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Document 52005IE0256

    Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Nuovi Stati membri e indirizzi di massima per le politiche economiche

    GU C 234 del 22.9.2005, p. 60–68 (ES, CS, DA, DE, ET, EL, EN, FR, IT, LV, LT, HU, NL, PL, PT, SK, SL, FI, SV)

    22.9.2005   

    IT

    Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

    C 234/60


    Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Nuovi Stati membri e indirizzi di massima per le politiche economiche

    (2005/C 234/13)

    Il Comitato economico e sociale europeo, in data 29 gennaio 2004, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del Regolamento interno, di elaborare un supplemento di parere sul tema Nuovi Stati membri e indirizzi di massima per le politiche economiche.

    La sezione specializzata Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 16 febbraio 2005 sulla base del progetto predisposto dal relatore KOULUMIES.

    Il Comitato economico e sociale europeo, in data 10 marzo 2005, nel corso della 415a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 170 voti favorevoli, 2 voti contrari e 5 astensioni.

    SINTESI

    Negli indirizzi di massimi per le politiche economiche del periodo 2003-2005 è stata definita una strategia basata su tre elementi fondamentali: una politica economica che promuova la crescita e la stabilità, delle riforme economiche in grado di aumentare il potenziale di crescita europeo e un consolidamento dello sviluppo sostenibile. La Commissione europea sottolinea al tempo stesso l'ampiezza delle sfide cui devono far fronte i nuovi Stati membri. Se si considera l'intera UE, va osservato che le conseguenze dell'ampliamento si ripartiranno in modo ineguale.

    La maggior parte dei nuovi Stati membri desidera probabilmente entrare quanto prima anche nell'area dell'euro. Affinché siano soddisfatti i requisiti di adesione alla moneta unica occorre che tali Stati conducano una politica economica sostenibile e disciplinata. Ai fini dell'efficacia a lungo termine del Patto di stabilità è necessario procedere ad un suo aggiornamento; tale riforma dev'essere concepita in maniera tale da salvaguardare nel lungo periodo le condizioni della crescita economica dell'UE e da rafforzare l'impegno di tutti a perseguire obiettivi comuni. L'esigenza di migliorare la competitività riguarda tutti gli Stati membri dell'UE. Per i nuovi Stati membri nel lungo periodo non può essere sufficiente raggiungere il livello di produttività attuale dei 15 vecchi Stati membri. In tutto il territorio comunitario occorre investire più che in passato nelle tecnologie dell'informazione e della comunicazione, nelle attività di ricerca e sviluppo e nell'istruzione. Occorre garantire, oltre alla sostenibilità economica e sociale, anche uno sviluppo sostenibile sotto il profilo ambientale. Per i nuovi Stati membri è importante, tra le altre cose, anche accrescere l'efficienza energetica.

    È di per sé evidente che i divari di livello di vita tra i vecchi e i nuovi Stati membri non si colmeranno rapidamente; è probabile che occorreranno dei decenni. Una grande sfida per tutta l'UE è costituita dall'andamento demografico: per tale motivo si deve incoraggiare in vari modi un aumento dei tassi di natalità. Bisogna impegnare senza indugio tutte le risorse di manodopera esistenti nell'Unione, consentendo in particolare alle donne e ai giovani di accedere facilmente al mercato del lavoro e di restarvi a lungo; andrebbe incoraggiata la permanenza sul lavoro dei lavoratori anziani. È importante completare la costruzione del mercato interno e promuovere attivamente una buona governance in campo economico.

    1.   I nuovi Stati membri nei precedenti indirizzi di massima e pareri

    1.1

    Nel presente parere si intendono per nuovi Stati membri i 10 paesi che hanno aderito all'UE il 1o maggio 2004, vale a dire Cipro, Estonia, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia, Repubblica ceca, Slovacchia, Slovenia ed Ungheria.

    1.2

    Gli indirizzi di massima per le politiche economiche della Commissione offrono sempre, come si desume dal loro nome, un'analisi di massima degli obiettivi e delle strategie di politica economica. Tale analisi tende a soffermarsi maggiormente sul funzionamento interno dell'Unione europea piuttosto sull'ambiente circostante. Ciò vale soprattutto per le questioni che riguardano i nuovi Stati membri e che non sono state quasi sollevate fino al momento della loro adesione all'UE.

    1.3

    Nel quadro dei suoi pareri dedicati agli indirizzi di massima, il Comitato economico e sociale europeo ha menzionato i futuri nuovi Stati membri già nelle conclusioni di un parere adottato nel marzo 2002. In tale occasione il Comitato affermava che «L'imminente ampliamento dell'UE rende urgente rivedere le procedure per il coordinamento delle politiche economiche».

    1.4

    Nel parere adottato nel marzo 2003, l'imminente ampliamento veniva menzionato in numerosi contesti. Nella sintesi il Comitato sottolineava che alcune importanti decisioni dei prossimi anni richiedono «un sostegno veramente efficace all'adesione dei nuovi Stati membri». I dati statistici relativi alla situazione economica, allegati al parere, riguardavano equamente sia gli Stati membri del tempo che i paesi in via di adesione.

    1.5

    Nel parere adottato nel dicembre 2003 il Comitato esprime sorpresa per il fatto che «gli indirizzi di massima, validi per tre anni, dedichino solo una frase al fatto che fra qualche mese 10 nuovi Stati membri entreranno a far parte dell'Unione europea». Negli indirizzi di massima si affermava soltanto che i paesi in questione erano invitati a seguire gli indirizzi stessi. Per il Comitato questo non era un approccio abbastanza lungimirante.

    1.6

    Nel medesimo parere le conseguenze dell'ampliamento venivano considerate nei seguenti termini: «In particolare, l'allargamento complica molto il già carente coordinamento delle politiche economiche. Non va infatti dimenticato che esso rende necessario coordinare su due fronti: anzitutto nell'ambito delle singole politiche e in secondo luogo fra i tre grandi ambiti della macropolitica, nei quali l'allargamento accentua decisamente le disparità».

