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Document 61973CC0155
Opinion of Mr Advocate General Reischl delivered on 20 March 1974. # Giuseppe Sacchi. # Reference for a preliminary ruling: Tribunale di Biella - Italy. # Case 155-73.
Conclusioni dell'avvocato generale Reischl del 20 marzo 1974.
Giuseppe Sacchi.
Domanda di pronuncia pregiudiziale: Tribunale di Biella - Italia.
Causa 155-73.
Conclusioni dell'avvocato generale Reischl del 20 marzo 1974.
Giuseppe Sacchi.
Domanda di pronuncia pregiudiziale: Tribunale di Biella - Italia.
Causa 155-73.
Raccolta della Giurisprudenza 1974 -00409
ECLI identifier: ECLI:EU:C:1974:22
CONCLUSIONI DELL'AVVOCATO GENERALE GERHARD REISCHL
DEL 20 MARZO 1974 ( 1 )
Signor Presidente,
Signori Giudici,
Il sig. Sacchi, imputato dinanzi al Tribunale nazionale che ha chiesto la pronunzia pregiudiziale di cui oggi ci occupiamo, è proprietario e direttore responsabile di un'impresa che chiameremo per brevità TELE-BIELLA. La suddetta impresa venne costituita nel settembre 1972; scopo dela sua attività è la trasmissione via cavo di programmi televisivi di propria produzione e di annunci pubblicitari. Oltre a ciò essa detiene in locali aperti al pubblico alcuni apparecchi televisivi che vengono utilizzati per la ricezione via cavo.
Ai sensi del decreto legge 21 febbraio 1938 n. 246 (nella versione risultante da successive modifiche) i detentori di radio-ricevitori sono tenuti al pagamento di un canone. In caso di mancato pagamento è prevista una sanzione penale. Poiché il sig. Sacchi non ha pagato il suddetto canone per gli apparecchi televisivi utilizzati da TELE-BIELLA è stata iniziata contro di lui, in forza del predetto decreto legge, un'azione penale.
Nel corso del procedimento penale il sig. Sacchi ha obiettato che il canone di cui sopra è dovuto alla società per azioni RAI come contropartita per le prestazioni fornite. La predetta società gode tuttavia soltanto del diritto esclusivo di diffondere trasmissioni televisive via etere, di conseguenza il canone non può venire richiesto quando — come nel caso di TELE-BIELLA — gli apparecchi televisivi vengano impiegati esclusivamente per la ricezione via cavo. Qualora tuttavia si dovesse ammettere che il diritto di esclusiva della RAI si estende anche alle trasmissioni via cavo, bisognerebbe altresì ammettere che una simile circostanza sarebbe in contrasto con disposizioni immediatamente efficaci e di natura primaria del trattato CEE in materia di libera circolazione delle merci e di libera concorrenza, in particolare in contrasto con gli artt. 2, 3 f), 5, 37, 86 e 90 del trattato stesso. Ne consegue che il diritto d'esclusiva non trova alcuna giustificazione nell'ordinamento comunitario e con ciò risulta anche che non vi è alcun obbligo di corrispondere un canone richiesto in virtù del suddetto diritto.
In considerazione dell'eccezione di cui sopra, con ordinanza 6 luglio 1973, il Tribunale di Biella sospendeva il procedimento e sottoponeva, ai sensi dell'art. 177 del trattato CEE, alla Corte di giustizia delle Comunità europee, per una pronunzia in via pregiudiziale, una serie di questioni relative all'interpretazione del diritto comunitario.
Non vi ripeterò ora il nutrito elenco di questioni, riportate fedelmente nella relazione d'udienza.
Permettetemi però, prima di cominciare l'analisi delle singole questioni, di fare alcune osservazioni in merito al diritto italiano vigente, nel settore che c'interessa.
Ai sensi del codice postale e delle telecomunicazioni approvato con regio decreto 27 febbraio 1936 n. 645 i servizi delle telecomunicazioni (cioè telegrafo, telefono, radio e simili) sono privative dello Stato. La pubblica amministrazione può autorizzare l'esercizio di tali servizi da parte di privati (concessionari) riservandosi beninteso una facoltà di sindacato. Tale situazione giuridica fu confermata con decreto presidenziale 29 marzo 1973 n. 156 che contiene il codice postale con le sue successive modifiche. Il decreto del 1973 precisa inoltre all'art. 195 che le imprese televisive devono essere considerate enti radiofonici ai sensi di legge anche quando esse trasmettono via cavo.
