EUR-Lex Access to European Union law

Back to EUR-Lex homepage

This document is an excerpt from the EUR-Lex website

Document 32017H2338

Raccomandazione (UE) 2017/2338 della Commissione, del 16 novembre 2017, che istituisce un manuale comune sul rimpatrio che le autorità competenti degli Stati membri devono utilizzare nell'espletamento dei compiti connessi al rimpatrio

C/2017/6505

OJ L 339, 19.12.2017, p. 83–159 (BG, ES, CS, DA, DE, ET, EL, EN, FR, HR, IT, LV, LT, HU, MT, NL, PL, PT, RO, SK, SL, FI, SV)

ELI: http://data.europa.eu/eli/reco/2017/2338/oj

19.12.2017   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

L 339/83


RACCOMANDAZIONE (UE) 2017/2338 DELLA COMMISSIONE

del 16 novembre 2017

che istituisce un manuale comune sul rimpatrio che le autorità competenti degli Stati membri devono utilizzare nell'espletamento dei compiti connessi al rimpatrio

LA COMMISSIONE EUROPEA,

visto il trattato sul funzionamento dell'Unione europea, in particolare l'articolo 292,

considerando quanto segue:

(1)

La direttiva 2008/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio (1) stabilisce norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare.

(2)

È necessario garantire che dette norme e procedure comuni siano attuate in modo uniforme in tutti gli Stati membri e a tale scopo la Commissione ha istituito, con raccomandazione C(2015) 6250 del 1o ottobre 2015 (2), un manuale comune sul rimpatrio contenente orientamenti comuni, migliori pratiche e raccomandazioni, che deve essere utilizzato dalle autorità competenti degli Stati membri nell'espletamento dei compiti connessi al rimpatrio. Visti i nuovi sviluppi nel settore del rimpatrio dei cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, è necessario aggiornare il manuale sul rimpatrio.

(3)

La raccomandazione C(2017) 1600 del 7 marzo 2017 (3) fornisce orientamenti sul modo in cui le disposizioni della direttiva 2008/115/CE dovrebbero essere utilizzate per rendere più efficaci le procedure di rimpatrio e invita gli Stati membri ad adottare le misure necessarie per rimuovere gli ostacoli giuridici e pratici ai rimpatri. È quindi opportuno che il manuale sul rimpatrio tenga conto di tale raccomandazione.

(4)

Il manuale sul rimpatrio dovrebbe tenere conto della recente giurisprudenza della Corte di giustizia dell'Unione europea riguardante la direttiva 2008/115/CE.

(5)

È opportuno che il manuale sul rimpatrio sia rivolto a tutti gli Stati membri vincolati dalla direttiva 2008/115/CE.

(6)

Al fine di favorire l'attuazione uniforme delle norme comuni dell'Unione sul rimpatrio, il manuale sul rimpatrio dovrebbe essere utilizzato come strumento principale nell'adempimento dei compiti connessi al rimpatrio e nella formazione,

HA ADOTTATO LA PRESENTE RACCOMANDAZIONE:

1.

Il manuale sul rimpatrio che figura in allegato dovrebbe sostituire il manuale sul rimpatrio che figura nell'allegato della raccomandazione C(2015) 6250 della Commissione.

2.

Gli Stati membri dovrebbero trasmettere il manuale sul rimpatrio alle rispettive autorità nazionali incaricate di svolgere i compiti connessi al rimpatrio e dovrebbero incaricare dette autorità di utilizzarlo come strumento principale nell'espletamento di tali compiti.

3.

Il manuale sul rimpatrio dovrebbe essere utilizzato per la formazione del personale incaricato di compiti connessi al rimpatrio e degli esperti che partecipano al meccanismo di valutazione e di controllo istituito dal regolamento (UE) n. 1053/2013 del Consiglio (4) per verificare l'applicazione dell'acquis di Schengen negli Stati membri.

Fatto a Bruxelles, il 16 novembre 2017

Per la Commissione

Dimitris AVRAMOPOULOS

Membro della Commissione


(1)  Direttiva 2008/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2008, recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare (GU L 348 del 24.12.2008, pag. 98).

(2)  Raccomandazione della Commissione C(2015) 6250, del 1o ottobre 2015, che istituisce un manuale comune sul rimpatrio che le autorità competenti degli Stati membri devono utilizzare nell'espletamento dei compiti connessi al rimpatrio.

(3)  Raccomandazione della Commissione C(2017) 1600, del 7 marzo 2017, per rendere i rimpatri più efficaci nell'attuazione della direttiva 2008/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio.

(4)  Regolamento (UE) n. 1053/2013 del Consiglio, del 7 ottobre 2013, che istituisce un meccanismo di valutazione e di controllo per verificare l'applicazione dell'acquis di Schengen e che abroga la decisione del comitato esecutivo del 16 settembre 1998 che istituisce una Commissione permanente di valutazione e di applicazione di Schengen (GU L 295 del 6.11.2013, pag. 27).


ALLEGATO

MANUALE SUL RIMPATRIO

1.

DEFINIZIONI 87

1.1.

Cittadino di paese terzo 87

1.2.

Soggiorno irregolare 88

1.3.

Rimpatrio 90

1.4.

Decisione di rimpatrio 90

1.5.

Provvedimento di allontanamento 91

1.6.

Rischio di fuga 91

1.7.

Partenza volontaria 93

1.8.

Persone vulnerabili 94

2.

AMBITO DI APPLICAZIONE 94

2.1.

Casi frontalieri - articolo 2, paragrafo 2, lettera a) 95

2.2.

Garanzie specifiche per i «casi frontalieri» 96

2.3.

Casi di diritto penale e di estradizione 97

3.

DISPOSIZIONI PIÙ FAVOREVOLI 98

4.

SANZIONI IN CASO DI VIOLAZIONE DELLE NORME IN MATERIA DI MIGRAZIONE 98

5.

FERMO E OBBLIGO DI EMETTERE UN DECISIONE DI RIMPATRIO 100

5.1.

Fermo nel corso di una verifica all'uscita 102

5.2.

Destinatari di una decisione di rimpatrio emessa da un altro Stato membro 102

5.3.

Relazione con il regolamento Dublino 103

5.4.

Cittadino di paese terzo il cui soggiorno è irregolare titolare di un diritto di soggiorno in un altro Stato membro 104

5.5.

Cittadino di paese terzo il cui soggiorno è irregolare il cui caso è contemplato da accordi bilaterali vigenti tra gli Stati membri 106

5.6.

Cittadino di paese terzo il cui soggiorno è irregolare che beneficia di un permesso o di un'autorizzazione rilasciati per motivi umanitari (o di altro tipo) 107

5.7.

Cittadino di paese terzo il cui soggiorno è irregolare che ha iniziato una procedura per il rinnovo del permesso o dell'autorizzazione di soggiorno 107

5.8.

Disposizioni specifiche previste dalle direttive sulla migrazione regolare riguardo alla riammissione tra Stati membri nei casi di mobilità all'interno dell'Unione europea 108

6.

PARTENZA VOLONTARIA 108

6.1.

Proroga del periodo per la partenza volontaria 109

6.2.

Obblighi durante il periodo per la partenza volontaria 110

6.3.

Controindicazioni 110

6.4.

Conformità effettiva – transito per via terrestre 111

6.5.

Conformità effettiva – transito per via aerea 112

6.6.

Registrazione delle partenze volontarie 113

7.

ALLONTANAMENTO 113

7.1.

Allontanamento per via aerea 115

7.2.

Transito per via aerea 118

7.3.

Operazioni congiunte di allontanamento per via aerea 118

7.4.

Operazioni di rimpatrio coordinate dall'Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera 119

8.

MONITORAGGIO DEI RIMPATRI FORZATI 119

9.

RINVIO DELL'ALLONTANAMENTO 120

10.

RIMPATRIO DI MINORI NON ACCOMPAGNATI 121

10.1.

Assistenza da parte di organismi appropriati 122

10.2.

Riconduzione ad un membro della famiglia, a un tutore designato o presso adeguate strutture di accoglienza 123

11.

DIVIETI D'INGRESSO 123

11.1.

Effetto a livello di Unione europea 124

11.2.

Uso del SIS II 125

11.3.

Questioni procedurali 125

11.4.

Motivi di emissione del divieto d'ingresso 125

11.5.

Durata del divieto d'ingresso 126

11.6.

Revoca, riduzione e sospensione dei divieti d'ingresso 127

11.7.

Sanzioni per la mancata osservanza del divieto d'ingresso 128

11.8.

Consultazione tra Stati membri 128

11.9.

Divieti d'ingresso «storici» 129

12.

GARANZIE PROCEDURALI 130

12.1.

Diritto a una buona amministrazione e diritto di essere ascoltati 130

12.2.

Decisioni connesse al rimpatrio 131

12.3.

Forma delle decisioni e traduzione 133

12.4.

Mezzi di ricorso 134

12.5.

Assistenza linguistica e assistenza legale gratuita 135

13.

GARANZIE PRIMA DEL RIMPATRIO 137

13.1.

Conferma scritta 138

13.2.

Situazioni di prolungata irregolarità 138

14.

TRATTENIMENTO 139

14.1.

Circostanze che giustificano il trattenimento 139

14.2.

Forma e riesame iniziale del trattenimento 142

14.3.

Riesame periodico del trattenimento 142

14.4.

Termine del trattenimento 143

14.4.1.

Assenza di prospettive ragionevoli di allontanamento 144

14.4.2.

Raggiungimento del periodo massimo di trattenimento 144

14.5.

Nuovo trattenimento dei rimpatriandi 146

14.6.

Applicazione di misure meno coercitive dopo la fine del periodo di trattenimento 146

15.

CONDIZIONI DI TRATTENIMENTO 146

15.1.

Fermo di polizia iniziale 146

15.2.

Uso di appositi centri di permanenza temporanea come regola generale 147

15.3.

Separazione dai detenuti ordinari 148

15.4.

Condizioni materiali di trattenimento 148

16.

TRATTENIMENTO DI MINORI E FAMIGLIE 153

17.

SITUAZIONI DI EMERGENZA 155

18.

RECEPIMENTO, INTERPRETAZIONE E REGIME TRANSITORIO 156

19.

FONTI E DOCUMENTI DI RIFERIMENTO 157

20.

ABBREVIAZIONI 159

PREMESSA

Il presente manuale sul rimpatrio fornisce orientamenti alle autorità nazionali responsabili dell'espletamento dei compiti connessi al rimpatrio, fra cui le forze di polizia, le guardie di frontiera, i servizi per l'immigrazione, il personale dei centri di trattenimento e gli organismi di controllo.

Esso riguarda le norme e le procedure applicate negli Stati membri per il rimpatrio dei cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare e si basa sugli strumenti giuridici dell'Unione che disciplinano tale questione, in primo luogo la direttiva 2008/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio (1) («direttiva rimpatri»). All'atto pratico, le procedure di rimpatrio sono spesso collegate ad altri tipi di procedure disciplinate da altre norme UE e nazionali pertinenti (procedure di asilo, procedure relative ai controlli di frontiera, procedure che portano al rilascio di un diritto d'ingresso, di soggiorno o di residenza). In tali casi, gli Stati membri dovrebbero garantire una stretta collaborazione tra le diverse autorità coinvolte.

La prima versione del manuale è stata adottata nell'ottobre 2015 (2). L'attuale versione, riveduta nel 2017, si basa sulla raccomandazione della Commissione del 7 marzo 2017 (3) e fornisce alle autorità nazionali ulteriori orientamenti sulle modalità di utilizzo delle norme della direttiva rimpatri al fine di migliorare l'efficacia dei sistemi di rimpatrio, garantendo nel contempo il pieno rispetto dei diritti fondamentali.

Un sistema di rimpatrio efficace deve contare, oltre che su norme e procedure appropriate, anche su un'organizzazione dinamica e ben integrata delle competenze a livello nazionale. Ciò significa essere in grado di mobilitare tutti i soggetti coinvolti nelle procedure connesse al rimpatrio (ad esempio, le autorità di contrasto e quelle competenti per l'immigrazione, ma anche il sistema giudiziario, le autorità incaricate della protezione dei minori, i servizi medici e sociali e il personale dei centri di trattenimento), coordinando le loro azioni in funzione dei rispettivi ruoli e competenze al fine di ottenere risposte multidisciplinari rapide e adeguate per la gestione dei singoli casi di rimpatrio. I sistemi di rimpatrio nazionali devono poter fare affidamento sul sostegno di un numero sufficiente di addetti qualificati e competenti - disponibili se necessario 24 ore su 24 e sette giorni su sette - che possano essere mobilitati tempestivamente, in particolare nel caso in cui il carico di lavoro connesso all'attuazione dei rimpatri aumenti, e da dispiegare all'occorrenza alle frontiere esterne dell'Unione ai fini dell'adozione di misure immediate in risposta alla pressione migratoria. A tale scopo, essi dovrebbero garantire uno scambio continuo di informazioni operative con l'Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera e con gli altri Stati membri e poter confidare sul supporto tecnico e operativo che l'Agenzia può fornire.

Affinché i sistemi di rimpatrio siano in grado di raccogliere le sfide e mantengano la loro efficacia, è opportuno che gli Stati membri utilizzino nel miglior modo possibile la flessibilità prevista dalla direttiva rimpatri e rivedano e adattino periodicamente le rispettive strutture e capacità di rimpatrio per poter far fronte alle esigenze reali.

Il presente manuale non impone obblighi giuridicamente vincolanti agli Stati membri e non stabilisce nuovi diritti e doveri. È basato in larga misura sul lavoro svolto dagli Stati membri e dalla Commissione nell'ambito del «Comitato di contatto sulla direttiva rimpatri 2008/115/CE» nel periodo 2009-2017 e raccoglie, in forma sistematica e sintetica, le discussioni svoltesi in tale sede, che non sono necessariamente espressione di posizioni unanimi tra gli Stati membri quanto all'interpretazione degli atti giuridici.

La sezione del manuale riguardante l'interpretazione è integrata da orientamenti su taluni aspetti emersi di recente (ad esempio, nuove sentenze della Corte di giustizia dell'Unione europea, norme internazionali). Solo gli atti giuridici sui quali il presente manuale si basa o ai quali fa riferimento producono effetti giuridicamente vincolanti e possono essere invocati dinanzi a un giudice nazionale. Interpretazioni giuridicamente vincolanti del diritto dell'Unione possono essere fornite unicamente dalla Corte di giustizia dell'Unione europea.

1.   DEFINIZIONI

1.1.   Cittadino di paese terzo

Base giuridica: direttiva rimpatri, articolo 3, paragrafo 1; codice frontiere Schengen (4), articolo 2, paragrafo 5

Chiunque non sia cittadino dell'Unione ai sensi dell'articolo 17, paragrafo 1, del trattato né un beneficiario del diritto […] alla libera circolazione [ai sensi del diritto dell'Unione], quale definito all'articolo 2, paragrafo 5, del codice frontiere Schengen.

Non sono considerate «cittadini di paesi terzi» le persone appartenenti alle seguenti categorie:

persone che sono cittadini dell'Unione ai sensi dell'articolo 20, paragrafo 1, del TFUE (ex articolo 17, paragrafo 1, del trattato), vale a dire persone che hanno la cittadinanza di uno Stato membro dell'Unione europea (5),

persone che hanno la cittadinanza di uno Stato dello Spazio economico europeo o della Svizzera (SEE/CH),

familiari di cittadini dell'Unione che esercitano il loro diritto alla libera circolazione ai sensi dell'articolo 21 del TFUE o della direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio (6);

familiari di cittadini SEE/CH che beneficiano di diritti in materia di libera circolazione equivalenti a quelli dei cittadini dell'Unione.

Qualsiasi altra persona, compresi gli apolidi (7), è da considerare «cittadino di paese terzo».

Ulteriore chiarimento

Sono familiari di cittadini UE/SEE/CH, che hanno quindi diritto di ingresso e di soggiorno insieme al cittadino dell'Unione nel territorio dello Stato membro ospitante a prescindere dalla loro nazionalità, le seguenti persone:

a)

il coniuge o il partner che abbia contratto con il cittadino UE/SEE/CH un'unione registrata sulla base della legislazione di uno Stato membro, qualora la legislazione dello Stato membro ospitante equipari l'unione registrata a un matrimonio;

b)

i discendenti diretti di età inferiore ai 21 anni o a carico, inclusi quelli del coniuge o del partner registrato;

c)

gli ascendenti diretti a carico, inclusi quelli del coniuge o del partner registrato.

Oltre alle categorie di cui alle lettere da a) a c), in determinate circostanze anche altri familiari possono beneficiare del diritto alla libera circolazione ai sensi del diritto dell'Unione, in particolare qualora abbiano ottenuto il diritto d'ingresso e di soggiorno in base alla legislazione nazionale di recepimento dell'articolo 3, paragrafo 2, della direttiva 2004/38/CE.

I cittadini di paesi terzi ai quali uno Stato membro non abbia riconosciuto la qualifica di familiare di un cittadino dell'Unione beneficiario del diritto alla libera circolazione nell'Unione europea ai sensi dell'articolo 21 del TFUE o della direttiva 2004/38/CE possono essere considerati cittadini di paesi terzi. Tali persone possono pertanto rientrare nell'ambito di applicazione della direttiva rimpatri e in relazione ad essi occorre applicare le norme minime, le procedure e i diritti ivi previsti. Tuttavia, per quanto riguarda un possibile ricorso contro una decisione di rigetto del riconoscimento della qualifica di beneficiario della direttiva 2004/38/CE, la Commissione ritiene che tale persona possa continuare ad usufruire delle garanzie procedurali di cui al capo VI della direttiva 2004/38/CE, in quanto disposizioni più favorevoli ai sensi dell'articolo 4 della direttiva rimpatri (ad esempio, riguardo alla notificazione e alla motivazione di un provvedimento, al termine impartito per lasciare volontariamente il territorio e ai mezzi di impugnazione).

1.2.   Soggiorno irregolare

Base giuridica: direttiva rimpatri, articolo 3, paragrafo 2; codice frontiere Schengen, articolo 6

La presenza nel territorio di uno Stato membro di un cittadino di un paese terzo che non soddisfi o non soddisfi più le condizioni d'ingresso di cui all'articolo 5 del codice frontiere Schengen o altre condizioni d'ingresso, di soggiorno o di residenza in tale Stato membro.

In questa definizione molto ampia rientra qualsiasi cittadino di un paese terzo che non gode di un diritto legale di soggiornare in uno Stato membro. Il soggiorno di qualsiasi cittadino di un paese terzo fisicamente presente nel territorio di uno Stato membro dell'Unione europea può essere regolare o irregolare. Non esiste una terza possibilità.

Le finzioni giuridiche previste dal diritto nazionale che considerano le persone fisicamente presenti in aree specificamente designate del territorio di uno Stato membro (ad esempio, le zone di transito o determinate zone di frontiera) come non «soggiornanti nel territorio» non sono pertinenti in questo contesto, in quanto potrebbero pregiudicare l'applicazione armoniosa dell'acquis dell'Unione europea in materia di rimpatrio. Gli Stati membri possono tuttavia decidere di non applicare talune disposizioni dell'acquis in materia di rimpatrio a questa categoria di persone (cfr. punto 2 del presente manuale).

Dopo la codificazione del codice frontiere Schengen nel 2016, il riferimento al suo articolo 5 contenuto nell'articolo 3, paragrafo 2, della direttiva rimpatri si intende come riferimento all'attuale articolo 6 del codice stesso.

È considerato irregolare, ad esempio, il soggiorno nello Stato membro interessato delle seguenti categorie di cittadini di paesi terzi:

titolari di un permesso di soggiorno o di un visto scaduti,

titolari di un permesso di soggiorno o di un visto revocati,

richiedenti asilo respinti,

richiedenti asilo destinatari di una decisione che pone fine al loro diritto di soggiorno in qualità di richiedenti asilo,

persone oggetto di un provvedimento di respingimento alla frontiera,

persone scoperte in occasione dell'attraversamento irregolare della frontiera,

migranti irregolari fermati nel territorio di uno Stato membro,

persone intercettate mentre transitano nel territorio di uno Stato membro per raggiungere un altro Stato membro senza averne legalmente diritto,

persone che non hanno il diritto di soggiornare nello Stato membro in cui sono fermate (anche se hanno il diritto di soggiornare in un altro Stato membro),

persone presenti nel territorio di uno Stato membro nel periodo loro concesso ai fini della partenza volontaria,

persone il cui allontanamento è stato rinviato.

Non è considerato irregolare il soggiorno delle persone appartenenti alle seguenti categorie che godono di un diritto legale di soggiorno (che può essere solo di carattere temporaneo) nello Stato membro interessato:

richiedenti asilo che soggiornano nello Stato membro in cui godono di un diritto di soggiorno durante la procedura di asilo,

apolidi che soggiornano nello Stato membro in cui, in virtù del diritto nazionale, godono di un diritto di soggiorno nel corso di un procedimento per la determinazione dell'apolidia,

persone che soggiornano in uno Stato membro in cui godono di uno status formale di tolleranza (a condizione che tale status sia considerato, in base al diritto nazionale, come «soggiorno regolare»),

titolari di un permesso acquisito in modo fraudolento fintantoché esso non sia revocato o ritirato e continui a essere considerato valido.

Ulteriore chiarimento

Il soggiorno delle persone la cui domanda di permesso di soggiorno è in corso di esame può essere considerato regolare o irregolare a seconda che esse dispongano o meno di un visto valido o di un altro diritto di soggiorno,

la situazione di soggiorno irregolare non comporta una durata minima del soggiorno, né l'intenzione del cittadino di un paese terzo di restare nel territorio di uno Stato membro (cfr. sentenza della Corte di giustizia nella causa Affum  (8), C-47/15, punto 48),

è irregolare il soggiorno delle persone che chiedono il rinnovo di un permesso già scaduto, salvo altrimenti previsto dal diritto nazionale di uno Stato membro (cfr. anche punto 5.7 del presente manuale),

è irregolare il soggiorno dei cittadini di paesi terzi cui sia stata applicata la procedura di rimpatrio prevista dalla direttiva rimpatri e che soggiornino in modo irregolare nel territorio di uno Stato membro senza che esista un giustificato motivo che ne precluda il rimpatrio (fattispecie contemplata al punto 48 della sentenza pronunciata dalla Corte di giustizia nella causa C-329/11, Achughbabian  (9)). Il riferimento specifico fatto dalla Corte di giustizia nella sentenza Achughbabian riguarda solo la compatibilità delle misure di diritto penale nazionali con la direttiva rimpatri. Nulla è detto nella sentenza riguardo all'ambito di applicazione e all'applicabilità della direttiva rimpatri e, pertanto, resta applicabile la regola generale «A o B» di cui all'articolo 2, paragrafo 1, vale a dire: o il soggiorno di una persona è irregolare e si applica la direttiva rimpatri, oppure la persona gode di un diritto di soggiorno e non si applica la direttiva rimpatri.

1.3.   Rimpatrio

Base giuridica: direttiva rimpatri, articolo 3, paragrafo 3

Il processo di ritorno di un cittadino di un paese terzo, sia in adempimento volontario di un obbligo di rimpatrio sia forzatamente:

1)

nel proprio paese di origine; o

2)

in un paese di transito in conformità di accordi comunitari o bilaterali di riammissione o di altre intese; o

3)

in un altro paese terzo, in cui il cittadino del paese terzo in questione decide volontariamente di ritornare e in cui sarà accettato.

Questa definizione impone limitazioni riguardo a ciò che può o non può essere accettato come «rimpatrio» ai fini dell'attuazione della direttiva rimpatri. Il rinvio in un altro Stato membro di un cittadino di un paese terzo il cui soggiorno è irregolare non può essere considerato un «rimpatrio» in base al diritto dell'Unione europea. Tale azione, tuttavia, può essere possibile in casi eccezionali in base ad accordi bilaterali di riammissione o al regolamento Dublino; si raccomanda quindi di non definirla «rimpatrio», ma «rinvio» o «trasferimento».

La definizione di cui sopra, inoltre, implica che gli Stati membri devono effettuare il rimpatrio in un paese terzo solo nelle circostanze tassativamente indicate in uno dei tre punti elencati. Di conseguenza, ad esempio, non è possibile allontanare un rimpatriando in un paese terzo, che non sia né il paese di origine né il paese di transito, senza il consenso dello stesso rimpatriando.

Ulteriore chiarimento

Per «paese di origine» (primo trattino) si intende il paese di cittadinanza del cittadino di paese terzo; per gli apolidi, può intendersi di norma il paese di precedente residenza abituale,

il «paese di transito» (secondo trattino) può essere solo un paese terzo e non uno Stato membro dell'Unione europea.

per «accordi comunitari o bilaterali di riammissione o altre intese» (secondo trattino) si intendono solo gli accordi con i paesi terzi. Gli accordi bilaterali di riammissione tra gli Stati membri non sono pertinenti in questo contesto. In alcuni casi gli accordi tra Stati membri possono tuttavia consentire di rinviare i migranti irregolari in un altro Stato membro ai sensi dell'articolo 6, paragrafo 3, della direttiva rimpatri (cfr. punto 5.5 del presente manuale),

l'espressione «decide volontariamente di ritornare» (terzo trattino) non equivale a una partenza volontaria. Per «volontaria» si intende, in questo contesto, la scelta della destinazione da parte del rimpatriando. La scelta volontaria della destinazione può avvenire anche durante la preparazione di un'operazione di allontanamento: in alcuni casi il rimpatriando preferisce essere allontanato in un altro paese terzo anziché nel paese di transito o di origine,

specificazione del paese di rimpatrio in caso di allontanamento: se viene concesso un periodo per la partenza volontaria, spetta al rimpatriando assicurarsi di ottemperare all'obbligo di rimpatrio entro il periodo stabilito e, in linea di principio, non è necessario specificare il paese di rimpatrio. È necessario specificare il paese terzo in cui la persona sarà allontanata solo se lo Stato membro deve utilizzare misure coercitive (allontanamento) (cfr. punto 1.5 del presente manuale).

1.4.   Decisione di rimpatrio

Base giuridica: direttiva rimpatri, articolo 3, paragrafo 4, e articolo 6, paragrafo 6

Decisione o atto amministrativo o giudiziario che attesti o dichiari l'irregolarità del soggiorno di un cittadino di paesi terzi e imponga o attesti l'obbligo di rimpatrio.

La definizione di «decisione di rimpatrio» si incentra su due elementi essenziali. Una decisione di rimpatrio deve contenere:

1)

una dichiarazione concernente l'irregolarità del soggiorno; e

2)

l'imposizione di un obbligo di rimpatrio.

Una decisione di rimpatrio può contenere altri elementi, quali un divieto d'ingresso, un termine per la partenza volontaria, la designazione del paese di rimpatrio; nel caso in cui il paese di rimpatrio non sia indicato, gli Stati membri devono garantire che il principio di non-refoulement (di seguito, «non respingimento») sia rispettato ai sensi dell'articolo 5 della direttiva rimpatri.

Gli Stati membri godono di un ampio margine di discrezionalità riguardo alla forma (decisione o atto, giudiziario o amministrativo) in cui può essere adottata una decisione di rimpatrio.

Le decisioni di rimpatrio possono essere emesse sotto forma di atti o decisioni autonomi ovvero unitamente ad altre decisioni, quali un provvedimento di allontanamento o una decisione di porre fine a un soggiorno regolare (cfr. punto 12.1 del presente manuale).

Una decisione di rimpatrio dichiara l'irregolarità del soggiorno nello Stato membro che emana la decisione, stabilendo nel contempo l'obbligo di lasciare il territorio degli Stati membri dell'UE e dei paesi associati Schengen. Va inoltre sottolineato che, ai sensi dell'articolo 11, le decisioni di rimpatrio possono essere corredate di un divieto d'ingresso avente validità in tutta l'Unione europea (vincolante per tutti gli Stati membri vincolati dalla direttiva rimpatri).

Ulteriore chiarimento

La definizione elastica della nozione di «decisione di rimpatrio» non osta a che la decisione che impone l'obbligo di rimpatrio sia adottata sotto forma di una pronuncia giudiziaria di carattere penale e nel contesto di un procedimento penale (cfr. sentenza della Corte di giustizia nella causa Sagor  (10), C-430/11, punto 39).

1.5.   Provvedimento di allontanamento

Base giuridica: direttiva rimpatri, articolo 3, paragrafo 5, e articolo 8, paragrafo 3

Decisione o atto amministrativo o giudiziario che ordini l'esecuzione dell'obbligo di rimpatrio, vale a dire il trasporto fisico fuori dallo Stato membro.

Il provvedimento di allontanamento può essere emanato insieme a una decisione di rimpatrio (procedura a fase unica) o separatamente (procedura a due fasi). Nei casi di emanazione congiunta di una decisione di rimpatrio e di un provvedimento di allontanamento in una procedura a fase unica, va chiarito che, se viene concesso un periodo per la partenza volontaria, l'allontanamento avviene solo in caso di mancato adempimento dell'obbligo di rimpatrio entro il periodo concesso per la partenza volontaria.

Tenuto conto dell'obbligo degli Stati membri di rispettare sempre il principio di non respingimento, l'allontanamento (trasporto fisico fuori dallo Stato membro) non può avvenire verso una destinazione non specificata, ma solo verso un paese di rimpatrio specifico. Il rimpatriando deve essere informato in anticipo della destinazione dell'operazione di allontanamento, in modo da avere la possibilità di esprimere eventuali motivi per cui ritiene che l'allontanamento verso la destinazione proposta violerebbe il principio di non respingimento e da poter esercitare il diritto di presentare ricorso. La Commissione raccomanda di specificare il paese di rimpatrio nella decisione di allontanamento separata (procedura a due fasi) o di specificare il paese verso il quale la persona sarà allontanata in caso di mancato adempimento dell'obbligo di rimpatrio nella decisione congiunta di rimpatrio e di allontanamento (procedura a fase unica), ovvero di informare il cittadino del paese terzo tramite un'altra decisione o un altro atto.

