitano altresì il rischio della controparte di dover sostenere, in caso di accoglimento del ricorso, le spese sostenute dalla parte ricorrente.

    67.

    L’ordinanza di tutela in materia di spese a favore di una parte, che limita il rischio di dover sostenere le spese della controparte esclusivamente a favore del ricorrente, può contribuire in misura significativa a prevenire spese eccessive o proibitive del procedimento giurisdizionale. Tuttavia, già l’entità delle spese della propria rappresentanza può dissuadere i soggetti di cui all’articolo 10 bis della direttiva VIA e dall’articolo 15 bis della direttiva IPPC dal proporre o dal proseguire un ricorso giurisdizionale rientrante nell’ambito di applicazione di tali articoli.

    68.

    In relazione alle spese della propria rappresentanza, sia il Regno Unito sia l’Irlanda menzionano la possibilità di rinuncia all’onorario da parte del rappresentante processuale. Una siffatta rinuncia può tuttavia ridurre solo in casi eccezionali il rischio finanziario, in quanto i rappresentanti processuali, di regola, devono percepire un compenso. Esigere in generale che, nelle procedure di cui all’articolo 10 bis della direttiva VIA e all’articolo 15 bis della direttiva IPPC, la rappresentanza del ricorrente sia gratuita annullerebbe il fattore economico fondamentale che in tali settori induce gli avvocati a conseguire la necessaria specializzazione.

    69.

    Una possibilità di ottenere il necessario ricavo economico, nel caso di ricorrenti economicamente deboli, che non fruiscono del patrocinio a spese dello Stato, è offerta dai patti di quota lite (conditional fees). In Inghilterra e in Galles nonché in Scozia gli onorari in caso di vittoria possono essere concordati sotto forma di patti di quota lite, in virtù dei quali il rappresentante del ricorrente percepisce il suo onorario solo qualora il ricorso sia accolto. In entrambi i sistemi la parte avversa soccombente deve, di norma, sostenere le spese che sarebbero state sostenute in assenza di un simile accordo. In Inghilterra e in Galles, inoltre, essa è condannata a versare un premio di vittoria supplementare al rappresentante del ricorrente, mentre in Scozia tale premio deve essere versato dallo stesso ricorrente. In Irlanda del Nord l’istituto del patto di quota lite non esiste. È pur vero che neppure tali patti sono privi di problemi, in particolare quando essi prevedono un compenso aggiuntivo rispetto all’onorario solitamente dovuto ( 42 ), tuttavia essi, ad avviso del Regno Unito, sembrano necessari in molti dei casi contemplati dall’articolo 10 bis della direttiva VIA e dall’articolo 15 bis della direttiva IPPC, al fine di rendere possibile in tale ordinamento giuridico la tutela necessaria in materia di spese processuali.

    70.

    Orbene, un’ordinanza di tutela in materia di spese a favore di entrambe le parti limita le spese che il convenuto deve sostenere in caso di accoglimento del ricorso. In tale ipotesi, diventa molto probabile che la parte ricorrente debba sostenere una quota dei costi inerenti alla propria rappresentanza processuale. In caso di patto di quota lite, i compensi dipendenti dall’esito positivo del ricorso che la controparte soccombente dovrebbe sostenere sono soggetti ad un limite massimo. Delle due l’una: o i rappresentanti processuali si accontentano dell’onorario ridotto, o il ricorrente deve incrementarlo a proprie spese, in caso di accoglimento del ricorso da lui proposto. Anche tali spese aggiuntive possono avere un effetto dissuasivo. Di conseguenza, l’ordinanza in materia di spese a favore di entrambe le parti può pregiudicare l’obiettivo della tutela contro le spese processuali eccessive.

    71.

    Ad ogni modo, nella valutazione delle ordinanze in materia di spese a favore di entrambe le parti occorre distinguere tra soggetti privati e soggetti pubblici.

    72.

    Nel caso in cui le parti siano soggetti privati, la limitazione reciproca delle spese, eventualmente, può essere giustificata dal principio della parità delle armi, che è un corollario del diritto fondamentale ad un equo processo ( 43 ) citato espressamente dall’articolo 9, paragrafo 4, della convenzione quale principio processuale. Si può dubitare ( 44 ) del fatto che detta parità delle armi sussista nel caso in cui una parte sia del tutto esentata dal rischio di sostenere le spese della controparte, mentre l’altra parte debba sostenere in ogni caso la maggior parte delle proprie spese e, in caso di soccombenza, anche le spese del ricorrente per intero. Si potrebbe persino ipotizzare che una siffatta diseguale distribuzione del rischio di spese possa influenzare l’elaborazione della strategia processuale. Infatti, una parte ampiamente tutelata contro il rischio di spese processuali potrebbe essere tentata di estendere inutilmente la materia del contendere al fine di aumentare le spese dell’avversario e, in tal modo, sollecitare la sua disponibilità ad una transazione.

