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Document 61977CC0012

    Conclusioni dell'avvocato generale Mayras del 29 giugno 1977.
    Debayser SA ed altri contro Commissione delle Comunità europee.
    Aumento degli importi compensativi monetari.
    Cause riunite 12, 18 e 21/77.

    Raccolta della Giurisprudenza 1978 -00553

    ECLI identifier: ECLI:EU:C:1977:114

    CONCLUSIONI DELL'AVVOCATO GENERALE HENRI MAYRAS

    DEL 29 GIUGNO 1977 ( 1 )

    Signor Presidente,

    signori Giudici,

    tre imprese francesi la cui attività consiste nel commercio dello zucchero, le ditte Debayser, Sucres Union e Jean Lion & Cie, hanno proposto a questa Corte, con identici atti introduttivi, ricorsi intesi ad ottenere la condanna della Commissione a versare loro determinate somme, a titolo di risarcimento di danni, per responsabilità extracontrattuale derivante, a carico dell'istituzione, dall'errata o irregolare applicazione del suo regolamento 26 giugno 1974, n. 1608, recante disposizioni particolari in materia d'importi compensativi monetari.

    Prima di esaminare le circostanze in cui le ricorrenti sono state indotte a far valere la responsabilità della Commissione, è opportuno illustrare il sistema ed analizzare le disposizioni del suddetto testo comunitario.

    Va ricordato che, in seguito alla crisi monetaria internazionale, il Consiglio instaurava, col proprio regolamento n. 974/71, un regime d'importi compensa-tivi monetari che si applicava, allora, unicamente nell'ipotesi di un aumento di valore delle monete nazionali di taluni Stati membri, ma non prevedeva ancora alcun correttivo per l'inversa ipotesi di un deprezzamento. È questa la ragione per cui, nel 1973, il Consiglio adottava il regolamento n. 509, che integra, su questo punto, il regolamento iniziale.

    Dato il suo carattere forfettario, il sistema non poteva, tuttavia, tener conto delle circostanze proprie dei singoli negozi e l'esperienza dimostrava che la disciplina di cui trattasi non era in grado d'ovviare agli inconvenienti derivanti da situazioni particolari, nelle quali gli operatori subivano inevitabili perdite, in ispecie per il fatto che gli importi compensativi monetari riscossi all'esportazione non possono essere prefissati e la loro aliquota è quella in vigore il giorno dell'effettiva esportazione.

    Per tener conto di tali difficoltà, particolarmente gravi per gli esportatori francesi, la Commissione adottava il regolamento n. 1608/74, il cui art. 1 recita:

    «Se l'instaurazione o l'aumento di importi compensativi monetari è dovuto alla fissazione o alla modifica per la moneta di uno Stato membro del tasso centrale o del tasso rappresentativo utilizzato nell'ambito della politica agricola comune, ovvero della decisione di uno degli Stati membri di lasciar fluttuare la propria moneta rispetto a quelle degli Stati membri la cui oscillazione dei corsi è mantenuta entro un divario istantaneo massimo di 2,25 %, lo Stato membro interessato è autorizzato a rinunciare discrezionalmente ed alle condizioni appresso definite alla riscossione dell'importo compensativo monetario o della parte di tale importo corrispondente all'aumento».

    Ai sensi dell'art. 2, però, questa semplice facoltà concessa agli Stati membri è limitata da ben precise condizioni.

    In primo luogo, l'art. 1 si applica unicamente alle importazioni ed esportazioni effettuate in esecuzione di contratti definitivamente conclusi prima che intervenisse la «misura monetaria» alla quale detto articolo si riferisce.

    In secondo luogo, lo Stato membro considerato può valersi dell'autorizzazione di cui all'art. 1 soltanto su domanda dell'interessato e se questi, al momento del deposito della domanda, provi

    a)

    che nel caso specifico la riscossione dell'importo compensativo monetario istituito o aumentato non è necessaria per compensare l'incidenza del provvedimento valutario in questione sul prezzo del prodotto;

    b)

    che la riscossione di detto importo farebbe gravare su di lui un onere supplementare eccessivo, ch'egli non poteva evitare neppure con tutta la normale e necessaria diligenza.

    Questo testo attribuisce quindi alle autorità nazionali, in particolare allorché uno Stato decida di lasciar fluttuare la propria moneta oltre i limiti tracciati dal «serpente», la facoltà — non l'obbligo — di esentare dal pagamento degli importi compensativi monetari fra l'altro le esportazioni effettuate in base a contratti ormai definitivamente stipulati prima dell'adozione del provvedimento valutario e cioè, nella fattispecie, della decisione di lasciar fluttuare liberamente la moneta nazionale.