1.6.   Rischio di fuga

Base giuridica: direttiva rimpatri, articolo 3, paragrafo 7, e considerando 6

La sussistenza in un caso individuale di motivi basati su criteri obiettivi definiti dalla legge per ritenere che un cittadino di un paese terzo oggetto di una procedura di rimpatrio possa tentare la fuga.

La sussistenza (o l'assenza) di un «rischio di fuga» è un elemento determinante per stabilire se debba essere concesso un periodo per la partenza volontaria e per decidere sulla necessità di ricorrere al trattenimento.

Gli Stati membri devono basare la valutazione dell'eventuale sussistenza di un rischio di fuga su criteri obiettivi definiti dalla legislazione nazionale. Ciò è confermato indirettamente dalla sentenza della Corte di giustizia nella causa Al Chodor  (11), C-528/15, relativa alla definizione del «rischio di fuga» di cui all'articolo 2, lettera n) (12), del regolamento Dublino, il cui testo è in sostanza identico alla definizione di cui all'articolo 3, paragrafo 7, della direttiva rimpatri. Nella sentenza la Corte di giustizia ha stabilito che tali criteri obiettivi devono essere chiaramente definiti in norme cogenti di portata generale e che una giurisprudenza nazionale consolidata che sancisca una prassi costante non può essere sufficiente. La Corte ha inoltre concluso che, in assenza di detti criteri sanciti in una norma cogente di portata generale, il trattenimento dev'essere dichiarato illegittimo.

Quale indicazione di un rischio di fuga di un cittadino di paese terzo il cui soggiorno è irregolare, gli Stati membri, pur disponendo di un ampio potere discrezionale nella determinazione dei suddetti criteri, dovrebbero tenere in debita considerazione quanto segue:

mancanza di documentazione,

mancanza di domicilio, di fissa dimora o di un indirizzo affidabile,

inadempimento dell'obbligo di presentarsi alle autorità competenti,

dichiarazione esplicita dell'intenzione di non ottemperare alle misure connesse al rimpatrio (ad esempio, decisione di rimpatrio, misure di prevenzione della fuga),

esistenza di una condanna penale, ivi compresa una condanna per un reato grave in un altro Stato membro (13),

indagini e procedimenti penali in corso,

mancato rispetto di una decisione di rimpatrio, ivi compreso il mancato rispetto di un obbligo di rimpatrio entro il periodo concesso ai fini della partenza volontaria,

precedente condotta (vale a dire, fuga),

mancanza di risorse finanziarie,

decisione di rimpatrio emanata da un altro Stato membro nei confronti di tale cittadino,

mancato rispetto dell'obbligo di recarsi nel territorio di un altro Stato membro che abbia rilasciato un permesso di soggiorno valido o un'altra autorizzazione che conferisca il diritto di soggiornare,

ingresso irregolare nel territorio degli Stati membri dell'UE e dei paesi associati Schengen.

La legislazione nazionale può stabilire altri criteri obiettivi per determinare la sussistenza di un rischio di fuga.

In base ai principi generali del diritto dell'Unione europea, in particolare il principio di proporzionalità, tutte le decisioni ai sensi della direttiva rimpatri devono essere adottate sulla base della valutazione di ogni singolo caso. Le voci del suddetto elenco di criteri dovrebbero essere prese in considerazione in ogni fase della procedura di rimpatrio in quanto elementi della valutazione complessiva di ciascuna situazione individuale, ma non possono costituire l'unica base per presumere automaticamente che sussista un rischio di fuga, poiché per arrivare a tale conclusione occorrerà spesso servirsi di una combinazione dei diversi criteri sopra elencati. Va evitata qualunque deduzione automatica che porti a ritenere, ad esempio, che l'ingresso irregolare o la mancanza di documenti implichino di per sé un rischio di fuga. La valutazione del singolo caso deve tener conto di tutti i fattori pertinenti, tra cui l'età e le condizioni sociali e di salute degli interessati, che possono incidere direttamente sul rischio di fuga del cittadino di paese terzo e che, in determinati casi, possono far ritenere insussistente il rischio di fuga anche se sono soddisfatti uno o più dei criteri previsti dalla legislazione nazionale.

In aggiunta ai criteri di cui sopra che potrebbero indicare la sussistenza di un rischio di fuga e fatto salvo il diritto del cittadino di paese terzo interessato di essere ascoltato e di avvalersi di un ricorso effettivo, la legislazione nazionale può anche stabilire che alcune circostanze oggettive costituiscano una presunzione relativa della sussistenza di un rischio di fuga (vale a dire, il cittadino del paese terzo potrebbe obiettare che, nonostante le circostanze di seguito elencate, tale rischio non sussiste), ad esempio:

il rifiuto di cooperare nel processo di identificazione, l'utilizzo di documenti d'identità falsi o contraffatti, la distruzione o l'eliminazione di documenti esistenti, ovvero il rifiuto di fornire le impronte digitali,

il fatto di opporsi in modo violento o fraudolento all'operazione di rimpatrio,

il mancato adempimento di una misura volta a prevenire la fuga (cfr. punto 6.2 del presente manuale),

il mancato rispetto di un divieto d'ingresso in vigore,

lo spostamento secondario non autorizzato in un altro Stato membro.

La Commissione raccomanda che tali presunzioni relative siano previste dalle legislazioni nazionali.

1.7.   Partenza volontaria

Base giuridica: direttiva rimpatri, articolo 3, paragrafo 8

L'adempimento dell'obbligo di rimpatrio entro il termine fissato a tale scopo nella decisione di rimpatrio.

Per «partenza volontaria» nel contesto dell'acquis dell'Unione europea in materia di rimpatri si intende l'adempimento volontario di un obbligo di rimpatrio in un paese terzo. L'espressione «partenza volontaria» non si riferisce al caso in cui il cittadino di paese terzo il cui soggiorno è regolare decide di ritornare nel suo paese di origine di sua spontanea volontà. Tale rimpatrio «realmente» volontario (scenario 1 nella figura di seguito riportata) esula dall'ambito di applicazione della direttiva rimpatri poiché riguarda i cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è regolare. La partenza di un cittadino di paese terzo il cui soggiorno è irregolare che non è stato ancora individuato o fermato (ad esempio, un cittadino che abbia superato la durata di soggiorno autorizzata) può essere considerata inclusa nella definizione di «partenza volontaria». Tale cittadino ha già un obbligo «astratto» di rimpatrio in base alla direttiva rimpatri e può essere oggetto di una decisione di rimpatrio e di un divieto di ingresso dopo che le autorità sono venute a conoscenza del suo soggiorno irregolare (al più tardi durante le verifiche all'uscita – cfr. punti 5.1 e 11.3 del presente manuale).

La direttiva rimpatri, pertanto, riguarda solo gli scenari 2 e 3 qui di seguito:

Image

Il trasferimento dal territorio nazionale di uno Stato membro nel territorio di un altro Stato membro ai sensi dell'articolo 6, paragrafo 2, (cfr. punto 5.4 del presente manuale) non può essere considerato come una partenza volontaria. La definizione di partenza volontaria implica sempre la partenza verso un paese terzo. Al punto 6.4 del presente manuale sono indicate norme specifiche sul transito per via terrestre attraverso il territorio di altri Stati membri nel contesto della partenza volontaria.

1.8.   Persone vulnerabili

Base giuridica: direttiva rimpatri, articolo 3, paragrafo 9

I minori, i minori non accompagnati, i disabili, gli anziani, le donne in gravidanza, le famiglie monoparentali con figli minori e le persone che hanno subìto torture, stupri o altre forme gravi di violenza psicologica, fisica o sessuale.

A differenza della definizione di persone vulnerabili utilizzata nell'acquis in materia di asilo [cfr., ad esempio, l'articolo 21 della direttiva 2013/33/UE del Parlamento europeo e del Consiglio (14), («direttiva accoglienza») o l'articolo 20, paragrafo 3, della direttiva 2011/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio (15)] («direttiva qualifiche»), la definizione contenuta nella direttiva rimpatri è formulata come elenco esaustivo.

La necessità di prestare particolare attenzione alla situazione delle persone vulnerabili e alle loro esigenze specifiche nel contesto del rimpatrio non è tuttavia limitata alle categorie di persone vulnerabili espressamente indicate all'articolo 3, paragrafo 9. La Commissione raccomanda agli Stati membri di prestare attenzione anche ad altre particolari situazioni di vulnerabilità, come quelle menzionate dall'acquis in materia di asilo — vittime della tratta di esseri umani o di mutilazioni genitali femminili, persone con malattie gravi o con disturbi mentali.

La necessità di prestare particolare attenzione alla situazione delle persone vulnerabili non dovrebbe essere limitata alle situazioni esplicitamente menzionate nella direttiva rimpatri (durante il periodo concesso per la partenza volontaria, durante il rinvio del rimpatrio e durante il trattenimento). La Commissione, pertanto, raccomanda che, nel valutare le circostanze particolari di ciascun caso, gli Stati membri rivolgano attenzione alle esigenze delle persone vulnerabili in tutte le fasi della procedura di rimpatrio.

2.   AMBITO DI APPLICAZIONE

Base giuridica: direttiva rimpatri, articolo 2 e articolo 4, paragrafo 4

L'ambito di applicazione della direttiva rimpatri è ampio e riguarda qualsiasi cittadino di paese terzo il cui soggiorno sul territorio di uno Stato membro è irregolare. Attualmente sono vincolati dalla direttiva rimpatri i seguenti Stati membri:

tutti gli Stati membri dell'Unione europea, tranne il Regno Unito e l'Irlanda,

la Svizzera, la Norvegia, l'Islanda e il Liechtenstein.

Gli Stati membri possono decidere di non applicare la direttiva a talune categorie di cittadini di paesi terzi:

ai «casi frontalieri» di cui all'articolo 2, paragrafo 2, lettera a), della direttiva rimpatri (cfr. punto 2.1 del presente manuale), e

ai «casi di diritto penale» di cui all'articolo 2, paragrafo 2, lettera b), della direttiva rimpatri (cfr. punto 2.2 del presente manuale).

Per poter avere valenza giuridica, la decisione di uno Stato membro di avvalersi di tali deroghe e, quindi, di non applicare la direttiva ai «casi frontalieri» o ai «casi di diritto penale» deve essere espressa in modo chiaro, in anticipo, nella legislazione nazionale di attuazione (16). Non sono previsti requisiti formali specifici per rendere nota tale decisione. È tuttavia importante che dalla legislazione nazionale risulti chiaramente, in modo esplicito o implicito, se e in quale misura lo Stato membro si avvale delle suddette deroghe.

Se lo Stato membro non ha reso nota, in anticipo, la propria decisione di avvalersi delle deroghe di cui all'articolo 2, paragrafo 2, lettera a) o b), della direttiva rimpatri, dette disposizioni non possono essere utilizzate successivamente per giustificare la mancata applicazione della direttiva rimpatri in casi specifici.

Nulla osta a che lo Stato membro limiti l'uso delle deroghe di cui all'articolo 2, paragrafo 2, lettera a) o b), della direttiva rimpatri a talune categorie di persone (ad esempio, all'applicazione di provvedimenti di respingimento alle frontiere aeree o alle frontiere marittime), a condizione che ciò sia espresso chiaramente nella legislazione nazionale di attuazione.

Lo Stato membro può decidere di avvalersi della deroga in una fase successiva, dopo il recepimento iniziale della direttiva rimpatri nel diritto interno. Tuttavia, ciò non deve avere conseguenze svantaggiose per le persone alle quali erano già applicabili gli effetti della direttiva rimpatri (cfr. sentenza della Corte di giustizia nella causa Filev e Osmani  (17), C-297/12: «[…] uno Stato membro, se non ha ancora fatto uso di tale facoltà […] non può reclamare il diritto di limitare l'ambito di applicazione ratione personae di tale direttiva ai sensi del suo articolo 2, paragrafo 2, lettera b), della stessa nei confronti delle persone alle quali sarebbero applicabili gli effetti di detta direttiva»).

2.1.   Casi frontalieri — articolo 2, paragrafo 2, lettera a)

Le persone alle quali è stato negato l'ingresso e che sono presenti in una zona di transito o in una zona di frontiera di uno Stato membro sono spesso oggetto di norme specifiche negli Stati membri: in virtù di una «finzione giuridica», talvolta tali persone non sono considerate come «soggiornanti nel territorio dello Stato membro» interessato e ad esse si applicano norme specifiche. La direttiva rimpatri non segue questa logica e considera qualsiasi cittadino di paese terzo fisicamente presente nel territorio di uno Stato membro come rientrante nel suo ambito di applicazione.

Gli Stati membri hanno tuttavia la facoltà di decidere di non applicare la direttiva ai «casi frontalieri», vale a dire ai cittadini di paesi terzi che sono:

sottoposti a respingimento alla frontiera conformemente all'articolo 13 del codice frontiere Schengen  (18), ovvero

fermati o scoperti dalle competenti autorità in occasione dell'attraversamento irregolare via terra, mare o aria della frontiera esterna di uno Stato membro e che non hanno successivamente ottenuto un'autorizzazione o un diritto di soggiorno in tale Stato membro.

Il ricorso a tale deroga può essere utile, ad esempio, per Stati membri in prima linea sottoposti a forti pressioni migratorie, qualora ciò consenta di applicare procedure più efficaci; in questi casi, la Commissione ne raccomanda l'utilizzo.

Le procedure nazionali per i casi «frontalieri» devono rispettare i principi generali del diritto internazionale e i diritti fondamentali dei cittadini dei paesi terzi interessati, nonché le garanzie di cui all'articolo 4, paragrafo 4, della direttiva rimpatri (cfr. punto 2.2 del presente manuale).

Ulteriore chiarimento

L'articolo 2, paragrafo 2, lettera a), implica un legame diretto, temporale e spaziale, con l'attraversamento della frontiera esterna. Riguarda quindi i cittadini di paesi terzi fermati o scoperti dalle autorità competenti nel momento stesso dell'attraversamento irregolare della frontiera esterna o, successivamente all'attraversamento, in prossimità della frontiera stessa (cfr. sentenza della Corte di giustizia nella causa Affum, C-47/15, punto 72).

Le persone appartenenti alle seguenti categorie rientrano, ad esempio, nella fattispecie di coloro che vengono «fermati o scoperti dalle competenti autorità in occasione dell'attraversamento irregolare […] della frontiera esterna», in quanto esiste ancora un legame DIRETTO con l'atto di aver attraversato irregolarmente la frontiera:

persone che arrivano in modo irregolare via mare e sono fermate all'arrivo o subito dopo l'arrivo,

persone arrestate dalla polizia dopo aver scavalcato una barriera di confine,

migranti irregolari che scendono dal treno o dall'autobus con il quale sono giunti direttamente nel territorio di uno Stato membro (senza alcuna fermata precedente nel territorio di uno Stato membro).

Le persone appartenenti alle seguenti categorie non rientrano nella fattispecie di coloro che vengono «fermati o scoperti dalle competenti autorità in occasione dell'attraversamento irregolare […] della frontiera esterna», in quanto non esiste più alcun legame DIRETTO con l'atto di aver attraversato irregolarmente la frontiera:

migranti irregolari fermati nel territorio di uno Stato membro entro un determinato lasso di tempo successivo all'ingresso irregolare,

migranti irregolari fermati in una regione di frontiera, salvo che vi sia ancora un legame diretto con l'atto di aver attraversato irregolarmente la frontiera,

migranti irregolari che scendono da un autobus proveniente da un paese terzo, se l'autobus ha già fatto varie fermate nel territorio dell'Unione europea,

migranti irregolari che, essendo stati espulsi in una precedente occasione, violano un divieto d'ingresso ancora valido (salvo che siano fermati in relazione diretta con l'attraversamento irregolare della frontiera),

migranti irregolari che attraversano una frontiera interna (cfr. la sentenza della Corte di giustizia nella causa Affum, C-47/15, punto 69, nonché l'articolo 2, paragrafo 2, della direttiva, che si riferisce alle frontiere esterne, e articolo 14 del codice frontiere Schengen, applicabile alle frontiere esterne),

cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare che stanno lasciando il territorio degli Stati membri e dei paesi associati Schengen (cfr. sentenza della Corte di giustizia nella causa Affum, C-47/15, punto 71).

Esempi pratici di casi rientranti nell'enunciato «e che non hanno successivamente ottenuto un'autorizzazione o un diritto di soggiorno in tale Stato membro», ai quali non si applica la deroga:

migranti irregolari che sono stati fermati alla frontiera esterna e che successivamente hanno ottenuto un diritto di rimanere nel territorio dello Stato membro in qualità di richiedenti asilo: anche se il loro soggiorno, dopo che la domanda di asilo è stata definitivamente respinta, è diventato nuovamente «irregolare», essi non devono essere esclusi dall'ambito di applicazione della direttiva come «casi frontalieri»,

cittadini di paesi terzi oggetto di un provvedimento di respingimento e soggiornanti in una zona di transito aeroportuale (che possono quindi essere esclusi dall'ambito di applicazione della direttiva) che sono trasferiti in ospedale per motivi medici, ottenendo un permesso nazionale a breve termine [e non semplicemente un rinvio dell'allontanamento ai sensi dell'articolo 9, paragrafo 2, lettera a)], che copra l'intero periodo di ricovero in ospedale.

La forma, il contenuto e i mezzi di ricorso delle decisioni emesse nei confronti di cittadini di paesi terzi esclusi dall'ambito di applicazione della direttiva rimpatri ai sensi dell'articolo 2, paragrafo 2, lettera a), sono disciplinati dal diritto nazionale.

I respingimenti ai sensi dell'articolo 14 del codice frontiere Schengen riguardano chiunque non soddisfi le condizioni d'ingresso previste dall'articolo 6, paragrafo 1, dello stesso codice.

Le persone respinte in una zona di transito aeroportuale o a un valico di frontiera situato nel territorio di uno Stato membro rientrano nell'ambito di applicazione della direttiva rimpatri (poiché già fisicamente presenti nel territorio). Tuttavia, gli Stati membri possono avvalersi della deroga di cui all'articolo 2, paragrafo 2, lettera a), in base alla quale gli Stati membri possono decidere di non applicare la direttiva a questi casi.

Le eccezioni per i casi frontalieri di cui all'articolo 2, paragrafo 2, lettera a), si applicano unicamente ai casi di fermo alle frontiere esterne e non alle frontiere interne (cfr. sentenza della Corte di giustizia nella causa Affum, C-47/15).

Il ripristino temporaneo dei controlli alle frontiere interne non trasforma queste ultime in frontiere esterne. Tale evenienza, pertanto, non incide sull'ambito di applicazione della direttiva rimpatri.

I casi «frontalieri» e «similari» che possono essere esclusi dall'ambito di applicazione della direttiva ai sensi dell'articolo 2, paragrafo 2, lettera a), della stessa non equivalgono ai casi di cui all'articolo 12, paragrafo 3, della direttiva (procedura semplificata in caso d'ingresso irregolare): l'espressione «entrati in modo irregolare» (utilizzata nell'articolo 12, paragrafo 3) non è esattamente corrispondente ai casi «frontalieri» e «similari» descritti all'articolo 2, paragrafo 2, lettera a), della direttiva rimpatri. Ad esempio: un cittadino di paese terzo il cui soggiorno è irregolare che viene fermato nel territorio di uno Stato membro tre mesi dopo il suo ingresso irregolare non rientra nell'ambito di applicazione dell'articolo 2, paragrafo 2, lettera a), della direttiva rimpatri, ma può rientrare nell'ambito di applicazione dell'articolo 12, paragrafo 3, della medesima.

2.2.   Garanzie specifiche per i «casi frontalieri»

Anche se scelgono di non applicare la direttiva ai casi frontalieri, gli Stati membri devono comunque rispettare il principio di non respingimento e provvedere affinché, a norma dell'articolo 4, paragrafo 4, della direttiva rimpatri, il livello di protezione riservato alle persone interessate non sia meno favorevole di quello previsto dagli articoli della direttiva riguardanti:

la limitazione dell'uso di misure coercitive,

il rinvio dell'allontanamento,

le prestazioni sanitarie d'urgenza, il trattamento essenziale delle malattie e la considerazione delle esigenze delle persone vulnerabili, e

le condizioni di trattenimento.

È inoltre opportuno sottolineare che la scelta degli Stati membri di non applicare la direttiva rimpatri ai casi frontalieri non fa in alcun modo venir meno le garanzie previste dall'acquis dell'Unione europea in materia di asilo (in particolare, quelle riguardanti l'accesso alla procedura di asilo). Tra gli obblighi previsti dall'acquis dell'Unione europea in materia di asilo figura in particolare l'obbligo per gli Stati membri di:

informare i cittadini di paesi terzi che desiderino presentare una domanda di protezione internazionale sulla possibilità di farlo,

garantire che le guardie di frontiera e le altre autorità competenti abbiano le informazioni pertinenti e che il loro personale riceva, oltre al livello di formazione necessario per riconoscere i richiedenti, anche le istruzioni per informarli riguardo alle modalità e alle sedi presso le quali inoltrare una domanda di protezione internazionale,

organizzare servizi di interpretazione nella misura necessaria ad agevolare l'accesso alla procedura,

far sì che le organizzazioni e le persone che prestano consulenza e assistenza abbiano effettivo accesso ai richiedenti presenti ai valichi di frontiera, comprese le zone di transito, alle frontiere esterne.

Ulteriore chiarimento

Quanto all'applicazione pratica di tale disposizione in caso di respingimento alla frontiera, esistono due possibilità: la persona è fisicamente presente nel territorio di uno Stato membro dopo il respingimento alla frontiera (ad esempio, in una zona di transito aeroportuale), oppure non è fisicamente presente nel territorio di uno Stato membro (ad esempio, una persona respinta a una frontiera terrestre e ancora fisicamente presente nel territorio di un paese terzo). Nel primo caso devono essere applicate le garanzie di cui all'articolo 4, paragrafo 4, della direttiva rimpatri; nel secondo, l'articolo 4, paragrafo 4, non è applicabile.

Il rispetto del principio di non respingimento riconosciuto dall'articolo 4, paragrafo 4, lettera b), della direttiva rimpatri – e sancito dall'articolo 19, paragrafo 2, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (di seguito, la «Carta») e dall'articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo (di seguito, la «CEDU») – è assoluto e non deve mai essere limitato, neanche nel caso in cui gli stranieri costituiscano una minaccia per l'ordine pubblico o abbiano commesso reati particolarmente gravi. Tali persone possono essere escluse dallo status di rifugiato o dallo status di protezione sussidiaria, ma non possono comunque essere rimpatriate in un luogo in cui potrebbero essere torturate o uccise.

2.3.   Casi di diritto penale e di estradizione

Gli Stati membri hanno la facoltà di decidere di non applicare la direttiva ai cittadini di paesi terzi che sono:

sottoposti a rimpatrio come sanzione penale, in conformità della legislazione nazionale,

sottoposti a rimpatrio come conseguenza di una sanzione penale, in conformità della legislazione nazionale, o

sottoposti a procedure di estradizione.

Ulteriore chiarimento

I casi di diritto penale previsti da tale disposizione sono quelli solitamente considerati come reati nell'ordinamento giuridico interno degli Stati membri.

Nella causa Filev e Osmani, C-297/12, la Corte di giustizia ha chiarito esplicitamente che le violazioni delle disposizioni della legge nazionale sugli stupefacenti e le condanne per traffico di stupefacenti possono essere casi ai quali è applicabile la deroga.

Nella causa Achughbabian, C-329/11, la Corte di giustizia ha confermato che tale deroga non può essere applicata ai cittadini di paesi terzi che abbiano commesso solo l'infrazione consistente nel soggiorno irregolare, salvo privare la direttiva della sua ratio e del suo effetto vincolante.

Le infrazioni di minore entità in materia di migrazione, quali il semplice ingresso o soggiorno irregolare, non possono giustificare il ricorso a tale deroga.

Le procedure di estradizione non sono necessariamente correlate alle procedure di rimpatrio. La Convenzione europea di estradizione (19) del 1957 circoscrive l'estradizione alla consegna di «individui perseguiti per un reato o ricercati per l'esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza dalle autorità giudiziarie della parte richiedente». Tuttavia, possono esservi sovrapposizioni e la deroga mira a chiarire che gli Stati membri hanno la facoltà di non applicare le garanzie procedurali contenute nella direttiva rimpatri quando effettuano un rimpatrio nel contesto delle procedure di estradizione.

3.   DISPOSIZIONI PIÙ FAVOREVOLI

Base giuridica: direttiva rimpatri, articolo 4

Sebbene sia intesa ad armonizzare le procedure di rimpatrio negli Stati membri, la direttiva rimpatri lascia esplicitamente impregiudicate le disposizioni più favorevoli vigenti in forza di accordi bilaterali o multilaterali internazionali (articolo 4, paragrafo 1).

La direttiva lascia inoltre impregiudicate «le disposizioni più favorevoli ai cittadini di paesi terzi previste dall'acquis comunitario in materia di immigrazione e di asilo» (articolo 4, paragrafo 2), nonché «la facoltà degli Stati membri di introdurre o mantenere disposizioni più favorevoli alle persone cui si applica, purché compatibili con le norme in essa stabilite» (articolo 4, paragrafo 3).

Ulteriore chiarimento

Poiché la direttiva rimpatri prevede norme minime comuni riguardo al rispetto dei diritti fondamentali delle persone nelle procedure di rimpatrio, l'espressione «più favorevoli» deve essere sempre interpretata come «più favorevoli per il rimpatriando» e non per lo Stato che esegue l'espulsione o procede all'allontanamento.

Gli Stati membri non hanno la facoltà di applicare norme più severe in ambiti disciplinati dalla direttiva rimpatri (cfr. sentenza della Corte di giustizia nella causa El Dridi  (20), C-61/11, punto 33: la «direttiva 2008/115/CE […] non permette invece a tali Stati di applicare norme più severe nell'ambito che essa disciplina»).

Imporre un'ammenda anziché emettere una decisione di rimpatrio: la direttiva rimpatri non consente l'istituzione di un meccanismo che imponga, in caso di soggiorno irregolare di cittadini di paesi terzi nel territorio di uno Stato membro, a seconda delle circostanze, o un'ammenda o l'allontanamento, in quanto tali misure sono applicabili l'una ad esclusione dell'altra (cfr. sentenza della Corte di giustizia nella causa Zaizoune  (21), C-38/14).

L'applicazione di parti della direttiva rimpatri alle persone escluse dal suo campo di applicazione ai sensi dell'articolo 2, paragrafo 2, lettere a) e b), è compatibile con la direttiva e può considerarsi disciplinata dall'articolo 4, paragrafo 3, in quanto tale pratica sarebbe più favorevole per il cittadino di paese terzo interessato.

4.   SANZIONI IN CASO DI VIOLAZIONE DELLE NORME IN MATERIA DI MIGRAZIONE

Base giuridica: direttiva rimpatri, secondo l'interpretazione della Corte di giustizia nelle cause C-61/11, El Dridi, C-329/11, Achughbabian, C-430/11, Sagor, C-297/12, Filev e Osmani, C-38/14, Zaizoune, C-290/14, Celaj, e C-47/15, Affum.

Gli Stati membri hanno la facoltà di stabilire sanzioni efficaci, proporzionate e dissuasive, tra cui la reclusione quale sanzione penale, in relazione a violazioni delle norme in materia di migrazione, purché tali misure non compromettano l'applicazione della direttiva rimpatri e garantiscano il pieno rispetto dei diritti fondamentali, in particolare quelli garantiti dalla Carta interpretata in conformità delle corrispondenti disposizioni della CEDU. Spetta al diritto nazionale determinare i tipi di violazione delle norme in materia di migrazione da sanzionare.

Nulla osta a che gli Stati membri tengano conto nel rispettivo diritto penale interno delle violazioni delle norme relative alla migrazione commesse anche in altri Stati membri.

Mancato rispetto di un divieto d'ingresso: gli Stati membri possono adottare sanzioni penali nei confronti di un cittadino di paese terzo il cui soggiorno è irregolare che, dopo essere stato rimpatriato, rientri nel territorio di uno Stato membro trasgredendo un divieto d'ingresso. Tale sanzione penale è ammessa solo a condizione che il divieto d'ingresso disposto nei confronti del suddetto cittadino sia conforme alle disposizioni della direttiva. La sanzione penale deve inoltre essere adottata nel pieno rispetto dei diritti fondamentali e della Convenzione di Ginevra del 1951 (22), in particolare l'articolo 31, paragrafo 1 (23) (cfr. sentenza della Corte di giustizia nella causa Celaj, C-290/14 (24)).

La direttiva rimpatri non osta all'irrogazione di sanzioni penali, ai sensi delle norme nazionali di procedura penale, a un cittadino di paese terzo cui sia stata applicata senza successo la procedura di rimpatrio prevista da tale direttiva e che soggiorni in modo irregolare nel territorio di uno Stato membro senza che esista un giustificato motivo che ne preclude il rimpatrio. Le sanzioni penali volte a dissuadere tale rimpatriando dal rimanere irregolarmente devono assicurare il pieno rispetto dei diritti fondamentali, in particolare quelli garantiti dalla CEDU (cfr. sentenza della Corte di giustizia nella causa Achughbabian, C-329/11, punti 48 e 49) e devono ottemperare al principio di proporzionalità.