    73.

    Tuttavia, la Commissione, a buon diritto, sottolinea che, nel presente caso, si tratta esclusivamente dei ricorsi ai sensi dell’articolo 10 bis della direttiva VIA e dell’articolo 15 bis della direttiva IPPC. Essi sono diretti, per propria natura, contro decisioni dell’amministrazione, precisamente contro l’autorizzazione di progetti a seguito di una valutazione di impatto ambientale o contro l’autorizzazione integrata di determinate attività industriali.

    74.

    In un procedimento che vede contrapposto un soggetto privato ad enti pubblici, è escluso fin dall’inizio un equilibrio effettivo, in quanto tali enti dispongono, di regola, di risorse molto più consistenti rispetto ai soggetti di cui all’articolo 10 bis della direttiva VIA e all’articolo 15 bis della direttiva IPPC. L’ordinanza in materia di spese a favore di una parte costituisce, quindi, solo un primo passo verso una situazione di parità delle armi.

    75.

    Inoltre, in ultima analisi, in procedure del genere si tratta di un interesse comune ad entrambe le parti, vale a dire dell’osservanza del diritto. Un’amministrazione che soccombe in un procedimento giurisdizionale, in quanto la decisione da essa adottata è illegittima, non merita una tutela pari a quella del ricorrente in materia di spese processuali. Infatti, essa stessa è stata direttamente all’origine del procedimento a causa della violazione del diritto commessa.

    76.

    Infine, la convenzione di Aarhus riserva una particolare attenzione all’interesse pubblico all’osservanza del diritto ( 45 ). Tale interesse proibisce di vanificare, quantomeno nelle procedure di cui all’articolo 10 bis della direttiva VIA e all’articolo 15 bis della direttiva IPPC, uno strumento come il patto di quota lite, il quale può contribuire ad evitare che una parte sostenga spese eccessive per la propria rappresentanza.

    77.

    L’impostazione qui descritta della convenzione di Aarhus rende inoltre prive di sostanza le argomentazioni del Regno Unito relative alla limitatezza dei mezzi a disposizione delle autorità competenti. Anche se è vero che le autorità non possono più utilizzare, per svolgere i loro compiti principali, i mezzi impiegati nell’ambito di procedimenti giurisdizionali, tuttavia la convenzione tiene conto di ciò. Il che è anche ragionevole, in quanto l’attuazione in via giurisdizionale della normativa in materia ambientale, ovvero il rischio di un ricorso giurisdizionale, costringe le autorità ad adottare una diligenza particolare nell’applicazione di detta normativa.

    78.

    Ciò non esclude però che l’amministrazione possa beneficiare della tutela in materia di spese processuali. Non c’è alcun motivo per addossarle un patto di quota lite del rappresentante della controparte che superi significativamente gli onorari solitamente corrisposti a prescindere dall’esito della causa. Un’ordinanza reciproca di tutela in materia di spese processuali «asimmetrica» che, da un lato, limiti il rischio finanziario di entrambe le parti, ma tuttavia consenta, dall’altro, un patto di quota lite adeguato, non può dunque, nel rispetto del principio della parità delle armi, essere senz’altro escluso neppure nei procedimenti contro l’amministrazione.

    79.

    Tale ordinanza non deve però avere per effetto che l’amministrazione, che dispone di risorse economiche maggiori, sia indotta ad ampliare inutilmente l’oggetto della controversia così da incrementare le spese del ricorrente ad un livello tale da oltrepassare, in misura rilevante, i limiti delle spese ripetibili ( 46 ). Pertanto, solo dalla valutazione delle circostanze del singolo caso concreto è possibile stabilire quale sia il livello di un patto di quota lite adeguato.

    80.

    Prevedendo che i giudici, nelle procedure di cui agli articoli 3, punto 7, e 4, punto 4, della direttiva 2003/35/CE, possano concedere una tutela reciproca in materia di spese processuali che impedisce che, in caso di accoglimento del ricorso, il convenuto debba sostenere i costi di un compenso adeguato, dovuto in caso di esito positivo del ricorso, relativo alla rappresentanza delle persone e associazioni contemplate in tali disposizioni, il Regno Unito è venuto meno agli obblighi ad esso incombenti in forza dei suddetti articoli.

    3. Sui provvedimenti cautelari

    81.

    Infine la Commissione contesta che, in Inghilterra e in Galles, inclusa Gibilterra, nonché in Irlanda del Nord, i provvedimenti cautelari vengano concessi, di norma, solo se il richiedente si obbliga a risarcire i danni che possano derivare da simili provvedimenti.

    82.