    Una decisione in tal senso veniva adottata, in Francia, il 15 marzo 1976.

    Questa iniziativa riguardante il franco costituiva la «misura monetaria» ai sensi dell'art. 1 del regolamento n. 1608/74 che avrebbe portato sia al ripristino, con effetto dal 25 marzo, degli importi compensativi monetari sugli scambi di prodotti agricoli tra la Francia e, in particolare, i paesi terzi, sia alla possibilità di esonerare gli esportatori francesi dall'obbligo di pagare tali importi compensativi o, quanto meno, le relative maggiorazioni.

    Ora, è accaduto che gli importi compensativi monetari in questione, fissati dapprima al tasso di 4,46 franchi il quintale di zucchero con regolamento della Commissione 15 marzo 1976, n. 572, indi portati a 4,85 franchi con decorrenza 1o luglio in ragione dell'aumento del prezzo d'intervento dello zucchero, subivano un forte rialzo in seguito al deprezzamento del franco francese. Alla fine del 1976, la loro aliquota raggiungeva infatti il livello di 32,67 franchi il quintale.

    Le tre ricorrenti chiedevano perciò all'ente nazionale competente («Fonds d'intervention et de régularisation du marché du sucre») di poter fruire dell'esenzione dagli importi compensativi che dovevano venire riscossi su certe esportazioni nei paesi terzi.

    Esse ottenevano l'esonero per i contratti definitivamente conclusi prima del 15 marzo 1976 e rispondenti alle condizioni stabilite dall'art. 2 del regolamento n. 1608/74. Il suddetto Fondo notificava loro una decisione di massima in senso positivo, nonostante il fatto che la maggior parte di tali contratti fosse ancora in esame al momento del deposito dei ricorsi. Questi contratti esulano perciò dall'oggetto della lite.

    Per contro, la domanda di esenzione relativa a contratti conclusi dopo il 15 marzo 1976 venivano respinte dal Fondo, in data 2 agosto 1976.

    Le ricorrenti non impugnavano tale provvedimento negativo dinanzi al giudice nazionale competente, ma protestavano presso la Commissione; indirettamente, del resto, in quanto è tramite il presidente dell'associazione professionale dei commercianti di zucchero che, il 2 novembre successivo, esse richiamavano l'attenzione del commissario responsabile per l'agricoltura sulle difficoltà che dovevano affrontare, in proposito, gli esportatori francesi.

    Alla richiesta di delucidazioni, il capo della direzione generale «agricoltura» della Commissione rispondeva, in data 7 dicembre 1976, limitandosi a ricordare, in termini generici, la normativa in questione e ad esporre i problemi che avrebbe sollevato la modifica della stessa.

    È questa risposta che dava origine alle domande di risarcimento di cui ci stiamo occupando, con le quali le ricorrenti intendono far valere la responsabilità extracontrattuale della Comunità in base agli artt. 178 e 215, 2o comma, del Trattato CEE, chiedendo che la Commissione venga condannata al risarcimento di danni per somme pari, rispettivamente, a 668277,81 franchi nei confronti della società Debayser, a 1560886,55 franchi nei confronti della società Sucres Union e, infine, a 539325,53 franchi nei confronti della società Jean Lion & Cie, vale a dire al rimborso delle somme indebitamente pagate a titolo di maggiorazione degli importi compensativi.

    Ai suddetti ricorsi la Commissione oppone «in limine» un'eccezione d'irricevibilità, motivata nel senso che le controversie di cui trattasi avrebbero dovuto essere sottoposte al giudice nazionale, salva la facoltà di questi d'interpellarvi eventualmente in via pregiudiziale circa l'interpretazione, o anche la validità, del regolamento comunitario in questione.

    Un primo mezzo dedotto dalla Commissione è tratto dall'art. 1 di tale regolamento che, autorizzando lo Stato membro interessato ad esentare, discrezionalmente, gli operatori economici dal pagamento dell'importo compensativo esigibile o dalla maggiorazione di tale importo, procede da due considerazioni.