La Commissione raccomanda agli Stati membri di prevedere sanzioni efficaci, proporzionate e dissuasive nel diritto nazionale (ad esempio ammende, sequestro di documenti, riduzione o rifiuto di prestazioni/indennità, rifiuto del permesso di lavoro) nei confronti di un cittadino di paese terzo che ostacoli intenzionalmente il processo di rimpatrio (ad esempio disfacendosi del documento di viaggio, fornendo una falsa identità, impedendo l'identificazione, rifiutandosi ripetutamente di imbarcarsi), a condizione che dette sanzioni non pregiudichino il raggiungimento degli obiettivi della direttiva rimpatri e garantiscano il pieno rispetto dei diritti fondamentali.

Criminalizzazione del mero soggiorno irregolare: gli Stati membri non possono imporre la pena della reclusione in base al diritto penale nazionale per il solo motivo di un soggiorno irregolare prima o durante l'esecuzione della procedura di rimpatrio poiché ciò ritarderebbe il rimpatrio stesso (cfr. sentenza della Corte di giustizia nella causa El Dridi, C-61/11). La direttiva rimpatri non esclude tuttavia la facoltà per gli Stati membri di reprimere con la pena della reclusione la perpetrazione di reati diversi da quelli attinenti alla sola circostanza del soggiorno irregolare, anche in situazioni in cui detta procedura non sia ancora stata conclusa (cfr. sentenza della Corte di giustizia nella causa Affum, C-47/15, punto 65).

Sanzioni pecuniarie: l'imposizione di una pena pecuniaria (proporzionata) per il soggiorno irregolare a norma del diritto penale nazionale non è, in quanto tale, incompatibile con gli obiettivi della direttiva rimpatri, giacché non impedisce che una decisione di rimpatrio sia emanata ed attuata nella piena osservanza delle condizioni enunciate in detta direttiva (cfr. sentenza della Corte di giustizia nella causa Sagor, C-430/11). Una normativa nazionale che, in caso di soggiorno irregolare, imponga un'ammenda o l'allontanamento è incompatibile con la direttiva rimpatri, dal momento che le due misure si escludono a vicenda, pregiudicando quindi l'effetto utile della direttiva stessa (cfr. sentenza della Corte di giustizia nella causa Zaizoune, C-38/14).

A norma dell'articolo 5 della direttiva 2009/52/CE del Parlamento europeo e del Consiglio (25) («direttiva sanzioni nei confronti dei datori di lavoro»), i datori di lavoro che assumono senza autorizzazione cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare sono soggetti al pagamento di una sanzione pecuniaria che comprenda, nei casi in cui siano effettuate procedure di rimpatrio, i costi ad esse relativi. Gli Stati membri possono decidere che le sanzioni finanziarie tengano conto almeno dei costi medi di rimpatrio.

L'espulsione immediata in base al diritto penale nazionale (nei casi non esclusi dall'ambito di applicazione della direttiva rimpatri ai sensi dell'articolo 2, paragrafo 2, lettera b — cfr. punto 2.3 del presente manuale) è consentita solo se la pronuncia giudiziaria che stabilisce tale sanzione è conforme a tutte le garanzie previste dalla direttiva rimpatri (comprese quelle riguardanti la forma delle decisioni di rimpatrio, le garanzie giuridiche e la valutazione preliminare della possibilità di una partenza volontaria) (cfr. sentenza della Corte di giustizia nella causa Sagor, C-430/11).

La permanenza domiciliare ai sensi del diritto penale nazionale è consentita solo se si garantisce che essa non ostacoli il rimpatrio e abbia fine nel momento in cui è possibile trasferire fisicamente l'interessato fuori dallo Stato membro (cfr. sentenza della Corte di giustizia nella causa Sagor, C-430/11).

Ulteriore chiarimento

I «giustificati motivi che precludono il rimpatrio» possono essere:

motivi che esulano dalla volontà del rimpatriando (ad esempio, ritardi nell'ottenere la documentazione necessaria dai paesi terzi dovuti alla scarsa collaborazione delle autorità di tali paesi, una situazione di crisi nel paese di rimpatrio che renda impossibile il rimpatrio in condizioni di sicurezza, la concessione di un rinvio formale del rimpatrio a talune categorie di rimpatriandi), o

motivi direttamente legati alla situazione del rimpatriando che sono riconosciuti come legittimi o giustificati dal diritto dell'Unione europea o nazionale (ad esempio, problemi di salute o motivi familiari che comportino il rinvio dell'allontanamento, una procedura di ricorso in atto con effetto sospensivo, la decisione di collaborare con le autorità in qualità di testimoni). La mera intenzione soggettiva di restare nell'Unione europea non può mai essere ritenuta un «motivo giustificato».

I «motivi non giustificati che precludono il rimpatrio» possono essere motivi dipendenti dalla volontà del rimpatriando che non sono riconosciuti come legittimi o giustificati dal diritto dell'Unione europea o nazionale (ad esempio, la mancanza di collaborazione per l'ottenimento dei documenti di viaggio, la mancanza di collaborazione nel rendere nota la propria identità, la distruzione dei documenti, la fuga o la creazione di ostacoli ai tentativi di allontanamento).

5.   FERMO E OBBLIGO DI EMETTERE UN DECISIONE DI RIMPATRIO

Base giuridica: direttiva rimpatri, articolo 6, paragrafo 1

Gli Stati membri adottano una decisione di rimpatrio nei confronti di qualunque cittadino di un paese terzo il cui soggiorno nel loro territorio è irregolare.

Gli Stati membri hanno l'obbligo di adottare una decisione di rimpatrio nei confronti di qualunque cittadino di paese terzo il cui soggiorno nel loro territorio è irregolare, salvo nel caso in cui il diritto dell'Unione europea non preveda espressamente una deroga (si vedano le eccezioni descritte qui di seguito). Gli Stati membri non sono autorizzati a tollerare de facto la presenza di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno nel loro territorio è irregolare senza avviare una procedura di rimpatrio o concedere un diritto di soggiorno. Tale obbligo per gli Stati membri di avviare una procedura di rimpatrio o di concedere un diritto di soggiorno ha lo scopo di ridurre le «zone grigie», di evitare lo sfruttamento delle persone che soggiornano in modo irregolare e di rafforzare la certezza del diritto per tutte le parti coinvolte.

Gli Stati membri devono adottare una decisione di rimpatrio indipendentemente dal fatto che il cittadino del paese terzo sia o non sia in possesso di un documento valido di identità o di viaggio e a prescindere dalla possibilità o meno della riammissione in un paese terzo.

La validità delle decisioni di rimpatrio non dovrebbe essere limitata nel tempo. Le autorità nazionali competenti dovrebbero essere in grado di eseguire le decisioni di rimpatrio senza dover necessariamente riavviare la procedura dopo un certo lasso di tempo (ad esempio, un anno), a condizione che la situazione individuale del cittadino di paese terzo interessato non sia mutata in modo significativo de jure o de facto (ad esempio, modifica dello status giuridico, rischio di respingimento) e fatti salvi il diritto di essere sentito e il diritto a un ricorso effettivo.

Come regola generale, il criterio pertinente per stabilire lo Stato membro cui spetta eseguire la procedura di rimpatrio è il luogo del fermo. Ad esempio: se un migrante irregolare è entrato nell'Unione europea attraverso lo Stato membro A (senza essere scoperto), ha poi viaggiato attraverso gli Stati membri B e C (senza essere scoperto) ed è infine fermato nello Stato membro D, spetta a quest'ultimo mettere in moto la procedura di rimpatrio. Il ripristino temporaneo dei controlli alle frontiere interne tra gli Stati dello spazio Schengen lascia impregiudicato tale principio. Le eccezioni a questa regola generale sono descritte nei successivi punti 5.2, 5.3, 5.4, 5.5 e 5.8 del presente manuale.

Ulteriore chiarimento

Parallelamente all'adozione di una decisione di rimpatrio può essere imposta un'ammenda amministrativa per il soggiorno irregolare in conformità del diritto nazionale. Tale ammenda non può tuttavia sostituire l'obbligo per gli Stati membri di emettere una decisione di rimpatrio e di procedere all'allontanamento (cfr. sentenza della Corte di giustizia nella causa Zaizoune, C-38/14).

La decisione di rimpatrio deve esplicitare l'obbligo per il cittadino del paese terzo di lasciare il territorio dello Stato membro che l'ha emanata, al fine di raggiungere un paese terzo conformemente a quanto stabilito nella definizione di «rimpatrio» (cfr. punto 1.3 del presente manuale) o, in altre parole, di lasciare il territorio degli Stati membri dell'UE e dei paesi associati Schengen. Una mancanza di chiarezza relativamente all'obbligo a carico del cittadino di paese terzo può portare, come effetto indesiderato, ad un rischio di spostamenti secondari non autorizzati.

Occorre adottare una decisione di rimpatrio conformemente alla direttiva rimpatri anche qualora si proceda al rimpatrio mediante un accordo di riammissione: il ricorso ad accordi di riammissione con paesi terzi (riguardanti le relazioni tra gli Stati membri dell'Unione europea e i paesi terzi) lascia impregiudicata l'applicazione piena ed inclusiva della direttiva rimpatri (riguardante le relazioni tra lo Stato che esegue l'allontanamento e il rimpatriando) in ogni singolo caso di rimpatrio. Il ricorso all'accordo di riammissione, infatti, presuppone l'adozione preliminare di una decisione di rimpatrio.

La legislazione nazionale può prevedere che un cittadino di un paese terzo abbia l'obbligo di lasciare il territorio dell'Unione europea se il suo soggiorno è irregolare. Tale obbligo giuridico astratto non si configura come una decisione di rimpatrio e deve in ciascun caso concretizzarsi in una decisione di rimpatrio individuale.

Le autorità nazionali competenti dovrebbero avvalersi pienamente dei sistemi informatici pertinenti dell'Unione europea, quali il sistema d'informazione Schengen di seconda generazione («SIS II»), Eurodac e il sistema di informazione visti («VIS»), allo scopo di contribuire all'identificazione e alla valutazione di ogni singolo caso, nonché per facilitare e promuovere la cooperazione tra gli Stati membri nelle procedure di rimpatrio e di riammissione.

Gli Stati membri dovrebbero adottare misure efficaci e proporzionate per rintracciare, individuare e fermare i cittadini di paesi terzi che soggiornano irregolarmente nel loro territorio, al fine di adempiere all'obbligo di emettere decisioni di rimpatrio. A tale riguardo va ricordato che l'articolo 13, paragrafo 1, del codice frontiere Schengen stabilisce che gli Stati membri fermino e sottopongano a procedure di rimpatrio i cittadini di paesi terzi che abbiano attraversato illegalmente una frontiera esterna e che non abbiano il diritto di soggiornare nell'UE. Inoltre, ai sensi dell'articolo 14 della direttiva sanzioni nei confronti dei datori di lavoro, gli Stati membri garantiscono che siano effettuate ispezioni efficaci e adeguate sul loro territorio ai fini del controllo dell'impiego di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare.

Pratiche di fermo: rispetto dei diritti fondamentali

L'obbligo imposto agli Stati membri di emettere una decisione di rimpatrio nei confronti di qualunque cittadino di un paese terzo il cui soggiorno nel loro territorio è irregolare è subordinato al rispetto dei diritti fondamentali, tra cui il principio di proporzionalità (considerando 24). L'obiettivo legittimo della lotta contro la migrazione irregolare può essere valutato in relazione ad altri interessi legittimi dello Stato, quali le considerazioni generali di sanità pubblica, l'interesse dello Stato di contrastare la criminalità, l'interesse di disporre di un registro anagrafico completo delle nascite, il rispetto dell'«interesse superiore del bambino» (espressamente sottolineato nel considerando 22), la convenzione di Ginevra (citata nel considerando 23) e altri diritti fondamentali pertinenti riconosciuti dalla Carta.

La Commissione rinvia alle considerazioni esposte nel documento 2012 dell'Agenzia per i diritti fondamentali, «L'arresto dei migranti irregolari – considerazioni sui diritti fondamentali» (documento 13847/12 del Consiglio), quale guida sul modo di attuare le pratiche di fermo nel rispetto dei diritti fondamentali dei cittadini di paesi terzi, assicurando nel contempo l'efficacia delle procedure di rimpatrio. È possibile ritenere che le prassi degli Stati membri che rispettano tale guida non incidano sull'obbligo di emettere decisioni di rimpatrio nei confronti di un cittadino di paese terzo il cui soggiorno sia irregolare ai sensi dell'articolo 6, paragrafo 1, della direttiva rimpatri:

Accesso all'assistenza sanitaria

Gli immigrati irregolari che necessitano di assistenza medica non dovrebbero essere fermati all'interno o nei pressi delle strutture sanitarie.

Ai referenti del sistema sanitario non dovrebbe essere richiesto di condividere i dati personali dell'immigrato con le autorità preposte all'applicazione delle norme in materia di immigrazione ai fini di un eventuale rimpatrio.

Accesso al sistema scolastico

Gli immigrati irregolari non dovrebbero essere fermati all'interno o nei pressi delle scuole frequentate dai propri figli.

Ai referenti delle scuole non dovrebbe essere richiesto di condividere i dati personali dell'immigrato con le autorità preposte all'applicazione delle norme in materia di immigrazione ai fini di un suo eventuale rimpatrio.

Libertà di religione

I migranti irregolari non dovrebbero essere fermati all'interno o nei pressi delle istituzioni religiose durante la pratica del culto.

Registrazione alla nascita

Gli immigrati irregolari dovrebbero avere la possibilità di registrare la nascita e ottenere il certificato di nascita dei propri figli senza correre il rischio di essere fermati.

Ai referenti dei Comuni responsabili del rilascio dei certificati di nascita non dovrebbe essere richiesto di condividere i dati personali dell'immigrato con le autorità preposte all'applicazione delle norme in materia di immigrazione ai fini di un suo eventuale rimpatrio.

Accesso al sistema giudiziario

Ai fini della lotta alla criminalità, lo Stato membro può considerare di introdurre la possibilità, per le vittime o i testimoni di un reato, di presentare denuncia senza temere di essere fermati. A tale scopo possono essere prese in considerazioni le seguenti buone prassi:

rendere possibili le segnalazioni da parte di utenti anonimi, semi-anonimi o introdurre ulteriori sistemi di segnalazione,

offrire alle vittime e ai testimoni di reati gravi la possibilità di rivolgersi alla polizia per interposta persona (difensore civico; funzionari appositamente designati o enti che forniscono assistenza umanitaria e legale),

definire le condizioni in base alle quali le vittime o i testimoni di reati, compresa la violenza domestica, potrebbero ottenere il permesso di soggiorno sulla base delle norme previste nella direttiva 2004/81/CE del Consiglio (26) e nella direttiva 2009/52/CE,

valutare la necessità di eliminare il collegamento fra lo status di immigrati delle vittime di violenza e il principale titolare del permesso, che è allo stesso tempo l'autore del reato,

realizzare materiale informativo, in collaborazione con l'ispettorato del lavoro o altri organismi, allo scopo di informare, in modo sistematico e obiettivo, gli immigrati il cui fermo è avvenuto presso il luogo di lavoro circa la possibilità di presentare denuncia contro il datore di lavoro sulla base delle norme contenute nella direttiva 2009/52/CE e, in questo contesto, adottare misure volte a preservare elementi di prova pertinenti.

Gli immigrati irregolari che necessitano di assistenza legale non dovrebbero essere fermati all'interno o nei pressi dei sindacati o di altri organismi che offrono una simile assistenza.

La Commissione raccomanda inoltre che i cittadini di paesi terzi in situazione irregolare che intendano accedere alle sedi dei servizi pubblici che registrano le domande di protezione internazionale o le domande di attribuzione dello status di apolidia non siano fermati all'interno o nei pressi di tali strutture.

Casi speciali

5.1.   Fermo nel corso di una verifica all'uscita

Base giuridica: direttiva rimpatri, articolo 6

In determinate circostanze può essere adottata una decisione di rimpatrio, previa valutazione caso per caso e tenendo conto del principio di proporzionalità, anche nei confronti di un cittadino di paese terzo il cui soggiorno è irregolare fermato alla frontiera esterna dell'Unione europea al momento di uscire dal territorio dell'Unione. Ciò potrebbe essere giustificato qualora, durante le verifiche all'uscita, risulti che la durata del soggiorno autorizzata è stata superata in misura significativa o che il soggiorno è irregolare. In tali circostanze, gli Stati membri potrebbero dare avvio a una procedura di rimpatrio nel momento in cui vengono a conoscenza del soggiorno irregolare e continuare la procedura di adozione di una decisione di rimpatrio, accompagnata da un divieto d'ingresso, nel quadro di una procedura in contumacia, rispettando le garanzie procedurali illustrate ai punti 11.3 e 12 del presente manuale.

Sebbene in tale situazione specifica la persona sia comunque in procinto di uscire dall'Unione europea, l'emissione di una decisione di rimpatrio può rivelarsi opportuna in quanto consente agli Stati membri di emettere anche un divieto d'ingresso e, quindi, di evitare un ulteriore ingresso e un possibile rischio di soggiorno irregolare.

La Commissione invita gli Stati membri a istituire procedure per l'emissione di decisioni di rimpatrio e, se del caso, di divieti d'ingresso direttamente all'aeroporto, ad altri valichi di frontiera esterni o, per quanto riguarda i divieti d'ingresso, in contumacia (cfr. punto 11.3 del presente manuale) per tali casi specifici.

Se un cittadino di paese terzo ha superato il periodo di validità del visto o del permesso in un primo Stato membro ed esce dall'Unione europea attraverso un secondo Stato membro/uno Stato membro di transito, la decisione di rimpatrio e il divieto d'ingresso devono essere emessi dal secondo Stato membro (di norma, chi supera il periodo di validità del visto o del permesso è anche una «persona il cui soggiorno è irregolare», ai sensi della direttiva rimpatri, nel secondo Stato membro).

5.2.   Destinatari di una decisione di rimpatrio emessa da un altro Stato membro

Base giuridica: direttiva del Consiglio 2001/40/CE  (27)

Promemoria storico/spiegazione: l'effetto di una decisione di rimpatrio emessa da uno Stato membro in un altro Stato membro era oggetto di un capo distinto (capo V: «Arresto in un altro Stato membro») della proposta di direttiva in materia di rimpatri presentata dalla Commissione nel 2005. Tale capo, unitamente all'articolo 20 della proposta della Commissione che prevedeva l'abrogazione della direttiva 2001/40/CE relativa al riconoscimento reciproco delle decisioni di allontanamento dei cittadini di paesi terzi, è stato tuttavia soppresso durante i negoziati e la direttiva 2001/40/CE è rimasta in vigore. La direttiva 2001/40/CE consente espressamente di riconoscere una decisione di rimpatrio emessa da un'autorità competente in uno Stato membro nei confronti di un cittadino di un paese terzo presente nel territorio di un altro Stato membro. L'articolo 6 della direttiva rimpatri non menziona esplicitamente il caso del riconoscimento da parte di un secondo Stato membro di una decisione di rimpatrio emessa da un primo Stato membro conformemente alla direttiva 2001/40/CE. Un'interpretazione letterale dell'articolo 6 secondo cui, in tal caso, lo Stato membro che riconosce la decisione di rimpatrio dovrebbe emettere una seconda decisione di rimpatrio pienamente conforme alla direttiva 2008/115/CE, priverebbe la direttiva 2001/40/CE di qualsiasi valore aggiunto. Al fine di conferire un effetto utile al mantenimento in vigore della direttiva 2001/40/CE si è reso necessario cercare un'interpretazione che desse un significato utile alla coesistenza di entrambe le direttive.

Se lo Stato membro A ferma una persona già oggetto di una decisione di rimpatrio emessa dallo Stato membro B, lo Stato membro A può scegliere di:

a)

emettere una nuova decisione di rimpatrio ai sensi dell'articolo 6, paragrafo 1, della direttiva rimpatri; o

b)

rinviare la persona nello Stato membro B in base a un accordo bilaterale vigente conformemente all'articolo 6, paragrafo 3, della direttiva rimpatri; o

c)

riconoscere la decisione di rimpatrio emessa dallo Stato membro B conformemente alla direttiva 2001/40/CE.

Se riconosce la decisione di rimpatrio emessa dallo Stato membro B conformemente alla direttiva 2001/40/CE, lo Stato membro A ha comunque l'obbligo di applicare le garanzie relative all'esecuzione del rimpatrio (allontanamento) previste dalla direttiva rimpatri nel momento in cui esegue la decisione di rimpatrio riconosciuta.

Il riconoscimento reciproco delle decisioni di rimpatrio può conferire in certi casi un considerevole valore aggiunto, in particolare nel contesto del transito dei rimpatriandi per via terrestre (cfr. punto 6.4 del presente manuale). La Commissione incoraggia gli Stati membri ad avvalersi della possibilità del riconoscimento reciproco ogniqualvolta essa contribuisca ad accelerare le procedure di rimpatrio e a ridurre gli oneri amministrativi.

5.3.   Relazione con il regolamento Dublino

Base giuridica: regolamento (UE) n. 604/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio (28) («regolamento Dublino»), articoli 19 e 24

L'articolo 6 della direttiva rimpatri non menziona esplicitamente il caso in cui un secondo Stato membro si avvale della possibilità, offerta dal regolamento Dublino, di chiedere a un primo Stato membro di riprendere in carico il cittadino di paese terzo in posizione irregolare. Un'interpretazione letterale dell'articolo 6, secondo cui in questo caso lo Stato membro richiedente (il secondo) dovrebbe anche emettere una decisione di rimpatrio pienamente conforme alla direttiva 2008/115/CE, priverebbe le disposizioni pertinenti del regolamento Dublino del loro valore aggiunto. Il testo del regolamento Dublino affronta esplicitamente tale questione e prevede disposizioni chiare per articolare l'applicazione della direttiva rimpatri e del regolamento Dublino.

Esulano dall'ambito di applicazione della direttiva rimpatri i casi in cui un cittadino di paese terzo abbia presentato domanda di asilo e ottenuto un diritto di soggiorno in qualità di richiedente asilo nel secondo Stato membro: il soggiorno di tale cittadino nel secondo Stato membro, infatti, non può essere considerato irregolare, giacché egli è in possesso di un diritto di soggiorno in qualità di richiedente asilo.

Rientrano invece nell'ambito di applicazione della direttiva rimpatri i casi in cui un cittadino di paese terzo non abbia presentato domanda di asilo e non abbia ottenuto un diritto di soggiorno in qualità di richiedente asilo nel secondo Stato membro. Potrebbero allora prospettarsi le seguenti situazioni (29):

a)

il cittadino di paese terzo ha uno status di richiedente asilo nel primo Stato membro (procedura in corso, decisione definitiva non ancora adottata): si applica il regolamento Dublino sulla base del principio secondo cui, qualora un cittadino di paese terzo presenti domanda di asilo in uno degli Stati membri, le sue esigenze di protezione internazionale dovrebbero essere pienamente esaminate da un solo Stato membro. Uno Stato membro non può rimpatriare tale cittadino in un paese terzo; può invece rinviarlo nello Stato membro competente ai sensi del regolamento Dublino, in modo che la sua domanda possa essere esaminata;

b)

il cittadino di paese terzo ha ritirato la propria domanda di asilo nel primo Stato membro: se il ritiro della domanda ne ha determinato il rigetto (sulla base degli articoli 27 o 28 della direttiva rifusa sulle procedure di asilo) sono applicabili le norme descritte qui di seguito al punto c) (scelta tra l'applicazione del regolamento Dublino o della direttiva rimpatri). Se il ritiro della domanda non ne ha determinato il rigetto, si applica il regolamento Dublino (quale «lex specialis») sulla base del principio secondo cui, qualora un cittadino di paese terzo presenti domanda di asilo in uno degli Stati membri, le sue esigenze di protezione internazionale dovrebbero essere pienamente esaminate da un solo Stato membro;

c)

il cittadino di paese terzo è destinatario di una decisione definitiva nel primo Stato membro che respinge la sua domanda di asilo: è possibile scegliere se applicare il regolamento Dublino o la direttiva rimpatri. Nel regolamento Dublino questa possibilità di scelta è espressamente prevista dall'articolo 24, paragrafo 4, in cui tra l'altro si chiarisce che dal momento in cui le autorità decidono di effettuare una richiesta ai sensi del regolamento Dublino vengono sospese l'applicazione della direttiva rimpatri e le procedure di rimpatrio e sono applicabili unicamente le disposizioni del regolamento Dublino (ciò riguarda anche le disposizioni relative al trattenimento e ai mezzi di ricorso);

d)

il cittadino di paese terzo è già stato oggetto di un rimpatrio/allontanamento andato a buon fine (in seguito al rigetto o al ritiro di una domanda di asilo) dal primo Stato membro in un paese terzo: qualora tale cittadino dovesse rientrare nel territorio dell'Unione europea, l'articolo 19, paragrafo 3, del regolamento Dublino stabilisce che il primo Stato membro non può essere più competente per detto cittadino; non può essere pertanto previsto alcun trasferimento in questo Stato membro. Si applicherà quindi la direttiva rimpatri.

Esempi pratici

Una persona che ha presentato domanda di protezione internazionale nello Stato membro A si sposta senza averne diritto nello Stato membro limitrofo B (attraversamento di frontiere interne), dove viene fermata dalla polizia. In qualità di persona cui è applicabile il regolamento Dublino, viene nuovamente trasferita dallo Stato membro B allo Stato membro A. In questa situazione, lo Stato membro B deve emettere una decisione di rimpatrio nei confronti di tale persona per soggiorno irregolare nel proprio territorio?

Prevalgono le disposizioni del regolamento Dublino. Lo Stato membro B non può emettere alcuna decisione di rimpatrio.

Lo Stato membro A (nello scenario sopra descritto) può emettere una decisione di rimpatrio (unitamente a un divieto d'ingresso che sarà rinviato in attesa del completamento della procedura di asilo)?

No. Finché la persona gode del diritto di soggiorno come richiedente asilo nello Stato membro A, il suo soggiorno nello Stato membro A non è irregolare ai sensi della direttiva rimpatri e lo Stato membro A non può emettere alcuna decisione di rimpatrio.

Un cittadino di paese terzo al quale lo Stato membro A ha concesso la protezione internazionale soggiorna in modo irregolare nello Stato membro B (ha superato, ad esempio, la durata di soggiorno autorizzata di 90 giorni). In questo caso è applicabile la direttiva rimpatri? Quali procedure si applicano se la persona rifiuta di ritornare volontariamente nel primo Stato membro che le ha concesso la protezione?

Il regolamento Dublino non contiene disposizioni riguardanti la ripresa in carico di chi beneficia di protezione internazionale. Si applica pertanto il «regime generale» previsto dall'articolo 6, paragrafo 2, della direttiva rimpatri. Ciò implica che lo Stato membro B deve chiedere all'interessato di ritornare nello Stato membro A e, se la persona non lo fa di sua spontanea volontà, lo Stato membro B deve valutare la possibilità di emettere una decisione di rimpatrio, tenendo conto di tutte le garanzie previste dalla direttiva rimpatri, in particolare del principio di non respingimento. In talune circostanze, quando il rimpatrio/l'allontanamento in un paese terzo non è possibile e il «rinvio» in un altro Stato membro può essere considerato una misura più favorevole (cfr. punto 3 del presente manuale), lo Stato membro B può eseguire il «rinvio» della persona nello Stato membro A; le procedure relative al «rinvio» in un altro Stato membro di un cittadino di paese terzo il cui soggiorno è irregolare sono disciplinate dal diritto nazionale.

Un cittadino di paese terzo al quale siano state rilevate le impronte digitali in seguito a un ingresso irregolare nello Stato membro A, in cui non ha fatto richiesta di asilo, viene successivamente fermato nello Stato membro B. Quest'ultimo può trasferire nuovamente tale persona nello Stato membro A ai sensi del regolamento Dublino?

No. Il regolamento Dublino non è applicabile in quanto non esiste alcuna relazione con una procedura di asilo.

5.4.   Cittadino di paese terzo il cui soggiorno è irregolare titolare di un diritto di soggiorno in un altro Stato membro

Base giuridica: direttiva rimpatri, articolo 6, paragrafo 2

Un cittadino di un paese terzo il cui soggiorno nel territorio di uno Stato membro è irregolare e che è in possesso di un permesso di soggiorno valido o di un'altra autorizzazione che conferisca il diritto di soggiornare rilasciati da un altro Stato membro deve recarsi immediatamente nel territorio di quest'ultimo. In caso di mancata osservanza di questa prescrizione da parte del cittadino di un paese terzo interessato ovvero qualora motivi di ordine pubblico o di sicurezza nazionale impongano la sua immediata partenza, si applica il paragrafo 1.

Tale disposizione, che ne sostituisce una simile contenuta nell'articolo 23, paragrafi 2 e 3, della convenzione di applicazione dell'accordo di Schengen (CAS) (30), prevede che non sia adottata alcuna decisione di rimpatrio nei confronti di un cittadino di un paese terzo il cui soggiorno è irregolare che è in possesso di un permesso di soggiorno valido in un altro Stato membro. In tal caso, si dovrebbe in primo luogo chiedere al cittadino di paese terzo di ritornare immediatamente nello Stato membro in cui gode di un diritto di soggiorno. Solo se la persona interessata non osserva questa prescrizione o se si configura un rischio per l'ordine pubblico o la sicurezza nazionale, dev'essere adottata una decisione di rimpatrio.

Ulteriore chiarimento

La forma in cui viene emessa la richiesta di «recarsi immediatamente nel territorio dell'altro Stato membro» dovrebbe essere stabilita conformemente al diritto nazionale. Si raccomanda di formulare le decisioni per iscritto e di motivarle. Per evitare confusione, la decisione non dovrebbe chiamarsi «decisione di rimpatrio».