    Dal fascicolo processuale non emerge in maniera chiara l’oggetto di detto obbligo di risarcimento danni. Ritengo che non si tratti di danni cagionati da un comportamento illecito colpevole. A tal fine non occorrerebbe la previsione di un obbligo specifico di risarcimento, in quanto si applicherebbe già la normativa generale sugli atti illeciti.

    83.

    Piuttosto, suppongo che tale obbligo sorga nel caso in cui il diritto protetto con il provvedimento d’urgenza si riveli infondato nel successivo procedimento. In tal caso, il richiedente sembra tenuto a risarcire i danni cagionati da detto provvedimento ( 47 ). Nei tipi di procedura oggetto del presente caso sussiste pertanto il rischio di dover farsi carico delle spese legate al ritardo dei progetti.

    84.

    È innanzi tutto controverso tra le parti se tale rischio finanziario sia incluso nella tutela in materia di spese di cui all’articolo 10 bis, quinto comma, della direttiva VIA e all’articolo 15 bis, quinto comma, della direttiva IPPC. In base al tenore letterale, infatti, è la sola procedura a non dover essere eccessivamente onerosa. In base ad un’interpretazione restrittiva, però, un obbligo al risarcimento dei danni da ritardo dipendenti da una misura conservativa non rientra più tra le spese del procedimento.

    85.

    La Corte ha tuttavia già dichiarato che la garanzia dell’effettività del diritto di esperire un ricorso a norma dell’articolo 10 bis della direttiva VIA e dell’articolo 15 bis della direttiva IPPC esige che i membri del pubblico interessato abbiano il diritto di chiedere l’adozione di misure provvisorie ( 48 ). Nello stesso senso, il documento «Guida all’applicazione della Convenzione di Aarhus», pubblicato nel 2000 dalla Commissione economica per l’Europa delle Nazioni Unite annovera, le misure conservative tra le decisioni dei giudici ( 49 ) di cui all’articolo 9, paragrafo 4, della Convenzione che fanno parte del procedimento di ricorso ( 50 ).

    86.

    Va altresì rammentato che il requisito che il procedimento non sia eccessivamente oneroso riguarda il complesso degli oneri finanziari derivanti dalla partecipazione al procedimento giurisdizionale. Pertanto, il carattere eccessivamente oneroso deve essere valutato globalmente, tenendo conto di tutte le spese sostenute dall’interessato ( 51 ). La Corte ha inoltre affermato che alle persone contemplate dall’articolo 10 bis della direttiva VIA e dall’articolo 15 bis della direttiva IPPC non deve essere impedito di proporre o di proseguire un ricorso giurisdizionale rientrante nell’ambito di applicazione di tali articoli a causa dell’onere finanziario che potrebbe risultarne ( 52 ).

    87.

    Dato che anche la domanda di provvedimenti cautelari costituisce un siffatto ricorso giurisdizionale e gli eventuali diritti al risarcimento dei danni aumenterebbero le spese che ne derivano, anch’essi devono rientrare nella tutela in materia di spese processuali. Diversamente, la parte che desideri richiedere un provvedimento cautelare potrebbe rinunciarvi per il rischio di dover sostenere le spese legate ad un risarcimento dei danni.

    88.

    Il Regno Unito obietta invero alla Commissione che i progetti di cui all’articolo 10 bis della direttiva VIA e all’articolo 15 bis della direttiva IPPC vengono in genere sospesi nel corso di un procedimento giurisdizionale pendente anche indipendentemente dalla concessione di un provvedimento cautelare. Spesso non verrebbero intrapresi lavori costosi ove sia possibile l’annullamento dell’autorizzazione.

    89.

    Tale argomento relativizza l’importanza pratica della censura mossa dalla Commissione, ma non la priva di fondamento nei casi in cui sia necessaria una misura conservativa.

    90.

    Il Regno Unito chiarisce inoltre che, nelle procedure di diritto pubblico, di regola i giudici, nell’esercizio del potere discrezionale di cui dispongono, rinunciano ad imporre un obbligo di risarcimento dei danni. Tuttavia, anche a tal riguardo occorre rilevare che la mera possibilità che i giudici esercitino il loro potere discrezionale in maniera conforme all’obbligo di assicurare una tutela in materia di spese processuali non configura una sufficiente trasposizione dell’articolo 10 bis, quinto comma, della direttiva VIA e dell’articolo 15 bis, quinto comma, della direttiva IPPC.

    91.

    Di maggior pregio è l’argomento del Regno Unito secondo il quale l’obbligo di risarcimento dei danni sarebbe compatibile con il principio di effettività, nel senso che esso non renderebbe eccessivamente difficile o praticamente impossibile l’esercizio di diritti conferiti dal diritto dell’Unione.

    92.

