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Document 52004IE0322

    Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Politica di bilancio e tipo di investimento

    GU C 110 del 30.4.2004, p. 111–115 (ES, DA, DE, EL, EN, FR, IT, NL, PT, FI, SV)

    30.4.2004   

    IT

    Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

    C 110/111


    Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Politica di bilancio e tipo di investimento

    (2004/C 110/19)

    Il Comitato economico e sociale europeo, in data 21 gennaio 2003, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 23, paragrafo 3, del Regolamento interno, di elaborare un parere sulla politica di bilancio e tipo di investimento.

    La sezione specializzata Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 9 febbraio 2004, sulla base del progetto predisposto dalla relatrice FLORIO.

    Il Comitato economico e sociale europeo, in data 26 febbraio 2004, nel corso della 406ao sessione plenaria ha adottato il seguente parere con 98 voti favorevoli, 38 contrari e 3 astensioni.

    1.   Da Maastricht al Patto di stabilità

    1.1

    Il Trattato di Maastricht è stato varato nel 1992; i criteri definiti nel Trattato, che hanno portato i primi paesi (cui si aggiunse in seguito la Grecia) nella moneta unica sono soprattutto basati su di un drastico ridimensionamento del disavanzo di bilancio, del debito pubblico e del contenimento dell'inflazione. I criteri quantitativi sui quali si basa sono riportati nell'art. 104 (ex art. 104 C) del Trattato e nel Protocollo sulla procedura per i disavanzi eccessivi ad esso allegato, che ne stabilisce la gradualità e la temporalità di revisione.

    1.2

    Gli stessi criteri sono stati poi ripresi ed attuati dal Patto di stabilità, ma al contrario del Patto, il Trattato di Maastricht dava al Consiglio una certa discrezionalità sull'applicazione e sul contenuto delle sanzioni, ed inoltre non stabiliva alcuna scadenza temporale dei vari passaggi richiesti per raggiungere gli obiettivi prefissati (1).

    1.3

    Il Patto di stabilità e di crescita, approvato nel 1997, passerà alla storia dei Trattati e degli Accordi come uno dei passi più importanti della politica di coordinamento auspicata dall'Unione europea. Sono sostanzialmente tre gli obiettivi che il Patto si prefigge: il rafforzamento del controllo delle politiche di bilancio, il coordinamento delle politiche economiche, ed il sostegno alle procedure di sorveglianza delle politiche economiche.

    1.4

    Il Patto afferma che a medio-breve termine il bilancio deve avvicinarsi al «close to balance» (pareggio). È questo stesso meccanismo che dovrebbe permettere una migliore entrata in funzione degli stabilizzatori automatici in fase di recessione.

    1.5

    Il deficit è eccessivo se supera il 3 % del PIL. Esiste comunque una «clausola di eccezionalità» che può essere determinata da fattori esterni non controllabili dagli Stati membri (calamità naturali, ecc.). Quanto al «close to balance», nessun paese si è sbilanciato sull'identificazione precisa della percentuale accettabile di avvicinamento al pareggio per l'area euro.

    1.6

    Secondo quanto stabilito dal Patto, ogni governo nazionale dei paesi aderenti alla zona euro presenta un «programma di stabilità», mentre gli altri paesi si attengono a «programmi di convergenza» (nazionali). Il Consiglio decide quando e come utilizzare raccomandazioni e richiami. Le scadenze precise definite nel Patto di stabilità e crescita, al contrario dei criteri fissati a Maastricht, permettono una decisione rapida in questo senso, in caso di deficit pubblico eccessivo.

    1.7

    L'andamento della crescita economica di gran lunga inferiore alle aspettative ha impedito a Francia e Germania - e parzialmente al Portogallo - di rispettare i criteri concordati. Secondo quanto stabilito dal Trattato nell'art. 104 (8) e dal regolamento 1466/97 sul Patto di stabilità e crescita, nel caso di mancato rispetto delle regole concordate sarebbero dovuti scattare meccanismi di drastico aggiustamento ed eventuali sanzioni. Tuttavia il Consiglio Ecofin del 25 novembre 2003 ha deciso la sospensione delle procedure di infrazione per Francia e Germania.

    1.8

    Generalmente si può dire che il Trattato di Maastricht ha in primo luogo consentito l'adozione dell'euro in 12 paesi dell'Unione e ha portato poi a risultati consistenti e positivi: subito dopo la sua firma, quindi a partire dal 1993, i deficit di bilancio nella maggior parte dei paesi UE hanno infatti cominciato a decrescere (nel 1993 il deficit di bilancio nella zona euro era al suo massimo storico: 5,5 %).