Periodo concesso per ritornare nell'altro Stato membro: non può essere fornita alcuna indicazione generale riguardo al periodo che dovrebbe intercorrere tra la richiesta di recarsi nel territorio di un altro Stato membro e il momento in cui viene emessa una decisione di rimpatrio ai sensi dell'articolo 6, paragrafo 1. Dovrebbe essere scelto un periodo di tempo adeguato conformemente al diritto nazionale, tenendo conto delle circostanze individuali, del principio di proporzionalità e del fatto che la disposizione giuridica utilizza il termine «immediatamente». Il periodo compreso tra la richiesta di recarsi nell'altro Stato membro e l'emissione di una decisione di rimpatrio ai sensi dell'articolo 6, paragrafo 1, non deve essere computato in un eventuale periodo per la partenza volontaria, poiché quest'ultimo è un elemento della decisione di rimpatrio e inizia a decorrere solo dal momento dell'emissione di una decisione di rimpatrio.

Controllo della partenza per l'altro Stato membro: il diritto dell'Unione europea non specifica in quale modo si debba accertare l'osservanza dell'obbligo di ritornare nell'altro Stato membro. Gli Stati membri dovrebbero assicurarsi, conformemente al diritto nazionale, che sia dato un seguito adeguato alle loro decisioni.

Verifica della validità delle autorizzazioni/dei permessi rilasciati da un altro Stato membro: non esiste attualmente un sistema centrale per lo scambio di informazioni tra gli Stati membri a tale riguardo. Gli Stati membri sono incoraggiati a collaborare a livello bilaterale e a trasmettersi reciprocamente, senza indugio, le informazioni pertinenti, conformemente al diritto nazionale e agli accordi di cooperazione bilaterali. A tale scopo si potrebbero utilizzare anche i punti di contatto nazionali esistenti (ad esempio, quelli elencati nell'allegato 2 del manuale Schengen (31)).

L'espressione «di un permesso di soggiorno valido o di un'altra autorizzazione che conferisca il diritto di soggiornare» (32) è di portata molto ampia e riguarda qualunque status concesso o permesso rilasciato da uno Stato membro che offra un diritto di soggiorno regolare e non solo l'accettazione di un rinvio temporaneo del rimpatrio o dell'allontanamento.

Vi rientrano:

un visto a lungo termine (che concede chiaramente un diritto di soggiorno),

un permesso temporaneo per motivi umanitari (purché esso conceda un diritto di soggiorno e non un semplice rinvio del rimpatrio),

un permesso di soggiorno scaduto basato su uno status di protezione internazionale ancora valido (lo status di protezione internazionale non dipende dalla validità del documento che lo attesta),

un visto valido apposto su un documento di viaggio non valido (scaduto) – in base alla legislazione pertinente dell'Unione europea, non è possibile rilasciare un visto con un periodo di validità più lungo di quello del passaporto. Nella pratica, pertanto, il caso di un visto valido apposto su un passaporto scaduto non dovrebbe mai verificarsi. Qualora tale caso si verifichi, il cittadino del paese terzo non dovrebbe essere indebitamente penalizzato. Per maggiori informazioni sulle disposizioni pertinenti relative ai visti si rimanda alla parte II, punti 4.1.1. e 4.1.2., del manuale sui visti aggiornato (33).

Non vi rientrano:

un permesso di soggiorno scaduto basato su uno status di soggiorno scaduto,

passaporti o permessi di soggiorno contraffatti, falsi o alterati,

un documento che certifichi il rinvio temporaneo dell'allontanamento,

i casi di tolleranza (purché essa non implichi un diritto giuridico di soggiorno).

L'allontanamento verso altri Stati membri non è una regola generale: se un cittadino di un paese terzo non accetta di ritornare volontariamente, ai sensi dell'articolo 6, paragrafo 2, nello Stato membro che gli ha rilasciato un permesso, si applica l'articolo 6, paragrafo 1, e si deve adottare una decisione che preveda il rimpatrio diretto in un paese terzo. Non è possibile rinviare forzatamente la persona nell'altro Stato membro, salvo che un accordo bilaterale tra gli Statimembri già in vigore al 13 gennaio 2009 (cfr. punto 5.5 del presente manuale) non preveda espressamente questa possibilità, o a meno che non sussistano circostanze in cui il rimpatrio/l'allontanamento in un paese terzo è impossibile e lo Stato membro che ha rilasciato il permesso accetta di riprendere in carico l'interessato.

Non si emettono divieti d'ingresso nell'Unione europea quando si applica l'articolo 6, paragrafo 2: quando si rinvia un cittadino di un paese terzo il cui soggiorno è irregolare in un altro Stato membro ai sensi dell'articolo 6, paragrafo 2, non può essere emesso alcun divieto d'ingresso nell'Unione europea ai sensi dell'articolo 11, poiché quest'ultimo si applica solo in relazione all'emissione di una decisione di rimpatrio e non si applica nei casi di mero «rinvio» in un altro Stato membro. Dal punto di vista pratico, inoltre, è inutile emettere un divieto d'ingresso nell'Unione europea in una situazione in cui la persona interessata continuerà a soggiornare in modo regolare in un altro Stato membro.

Partenza immediata richiesta per motivi di ordine pubblico o di sicurezza nazionale: nelle circostanze eccezionali di cui all'articolo 6, paragrafo 2, seconda frase (secondo caso), la persona deve essere immediatamente oggetto di una decisione di rimpatrio e allontanata in un paese terzo. Lo Stato membro in cui la persona gode del diritto di soggiorno dovrebbe esserne informato.

Esempio pratico

Quali disposizioni della direttiva rimpatri dovrebbero essere applicate nei confronti di un cittadino di paese terzo individuato nello Stato membro A che sia in possesso di un permesso di soggiorno valido rilasciato dallo Stato membro B e che, al tempo stesso, sia oggetto di una segnalazione nel SIS (divieto d'ingresso) effettuata dallo Stato membro C?

Lo Stato membro A dovrebbe applicare l'articolo 6, paragrafo 2, della direttiva e chiedere alla persona di rientrare nello Stato membro B. La coesistenza di un divieto d'ingresso emesso dallo Stato membro C e di un permesso di soggiorno rilasciato dallo Stato membro B deve essere chiarita a livello bilaterale tra lo Stato membro C che ha effettuato la segnalazione e lo Stato membro B che ha rilasciato il permesso, conformemente all'articolo 25, paragrafo 2, della convenzione di applicazione dell'accordo di Schengen.

5.5.   Cittadino di paese terzo il cui soggiorno è irregolare il cui caso è contemplato da accordi bilaterali vigenti tra gli Stati membri

Base giuridica: direttiva rimpatri, articolo 6, paragrafo 3

Un elenco indicativo degli accordi bilaterali di riammissione vigenti tra gli Stati membri è disponibile sul sito: http://rsc.eui.eu/RDP/research/analyses/ra/

Gli Stati membri possono astenersi dall'emettere una decisione di rimpatrio nei confronti di un cittadino di un paese terzo il cui soggiorno nel loro territorio è irregolare qualora il cittadino in questione sia ripreso da un altro Stato membro in virtù di accordi o intese bilaterali vigenti alla data di entrata in vigore della presente direttiva [13 gennaio 2009]. In tal caso lo Stato membro che riprende il cittadino in questione applica il paragrafo 1.

Tale disposizione prevede, quale eccezione e sotto forma di «clausola sospensiva», la possibilità per gli Stati membri di rinviare i migranti irregolari in un altro Stato membro sulla base di accordi o intese bilaterali vigenti al 13 gennaio 2009.

Promemoria storico/spiegazione: questa disposizione è stata inserita nel testo della direttiva rimpatri in una fase avanzata dei negoziati, a seguito della ferma richiesta di alcuni Stati membri che insistevano sul fatto che la direttiva non avrebbe dovuto obbligarli a modificare pratiche consolidate di ripresa in carico/rinvio in altri Stati membri di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno era irregolare nel quadro di accordi bilaterali.

Il principio su cui si basa la direttiva rimpatri è il rimpatrio diretto di un cittadino di paese terzo il cui soggiorno è irregolare dall'Unione europea verso un paese terzo. L'articolo 6, paragrafo 3, della direttiva prevede pertanto una deroga che riguarda unicamente l'obbligo dello Stato membro nel cui territorio si trova il cittadino in questione di adottare una decisione di rimpatrio nei suoi confronti, obbligo che di conseguenza incombe allo Stato membro che lo riprende in carico. Esso non stabilisce una deroga all'ambito di applicazione della direttiva rimpatri in aggiunta a quelle previste dall'articolo 2, paragrafo 2 (cfr. sentenza della Corte di giustizia nella causa Affum, C-47/15, punti da 82 a 85).

Ulteriore chiarimento

Ricorso successivo ad accordi bilaterali tra gli Stati membri A-B e B-C: la direttiva rimpatri, segnatamente l'articolo 6, paragrafo 3, non vieta espressamente la «ripresa in carico con effetto domino» in base ad accordi bilaterali vigenti. È importante tuttavia che, alla fine, tutta la procedura di rimpatrio ai sensi della direttiva sia eseguita da un unico Stato membro. Poiché questo tipo di procedure successive è costoso per le amministrazioni e comporta ulteriori disagi per il rimpatriando, gli Stati membri sono incoraggiati ad astenersi dal ricorrere a tale pratica.

Nessun divieto d'ingresso nell'UE quando si applica l'articolo 6, paragrafo 3: quando si rinvia un cittadino di paese terzo il cui soggiorno è irregolare in un altro Stato membro ai sensi dell'articolo 6, paragrafo 3, non può essere emesso alcun divieto d'ingresso nell'UE ai sensi dell'articolo 11, poiché quest'ultimo si applica solo in relazione all'emissione di una decisione di rimpatrio e non in caso di mero «rinvio» in un altro Stato membro. Dal punto di vista pratico, inoltre, è inutile emettere un divieto d'ingresso nell'UE in una situazione in cui la persona non lascia per il momento l'UE. Per quanto riguarda la possibilità di emettere, in casi eccezionali, divieti d'ingresso puramente nazionali ai sensi dell'articolo 25, paragrafo 2, della convenzione di applicazione dell'accordo di Schengen, cfr. punto 11.8 del presente manuale.

Decisione di trasferire il cittadino di paese terzo in un altro Stato membro: tale decisione, che rientra tra le misure previste dalla direttiva rimpatri allo scopo di porre fine al soggiorno irregolare, costituisce una fase preparatoria all'allontanamento dal territorio dell'Unione. Gli Stati membri devono quindi adottare tale decisione con diligenza e con la massima celerità, affinché il trasferimento verso lo Stato membro responsabile della procedura di rimpatrio abbia luogo al più presto (cfr. sentenza della Corte di giustizia nella causa Affum, C-47/15, punto 87).

Poiché la nozione di «rimpatrio» in base alla direttiva rimpatri implica sempre il trasferimento in un paese terzo, si raccomanda di utilizzare per questo tipo di decisione nazionale le espressioni «decisione di trasferimento» o «decisione di rinvio» e non «decisione di rimpatrio».

Clausola sospensiva: l'articolo 6, paragrafo 3, è una clausola sospensiva esplicita. Gli Stati membri possono avvalersi della possibilità offerta dall'articolo 6, paragrafo 3, solo in relazione agli accordi di riammissione bilaterali entrati in vigore prima del 13 gennaio 2009. Gli accordi vigenti rinegoziati o rinnovati dopo tale data possono continuare a rientrare nell'ambito di applicazione dell'articolo 6, paragrafo 3, soltanto se l'accordo rinegoziato o rinnovato è una modifica dell'accordo già vigente chiaramente definita in quanto tale. Se l'accordo rinegoziato o rinnovato è un aliud (un accordo completamente nuovo con un contenuto diverso), esso è escluso dall'ambito di applicazione dell'articolo 6, paragrafo 3.

Accordi di riammissione tra gli Stati membri dello spazio Schengen e il Regno Unito: ai fini dell'interpretazione dell'articolo 6, paragrafo 3, il Regno Unito va considerato come uno Stato membro.

5.6.   Cittadino di paese terzo il cui soggiorno è irregolare che beneficia di un permesso o di un'autorizzazione rilasciati per motivi umanitari (o di altro tipo)

Base giuridica: direttiva rimpatri, articolo 6, paragrafo 4

In qualsiasi momento gli Stati membri possono decidere di rilasciare per motivi caritatevoli, umanitari o di altra natura un permesso di soggiorno autonomo o un'altra autorizzazione che conferisca il diritto di soggiornare a un cittadino di un paese terzo il cui soggiorno nel loro territorio è irregolare. In tali casi non è emessa la decisione di rimpatrio. Qualora sia già stata emessa, la decisione di rimpatrio è revocata o sospesa per il periodo di validità del titolo di soggiorno o di un'altra autorizzazione che conferisca il diritto di soggiornare.

In qualsiasi momento gli Stati membri possono concedere un permesso o un diritto di soggiorno a un cittadino di paese terzo il cui soggiorno è irregolare. In questo caso, qualsiasi procedura di rimpatrio in corso viene chiusa e le decisioni di rimpatrio o i provvedimenti di allontanamento già adottati sono revocati o sospesi, a seconda del tipo di permesso concesso. Lo stesso vale nei casi in cui gli Stati membri devono concedere un diritto di soggiorno, ad esempio in seguito alla presentazione di una domanda di asilo.

Spetta agli Stati membri decidere quale soluzione debba essere applicata (revoca o sospensione della decisione di rimpatrio), tenendo conto della natura e della probabile durata del permesso o del diritto di soggiorno concessi e della necessità di garantire procedure di rimpatrio efficaci. Tuttavia, secondo la sentenza della Corte di giustizia nella causa J.N.C-601/15 (34) (punti da 75 a 80), uno Stato membro che concede il diritto di rimanere nel proprio territorio a un cittadino di paese terzo che ha presentato domanda di protezione internazionale e che era già oggetto di una decisione di rimpatrio prima del deposito di tale domanda dovrebbe sospendere l'esecuzione della decisione di rimpatrio (e non revocare tale decisione) fintantoché non venga adottata una decisione in merito alla domanda di protezione internazionale (cfr. anche punto 7 del presente manuale).

5.7.   Cittadino di paese terzo il cui soggiorno è irregolare che ha iniziato una procedura per il rinnovo del permesso o dell'autorizzazione di soggiorno

Base giuridica: direttiva rimpatri, articolo 6, paragrafo 5

Qualora un cittadino di un paese terzo il cui soggiorno nel territorio di uno Stato membro è irregolare abbia iniziato una procedura per il rinnovo del permesso di soggiorno o di un'altra autorizzazione che conferisce il diritto di soggiornare, lo Stato membro in questione valuta l'opportunità di astenersi dall'emettere una decisione di rimpatrio fino al completamento della procedura, fatto salvo il paragrafo 6.

Gli Stati membri hanno la facoltà di astenersi dall'emettere una decisione di rimpatrio nei confronti di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare che sono in attesa di una decisione in merito al rinnovo del loro permesso. Questa disposizione è intesa a proteggere i cittadini di paesi terzi che hanno soggiornato in modo regolare in uno Stato membro per un determinato periodo di tempo e il cui soggiorno diventa temporaneamente irregolare a causa di ritardinella procedura di rinnovo del permesso. Essa fa riferimento a una procedura in corso per il rinnovo di un permesso di soggiorno solo nello Stato membro in cui avviene il fermo («lo Stato membro in questione»). Gli Stati membri sono incoraggiati a ricorrere a tale disposizione anche nei casi in cui è probabile che la richiesta di rinnovo abbia esito positivo e a fornire alla persona interessata almeno lo stesso trattamento offerto ai rimpatriandi durante il periodo per la partenza volontaria o durante il rinvio del rimpatrio.

Questa disposizione non riguarda le procedure in corso per il rinnovo di un permesso di soggiorno in un altro Stato membro. Tuttavia, il fatto che una persona sia oggetto di una procedura in corso per il rinnovo di un permesso di soggiorno in un altro Stato membro può, in circostanze specifiche, giustificare il rinvio del rimpatrio ai sensi dell'articolo 9, paragrafo 2, o l'applicazione di misure più favorevoli ai sensi dell'articolo 4, paragrafo 3.

5.8.   Disposizioni specifiche previste dalle direttive sulla migrazione regolare riguardo alla riammissione tra Stati membri nei casi di mobilità all'interno dell'Unione europea

Base giuridica: direttiva 2014/66/UE del Parlamento europeo e del Consiglio (35) («direttiva sui trasferimenti intra-societari»), articolo 23; direttiva 2003/109/CE (36) sui soggiornanti di lungo periodo(LTR) (modificata dalla direttiva 2011/51/UE (37)), articoli 12 e 22; direttiva 2009/50/CE del Consiglio (38) («direttiva sulla Carta blu»), articolo 18

Le direttive summenzionate contengono disposizioni specifiche sulla riammissione tra Stati membri nei casi di mobilità all'interno dell'Unione europea di talune categorie di cittadini di paesi terzi (cittadini di paesi terzi coinvolti in trasferimenti intra-societari, titolari della Carta blu UE, soggiornanti di lungo periodo). Tali disposizioni sono da considerarsi leges speciales (norme più specifiche) che devono essere applicate in primo luogo nei casi espressamente previsti da dette direttive.

6.   PARTENZA VOLONTARIA

Base giuridica: direttiva rimpatri, articolo 7, paragrafo 1

La decisione di rimpatrio fissa per la partenza volontaria un periodo congruo di durata compresa tra sette e trenta giorni, fatte salve le deroghe di cui ai paragrafi 2 e 4. Gli Stati membri possono prevedere nella legislazione nazionale che tale periodo sia concesso unicamente su richiesta del cittadino di un paese terzo interessato. In tal caso, gli Stati membri informano i cittadini di paesi terzi interessati della possibilità di inoltrare tale richiesta.

La promozione della partenza volontaria è uno degli obiettivi fondamentali della direttiva rimpatri. A meno che non vi siano motivi per ritenere che ciò potrebbe compromettere l'obiettivo del rimpatrio, la partenza volontaria in adempimento dell'obbligo di rimpatrio è preferibile all'allontanamento per la triplice ragione che si tratta di una soluzione più dignitosa, più sicura e spesso più efficace sotto il profilo dei costi.

Durante il periodo concesso per la partenza volontaria il cittadino di paese terzo interessato è soggetto all'obbligo di rimpatrio, ma tale obbligo non può essere eseguito prima della scadenza di detto periodo, a meno che non sussista un rischio di fuga o un pericolo per l'ordine pubblico, la sicurezza pubblica o la sicurezza nazionale, o una domanda di soggiorno regolare venga respinta in quanto manifestamente infondata o fraudolenta (cfr. punto 6.3 del presente manuale). Gli Stati membri sono incoraggiati ad offrire la possibilità di una partenza volontaria al maggior numero possibile di rimpatriandi e ad astenersi dal farlo nei casi in cui esista il rischio di ostacolare il conseguimento dell'obiettivo della procedura di rimpatrio.

La seconda frase dell'articolo 7, paragrafo 1, consente agli Stati membri di decidere se subordinare la concessione di un periodo per la partenza volontaria a un'apposita richiesta da parte del cittadino di paese terzo. In questo caso, tale cittadino dev'essere personalmente informato in merito alla possibilità di chiedere un periodo per la partenza volontaria. Schede informative generali destinate al pubblico (ad esempio, la segnalazione della possibilità di presentare tale domanda sui siti Internet degli uffici per l'immigrazione o la stampa e l'affissione di avvisi nelle bacheche informative ubicate nelle sedi delle autorità locali per l'immigrazione) possono essere utili, ma devono essere integrate da informazioni personalizzate. Per quanto riguarda i minori, le informazioni dovrebbero essere fornite con modalità che tengano conto della loro sensibilità e appropriate all'età e al contesto, prestando particolare attenzione alla situazione dei minori non accompagnati.

Gli Stati membri possono anche decidere di concedere un periodo per la partenza volontaria, su richiesta, ad alcune categorie di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare (ad esempio, a coloro la cui domanda di soggiorno regolare è stata respinta in quanto manifestamente infondata o fraudolenta), o in funzione dell'ottenimento di un sostegno (ad esempio, un'assistenza alla reintegrazione), e di concederlo in altri casi senza preventiva richiesta.

La Commissione raccomanda di concedere un periodo per la partenza volontaria dietro apposita richiesta da parte del cittadino di paese terzo interessato, provvedendo nel contempo affinché i cittadini di paesi terzi ricevano le informazioni necessarie per presentare tale richiesta.

Programmi di rimpatrio volontario assistito: sebbene la direttiva rimpatri non imponga agli Stati membri di istituire programmi di rimpatrio volontario assistito, il considerando 10 afferma che «al fine di promuovere il rimpatrio volontario, gli Stati membri dovrebbero prevedere maggiore assistenza e consulenza al rimpatrio e sfruttare al meglio le relative possibilità di finanziamento». Gli Stati membri sono pertanto vivamente incoraggiati a rendere disponibili tali programmi nel corso delle procedure di rimpatrio, come parte delle iniziative volte a promuovere un rimpatrio più umano e dignitoso e, in generale, per aumentare l'efficacia del rimpatrio stesso. Al fine di facilitare l'accesso a tali programmi e far sì che i cittadini di paesi terzi interessati decidano con cognizione di causa, gli Stati membri dovrebbero garantire una divulgazione adeguata delle informazioni sul rimpatrio volontario e sui programmi di rimpatrio volontario assistito, anche in collaborazione con le autorità nazionali che possono essere a diretto contatto con tali cittadini (ad esempio, i servizi di istruzione, sanitari e sociali), organizzazioni non governative e altri enti. Per quanto riguarda i minori, tali informazioni dovrebbero essere fornite con modalità che tengano conto della loro sensibilità e appropriate all'età e al contesto. I programmi nazionali dovrebbero seguire le norme comuni non vincolanti per i programmi di rimpatrio volontario assistito (e di reintegrazione) attuati dagli Stati membri (39), messe a punto dalla Commissione in collaborazione con gli Stati membri e approvate dal Consiglio GAI nelle sue conclusioni del 9-10 giugno 2016 (40).

Il gruppo di esperti sul rimpatrio della rete europea sulle migrazioni (REM), che favorisce il rafforzamento della cooperazione pratica tra gli Stati e le parti interessate in materia di programmi di rimpatrio, rimpatrio volontario assistito e reintegrazione, dovrebbe rappresentare uno strumento fondamentale per la raccolta e la condivisione delle informazioni, che gli Stati membri sono incoraggiati ad utilizzare attivamente.

Ulteriore chiarimento

Il termine di 7-30 giorni è un principio generale. Gli Stati membri hanno l'obbligo di fissare un periodo che rispetti tale termine, salvo che le circostanze specifiche del caso individuale non ne giustifichino una proroga ai sensi dell'articolo 7, paragrafo 2, della direttiva rimpatri (cfr. punto 6.1 del presente manuale).

La concessione di 60 giorni come regola generale sarebbe incompatibile con l'armonizzazione e la disciplina comune prevista dalla direttiva rimpatri, che stabilisce un termine di 7-30 giorni, e pertanto non può essere giustificata come disposizione più favorevole ai sensi dell'articolo 4, paragrafo 3. Tuttavia, la concessione di un periodo di 30-60 giorni (superiore a quello armonizzato di cui al paragrafo 1), limitatamente alle circostanze specifiche di cui al paragrafo 2, rientra nell'articolo 7, paragrafo 2, della direttiva rimpatri.

In linea con gli obblighi derivanti dal diritto di un individuo di essere ascoltato, riconosciuto dall'articolo 41, paragrafo 2, della Carta, gli Stati membri dovrebbero offrire ai rimpatriandi la possibilità di specificare le circostanze e le esigenze individuali di cui tener conto nel momento in cui si stabilisce il periodo per la partenza volontaria da concedere, sia nei casi in cui esso sia fissato d'ufficio, sia nei casi in cui esso sia fissato sulla base di una richiesta del rimpatriando.

Pur vietando il rimpatrio forzato di un cittadino di paese terzo il cui soggiorno è irregolare durante il periodo concesso per la partenza volontaria, la direttiva rimpatri non impedisce agli Stati membri di avviare, nel corso di tale periodo, le procedure amministrative necessarie in vista dell'eventuale esecuzione di una decisione di rimpatrio (ad esempio, prendendo contatto con le autorità del paese terzo ai fini dell'ottenimento dei documenti di viaggio e organizzando l'operazione di allontanamento dal punto di vista logistico).

Sulla base di una valutazione della situazione individuale del cittadino di paese terzo e tenuto conto, in particolare, della prospettiva del rimpatrio e della volontà di tale cittadino di collaborare con le autorità competenti, la Commissione raccomanda agli Stati membri di concedere, per la partenza volontaria, il periodo più breve possibile necessario ad organizzare ed eseguire il rimpatrio. Un periodo superiore ai sette giorni dovrebbe essere concesso solo se il cittadino collabora attivamente al processo di rimpatrio.

6.1.   Proroga del periodo per la partenza volontaria

Base giuridica: direttiva rimpatri, articolo 7, paragrafo 2

Gli Stati membri prorogano, ove necessario, il periodo per la partenza volontaria per un periodo congruo, tenendo conto delle circostanze specifiche del caso individuale, quali la durata del soggiorno, l'esistenza di bambini che frequentano la scuola e l'esistenza di altri legami familiari e sociali.

Non esiste un termine massimo prefissato per la proroga del periodo per la partenza volontaria e ogni singolo caso dovrebbe essere trattato sulla base delle sue peculiarità conformemente alla legislazione di attuazione e alle prassi amministrative nazionali. Gli Stati membri dispongono di un ampio margine di discrezionalità nel determinare se la proroga del periodo per la partenza volontaria sia «congrua». Tenendo conto del riferimento testuale a «bambini che frequentano la scuola», è possibile prevedere proroghe fino alla conclusione di un semestre o dell'anno scolastico stesso o, al massimo, per un intero anno scolastico, a condizione che ciò corrisponda all'interesse superiore del minore e che tutte le circostanze pertinenti del caso siano tenute in debita considerazione.

Una proroga del periodo oltre i 30 giorni può essere concessa sin dall'inizio (al momento dell'emissione della decisione di rimpatrio) se motivata da una valutazione delle circostanze specifiche del caso. Non è necessario fissare inizialmente un periodo di 30 giorni per poi prorogarlo.

L'espressione «ove necessario» si riferisce a circostanze che attengono sia al rimpatriando che allo Stato membro che effettua il rimpatrio. Gli Stati membri dispongono di un margine di discrezionalità riguardo al contenuto e al livello di regolamentazione della rispettiva legislazione nazionale di attuazione in materia.

I tre sottocasi menzionati all'articolo 7, paragrafo 2 (durata del soggiorno, bambini che frequentano la scuola, legami familiari) dovrebbero essere espressamente rispettati dalla legislazione di attuazione e dalle prassi amministrative nazionali. Le norme amministrative degli Stati membri possono essere più dettagliate e prevedere anche altri motivi di proroga, ma non dovrebbero essere meno precise per non compromettere l'armonizzazione.

6.2.   Obblighi durante il periodo per la partenza volontaria

Base giuridica: direttiva rimpatri, articolo 7, paragrafo 3

Per la durata del periodo per la partenza volontaria possono essere imposti obblighi diretti a evitare il rischio di fuga, come l'obbligo di presentarsi periodicamente alle autorità, la costituzione di una garanzia finanziaria adeguata, la consegna di documenti o l'obbligo di dimorare in un determinato luogo.

Gli obblighi di cui all'articolo 7, paragrafo 3, della direttiva rimpatri possono essere imposti laddove occorra evitare un rischio di fuga. Se la valutazione del singolo caso dimostra che non vi sono circostanze particolari, tali obblighi non sono giustificati (cfr. sentenza della Corte di giustizia nella causa El Dridi, C-61/11, punto 37: «Risulta dall'articolo 7, nn. 3 e 4, di detta direttiva che solo in circostanze particolari, per esempio se sussiste rischio di fuga, gli Stati membri possono, da un lato, imporre al destinatario di una decisione di rimpatrio l'obbligo di presentarsi periodicamente alle autorità, di prestare una garanzia finanziaria adeguata, di consegnare i documenti o di dimorare in un determinato luogo oppure, dall'altro, concedere un termine per la partenza volontaria inferiore a sette giorni o addirittura non accordare alcun termine»). La Commissione raccomanda agli Stati membri di utilizzare tale possibilità quando occorre evitare un rischio di fuga durante il periodo per la partenza volontaria.

È opportuno sottolineare che la possibilità per gli Stati membri di imporre determinati obblighi potrebbe essere un vantaggio per il rimpatriando poiché potrebbe permettere la concessione di un periodo per la partenza volontaria in casi in cui di norma non si avrebbe diritto a tale trattamento.

Non è possibile quantificare in generale l'importo della «garanzia finanziaria adeguata» da costituire. In ogni caso andrebbe rispettato il principio di proporzionalità, il che equivale a dire che l'importo dovrebbe tener conto della situazione individuale del rimpatriando. Per prassi, gli Stati membri prevedono attualmente importi che variano dai 200 ai 5 000 EUR circa.

Se necessario in un caso specifico, gli obblighi di cui all'articolo 7, paragrafo 3, possono essere imposti anche in modo cumulativo.

Nell'imporre gli obblighi di cui all'articolo 7, paragrafo 3, gli Stati membri dovrebbero tener conto della situazione individuale del rimpatriando e garantire il pieno rispetto del principio di proporzionalità. Essi devono evitare di imporre obblighi che, di fatto, non possono essere rispettati (una persona che non possiede un passaporto, ad esempio, non sarà in grado di esibirlo).

6.3.   Controindicazioni

Base giuridica: direttiva rimpatri, articolo 7, paragrafo 4

Se sussiste il rischio di fuga o se una domanda di soggiorno regolare è stata respinta in quanto manifestamente infondata o fraudolenta o se l'interessato costituisce un pericolo per l'ordine pubblico, la pubblica sicurezza o la sicurezza nazionale, gli Stati membri possono astenersi dal concedere un periodo per la partenza volontaria o concederne uno inferiore a sette giorni.