    1.7

    Nel parere in questione si avvertiva inoltre delle possibili conseguenze qualora «i nuovi Stati membri cerchino di soddisfare quanto prima i criteri di adesione all'Unione economica e monetaria orientandosi rigorosamente ai criteri del Patto di stabilità e di crescita.»

    1.8

    Nell'ultimo parere sugli indirizzi di massima per le politiche economiche per il 2004, dal titolo «Migliorare la governance economica nell'Unione europea» (1), il Comitato osserva che l'allargamento segna l'inizio di una nuova fase per l'UE. Come annuncia il titolo, nel parere vengono trattate questioni di governance importanti ai fini della credibilità e dell'efficacia dell'Unione. «Urge definire un quadro istituzionale credibile.»

    1.9

    Il parere riporta inoltre il giudizio della Commissione secondo cui «in materia di bilancio, indebitamento e occupazione i nuovi Stati membri soffrono di problemi analoghi a quelli dell'UE a 15». Tuttavia, ciò non significa che i problemi dei nuovi Stati membri siano i medesimi di quelli dei paesi dell'UE a 15. Per di più vi sono, in vari contesti, importanti differenze nazionali. Le comparazioni si rivelano solo in parte appropriate. Nel parere si afferma che adeguare le prassi sociali ed economiche dei nuovi Stati membri all'avanzato livello di sviluppo dei paesi dell'UE a 15 può produrre dei traumi.

    1.10

    Pertanto il Comitato, nei precedenti pareri in merito agli indirizzi di massima, ha sempre trattato in qualche modo, sia pure in maniera relativamente concisa, i problemi principali dei nuovi Stati membri. Il fatto che nelle comunicazioni della Commissione non siano né anticipate né studiate le conseguenze dell'ampliamento ha certamente influito sul contenuto dei pareri del Comitato.

    2.   Gli indirizzi di massima per le politiche economiche nei nuovi Stati membri

    2.1

    Negli indirizzi di massimi per le politiche economiche del periodo 2003-2005 è stata definita una strategia i cui tre fattori fondamentali sono:

    una politica economica che promuova la crescita e la stabilità,

    delle riforme economiche in grado di aumentare il potenziale di crescita europeo,

    il rafforzamento della sostenibilità.

    2.2

    Nella prima metà del 2003 la crescita economica nei 15 Stati membri ha segnato una battuta d'arresto. Sono state realizzate delle riforme economiche, ma non nella misura necessaria per realizzare gli obiettivi di Lisbona. L'incremento della produttività è stato troppo lento, così come il progresso del mercato interno. Lo sviluppo sostenibile ha fatto dei progressi, ma non in misura sufficiente. Per esempio, a parte alcuni sviluppi positivi alla fine degli anni '90, non si è riusciti a realizzare successi significativi nella riduzione delle emissioni di gas a effetto serra.

    2.3

    Nell'aprile 2004 la Commissione ha aggiornato i suoi indirizzi di massima e ha affermato che la strategia valeva anche per i paesi in via di adesione. I nuovi Stati membri si trovano di fronte le medesime sfide cui devono rispondere i 15 vecchi Stati membri, tuttavia in genere la dimensione di tali sfide è ben maggiore, e solo in taluni casi è vero il contrario.

    2.4

    Vi sono grandi differenze tra i nuovi Stati membri. La Commissione ha voluto pertanto rivolgere a ciascuno di tali Stati delle raccomandazioni nelle quali si è tenuto conto del loro specifico sviluppo.

    2.5

    L'aspetto principale dell'aggiornamento degli indirizzi di massima è l'inserimento dei nuovi Stati membri nell'attuale sistema di coordinamento delle politiche economiche. Le sfide strutturali cui devono far fronte i nuovi Stati membri sono in genere più impegnative, perché:

    la disoccupazione è pressoché doppia rispetto a quella dei vecchi Stati membri,

    i deficit pubblici nel periodo 2000-2004 sono stati in media di poco superiori al 4 % del PIL,

    il livello di reddito a parità di potere d'acquisto è pari a circa la metà di quello dei vecchi Stati membri,

    la quota di popolazione agricola è particolarmente elevata in alcuni di tali Stati,

    numerosi di essi presentano un considerevole disavanzo del bilancio delle partite correnti.

    2.6

    Ai fini della buona riuscita della politica di crescita e di stabilità è necessario che i nuovi Stati membri si dedichino a stabilizzare le finanze pubbliche e a ridurre il disavanzo delle partite correnti, specie se esso è dovuto ai consumi piuttosto che agli investimenti.

    2.7

    Il potenziale di crescita dev'essere aumentato tra l'altro attraverso riforme concertate con le parti sociali e volte a promuovere la ristrutturazione del mercato del lavoro attualmente in corso (tra l'altro attraverso l'istruzione), a stimolare la produttività, anche accrescendo la competizione, limitando le regolamentazioni in modo da renderle più efficaci e sviluppando il mercato dei capitali. Si può inoltre rafforzare la sostenibilità sociale e ridurre la povertà sottolineando l'importanza determinante del lavoro. Gli investimenti nei settori dei trasporti e dell'energia, oltre all'industria e all'agricoltura, hanno un ruolo importante nell'accrescimento della sostenibilità ambientale.

    2.8

    La Commissione sottolinea l'ampiezza delle sfide cui si trovano di fronte i nuovi Stati membri e la difficoltà delle future decisioni politiche. Gli indirizzi di massima per le politiche economiche tengono conto delle situazioni specifiche di tali Stati, ad esempio inserendo nelle raccomandazioni rivolte ai singoli Stati dei periodi di aggiustamento più lunghi rispetto a quelli previsti per i 15 vecchi Stati membri.