    1.9

    Il CESE si è pronunciato in merito alle politiche di bilancio in precedenti suoi pareri, ed in particolare sul Patto di stabilità e crescita, sin dal 1997 (2).

    2.   Il Patto di stabilità nelle attuali condizioni economiche europee ed internazionali

    2.1

    Una riflessione sulle politiche di bilancio e sulle potenzialità degli investimenti necessari a rilanciare il sistema economico europeo non può prescindere da una valutazione sulla situazione attuale, sulle sue possibili evoluzioni e sugli strumenti necessari al superamento di questa fase economica in bilico tra recessione e stagnazione.

    2.2

    Sia per il Giappone che per gli USA, così come per l'Europa, il tasso d'interesse stabilito dalle grandi banche centrali si situa già a livelli storici molto bassi: 2,5 % per la BCE, 1,25 % per la Federal Reserve americana e 0,5 % per la Banca centrale del Giappone (dati registrati a luglio 2003). La Banca centrale europea (BCE) sostiene che margini di manovra sui tassi siano particolarmente difficili; inoltre il tasso di interesse unico potrebbe rivelarsi troppo alto per alcuni e troppo ridotto per altri; anche per questo probabilmente, la BCE si muove con particolare prudenza se paragonata alla velocità di intervento della Federal Reserve (3).

    2.2.1

    Di fatto una politica monetaria più reattiva rispetto alle difficoltà di ripresa e di crescita e più rapida nelle sue contromisure potrebbe rappresentare uno degli elementi (anche se non l'unico) utili per fare ripartire il motore dell'economia dell'UE.

    2.2.2

    La Banca centrale europea avrebbe potuto utilizzare un certo margine di manovra sui tassi, per favorire innanzi tutto il commercio estero UE e dare un certo respiro alle economie nazionali in difficoltà. Per quanto il Presidente della BCE, subito dopo le decisioni del Consiglio, abbia affermato che quanto accaduto avrà l'effetto di ridurre la fiducia nell'euro provocando una ripresa inflattiva e che, conseguentemente, si dovrà intervenire aumentando i tassi di interesse, ciò non sembra, al momento, un rischio imminente.

    2.3

    Una situazione particolarmente critica delle finanze pubbliche nei grandi paesi industrializzati si pensa possa rendere difficile il tentativo di rilancio economico e finanziario in termini di nuove spese (investimenti), soprattutto nella zona euro. Il deficit di bilancio della Francia è del 3,1 % del PIL nel 2002; la Germania, con un saldo negativo del 3,6 %, è in una situazione peggiore. Negli Stati Uniti il vasto piano di rilancio annunciato all'inizio dell'anno che prevede un importo complessivo di 674 miliardi di dollari distribuiti su 10 anni, ha avuto come effetto un incremento del deficit di bilancio, aggravato naturalmente dalle spese militari connesse con la guerra in Iraq e oggi parzialmente compensato dalla non restituzione di una quota di prelievo fiscale ai contribuenti americani. In Giappone le previsioni sono attorno all'8 % del PIL per il 2003, lo stesso livello del 2002.

    2.4

    Nel suo ultimo Rapporto pubblicato il 2 aprile 2003, la Banca mondiale prevedeva per l'economia mondiale nel secondo semestre 2003, una crescita del 2,3 % (2,5 % negli USA, 1,4 % nella zona euro e 0,6 % in Giappone), ma i dati più recenti ci inducono a pensare che ci siano lenti segnali di ripresa dell'economia europea, ancora per altro tutti da verificare. Le stime congiunturali confermano l'attuale fase di crescita appena percettibile: secondo i dati Eurostat nell'ultimo quadrimestre del 2003 la crescita del PIL nella zona Euro è dello 0,4 %, percentuale uguale a quella dell'intera UE 15.

    2.5

    Nel corso degli ultimi mesi il conflitto in Iraq ha aggravato il clima di incertezza mondiale a livello politico e militare. Il prezzo del petrolio, dopo tale conflitto, non ha avuto il ridimensionamento previsto ed è invece cresciuto il livello delle tensioni con i paesi arabi e nel Medio oriente, con un particolare inasprimento del conflitto tra Israele e Palestina.

    2.5.1

    Gli economisti stimano che le persistenti difficoltà dell'economia mondiale non derivino da una penuria di credito, ma da un deficit di fiducia, aggravato ulteriormente dalla crisi internazionale.

