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Document 62017CJ0530

Sentenza della Corte (Quarta Sezione) del 19 dicembre 2018.
Mykola Yanovych Azarov contro Consiglio dell'Unione europea.
Impugnazione – Misure restrittive adottate in considerazione della situazione in Ucraina – Congelamento dei fondi e delle risorse economiche – Elenco delle persone, entità e organismi ai quali si applica il congelamento dei fondi e delle risorse economiche – Inserimento del nome del ricorrente – Decisione di un’autorità di uno Stato terzo – Obbligo del Consiglio di verificare che tale decisione sia stata adottata nel rispetto dei diritti della difesa e del diritto a una tutela giurisdizionale effettiva.
Causa C-530/17 P.

ECLI identifier: ECLI:EU:C:2018:1031

SENTENZA DELLA CORTE (Quarta Sezione)

19 dicembre 2018 ( *1 )

«Impugnazione – Misure restrittive adottate in considerazione della situazione in Ucraina – Congelamento dei fondi e delle risorse economiche – Elenco delle persone, entità e organismi ai quali si applica il congelamento dei fondi e delle risorse economiche – Inserimento del nome del ricorrente – Decisione di un’autorità di uno Stato terzo – Obbligo del Consiglio di verificare che tale decisione sia stata adottata nel rispetto dei diritti della difesa e del diritto a una tutela giurisdizionale effettiva»

Nella causa C‑530/17 P,

avente ad oggetto l’impugnazione, ai sensi dell’articolo 56 dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, proposta il 7 settembre 2017,

Mykola Yanovych Azarov, residente in Kiev (Ucraina), rappresentato da A. Egger e G. Lansky, Rechtsanwälte,

ricorrente,

procedimento in cui l’altra parte è:

Consiglio dell’Unione europea, rappresentato da J.-P. Hix e F. Naert, in qualità di agenti,

convenuto in primo grado,

LA CORTE (Quarta Sezione),

composta da T. von Danwitz (relatore), presidente della Settima Sezione, facente funzione di presidente della Quarta Sezione, K. Jürimäe, C. Lycourgos, E. Juhász e C. Vajda, giudici,

avvocato generale: G. Hogan

cancelliere: A. Calot Escobar

vista la fase scritta del procedimento,

vista la decisione, adottata dopo aver sentito l’avvocato generale, di giudicare la causa senza conclusioni,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1

Con la sua impugnazione, il sig. Mykola Yanovych Azarov chiede l’annullamento della sentenza del Tribunale dell’Unione europea del 7 luglio 2017, Azarov/Consiglio (T‑215/15; in prosieguo: la sentenza impugnata, EU:T:2017:479), con la quale il Tribunale ha respinto il suo ricorso diretto all’annullamento della decisione (PESC) 2015/364 del Consiglio, del 5 marzo 2015, che modifica la decisione 2014/119/PESC relativa a misure restrittive nei confronti di talune persone, entità e organismi in considerazione della situazione in Ucraina (GU 2015, L 62, pag. 25), e il regolamento di esecuzione (UE) 2015/357 del Consiglio, del 5 marzo 2015, che attua il regolamento (UE) n. 208/2014 concernente misure restrittive nei confronti di determinate persone, entità e organismi in considerazione della situazione in Ucraina (GU 2015, L 62, pag. 1), nella parte in cui lo riguardano (in prosieguo: gli «atti impugnati»).

Fatti

2

Il 5 marzo 2014, il Consiglio ha adottato la decisione 2014/119/PESC relativa a misure restrittive nei confronti di talune persone, entità e organismi in considerazione della situazione in Ucraina (GU 2014, L 66, pag. 26). L’articolo 1, paragrafi 1 e 2, di detta decisione è così formulato:

«1.   Sono congelati tutti i fondi e le risorse economiche appartenenti, posseduti, detenuti o controllati da persone identificate come responsabili dell’appropriazione indebita di fondi statali ucraini e dalle persone responsabili di violazioni di diritti umani in Ucraina, e da persone fisiche o giuridiche, entità od organismi a essi associate, elencati nell’allegato.