    3.   Risultati economici e conseguenze dell'ampliamento

    3.1   Risultati e prospettive economiche nei nuovi Stati membri

    3.1.1

    L'ampliamento ha un impatto positivo sui risultati economici. L'economia dell'UE a 15 ha ripreso a crescere nella seconda metà del 2003, grazie anche alla crescita dell'economia mondiale e alla rinnovata fiducia dei consumatori. La ripresa dei consumi è dovuta in parte al livello storicamente basso dei tassi di interesse. Nonostante l'intensificarsi dell'attività economica, occorrerà comunque del tempo prima di una ripresa dell'occupazione. La fiducia dei consumatori continua ad essere messa alla prova dall'incertezza circa il futuro livello di reddito, e i rischi relativi all'evoluzione del contesto globale sono aumentati. La ripresa della congiuntura nei vecchi Stati membri ha importanti ripercussioni anche per i nuovi Stati membri, le cui esportazioni sono dirette principalmente verso l'UE 15.

    3.1.2

    Nel 2003 la crescita economica media nei nuovi Stati membri è stata del 3,5 %. Specialmente nei paesi baltici, in Ungheria e nella Repubblica ceca, i consumi privati hanno contribuito a tale crescita. In Slovacchia e in Polonia sono fortemente cresciute le esportazioni, specie di prodotti finiti.

    3.1.3

    La crescita degli investimenti è stata piuttosto scarsa in alcuni nuovi Stati membri, cosa che riflette la situazione internazionale, ma anche il rallentamento del processo di riforma nei vari Stati. La convergenza dei tassi di interesse con quelli degli altri Stati membri e l'esigenza di migliorare le infrastrutture sono due fattori che potrebbero accelerare la crescita degli investimenti. Salvo poche eccezioni nei nuovi Stati membri gli investimenti, in proporzione al RNL, sono maggiori di quanto siano mediamente nell'UE a 15. Ciò favorirà la crescita economica dei nuovi Stati membri.

    3.1.4

    Per il 2004 e il 2005 si prevede nei nuovi Stati membri una crescita media prossima al 4 %. Tale crescita dovrebbe essere più rapida nei nuovi Stati membri dove il PIL pro capite è minore. La crescita maggiore si dovrebbe avere in Polonia, grazie alla politica finanziaria espansiva di quel paese. Tra i nuovi Stati membri a reddito elevato, invece, si prevede che Cipro avrà una crescita relativamente forte. Un fattore che potrebbe in futuro rallentare la crescita economica in tutti gli Stati membri sarà l'aumento del prezzo del petrolio.

    3.1.5

    Fatta eccezione per l'Ungheria, la Slovacchia e la Slovenia, i nuovi Stati membri hanno avuto negli ultimi tempi dei tassi di inflazione prossimi a quelli della zona euro. Sebbene si sia registrato nel 2004 un aumento dell'inflazione, dovuto tra l'altro all'incremento del prezzo del petrolio, si prevede nel 2005 un suo rallentamento verso valori prossimi al 3 %.

    3.1.6

    Il disavanzo pubblico nel periodo 2000-2003 è stato nei nuovi Stati membri mediamente pari al 4,3 % del PIL; si prevede che sarà pari al 4,9 % nel 2004. Ai due estremi si collocano l'Estonia, che presenta un avanzo medio di bilancio pari all'1 %, e la Repubblica ceca, con un deficit del 7 %. Anche altri cinque dei 10 nuovi Stati membri, Cipro, Ungheria, Malta, Polonia e Slovacchia hanno oltrepassato la soglia di riferimento del 3 % (cfr. appendice). Si prevede un miglioramento della situazione nella maggior parte dei nuovi Stati membri dato il progressivo consolidamento dei bilanci pubblici.

    3.1.7

    Come i 15 vecchi Stati membri, anche ciascuno dei nuovi Stati membri ha caratteristiche specifiche; risulta quindi spesso fuorviante trattarli come se costituissero un tutto omogeneo. In generale si può tuttavia affermare che la crescita economica nei nuovi Stati membri è stata relativamente buona se comparata con quella dei 15 vecchi Stati membri. L'adesione di tali paesi all'UE, la crescita piuttosto sostenuta dei loro mercati nazionali e i loro costi di produzione inferiori a quelli dei 15 vecchi Stati membri avranno l'effetto di accelerare nei prossimi anni la crescita della produzione, il che provocherà al tempo stesso un aumento della domanda di investimenti e beni di consumo provenienti dai vecchi Stati membri.

    3.2   Le ripercussioni macroeconomiche dell'ampliamento per l'area comunitaria

    3.2.1

    Le ripercussioni dell'ampliamento si manifestano in maniera ineguale nei nuovi e nei vecchi Stati membri e ciò anzitutto perché una gran parte degli scambi esteri dei nuovi Stati membri avviene con gli Stati dell'UE a 15, mentre per questi ultimi l'importanza dei nuovi Stati membri è modesta. Gran parte del commercio dei vecchi Stati membri si svolge con altri paesi industrializzati occidentali, come per esempio gli Stati Uniti.

    3.2.2

    L'adesione dei paesi dell'Europa centrorientale all'UE è avvenuta al termine di una serie di adeguamenti graduali. Nel corso di tale processo sono stati eliminati gli ostacoli al commercio con l'UE a 15 e sono stati effettuati degli adeguamenti delle strutture istituzionali. Le principali restrizioni riguardavano gli scambi internazionali di prodotti alimentari e agricoli. Dopo l'adesione permangono regolamentazioni transitorie riguardanti principalmente la proprietà fondiaria, la libera circolazione dei lavoratori e la tutela dell'ambiente.

    3.2.3

    Si ritiene che le conseguenze dell'ampliamento per i vecchi Stati membri siano positive, ma modeste. I benefici dovrebbero essere maggiori per i nuovi Stati membri. Tali benefici deriveranno dalla rimozione dei residui ostacoli al commercio e dalla maggiore efficienza nella circolazione dei lavoratori e dei capitali.

    3.2.4

    Se si considera l'intera UE, va osservato che le conseguenze dell'ampliamento si ripartiranno in modo ineguale. Nei 15 vecchi Stati membri i cambiamenti più importanti avranno luogo nelle aree che confinano con i nuovi Stati membri, come L'Austria, la Germania e la Finlandia e saranno differenti secondo i vari settori di attività.