    Anzitutto, dalla formulazione dell'articolo risulta chiaramente che spetta in sostanza alle autorità nazionali il dare esecuzione al regolamento della Commissione; esse sono direttamente responsabili al riguardo, e la ragione viene d'altronde espressamente indicata nel quinto punto del preambolo del regolamento, in cui la Commissione ha precisato «che è opportuno demandare in linea di massima agli Stati membri la gestione della regolamentazione adottata su tale base; che tali Stati sono infatti meglio in grado di giudicare le circostanze e di verificare la materialità dei fatti»; in altri termini, di stabilire se le operazioni contemplate dal regolamento possano dar luogo, entro i limiti fissati dallo stesso testo, ad una esenzione, di carattere discrezionale, dagli importi compensativi.

    La competenza così attribuita, e fondata su considerazioni d'equità proprie di certe situazioni individuali, lascia quindi alle autorità nazionali un margine di valutazione particolarmente ampio, il quale supera notevolmente, nella fattispecie, il campo di azione di cui esse in genere dispongono per la semplice attuazione dei regolamenti comunitari.

    Orbene, se è vero che la libertà di apprezzamento degli enti nazionali trova dei limiti nelle specifiche condizioni stabilite dal regolamento n. 1608/74, la prima di tali condizioni è sufficiente, nel caso in esame, a giustificare il fatto che il «Fonds d'intervention et de régularisation du marché du sucre» non abbia potuto valersi, a favore delle ricorrenti, della facoltà di rinunciare alla riscossione, per le esportazioni di cui è causa, degli importi compensativi aumentati. Ricorderò infatti che, secondo la lettera stessa dell'art. 2, n. 1, tale facoltà può essere esercitata unicamente per le operazioni del tipo suddetto «effettuate in esecuzione di contratti definitivamente conclusi prima che intervenisse la misura monetaria menzionata [all'art. 1]».

    È manifesto, a mio avviso, che la «misura monetaria» di cui trattasi nel caso di specie, e che costituisce il presupposto dell'applicazione del regolamento, è la decisione, adottata il 15 marzo 1976 dal governo della Repubblica francese, di lasciar fluttuare il franco oltre i limiti di fluttazione ammessi, rispetto alle monete degli Stati membri, nel sistema che si è convenuto di chiamare «serpente monetario».

    Ora, i contratti di cui si discute sono quelli che, a detta della stessa ricorrente, erano stati conclusi in epoca posteriore all'adozione di tale provvedimento valutario.

    A quest'ultimo non possono essere equiparati i successivi deprezzamenti subiti dalla divisa francese tra il luglio e il dicembre 1976.

    Questa considerazione equivale a dire, a mio parere, che l'ente nazionale d'intervento non aveva più, per tali contratti, nemmeno la facoltà di esonero da esso esercitata, in via discrezionale, a favore dei contratti definitivamente conclusi prima del 15 marzo 1976. Questo argomento, per quanto sovrabbondante in questa sede, dovrebbe tuttavia avere il suo peso nella decisione dei giudici nazionali eventualmente chiamati a pronunciarsi circa la legittimità del provvedimento negativo adottato dal «Fonds d'intervention et de régularisation du marché du sucre».

    Si potrà allora affermare — per tornare all'eventuale responsabilità della Commissione — che questa aveva tanto i mezzi quanto il dovere di controllare il modo in cui le amministrazioni applicano il suo regolamento? Si tratta, in sostanza, di stabilire quali poteri la Commissione abbia riservato a se stessa per «seguire con particolare attenzione i'applicazione delle disposizioni previste al fine d'adottare eventualmente le misure complementari o di valutare se tale sistema può essere mantenuto».

    È vero che, con gli artt. 4 e 5 del regolamento, la Commissione ha inteso conservare un potere di sorveglianza sull'uso che le autorità nazionali avrebbero fatto, dopo l'entrata in vigore del testo in questione, della facoltà di esonero loro concessa.

    L'art. 4 prevede, a tale scopo, un controllo «a priori» per determinati casi in cui lo Stato membro intenda valersi dell'autorizzazione di cui all'art. 1 per contratti la cui durata superi

    il periodo di validità della licenza (d'importazione o d'esportazione), qualora il titolo comporti la prefissazione del prelievo o della restituzione con un anticipo superiore a tre mesi;

    un periodo di tre mesi, negli altri casi.

    Verificandosi tali ipotesi, lo Stato membro interessato ha l'obbligo di comunicare il suo intento alla Commissione, indicando i motivi e le prove fornite, e può valersi dell'autorizzazione soltanto se, entro un termine di sei settimane, la Commissione non si sia opposta al progettato provvedimento.