    Tale argomento si basa sull’idea corretta che gli Stati membri dispongono, nel rispetto dei principi di equivalenza e di effettività, di un margine di manovra nell’attuazione dell’articolo 10 bis della direttiva VIA e dell’articolo 15 bis della direttiva IPPC ( 53 ). Tale margine di manovra è altresì compatibile con il principio della tutela giurisdizionale effettiva di cui all’articolo 47, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali, correlato con il principio di effettività ( 54 ).

    93.

    Non si può pertanto escludere che gli Stati membri possano prevedere, in linea di principio, un obbligo di risarcimento dei danni quale presupposto per la concessione di provvedimenti cautelari anche in relazione all’esercizio di diritti fondati sul diritto dell’Unione. Ciò vale, in particolare, per i procedimenti tra soggetti privati, in quanto un siffatto provvedimento incide necessariamente sui diritti dell’avversario.

    94.

    Il Regno Unito cita correttamente, a tal riguardo, la tutela della proprietà del destinatario dell’autorizzazione impugnata.

    95.

    Occorre invero osservare che un’autorizzazione impugnabile dinanzi al giudice non costituisce ancora il fondamento di alcun diritto di proprietà ( 55 ). Infatti, in un primo momento può parlarsi soltanto di un’aspettativa riguardo alla facoltà di sfruttamento dell’autorizzazione. Tuttavia, semplici aspettative non possono essere tutelate alla stregua di un diritto di proprietà ( 56 ), almeno non quando la loro realizzazione è oggetto di controversia ( 57 ). In ogni caso, gli oneri risultanti dal procedimento giurisdizionale possono limitare l’esercizio di determinati diritti di proprietà ( 58 ), impedendo ad esempio un determinato godimento della proprietà terriera per la realizzazione del progetto.

    96.

    La tutela dell’ambiente è però idonea a giustificare una restrizione dell’esercizio del diritto di proprietà ( 59 ). Ciò vale anche per i provvedimenti cautelari diretti a mantenere lo status quo nel corso del controllo giurisdizionale di un’autorizzazione in materia ambientale. La restrizione della proprietà e di altre libertà si fonda, infatti, anzitutto sulla circostanza che i progetti proposti necessitino di un’autorizzazione per motivi di tutela ambientale. Ove però l’obbligo di autorizzazione sia giustificato, allora in linea di principio è giustificato anche prevenire, attraverso l’adozione di un provvedimento cautelare, un’anticipazione di fatto della decisione di merito nel corso del controllo giurisdizionale dell’autorizzazione.

    97.

    Analoghe considerazioni potrebbero inoltre essere alla base della prassi giurisdizionale, menzionata dal Regno Unito, di prescindere, nella maggior parte dei casi, dall’obbligo al risarcimento dei danni nei procedimenti di diritto pubblico.

    98.

    Per quanto riguarda le procedure di cui all’articolo 10 bis della direttiva VIA e all’articolo 15 bis della direttiva IPPC, tali riflessioni assumono ancora maggior rilevanza per il fatto che l’interesse generale all’attuazione della normativa in materia ambientale riceve in quella sede un particolare riconoscimento. I ricorrenti in dette procedure sono pertanto meritevoli di una tutela contro spese eccessive o proibitive, che va oltre la protezione offerta dal principio di effettività e dal diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva ( 60 ).

    99.

    Detta conclusione non viene messa in dubbio dalla sentenza Zuckerfabrik Süderdithmarschen e Zuckerfabrik Soest ( 61 ) citata dal Regno Unito. Sebbene in tale sentenza la Corte abbia richiesto una garanzia per il caso in cui un provvedimento cautelare comporti rischi finanziari per l’Unione, tale decisione non è tuttavia applicabile alle procedure di cui all’articolo 10 bis della direttiva VIA e all’articolo 15 bis della direttiva IPPC.

    100.

    Quel ricorso non mirava, infatti, all’attuazione della normativa in materia ambientale nell’interesse generale, ma era diretto, esclusivamente nell’interesse privato del ricorrente, contro un contributo che doveva essere versato all’allora Comunità europea. Inoltre, la summenzionata garanzia doveva assicurare anzitutto la controversa pretesa del contributo e non compensava eventuali danni da ritardo derivanti da un provvedimento cautelare. Questi ultimi dovevano essere coperti, piuttosto, dagli interessi moratori regolarmente maturati.

    101.

    Nondimeno, non va esclusa la repressione contro il ricorso abusivo alla tutela in via cautelare, ma il fine di impedire o sanzionare gli abusi non impone di subordinare la concessione di un provvedimento cautelare ad un obbligo di risarcimento dei danni ad esso conseguenti. Piuttosto, in casi del genere, basterebbe negare il provvedimento cautelare richiesto o, in caso di successivo emergere dell’abuso, riconoscere i diritti al risarcimento dei danni previsti dal diritto comune.