    3.2.5

    I cambiamenti prodotti dall'ampliamento saranno maggiori nei settori ad alta intensità di manodopera che hanno difficoltà a trarre profitto dal decentramento delle loro attività a causa della distanza e/o della regolamentazione. Tra tali settori figurano ad esempio l'agricoltura, l'industria alimentare e le costruzioni, nonché vari comparti del settore dei servizi. D'altro canto vi sono settori in cui la produzione può essere trasferita facilmente da un paese all'altro.

    3.2.6

    Sfruttare il più basso livello di costi dei nuovi Stati membri può essere un'opportunità per tutta l'UE, anche per quel che riguarda il cosiddetto fenomeno cinese. La prossimità di zone di produzione a basso costo rende più conveniente produrre in Europa che in zone più distanti. Ciò vale in particolare all'inizio del ciclo di vita dei prodotti ad alta intensità di ricerca e sviluppo. Solo quando è possibile ridurre la quota della ricerca e sviluppo in una determinata produzione, si può trasferire detta produzione in paesi distanti, dai costi di produzione ancora minori. Le differenze nei costi di produzione tra vecchi e nuovi Stati membri sono attualmente considerevoli, ma si andranno gradualmente riducendo.

    4.   Questioni particolari

    4.1   Ingresso nell'area dell'euro

    4.1.1

    La maggior parte dei nuovi Stati membri desidera probabilmente entrare quanto prima anche nell'area dell'euro. Affinché siano soddisfatti i requisiti di adesione alla moneta unica occorre che tali Stati conducano una politica economica sostenibile e disciplinata. I primi anni dopo l'ingresso saranno particolarmente difficili. I criteri di Maastricht prevedono valori sufficientemente bassi per quanto riguarda l'inflazione, i tassi di interesse, il deficit di bilancio e il debito pubblico, nonché tassi di cambio stabili. Ovviamente gli stessi criteri valgono per tutti gli Stati dell'UE.

    4.1.2

    Molto dipenderà dal modo in cui gli sforzi di adeguarsi ai criteri di Maastricht incideranno sulle economie dei nuovi Stati membri. Se tali Stati cercheranno, all'atto di entrare nel nuovo meccanismo dei tassi di cambio (ERM 2), di tenere le rispettive valute entro fasce di oscillazione troppo strette, è facile che tali valute diventino un bersaglio per la speculazione. L'eventuale innalzamento dei tassi di interesse per difendere la stabilità della valuta comporterebbe conseguenze economiche dannose, ad esempio sull'occupazione. L'Estonia, la Lituania e la Slovenia sono stati i primi tra i nuovi Stati membri ad aderire all'ERM 2 e mantengono una fascia di oscillazione piuttosto ampia. In tal modo risulta loro più facile evitare possibili speculazioni contro la loro valuta. Il sistema di stabilità della moneta dell'Estonia e della Lituania contribuisce inoltre a stabilizzare le rispettive monete nazionali rispetto all'euro.

    4.1.3

    L'obiettivo di una bassa inflazione può produrre dei problemi quando l'economia cresce rapidamente. Nei nuovi Stati membri l'inflazione è stata in precedenza maggiore che nei vecchi. L'esigenza di adeguare delle economie in rapida espansione all'obiettivo di una bassa inflazione può finire per limitare la crescita, dato che questa si accompagna ad un aumento dell'inflazione in tali paesi. In genere quando la produttività cresce rapidamente, anche i prezzi salgono con altrettanta rapidità. D'altro canto un'inflazione troppo elevata può avere l'effetto di rallentare la crescita economica.

    4.1.3.1

    Se è vero che i tassi di inflazione si attestano attualmente su livelli ragionevoli, è anche vero che tale situazione potrebbe cambiare allo scadere di determinati periodi transitori previsti dal Trattato di adesione. Proprio in quel momento potrebbe verificarsi un aumento dell'inflazione, perché avranno termine una serie di disposizioni temporanee, tra cui l'autorizzazione provvisoria ad applicare un'aliquota IVA dello 0 % e accise ridotte, nonché altri provvedimenti nazionali.

    4.1.4

    L'economia dei paesi piccoli è più strettamente legata all'economia internazionale rispetto a quella dei paesi grandi. Per i paesi piccoli è più difficile stimolare temporaneamente l'economia ricorrendo al debito pubblico o aumentando il deficit di bilancio, ed esempio nella fase che precede le elezioni. Nei paesi piccoli le finanze pubbliche sono in genere più trasparenti e facili da gestire. È pertanto logico attendersi che saranno i paesi più piccoli quelli che accederanno per primi all'area dell'euro. In Estonia vige una disposizione che impone il pareggio del bilancio pubblico.

    4.1.5

    Potrebbero sorgere dei problemi anche nel caso in cui un paese cerchi di conformarsi molto velocemente ai criteri di Maastricht. Prima che entrino nell'area dell'euro, infatti, la loro valuta dovrà rimanere stabile rispetto all'euro per due anni senza possibilità di riaggiustamento della parità. Oltre ai problemi menzionati al punto 4.1.2, gli Stati troppo frettolosi rischiano quindi di entrare in questo meccanismo con un tasso di cambio sopravvalutato o sottovalutato. Vi è il rischio di affievolire il dinamismo delle loro economie e di soffocare le condizioni di crescita a causa di una moneta sopravvalutata, che intaccherebbe la loro competitività sui mercati internazionali, o viceversa a causa di una moneta sottovalutata, che genererebbe pressioni inflazionistiche. Nell'uno e nell'altro caso si avrebbe una pressione sui salari e di conseguenza maggiori problemi di delocalizzazione e un indebolimento della domanda interna, la quale è spesso il motore della crescita. Occorrerà quindi molta cautela nella determinazione della parità di ingresso nel meccanismo di cambio ERM2. In ogni caso, anche accedendo alla zona euro con un tasso di cambio adeguato, i paesi che ne fanno parte devono perseguire un'elevata competitività.