2.   Nessun fondo o risorsa economica è messo a disposizione, direttamente o indirettamente, o a beneficio delle persone fisiche o giuridiche, delle entità o degli organismi elencati nell’allegato».

3

Lo stesso 5 marzo 2014, il Consiglio ha adottato il regolamento (UE) n. 208/2014, concernente misure restrittive nei confronti di talune persone, entità e organismi in considerazione della situazione in Ucraina (GU 2014, L 66, pag. 1) che attua, per quanto riguarda l’Unione europea, le misure restrittive previste dalla decisione 2014/119.

4

L’articolo 2, paragrafo 1, del regolamento in parola dispone quanto segue:

«Sono congelati tutti i fondi e le risorse economiche appartenenti a, posseduti, detenuti o controllati da una qualsiasi delle persone fisiche o giuridiche, entità o organismi elencati nell’allegato I».

5

L’articolo 3, paragrafo 1, di detto regolamento prevede quanto segue:

«Nell’allegato I figurano le persone fisiche o giuridiche, le entità e gli organismi che il Consiglio ha identificato, a norma dell’articolo 1 della decisione 2014/119/PESC, come responsabili dell’appropriazione indebita di fondi statali ucraini, e le persone responsabili di violazioni di diritti umani in Ucraina e le persone fisiche o giuridiche, le entità o gli organismi a esse associati».

6

Il ricorrente, identificato come «Primo Ministro dell’Ucraina fino al gennaio 2014», era stato inserito negli elenchi delle persone, entità e organismi i cui fondi e risorse economiche sono congelati, di cui, rispettivamente, all’allegato della decisione 2014/119 e all’allegato I del regolamento n. 208/2014. I motivi del suo inserimento erano formulati come segue:

«Persona sottoposta a procedimento penale in Ucraina allo scopo di indagare su reati connessi alla distrazione di fondi dello Stato ucraino e al loro trasferimento illegale al di fuori dell’Ucraina».

7

Con la decisione (PESC) 2015/143, del 29 gennaio 2015, che modifica la decisione 2014/119/PESC, relativa a misure restrittive nei confronti di talune persone, entità e organismi in considerazione della situazione in Ucraina (GU 2015, L 24, pag. 16), il Consiglio ha modificato come segue la formulazione dell’articolo 1, paragrafo 1, di quest’ultima decisione:

«Sono congelati tutti i fondi e le risorse economiche appartenenti, posseduti, detenuti o controllati da persone identificate come responsabili dell’appropriazione indebita di fondi statali ucraini e dalle persone responsabili di violazioni di diritti umani in Ucraina, e da persone fisiche o giuridiche, entità od organismi a esse associati, elencati nell’allegato.

Ai fini della presente decisione, le persone identificate come responsabili dell’appropriazione indebita di fondi statali ucraini comprendono persone sottoposte a indagine da parte delle autorità ucraine:

a)

per appropriazione indebita di fondi o beni pubblici ucraini o per essersi rese complici di tale appropriazione, o

b)

per abuso d’ufficio in qualità di titolari di un ufficio o di una carica pubblica per procurare a se stesse o a una parte terza un vantaggio ingiustificato, arrecando in tal modo pregiudizio ai fondi o beni pubblici ucraini, o per essersi rese complici di tale abuso».

8

Con il regolamento (UE) 2015/138, del 29 gennaio 2015, che modifica il regolamento (UE) n. 208/2014, concernente misure restrittive nei confronti di talune persone, entità e organismi in considerazione della situazione in Ucraina (GU 2015, L 24, pag. 1), il Consiglio ha modificato la formulazione dell’articolo 3 di quest’ultimo regolamento in termini analoghi.

9

Con gli atti impugnati, il Consiglio ha mantenuto il nome del ricorrente in questi elenchi sulla base di un riesame e ha prorogato l’applicazione delle misure restrittive nei suoi confronti fino al 6 marzo 2016 per i seguenti motivi:

«Persona sottoposta a procedimento penale dalle autorità ucraine per appropriazione indebita di fondi o beni statali».