    A prescindere dai casi specificamente contemplati dall'art. 4, la Commissione esercita, in forza dell'art. 5, un controllo sistematico di carattere generale sull'applicazione delle norme del regolamento da parte delle autorità nazionali. Queste sono infatti tenute ad informarla dei criteri ch'esse intendono seguire per l'uso dell'autorizzazione di cui all'art. 1, nonché a comunicarle la lista dei casi per i quali intendono avvalersene.

    Gli Stati membri devono inoltre comunicarle, ogni trimestre, i casi in cui si sono effettivamente valsi dell'autorizzazione.

    Sulla base di tali informazioni e comunicazioni, la Commissione può così vigilare sull'applicazione coordinata della normativa da parte degli Stati membri, ed è in grado di adottare, all'occorrenza, le disposizioni complementari che si rivelassero necessarie.

    L'esegesi delle suddette norme mi induce, Signori, a due riflessioni:

    La prima è che, pur essendosi la Commissione riservata dei poteri amministrativi di vigilanza sull'attività svolta in questo settore dagli Stati membri, questi ultimi — o quanto meno le rispettive amministrazioni competenti — non sono peraltro sottratti alla diretta responsabilità loro incombente nell'applicazione del regolamento n. 1608/74; è quindi impossibile, a mio avviso, far valere direttamente la responsabilità della Commissione per il preteso cattivo uso della facoltà di esonero, spettante — ad eccezione del caso specifico contemplato dall'art. 4 — alle sole autorità nazionali.

    Dalle disposizioni dello stesso art. 4 risulta altresì chiaramente, per quanto riguarda la sfera propria di questa norma, che la Commissione si è riser-vata il potere d'intervenire a priori, nella concreta applicazione del regolamento, solo nei casi specifici in cui le amministrazioni nazionali intendano dar seguito favorevole alle domande di esenzione loro presentate. Nella fattispecie, però, è chiaro che non si verificava tale ipotesi, e che la Commissione non ha dovuto concretamente decidere in merito alle domande delle ricorrenti.

    Osserverò del resto, in proposito, che alla Commissione il problema è stato prospettato non già dalle ricorrenti, ma dal presidente dell'associazione professionale francese dei commercianti di zucchero. Il relativo intervento non mirava a far valere direttamente la responsabilità della Commissione, bensì ad illustrare gli inconvenienti della situazione in cui venivano a trovarsi, in generale, gli esportatori francesi per il fatto che l'agevolazione contemplata dal regolamento n. 1608/74 era limitata ai contratti conclusi prima del 15 marzo 1976. La lettera dell'associazione professionale è intesa ad ottenere una «soluzione pratica» da parte della Commissione, senza sollevare problemi di politica generale.

    Quanto alla risposta del direttore generale «agricoltura», trattasi di una semplice informazione e, in quanto tale, essa non costituisce certo un atto giuridico che possa essere impugnato dinanzi a questa Corte.

    La mia seconda riflessione deriva non solo dal sistema istituito col regolamento n. 1608/74, ma anche dagli stessi argomenti svolti dalle ricorrenti: scartando l'idea di contestare direttamente la legittimità di detto testo, queste sembrano far carico alla Commissione di un'illecita omissione, di una lacuna nel sistema del regolamento, per non aver questo preso in considerazione tutti i casi concreti in cui s'imporrebbe una soluzione equitativa, al fine di evitare a taluni operatori economici gli inconvenienti connessi alle fluttuazioni della moneta nazionale.

    Ciò equivale, Signori, a chiedersi se sia legittima la riscossione di quella parte dell'importo compensativo monetario che eccede l'aliquota in vigore il giorno della stipulazione del contratto.

    Giungiamo così a mettere in luce la vera ragione per cui i ricorsi dovrebbero essere irricevibili, ragione che trova ampia conferma nella giurisprudenza di questa Corte.

    Di che si tratta, infatti? Della riscossione, dell'esazione degli importi compensativi monetari prelevati in occasione dell'esportazione di un prodotto agricolo di uno Stato membro in paesi terzi.

    Tali importi compensativi rientrano fra le risorse proprie della Comunità, ai sensi della decisione del Consiglio 21 aprile 1970, il cui art. 6 dispone che dette entrate vengano riscosse, per conto della Comunità, dagli Stati membri «conformemente alle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative nazionali». Analogamente, gli artt. 1, 2 e 13 del regolamento del Consiglio n. 2/71, adottato per l'attuazione della suddetta decisione, precisano che l'accertamento delle risorse proprie della Comunità ed il controllo sulla loro riscossione spettano agli uffici od organi competenti degli Stati membri.