    4.1.6

    Con l'ampliamento, il numero degli Stati membri che si trovano al di fuori dell'area dell'euro è, temporaneamente, leggermente maggioritario, mentre, ponderata con il PIL, la zona euro è di gran lunga maggiore. Man mano che nuovi paesi adotteranno l'euro, miglioreranno i fondamenti della solidità internazionale di tale valuta.

    4.2   Patto di stabilità e di crescita

    4.2.1

    Nella maggior parte dei nuovi Stati membri le finanze pubbliche sono abbastanza solide. Solo in alcuni di essi il debito pubblico supera il 60 % del PIL. È d'altronde possibile che in altri il debito crescerà a causa dei deficit di bilancio. Va ricordato che il debito estero dei nuovi Stati membri, paragonato con quello dei Quindici, non risulta affatto preoccupante. Nondimeno tutti gli Stati membri hanno in più occasioni dichiarato il loro impegno a rispettare gli obiettivi di Lisbona e a condurre una sana politica di bilancio.

    4.2.2

    Il Patto di stabilità è oggetto di critiche da lungo tempo. Il Comitato ha formulato vari pareri in merito al Patto (2). Nonostante le sue lacune, sembra che esso abbia contribuito al mantenimento della disciplina di bilancio. Inoltre grazie a controlli più efficaci e alla trasparenza della procedura per i disavanzi eccessivi è stato più facile garantire il rispetto di tale disciplina. Per definire la loro politica economica a medio termine, gli Stati membri devono avere una visione chiara della futura forma del patto di stabilità e di crescita.

    4.2.3

    Le imprecisioni e le omissioni nelle cifre e nelle previsioni di bilancio degli Stati membri hanno accresciuto i problemi di sorveglianza. Sia la Commissione che vari comitati hanno partecipato all'elaborazione di criteri comuni di applicazione in un quadro di sorveglianza multilaterale e di coordinamento delle politiche. Tuttavia i metodi e le procedure non possono essere resi più precisi se i dati statistici non sono completamente affidabili. Le statistiche di alcuni dei nuovi e dei vecchi Stati membri, nonostante i progressi compiuti negli ultimi anni, si possono ancora migliorare considerevolmente.

    4.2.4

    Da più parti si ritiene che l'interpretazione del Patto di stabilità, che si basa sul Trattato di Maastricht, dovrebbe essere modificata. Molte procedure attualmente in vigore devono essere alleggerite in un'Unione a 25. I programmi e i pareri della Commissione e degli Stati membri vengono trattati in maniera sempre più formale, mentre il coordinamento informale tra Stati membri è divenuto via via più importante. Non bisogna tuttavia mettere a repentaglio la credibilità della moneta comune.

    4.2.5

    Nei nuovi Stati membri non sarà facile gestire la politica economica e mantenere la stabilità della finanza pubblica. L'impegno si riduce, specie dove manca la stabilità politica. Sebbene i nuovi Stati membri abbiano provveduto alle riforme fondamentali necessarie per creare un'economia di mercato, alcuni di essi devono affrontare scelte difficili, perché le riforme strutturali occorrenti possono comportare un aumento della spesa pubblica. La decisione sulla destinazione della spesa pubblica sarà un compito più arduo per loro che per i vecchi Stati membri.

    4.2.6

    Affinché il Patto di stabilità sia efficace a lungo termine è necessario riformarlo in una certa misura. Tale riforma deve rafforzare l'impegno di tutti gli Stati membri a perseguire obiettivi comuni, senza compromettere la credibilità dei loro sforzi volti a mantenere la stabilità delle finanze pubbliche, la disciplina di bilancio, la sostenibilità e il coordinamento delle politiche economiche.

    4.3   Divari nel livello di benessere e di occupazione (3)

    4.3.1

    Sebbene con l'ampliamento la popolazione dell'UE sia cresciuta di quasi il 20 %, il suo PIL è aumentato solo del 5 % ai prezzi di mercato e del 10 % a parità di potere di acquisto. I nuovi Stati membri hanno in comune il fatto di essere mediamente più poveri dei vecchi. Il PIL pro capite di tali Stati, a parità di potere di acquisto, è pari a solo la metà di quello degli Stati dell'UE a 15. Tuttavia anche tra essi, come tra i vecchi Stati membri, vi sono differenze significative: Cipro, la Slovenia e Malta sono i più ricchi, mentre la Polonia e gli Stati baltici, ossia Estonia, Lettonia e Lituania, sono i più poveri. In termini di PIL pro capite a parità di potere di acquisto la Slovenia e Cipro sono sullo stesso livello della Grecia, mentre Malta e la Repubblica ceca sono alla pari con il Portogallo.

    4.3.2

    Secondo Eurostat, il 13 % della popolazione dei nuovi Stati membri vive al di sotto della soglia di povertà, contro il 15 % dei vecchi Stati membri. La soglia di povertà è definita in termini di reddito personale o familiare disponibile in proporzione al reddito medio nazionale e si colloca al 60 % del reddito nazionale mediano. Tuttavia, la vicinanza di queste percentuali non deve illuderci sull'ampiezza della problematica sociale, dato che — come si è detto — il PIL pro capite espresso in parità di potere di acquisto nei nuovi Stati membri è in realtà la metà di quello relativo ai vecchi Stati.

    4.3.3

    Il modello di distribuzione del reddito nei vecchi e nei nuovi Stati membri non è dissimile. La Repubblica ceca, l'Ungheria e la Slovenia vantano i divari di reddito più modesti, analoghi a quelli dei paesi nordici. I tassi di povertà sono maggiori in Estonia, Lituania e Lettonia, dove il modello di distribuzione del reddito è caratterizzato dalle grandi disparità che sono tipiche dell'Irlanda e del Regno Unito. I tassi di povertà più elevati, nei vecchi Stati membri, si riscontrano in Irlanda e nei paesi meridionali. Una lacuna delle comparazioni tra Stati è che non tengono conto delle differenze regionali all'interno di un paese, che possono essere considerevoli.