    2.5.2

    In Europa lo stato di incertezza diffuso nel mondo economico-produttivo, ed in generale in tutta l'opinione pubblica, sul futuro della strategia dell'Unione europea in materia di politica economica e di bilancio, unita alla lentezza nell'attuazione della strategia di Lisbona e all'incognita sul Patto di stabilità, rappresentano l'ostacolo maggiore per una vera ripresa economica. Se il punto di riferimento continuerà a rimanere l'andamento del tasso di crescita dell'economia USA, l'economia europea non troverà autonomamente un suo slancio.

    2.5.3

    Quali sono dunque gli «spettri» da combattere per sollecitare una ripresa economica? Innanzitutto, la domanda interna debole in tutto il sistema UE (bassa crescita, disoccupazione stabile, bassa capacità di utilizzazione delle risorse umane).

    3.   Rileggere il Patto?

    3.1

    Per la Commissione europea il mancato rispetto dei criteri fissati dal Trattato di Maastricht e dal Patto (3 % e 60 %) in alcuni paesi importanti come Francia e Germania, potrebbe creare un ostacolo oggettivo al tentativo di ripresa economica, di migliore coordinamento delle politiche di bilancio dell'area euro e di rilancio di politiche a favore dell'occupazione: ma da più parti si sostiene invece che l'ostacolo forse più serio alla realizzazione degli obiettivi del Patto è rappresentato da una applicazione restrittiva del Patto stesso e dalla mancanza di una strategia espansionistica a favore della domanda e dell'offerta nell'UE.

    3.1.1

    L'orientamento restrittivo del Patto ha determinato l'aggravarsi della situazione economica in alcuni Stati membri: ciò è avvenuto ad esempio in Portogallo, dove i tagli alla spesa pubblica corrente e agli investimenti, seppure necessari per la riduzione del disavanzo, hanno portato migliaia di persone alla disoccupazione. L'applicazione del Patto dovrebbe consentire l'uso anticiclico delle finanze pubbliche.

    3.2

    In molte occasioni la Commissione europea ha sostenuto che è proprio lo spostamento nel tempo dell'attuazione di misure di regolamentazione per il raggiungimento degli obiettivi fissati, a ingenerare sfiducia nello strumento, soprattutto in una fase in cui il fenomeno poco prevedibile di stagnazione/recessione mette ulteriormente in difficoltà il Patto.

    3.3

    Non basta: grandi organismi internazionali come l'FMI e l'OCSE suggeriscono di alzare la soglia di inflazione dal 2 % al 2,5 %. Ma, soprattutto, il dato di fatto riconosciuto in quasi tutti gli ambienti economici e finanziari è che lo strumento monetario non è l'unico utilizzabile per una realistica ripresa economica.

    4.   Il Patto di stabilità e di crescita: uno strumento per uscire dalla crisi

    4.1

    Il Patto deve essere sostenuto da politiche mirate non solo al controllo dell'inflazione, all'aggiustamento e alla riduzione del debito, ma anche ad una maggiore sollecitazione della domanda interna e alla promozione degli investimenti pubblici e privati necessari al rilancio dell'economia nel quadro degli obiettivi fissati dalla strategia di Lisbona: questo è quanto ha sostenuto il CESE in più documenti.

    4.2

    Esaurito l'effetto «premio» rappresentato dall'entrata in vigore dell'euro, gli strumenti prioritari da attivare per stimolare crescita, sviluppo ed occupazione saranno quelli di rafforzamento delle politiche macroeconomiche, che dovrebbero essere soprattutto volti al rilancio della strategia di Lisbona, alla piena occupazione ed alla creazione di lavoro di qualità ed al rafforzamento della domanda e dell'offerta. La funzione degli stabilizzatori automatici nelle fasi di bassa congiuntura economica può inoltre favorire il sostegno alla domanda.

    4.3

    Il CESE ritiene insomma che le politiche a favore dell'occupazione dovrebbero essere uno dei criteri fondamentali di valutazione della crescita economica: è necessario in particolare che la politica in materia di coesione economica e sociale diventi un criterio di valutazione della crescita economica, il che consentirà ai paesi della coesione di accrescere le proprie spese di investimento in questo ambito.

