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Document 61995CJ0344

    Massime della sentenza

    Parole chiave
    Massima

    Parole chiave

    1 Libera circolazione delle persone - Lavoratori - Diritto di soggiornare per cercare un'occupazione - Durata del soggiorno - Normativa nazionale che obbliga i cittadini degli Stati membri alla ricerca di un'occupazione a lasciare automaticamente il territorio nazionale allo scadere di un termine di tre mesi - Inammissibilità

    (Trattato CE, art. 48; direttiva del Consiglio 68/360)

    2 Libera circolazione delle persone - Diritto d'ingresso e di soggiorno dei cittadini degli Stati membri - Lavoratori occupati in un rapporto di lavoro di durata superiore a un anno - Normativa nazionale che prevede, per i primi sei mesi di soggiorno, il rilascio e, successivamente, dietro versamento di un tributo, il rinnovo di un certificato di immatricolazione - Inammissibilità

    (Trattato CE, art. 48; direttiva del Consiglio 68/360, artt. 1, 4 e 9, n. 1)

    3 Libera circolazione delle persone - Diritto d'ingresso e di soggiorno dei cittadini degli Stati membri - Lavoratori subordinati e stagionali occupati in un rapporto di lavoro di durata non superiore ai tre mesi - Normativa nazionale che prevede il rilascio, dietro versamento di un tributo, di un documento di soggiorno - Inammissibilità

    [Trattato CE, art. 48; direttiva del Consiglio 68/360, art. 8, n. 1, lett. a) e c), e n. 2]

    Massima

    4 Il principio della libera circolazione dei lavoratori, sancito dall'art. 48, nn. 1-3 del Trattato, che deve essere interpretato estensivamente, implica il diritto dei cittadini degli Stati membri di circolare liberamente sul territorio degli altri Stati membri e di prendervi dimora al fine di cercarvi un lavoro.

    L'effetto utile dell'art. 48 è garantito se la normativa comunitaria, o, in mancanza di essa, la normativa di uno Stato membro, attribuisce agli interessati un termine ragionevole che consenta loro di prendere conoscenza, nel territorio dello Stato membro considerato, delle offerte di lavoro corrispondenti alle loro qualifiche professionali e di adottare, se del caso, le misure necessarie al fine di essere assunti.

    In mancanza di una disposizione comunitaria che fissi un termine per il soggiorno dei cittadini comunitari in cerca di occupazione, gli Stati membri hanno il diritto di fissare un termine ragionevole a tal fine. Qualora, trascorso il termine di cui trattasi, l'interessato provi che continua a cercare lavoro e ha effettive possibilità di essere assunto, non può tuttavia essere obbligato a lasciare il territorio dello Stato membro ospitante.

    Ne consegue che uno Stato membro viene meno agli obblighi che gli incombono in virtù dell'art. 48 del Trattato in quanto obbliga i cittadini degli altri Stati membri che cercano un lavoro sul suo territorio a lasciare automaticamente il detto territorio dopo la scadenza di un termine di tre mesi.

    5 Viene meno agli obblighi ad esso incombenti ai sensi dell'art. 48 del Trattato CE e della direttiva del Consiglio 68/360/CEE, relativa alla soppressione delle restrizioni al trasferimento e al soggiorno dei lavoratori degli Stati membri e delle loro famiglie all'interno della Comunità, lo Stato membro che, durante i primi sei mesi del loro soggiorno, rilascia ai lavoratori subordinati che esercitano un'attività lavorativa di una durata almeno annuale due certificati d'immatricolazione consecutivi, invece della carta di soggiorno prevista dalla direttiva, e che assoggetta il rilascio di ognuno dei detti documenti alla riscossione di un tributo di importo pari a quello preteso dai propri connazionali in occasione del rilascio di una carta d'identità.

    Infatti, l'art. 4 della detta direttiva implica, per gli Stati membri, l'obbligo di rilasciare il documento di soggiorno a qualsiasi lavoratore che dimostri, mediante gli appositi documenti, cioè il documento in forza del quale è entrato nel loro territorio, nonché una dichiarazione di assunzione del datore di lavoro o un attestato di lavoro, di appartenere ad una delle categorie contemplate dall'art. 1 della stessa direttiva. Orbene, un siffatto regime di certificati di immatricolazione non si preoccupa di sapere se il lavoratore di un altro Stato membro presenti già, all'atto della prima domanda di rilascio di un documento di soggiorno, tutti i documenti richiesti dalla direttiva. Inoltre, siffatta organizzazione del procedimento e la sua durata, dato che possono trascorrere sei mesi fino al rilascio della carta di soggiorno, implicano oneri eccessivi e costituiscono, di conseguenza, un effettivo ostacolo frapposto alla libera circolazione dei lavoratori, in contrasto con l'art. 48 del Trattato.

    Del resto, dall'art. 9, n. 1, della direttiva emerge chiaramente che i documenti di soggiorno concessi ai cittadini di un altro Stato membro vengono rilasciati e rinnovati a titolo gratuito o dietro versamento di una somma non eccedente i diritti e tasse richiesti per il rilascio delle carte di identità ai cittadini dello Stato ospitante. Visto come è organizzato il sistema dei certificati di immatricolazione, il cittadino di uno Stato membro deve passare attraverso varie fasi amministrative prima di ottenere un documento definitivo ed è soggetto, in ciascuna fase, al pagamento di un tributo. Anche se ciascun tributo, singolarmente considerato, non eccede l'importo dovuto per il rilascio di una carta d'identità ai cittadini dello Stato ospitante, il loro totale è superiore al suddetto importo, con conseguente violazione dell'art. 9, n. 1, della direttiva.

    6 Viene meno agli obblighi ad esso incombenti ai sensi dell'art. 48 del Trattato CE e della direttiva del Consiglio 68/360/CEE, relativa alla soppressione delle restrizioni al trasferimento e al soggiorno dei lavoratori degli Stati membri e delle loro famiglie all'interno della Comunità, lo Stato membro che rilascia ai lavoratori subordinati e ai lavoratori stagionali impegnati in attività che si prevedono durare non più di tre mesi un documento relativo al loro soggiorno e richiede il pagamento di un tributo per tale documento.

    Infatti, l'art. 8, n. 1, della direttiva, il quale, alla lett. a), dispone che gli Stati membri riconoscono il diritto di soggiorno al lavoratore che esercita un'attività subordinata di una durata prevista non superiore ai tre mesi senza che sia necessaria una carta di soggiorno poiché l'autorizzazione di soggiorno di tale lavoratore risulta dal documento in forza del quale egli è entrato sul territorio e da una dichiarazione del datore di lavoro che indica il periodo previsto di impiego e, alla lett. c), che il soggiorno del lavoratore stagionale è regolare quando costui è titolare di un contratto di lavoro vistato dall'autorità competente dello Stato membro sul cui territorio egli viene a prestare la sua attività, implica che tutto quanto eccede la dichiarazione prevista dall'art. 8, n. 2, della detta direttiva, e che le autorità competenti dello Stato ospitante possono imporre al lavoratore perché segnali la propria presenza, e assume il carattere di un'autorizzazione o di una carta di soggiorno non è compatibile con la direttiva. Inoltre, il fatto di esigere il pagamento di un tributo all'atto di una siffatta dichiarazione costituisce un ostacolo pecuniario alla circolazione di tali lavoratori, in contrasto con le disposizioni comunitarie.

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