Ricorso dinanzi al Tribunale e sentenza impugnata

10

Con atto introduttivo depositato presso la cancelleria del Tribunale il 29 aprile 2015, il ricorrente ha proposto un ricorso diretto all’annullamento degli atti impugnati, che si basa su cinque motivi, vertenti, il primo, sulla violazione dell’obbligo di motivazione, il secondo, sulla violazione dei suoi diritti fondamentali, il terzo, su uno sviamento di potere, il quarto, sulla violazione del principio di buona amministrazione e, il quinto, su un errore manifesto di valutazione.

11

Il Tribunale ha respinto tutti questi motivi e, pertanto, il ricorso nella sua interezza.

Procedimento dinanzi alla Corte e conclusioni delle parti

12

Il ricorrente chiede che la Corte voglia:

annullare la sentenza impugnata;

statuire essa stessa definitivamente sulla controversia annullando gli atti impugnati nella parte in cui lo riguardano e condannare il Consiglio alle spese dei procedimenti dinanzi alla Corte e al Tribunale;

in subordine, rinviare la causa al Tribunale affinché questo statuisca alla luce dei punti di diritto risolti dalla sentenza della Corte, riservando la decisione sulle spese.

13

Il Consiglio chiede che la Corte voglia:

respingere l’impugnazione;

in subordine, respingere il ricorso, e

condannare il ricorrente alle spese dell’intero procedimento.

Sull’impugnazione

14

Il ricorrente deduce cinque motivi a sostegno della sua impugnazione. Con il primo motivo, egli addebita al Tribunale di aver violato l’articolo 296 TFUE e l’articolo 41 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»). Con il suo secondo motivo, che si suddivide in quattro parti, egli sostiene che il Tribunale ha erroneamente concluso per l’insussistenza di violazione dei suoi diritti fondamentali. Con il suo terzo motivo, egli censura il Tribunale per aver concluso nel senso dell’assenza di uno sviamento di potere da parte del Consiglio. Il quarto motivo verte su una violazione dell’articolo 41 della Carta. Infine, con il quinto motivo, che è articolato in sei parti, il ricorrente sostiene che il Tribunale ha erroneamente ritenuto che il Consiglio non avesse commesso un errore manifesto di valutazione nell’adottare gli atti impugnati.

15

Occorre esaminare anzitutto la terza parte del quinto motivo.

Argomenti delle parti

16

Il ricorrente sostiene che il Tribunale ha commesso un errore di diritto nel ritenere, ai punti 166 e seguenti della sentenza impugnata, che la sentenza del Tribunale del 16 ottobre 2014, LTTE/Consiglio (T‑208/11 e T‑508/11, EU:T:2014:885) – oggetto all’epoca di un’impugnazione e in forza della quale il Consiglio è tenuto, prima di fondarsi su una decisione di un’autorità di uno Stato terzo, a verificare che la normativa pertinente di tale Stato assicuri una protezione dei diritti della difesa e del diritto a una tutela giurisdizionale effettiva equiparabile a quella garantita a livello dell’Unione – non potesse essere applicata al caso di specie, poiché gli atti impugnati si distinguono, per il loro contenuto e la loro finalità, da quelli di cui trattasi nella causa che ha dato luogo a tale sentenza.

17

Al riguardo, il ricorrente asserisce che le differenze tra queste due categorie di atti non sono determinanti e adduce la sentenza della Corte del 26 luglio 2017, Consiglio/LTTE (C‑599/14 P, EU:C:2017:583), pronunciata nel frattempo. Da un lato, egli sostiene che l’adozione nei suoi confronti di misure restrittive era subordinata all’esistenza di una decisione di un’autorità competente, che consentisse al Consiglio, sul fondamento della decisione medesima, di identificarlo come responsabile di appropriazione indebita di fondi. I requisiti stabiliti dalla Corte sarebbero quindi applicabili a questo criterio d’inserimento formulato in modo più ampio rispetto a quello esaminato nella causa che ha dato luogo a tale sentenza. Dall’altro, il ragionamento del Tribunale, secondo il quale la lotta contro il terrorismo oggetto di tali sentenze non rientrerebbe necessariamente nell’ambito della cooperazione con uno Stato terzo che il Consiglio ha deciso di sostenere, come nel caso di specie, sarebbe anch’esso erroneo.