Gli Stati membri sono liberi di astenersi dal concedere un periodo per la partenza volontaria nei casi — elencati in modo esaustivo all'articolo 7, paragrafo 4, della direttiva rimpatri — in cui esiste una «controindicazione», vale a dire quando per il cittadino di un paese terzo sussiste un rischio di fuga (cfr. punto 1.6 del presente manuale) o un rischio per l'ordine pubblico, la pubblica sicurezza o la sicurezza nazionale (ad esempio, precedenti condanne per reati gravi commessi anche in altri Stati membri) e quando una domanda di soggiorno regolare (ad esempio, una domanda di asilo, una richiesta o un rinnovo di permesso) è stata respinta in quanto manifestamente infondata o fraudolenta.

Quando, sulla base di una valutazione individuale, è possibile accertare che in un caso specifico esistono tali «controindicazioni», non si dovrebbe concedere alcun periodo per la partenza volontaria o, eventualmente, si dovrebbe concedere un periodo inferiore ai sette giorni solo se esso non impedisce alle autorità nazionali di eseguire l'allontanamento.

Gli Stati membri possono tuttavia modificare in qualsiasi momento la loro valutazione della situazione (un rimpatriando in precedenza non collaborativo può cambiare atteggiamento e accettare un'offerta di rimpatrio volontario assistito) e concedere un periodo per la partenza volontaria anche se all'inizio esisteva un rischio di fuga.

Ulteriore chiarimento

Non è possibile escludere in generale tutte le persone che entrano in modo irregolare dalla possibilità di ottenere un periodo per la partenza volontaria. Tale regola generale sarebbe in contrasto con la definizione di rischio di fuga, con il principio di proporzionalità e con l'obbligo di effettuare una valutazione caso per caso e metterebbe in discussione l'«effetto utile» dell'articolo 7 (promozione della partenza volontaria).

È possibile escludere ai sensi dell'articolo 7, paragrafo 4, i cittadini di paesi terzi che hanno presentato domande strumentali. L'articolo 7, paragrafo 4, riguarda in modo esplicito le domande manifestamente infondate o fraudolente. Poiché il grado di comportamento riprovevole insito in una domanda strumentale è di norma superiore a quello di una domanda manifestamente infondata, l'articolo 7, paragrafo 4, andrebbe interpretato come relativo anche a una domanda strumentale.

È possibile escludere anche le persone che costituiscono un pericolo per l'ordine pubblico, la pubblica sicurezza o la sicurezza nazionale. Nella causa C-554/13, Zh. e O.  (41), la Corte di giustizia ha chiarito a questo proposito che gli Stati membri restano sostanzialmente liberi di determinare le esigenze di ordine pubblico conformemente alle loro esigenze nazionali. La nozione di «rischio di fuga» è distinta da quella di «pericolo per l'ordine pubblico». La nozione di «pericolo per l'ordine pubblico» presuppone, oltre alla perturbazione dell'ordine sociale insita in qualsiasi infrazione della legge, l'esistenza di una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave nei confronti di un interesse fondamentale della società. Uno Stato membro non può ritenere che un cittadino di un paese terzo costituisca un pericolo per l'ordine pubblico soltanto perché sospettato di aver commesso un fatto punibile come reato ai sensi del diritto nazionale o perché ha subito una condanna penale. Ai fini della valutazione caso per caso, che deve essere sempre effettuata, sono rilevanti anche altri fattori, quali la natura e la gravità del fatto, il tempo trascorso da quando è stato commesso e qualsiasi elemento attinente alla fondatezza del sospetto che il cittadino di paese terzo interessato abbia effettivamente commesso il reato in questione.

6.4.   Conformità effettiva — transito per via terrestre

Allegato 39 del manuale Schengen relativo al «Modulo standard per il riconoscimento di una decisione di rimpatrio ai fini del transito per via terrestre».

Mappa degli Stati membri partecipanti (disponibile sul sito web della REM alla voce «EMN ad-hoc queries», con richiesta di informazioni sui rimpatri, per l'anno 2015)

Promemoria storico/spiegazione: un rimpatriando che intenda lasciare il territorio dell'Unione europea via terra entro il periodo concesso per la partenza volontaria non dispone di un visto valido né di altri tipi di permesso per transitare per un altro Stato membro in direzione del paese di rimpatrio e, pertanto, corre il rischio di essere fermato/bloccato dalla polizia lungo il tragitto e di essere oggetto di una seconda decisione di rimpatrio emessa dallo Stato membro di transito. Ciò è in contrasto con l'obiettivo della direttiva rimpatri di garantire l'efficacia del rimpatrio, anche incoraggiando la partenza volontaria.

Il rilascio al rimpatriando di un visto di transito sarebbe una soluzione inopportuna e inadeguata, in quanto la concessione di un visto a cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare che hanno l'obbligo di allontanarsi sarebbe in contrasto con le norme dell'UE sui visti. Inoltre, gli Stati membri di transito non sembrano avere alcun incentivo a rilasciare questo tipo di visto (per il rischio che la persona interessata possa fuggire e/o causare costi per l'allontanamento) e pertanto, all'atto pratico, spesso si rifiuterebbero di rilasciarlo. Neanche il rilascio al rimpatriando di un «lasciapassare europeo» sarebbe una soluzione: in mancanza di una chiara definizione della natura e degli effetti giuridici di tale «lasciapassare», il soggiorno del rimpatriando continuerebbe a essere considerato, in termini strettamente giuridici, irregolare nello Stato membro di transito e, pertanto, il rimpatriando potrebbe essere oggetto di una nuova decisione di rimpatrio conformemente all'articolo 6, paragrafo 1.

Un modo per evitare il problema è promuovere il rimpatrio diretto nei paesi terzi per via aerea. Ciò tuttavia può risultare costoso e poco pratico per il rimpatriando.

La Commissione raccomanda espressamente che gli Stati membri di transito riconoscano le decisioni di rimpatrio adottate dal primo Stato membro utilizzando l'allegato 39 del manuale Schengen, «Modulo standard per il riconoscimento di una decisione di rimpatrio ai fini del transito per via terrestre» (pubblicato dalla Commissione nel settembre 2011 in seguito a consultazioni a livello tecnico con gli Stati membri interessati e a discussioni in seno al gruppo di lavoro sulla migrazione e l'espulsione del Consiglio dell'Unione europea).

In base a tale approccio, lo Stato membro di transito può riconoscere la decisione di rimpatrio emessa dal primo Stato membro, ivi incluso il periodo per la partenza volontaria concesso, e consentire al rimpatriando di transitare sul suo territorio sulla base della decisione riconosciuta e del periodo per la partenza volontaria riconosciuto. Il vantaggio è che in questo modo lo Stato membro di transito non ha l'obbligo di emettere una nuova decisione di rimpatrio e può chiedere al primo Stato membro di rimborsare tutti i costi connessi all'allontanamento qualora si verifichino problemi e occorra allontanare il rimpatriando a spese dello Stato di transito (in applicazione della decisione 2004/191/CE (42)).

Gli Stati membri che sono ancora restii a servirsi di questa opzione facoltativa (in qualità di Stato membro di invio o di accoglienza) sono incoraggiati a farvi ricorso e a comunicare la loro adesione alla Commissione e agli altri Stati membri.

Ulteriore chiarimento

Forma del riconoscimento: la formulazione molto ampia e generale della direttiva 2001/40/CE prevede un margine di discrezionalità riguardo alle modalità pratiche (dettagli procedurali) del riconoscimento reciproco in base alle esigenze pratiche e alla legislazione nazionale. La forma proposta nell'allegato 39 del manuale Schengen rappresenta un modo possibile ma non esclusivo di procedere.

In termini giuridici, tutti gli elementi rilevanti della decisione di rimpatrio emessa dallo Stato membro A sono riconosciuti dallo Stato membro B, compreso il riconoscimento del fatto che il cittadino di paese terzo soggiorna in modo irregolare e beneficia di un periodo per la partenza volontaria, valido per il territorio dello Stato membro B di riconoscimento.

Lo Stato membro di riconoscimento usufruisce di tre diverse «garanzie», segnatamente:

1)

l'uso del modulo standard di cui all'allegato 39 è solo su base volontaria, il che lascia sempre agli Stati membri la possibilità di non riconoscere una decisione di rimpatrio emessa da un altro Stato membro in un caso specifico;

2)

il primo Stato membro può concedere un periodo per la partenza volontaria ai sensi dell'articolo 7 della direttiva rimpatri solo se non esistono «controindicazioni», quale un rischio di fuga; la valutazione della situazione personale del rimpatriando conformemente all'articolo 7, che spetta al primo Stato membro, può essere un'utile garanzia per lo Stato membro di transito che effettua il riconoscimento;

3)

se si verificano problemi e se il rimpatriando deve essere allontanato a spese dello Stato di transito, tutti i costi connessi all'allontanamento possono essere addebitati al primo Stato membro in applicazione della decisione 2004/191/CE.

6.5.   Conformità effettiva — transito per via aerea

La direttiva 2003/110/CE del Consiglio (43) relativa all'assistenza durante il transito nell'ambito di provvedimenti di espulsione per via aerea fornisce un quadro giuridico per la cooperazione tra le autorità competenti negli aeroporti degli Stati membri di transito per quanto riguarda le espulsioni per via aerea, con o senza scorta. In questa direttiva (adottata cinque anni prima della direttiva rimpatri), l'espressione «espulsione senza scorta» può essere interpretata come comprendente anche la «partenza volontaria» ai sensi della direttiva rimpatri (44). La Commissione raccomanda di fare un uso sistematico della direttiva 2003/110/CE nel momento in cui si organizza il transito per via aerea nel contesto di una partenza volontaria (cfr. anche punto 7.2 del presente manuale).

6.6.   Registrazione delle partenze volontarie

Attualmente non esiste un sistema centrale dell'Unione europea per registrare le partenze volontarie. Nei casi di transito dei rimpatriandi per via terrestre conformemente alla raccomandazione dell'allegato 39 del manuale Schengen, la guardia di frontiera invia tramite fax una conferma allo Stato membro che ha emesso la decisione di rimpatrio. In altri casi, i rimpatriandi comunicano talvolta la propria partenza volontaria tramite i consolati degli Stati membri nei paesi terzi. Qualche volta la partenza viene anche registrata dalle guardie di frontiera che effettuano le verifiche all'uscita. L'assenza di un sistema centrale dell'Unione europea che tenga traccia delle partenze volontarie crea una falla in termini sia di verifica dell'attuazione delle norme che di statistica. La proposta di regolamento relativo all'uso del sistema d'informazione Schengen per il rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare (45) presentata dalla Commissione mira a risolvere questa situazione.

A breve, gli Stati membri dovrebbero porre in essere strumenti atti verificare se un cittadino di un paese terzo ha lasciato l'Unione, anche durante il periodo per la partenza volontaria e senza assistenza, così da garantire un seguito efficace in caso di inosservanza. Gli Stati membri sono incoraggiati ad utilizzare al meglio i canali d'informazione disponibili e a tale scopo:

1)

ad esortare sistematicamente il rimpatriando al quale sia stato concesso un periodo per la partenza volontaria ad informare le autorità che hanno emesso la decisione di rimpatrio (e il divieto d'ingresso) riguardo alla sua partenza effettiva. Il rimpatriando può segnalare la propria partenza alla guardia di frontiera al momento della partenza, alla rappresentanza consolare di uno Stato membro nel suo paese d'origine dopo il rimpatrio, o anche per iscritto, allegando elementi di prova sufficienti. Per migliorare questa prassi è possibile allegare sistematicamente alla decisione di rimpatrio o al documento di viaggio una scheda informativa che riporti il nome e altri dati identificativi del cittadino di paese terzo, le istruzioni e le informazioni di contatto dell'autorità che ha emesso la decisione, in modo tale che la guardia di frontiera possa timbrarla al momento dell'uscita e inviarla all'autorità di cui sopra come prova dell'avvenuta partenza. La scheda potrebbe inoltre precisare quali vantaggi il rimpatriando può trarre dall'informare l'autorità della sua uscita effettiva;

2)

a chiedere alle guardie di frontiera incaricate di eseguire le verifiche all'uscita di accertarsi, nel momento in cui vengono a conoscenza dell'uscita di un migrante irregolare, se il rimpatriando è oggetto di una decisione di rimpatrio corredata di un periodo per la partenza volontaria e, in tal caso, di informare sistematicamente l'autorità che ha emesso la decisione di rimpatrio riguardo alla partenza del rimpatriando;

3)

ad usare l'allegato 39 (cfr. punto 6.4 del presente manuale) per confermare la partenza, con transito via terra attraverso il territorio di uno Stato membro diverso da quello che ha emesso la decisione di rimpatrio, del cittadino di paese terzo il cui soggiorno è irregolare.

Gli Stati membri dovrebbero inoltre prendere in considerazione l'opportunità di contattare le compagnie aeree per ottenere informazioni sulla presenza a bordo degli aeromobili dei cittadini di paesi terzi rimpatriati senza scorta, al momento della partenza prevista.

7.   ALLONTANAMENTO

Base giuridica: direttiva rimpatri, articolo 8, paragrafi da 1 a 4

1.

Gli Stati membri adottano tutte le misure necessarie per eseguire la decisione di rimpatrio qualora non sia stato concesso un periodo per la partenza volontaria a norma dell'articolo 7, paragrafo 4, o per mancato adempimento dell'obbligo di rimpatrio entro il periodo per la partenza volontaria concesso a norma dell'articolo 7.

2.

Qualora uno Stato membro abbia concesso un periodo per la partenza volontaria a norma dell'articolo 7, la decisione di rimpatrio può essere eseguita unicamente alla scadenza di tale periodo, a meno che nel periodo in questione non sorga uno dei rischi di cui all'articolo 7, paragrafo 4.

3.

Gli Stati membri possono adottare una decisione o un atto amministrativo o giudiziario distinto che ordini l'allontanamento.

4.

Ove gli Stati membri ricorrano – in ultima istanza – a misure coercitive per allontanare un cittadino di un paese terzo che oppone resistenza, tali misure sono proporzionate e non ecced[o]no un uso ragionevole della forza. Le misure coercitive sono attuate conformemente a quanto previsto dalla legislazione nazionale in osservanza dei diritti fondamentali e nel debito rispetto della dignità e dell'integrità fisica del cittadino di un paese terzo interessato.

La direttiva rimpatri fissa un obiettivo («eseguire la decisione di rimpatrio») da conseguire in maniera efficace e proporzionata con «tutte le misure necessarie», lasciando che le modalità concrete (il «come») siano stabilite dalla legislazione e dalle prassi amministrative degli Stati membri (cfr. sentenza della Corte di giustizia nella causa Achughbabian, C-329/11, punto 36: «[…] i termini “misure” e “misure coercitive”, ivi figuranti, si riferiscono a qualsiasi intervento che sfoci, in maniera efficace e proporzionata, nel rimpatrio dell'interessato»).

Indipendentemente dal dovere del cittadino di un paese terzo di collaborare per la propria identificazione e di chiedere i documenti necessari alle rispettive autorità nazionali, l'obbligo degli Stati membri di adottare «tutte le misure necessarie» include anche la richiesta tempestiva al paese terzo di riammissione di rilasciare un documento valido d'identità o di viaggio, ovvero di accettare l'uso del documento di viaggio europeo per il rimpatrio (46), se previsto da accordi o intese in vigore con tale paese terzo, al fine di consentire il trasporto fisico del cittadino fuori dallo Stato membro. L'uso del documento di viaggio europeo per il rimpatrio dovrebbe essere ulteriormente promosso nel quadro dei negoziati e dell'applicazione di accordi di riammissione e di altre intese bilaterali tra l'UE e i paesi terzi. Durante il periodo per la partenza volontaria possono essere avviate procedure amministrative con il paese terzo al fine di preparare l'operazione di allontanamento (ad esempio, per l'ottenimento delle autorizzazioni e dei documenti di viaggio necessari), senza mettere a rischio il cittadino di paese terzo interessato (cfr. anche punto 6 del presente manuale).

Per ridurre l'impatto di potenziali abusi, in particolare quelli correlati a domande di asilo infondate, plurime e presentate in extremis, nonché ricorsi contro decisioni in materia di asilo o decisioni di rimpatrio presentati al solo scopo di ritardare o vanificare l'esecuzione delle decisioni di rimpatrio, la Commissione raccomanda agli Stati membri di adoperarsi per organizzare l'iter d'esame delle domande di protezione internazionale nel quadro di una procedura accelerata o, se del caso, di frontiera, ai sensi della direttiva 2013/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio (47) («direttiva procedure»).

Differenze tra partenza volontaria e rimpatrio: il rimpatrio è un concetto molto ampio che riguarda il processo di ritorno in un paese terzo in ottemperanza (volontaria o forzata) di un obbligo di rimpatrio. L'allontanamento è invece un concetto molto più limitato che indica l'esecuzione dell'obbligo di rimpatrio, più precisamente il trasporto fisico fuori dallo Stato membro. Nelle cause C-61/11, El Dridi, punto 41, e C-329/11, Achughbabian, la Corte di giustizia ha già sottolineato che la direttiva rimpatri prevede una «gradazione delle misure» che va dalla volontarietà al rimpatrio forzato. Nella pratica si verificano spesso casi che presentano sia gli elementi del rimpatrio forzato (trattenimento) che quelli della volontarietà (successivo spostamento volontario senza che sia necessario ricorrere alla forza fisica). Gli Stati membri sono incoraggiati ad applicare, in tutte le fasi della procedura, le misure meno lesive per il cittadino. Se i rimpatriandi sottoposti a procedure di allontanamento/trattenimento cambiano atteggiamento e si dimostrano disponibili a collaborare e a partire di loro spontanea volontà, gli Stati membri sono incoraggiati e autorizzati a dare prova di flessibilità.

Esecuzione di una decisione di rimpatrio dopo il rigetto di una domanda di protezione internazionale: nella sentenza nella causa N.J., C-601/15 (punti 75, 76, 80), la Corte di giustizia ha sancito che, a seguito del rigetto di una domanda di asilo in primo grado, l'esecuzione di una decisione di rimpatrio precedentemente adottata deve essere ripresa alla fase in cui è stata interrotta e le procedure di rimpatrio non dovrebbero ricominciare dall'inizio: «[…] l'effetto utile della direttiva 2008/115/CE richiede che una procedura avviata in forza della menzionata direttiva, nell'ambito della quale una decisione di rimpatrio, […] corredata di un divieto d'ingresso, è stata adottata, possa essere ripresa alla fase in cui è stata interrotta in conseguenza del deposito di una domanda di protezione internazionale e ciò dal momento del rigetto in primo grado della domanda stessa […]. A tale riguardo risulta, tanto dal dovere di lealtà degli Stati membri, derivante dall'articolo 4, paragrafo 3, TUE, e ricordato al punto 56 della sentenza El Dridi […], quanto dalle esigenze di efficacia […], che l'obbligo imposto agli Stati membri dall'articolo 8 della direttiva in parola di procedere all'allontanamento, nelle ipotesi illustrate al paragrafo 1 del menzionato articolo, deve essere adempiuto con la massima celerità […]. Orbene, detto obbligo non sarebbe rispettato se l'allontanamento fosse ritardato dalla circostanza che, dopo il rigetto in primo grado della domanda di protezione internazionale, una procedura […] dovesse essere ripresa non alla fase in cui è stata interrotta, bensì al suo inizio.»

Una pena detentiva quale misura di diritto penale per il soggiorno irregolare non può mai essere una «misura necessaria» ai sensi dell'articolo 8, paragrafo 1, della direttiva rimpatri (cfr. punto 4 del presente manuale). In linea con l'articolo 6 della Carta relativo al diritto alla libertà, interpretato alla luce dell'articolo 5 della CEDU, la privazione della libertà nel contesto del rimpatrio è consentita soltanto ai fini dell'allontanamento ai sensi dell'articolo 15 della direttiva rimpatri (cfr. sentenza della Corte di giustizia nella causa Achughbabian, C-329/11, punto 37: «[…] irrogare ed eseguire una pena detentiva nel corso della procedura di rimpatrio prevista dalla direttiva 2008/115/CE non contribuisce alla realizzazione dell'allontanamento che detta procedura persegue, ossia al trasporto fisico dell'interessato fuori dallo Stato membro in questione. Siffatta pena, pertanto, non integra una» misura «o una» misura coercitiva «ai sensi dell'articolo 8 della direttiva 2008/115/CE»).

Gli Stati membri devono tenere in debita considerazione lo stato di salute del cittadino di paese terzo nell'applicare la direttiva rimpatri ai sensi dell'articolo 5, lettera c); inoltre, nel dare esecuzione a una decisione di rimpatrio inapplicazione dell'articolo 8, paragrafo 1, della direttiva, essi devono agire nel dovuto rispetto della dignità e dell'integrità fisica di tale cittadino. Nel pieno rispetto del diritto alla salute e tenuto conto del fatto che la direttiva non impone l'obbligo di effettuare controlli medici sistematici o di rilasciare una dichiarazione di «idoneità al viaggio aereo» per tutti i cittadini di paesi terzi oggetto di un provvedimento di allontanamento, la Commissione raccomanda agli Stati membri di adottare misure intese a prevenire eventuali abusi correlati alla presentazione, da parte dei cittadini di paesi terzi, di false certificazioni mediche che porterebbero indebitamente ad impedire o a sospendere l'allontanamento per motivi medici (cfr. anche punto 12.4 del presente manuale), ad esempio assicurando la disponibilità di personale medico qualificato designato dall'autorità nazionale competente, in grado di fornire un parere indipendente e obiettivo sui singoli casi.

7.1.   Allontanamento per via aerea

Base giuridica: direttiva rimpatri, articolo 8, paragrafo 5; orientamenti comuni sulle disposizioni di sicurezza applicabili all'allontanamento congiunto per via aerea allegati alla decisione 2004/573/CE del Consiglio (48); regolamento (UE) 2016/1624 del Parlamento europeo e del Consiglio (49), articolo 28, paragrafo 3

Nell'effettuare l'allontanamento per via aerea gli Stati membri tengono conto degli orientamenti comuni sulle disposizioni di sicurezza applicabili all'allontanamento congiunto per via aerea allegati alla decisione 2004/573/CE.

In base alla direttiva rimpatri, gli Stati membri devono tener conto degli orientamenti comuni sulle disposizioni di sicurezza applicabili all'allontanamento congiunto per via aerea allegati alla decisione 2004/573/CE nel contesto di tutti gli allontanamenti per via aerea e non solo nel contesto degli allontanamenti congiunti, come inizialmente previsto da detta decisione.

Per loro natura, alcune parti di tali orientamenti sono destinate a essere prese in considerazione solo per i voli congiunti, ad esempio le disposizioni relative al ruolo e alla distribuzione dei compiti tra gli Stati membri organizzatori e quelli partecipanti; non se ne può pertanto tener conto in un contesto puramente nazionale. Tutte le altre parti degli orientamenti (si vedano gli stralci più pertinenti nel riquadro qui di seguito) dovrebbero tuttavia essere prese in considerazione anche nelle operazioni di allontanamento puramente nazionali.

ORIENTAMENTI COMUNI SULLE DISPOSIZIONI DI SICUREZZA APPLICABILI ALL'ALLONTANAMENTO CONGIUNTO PER VIA AEREA

(stralci)

1.   FASE PRECEDENTE AL RIMPATRIO

1.1.2.   Stato di salute e cartella sanitaria

Lo Stato organizzatore e ciascuno Stato membro partecipante assicurano che i rimpatriandi per i quali essi sono responsabili siano in condizioni di salute adeguate affinché si possa procedere, di diritto e di fatto, al loro allontanamento per via aerea in condizioni di sicurezza. Per i rimpatriandi che presentano problemi di salute o che richiedono cure mediche sono redatte delle cartelle sanitarie. Tali cartelle contengono gli esiti delle visite mediche, una diagnosi e la specificazione dei presidi medici e terapeutici che potrebbero rivelarsi utili ai fini di un trattamento medico. […]

1.1.3.   Documentazione

Lo Stato membro organizzatore e ciascuno Stato membro partecipante provvede affinché per tutti i rimpatriandi siano disponibili documenti di viaggio in corso di validità ed altri documenti, certificati o cartelle. Una persona autorizzata conserva tale documentazione fino all'arrivo nel paese di destinazione […].

1.2.3.   Utilizzo di scorte private

Quando uno Stato membro partecipante si avvale di una scorta privata, le autorità di tale Stato membro dispongono la presenza di almeno un proprio rappresentante ufficiale a bordo dell'aeromobile.

1.2.4.   Competenza e formazione del personale della scorta

Il personale della scorta assegnato a bordo dei voli congiunti deve aver ricevuto una preventiva specifica formazione finalizzata all'espletamento di tali missioni; esso deve disporre del supporto medico necessario in funzione della missione da svolgere.

[…]

1.2.5.   Codice di condotta per il personale della scorta

I membri della scorta non sono armati. Possono indossare abiti civili che devono esporre un emblema distintivo a fini identificativi. Qualsiasi altro personale di accompagnamento debitamente accreditato deve indossare abiti con un emblema distintivo.

I membri della scorta si posizionano in modo strategico all'interno dell'aeromobile al fine di garantire la massima sicurezza. Inoltre, essi devono sedere accanto ai rimpatriandi posti sotto la loro responsabilità.

1.2.6.   Disposizioni relative al numero della scorta

Il numero della scorta è stabilito caso per caso a seguito di un'analisi dei rischi potenziali e previa reciproca consultazione. Nella maggior parte dei casi è raccomandabile che il numero dei membri della scorta sia almeno equivalente a quello dei rimpatriandi a bordo. Una unità di riserva deve essere disponibile per dare eventuale supporto (ad esempio, in caso di destinazioni molto lontane).

2.   FASE PRECEDENTE ALLA PARTENZA NELL'AEROPORTO DI PARTENZA O DI SCALO

2.1.   Trasferimento all'aeroporto e sosta all'interno dell'aeroporto

Per quanto riguarda il trasferimento all'aeroporto e la sosta all'interno dell'aeroporto, si applica quanto segue:

a)

In linea di massima, il personale della scorta ed i rimpatriandi dovrebbero essere all'aeroporto almeno tre ore prima della partenza del volo.

b)

I rimpatriandi dovrebbero ricevere informazioni sull'esecuzione del loro rimpatrio ed essere avvisati che è nel loro interesse collaborare pienamente con il personale della scorta. Dovrebbe essere loro chiaro che non sarà tollerata alcuna azione di disturbo e che un tale comportamento non implicherà l'annullamento dell'operazione di allontanamento.

[…]

2.2.   Registrazione, imbarco e controllo di sicurezza prima del decollo

Gli accordi per la registrazione, l'imbarco e il controllo di sicurezza prima del decollo sono i seguenti:

a)

Il personale della scorta dello Stato membro nel quale si sta svolgendo l'operazione di rimpatrio si incarica della procedura di registrazione e fornisce assistenza durante il passaggio delle zone controllate.

b)

Tutti i rimpatriandi sono sottoposti ad un'ispezione meticolosa ai fini della sicurezza prima di imbarcarsi sull'aeromobile. Qualsiasi oggetto che possa costituire una minaccia alle persone ed alla sicurezza del volo congiunto è sequestrato e posto nella stiva bagagli.

c)

Il bagaglio del rimpatriando non è introdotto nella cabina passeggeri. Tutti i bagagli collocati nella stiva sono sottoposti ad un controllo di sicurezza e contrassegnati con etichetta che riporta il nome del possessore. Qualsiasi oggetto considerato pericoloso ai sensi delle norme dell'Organizzazione per l'aviazione civile internazionale (ICAO) è rimosso dal bagaglio.

d)

Denaro ed oggetti preziosi sono posti in una busta trasparente contrassegnata con il nome del proprietario. I rimpatriandi sono informati della procedura relativa agli oggetti ed al denaro che sono stati ritirati.

[…]

3.   PROCEDURA DURANTE IL VOLO

[…]

3.2.   Uso delle misure coercitive

Le misure coercitive possono essere usate come segue:

a)

Le misure coercitive sono eseguite nel rispetto dei diritti individuali dei rimpatriandi.

b)

La coercizione può essere esercitata nei confronti dei rimpatriandi che rifiutano o si oppongono all'allontanamento. Tutte le misure coercitive devono essere proporzionate e non eccedere un uso ragionevole della forza. Si devono preservare la dignità e l'integrità fisica del rimpatriando. Di conseguenza, in caso di dubbio, l'operazione di allontanamento che richiede l'esecuzione di misure coercitive legali a causa della resistenza e della pericolosità del rimpatriando è sospesa in applicazione del principio secondo il quale «un allontanamento non può essere effettuato a qualsiasi costo».

c)

La misura coercitiva applicata non deve compromettere o minacciare la facoltà di respirare normalmente del rimpatriando. Se vi è uso della forza, si deve assicurare che il rimpatriando rimanga con il torace in posizione verticale e che nulla opprima o interferisca con il suo torace impedendogli di respirare normalmente.

d)

I rimpatriandi che oppongono resistenza possono essere immobilizzati con mezzi che non ledano la loro dignità o integrità fisica.

e)

Lo Stato membro organizzatore e ciascuno Stato membro partecipante stabiliscono di comune accordo, prima dell'operazione di allontanamento, un elenco di misure restrittive autorizzate. È vietato l'uso di sedativi per facilitare l'operazione, ferme restando le misure di emergenza volte a garantire la sicurezza del volo.

f)

Il personale della scorta deve essere informato delle misure restrittive autorizzate e vietate e deve conoscerle.

g)

I rimpatriandi sottoposti a misure restrittive devono rimanere costantemente sotto sorveglianza durante l'intera durata del volo.

h)

La decisione di sospendere temporaneamente una misura restrittiva deve essere presa dal responsabile dell'operazione di allontanamento o dal suo vice.