    102.

    Pertanto, prevedendo che i giudici d’Inghilterra e Galles, incluso Gibilterra, nonché d’Irlanda del Nord, possano subordinare la concessione di provvedimenti cautelari necessari nelle procedure di cui agli articoli 3, punto 7, e 4, punto 4, della direttiva 2003/35/CE ad un obbligo di risarcimento dei danni che tali provvedimenti possano comportare, il Regno Unito è venuto meno agli obblighi ad esso incombenti in forza di dette disposizioni.

    C – Sull’applicazione

    103.

    Oltre alla mancata trasposizione degli articoli 3, punto 7, e 4, punto 4, della direttiva 2003/35/CE, la Commissione critica altresì l’applicazione di tali disposizioni operata dai giudici del Regno Unito.

    104.

    Tale motivo non può riguardare il fatto che la Commissione contesti determinate singole decisioni dei giudici come violazione degli articoli 3, punto 7, e 4, punto 4, della direttiva 2003/35/CE. La Commissione, infatti, non fornisce sufficienti informazioni sui casi specifici per consentire di verificare se tali disposizioni siano state effettivamente violate.

    105.

    Tuttavia, l’argomentazione della Commissione potrebbe essere intesa nel senso che, con detto motivo, essa critica una prassi dei giudici nel Regno Unito che presenta un certo grado di costanza e generalità ( 62 ). A tal riguardo, la Commissione dovrebbe fornire elementi sufficienti da cui risulti che detti giudici hanno sviluppato una prassi reiterata e persistente ( 63 ).

    106.

    Prima facie, le affermazioni concernenti l’insufficiente trasposizione da parte della giurisprudenza degli articoli 3, punto 7, e 4, punto 4, della direttiva 2003/35/CE sembrano essere un indizio del fatto che i giudici del Regno Unito violino le menzionate disposizioni secondo prassi costante.

    107.

    Tale conclusione non è tuttavia giustificata. Le menzionate affermazioni si basano sul fatto che la giurisprudenza non garantisce in modo sufficientemente chiaro e preciso la tutela necessaria in materia di spese processuali. Una prassi costante presupporrebbe, invece, che le decisioni violino, anche sostanzialmente, il principio della tutela in materia di spese processuali.

    108.

    La Commissione non ha fornito detta prova. Sebbene essa citi una serie di singole sentenze, tuttavia l’argomento in esame indica anzitutto che tali decisioni non traspongono ancora sufficientemente nel Regno Unito la tutela in materia di spese processuali di cui agli articoli 3, punto 7, e 4, punto 4, della direttiva 2003/35/CE. Come illustrato supra, il problema centrale risiede, a tal proposito, nel potere discrezionale dei giudici in questioni fondamentali e nell’incertezza da ciò derivante in ordine al rischio di spese.

    109.

    La Commissione non tenta, invece, di dimostrare, citando le diverse decisioni, l’esistenza di determinate prassi costanti che sarebbero incompatibili con certi requisiti della tutela in materia di spese processuali.

    110.

    La Commissione si avvicina al tentativo di una siffatta dimostrazione quando lamenta che, in quattro delle decisioni da essa menzionate, i ricorrenti furono condannati a sostenere determinate spese dai giudici del Regno Unito ( 64 ).

    111.

    Tale argomento, però, non è sufficiente a dimostrare l’esistenza di una prassi costante dei giudici del Regno Unito, consistente nel condannare i ricorrenti di cui agli articoli 3, punto 7, e 4, punto 4, della direttiva 2003/35/CE a spese eccessive o proibitive.

    112.

    Da un lato, quattro decisioni di due distretti giurisdizionali del Regno Unito non bastano a documentare una prassi costante e, dall’altro, la Commissione non descrive detti procedimenti in modo tanto preciso da poter accertare se le spese poste a carico nei due procedimenti fossero effettivamente troppo elevate.

    113.

    Qualora la Commissione, con la censura della mancata applicazione degli articoli 3, punto 7, e 4, punto 4, della direttiva 2003/35/CE, avesse inteso censurare una prassi costante e generale dei giudici del Regno Unito, allora tale motivo di ricorso andrebbe respinto.

    114.

    Tuttavia ritengo che detto motivo sia diretto solo contro l’insufficiente trasposizione dagli articoli 3, punto 7, e 4, punto 4, della direttiva 2003/35/CE per mezzo dei precedenti giurisdizionali ( 65 ). Non è pertanto necessario respingerlo separatamente.

    V – Sulle spese

    115.