18

In risposta, il Consiglio sostiene che la terza parte del quinto motivo è infondata. Esso ritiene, come dichiarato dal Tribunale nella sentenza impugnata, che la differenza tra il modello di misure restrittive di cui trattasi nella causa sfociata nella sentenza del 26 luglio 2017, Consiglio/LTTE (C‑599/14 P, EU:C:2017:583), e quello in questione nella presente causa, relativa alla loro formulazione e alla loro struttura, nonché agli obiettivi e alle condizioni generali su cui si basano, sia significativa. In particolare, la decisione politica dell’Unione di sostenere il regime ucraino, segnatamente nelle sue riforme volte a rafforzare lo Stato di diritto in Ucraina, costituirebbe un elemento pertinente, poiché la Corte ha, infatti, dichiarato, nella sentenza del 19 ottobre 2017, Yanukovych/Consiglio (C‑598/16 P, non pubblicata, EU:C:2017:786, punto 61), che le misure restrittive volte a contrastare l’appropriazione indebita di fondi dello Stato in questo paese erano riconducibili a una politica di sostegno a uno Stato terzo, destinata a favorire la stabilità tanto economica quanto politica di tale Stato.

19

Il Consiglio aggiunge che la conclusione cui è giunta la Corte ai punti 64 e 75 di tale sentenza è trasponibile al caso di specie, tenuto conto delle constatazioni di fatto effettuate dal Tribunale ai punti 175 e 176 della sentenza impugnata, che non sotto sottoposte al controllo della Corte, da cui risulta che gli elementi di prova forniti dal ricorrente erano insufficienti per dimostrare che la sua particolare situazione sarebbe stata pregiudicata dai problemi da lui invocati per quanto concerne il sistema giudiziario ucraino.

Giudizio della Corte

20

Secondo la giurisprudenza della Corte, nell’ambito dell’esame delle misure restrittive, i giudici dell’Unione devono garantire un controllo, in linea di principio completo, della legittimità di tutti gli atti dell’Unione con riferimento ai diritti fondamentali che costituiscono parte integrante dell’ordinamento giuridico dell’Unione (v., in tal senso, sentenze del 18 luglio 2013, Commissione e a./Kadi, C‑584/10 P, C‑593/10 P e C‑595/10 P, EU:C:2013:518, punto 97; del 28 novembre 2013, Consiglio/Fulmen e Mahmoudian, C‑280/12 P, EU:C:2013:775, punto 58, e del 28 marzo 2017, Rosneft, C‑72/15, EU:C:2017:236, punto 106).

21

Nel novero di tali diritti fondamentali figurano, in particolare, il rispetto dei diritti della difesa e il diritto a una tutela giurisdizionale effettiva (sentenze del 28 novembre 2013, Consiglio/Fulmen e Mahmoudian, C‑280/12 P, EU:C:2013:775, punto 59 e giurisprudenza citata, e del 28 novembre 2013, Consiglio/Manufacturing Support & Procurement Kala Naft, C‑348/12 P, EU:C:2013:776, punto 66).