    4.3.4

    Nei nuovi Stati membri il tasso di occupazione medio è del 56 %, contro il 64 % dei vecchi. Una questione di grande rilievo è se riusciranno ad innalzare al tempo stesso la produttività e il tasso di occupazione. Sembra che la maggior parte dei nuovi Stati membri privilegi l'aumento della produttività, che permette di accrescere la loro competitività e di conseguenza quella dell'intera UE. La strategia di Lisbona continua ad offrire una soluzione ancora attuale a tale questione, anche se potrebbe essere soggetta a qualche modifica.

    4.3.5

    Negli indirizzi di massima per le politiche economiche della Commissione, del 7 aprile 2004, viene specificato che occorre dedicare particolare attenzione al basso tasso di occupazione che si registra nei nuovi Stati membri fra i lavoratori più giovani e fra quelli più anziani, sviluppando al tempo stesso la protezione sociale e la qualificazione della mano d'opera. Il Comitato ritiene che si tratti di indicazioni importanti e che detti obiettivi debbano essere perseguiti anche nei vecchi Stati membri.

    4.3.6

    Tra i nuovi Stati membri esistono differenze consistenti per quanto riguarda il tasso di occupazione delle donne e dei lavoratori più anziani. Nella Repubblica ceca, in Estonia e in Lituania il tasso di occupazione femminile è superiore a quello medio degli UE 15, mentre in Polonia e ancor più a Malta è molto inferiore. Nella Repubblica ceca, in Estonia, a Cipro, in Lettonia e in Lituania il tasso di occupazione dei lavoratori più anziani è superiore a quello medio dei vecchi Stati membri, mentre nei rimanenti nuovi Stati membri è molto inferiore. In tutti i nuovi Stati membri, tranne l'Estonia e l'Ungheria, il tasso di disoccupazione nel 2003 era leggermente più elevato per le donne che per gli uomini. Il divario era particolarmente sensibile a Malta e nella Repubblica ceca.

    4.3.7

    Nel periodo 2000-2003 la disoccupazione si è ridotta in numerosi nuovi Stati membri, in particolare negli Stati baltici tale riduzione è stata prossima al 3 %. In Slovenia e Ungheria l'occupazione ha iniziato a riprendersi già a metà degli anni '90. In allegato al presente parere figurano dei dati statistici relativi all'occupazione e alla disoccupazione.

    4.3.8

    La struttura per età e lo stato dei sistemi di protezione sociale della popolazione ha un impatto notevole sulla distribuzione del reddito nazionale. Nei nuovi Stati membri vi è una stretta correlazione tra l'età avanzata e un basso reddito. A Cipro, nella Repubblica ceca e in Slovacchia, Slovenia e Lituania le persone di età superiore a 65 anni sono presenti in misura superiore alla media nella fascia minima di reddito. Le famiglie numerose, quelle monoparentali e i giovani di età compresa tra i 16 e i 24 anni sono le categorie più a rischio di povertà.

    4.3.9

    Il livello generale di scolarizzazione è più elevato nei nuovi che nei vecchi Stati membri. Nei nuovi Stati membri circa l'89 % di tutti i cittadini di età compresa tra 25 e 64 anni hanno terminato l'istruzione secondaria superiore, contro il 65 % nei vecchi Stati membri. Le percentuali più elevate di diplomati si registrano nella Repubblica ceca, in Estonia e in Slovacchia. Tra i vecchi Stati membri, solo la Germania, il Regno Unito e la Svezia presentano percentuali superiori all'80 %. È questo elevato livello di istruzione, oltre al costo moderato del lavoro, che rende i nuovi Stati membri attraenti per gli investitori.

    4.3.10

    Nei nuovi Stati membri la crescita economica è mediamente più rapida che nei vecchi. Ciò non comporta tuttavia automaticamente che l'integrazione europea colmerà rapidamente i divari di reddito. Al ritmo attuale ciò richiederà dei decenni. In base a un calcolo molto schematico saranno Cipro e Malta i primi a raggiungere il livello di reddito dei vecchi Stati membri, e ciò avverrebbe nel giro di ben 20 anni. Molti fattori possono contribuire ad una chiusura più rapida del divario di reddito, per esempio i fondi strutturali. Le tabelle allegate al presente parere presentano dati relativi all'economia di tutti gli Stati membri.

    4.4   Competitività e produttività

    4.4.1

    Il costo totale del lavoro è in media molto più basso nei nuovi che nei vecchi Stati membri. Inoltre i loro mercati del lavoro sono ritenuti molto flessibili. Di conseguenza molte produzioni industriali e, in qualche misura, anche attività di servizi, sono state trasferite nei nuovi Stati membri. Spesso tuttavia si trascura il fatto che in tali Stati anche il livello di produttività è considerevolmente più basso che nei vecchi Stati membri. Nel 2003 la produttività per addetto nei nuovi Stati membri, a parità di potere di acquisto, era pari al 54 % di quella dei vecchi Stati membri.

    4.4.2

    Se è vero che tali Stati all'inizio degli anni '90 avevano ancora un vasto settore pubblico, e che le loro legislazioni erano spesso rigide, è anche vero che essi hanno fatto grandi passi in avanti nella riforma del settore pubblico e che attualmente la loro spesa pubblica in rapporto al PIL è comparabile a quella dei vecchi Stati membri.

    4.4.3

    Per migliorare la competitività e la produttività bisogna investire nell'istruzione, nella qualificazione, nella ricerca e nell'organizzazione del lavoro, eliminare gli ostacoli amministrativi al funzionamento e alla creazione delle imprese, specie piccole, e promuovere l'imprenditorialità. La competitività e la produttività aumentano anche quando le imprese inefficienti e non redditizie escono dal mercato, perché le risorse liberate in questo modo vengono dirette verso impieghi più produttivi. Ristrutturazioni di questa natura presuppongono però misure di riqualificazione destinate ai lavoratori coinvolti (4).