    4.4

    La Banca centrale europea (BCE), in quanto custode della politica monetaria e della stabilità dei prezzi, ma anche organismo attento alla crescita economica ed occupazionale, potrebbe avere un ruolo ancora più forte di quello già stabilito dal Trattato: questo presuppone però un costante dialogo con le istituzioni europee (Consiglio, Commissione) e con le parti sociali. La Banca europea per gli investimenti (BEI), a sua volta, potrebbe svolgere il suo mandato armonizzando la sua attività con quella delle altre istituzioni europee e con i piani previsti dai governi nazionali, per sostenere lo sviluppo ed una maggiore coesione economica e sociale nell'UE.

    4.4.1

    Peraltro la BEI, in quanto strumento finanziario, ha come sua missione principale quella di contribuire alla realizzazione degli obiettivi e delle politiche dell'Unione. La programmazione multiannuale delle risorse di bilancio coordinata con la Commissione permetterebbe di ottimizzare l'impatto di tali misure per sostenere la coesione economica e sociale nell'UE nel quadro delle nuove prospettive finanziarie.

    4.5

    L'entrata poi di dieci nuovi paesi richiederà come per altro già previsto un ulteriore sforzo economico in termini di investimenti destinati alle infrastrutture e soprattutto in materia di formazione, sostegno alla ricerca e riforma della pubblica amministrazione.

    4.6

    Si ritiene indispensabile sostenere il Patto di stabilità con un'ampia campagna informativa, coinvolgendo direttamente anche i livelli intermedi della società (in primo luogo le parti sociali, ma anche le associazioni dei consumatori, ecc.), così come fu fatto a suo tempo per l'introduzione della moneta unica. La condivisione, la corresponsabilità ed una grande campagna di informazione dell'opinione pubblica sono stati la chiave del successo del Trattato di Maastricht e dell'adesione alla moneta unica ma fino ad ora non è stato fatto nulla di analogo per il Patto di stabilità e crescita.

    4.7

    Sarebbe inoltre opportuno rivedere la definizione delle circostanze eccezionali che autorizzano nel Patto il superamento della soglia del 3 %, dando così maggiore respiro ad economie in difficoltà o che hanno registrato una crescita annua negativa.

    4.7.1

    Una circostanza eccezionale, in particolare, potrebbe essere quella in cui uno Stato fissa un massimale di crescita della spesa pubblica nel lungo periodo. Ciò tuttavia, andrebbe fatto tenendo conto della situazione in cui versa ciascun paese e prevedendo un monitoraggio a livello europeo. In questo modo, gli obiettivi sarebbero adeguati alla congiuntura e alla fase ciclica di ciascun paese.

    4.8

    Un vero e proprio piano strategico europeo dovrà riprendere la strada intrapresa più di dieci anni fa con il Libro bianco di Jaques DELORS e seguita fino al rafforzamento degli obiettivi di Lisbona, e cioè sostenere l'efficacia del Patto di stabilità e di crescita su un terreno politico. Ripensare un diverso governo del Patto implica la riconsiderazione di una strategia comune di crescita per l'Unione, da realizzare anche attraverso la politica fiscale. A tale fine, si ribadisce l'importanza di una sufficiente flessibilità nel valutare deviazioni dalla regola del «close to balance» per permettere gli investimenti in attività favorevoli alla crescita. Le infrastrutture sono certamente necessarie ad un mercato ormai esteso a 25 paesi, ma la chiave di volta è soprattutto quella degli investimenti nelle risorse umane e nel futuro dell'UE: ricerca, dunque, ma anche istruzione scolastica ed universitaria, destinata alle nuove generazioni ed alle sfide della competitività, poi formazione nell'arco della vita, ecc.

    5.   Gli investimenti di interesse europeo destinati al raggiungimento degli obiettivi fissati a Lisbona sono da escludere dalla contabilità del deficit pubblico.

    5.1

    Le previsioni disattese e la relativa mancanza di investimenti possono ulteriormente contribuire ad accentuare il ritardo di sviluppo dei nuovi paesi membri dell'UE: se non aiutati adeguatamente nella crescita e nella creazione di nuovi posti di lavoro qualificati e competitivi, questi potrebbero alimentare sacche di povertà e di emarginazione pericolose e poco sostenibili per l'intero sistema economico e sociale dell'Unione.

    5.2

    Ripensare ad un «governo» diverso del Patto comporta politiche di bilancio flessibili ed espansive, che contengano al loro interno una strategia comune di crescita e di coesione: si dovrebbero dunque considerare gli investimenti strategici e quelli finalizzati alla crescita come non contabilizzabili nel deficit di bilancio e prevedere che sia il Consiglio, in accordo con la Commissione, a definire cosa si intende per «investimenti strategici» di interesse europeo, così come già delineato nel Libro bianco di DELORS e negli obiettivi di Lisbona.