22

L’effettività del controllo giurisdizionale garantito dall’articolo 47 della Carta esige che, come giustamente ricordato dal Tribunale al punto 136 della sentenza impugnata, nello svolgere il controllo di legittimità dei motivi su cui si basa la decisione di inserire o di mantenere il nome di una persona nell’elenco delle persone oggetto di misure restrittive, il giudice dell’Unione si assicuri che tale decisione, la quale riveste una portata individuale per detta persona, poggi su una base fattuale sufficientemente solida. Ciò implica una verifica dei fatti allegati nell’esposizione dei motivi sottesa a detta decisione, di modo che il controllo giurisdizionale non sia limitato alla valutazione della verosimiglianza astratta dei motivi di decisione addotti, bensì sia inteso a stabilire se questi motivi, o per lo meno uno di essi considerato di per sé sufficiente a suffragare detti atti, siano fondati (sentenze del 18 luglio 2013, Commissione e a./Kadi, C‑584/10 P, C‑593/10 P e C‑595/10 P, EU:C:2013:518, punto 119; del 18 giugno 2015, Ipatau/Consiglio, C‑535/14 P, EU:C:2015:407, punto 42, e del 18 febbraio 2016, Consiglio/Bank Mellat, C‑176/13 P, EU:C:2016:96, punto 109).

23

Nel caso di specie, come rilevato dal Tribunale ai punti da 132 a 134 della sentenza impugnata, le misure restrittive adottate nei confronti del ricorrente erano state mantenute con gli atti impugnati sulla base del criterio d’inserimento di cui all’articolo 1, paragrafo 1, della decisione 2014/119, come modificata dalla decisione 2015/143, e all’articolo 2, paragrafo 1, in combinato disposto con l’articolo 3, paragrafo 1, del regolamento n. 208/2014, come modificato dal regolamento 2015/138. Tale criterio prevede il congelamento dei fondi delle persone identificate come responsabili di appropriazione indebita di fondi dello Stato, comprese le persone sottoposte a indagine da parte delle autorità ucraine.

24

A tal riguardo, risulta dai punti 134, 149 e 150 della sentenza impugnata che, per adottare siffatte misure restrittive, il Consiglio si è basato sul fatto che il ricorrente fosse sottoposto a un «procedimento penale dalle autorità ucraine per appropriazione indebita di fondi o beni statali», come stabilito da una lettera dell’amministrazione giudiziaria ucraina del 10 ottobre 2014, che faceva riferimento a un procedimento di indagine avviato a carico dell’interessato da tale amministrazione.

25

Ne consegue che il mantenimento, attraverso gli atti impugnati, delle misure restrittive adottate a carico del ricorrente si fonda sulla decisione di un’autorità di uno Stato terzo, competente a tal riguardo, di avviare e condurre un procedimento penale riguardante un reato di appropriazione indebita di fondi dello Stato. A tal proposito, è irrilevante la circostanza, rilevata al punto 169 della sentenza impugnata, che l’esistenza di una tale decisione costituisca non già il criterio d’inserimento di cui all’articolo 1, paragrafo 1, della decisione 2014/119, come modificata dalla decisione 2015/143, bensì la base fattuale su cui tali misure si fondano.

26

Orbene, per quanto concerne una tale decisione, il Consiglio deve verificare, prima di fondarsi su una decisione di un’autorità di uno Stato terzo, se essa sia stata adottata nel rispetto dei diritti della difesa e del diritto a una tutela giurisdizionale effettiva (sentenza del 26 luglio 2017, Consiglio/LTTE, C‑599/14 P, EU:C:2017:583, punto 24).

27

Infatti, secondo una ben consolidata giurisprudenza, quando adotta misure restrittive, il Consiglio è tenuto a rispettare i diritti fondamentali che costituiscono parte integrante del diritto dell’Unione, fra i quali figurano, come indicato al punto 21 della presente sentenza, i diritti della difesa e il diritto a una tutela giurisdizionale effettiva (v., in tal senso, sentenze del 18 luglio 2013, Commissione e a./Kadi, C‑584/10 P, C‑593/10 P e C‑595/10 P, EU:C:2013:518, punti 9798; del 28 novembre 2013, Consiglio/Manufacturing Support & Procurement Kala Naft, C‑348/12 P, EU:C:2013:776, punti 6566, e del 26 luglio 2017, Consiglio/LTTE, C‑599/14 P, EU:C:2017:583, punto 25).