3.3.   Personale medico ed interpreti

Gli accordi relativi al personale medico e agli interpreti sono i seguenti:

a)

Sul volo congiunto deve essere presente almeno un medico.

b)

Il medico deve avere accesso a tutte le pertinenti cartelle sanitarie dei rimpatriandi e deve essere informato, prima della partenza, sui rimpatriandi che necessitano un'attenzione medica particolare. Problemi di salute sconosciuti in precedenza che sono riscontrati soltanto immediatamente prima della partenza e tali da compromettere l'esecuzione dell'operazione di allontanamento devono essere valutati dalle autorità responsabili.

c)

Soltanto il medico può, dopo aver effettuato un'accurata diagnosi, amministrare farmaci al rimpatriando. I farmaci necessari ad un rimpatriando durante il volo sono conservati a bordo.

d)

Ciascun rimpatriando può rivolgersi al medico o al personale della scorta direttamente o per il tramite di un interprete in una lingua nella quale possa esprimersi.

e)

Lo Stato membro che organizza l'operazione provvede a che sia disponibile idoneo personale medico e linguistico per l'operazione di allontanamento.

3.4.   Documentazione e supervisione dell'operazione di allontanamento

3.4.1.   Registrazioni ed osservatori esterni

Le registrazioni video e audio o la supervisione da parte di osservatori esterni sui voli charter comuni sono subordinate al previo accordo tra lo Stato organizzatore e gli Stati membri partecipanti.

[…]

5.   FASE DI ARRIVO

All'arrivo:

[…]

c)

[Lo Stato membro organizzatore e c]iascuno Stato membro partecipante consegna i rimpatriandi per i quali è responsabile alle autorità del paese di destinazione, con i rispettivi bagagli e tutti gli oggetti che sono stati ritirati prima dell'imbarco. Il capo rappresentante dello Stato membro organizzatore e degli Stati membri partecipanti è responsabile della consegna dei rimpatriandi alle autorità locali all'arrivo. In linea generale, il personale della scorta non lascia l'aeromobile.

d)

Qualora si ritenga opportuno e sia fattibile, lo Stato membro organizzatore e gli Stati membri partecipanti dovrebbero chiedere l'assistenza di addetti consolari, ufficiali di collegamento per l'immigrazione o funzionari precedentemente inviati a tal fine dagli Stati membri interessati, per facilitare la consegna alle autorità locali, nella misura consentita dalle prassi e procedure nazionali.

e)

I rimpatriandi non portano manette o altri mezzi restrittivi all'atto della consegna alle autorità locali.

f)

La consegna dei rimpatriandi avviene al di fuori dell'aeromobile (all'uscita della passerella o in appositi locali all'interno dell'aeroporto, come sia ritenuto più opportuno). Per quanto possibile, si dovrebbe evitare che le autorità locali salgano a bordo dell'aeromobile.

g)

Il tempo trascorso all'aeroporto di destinazione dovrebbe essere limitato al minimo.

h)

Spetta allo Stato membro organizzatore e a ciascuno degli Stati membri partecipanti prevedere misure contingenti per il personale della scorta ed i rappresentanti (ed i rimpatriandi ai quali è stata negata la riammissione) per il caso in cui la partenza dell'aeromobile sia ritardata dopo lo sbarco dei rimpatriandi. Tali misure includono, se necessario, le disposizioni per il pernottamento.

6.   FALLIMENTO DELL'OPERAZIONE DI ALLONTANAMENTO

Nel caso in cui le autorità del paese di destinazione non autorizzino l'ingresso nel loro territorio, o l'operazione di allontanamento non possa essere portata a termine per altri motivi, lo Stato membro organizzatore e ciascuno Stato membro partecipante si incarica, a proprie spese, del rientro nei rispettivi territori dei rimpatriandi per i quali essi sono responsabili.

Ulteriore chiarimento

La scorta dei rimpatriandi da parte del personale di sicurezza delle compagnie aeree o da parte di personale esterno è in linea di principio compatibile con l'articolo 8 della direttiva rimpatri. Gli Stati membri sono tuttavia responsabili in generale dell'esecuzione delle operazioni di allontanamento (emissione di un provvedimento di allontanamento e uso proporzionato di misure coercitive/scorta). Il punto 1.2.3 degli orientamenti citati prevede quanto segue: «Quando uno Stato membro partecipante si avvale di una scorta privata, le autorità di tale Stato membro dispongono la presenza di almeno un proprio rappresentante ufficiale a bordo dell'aeromobile». Ne consegue che gli Stati membri hanno l'obbligo generale di mantenere un ruolo di controllo in tutti i casi di «esternalizzazione» delle operazioni di allontanamento e che l'uso del personale di sicurezza delle compagnie aeree a fini di scorta non è escluso, ma deve essere autorizzato e tale personale deve essere affiancato almeno da un funzionario di uno Stato membro.

Operazioni di rimpatrio collettive (autorità di paesi terzi che inviano un aeromobile nell'UE per il rimpatrio dei loro cittadini sotto la loro supervisione): gli Stati membri sono responsabili in generale dell'esecuzione delle operazioni di allontanamento fino al completamento del passaggio delle consegne alle autorità del paese di destinazione e al decollo dell'aereo dal territorio dell'UE. Occorre tuttavia garantire, nel corso di tutta l'operazione di allontanamento, il rispetto dei diritti fondamentali e l'uso proporzionato dei mezzi di coercizione conformemente alle norme comuni dell'Unione europea illustrate in precedenza. A fini di controllo, un rappresentante di uno Stato membro deve osservare il procedimento di allontanamento eseguito dal paese di destinazione. A norma dell'articolo 28, paragrafo 3, del regolamento (UE) 2016/1624 relativo alla guardia di frontiera e costiera europea («regolamento sulla guardia di frontiera e costiera europea»), l'Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera può fornire assistenza nell'organizzare operazioni di rimpatrio collettive. Nel corso di tali operazioni, gli Stati membri partecipanti e l'Agenzia provvedono affinché siano garantiti il rispetto dei diritti fondamentali, il principio di non respingimento e l'uso proporzionato delle misure coercitive. A tal fine, almeno un rappresentante di uno Stato membro che partecipa all'operazione e un osservatore del rimpatrio forzato (di uno Stato membro partecipante o facenti parte del gruppo istituito ai sensi all'articolo 29 del regolamento) sono presenti a bordo durante l'intera operazione fino all'arrivo nel paese di destinazione.

7.2.   Transito per via aerea

Base giuridica: direttiva 2003/110/CE.

Richiesta di transito ai fini dell'espulsione per via aerea: allegato della direttiva 2003/110/CE

Elenco delle autorità centrali ai sensi dell'articolo 4, paragrafo 5, della direttiva 2003/110/CE alle quali sono trasmesse le richieste di transito (disponibile sul sito web della REM alla voce «EMN ad-hoc queries», con richiesta di informazioni sui rimpatri, per l'anno 2015)

La direttiva 2003/110/CE definisce misure dettagliate sull'assistenza tra le autorità competenti negli aeroporti degli Stati membri di transito per quanto riguarda le espulsioni per via aerea, con e senza scorta. Prevede una serie di disposizioni intese a facilitare il transito di persone destinatarie di un provvedimento di allontanamento in un aeroporto di uno Stato membro diverso da quello che ha adottato e attuato la decisione di allontanamento. A tale scopo la direttiva definisce le condizioni alle quali le operazioni di transito possono svolgersi e indica le misure di assistenza che lo Stato membro al quale è stato richiesto il transito dovrebbe prevedere. Le richieste di assistenza devono essere presentate mediante il modulo standard allegato alla direttiva 2003/110/CE e trasmesse alle autorità centrali degli Stati membri appositamente designate.

7.3.   Operazioni congiunte di allontanamento per via aerea

Base giuridica: decisione 2004/573/CE.

Elenco delle autorità nazionali incaricate dell'organizzazione dei voli congiunti e/o partecipanti a tali voli ai sensi dell'articolo 3 della decisione 2004/573/CE (disponibile sul sito web della REM alla voce «EMN ad-hoc queries», con richiesta di informazioni sui rimpatri, per l'anno 2015).

La decisione 2004/573/CE riguarda in particolare l'individuazione dei compiti comuni e specifici delle autorità responsabili dell'organizzazione o che partecipano a tali operazioni. La decisione del Consiglio comprende in allegato gli orientamenti comuni sulle disposizioni di sicurezza applicabili all'allontanamento congiunto per via aerea. Ai sensi dell'articolo 8, paragrafo 5, della direttiva rimpatri, occorre tener conto di tali orientamenti per qualsiasi allontanamento per via aerea, anche in caso di operazioni puramente nazionali (cfr. punto 7.1 del presente manuale).

7.4.   Operazioni di rimpatrio coordinate dall'Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera

Base giuridica: regolamento (UE) 2016/1624, articolo 28

Uno dei compiti dell'Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera è offrire assistenza agli Stati membri nell'organizzare ed effettuare le operazioni di rimpatrio, nel rispetto della politica dell'Unione europea in materia di rimpatri e, in particolare, della direttiva rimpatri quale atto fondamentale della legislazione UE in tale settore. Il ruolo dell'Agenzia in materia di rimpatri e di rispetto dei diritti fondamentali è stato rafforzato nel 2016 dal regolamento sulla guardia di frontiera e costiera europea.

Le operazioni di rimpatrio coordinate dall'Agenzia presentano un chiaro valore aggiunto e gli Stati membri sono incoraggiati a fare ampio uso di questa possibilità.

Tali operazioni sono soggette al monitoraggio dei rimpatri forzati (cfr. punto 8 del presente manuale).

8.   MONITORAGGIO DEI RIMPATRI FORZATI

Base giuridica: direttiva rimpatri, articolo 8, paragrafo 6

Elenco degli organismi nazionali responsabili del monitoraggio dei rimpatri forzati: sito web della REM, alla voce «EMN ad-hoc queries», con richiesta di informazioni sui rimpatri, per l'anno 2015; una panoramica degli organismi di monitoraggio nazionali elaborata dall'Agenzia dell'Unione europea per i diritti fondamentali (FRA) è disponibile al seguente indirizzo: http://fra.europa.eu/en/theme/asylum-migration-borders/forced-return.

Gli Stati membri prevedono un sistema di monitoraggio efficace dei rimpatri forzati.

Il monitoraggio dei rimpatri forzati è uno strumento importante in grado di rispondere agli interessi sia del rimpatriando che delle autorità di contrasto in quanto meccanismo di controllo integrato per le normali prassi di rimpatrio nazionali. Un monitoraggio efficace contribuisce ad allentare il clima di tensione, consente di individuare e correggere tempestivamente le eventuali carenze e tutela le autorità di contrasto (talvolta oggetto di critiche ingiustificate da parte dei mezzi di comunicazione o delle ONG) fornendo informazioni imparziali e oggettive.

La direttiva rimpatri non prescrive dettagliatamente in che modo dovrebbero essere organizzati i sistemi nazionali di monitoraggio dei rimpatri forzati e lascia agli Stati membri un ampio margine di discrezionalità. Sulla base del testo della direttiva e del suo contesto, si possono tuttavia fornire alcuni orientamenti:

1)

il monitoraggio dei rimpatri forzati andrebbe inteso come riferito a tutte le attività svolte dagli Stati membri in relazione all'allontanamento: dalla preparazione della partenza all'accoglienza nel paese di rimpatrio o, in caso di mancato allontanamento, fino al ritorno al punto di partenza; non riguarda invece la fase successiva al rimpatrio, vale a dire il periodo successivo all'accoglienza del rimpatriando nel paese terzo;

2)

i sistemi di monitoraggio dovrebbero includere il coinvolgimento di organizzazioni/organismi diversi e indipendenti dalle autorità che eseguono i rimpatri (nemo monitor in res sua);

3)

gli organismi pubblici, quali un Mediatore nazionale o un ente ispettivo generale indipendente, possono svolgere compiti di monitoraggio; appare tuttavia problematico assegnare un ruolo del genere a un dipartimento della stessa amministrazione che esegue anche i rimpatri/gli allontanamenti;

4)

la mera esistenza di mezzi di ricorso giurisdizionali in singoli casi o di sistemi nazionali di controllo dell'efficienza delle politiche nazionali in materia di rimpatri non può essere considerata una valida applicazione dell'articolo 8, paragrafo 6, della direttiva rimpatri;

5)

gli Stati membri non sono automaticamente tenuti a finanziare tutti i costi sostenuti dal responsabile del monitoraggio (quali quelli relativi al personale), ma hanno l'obbligo di garantire, in generale, l'istituzione e la piena operatività di un sistema di monitoraggio dei rimpatri forzati («effetto utile»);

6)

l'articolo 8, paragrafo 6, della direttiva rimpatri non implica l'obbligo di monitorare ogni singola operazione di allontanamento: un sistema basato su controlli a campione e sul monitoraggio di campioni casuali può essere considerato sufficiente, purché l'intensità del monitoraggio sia sufficientemente elevata da garantirne l'efficienza complessiva;

7)

l'articolo 8, paragrafo 6, della direttiva rimpatri non implica un diritto soggettivo del rimpatriando a essere monitorato.

Monitoraggio delle operazioni di rimpatrio coordinate dall'Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera

L'articolo 28, paragrafo 6, del regolamento sulla guardia di frontiera e costiera europea stabilisce che «[c]iascuna operazione di rimpatrio è monitorata in conformità dell'articolo 8, paragrafo 6, della direttiva 2008/115/CE. Il monitoraggio delle operazioni di rimpatrio forzato è svolto […] sulla base di criteri oggettivi e trasparenti e riguarda l'intera operazione, dalla fase precedente la partenza fino alla consegna del rimpatriando nel paese terzo di rimpatrio». Ciò significa che ogni attività di rimpatrio forzato coordinata dall'Agenzia e comprendente un supporto tecnico e operativo da parte di uno o più Stati membri è soggetta a un monitoraggio in conformità delle norme e delle modalità nazionali di recepimento dell'articolo 8, paragrafo 6, della direttiva rimpatri.

Fatti salvi gli obblighi di comunicazione previsti dalla legge nazionale, gli osservatori dei rimpatri forzati sono tenuti a riferire dopo ogni operazione al direttore esecutivo dell'Agenzia, al funzionario responsabile dei diritti fondamentali e alle autorità nazionali competenti di tutti gli Stati membri che partecipano all'operazione.

9.   RINVIO DELL'ALLONTANAMENTO

Base giuridica: direttiva rimpatri, articolo 9

1.

Gli Stati membri rinviano l'allontanamento:

a)

qualora violi il principio di non-refoulement; oppure

b)

per la durata della sospensione concessa ai sensi dell'articolo 13, paragrafo 2.

2.

Gli Stati membri possono rinviare l'allontanamento per un congruo periodo, tenendo conto delle circostanze specifiche di ciascun caso. Gli Stati membri tengono conto in particolare:

a)

delle condizioni fisiche o mentali del cittadino di un paese terzo;

b)

delle ragioni tecniche, come l'assenza di mezzi di trasporto o il mancato allontanamento a causa dell'assenza di identificazione.

3.

Ove sia disposto il rinvio dell'allontanamento a norma dei paragrafi 1 e 2, al cittadino di un paese terzo interessato possono essere imposti gli obblighi di cui all'articolo 7, paragrafo 3.

La direttiva rimpatri prevede due divieti assoluti: gli Stati membri non possono allontanare una persona qualora ciò violi il principio di non respingimento (non refoulement), né possono effettuare l'allontanamento durante il periodo di sospensione concesso in attesa dell'esito di un ricorso.

In altri casi gli Stati membri possono rinviare l'allontanamento per un periodo congruo, tenendo conto delle circostanze specifiche di ciascun caso. L'elenco dei possibili motivi è aperto, il che consente agli Stati membri di reagire con flessibilità a nuove situazioni emergenti o appena individuate che giustifichino il rinvio dell'allontanamento. Gli esempi concreti riportati nella direttiva rimpatri (condizioni fisiche o mentali della persona interessata, ragioni tecniche quali l'assenza di mezzi di trasporto adeguati) sono indicativi. Gli Stati membri possono prevedere anche altri casi nelle rispettive legislazioni di attuazione e/o prassi amministrative nazionali.

Ulteriore chiarimento

Differenza tra il periodo per la partenza volontaria e il rinvio dell'allontanamento: l'articolo 7 della direttiva rimpatri (partenza volontaria) prevede una «moratoria» intesa a consentire una partenza ordinata e preparata in modo adeguato; si riferisce solo ai rimpatriandi che, presumibilmente, rispetteranno volontariamente la decisione di rimpatrio. L'articolo 9 della direttiva (rinvio dell'allontanamento) riguarda i casi in cui l'obbligo di rimpatrio deve essere eseguito dallo Stato in quanto la partenza volontaria non è possibile o non è stata autorizzata.

Status giuridico nel periodo di rinvio dell'allontanamento: nel periodo di sospensione del provvedimento di allontanamento, il rimpatriando usufruisce delle garanzie di cui all'articolo 14 della direttiva rimpatri (conferma scritta del rinvio dell'obbligo di rimpatrio e alcune garanzie di base, come l'accesso alle prestazioni sanitarie d'urgenza, il trattamento essenziale delle malattie e il mantenimento dell'unità del nucleo familiare – cfr. punto 13 del presente manuale). Tuttavia, il soggiorno del rimpatriando in uno Stato membro non è considerato regolare, salvo che lo Stato membro, in conformità dell'articolo 6, paragrafo 4, della direttiva rimpatri, non decida di concedere al cittadino di paese terzo un permesso o un diritto di soggiorno regolare.

Obbligo di dimora in un determinato luogo nel periodo in cui l'allontanamento è stato differito: l'articolo 9, paragrafo 3, contiene un riferimento specifico alle possibilità di cui all'articolo 7, paragrafo 3, miranti ad evitare il rischio di fuga (cfr. punto 6.2 del presente manuale), fra cui l'obbligo di dimorare in un determinato luogo.

10.   RIMPATRIO DI MINORI NON ACCOMPAGNATI

La direttiva rimpatri si applica anche ai minori, compresi quelli non accompagnati, e prevede garanzie specifiche che devono essere rispettate dagli Stati membri. Tali garanzie si applicano pertanto a qualunque persona di età inferiore ai diciotto anni (vale a dire, un minore) che arrivi nel territorio degli Stati membri senza essere accompagnata da un adulto che ne sia responsabile, fino a quando non sia effettivamente affidata a un adulto responsabile (compreso il minore abbandonato dopo l'ingresso nel territorio degli Stati membri). In alcuni Stati membri gli adolescenti di età inferiore ai 18 anni sono autorizzati ad agire per proprio conto nelle procedure di rimpatrio (e di asilo); le garanzie della direttiva rimpatri sono tuttavia vincolanti per gli Stati membri nei confronti di tutti i minori fino ai 18 anni di età.

Per dare normalità e stabilità a lungo termine a tutti i minori è essenziale approntare soluzioni durature. Il rimpatrio è una delle ipotesi da prendere in esame nell'individuare una soluzione duratura per il minore non accompagnato e qualsiasi azione degli Stati membri deve basarsi, quale considerazione fondamentale, sull'interesse superiore del minore. Prima di deciderne il rimpatrio e in conformità dell'articolo 12, paragrafo 2, della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo (50), è obbligatorio ascoltare il minore non accompagnato, direttamente o tramite un rappresentante o un organo appropriato, ed effettuare una valutazione del suo interesse superiore su base individuale, anche tenendo conto delle sue esigenze particolari, del contesto familiare e della situazione e delle condizioni di accoglienza nel paese di rimpatrio. Tale valutazione dovrebbe verificare sistematicamente se il rimpatrio nel paese d'origine, incluso il ricongiungimento con la famiglia, sia nell'interesse superiore del minore.

La valutazione dovrebbe essere effettuata dalle autorità competenti basandosi su un approccio multidisciplinare, che coinvolga il tutore del minore appositamente designato e/o l'autorità competente in materia di protezione dei minori. Gli Stati membri dovrebbero inoltre effettuare una revisione periodica dell'interesse superiore del minore alla luce degli sviluppi del singolo caso.

Gli Stati membri sono incoraggiati a tener conto degli orientamenti interpretativi e operativi forniti dalle linee guida congiunte UNHCR-Unicef sulla determinazione dell'interesse superiore del minore (51), dell'osservazione generale n. 14 del Comitato delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo, che prevede che l'interesse superiore del minore sia considerato preminente (52), delle linee guida dell'UNHCR sulla determinazione dell'interesse superiore del minore (53) e del manuale operativo per l'attuazione di tali linee guida (54).

Il diritto del minore di essere ascoltato durante una procedura di rimpatrio che lo coinvolga o lo riguardi è parte integrante di qualunque valutazione del suo interesse superiore (cfr. articolo 12 della Convenzione sui diritti del fanciullo) e va rispettato in quanto diritto fondamentale riconosciuto quale principio generale del diritto dell'Unione europea sancito dalla Carta. Esso prevede anche che si dia il giusto riconoscimento alle opinioni del minore, tenendo conto della sua età e maturità e di eventuali difficoltà di comunicazione che egli potrebbe incontrare, al fine di rendere significativa tale partecipazione, nonché al rispetto del suo diritto di esprimere liberamente la propria opinione (per ulteriori precisazioni, cfr. punto 12.1 del presente manuale).

Definizione di minore non accompagnato: la direttiva rimpatri non fornisce una definizione di minore non accompagnato. Tenendo conto del fatto che in molti casi il minore non accompagnato è o è stato un richiedente asilo, si raccomanda di utilizzare la definizione contenuta nelle più recenti direttive sull'asilo, in particolare l'articolo 2, lettera e), della rifusione della direttiva 2013/33/UE sulle condizioni di accoglienza: «il minore che entri nel territorio degli Stati membri senza essere accompagnato da un adulto che ne sia responsabile per legge o per prassi dello Stato membro interessato, fino a quando non sia effettivamente affidato a un tale adulto; il termine include il minore che viene abbandonato dopo essere entrato nel territorio degli Stati membri».

Astenersi dall'emettere una decisione di rimpatrio nei confronti di un minore non accompagnato: l'articolo 6, paragrafo 4, della direttiva consente esplicitamente agli Stati membri di rilasciare in qualsiasi momento un'autorizzazione o un diritto di soggiorno in conformità della legislazione nazionale ai cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare; questa regola generale vale anche per i minori. Di conseguenza, gli Stati membri che non rimpatriano/allontanano il minore di un paese terzo il cui soggiorno nel loro territorio è irregolare, o che non possono allontanare tale minore non accompagnato sulla base di una valutazione dell'interesse superiore del minore stesso, hanno la facoltà di concedergli un'autorizzazione o un diritto di soggiorno (ad esempio, un permesso di soggiorno temporaneo fino ai 18 anni di età).

L'articolo 6, paragrafo 1, della direttiva rimpatri obbliga gli Stati membri a scegliere tra «A» (concedere un permesso o un diritto di soggiorno regolare) e «B» (eseguire le procedure di rimpatrio) (cfr. punto 5 del presente manuale). Gli Stati membri dovrebbero pertanto stabilire norme chiare sullo status giuridico dei minori non accompagnati che consentano di adottare decisioni di rimpatrio e di eseguire il rimpatrio stesso, ovvero di concedere a tali minori un diritto di soggiorno in conformità del diritto nazionale. Gli Stati membri dovrebbero cercare di garantire la disponibilità di procedure di determinazione dello status per i minori non accompagnati che non vengono rimpatriati. Si tratta di un approccio lineare, che mira a ridurre le «zone grigie» e a migliorare la certezza del diritto per tutti i soggetti coinvolti. Alla luce di quanto precede, per essere compatibile con la direttiva rimpatri la situazione dei minori non accompagnati che si trovano in Stati membri che, a seguito di una valutazione dell'interesse superiore del minore, non rimpatriano né allontanano i minori di paesi terzi dovrebbe essere regolarizzata, sotto il profilo giuridico, concedendo un permesso (temporaneo) o un diritto di soggiorno (ad esempio, fino al compimento dei 18 anni), in applicazione dell'articolo 6, paragrafo 4, della direttiva, ovvero adottando una decisione di rimpatrio e rinviando l'allontanamento in conformità degli articoli 6 e 9 della direttiva.

10.1.   Assistenza da parte di organismi appropriati

Base giuridica: direttiva rimpatri, articolo 10, paragrafo 1

Prima di emettere una decisione di rimpatrio nei confronti di un minore non accompagnato è fornita un'assistenza da parte di organismi appropriati diversi dalle autorità che eseguono il rimpatrio tenendo nel debito conto l'interesse superiore del bambino.

Promemoria storico/spiegazione: l'articolo 10, paragrafo 1, non era contenuto nella proposta della Commissione. È stato inserito nel testo durante i negoziati ispirandosi direttamente all'orientamento 2, punto 5, dei «Venti orientamenti sul rimpatrio forzato» (55) del Consiglio d'Europa, secondo cui prima di emettere un provvedimento di allontanamento nei confronti di un minore separato è opportuno concedere un'assistenza, in particolare legale, tenendo nel debito conto l'interesse superiore del minore.

Natura degli «organismi appropriati»: l'«organismo appropriato» dovrebbe essere distinto dall'autorità responsabile dell'esecuzione. Potrebbe essere un organismo governativo (eventualmente un servizio separato, se interno allo stesso ministero) o non governativo, ovvero una combinazione di entrambi, in modo da garantire una cooperazione multidisciplinare tra i sistemi di custodia governativi e non governativi e/o gli organismi di protezione dei minori. Gli organismi responsabili dell'assistenza e della protezione dei minori devono rispettare le norme previste in materia di sicurezza, salute, idoneità del personale e vigilanza competente. I vari ruoli e responsabilità dei soggetti coinvolti devono essere chiari e trasparenti, in particolare per il minore non accompagnato, così da consentirne il coinvolgimento attivo e la partecipazione effettiva su tutte le questioni che lo riguardano.

Natura «dell'assistenza»: l'assistenza dovrebbe comprendere l'assistenza legale, senza però limitarsi ad essa. Per favorire il rispetto dei diritti del minore come previsto dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo, è opportuno prendere in considerazione anche altri aspetti espressamente menzionati dalla direttiva rimpatri, quali l'assistenza medica e le prestazioni sanitarie necessarie, il contatto con la famiglia e l'accesso al sistema di istruzione di base. Si dovrebbe attribuire particolare importanza alla necessità di discutere con il minore, prima e durante ogni processo o procedura, nonché di tutte le decisioni che lo riguardano. Il minore dovrebbe essere informato dei suoi diritti, delle procedure e dei servizi disponibili per la sua protezione secondo modalità che tengano conto della sua sensibilità e siano appropriate all'età e al contesto.

Tempi «dell'assistenza»: l'assistenza da parte di organismi appropriati dovrebbe iniziare al più presto, prima che venga emessa una decisione di rimpatrio. Ciò implica che l'età va accertata tempestivamente basandosi sul beneficio del dubbio. L'assistenza dovrebbe essere un processo stabile e continuo, anche durante la fase di rimpatrio. Può riguardare anche la fase successiva, così da garantire un seguito adeguato al rimpatrio. Se necessario, la tutela dovrebbe essere trasferita dallo Stato membro al paese di rimpatrio ai sensi dell'articolo 10, paragrafo 2, della direttiva rimpatri.

Accertamento dell'età: la direttiva rimpatri non contiene alcuna disposizione sull'accertamento dell'età. Sulla base di un'interpretazione sistematica dell'acquis dell'Unione europea in materia di immigrazione e di asilo, la Commissione raccomanda di far riferimento alle disposizioni dell'articolo 25, paragrafo 5, della direttiva procedure e di tener conto dei documenti correlati redatti, ad esempio, dall'Ufficio europeo di sostegno per l'asilo (56).

Continuità dell'assistenza durante le procedure di asilo e di rimpatrio: sebbene la base giuridica della tutela garantita ai richiedenti asilo sia diversa da quella dell'«assistenza» prevista per i minori/bambini non accompagnati nel processo di rimpatrio, esistono stretti legami tra i requisiti stabiliti dall'acquis in materia di asilo e dalla direttiva rimpatri e sarebbe opportuno garantire la continuità dell'assistenza in entrambe le procedure (di asilo e rimpatrio).

La mera tutela non è sufficiente ad adempiere all'obbligo di fornire assistenza ai minori, in quanto per «assistenza da parte di organismi appropriati» si intende molto più della sola tutela.

10.2.   Riconduzione ad un membro della famiglia, a un tutore designato o presso adeguate strutture di accoglienza

Base giuridica: direttiva rimpatri, articolo 10, paragrafo 2

Prima di allontanare un minore non accompagnato dal territorio di uno Stato membro, le autorità di tale Stato membro si accertano che questi sarà ricondotto

ad un membro della sua famiglia,

a un tutore designato, o

presso adeguate strutture di accoglienza nello Stato di rimpatrio.

Tra le opzioni previste dall'articolo 10, paragrafo 2, della direttiva rimpatri, si raccomanda di preferire la riconduzione ad un membro della famiglia, a meno che ciò non sia manifestamente contrario all'interesse superiore del minore. È pertanto opportuno che gli Stati membri si adoperino per stabilire l'identità e la nazionalità del minore non accompagnato e per rintracciarne i familiari. La consegna a un tutore o ad una struttura di accoglienza adeguata può essere un'alternativa accettabile a determinate condizioni.

La Commissione raccomanda agli Stati membri di predisporre misure di reinserimento adeguate per i minori non accompagnati che ritornano nel loro paese d'origine e di assicurare il rapido accesso a tali misure sia prima della partenza che dopo l'arrivo nel paese terzo di rimpatrio.