    4.4.4

    I nuovi Stati membri hanno già tratto profitto dai loro mercati flessibili. I capitali, le tecnologie e spesso persino la forza lavoro possono essere facilmente trasferiti da un paese all'altro. La flessibilità strutturale rende altrettanto semplice trasferire altrove i posti di lavoro. A lungo termine i paesi e le regioni devono anche essere capaci di competere in termini di infrastrutture, comprese le tecnologie dell'informazione e della comunicazione e le capacità di ricerca. Le attività di ricerca e sviluppo assorbono circa il 2 % del reddito nazionale nei vecchi Stati membri, contro l' % circa nei nuovi.

    4.4.5

    Per i nuovi Stati membri nel lungo periodo non può essere sufficiente raggiungere il livello di produttività attuale dei 15 vecchi Stati membri. Ciascuno Stato membro dovrà investire specialmente nella conoscenza. Il rallentamento della crescita della produttività europea può spiegarsi con i modesti livelli di investimenti e di impiego di tecnologie. In tutta l'Unione attuale occorre investire ben più che in passato nelle tecnologie dell'informazione e della comunicazione, nelle attività di ricerca e sviluppo e nell'istruzione. Per i nuovi Stati membri in particolare questa è una grande sfida, ma anche un'opportunità.

    4.4.6

    Anche per migliorare la competitività sono necessari cambiamenti strutturali nei vari settori dell'economia. Nei nuovi Stati membri, in particolare, vi è spazio per un miglioramento della competitività economica attraverso riforme strutturali nell'agricoltura e nell'industria pesante.

    4.5   Sviluppo ambientale sostenibile

    4.5.1

    Un elemento importante della strategia degli indirizzi di massima è rafforzare lo sviluppo sostenibile. I nuovi Stati membri devono garantire, oltre alla sostenibilità economica e sociale, anche uno sviluppo sostenibile sotto il profilo ambientale. Aver cura delle risorse naturali e della qualità ambientale è non soltanto indispensabile ma anche redditizio nel lungo periodo.

    4.5.2

    Per i nuovi Stati membri è importante accrescere l'efficienza energetica. Secondo Eurostat, nel periodo 2000-2002 l'indicatore di intensità energetica (consumo energetico in rapporto al PIL a parità di potere di acquisto) era mediamente 258 nei nuovi Stati membri contro 173 nei vecchi. Nei nuovi Stati membri occorre quindi accrescere l'efficienza energetica, cosa importante ai fini dello sviluppo sostenibile.

    4.5.3

    Sebbene i nuovi Stati membri abbiano già realizzato dei progressi, occorrono ancora grandi investimenti, specie per accrescere l'efficienza della produzione energetica e dell'uso di energia nei trasporti. Per ridurre i danni ambientali bisognerebbe in particolare ridurre le sovvenzioni all'uso di energia. Il Comitato accoglie con favore la raccomandazione della Commissione, di ridurre i sussidi che hanno un impatto ambientale negativo e sono dannosi per lo sviluppo sostenibile.

    4.5.4

    Nel 2003 è entrata in vigore la direttiva sull'elettricità da fonti rinnovabili. Nella comunicazione in merito agli indirizzi di massima, la Commissione osserva che i risultati in termini di generazione di energia verde sono alquanto modesti, salvo che in Germania, Spagna e Danimarca, dove ci si è avvalsi vantaggiosamente dell'energia eolica.

    4.5.5

    Ci vorranno vari anni prima che i nuovi Stati membri raggiungano i livelli dei vecchi Stati membri in termini di efficienza dell'uso e della produzione di energia. Non bisogna però permettere che la dimensione della sfida riduca gli sforzi di tali paesi per garantirsi uno sviluppo sostenibile. Una parte delle azioni dev'essere rivolta a risvegliare la consapevolezza pubblica circa l'importanza dello sviluppo sostenibile.

    5.   Conclusioni

    5.1

    Negli ultimi anni nei vecchi Stati membri lo sviluppo economico non è stato altrettanto dinamico quanto in vari nuovi Stati membri. La crescita economica continuerà probabilmente ad essere maggiore nei nuovi Stati membri, almeno a medio termine. La crescita può essere tra l'altro stimolata grazie al sostegno dei fondi strutturali. L'ampliamento favorisce comunque la crescita economica anche nei vecchi Stati membri.

    5.2

    Non è di per sé evidente che i divari di livello di vita tra i vecchi e i nuovi Stati membri si colmeranno rapidamente. Non sempre l'integrazione politica comporta una riduzione dei divari di reddito e di tenore di vita. La riunificazione tedesca fornisce un esempio di disparità regionali che tardano a sparire. Neppure le grandi somme investite e l'integrazione istituzionale sono servite a risolvere la situazione.

    5.3

    L'ampliamento renderà ancora più facili gli scambi e gli investimenti e, al termine dei periodi transitori, anche la libera circolazione dei lavoratori tra nuovi e vecchi Stati membri. Ciò accrescerà inoltre la trasparenza del contesto economico nei nuovi Stati membri e faciliterà le decisioni delle imprese intenzionate ad investire. Rimarranno, tra i vari Stati, importanti differenze nei settori nei quali l'UE non ha competenza. Ad esempio la competenza comunitaria in materia fiscale è attualmente limitata alle aliquote IVA minime e a taluni principi relativi alla tassazione delle imprese.

    5.4

    Le disposizioni sul periodo transitorio riguardano principalmente la libera circolazione dei lavoratori da un paese all'altro. Tali disposizioni limitano il trasferimento di lavoratori per un periodo massimo di sette anni. In numerosi vecchi Stati membri è in corso un rapido processo di invecchiamento demografico e occorrerà nuova mano d'opera, nonostante la presenza di una considerevole disoccupazione strutturale. I periodi di transizione potrebbero sia ritardare le necessarie riforme strutturali nei nuovi Stati membri che limitare la crescita economica nei vecchi e nei nuovi Stati membri.

    5.5

    Secondo varie imprese che stanno valutando degli investimenti o hanno già investito nei nuovi Stati membri, tali Stati risentono più dei vecchi Stati membri di problemi tipici delle economie in transizione, che non possono essere eliminati attraverso la sola legislazione. Spesso tali problemi sono legati alla corruzione, la quale peraltro non è sconosciuta nei vecchi Stati membri.