28

A tal riguardo, l’obbligo incombente al Consiglio di verificare che le decisioni dei paesi terzi sulle quali si fonda l’inserimento di una persona o di un’entità in un elenco di persone e entità le cui risorse finanziarie sono congelate siano state adottate nel rispetto di tali diritti è volto a garantire che tale inserimento abbia luogo soltanto su una base fattuale sufficientemente solida e, quindi, a proteggere le persone o entità interessate (v., in tal senso, sentenza del 26 luglio 2017, Consiglio/LTTE, C‑599/14 P, EU:C:2017:583, punto 26).

29

La Corte ha altresì statuito che il Consiglio deve dare atto, nelle motivazioni di una decisione d’inserimento di una persona o un’entità in un elenco di persone ed entità le cui risorse finanziarie sono congelate e in quelle di decisioni successive, sia pure in maniera succinta, delle ragioni per le quali considera che la decisione dello Stato terzo sulla quale intende fondarsi sia stata adottata nel rispetto dei diritti della difesa e del diritto a una tutela giurisdizionale effettiva (v., in tal senso, sentenza del 26 luglio 2017, Consiglio/LTTE, C‑599/14 P, EU:C:2017:583, punti 3133).

30

Pertanto, il Consiglio, per adempiere al suo obbligo di motivazione, deve indicare, nella decisione che impone misure restrittive, che esso ha verificato che la decisione dello Stato terzo su cui si fondano dette misure è stata adottata nel rispetto di tali diritti (v., in tal senso, sentenza del 26 luglio 2017, Consiglio/LTTE, C‑599/14 P, EU:C:2017:583, punto 37).

31

Nel presente caso, si deve rilevare che, al punto 167 della sentenza impugnata, il Tribunale ha ritenuto che l’approccio adottato nella sentenza del 16 ottobre 2014, LTTE/Consiglio (T‑208/11 e T‑508/11, EU:T:2014:885), non potesse essere trasposto al caso di specie.

32

Il Tribunale ha inoltre precisato, al punto 175 della sentenza impugnata, che «solo qualora la scelta politica del Consiglio di sostenere il nuovo regime ucraino (…) si rivelasse manifestamente erronea (…) l’eventuale mancata corrispondenza tra la tutela dei diritti fondamentali in Ucraina e quella esistente nell’Unione potrebbe avere incidenza sulla legittimità [degli atti impugnati]». Per giungere a tale conclusione, il Tribunale si è basato, come emerge dai punti 173 e 174 della sentenza impugnata, sulla giurisprudenza scaturita dalla sentenza del 21 aprile 2015, Anbouba/Consiglio (C‑630/13 P, EU:C:2015:247, punto 42), ai sensi della quale la Corte riconosce al legislatore dell’Unione un ampio margine di discrezionalità per quanto riguarda la definizione dei criteri generali di inserimento da adottare per applicare misure restrittive.

33

Tale valutazione è inficiata da un errore di diritto.

34

In effetti, il Consiglio può ritenere che una decisione di inserimento si fondi su una base fattuale sufficientemente solida solamente dopo aver accertato esso stesso che i diritti della difesa e il diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva sono stati rispettati in occasione dell’adozione della decisione dello Stato terzo interessato sulla quale intende fondare l’adozione di misure restrittive.

35

Nel caso di specie, sebbene il criterio di inserimento di cui al punto 23 della presente sentenza consenta al Consiglio di fondare misure restrittive sulla decisione di uno Stato terzo, come quella riportata nella lettera del 10 ottobre 2014, menzionata al punto 24 della presente sentenza, resta il fatto che l’obbligo, incombente a detta istituzione, di rispettare i diritti della difesa e il diritto a una tutela giurisdizionale effettiva implica quello di garantire il rispetto di siffatti diritti da parte delle autorità dello Stato terzo che hanno adottato tale decisione.

36

È vero che, come rilevato dal Tribunale al punto 173 della sentenza impugnata, l’Ucraina fa parte degli Stati che hanno aderito alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950. Tuttavia, per quanto una circostanza di tale natura comporti un controllo, da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo, sui diritti fondamentali garantiti da tale Convenzione, i quali, conformemente all’articolo 6, paragrafo 3, TUE, fanno parte del diritto dell’Unione in quanto principi generali, essa non può rendere superflua la verifica, da parte del Consiglio, che la decisione di uno Stato terzo sulla quale si fondano misure restrittive sia stata adottata nel rispetto dei diritti fondamentali e in particolare dei diritti della difesa e del diritto a una tutela giurisdizionale effettiva.