    Ora, data questa situazione normativa, la giurisprudenza della Corte, quale risulta anzitutto dalla sentenza 25 ottobre 1972 (Haegemann/Commissione, causa 96/71), è orientata nel senso che le controversie relative all'im-posizione ai singoli delle tasse e dei prelievi di cui all'art. 6 della decisione del Consiglio relativa alla sostituzione dei contributi finanziari degli Stati membri mediante risorse proprie delle Comunità vanno risolte, a norma del diritto comunitario, dalle autorità nazionali, secondo lemodalità stabilite dal diritto degli Stati membri.

    Questa giurisprudenza è stata confermata da sentenze successive, dalle quali si desume d'altronde che la competenza delle autorità nazionali in materia di contenzioso relativo alla riscossione di tasse, prelievi o importi compensativi è giustificato non tanto dal fatto che tali oneri costituiscano o meno una entrata propria della Comunità, quanto dalla circostanza ch'essi vengono riscossi dagli enti competenti degli Stati membri, in conformità alle disposizioni legislative e regolamentari nazionali.

    Nella sentenza 27 gennaio 1976 da voi pronunziata nella causa 46/75 (IBC, Importazione bestiame carni srl/ Commissione), a proposito di un ricorso fondato sull'asserita illegittimità di un regolamento con cui la Commissione avrebbe illecitamente ridotto gli importi compensativi all'importazione, regolamento la cui applicazione era affidata, in Italia, all'amministrazione doganale, avete ricordato che:

    «A causa dell'applicazione di detto [regolamento], la ricorrente ha dovuto pagare, a titolo di conguaglio fra l'onere all'importazione e gli importi compensativi monetari, diverse somme, che essa ritiene non dovute e delle quali, col presente ricorso, domanda la restituzione.

    Il ricorso è, in realtà, diretto contro atti emanati dalle autorità italiane in forza d'una normativa comunitaria che la ricorrente ritiene illegittima.

    Esso riguarda quindi la legittimità della riscossione delle somme controverse da parte delle autorità italiane, cui spettava il compito di applicare ed attuare in concreto la disciplina comunitaria relativa agli importi compensativi monetari, e mira ad ottenere dalla Comunità, anziché dalle autorità nazionali, il rimborso delle somme che sarebbero state indebitamente riscosse.

    Le norme comunitarie in questione fissano i criteri per il calcolo delle somme dovute a titolo di conguaglio fra l'onere all'importazione e gli importi compensativi e non lasciano alcun dubbio sul fatto che l'accertamento concreto e la riscossione delle somme dovute incombono alle autorità nazionali.

    Spetta perciò ai giudici nazionali competenti pronunziarsi sulla legittimità di tali atti, in applicazione del diritto comunitario, nelle forme previste da ciascun ordinamento nazionale e dopo aver eventualmente utilizzato, per accertare la validità della disciplina comunitaria applicata, la procedura contemplata dall'art. 177 del Trattato CEE.

    La ricorrente non può quindi adire la Corte di giustizia per ottenere indirettamente mediante un'azione di risarcimento dei danni esperita nei confronti della Comunità, la concreta riforma dei citati provvedimenti».

    Le presenti cause sottintendono una realtà del tutto analoga. Ciò che le ricorrenti effettivamente contestano è la riscossione, da parte della competente amministrazione francese, della parte degli importi compensativi monetari eccedente l'aliquota vigente, per tali oneri, nel giorno della stipulazione dei contratti in questione. Le decisioni negative adottate dal «Fonds d'intervention et de régularisation du marché du sucre» in merito all'esenzione richiesta costituiscono prov-

    vedimenti nazionali di concreta attuazione del regolamento n. 1608/74. Le ricorrenti avrebbero perciò dovuto impugnare tali decisioni dinanzi ai giudici nazionali competenti, nelle forme e nei termini stabiliti dalla legge francese, fatta salva la possibilità di chiedere al giudice adito di sottoporre alla Corte di giustizia una o più questioni pregiudiziali vertenti sull'interpretazione o sulla validità del regolamento comunitario di cui trattasi.

    Esse non potevano, invece, proporre a questa Corte un ricorso per responsabilità extracontrattuale della Comunità, al fine di ottenere l'annullamento dei provvedimenti nazionali di attuazione del regolamento stesso.

    Concludo, perciò, che i ricorsi nn. 12, 18 e 21/77 vanno dichiarati irricevibili, e le spese giudiziali poste a carico delle ricorrenti.


    ( 1 ) Traduzione dal francese.

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