    Ai sensi dell’articolo 138, paragrafo 1, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché la Commissione ha chiesto la condanna del Regno Unito, quest’ultimo, rimasto sostanzialmente soccombente, dev’essere condannato alle spese. Conformemente all’articolo 140, paragrafo 1, del regolamento di procedura, la Repubblica d’Irlanda e il Regno di Danimarca, intervenuti nella causa, sopporteranno le proprie spese.

    VI – Conclusione

    116.

    Suggerisco alla Corte di decidere nei termini seguenti:

    1)

    Il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord è venuto meno agli obblighi ad esso incombenti in forza degli articoli 3, punto 7, e 4, punto 4, della direttiva 2003/35/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 maggio 2003, che prevede la partecipazione del pubblico nell’elaborazione di taluni piani e programmi in materia ambientale, e modifica le direttive del Consiglio 85/337/CEE e 96/61/CE relativamente alla partecipazione del pubblico e all’accesso alla giustizia:

    consentendo che i giudici dispongano di un potere discrezionale nella concessione della tutela in materia di spese processuali non vincolato alla finalità di tale tutela e consentendo che essi applichino a tal fine criteri incompatibili con dette disposizioni;

    consentendo che i giudici, nelle procedure di cui a dette disposizioni, possano concedere una tutela reciproca in materia di spese processuali che impedisce che, in caso di accoglimento del ricorso, il convenuto debba sostenere i costi di un compenso adeguato, dovuto in caso di esito positivo del ricorso, relativi alla rappresentanza delle persone e associazioni contemplate in tali disposizioni, e

    consentendo che, nelle procedure di cui a dette disposizioni, i giudici d’Inghilterra e Galles, incluso Gibilterra, nonché d’Irlanda del Nord, possano subordinare la concessione di provvedimenti cautelari necessari ad un obbligo di risarcimento dei danni che tali provvedimenti possano comportare.

    2)

    Il Regno Unito è condannato a sopportare le spese della Commissione europea. Il Regno di Danimarca e l’Irlanda sopportano le proprie spese.


    ( 1 ) Lingua originale: il tedesco.

    ( 2 ) Convenzione sull’accesso alle informazioni, la partecipazione del pubblico ai processi decisionali e l’accesso alla giustizia in materia ambientale (GU 2005, L 124, pag. 4).

    ( 3 ) Direttiva 2003/35/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 maggio 2003 che prevede la partecipazione del pubblico nell’elaborazione di taluni piani e programmi in materia ambientale e modifica le direttive del Consiglio 85/337/CEE e 96/61/CE relativamente alla partecipazione del pubblico e all’accesso alla giustizia (GU L 156, pag. 17).

    ( 4 ) Sentenza dell’11 aprile 2013 (C‑260/11).

    ( 5 ) Approvata mediante la decisione 2005/370/CE del Consiglio, del 17 febbraio 2005 (GU L 124, pag. 1).

    ( 6 ) Direttiva 85/337/CEE del Consiglio del 27 giugno 1985, concernente la valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati (GU L 175, pag. 40), codificata dalla direttiva 2011/92/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 13 dicembre 2011, concernente la valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati (GU 2012, L 26, pag. 1).

    ( 7 ) Direttiva 96/61/CE del Consiglio, del 24 settembre 1996, sulla prevenzione e la riduzione integrate dell’inquinamento (GU L 257, pag. 26), codificata dalla direttiva 2008/1/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 gennaio 2008, sulla prevenzione e la riduzione integrate dell’inquinamento (GU L 24, pag. 8) e sostituita dalla direttiva 2010/75/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 novembre 2010, relativa alle emissioni industriali (prevenzione e riduzione integrate dell’inquinamento) (GU L 334, pag. 17).

    ( 8 ) Cit. alla nota 4.

    ( 9 ) Cit. alla nota 4.

    ( 10 ) Sentenza Edwards, cit. alla nota 4, punto 35.

    ( 11 ) Sentenza Edwards, cit. alla nota 4, punti 27 e 28.

    ( 12 ) Sentenza Edwards, cit. alla nota 4, punto 45.

    ( 13 ) Sui diritti ove possibile più ampi, di cui all’articolo 47, paragrafo 3, della Carta dei diritti fondamentali, v. le mie conclusioni del 18 ottobre 2012, nella causa Edwards (C‑260/11, paragrafo 38), nonché la sentenza del 22 dicembre 2010, DEB (C-279/09, Racc. pag. I-13849, punti 60 e 61).

    ( 14 ) Sentenza Edwards (cit. alla nota 4, punto 40).

    ( 15 ) V. la sentenza Edwards (cit. alla nota 4, punto 42) e le mie conclusioni in tale causa, cit. alla nota 13, paragrafo 47.

    ( 16 ) Sentenza del 16 luglio 2009, Commissione/Irlanda (C-427/07, Racc. pag. I-6277, punti 93 e 94).