37

Il fatto che tale giurisprudenza sia intervenuta nell’ambito di misure restrittive fondate sulla posizione comune 2001/931/PESC del Consiglio, del 27 dicembre 2001, relativa all’applicazione di misure specifiche per la lotta al terrorismo (GU 2001, L 344, pag. 93), la quale, secondo il suo articolo 1, paragrafo 4, fa espressamente riferimento a una decisione adottata da un’autorità competente, non può rimettere in discussione tale conclusione. Infatti, le differenze di formulazione, di impianto sistematico e di obiettivi che il Tribunale, ai punti da 168 a 172 della sentenza impugnata, ha individuato tra, da un lato, il modello delle misure restrittive previste da tale posizione comune e, dall’altro, quello delle misure restrittive previsto dalla decisione 2014/119, come modificata dalla decisione 2015/143, e dal regolamento n. 208/2014, come modificato dal regolamento 2015/138, non può produrre l’effetto di limitare l’applicazione delle garanzie derivanti dalla medesima giurisprudenza alle sole misure restrittive adottate nell’ambito della lotta contro il terrorismo, sul modello di tale posizione comune, a esclusione di quelle che lo siano nel quadro della cooperazione con uno Stato terzo decisa dal Consiglio a seguito di una scelta politica.

38

Occorre aggiungere, per quanto riguarda l’affermazione del Tribunale riassunta al punto 32 della presente sentenza, che nel caso di specie non è in discussione la definizione di criteri generali di inserimento che permettono l’adozione di misure restrittive. Lo è piuttosto la decisione di mantenere, attraverso gli atti impugnati, il congelamento dei fondi del ricorrente, che è di portata individuale per quest’ultimo. Orbene, conformemente alla giurisprudenza citata al punto 22 della presente sentenza, nell’ambito del suo controllo di legittimità dei motivi su cui si basa una siffatta decisione, il giudice dell’Unione deve garantire che almeno uno dei motivi sia sufficientemente preciso e concreto, risultando dimostrato e costituendo di per sé un fondamento adeguato della decisione medesima (v., in tal senso, sentenza del 28 novembre 2013, Consiglio/Manufacturing Support & Procurement Kala Naft, C‑348/12 P, EU:C:2013:776, punto 72).

39

Inoltre, in caso di contestazione, è all’autorità competente dell’Unione che incombe il compito di dimostrare la fondatezza dei motivi posti a carico della persona interessata, e non già a quest’ultima di produrre la prova negativa dell’infondatezza di tali motivi (sentenze del 18 luglio 2013, Commissione e a./Kadi, C‑584/10 P, C‑593/10 P e C‑595/10 P, EU:C:2013:518, punto 121; e del 28 novembre 2013, Consiglio/Fulmen e Mahmoudian, C‑280/12 P, EU:C:2013:775, punto 66).

40

Per quanto riguarda le sentenze del 19 ottobre 2017, Yanukovych/Consiglio (C‑598/16 P, non pubblicata, EU:C:2017:786), e del 19 ottobre 2017, Yanukovych/Consiglio (C‑599/16 P, non pubblicata, EU:C:2017:785), alle quali si riferisce il Consiglio, si deve rilevare che alla Corte non era stata sottoposta, nell’ambito delle impugnazioni che hanno condotto a tali sentenze, la questione se la giurisprudenza derivante dalla sentenza del 26 luglio 2017, Consiglio/LTTE (C‑599/14 P, EU:C:2017:583), riguardasse il caso di misure restrittive adottate in considerazione della situazione in Ucraina. Inoltre, si deve rilevare che, alla luce della giurisprudenza consolidata citata ai punti 27, 28 e 39 della presente sentenza, non si può dedurre da tali sentenze che il Consiglio non sia tenuto a verificare che la decisione di uno Stato terzo su cui intende fondare l’adozione di misure restrittive sia stata adottata nel rispetto dei diritti della difesa e del diritto a una tutela giurisdizionale effettiva. Una conclusione del genere sarebbe in contrasto, infatti, con tale giurisprudenza costante. Pertanto, le conclusioni tratte in dette sentenze non sono rilevanti ai fini della presente impugnazione.