Ulteriore chiarimento

Ricerca dei familiari: è opportuno che gli Stati membri avviino senza indugio procedure miranti a rintracciare i genitori o i familiari del minore non accompagnato, coinvolgendo anche il tutore designato e/o una persona responsabile della protezione del minore. Per facilitare la ricerca dei familiari e per individuare un tutore o una struttura di accoglienza adeguata in attesa del rimpatrio, le autorità nazionali competenti dovrebbero adottare le misure necessarie per collaborare con i servizi consolari, i funzionari di collegamento, gli organismi di protezione dei minori, le organizzazioni internazionali e le ONG nel paese di rimpatrio, facendo pieno uso dei canali di cooperazione transfrontaliera esistenti.

Partenza volontaria del minore: in linea di principio, l'articolo 10, paragrafo 2, si applica solo alle situazioni in cui un minore viene allontanato e non ai casi in cui un minore lascia volontariamente lo Stato membro. Tenendo conto dell'obbligo degli Stati membri di tenere in debita considerazione l'interesse superiore del minore, nei casi di partenza volontaria si raccomanda di valutare anche il contesto familiare, nonché la situazione e le condizioni di accoglienza nel paese di rimpatrio.

L'adeguatezza delle strutture di accoglienza nel paese di rimpatrio deve essere valutata caso per caso, tenendo conto delle circostanze individuali e dell'età del minore rimpatriato. La mera accoglienza da parte della polizia di frontiera nel paese di rimpatrio, senza le misure di follow-up o di accompagnamento necessarie, non può essere ritenuta «un'accoglienza adeguata». Lo Stato membro dovrebbe prestare particolare attenzione alla disponibilità di un alloggio idoneo, nonché all'accesso all'assistenza sanitaria e all'istruzione nel paese di rimpatrio. Gli Stati membri sono tenuti al rispetto dell'articolo 20 della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo e sono incoraggiati a conformarsi agli orientamenti delle Nazioni Unite per l'assistenza alternativa ai minori (57).

11.   DIVIETI D'INGRESSO

Base giuridica: direttiva rimpatri, articolo 3, paragrafo 6, e articolo 11

Si intende per «divieto d'ingresso» una decisione o un atto amministrativo o giudiziario che vieti l'ingresso e il soggiorno nel territorio degli Stati membri per un periodo determinato e che accompagni una decisione di rimpatrio.

Le decisioni di rimpatrio sono corredate di un divieto d'ingresso:

a)

qualora non sia stato concesso un periodo per la partenza volontaria; oppure

b)

qualora non sia stato ottemperato all'obbligo di rimpatrio.

In altri casi le decisioni di rimpatrio possono essere corredate di un divieto d'ingresso.

La durata del divieto d'ingresso è determinata tenendo debitamente conto di tutte le circostanze pertinenti di ciascun caso e non supera di norma i cinque anni. Può comunque superare i cinque anni se il cittadino di un paese terzo costituisce una grave minaccia per l'ordine pubblico, la pubblica sicurezza o la sicurezza nazionale.

I divieti d'ingresso legati al rimpatrio previsti dalla direttiva rimpatri dovrebbero avere effetti preventivi e rafforzare la credibilità della politica dell'Unione in materia di rimpatri, inviando il chiaro segnale che chi non rispetta le norme sulla migrazione negli Stati membri dell'UE non sarà autorizzato a rientrare in alcuno degli Stati membri dell'UE per un periodo specifico.

La direttiva obbliga gli Stati membri a emettere un divieto d'ingresso in due casi ben definiti: i) qualora non sia stato concesso un periodo per la partenza volontaria e ii) qualora non sia stato ottemperato all'obbligo di rimpatrio.

In tutti gli altri casi le decisioni di rimpatrio possono essere corredate di un divieto d'ingresso.

La durata del divieto d'ingresso dev'essere determinata tenendo debitamente conto di tutte le circostanze pertinenti di ciascun caso. Di norma non dovrebbe superare i cinque anni. Soltanto in casi di grave minaccia per l'ordine pubblico, la pubblica sicurezza o la sicurezza nazionale, il divieto d'ingresso può essere emesso per un periodo più lungo.

Le disposizioni sui divieti d'ingresso legati al rimpatrio previste dalla direttiva rimpatri lasciano impregiudicati i divieti d'ingresso emessi per altri fini non legati alla migrazione, come quelli emessi nei confronti di cittadini di paesi terzi che hanno commesso reati gravi o per i quali esistono indizi concreti sull'intenzione di commettere tali reati [articolo 24, paragrafo 2, del regolamento (CE) n. 1987/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio («regolamento SIS II»)] (58) o i divieti d'ingresso che costituiscono una misura restrittiva adottata ai sensi del titolo V, capo 2, del TUE, comprese le misure che attuano divieti di viaggio emessi dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.

11.1.   Effetto a livello di Unione europea

Un divieto d'ingresso proibisce l'ingresso nel territorio di tutti gli Stati membri: dalla formulazione del considerando 14 della direttiva rimpatri e da un confronto sistematico di tutte le versioni linguistiche della direttiva (in particolare dei testi inglese e francese) risulta chiaramente che un divieto d'ingresso proibisce l'ingresso e il soggiorno nel territorio di tutti gli Stati membri. La versione danese, che usa il singolare («ophold på en medlemsstats»), contiene un evidente errore di traduzione. L'effetto a livello di Unione europea di un divieto d'ingresso è uno dei valori aggiunti europei fondamentali della direttiva. Il fatto che il divieto d'ingresso sia valido in tutta l'UE deve essere chiaramente indicato nella decisione relativa a un divieto d'ingresso emessa nei confronti di un cittadino di un paese terzo.

I divieti d'ingresso sono vincolanti per tutti gli Stati membri vincolati dalla direttiva rimpatri, ossia tutti gli Stati membri (tranne Regno Unito e Irlanda) più i paesi associati Schengen (Svizzera, Norvegia, Islanda e Liechtenstein).

Informare altri Stati membri sui divieti d'ingresso emessi: è essenziale informare gli altri Stati membri su tutti i divieti d'ingresso emessi. Inserire una segnalazione nel SIS in applicazione dell'articolo 24, paragrafo 3, del regolamento SIS II è il mezzo principale - ma non esclusivo - per informare altri Stati membri dell'esistenza di un divieto d'ingresso e garantire che esso sia effettivamente eseguito. Pertanto gli Stati membri dovrebbero provvedere affinché i divieti d'ingresso siano sistematicamente segnalati nel SIS. Lo scambio d'informazioni con gli Stati membri che non hanno accesso al SIS può avvenire tramite altri canali (ad esempio, contatti bilaterali).

Divieti d'ingresso puramente nazionali: non è compatibile con la direttiva rimpatri emettere divieti d'ingresso legati alla migrazione puramente nazionali. La legislazione nazionale deve prevedere che i divieti d'ingresso emessi in connessione con decisioni di rimpatrio proibiscano l'ingresso e il soggiorno in tutti gli Stati membri, ad esempio stabilendo l'obbligo di inserire sistematicamente nel SIS tutti i divieti d'ingresso di questo tipo. Se tuttavia un cittadino di un paese terzo destinatario di un divieto d'ingresso emesso dallo Stato membro A ha un permesso di soggiorno emesso dallo Stato membro B e quest'ultimo non vuole revocare tale permesso, in seguito a una consultazione in conformità dell'articolo 25 della convenzione di applicazione dell'accordo di Schengen cui si fa riferimento nell'articolo 11, paragrafo 4, della direttiva rimpatri, lo Stato membro A revoca il divieto d'ingresso a livello di UE, ma può iscrivere il cittadino di paese terzo in questione nel proprio elenco nazionale delle persone segnalate ai sensi dell'articolo 25, paragrafo 2, ultima frase, della CAS («lex specialis») (cfr. anche punto 11.8 del presente manuale).

11.2.   Uso del SIS II

Registrazione nel SIS dei divieti d'ingresso: in base alla legislazione attualmente applicabile, gli Stati membri possono registrare nel SIS le segnalazioni legate ai divieti d'ingresso emessi conformemente alla direttiva rimpatri, ma non hanno l'obbligo di farlo. Tuttavia, per dare piena attuazione alla dimensione europea dei divieti d'ingresso emessi ai sensi della direttiva rimpatri, gli Stati membri dovrebbero farlo sistematicamente.

Relazione tra il riesame triennale delle segnalazioni inserite nel SIS (ai sensi dell'articolo 112 della CAS e dell'articolo 29 del regolamento SIS II) e la durata del divieto d'ingresso fissata in base alla direttiva rimpatri: il riesame delle segnalazioni inserite nel SIS è un obbligo procedurale inteso ad assicurare che le segnalazioni siano conservate esclusivamente per il periodo necessario ai fini per le quali sono state inserite. Non influisce in alcun modo sulla decisione sostanziale degli Stati membri di determinare la durata di un divieto d'ingresso in conformità delle disposizioni della direttiva rimpatri. Se al momento del riesame triennale un divieto d'ingresso imposto ai sensi della direttiva rimpatri è ancora in vigore (ad esempio il divieto è stato imposto per un periodo di cinque anni e nel frattempo non è stato revocato), gli Stati membri possono mantenere la segnalazione nel SIS per il restante periodo di due anni qualora la segnalazione sia ancora necessaria tenuto conto dei criteri di valutazione applicabili, ossia l'articolo 11 della direttiva rimpatri in combinato disposto con l'articolo 112, paragrafo 4, della CAS o con l'articolo 29, paragrafo 4, del regolamento SIS II.

11.3.   Questioni procedurali

Emissione di divieti d'ingresso al momento della partenza, alla frontiera, in un procedimento in contumacia (ad esempio nei confronti di persone che hanno prolungato il soggiorno oltre il periodo di validità del visto e che si presentano ai controlli di frontiera in un aeroporto poco prima della partenza): nulla osta a che gli Stati membri diano avvio a una procedura di rimpatrio quando vengono a conoscenza di un superamento del periodo di validità del visto ed emettano una decisione di rimpatrio (cfr. punto 5.1 del presente manuale) corredata di un divieto d'ingresso in un procedimento in contumacia se:

1)

il diritto amministrativo nazionale prevede la possibilità di procedimenti in contumacia; e

2)

tali procedimenti nazionali rispettano i principi generali del diritto dell'Unione e i diritti fondamentali sanciti dalla Carta, in particolare il diritto di essere ascoltati e il diritto a un giudice imparziale.

Emissione di un divieto d'ingresso al momento della partenza nei confronti di rimpatriandi che non hanno rispettato l'obbligo di rimpatrio entro il periodo concesso per la partenza volontaria: viene imposto un divieto d'ingresso in una fase successiva (ad esempio alla partenza) quale elemento accessorio e successivo di una decisione di rimpatrio già emessa qualora il rimpatriando non abbia ottemperato all'obbligo di rimpatrio entro il periodo concesso per la partenza volontaria.

Presenza nel territorio di uno Stato membro: il soggiorno irregolare è un presupposto essenziale per emettere una decisione di rimpatrio corredata di un divieto d'ingresso. Uno Stato membro non può emettere una decisione di rimpatrio corredata di un divieto d'ingresso nei confronti di persone che non soggiornano nel suo territorio. Se una persona è fuggita (ad esempio dopo aver ricevuto una decisione negativa riguardo a una domanda di asilo), ma si può presumere che sia presente nel territorio dello Stato membro interessato, può essere adottata una decisione di rimpatrio (compreso un divieto d'ingresso) in un procedimento in contumacia in virtù del diritto nazionale.

Soggiorno irregolare nel passato: gli Stati membri non possono emettere una decisione di rimpatrio corredata di un divieto d'ingresso conformemente alla direttiva rimpatri nei confronti di persone non presenti nel loro territorio, compresi i cittadini di paesi terzi che in precedenza (nel passato) avevano soggiornato in modo irregolare e che erano rientrati in un paese terzo prima che ne venisse scoperto il soggiorno irregolare. Se tali persone rientrano in uno Stato membro e vengono adottate misure previste dalla direttiva rimpatri (decisione di rimpatrio, divieto d'ingresso), il soggiorno o i soggiorni irregolari precedenti possono essere presi in considerazione come circostanza aggravante nel momento in cui si stabilisce la durata del divieto d'ingresso. Anche un soggiorno irregolare precedente in altri Stati membri può essere preso in considerazione come circostanza aggravante nel momento in cui si stabilisce la durata del divieto d'ingresso.

11.4.   Motivi di emissione del divieto d'ingresso

La direttiva rimpatri obbliga gli Stati membri a emettere un divieto d'ingresso in due casi specifici:

1)

qualora non sia stato concesso un periodo per la partenza volontaria; oppure

2)

qualora non sia stato ottemperato all'obbligo di rimpatrio.

In tutti gli altri casi (tutte le decisioni di rimpatrio adottate in conformità della direttiva rimpatri che non rientrano nell'ambito dei due casi specifici) le decisioni di rimpatrio possono essere corredate di un divieto d'ingresso. Ciò implica che può essere previsto un divieto d'ingresso anche se la persona è partita volontariamente. Gli Stati membri godono tuttavia di una certa discrezionalità al riguardo e sono incoraggiati a esercitarla in modo tale da incentivare le partenze volontarie.

11.5.   Durata del divieto d'ingresso

La durata del divieto d'ingresso è determinata conformemente alla legislazione nazionale di recepimento della direttiva rimpatri, tenendo debitamente conto di tutte le circostanze pertinenti di ciascun caso. Nel determinare la durata del divieto d'ingresso si deve tenere conto in particolare delle circostanze aggravanti o attenuanti di cui l'autorità di emissione è a conoscenza, ad esempio:

se il cittadino di paese terzo è già stato destinatario in passato di una decisione di rimpatrio o di un provvedimento di allontanamento,

se il cittadino di paese terzo ha già ricevuto in passato assistenza per la partenza volontaria e/o la reintegrazione,

se il cittadino di paese terzo è entrato senza autorizzazione nel territorio di uno Stato membro quando era ancora valido un divieto d'ingresso,

se il cittadino di paese terzo ha collaborato o non si è dimostrato disposto a collaborare alla procedura di rimpatrio,

se il cittadino di paese terzo ha dimostrato di essere disposto a partire volontariamente.

In generale, la durata del divieto d'ingresso non deve superare i cinque anni. Quando determinano la durata effettiva del divieto d'ingresso, gli Stati membri sono tenuti a effettuare una valutazione individuale di tutte le circostanze pertinenti e a rispettare il principio di proporzionalità. Uno Stato membro potrebbe prevedere termini variabili per categorie di casi tipici, ad esempio tre anni come regola generale, cinque anni in presenza di circostanze aggravanti (in caso di ripetute violazioni della legislazione in materia di migrazione o altro) e un anno in presenza di circostanze attenuanti (ad esempio violazioni commesse solo per negligenza), come orientamento generale per la propria amministrazione; tuttavia si deve garantire che ogni caso sia valutato individualmente secondo il principio di proporzionalità. Gli Stati membri possono stabilire nelle rispettive legislazioni o nelle regolamentazioni amministrative nazionali i criteri generali di cui tenere conto per determinare per ogni caso la durata del divieto d'ingresso ai sensi dell'articolo 11, paragrafo 2, della direttiva rimpatri.

Grave minaccia per l'ordine pubblico, la pubblica sicurezza o la sicurezza nazionale: in casi di grave minaccia per l'ordine pubblico, la pubblica sicurezza o la sicurezza nazionale, i divieti d'ingresso possono essere emessi per periodi più lunghi di cinque anni. I fattori che gli Stati membri possono prendere in considerazione per determinare tale minaccia possono essere reati penali e gravi reati amministrativi commessi (ad esempio, uso ripetuto di documenti d'identità falsi, violazioni ripetute e deliberate della legislazione in materia di migrazione). Nessuno di tali fattori può tuttavia essere considerato automaticamente e di per sé una minaccia per l'ordine pubblico: gli Stati membri sono sempre tenuti a effettuare un esame individuale di tutte le circostanze pertinenti e a rispettare il principio di proporzionalità.

La direttiva rimpatri non fornisce alcuna definizione dell'esatto significato di tale nozione e la giurisprudenza della Corte di giustizia sul suo uso in altre direttive in materia di migrazione e nel contesto della libertà di circolazione non si applica direttamente nel contesto della direttiva rimpatri, poiché le questioni di cui si tratta e il contesto sono diversi. Nondimeno alcune considerazioni contenute nella giurisprudenza della Corte di giustizia (in particolare riguardo a concetti orizzontali come la proporzionalità e l'effetto utile delle direttive) possono fornire delucidazioni: nella sezione 3 della comunicazione concernente gli orientamenti per un migliore recepimento e una migliore applicazione della direttiva 2004/38/CE relativa al diritto dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente sul territorio degli Stati membri  (59), la Commissione ha fornito dettagliati orientamenti riguardo all'interpretazione della nozione di ordine pubblico e di sicurezza pubblica nel contesto della libertà di movimento. Inoltre, informazioni comparative sulle interpretazioni fornite per tale nozione dagli Stati membri nel contesto della migrazione possono essere tratte dai risultati della richiesta di informazioni ad hoc (140) sulla comprensione delle nozioni di «ordine pubblico» e di «sicurezza pubblica» nel sito della REM. Al punto 48 della sentenza emessa nella causa Zh. e O., C-554/13, riguardante la nozione di «ordine pubblico» nel contesto della direttiva rimpatri (cfr. punto 6.3 del presente manuale), la Corte di giustizia ha espressamente confermato che possono essere rilevate analogie con la giurisprudenza relativa alla direttiva 2004/38/CE (sentenza emessa dalla Corte di giustizia nella causa Gaydarov  (60), C-430/10, punto 32).

Durata dei divieti d'ingresso per motivi di ordine pubblico: la durata dei divieti d'ingresso per motivi di ordine pubblico deve essere determinata per ogni singolo caso, tenendo conto della gravità dei reati commessi dai cittadini di paesi terzi, dei conseguenti rischi per l'ordine pubblico, la sicurezza pubblica o la sicurezza nazionale e della situazione individuale delle persone interessate. Il principio di proporzionalità deve essere rispettato in ogni caso. L'emissione sistematica di divieti d'ingresso permanenti in tutti i casi di ordine pubblico, senza tener conto delle circostanze individuali (ad esempio la gravità dei reati e i rischi), è in contrasto con la direttiva. Uno Stato membro potrebbe prevedere terminivariabili per categorie di casi tipici, ad esempio 10 anni come regola generale per i casi di ordine pubblico e 20 anni per le situazioni di particolare gravità. Gli Stati membri dovrebbero prevedere la possibilità di riesaminare la decisione di divieto d'ingresso, e in particolare l'esistenza delle condizioni che la giustificano, d'ufficio o in seguito a una richiesta da parte dell'interessato.

Ulteriore chiarimento

 

Nessun divieto d'ingresso illimitato: la durata del divieto d'ingresso è un elemento fondamentale della decisione che stabilisce tale divieto e deve essere determinata d'ufficio in anticipo in ogni singolo caso. La Corte di giustizia lo ha espressamente confermato nella sentenza emessa nella causa Filev e Osmani, C-297/12 (punti 27 e 34): «È giocoforza rilevare che dalle parole OGI“[l]a durata del divieto d'ingresso è determinata” deriva chiaramente l'esistenza di un obbligo per gli Stati membri di limitare gli effetti nel tempo, di norma al massimo cinque anni, di qualsiasi divieto d'ingresso, a prescindere dal fatto che il cittadino interessato del paese terzo abbia presentato una domanda a tal fine. […] l'articolo 11, paragrafo 2, della direttiva 2008/115/CE deve essere interpretato nel senso che esso osta a una disposizione nazionale […] che subordini la limitazione della durata di un divieto d'ingresso alla presentazione da parte del cittadino interessato di un paese terzo di una domanda volta a ottenere il beneficio di una siffatta limitazione».

 

Il momento in cui il termine inizia a decorrere: la direttiva rimpatri non stabilisce espressamente il momento a decorrere dal quale dev'essere calcolato il periodo di applicazione del divieto d'ingresso. La questione è stata tuttavia chiarita dalla Corte di giustizia nella causa Ouhrami, C-225/16 (61).

 

La Corte di giustizia ha dichiarato che la determinazione del punto di partenza di un divieto d'ingresso non può essere lasciata alla discrezionalità di ciascuno Stato membro, poiché ciò comprometterebbe l'obiettivo perseguito dalla direttiva rimpatri nonché dai divieti d'ingresso, e ha concluso: «Dal tenore letterale, dall'impianto sistematico e dall'obiettivo della direttiva 2008/115/CE risulta quindi che il periodo di divieto d'ingresso decorre solo dalla data in cui l'interessato ha effettivamente lasciato il territorio degli Stati membri» (punto 53). In effetti, se un divieto d'ingresso dovesse applicarsi prima dell'effettiva partenza del cittadino di paese terzo, la sua durata risulterebbe indebitamente ridotta.

 

La Corte di giustizia ha pertanto deciso che «la durata del divieto d'ingresso […] dev'essere calcolata a decorrere dalla data in cui l'interessato ha effettivamente lasciato il territorio degli Stati membri» (punto 58).

 

Gli Stati membri dovrebbero predisporre strumenti per confermare e verificare l'effettiva data di partenza dei cittadini di paesi terzi (cfr. punti 6.4 e 6.6 del presente manuale) per garantire che i divieti d'ingresso inizino ad applicarsi nel momento in cui essi lasciano realmente il territorio degli Stati membri.

11.6.   Revoca, riduzione e sospensione dei divieti d'ingresso

Base giuridica: direttiva rimpatri, articolo 11, paragrafo 3

Primo comma: Gli Stati membri valutano la possibilità di revocare o sospendere un divieto d'ingresso qualora un cittadino di un paese terzo colpito da un divieto d'ingresso disposto in conformità del paragrafo 1, secondo comma, possa dimostrare di aver lasciato il territorio di uno Stato membro in piena ottemperanza di una decisione di rimpatrio.

La possibilità di sospendere o revocare un divieto d'ingresso nei casi in cui un rimpatriando ha lasciato il territorio di uno Stato membro nella piena osservanza di una decisione di rimpatrio (in particolare, entro il periodo concesso per la partenza volontaria) dovrebbe essere utilizzata come incentivo per incoraggiare le partenze volontarie. Gli Stati membri devono prevedere nella legislazione e nelle prassi amministrative nazionali la possibilità di chiedere la revoca o la sospensione di un divieto d'ingresso in tali circostanze. È necessario adoperarsi per rendere tali procedure facilmente accessibili per il rimpatriando e operative nella pratica. Esistono varie possibilità per consentire al rimpatriando di fornire prove riguardo alla propria partenza dal territorio dell'UE, quali un timbro di uscita sul suo passaporto, le informazioni contenute nei sistemi di dati alle frontiere nazionali o la presentazione di persona del rimpatriando presso una rappresentanza consolare di uno Stato membro in un paese terzo.

Riduzione della durata dei divieti d'ingresso: gli Stati membri hanno anche la facoltà di ridurre la durata di un divieto d'ingresso vigente, nelle circostanze di cui all'articolo 11, paragrafo 3, della direttiva rimpatri. La possibilità per gli Stati membri di revocare un divieto d'ingresso ai sensi dell'articolo 11, paragrafo 3, può essere interpretata anche come relativa alla revoca parziale (ossia una riduzione della durata) di un divieto d'ingresso.

Secondo comma: Le vittime della tratta di esseri umani cui è stato concesso un permesso di soggiorno ai sensi della direttiva 2004/81/CE non sono soggette a divieto d'ingresso fatte salve le disposizioni del paragrafo 1, primo comma, lettera b), e purché il cittadino di un paese terzo in questione non rappresenti una minaccia per l'ordine pubblico, la pubblica sicurezza o la sicurezza nazionale.

Le vittime della tratta cui era stato concesso in precedenza un permesso di soggiorno ai sensi della direttiva 2004/81/CE non dovrebbero essere soggette a divieto d'ingresso, salvo che la persona interessata non abbia ottemperato all'obbligo di rimpatrio entro il periodo concesso per la partenza volontaria o rappresenti una minaccia per l'ordine pubblico. Questa disposizione si applica solo ai periodi di soggiorno irregolare immediatamente successivi a un soggiorno regolare ai sensi della direttiva 2004/81/CE e non crea un'esenzione permanente per chi in precedenza era in possesso di tali permessi.

Terzo comma: In casi individuali gli Stati membri possono astenersi per motivi umanitari dall'emettere, revocare o sospendere un divieto d'ingresso.

Gli Stati membri hanno la facoltà di non emettere divieti d'ingresso in casi individuali, in particolare in quelli obbligatori previsti dall'articolo 11, paragrafo 1, lettere a) e b), della direttiva rimpatri, esclusivamente per motivi umanitari; tali motivi devono essere stabiliti a livello nazionale. Gli Stati membri hanno inoltre la facoltà di revocare o sospendere divieti d'ingresso vigenti per motivi umanitari.

Questa clausola facoltativa può essere utilizzata dagli Stati membri in conformità della legislazione e delle prassi amministrative nazionali.

Quarto comma: In casi individuali o in talune categorie di casi gli Stati membri possono revocare o sospendere un divieto d'ingresso per altri motivi.

Gli Stati membri sono liberi di revocare o sospendere divieti d'ingresso vigenti per motivi diversi da quelli umanitari, da stabilire a livello nazionale.

In caso di catastrofi umanitarie (quali terremoti, altre calamità naturali e conflitti armati) in paesi terzi che possono comportare un afflusso massiccio di sfollati, le procedure formali per la revoca dei divieti d'ingresso in casi individuali possono richiedere troppo tempo e non sono attuabili. Esiste quindi la possibilità di prevedere una revoca o una sospensione orizzontale dei divieti d'ingresso vigenti relativi ai gruppi di persone in questione.

Può essere necessario revocare divieti d'ingresso emessi in maniera valida in virtù della direttiva rimpatri anche in relazione a cittadini di paesi terzi che, successivamente, potrebbero dimostrare di godere del diritto alla libera circolazione in base al diritto dell'UE, ad esempio diventando familiari di cittadini UE/SEE/CH rientranti nell'ambito di applicazione dell'articolo 21 del TFUE o della direttiva 2004/38/CE.

11.7.   Sanzioni per la mancata osservanza del divieto d'ingresso

La mancata osservanza di un divieto d'ingresso dovrebbe essere presa in considerazione dagli Stati membri nel determinare la durata di un ulteriore divieto d'ingresso. A tale proposito il considerando 14 della direttiva rimpatri prevede espressamente quanto segue: «La durata del divieto d'ingresso dovrebbe essere determinata alla luce di tutte le circostanze pertinenti per ciascun caso e, di norma, non dovrebbe superare i cinque anni. In tale contesto, si dovrebbe tenere conto in modo particolare del fatto che il cittadino di un paese terzo interessato sia già stato destinatario di più di una decisione di rimpatrio o provvedimento di allontanamento o sia entrato nel territorio di uno Stato membro quando era soggetto a un divieto d'ingresso».

La direttiva rimpatri consente agli Stati membri di prevedere ulteriori sanzioni in base al diritto amministrativo nazionale (ad esempio, ammende), nel rispetto dell'effetto utile della direttiva e della giurisprudenza della Corte di giustizia in materia. In tale contesto, gli Stati membri non dovrebbero distinguere tra i divieti d'ingresso emessi dalle proprie autorità nazionali e quelli emessi dalle autorità di altri Stati membri, per evitare di mettere in discussione il concetto armonizzato di divieto d'ingresso a livello di UE previsto dalla direttiva rimpatri.

Gli Stati membri possono irrogare sanzioni penali nei confronti di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare che, dopo essere stati rimpatriati, non hanno rispettato un divieto d'ingresso valido (sentenza della Corte di giustizia nella causa Celaj, C-290/14; cfr. punto 4 del presente manuale).

L'articolo 11, paragrafo 5, della direttiva rimpatri chiarisce che le disposizioni relative ai divieti d'ingresso legati al rimpatrio non pregiudicano il diritto alla protezione internazionale quale definita dall'acquis dell'UE in materia di asilo: ciò implica che i divieti d'ingresso emessi in precedenza ai sensi della direttiva rimpatri non possono giustificare il rimpatrio o il sanzionamento di cittadini di paesi terzi autorizzati a entrare o soggiornare nell'UE in qualità di richiedenti asilo o di beneficiari di protezione internazionale (cfr. sentenza della Corte di giustizia nella causa Celaj, C-290/14, punto 32). Tali divieti d'ingresso dovrebbero essere sospesi (in attesa della conclusione delle procedure di asilo in corso) o revocati (dopo la concessione della protezione internazionale).

11.8.   Consultazione tra Stati membri

Base giuridica: direttiva rimpatri, articolo 11, paragrafo 4; convenzione di applicazione dell'accordo di Schengen, articolo 25

Lo Stato membro che preveda di rilasciare un permesso di soggiorno o un'altra autorizzazione che conferisca il diritto di soggiornare ad un cittadino di un paese terzo colpito da un divieto d'ingresso disposto da un altro Stato membro consulta preliminarmente lo Stato membro che lo ha disposto e tiene conto degli interessi di quest'ultimo in conformità dell'articolo 25 della convenzione di applicazione dell'accordo di Schengen.

L'articolo 25 della convenzione di applicazione dell'accordo di Schengen prevede quanto segue:

1.

Qualora uno Stato membro preveda di accordare un titolo di soggiorno, esso effettua sistematicamente una ricerca nel sistema d'informazione Schengen. Qualora uno Stato membro preveda di accordare un titolo di soggiorno ad uno straniero segnalato ai fini della non ammissione, esso consulta preliminarmente lo Stato membro che ha effettuato la segnalazione e tiene conto degli interessi di quest'ultimo; il titolo di soggiorno è accordato soltanto per motivi seri, in particolare umanitari o in conseguenza di obblighi internazionali.