    5.3

    Come già affermato nel rapporto della Commissione presentato in vista del vertice di primavera del marzo 2003 («Opter pour la croissance»), bisognerà favorire tutti gli aspetti della catena della conoscenza - dall'educazione di base alla ricerca avanzata, passando anche da iniziative per migliorare le competenze in materia di gestione delle imprese.

    5.4

    Per questo sarebbe anche importante arrivare ad un'armonizzazione dei criteri dei sistemi fiscali, in cui i principi di equità, proporzionalità ed efficienza siano universalmente garantiti, monitorati dall'UE e sostenuti dai cittadini europei.

    5.5

    Un sistema fiscale nazionale monitorato in sede europea garantisce, non solo un andamento della spesa corrente sano, ma anche - potenzialmente - un contributo importante agli investimenti pubblici destinati al rilancio dell'intero sistema economico ed occupazionale, nazionale ed europeo.

    5.6

    Una politica fiscale sana limita il più possibile l'utilizzo di misure una tantum, condoni fiscali, ecc., che potrebbero alimentare forme irresponsabili di gestione delle politiche nazionali di bilancio.

    5.7

    A questo proposito, andranno indicati quali sono gli investimenti utili alla crescita e andranno concordati criteri comuni a tutti i paesi europei, ferme restando naturalmente le diverse realtà e le diverse necessità di crescita. Questo potrebbe implicare anche una riflessione sul diverso ruolo della BCE, non più solo «custode» della politica monetaria ma anche strumento strategico per la crescita e lo sviluppo economico, nonché un sostegno alla Commissione, che vedrebbe rafforzato il suo ruolo di monitoraggio e valutazione degli investimenti strategici ex ante ed ex post.

    5.8

    Il Comitato economico e sociale europeo ritiene dunque che vada garantita la realizzazione dell'intero potenziale europeo di crescita economica ed occupazionale, preservando allo stesso tempo la stabilità macroeconomica, particolarmente nell'area euro.

    5.9

    Gli investimenti necessari al raggiungimento di tale obiettivo necessitano di maggiore cooperazione a livello macroeconomico, di consenso, di standard comuni e di comportamenti «virtuosi» ed armonizzati da parte dei governi nazionali. A livello europeo, il metodo di coordinamento aperto potrebbe rappresentare, grazie alla sua agilità, uno degli strumenti più efficaci per la definizione di interventi utili, finalizzati al rilancio dell'economia e dell'occupazione.

    5.10

    L'obiettivo è quello di mirare alla crescita ed alla coesione economica e sociale sulla base di un terreno comune, concertato e condiviso da tutti gli attori sociali (istituzioni nazionali e sopranazionali, governi, parti sociali e gruppi di interesse) nel rispetto delle regole comunitarie.

    5.11

    Il Comitato economico e sociale europeo potrà avere un ruolo importante nella sua funzione riconosciuta e consolidata di consultazione e monitoraggio dei percorsi definiti dal Patto di stabilità e di crescita.

    Bruxelles, 26 febbraio 2004.

    Il Presidente

    del Comitato economico e sociale europeo

    Roger BRIESCH


    (1)  Cfr. Marco BUTI «Maastricht's fiscal rules at ten: an assessment» (Vol. 40, n. 5 - dicembre 2002).

    (2)  GU C 287 del 22.9.1997, pag. 74.

    (3)  FITOUSSI «La règle et le choix» Seuil 2002.


    A L L E G A T O

    al parere del Comitato economico e sociale europeo

    Il seguente emendamento è stato messo ai voti e respinto nel corso del dibattito (cfr. articolo 54, paragrafo 3 del Regolamento interno):

    Punto 5.2

    Sostituire il paragrafo con quanto segue:

    In sede di riesame e di applicazione delle regole del Patto si dovrebbe tenere conto dell'esigenza di politiche di bilancio sufficientemente flessibili a sostegno di una strategia comune di crescita e di coesione a medio termine. Le regole modificate dovrebbero comprendere una definizione chiara di deficit di bilancio, in modo tale da consentire l'assunzione di prestiti per finanziare investimenti strategici entro l'ambito di applicazione di politiche macroeconomiche anticongiunturali discrezionali e da restare estraneo alle discipline a breve termine che regolano l'entità consentita dei disavanzi correnti.

    Risultato del voto:

    Voti a favore: 43, voti contrari: 61, astensioni: 8.


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