In forza della predetta disposizione, il 26 gennaio 1952, il ministro delle poste ha concluso con la RAI, la quale è controllata dal gruppo finanziario statale IRI, un accordo, approvato con decreto presidenziale di pari data n. 180, in base al quale la RAI ha ottenuto la concessione esclusiva per le trasmissioni televisive. Nel suddetto accordo è pure stabilito che lo Stato è rappresentato in seno agli organi della RAI e gode nei confronti della RAI medesima di poteri di controllo e di intervento. È inoltre previsto che il finanziamento dell'attività televisiva sia costituito dai canoni pagati dagli abbonati e dai proventi della pubblicità televisiva. La validità del predetto accordo è stata prorogata, poco prima della scadenza, dal 15 dicembre 1972 al 30 aprile 1974 attraverso un'ulteriore convenzione. In quest'ultima è stato stabilito che la RAI ha l'obbligo di strutturare la sua rete televisiva in modo tale che in determinate zone possano venire trasmessi anche programmi stranieri e si è concordato, per quanto riguarda la pubblicità, che quest'ultima deve essere effettuata direttamente dalla RAI oppure attraverso un'altra società. Di conseguenza a partire dal 1972 la pubblicità televisiva è stata affidata alla società SIPRA, interamente sottoposta al controllo della RAI.
Infine, in data 12 agosto 1972, è stato stipulato tra il ministro delle poste e la società telefonica SIP (essa pure controllata dall'IRI) un accordo in base al quale la SIP si impegna a creare e ad amministrare le infrastrutture necessarie alle trasmissioni televisive via cavo. Una speciale concessione per l'esercizio della televisione via cavo — secondo le dichiarazioni del governo italiano — non è stata finora attribuita.
Dopo aver esposto la normativa vigente nella materia di cui si tratta, passo ora all'esame delle questioni che ci sono state sottoposte.
I — |
Bisogna anzitutto esaminare un'eccezione sollevata dal governo italiano. Il governo italiano è del parere che il giudice di rinvio avrebbe dovuto risolvere la questione del se un canone sia dovuto anche per la detenzione di apparecchi destinati esclusivamente alla ricezione via cavo, ricorrendo anzitutto all'interpretazione del diritto nazionale. Qualora infatti risultasse che in un simile caso il canone non è dovuto, il procedimento nazionale potrebbe venir concluso senza dover interpretare il diritto comunitario. Sotto questo aspetto la domanda di pronunzia pregiudiziale sarebbe prematura. Il governo italiano sostiene perciò che le questioni sottopostevi sono irrilevanti per la pronunzia sul merito. Simili eccezioni sono già state sollevate più volte nel corso di procedimenti pregiudiziali. La loro trattazione ha mostrato che in tale settore la Corte di giustizia si è sempre mossa con estremo riserbo. Essa infatti ha espressamente dichiarato di essere disposta a pronunciarsi direttamente sulla rilevanza delle questioni soltanto quando sia evidente che il richiamo alle disposizioni comunitarie è palesemente errato. Nel presente caso mi sembra tuttavia che il richiamo non sia palesemente fuori luogo. Si può infatti pensare che il giudice di rinvio propenda per la conclusione che il canone sia dovuto anche per la detenzione di apparecchi destinati alla ricezione via cavo, quindi egli avrebbe già risolto in un determinato senso il problema sotto il profilo del diritto nazionale. In ogni caso non si può dimenticare che la legge del 1973 menziona espressamente la televisione via cavo. Anche nel caso contrario sarebbe tuttavia difficile ammettere che il giudice nazionale non possa lasciare provvisoriamente insoluto un problema di diritto nazionale per chiedere alla Corte l'interpretazione del diritto comunitario, se egli è dell'opinione che la soluzione della controversia possa eventualmente venir trovata nell'ambito del diritto comunitario (nel caso in esame: se egli è dell'opinione che ai sensi del diritto comunitario il canone controverso sia illegittimo). A mio parere, in presenza di una simile situazione non si può certo parlare di un richiamo palesemente errato al diritto comunitario. Non vi propongo pertanto di astenervi dal rispondere alle questioni sottopostevi in quanto una soluzione fondata sul diritto nazionale potrebbe eventualmente rendere superflua la soluzione dei problemi di diritto comunitario; ritengo invece opportuno fornire fin d'ora un'interpretazione del diritto comunitario, e passo immediatamente, senza ulteriori considerazioni in merito alla ricevibilità, all'esame delle singole questioni. |
II — Sulla soluzione delle singole questioni:
1. |
L'imputato nel procedimento principale ritiene inammissibile che in Italia le trasmissioni televisive possano venire diffuse soltanto dalla RAI e che non sia lecito trasmettere privatamente via cavo. Egli sostiene che ciò rende impossibile ritrasmettere mediante la televisione via cavo le trasmissioni televisive provenienti dall'estero che possono essere ricevute in Italia. Del pari risulta impossibile trasmettere agli spettatori italiani, sempre via cavo, films televisivi ed annunci pubblicitari provenienti da altri Stati membri. Il sig. Sacchi ritiene che una simile situazione rappresenti in primo luogo una restrizione alla libera circolazione delle merci, cioè una maggiore difficoltà opposta allo smercio di prodotti originari di altri Stati membri, per il fatto che tali prodotti non possono godere di una libera pubblicità televisiva. Si può parlare però di una limitazione delle importazioni anche nei confronti delle trasmissioni televisive in quanto tali, sia che esse vengano assimilate a merci in quanto beni immateriali, sia che si ponga l'accento sul mezzo materiale della trasmissione (nastri, films) il cui sfruttamento viene paralizzato a causa del monopolio posseduto dalla RAI. Si configura così un primo gruppo di questioni che sono state sottoposte a questa Corte su evidente suggerimento del sig. Sacchi.