41

Risulta da quanto precede che il Tribunale ha commesso un errore di diritto considerando, contrariamente a quanto dichiarato dalla Corte nella sentenza del 26 luglio 2017, Consiglio/LTTE (C‑599/14 P, EU:C:2017:583), che il Consiglio non era tenuto a verificare che la decisione di uno Stato terzo su cui esso intende fondare l’adozione di misure restrittive fosse stata adottata nel rispetto dei diritti della difesa e del diritto a una tutela giurisdizionale effettiva e che quindi il motivo vertente sull’errore manifesto di valutazione sollevato dinanzi a esso andava respinto.

42

Poiché la terza parte del quinto motivo d’impugnazione deve, pertanto, essere accolta, occorre annullare su tale fondamento la sentenza impugnata nella sua totalità, senza che sia necessario pronunciarsi sulle altre parti di tale motivo né sugli altri motivi d’impugnazione.

Sul ricorso dinanzi al Tribunale

43

Ai sensi dell’articolo 61, primo comma, dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, quando l’impugnazione è accolta, la Corte annulla la decisione del Tribunale. Essa può statuire definitivamente sulla controversia qualora lo stato degli atti lo consenta.

44

Nel caso di specie, la Corte dispone degli elementi necessari per statuire definitivamente sul ricorso di annullamento degli atti impugnati proposto dal ricorrente dinanzi al Tribunale.

45

A tal riguardo, non risulta affatto dalla motivazione degli atti impugnati che il Consiglio abbia esaminato il rispetto da parte dell’amministrazione giudiziaria ucraina, dei diritti della difesa e del diritto alla tutela giurisdizionale del ricorrente.

46

In tale contesto, è sufficiente rilevare che, per i motivi esposti ai punti da 25 a 30 e da 34 a 42 della presente sentenza, il ricorso è fondato e si devono pertanto annullare gli atti impugnati, nella parte in cui riguardano il ricorrente.

Sulle spese

47

Ai sensi dell’articolo 184, paragrafo 2, del regolamento di procedura della Corte, quando l’impugnazione è accolta e la controversia viene definitivamente decisa dalla Corte, quest’ultima statuisce sulle spese.

48

Ai sensi dell’articolo 138, paragrafo 1, del medesimo regolamento, applicabile al procedimento di impugnazione in forza del successivo articolo 184, paragrafo 1, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda.

49

Poiché il ricorrente ha chiesto la condanna del Consiglio, quest’ultimo, rimasto soccombente, va condannato alle spese di entrambi i gradi di giudizio.

 

Per questi motivi, la Corte (Quarta Sezione) dichiara e statuisce:

 

1)

La sentenza del Tribunale dell’Unione europea del 7 luglio 2017, Azarov/Consiglio (T‑215/15, EU:T:2017:479), è annullata.

 

2)

La decisione (PESC) 2015/364 del Consiglio, del 5 marzo 2015, che modifica la decisione 2014/119/PESC relativa a misure restrittive nei confronti di talune persone, entità e organismi in considerazione della situazione in Ucraina, e il regolamento di esecuzione (UE) 2015/357 del Consiglio, del 5 marzo 2015, che attua il regolamento (UE) n. 208/2014 concernente misure restrittive nei confronti di talune persone, entità e organismi in considerazione della situazione in Ucraina, sono annullati, nella parte in cui riguardano il sig. Mykola Yanovych Azarov.

 

3)

Il Consiglio dell’Unione europea è condannato alle spese tanto nel procedimento di primo grado quanto nell’ambito della presente impugnazione.

 

Firme


( *1 ) Lingua processuale: il tedesco.

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