    5.6

    È necessario molto tempo per eliminare delle pratiche che si sono radicate nella società per decenni. Anche in questo caso, tuttavia, l'adesione all'UE ha dato un'ulteriore spinta in direzione di una cambiamento. Affinché il potenziale dei nuovi Stati membri possa essere sfruttato adeguatamente occorre che vengano rispettate scrupolosamente le regole comuni dell'UE. Ciò vale in particolare per le disposizioni concernenti il mercato interno, ma è anche importante che le altre norme che si riflettono sulla concorrenza, come quelle in materia ambientale, vengano applicate in maniera uniforme in tutti gli Stati membri.

    5.7

    Nei nuovi Stati membri il rapporto tra il costo e il livello di istruzione della mano d'opera è favorevole. Anche la fiscalità è uno dei fattori che influenzano gli investimenti delle imprese nei nuovi Stati membri. Il tipo di attività svolta da una impresa determina i fattori essenziali ai fini degli investimenti.

    5.8

    Nondimeno, la corsa al livellamento fiscale verso il basso («race to the bottom») comporta dei rischi di per sé. Essa può ad esempio privare la pubblica amministrazione dei mezzi necessari ad effettuare gli investimenti nelle infrastrutture e nel sistema di sicurezza sociale, che sono indispensabili per recuperare il ritardo economico. Esiste inoltre il rischio che la pressione fiscale venga trasferita sul fattore lavoro, che è comparativamente meno mobile, con effetti negativi sull'occupazione.

    5.9

    Gli investimenti diretti o la rilocalizzazione di tutta l'attività di un'impresa in un nuovo Stato membro risultano più facili per le imprese che svolgono già attività importanti in tali Stati o la cui competitività dipende ampiamente dal basso costo del lavoro rispetto al livello di istruzione. È chiaro che questo vantaggio dei nuovi Stati membri continuerà ad attirare verso di loro attività produttive dall'estero, anche dai vecchi Stati membri. D'altro canto, le attività commerciali e produttive svolte nei nuovi Stati membri da imprese dei vecchi Stati membri contribuiscono in molti casi all'attività economica nei vecchi Stati membri. Ciò è comprovato tra l'altro dall'aumento degli scambi incrociati tra vecchi e nuovi Stati membri.

    5.10

    La convergenza economica tra vecchi e nuovi Stati membri è relativamente aumentata e tale tendenza è destinata a continuare, sebbene alcune incertezze pesino sul futuro. Nella più probabile delle ipotesi, il vantaggio relativo dei nuovi Stati membri nei confronti dei vecchi in termini di bassi salari e prezzi diminuirà, ma solo nel lungo periodo dato il livello di partenza particolarmente basso.

    5.11

    Una grande sfida per l'UE è costituita dall'andamento demografico, in quanto il numero di persone che lasceranno il lavoro crescerà di molto in futuro rispetto alla situazione attuale. Si dovrebbe promuovere attivamente e in vari modi la permanenza al lavoro dei lavoratori più anziani. Per garantire la competitività a lungo termine è estremamente importante accrescere il tasso di natalità e mobilitare tutte le risorse di manodopera dell'Unione. Ciò è possibile solo a condizione di promuovere la parità tra donne e uomini e la compatibilità tra vita familiare e professionale. Al tempo stesso occorrerebbe ridurre l'esclusione e la povertà, migliorando così la coesione sociale in tutti gli Stati membri.

    5.12

    In alcuni dei nuovi Stati membri l'organizzazione delle parti sociali è alquanto debole e frammentaria. Il grado di rappresentatività di tali organizzazioni varia molto da un caso all'altro, ma esse hanno in comune la mancanza di adeguate risorse economiche. Lo stesso vale per l'attività delle altre organizzazioni civiche. Queste organizzazioni dovranno sviluppare le loro attività in modo che vi sia un dialogo efficace tra le varie parti e che tutte insieme possano contribuire a creare le condizioni della crescita economica. La concertazione sociale è indispensabile per garantire che l'Europa poggi su basi forti e solidali.

    5.13

    La Commissione dovrebbe inoltre valutare attentamente gli elementi di incertezza a livello internazionale che minacciano la crescita economica e la competitività dell'UE, come ad esempio l'effetto della dinamica dei prezzi petroliferi e i deficit strutturali del bilancio e delle partite correnti negli Stati Uniti.

    5.14

    Tutti gli Stati membri devono continuare a lavorare per portare a termine il mercato interno, per un'attuazione più efficace delle riforme di Lisbona e per una migliore governance economica. Senza tali riforme vi è il rischio di un declino della crescita economica e del benessere in tutta Europa.

    5.15

    Sebbene il presente parere abbia il più delle volte trattato i nuovi e i vecchi Stati membri come insiemi separati, ciò può valere solo in termini molto generali; infatti ciascuno Stato ha specifici problemi ed esigenze.

    Bruxelles, 10 marzo 2005.

    La Presidente

    del Comitato economico e sociale europeo

    Anne-Marie SIGMUND


    (1)  «Migliorare la governance economica nell'Unione europea». GU C 74 del 23.3.2005.

    (2)  Cfr. l'ultimo parere del CESE sul tema «Politica di bilancio e tipo di investimento», GU C 110 del 30.4.2004, pag. 111-115.

    (3)  Il Comitato richiama tuttavia l'attenzione sul fatto che, nel discutere del livello di vita, sarebbe più adeguato riferirsi al concetto di «reddito disponibile delle famiglie». I dati statistici in materia sono purtroppo lacunosi. Il Comitato coglie l'occasione per chiedere nuovamente un rafforzamento dei servizi statistici dell'UE e un miglioramento della cooperazione tra le organizzazioni nazionali competenti in materia da un lato, ed Eurostat dall'altro.

    (4)  Parere del CESE sul tema «La sfida della competitività per le imprese europee», GU C 120 del 20.5.2005.


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