    ( 17 ) Sentenze del 13 dicembre 2007, Commissione/Irlanda (C-418/04, Racc. pag. I-10947, punto 157), e del 14 ottobre 2010, Commissione/Austria (C-535/07, Racc. pag. I-9483, punto 60).

    ( 18 ) Sentenze del 27 aprile 1988, Commissione/Francia (252/85, Racc. pag. 2243, punto 5), del 12 luglio 2007, Commissione/Austria (C-507/04, Racc. pag. I-5939, punto 89), e del 27 ottobre 2011, Commissione/Polonia (C‑311/10, punto 40).

    ( 19 ) Sentenze del 16 dicembre 1992, Katsikas e a. (C-132/91, C-138/91 e C-139/91, Racc. pag. I-6577, punto 39), dell’8 giugno 1994, Commissione/Regno Unito (C-382/92, Racc. pag. I-2435, punto 36), del 9 dicembre 2003, Commissione/Italia (C-129/00, Racc. pag. I-14637, punto 30), e Commissione/Irlanda, cit. alla nota 17, punto 166.

    ( 20 ) V. le mie conclusioni del 15 gennaio 2009, Commissione/Irlanda (C-427/07, Racc. pag. I-6277, paragrafo 99 e giurisprudenza ivi citata).

    ( 21 ) V. sentenza del 28 gennaio 2010, Commissione/Irlanda (C-456/08, Racc. pag. I-859, punto 65), e le mie conclusioni in tale causa, paragrafi 60 e segg.

    ( 22 ) V. le conclusioni dell’avvocato generale Mengozzi del 18 gennaio 2007, Commissione/Regno Unito (C-127/05, Racc. pag. I-4619, paragrafi 130 e segg.).

    ( 23 ) Court of Appeal, Corner House Research (R on the application of) v Secretary of State for Trade & Industry [2005] 1 WLR 2600, punti 72 e 74.

    ( 24 ) Sentenza Edwards (cit. alla nota 4, punti 30, 37 e 38), nonché le mie conclusioni in tale causa, paragrafi 19 e segg. e 45 e segg.

    ( 25 ) V. la sentenza Edwards (cit. alla nota 4, in particolare punto 40), nonché le mie conclusioni in tale causa, in particolare paragrafo 36.

    ( 26 ) Sentenza Edwards (cit. alla nota 4, in particolare punti 35 e 40), nonché le mie conclusioni in tale causa, in particolare paragrafo 24.

    ( 27 ) Sentenza Corner House (cit. alla nota 23, punto 72).

    ( 28 ) Court of Appeal, Morgan & Baker v Hinton Organics (Wessex) Ltd [2009] EWCA 107 Civil Division, punto 47, ii).

    ( 29 ) Court of Appeal, Garner, R (on the application of) v Elmbridge Borough Council & Ors [2010] EWCA Civ 1006, punto 50] (sentenza del 29 luglio 2010).

    ( 30 ) Sentenza Edwards, cit. alla nota 4, punti 35 e 39.

    ( 31 ) Controricorso, paragrafo 70, con riferimento alla sentenza Garner, cit. alla nota 29, punto 39, v. anche paragrafo 44 del controricorso.

    ( 32 ) Sentenza Edwards, cit. alla nota 4, punto 33.

    ( 33 ) Cit. alla nota 28, punti 35 e segg.

    ( 34 ) Sentenza Edwards, cit. alla nota 4, punto 40.

    ( 35 ) Sentenza Edwards (cit. alla nota 4, punto 43).

    ( 36 ) Pag. 12 (pag. 111 degli allegati al ricorso).

    ( 37 ) Sentenze del 29 settembre 1998, Commissione/Germania (C-191/95, Racc. pag. I-5449, punto 55); del 6 novembre 2003, Commissione/Spagna (C-358/01, Racc. pag. I-13145, punto 27), e del 18 dicembre 2007, Commissione/Spagna (C-186/06, Racc. pag. I-12093, punto 15).

    ( 38 ) Sentenze Commissione/Germania, cit. alla nota 37, punto 56; del 6 novembre 2003, Commissione/Spagna, cit. alla nota 37, punto 28, e del 7 luglio 2005, Commissione/Austria (C-147/03, Racc. pag. I-5969, punto 24).

    ( 39 ) Sentenze Commissione/Germania, cit. alla nota 37, punto 54; del 6 novembre 2003, Commissione/Spagna, cit. alla nota 37, punto 29, e del 7 aprile 2011, Commissione/Portogallo (C-20/09, Racc. pag. I-2637, punto 20).

    ( 40 ) Sentenza Edwards, cit. alla nota 4, punti 27 e 28.

    ( 41 ) Osservazioni del 20 dicembre 2007, paragrafo 31 (pag. 83 degli allegati al ricorso).