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2. |
Una seconda serie di questioni si riferisce alle regole di concorrenza del trattato (artt. 86 e 90). A questo proposito occorre stabilire se la costituzione di una posizione dominante su una parte sostanziale del mercato comune sia illegittima, qualora soffochi ogni forma di concorrenza nel predetto settore su tutto il territorio di uno Stato membro. Si deve inoltre esaminare se una società, cui venga attribuito in uno Stato membro il diritto esclusivo di trasmissione televisiva, detenga una posizione dominante, che, per taluni aspetti, risulta vietata dall'art. 86 ed occorre infine accertare se esista un diritto dei singoli ad ottenere l'abolizione del succitato diritto d'esclusiva.
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3. |
Rimane soltanto più da esaminare l'ultima questione con la quale è stato chiesto se la circostanza che una società con sede in uno Stato membro goda del diritto esclusivo di diffondere trasmissioni televisive pubblicitarie sull'intero territorio del suddetto Stato costituisca violazione dell'art. 7 del trattato CEE. Occorre precisare che il godimento del monopolio delle trasmissioni televisive pubblicitarie da parte della RAI non implica necessariamente una discriminazione fondata sulla nazionalità: infatti le imprese nazionali sono soggette a questa limitazione delle possibilità pubblicitarie allo stesso modo delle imprese straniere. L'art. 7 non si può neppure interpretare nel senso che, tenuto conto della più sfavorevole posizione di partenza delle imprese straniere ed in particolare delle loro diverse esigenze di pubblicità, si debba concedere loro un particolare vantaggio nell'azione pubblicitaria autorizzandole a servirsi della televisione privata. Non si può inoltre trascurare che un simile orientamento non implica necessariamente un'effettivo miglioramento della posizione delle imprese straniere, né può garantire loro parità di condizioni rispetto alle imprese nazionali, dal momento che l'azione di una televisione privata gioverebbe ovviamente tanto alle imprese nazionali quanto alle imprese straniere. Non vedo pertanto in qual modo l'art. 7 del trattato CEE ed una sua eventuale applicazione nei confronti della RAI potrebbero essere utili per la definizione del procedimento principale. |
III — Conclusioni
Quanto sopra riportato m'induce a proporvi di risolvere come segue le questioni che vi sono state sottoposte :
1. |
Il principio della libera circolazione delle merci all'interno del mercato comune non fa sorgere in quanto tale (cioè a prescindere dal collegamento con le disposizioni speciali destinate alla sua attuazione) in capo ai singoli diritti soggettivi che i giudici nazionali debbano tutelare. |
2. |
La circostanza che in uno Stato membro sia stato attribuito ad una società privata il diritto esclusivo di diffondere trasmissioni televisive, ivi comprese le trasmissioni televisive a carattere pubblicitario, non costituisce in relazione alle merci, alle quali può servire la pubblicità televisiva, alcuna violazione della direttiva emanata dalla Commissione per l'abolizione delle misure di effetto equivalente a restrizioni quantitative. |
3. |
L'art. 37 del trattato CEE vale soltanto per i monopoli a carattere commerciale, non invece per i monopoli nel settore della prestazione di servizi. La concessione ad una società privata del diritto esclusivo di diffondere trasmissioni televisive non ricade nella sfera d'applicazione del predetto articolo. |
4. |
L'art. 86 del trattato CEE non proibisce l'esistenza di una posizione dominante in quanto tale, bensì soltanto il suo sfruttamento abusivo da parte dell'impresa dominante. |
5. |
La concessione da parte di uno Stato del diritto esclusivo di diffondere trasmissioni televisive ad una società privata e l'estensione del predetto diritto nel settore della televisione via cavo non sono in contrasto con l'art. 90 del trattato CEE in collegamento con l'art. 86 del medesimo. |
6. |
La circostanza che ad una società con sede in uno Stato membro venga attribuito il diritto esclusivo di diffondere trasmissioni televisive pubblicitarie nell'intero territorio del predetto Stato non costituisce violazione dell'art. 7 del trattato CEE. |
( 1 ) Traduzione dal tedesco.