    ( 42 ) V., con riguardo al possibile pregiudizio arrecato alla libertà di stampa attraverso onorari eccessivi, la sentenza della CEDU del 18 gennaio 2011, MGN/Regno Unito (ricorso n. 39401/04, punti 192 e segg.).

    ( 43 ) Sentenza del 26 giugno 2007, Ordre des barreaux francophones et germanophones e a. (C-305/05, Racc. pag. I-5305, punti da 29 a 31).

    ( 44 ) V. CEDU, sentenza del 6 aprile 2006, Stankiewicz/Polonia (ricorso n. 46917/99, punti 60 e segg.), sull’esenzione della procura di Stato dalle spese processuali.

    ( 45 ) V. le mie conclusioni nella causa Edwards, cit. alla nota 13, paragrafi 40 e segg.

    ( 46 ) L’esposizione del procedimento R (Birch) v Barnsley MBC nel paragrafo 26 della replica della Commissione suggerisce una siffatta strategia.

    ( 47 ) Nel diritto processuale civile tedesco, l’articolo 945 della Zivilprozessordnung riconosce un siffatto diritto al risarcimento dei danni. Tuttavia, ai sensi della sentenza del Bundesgerichtshof del 23 settembre 1980 (VI ZR 165/78, Neue Juristische Wochenschrift 1981, 349), tale norma non è applicabile ai pregiudizi subiti dagli intervenienti nel processo amministrativo.

    ( 48 ) Sentenza del 15 gennaio 2013, Križan e a. (C‑416/10, punto 109).

    ( 49 ) La traduzione tedesca della Convenzione che, conformemente all’articolo 22 della stessa, non fa fede, fa erroneamente riferimento al «vorläufigem Rechtsschutz» («misura provvisoria»). Le versioni autentiche in lingua inglese e francese utilizzano, rispettivamente, le nozioni di «injunctive relief» e «redressement par injonction» («provvedimento ingiuntivo»).

    ( 50 ) Pag. 133 della versione inglese e pag. 170 della versione francese (entrambe consultabili all’indirizzo internet http://www.unece.org/index.php?id-21437). Conformemente alla sentenza pronunciata dalla Corte il 16 febbraio 2012 nella causa Solvay e a. (C‑182/10, punto 27), si può tener conto della guida all’applicazione, ma essa non è vincolante.

    ( 51 ) Sentenza Edwards (cit. alla nota 4, punti 27 e seg.).

    ( 52 ) Sentenza Edwards (cit. alla nota 4, punto 35).

    ( 53 ) V. sentenza Križan e a., cit. alla nota 48, punto 106.

    ( 54 ) Sentenze DEB, cit. alla nota 13, punti 28 e 29, e del 27 giugno 2013, Agrokonsulting (C‑93/12, punti 59 e 60).

    ( 55 ) V. le mie conclusioni del 19 aprile 2012, Križan e a. (C‑416/10, paragrafo 181).

    ( 56 ) V. sentenze del 14 maggio 1974, Nold/Commissione (4/73, Racc. pag. 491, punto 14), e del 5 ottobre 1994, Germania/Consiglio (C-280/93, Racc. I-4973, punti 79 e seg.), nonché la sentenza della CEDU del 29 novembre 1991, Pine Valley Developments Ltd e a./Irlanda (ricorso n. 12742/87, punto 51).

    ( 57 ) Sentenza della CEDU dell’11 gennaio 2007, Anheuser‑Busch Inc./Portogallo (ricorso n. 73049/01, Recueil des arrêts et décisions 2007‑I, punti 64 e 65).

    ( 58 ) Sentenza Križan e a., cit. alla nota 48, punto 112.

    ( 59 ) Sentenza Križan e a., cit. alla nota 48, punto 114.

    ( 60 ) V. le mie conclusioni nella causa Edwards, cit. alla nota 13, paragrafi 39 e segg.

    ( 61 ) Sentenza del 21 febbraio 1991, Zuckerfabrik Süderdithmarschen e Zuckerfabrik Soest (C-143/88 e C-92/89, Racc. pag. I-415, punto 32).

    ( 62 ) V. sentenze del 29 aprile 2004, Commissione/Germania (C-387/99, Racc. pag. I-3751, punto 42), del 26 aprile 2005, Commissione/Irlanda (C-494/01, Racc. pag. I-3331, punto 28), e del 5 marzo 2009, Commissione/Spagna (C-88/07, Racc. pag. I-1353, punto 54)

    ( 63 ) Sentenza Commissione/Irlanda, cit. alla nota 62, punto 47.

    ( 64 ) Paragrafi 122 e 123 del ricorso.

    ( 65 ) V. supra, paragrafo 41.

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