Qualora il titolo di soggiorno sia rilasciato, lo Stato membro che ha effettuato la segnalazione procede al ritiro di quest'ultima ma può tuttavia iscrivere lo straniero nel proprio elenco delle persone segnalate.

1 bis.

Prima di effettuare una segnalazione ai fini della non ammissione a norma dell'articolo 96, gli Stati membri controllano i registri nazionali dei visti per soggiorni di lunga durata o dei titoli di soggiorno rilasciati.

2.

Qualora risulti che uno straniero titolare di un titolo di soggiorno in corso di validità rilasciato da una delle parti contraenti è segnalato ai fini della non ammissione, la parte contraente che ha effettuato la segnalazione consulta la parte che ha rilasciato il titolo di soggiorno per stabilire se vi sono motivi sufficienti per ritirare il titolo stesso.

Se il documento di soggiorno non viene ritirato, la parte contraente che ha effettuato la segnalazione procede al ritiro di quest'ultima, ma può tuttavia iscrivere lo straniero nel proprio elenco nazionale delle persone segnalate.

3.

I paragrafi 1 e 2 si applicano anche ai visti per soggiorni di lunga durata.

L'articolo 25 della CAS è una disposizione direttamente applicabile; può pertanto essere applicata dagli Stati membri senza che sia necessario recepirla nella legislazione nazionale.

Il divieto d'ingresso può essere revocato soltanto dallo Stato membro che lo ha emesso (Stato membro A). Se un altro Stato membro (Stato membro B) decide di rilasciare un permesso di soggiorno alla stessa persona o di non ritirare un permesso di soggiorno in corso di validità (dopo aver consultato lo Stato membro che aveva emesso il divieto d'ingresso), lo Stato membro A ha l'obbligo di ritirare la segnalazione (articolo 25, paragrafo 2, della CAS), ma può iscrivere il cittadino di paese terzo nel proprio elenco nazionale delle persone segnalate. Prima di emettere un permesso di soggiorno o di decidere di non ritirare un permesso di soggiorno (ad esempio a fini di ricongiungimento familiare), lo Stato membro B deve prendere in considerazione e valutare i motivi alla base di un divieto d'ingresso in corso di validità emesso dallo Stato membro A, nonché gli interessi di quest'ultimo. Per consentire allo Stato membro B di tenere conto in modo adeguato dei motivi dell'emissione del divieto d'ingresso, è essenziale che lo Stato membro A fornisca a tempo debito allo Stato membro B le informazioni pertinenti.

Gli Stati membri che non applicano ancora pienamente le disposizioni di Schengen e, pertanto, non possono (ancora) applicare direttamente l'articolo 25 della CAS dovrebbero comunque attenersi allo spirito dell'articolo 11, paragrafo 4, e, se vengono a sapere (attraverso qualsiasi fonte d'informazione, comprese le informazioni fornite dal richiedente) che una persona è sottoposta a un divieto d'ingresso emesso da un altro Stato membro, dovrebbero contattare le autorità che hanno emesso tale divieto. Prima di rilasciare un permesso di soggiorno alla persona interessata, lo Stato membro dovrebbe cercare di tenere conto degli interessi dello Stato membro che ha emesso il divieto d'ingresso.

11.9.   Divieti d'ingresso «storici»

I divieti d'ingresso «storici» emessi prima del 24 dicembre 2010 devono essere adattati in linea con le disposizioni dell'articolo 11 della direttiva rimpatri (periodo massimo di cinque anni, valutazione individuale, obbligo di revoca/valutazione della possibilità di revoca in circostanze specifiche) se i loro effetti si estendono dopo il 24 dicembre 2010 e se non sono ancora conformi alle garanzie sostanziali di cui all'articolo 11.

L'adattamento dovrebbe essere effettuato su richiesta della persona interessata in qualsiasi momento o d'ufficio, quanto prima e in ogni caso entro la data del riesame periodico (triennale) dei divieti d'ingresso previsto per le segnalazioni inserite nel SIS.

Nella sentenza emessa nella causa Filev e Osmani, C-297/12 (punti da 39 a 41 e 44), la Corte di giustizia ha espressamente chiarito: «A questo proposito occorre innanzitutto rilevare che detta direttiva non contiene nessuna disposizione che preveda un regime transitorio per le decisioni di divieto d'ingresso adottate prima che essa sia applicabile. Tuttavia, risulta da una costante giurisprudenza della Corte che una nuova norma si applica immediatamente, salvo deroghe, agli effetti futuri delle situazioni sorte sotto l'impero della vecchia legge […]. Ne deriva che la direttiva 2008/115/CE si applica agli effetti successivi alla sua data di applicazione nello Stato membro interessato da decisioni di divieto d'ingresso adottate in forza di norme interne applicabili prima di tale data. […] Ne consegue che l'articolo 11, paragrafo 2, della direttiva 2008/115/CE osta alla conservazione degli effetti di divieti d'ingresso di durata illimitata imposti prima della data di applicabilità della direttiva 2008/115/CE […], eccedente la durata massima del divieto previsto in tale disposizione, a meno che tali divieti d'ingresso siano stati emessi nei confronti di cittadini di paesi terzi che costituiscono una grave minaccia per l'ordine pubblico, la pubblica sicurezza o la sicurezza nazionale».

12.   GARANZIE PROCEDURALI

12.1.   Diritto a una buona amministrazione e diritto di essere ascoltati

Il diritto a una buona amministrazione è un diritto fondamentale riconosciuto come principio generale del diritto dell'UE e sancito dalla Carta, che costituisce parte integrante dell'ordinamento giuridico dell'UE. Tale diritto comporta il diritto di ogni persona di essere ascoltata prima che nei suoi confronti venga adottato un provvedimento individuale che le rechi pregiudizio o che incida in modo rilevante sui suoi interessi, che è anche parte integrante del rispetto del diritto alla difesa, un altro principio generale del diritto dell'UE.

Nelle sentenze pronunciate nelle cause G & R  (62), C-383/13, e Boudjlida  (63), C-249/13, la Corte di giustizia ha fornito importanti chiarimenti sul diritto di essere ascoltati in relazione a decisioni di rimpatrio e di trattenimento. Tali sentenze implicano che gli Stati membri devono sempre rispettare le garanzie di seguito indicate quando adottano decisioni connesse al rimpatrio (ossia decisioni di rimpatrio, decisioni di divieto d'ingresso, decisioni di allontanamento, provvedimenti di trattenimento) anche se ciò non fosse espressamente specificato negli articoli pertinenti della direttiva rimpatri:

1)

il diritto di ogni persona di essere ascoltata prima che nei suoi confronti venga adottato un provvedimento individuale che le rechi pregiudizio;

2)

il diritto di ogni persona di accedere al fascicolo che la riguarda, per analizzare tutti gli elementi a suo carico che servono a giustificare una decisione adottata dall'autorità nazionale competente, nel rispetto dei legittimi interessi della riservatezza e del segreto professionale e commerciale;

3)

il diritto di ogni persona di ricorrere a un legale prima dell'adozione di una decisione di rimpatrio, purché l'esercizio di tale diritto non pregiudichi il regolare svolgimento della procedura di rimpatrio e non comprometta l'efficace attuazione della direttiva; tale diritto non comporta l'obbligo per gli Stati membri di assumere l'onere della suddetta assistenza;

4)

l'obbligo per l'amministrazione di prestare tutta l'attenzione necessaria alle osservazioni presentate dall'interessato ed esaminare in modo accurato e imparziale tutti gli elementi rilevanti della fattispecie;

5)

l'obbligo per l'amministrazione di motivare le proprie decisioni.

Gli Stati membri godono di un considerevole margine di discrezionalità riguardo alle modalità di concessione del diritto di essere ascoltati nella pratica: il mancato rispetto di questo diritto costituisce motivo di invalidità di una decisione solo nella misura in cui l'esito della procedura sarebbe stato diverso se il diritto fosse stato rispettato (sentenza della Corte di giustizia nella causa G & R, C-383/13, punto 38).

Inoltre, l'autorità di uno Stato membro può non ascoltare un cittadino di paese terzo nel caso specifico di una decisione di rimpatrio qualora, dopo aver stabilito che il soggiorno di tale cittadino nel territorio nazionale è irregolare nell'ambito di una precedente procedura di asilo che ha rispettato pienamente il suo diritto di essere ascoltato, intenda adottare una decisione di rimpatrio (sentenza della Corte di giustizia nella causa Mukarubega, C-166/13 (64)). La logica seguita nella sentenza Mukarubega è la seguente: «il diritto di essere ascoltato prima dell'adozione di una decisione di rimpatrio non può essere strumentalizzato per riaprire indefinitamente la procedura amministrativa e ciò al fine di preservare l'equilibrio tra il diritto fondamentale dell'interessato di essere ascoltato prima dell'adozione di una decisione che gli arreca pregiudizio e l'obbligo degli Stati membri di lottare contro l'immigrazione clandestina».

Da tale logica, che può essere applicata anche a fattispecie differenti, come quelle di cui all'articolo 6, paragrafo 6, della direttiva rimpatri (decisione di porre fine al soggiorno regolare disponendo contestualmente il rimpatrio), consegue che non occorre ripetere la valutazione del rischio di violazione del principio di non respingimento se il rispetto di tale principio è già stato valutato nel corso di procedure precedenti, se la valutazione è definitiva e se non c'è alcun cambiamento nella situazione individuale del cittadino di paese terzo interessato. Nella stessa logica, è opportuno evitare di ripetere la valutazione di altri elementi che potrebbero essere invocati per impedire il rimpatrio. Gli Stati membri dovrebbero adottare misure intese a evitare la ripetizione di tali valutazioni, ad esempio riunendo in una sola fase procedurale, nella misura del possibile, le udienze amministrative organizzate dalle autorità nazionali competenti per vari scopi (ad esempio, rinnovi o rilasci di permessi di soggiorno, determinazione del diritto di entrare nel territorio di uno Stato membro, rigetto definitivo di una domanda di protezione internazionale), purché sia pienamente rispettato il diritto del cittadino di essere ascoltato. A tale scopo potrebbero essere sviluppati anche strumenti innovativi quali, ad esempio, le videoconferenze. Gli Stati membri devono garantire che l'applicazione di tali misure non comprometta il rispetto delle garanzie procedurali, con particolare attenzione alle persone che necessitano di garanzie procedurali speciali, segnatamente i minori (si vedano i punti seguenti).

Il diritto di essere ascoltati comprende quello di essere ascoltati sulla possibile applicazione dell'articolo 5 e dell'articolo 6, paragrafi da 2 a 5, della direttiva rimpatri e sulle modalità dettagliate di rimpatrio, come il periodo concesso per la partenza volontaria e il fatto che la partenza sia volontaria o forzata. Tuttavia l'autorità non è tenuta ad avvisare il cittadino di paese terzo, prima dell'udienza, della propria intenzione di adottare una decisione di rimpatrio, né a rendere note le informazioni sulle quali intende basarsi come giustificazione della decisione, né a concedere un periodo di riflessione, purché il cittadino di paese terzo abbia l'opportunità di presentare effettivamente il suo punto di vista sull'irregolarità del soggiorno e sui motivi che, in base al diritto nazionale, potrebbero giustificare la mancata adozione da parte della suddetta autorità di una decisione di rimpatrio (sentenza della Corte di giustizia nella causa Boudjlida, C-249/13).

Le garanzie procedurali di cui agli articoli 12 e 13 della direttiva rimpatri dovrebbero essere applicate a tutte le decisioni connesse al rimpatrio e non devono essere limitate ai tre tipi di decisioni menzionati all'articolo 12, paragrafo 1, di tale direttiva.

Occorre rispettare il diritto del minore di essere ascoltato in procedure di rimpatrio che lo coinvolgono o lo riguardano. In conformità con l'articolo 12 della Convenzione sui diritti del fanciullo, e tenuto conto dell'osservazione generale n. 12 del comitato sui diritti del fanciullo sul diritto del minore di essere ascoltato (65), i minori interessati devono essere ascoltati, o direttamente o tramite un rappresentante o un organo appropriato; occorre rispettare il loro diritto di esprimere liberamente il loro parere e dare il giusto riconoscimento alle loro opinioni, tenendo conto della loro età e maturità e di eventuali difficoltà di comunicazione che potrebbero incontrare, al fine di rendere significativa la loro partecipazione.

Per garantire che sia rispettato nella pratica il diritto del minore di essere ascoltato, le misure adottate dagli Stati membri dovrebbero attenersi ai seguenti principi fondamentali:

esprimere il proprio parere è una scelta e non un obbligo,

il diritto di essere ascoltato non dovrebbe essere soggetto a limiti di età o ad altre restrizioni arbitrarie, di fatto o di diritto,

il minore dovrebbe essere ascoltato in un ambiente conforme alle sue esigenze,

i mezzi usati per applicare il diritto di essere ascoltati dovrebbero essere adeguati al livello di comprensione e alla capacità di comunicare dell'interessato e dovrebbero tener conto delle circostanze,

nel pieno rispetto dell'esigenza di proteggere il minore da eventuali danni, non si dovrebbe interrogarlo più spesso di quanto necessario,

per agevolare l'espressione di un parere da parte dei minori possono essere necessarie misure speciali per i minori in situazioni particolarmente vulnerabili, come l'offerta di servizi di interpretazione e traduzione.

Raccolta di informazioni sul traffico di migranti: in linea con le priorità stabilite nel Piano d'azione dell'UE contro il traffico di migranti 2015-2020  (66) e in particolare con la necessità di migliorare la raccolta e la condivisione delle informazioni, la Commissione raccomanda che gli Stati membri predispongano meccanismi adeguati per la raccolta sistematica di informazioni dai migranti fermati in una situazione irregolare, nel pieno rispetto dei diritti fondamentali e dell'acquis dell'UE in materia di asilo. Quando concedono il diritto di essere ascoltati prima di adottare una decisione di rimpatrio, gli Stati membri sono incoraggiati a invitare i rimpatriandi a condividere le informazioni di cui eventualmente dispongono sul modus operandi e sulle rotte delle reti di trafficanti, sui collegamenti con la tratta di esseri umani e altri reati e sui trasferimenti finanziari. Le informazioni ottenute in tale contesto dovrebbero essere raccolte e scambiate tra le autorità e gli organi competenti (immigrazione, frontiere, polizia), a livello nazionale e di Unione europea, in conformità del diritto nazionale e delle migliori prassi scambiate nelle sedi pertinenti dell'UE.

12.2.   Decisioni connesse al rimpatrio

La direttiva rimpatri disciplina espressamente varie decisioni connesse al rimpatrio, ossia:

1)

decisioni di rimpatrio (articolo 3, paragrafo 4, e articolo 6, paragrafo 1);

2)

decisioni sul periodo concesso per la partenza volontaria e sulla proroga di tale periodo (articolo 7);

3)

decisioni di allontanamento (articolo 8, paragrafo 3);

4)

decisioni sul rinvio dell'allontanamento (articolo 9);

5)

decisioni sui divieti d'ingresso e sulla sospensione o la revoca di tali divieti (articolo 11);

6)

decisioni sul trattenimento e sulla proroga del trattenimento (articolo 15).

Le decisioni summenzionate sono per la maggior parte accessorie rispetto alla decisione di rimpatrio e di norma dovrebbero essere adottate insieme alla decisione di rimpatrio in un unico atto amministrativo: le decisioni di rimpatrio possono includere un periodo per la partenza volontaria (articolo 7), un divieto d'ingresso (articolo 11) ed eventualmente, ma non necessariamente, una decisione che dispone l'allontanamento (in caso di mancato rispetto del periodo concesso per la partenza volontaria).

In taluni casi sono possibili modifiche successive di tali decisioni accessorie:

in una fase successiva può essere imposto un divieto d'ingresso quale elemento accessorio e conseguente di una decisione di rimpatrio già emessa qualora la persona non abbia ottemperato all'obbligo di rimpatrio entro il periodo concesso per la partenza volontaria [articolo 11, paragrafo 1, lettera b)],

un divieto d'ingresso già emesso può essere revocato o sospeso (articolo 11, paragrafi da 3 a 5),

un periodo già concesso per la partenza volontaria può essere prorogato (articolo 7, paragrafo 2),

una decisione di rimpatrio (o un provvedimento di allontanamento) già esecutiva può essere rinviata (articolo 9).

L'articolo 6, paragrafo 6, della direttiva rimpatri ribadisce un principio generale che consente agli Stati membri di riunire in un unico atto amministrativo o giudiziario varie decisioni diverse (anche non direttamente connesse al rimpatrio), purché siano rispettate le garanzie e le disposizioni pertinenti per ogni singola decisione. Le decisioni che pongono fine a un soggiorno regolare (quali il rigetto definitivo di una domanda di asilo o la revoca di un visto o il mancato rinnovo di un permesso di soggiorno) possono pertanto essere adottate o separatamente o insieme a una decisione di rimpatrio in un unico atto amministrativo o giudiziario.

Gli Stati membri sono tenuti ad agire con la debita diligenza e a pronunciarsi senza indugio in merito allo status giuridico dei cittadini di paesi terzi (si veda la sentenza della Corte di giustizia nella causa Achughbabian, C-329/11, punto 31: «le competenti autorità, onde evitare di compromettere […] l'obiettivo della direttiva 2008/115/CE, sono tenute ad agire con diligenza e a pronunciarsi senza indugio in merito alla regolarità o meno del soggiorno della persona interessata»). Gli Stati membri sono pertanto incoraggiati ad adottare le decisioni di rimpatrio insieme alle decisioni di porre fine al soggiorno regolare in un unico atto amministrativo o giudiziario. Se ciò non è possibile (ad esempio se l'autorità competente per il rifiuto del rinnovo di un permesso di soggiorno non ha facoltà di emettere decisioni di rimpatrio) gli Stati membri dovrebbero predisporre procedure rapide ed efficaci che coinvolgano le autorità competenti, per garantire che le informazioni siano scambiate rapidamente e le decisioni di rimpatrio siano emesse senza indugio in seguito alle decisioni relative alla fine del soggiorno regolare - fatto salvo il diritto di concedere un'autorizzazione o un diritto di soggiornare in conformità dell'articolo 6, paragrafo 4, della direttiva rimpatri.

Esempi concreti

Se uno Stato membro decide di annullare un visto e di concedere a un cittadino di un paese terzo un termine di sette giorni per partire volontariamente dal territorio dello Stato membro, si tratta di una decisione di rimpatrio nel contesto della direttiva rimpatri oppure di una decisione rientrante nell'ambito di applicazione di altre disposizioni dell'UE riguardanti i visti?

—Tale decisione può essere costituita da due componenti: una decisione di revoca di un visto e una decisione di rimpatrio ai sensi della direttiva rimpatri. Se il visto viene annullato con effetto immediato, il soggiorno del cittadino di paese terzo è irregolare ai sensi dell'articolo 3, paragrafo 2, della direttiva rimpatri e si applica l'articolo 6 (obbligo di emettere una decisione di rimpatrio) della direttiva. Parallelamente, l'annullamento del visto può essere oggetto di ricorso in conformità delle disposizioni sui visti contenute nel codice dei visti (67) (a questa possibilità di adottare varie decisioni insieme a una decisione di rimpatrio si fa esplicito riferimento nell'articolo 6, paragrafo 6, della direttiva rimpatri).

Qualora si individui nel territorio di uno Stato membro un cittadino di paese terzo che, pur in possesso del visto necessario, non soddisfa (o non soddisfa più) le condizioni previste per il soggiorno (articolo 6 del codice frontiere Schengen), sembra che tale Stato possa emettere una decisione di rimpatrio. Tale decisione di rimpatrio (eventualmente corredata di un divieto d'ingresso) implica automaticamente che il visto non è più valido?

—In base all'articolo 34, paragrafo 2, del codice dei visti, «un visto è revocato qualora risulti che le condizioni (ossia le condizioni di ingresso previste dal codice frontiere Schengen) di rilascio dello stesso non sono più soddisfatte». Le autorità che emettono una decisione di rimpatrio devono anche assicurarsi che il visto sia revocato. Entrambe le decisioni possono tuttavia essere adottate con un unico atto amministrativo. Si deve evitare di emettere una decisione di rimpatrio lasciando che la persona interessata parta con il suo visto (uniforme) in corso di validità.

Una decisione che respinge una domanda di asilo può imporre anche un obbligo di rimpatrio?

Sì. Una decisione definitiva di rigetto di una domanda di asilo e una decisione di rimpatrio possono essere adottate in un unico atto in conformità dell'articolo 6, paragrafo 6, della direttiva rimpatri. Tale atto combinato consiste, in termini strettamente logici, in due decisioni successive e correlate, separate da un «momento logico».

12.3.   Forma delle decisioni e traduzione

Base giuridica: direttiva rimpatri, articolo 12, paragrafi da 1 a 3

1.

Le decisioni di rimpatrio e, ove emesse, le decisioni di divieto d'ingresso e le decisioni di allontanamento sono adottate in forma scritta, sono motivate in fatto e in diritto e contengono informazioni sui mezzi di ricorso disponibili. Le informazioni sui motivi in fatto possono essere ridotte laddove la legislazione nazionale consenta che il diritto di informazione sia limitato, in particolare per salvaguardare la sicurezza nazionale, la difesa, la pubblica sicurezza e per la prevenzione, le indagini, l'accertamento e il perseguimento di reati.

Una decisione scritta è il pilastro fondamentale delle garanzie procedurali previste dalla direttiva rimpatri. Non è possibile derogare a tale obbligo. Le informazioni fornite al rimpatriando non dovrebbero tuttavia essere limitate ai riferimenti ai mezzi di ricorso disponibili: gli Stati membri sono incoraggiati a fornire anche altre informazioni relative ai mezzi pratici per ottemperare alla decisione. Si raccomanda che il rimpatriando riceva informazioni riguardo, ad esempio, all'eventualità di un contributo ai costi di trasporto da parte dello Stato membro, che possa usufruire di un programma di rimpatrio volontario assistito o ottenere una proroga del termine per ottemperare alla decisione di rimpatrio. È inoltre opportuno informare il rimpatriando dell'obbligo di lasciare il territorio degli Stati membri dell'UE e dei paesi associati Schengen, nonché delle conseguenze del mancato adempimento dell'obbligo di rimpatrio, al fine di incoraggiarlo a partire volontariamente.

In base all'articolo 6, paragrafo 2, secondo comma, della direttiva sanzioni nei confronti dei datori di lavoro, i rimpatriandi devono essere informati del diritto previsto da detta direttiva di pretendere dal datore di lavoro il pagamento delle retribuzioni arretrate e dei meccanismi di ricorso disponibili. Tali informazioni potrebbero anche essere incluse nella decisione di rimpatrio o ad essa allegate.

2.

Gli Stati membri provvedono, su richiesta, alla traduzione scritta od orale dei principali elementi delle decisioni connesse al rimpatrio di cui al paragrafo 1, incluse le modalità di impugnazione disponibili, in una lingua comprensibile per il cittadino di un paese terzo o che si può ragionevolmente supporre tale.

La richiesta di ricevere una traduzione può essere formulata dal rimpatriando o dal suo rappresentante legale. Lo Stato membro interessato può scegliere liberamente se fornire una traduzione scritta od orale, purché garantisca che il cittadino di paese terzo possa comprendere il contesto e il contenuto. Non è possibile richiedere un compenso per la traduzione poiché in tal modo si pregiudicherebbe lo spirito della disposizione, che è intesa a fornire al rimpatriando le informazioni necessarie per consentirgli di comprendere pienamente la sua situazione giuridica e, in seguito, di conformarsi alla decisione di rimpatrio.

Spetta alla legislazione di attuazione e alle prassi amministrative nazionali stabilire quale lingua è ragionevole supporre che il cittadino di paese terzo possa capire. Tale valutazione può essere effettuata secondo le stesse modalità e gli stessi criteri delle procedure di asilo (articolo 12 della direttiva procedure, articolo 22 della direttiva qualifiche rifusa e articolo 5 della direttiva accoglienza), tenendo conto che, a causa della complessità delle procedure di asilo, i requisiti per la traduzione in questo ambito possono essere più elevati che nel settore del rimpatrio. L'acquis in materia di asilo richiede agli Stati membri di compiere tutti gli sforzi ragionevoli per fornire una traduzione in una lingua che la persona interessata capisca effettivamente; pertanto, la mancata disponibilità di interpreti può essere una scusa valida solo nel caso di lingue estremamente rare per le quali vi è una mancanza oggettiva di interpreti. Una situazione in cui vi siano traduttori nella lingua pertinente, ma non siano disponibili per motivi interni all'amministrazione, non è una giustificazione per non fornire una traduzione.

La possibilità di utilizzare modelli allo scopo di razionalizzare il lavoro dell'amministrazione non è limitata all'ambito di applicazione dell'articolo 12, paragrafo 3 (cfr. di seguito). Purché il modello consenta di fornire una traduzione personalizzata della decisione in una lingua che la persona capisce o è ragionevole supporre possa capire, la traduzione è conforme all'articolo 12, paragrafo 2, della direttiva rimpatri senza che sia necessario ricorrere alla deroga di cui all'articolo 12, paragrafo 3.

3.

Gli Stati membri possono decidere di non applicare il paragrafo 2 ai cittadini di paesi terzi che sono entrati in modo irregolare nel territorio di uno Stato membro e non hanno successivamente ottenuto un'autorizzazione o un diritto di soggiorno in tale Stato.

In tali casi le decisioni connesse al rimpatrio di cui al paragrafo 1 sono adottate per mezzo di un modello uniforme previsto dalla legislazione nazionale.

Gli Stati membri rendono disponibili schede informative generalizzate che espongono gli elementi principali del modello uniforme in almeno cinque delle lingue più frequentemente utilizzate o comprese dagli immigrati che entrano in modo irregolare nel loro territorio.

L'uso di un modulo standard per il rimpatrio ai sensi dell'articolo 12, paragrafo 3, della direttiva rimpatri costituisce una deroga alla regola generale, cui è possibile fare ricorso solo nei casi in cui un cittadino di un paese terzo sia entrato in modo irregolare nel territorio di uno Stato membro.

In simili casi l'uso di un modulo standard è facoltativo per gli Stati membri. Si deve prestare attenzione al fatto che i casi di ingresso irregolare rientranti nell'ambito di applicazione dell'articolo 12, paragrafo 3, della direttiva rimpatri non sempre corrispondono ai casi «frontalieri» di cui all'articolo 2, paragrafo 2, lettera a), di tale direttiva (cfr. punto 2.1 del presente manuale). Un cittadino di paese terzo il cui soggiorno è irregolare che viene fermato nel territorio di uno Stato membro tre mesi dopo il suo ingresso irregolare non rientra nell'ambito di applicazione della deroga di cui all'articolo 2, paragrafo 2, lettera a), della direttiva rimpatri, ma può comunque essere oggetto della deroga di cui all'articolo 12, paragrafo 3.

Attraversamento irregolare delle frontiere interne: il paragrafo 3 è applicabile ai cittadini di paesi terzi «che sono entrati in modo irregolare nel territorio di uno Stato membro e non hanno successivamente ottenuto un'autorizzazione o un diritto di soggiorno in tale Stato». Nel contesto specifico di questa disposizione della direttiva rimpatri, l'espressione «ingresso irregolare» può comprendere anche i casi in cui un cittadino di paese terzo il cui soggiorno è irregolare è entrato da un altro Stato membro in violazione delle condizioni di ingresso e soggiorno applicabili in quello Stato membro. Si deve prestare attenzione al fatto che in questi casi specifici (ingresso da un altro Stato membro) può essere applicabile l'articolo 6, paragrafo 2 o 3, della direttiva rimpatri.

L'articolo 12, paragrafo 3, non prevede deroghe riguardo ai mezzi di ricorso applicabili. I mezzi di ricorso di cui all'articolo 13, paragrafo 1, della direttiva rimpatri devono pertanto essere previsti anche quando si utilizza il modulo standard di cui all'articolo 12, paragrafo 3.

12.4.   Mezzi di ricorso

Base giuridica: direttiva rimpatri, articolo 13, paragrafi 1 e 2

1.

Al cittadino di un paese terzo interessato sono concessi mezzi di ricorso effettivo avverso le decisioni connesse al rimpatrio di cui all'articolo 12, paragrafo 1, o per chiederne la revisione dinanzi ad un'autorità giudiziaria o amministrativa competente o a un organo competente composto da membri imparziali che offrono garanzie di indipendenza.

Dovrebbero essere garantiti mezzi di ricorso effettivo riguardo a tutte le decisioni connesse al rimpatrio. L'espressione «decisioni connesse al rimpatrio» va interpretata in senso ampio, in modo da comprendere le decisioni adottate su tutte le questioni disciplinate dalla direttiva rimpatri, fra cui le decisioni di rimpatrio, le decisioni di concessione o di proroga del periodo per la partenza volontaria, le decisioni di allontanamento, le decisioni di rinvio dell'allontanamento, le decisioni di divieto d'ingresso e quelle di sospensione o revoca di divieti d'ingresso (cfr. punto 12.2 del presente manuale). I mezzi di ricorso applicabili in caso di decisioni di trattenimento e di proroga del trattenimento sono disciplinati in modo più approfondito dall'articolo 15 della direttiva rimpatri, che riguarda il trattenimento (cfr. punto 14 del presente manuale).

Natura dell'organo di esame: in linea con gli articoli 6 e 13 della CEDU e l'articolo 47 della Carta, l'organo di appello deve essere in sostanza un tribunale indipendente e imparziale. L'articolo 13, paragrafo 1, della direttiva rimpatri si ispira strettamente all'orientamento 5.1 del Consiglio d'Europa e dovrebbe essere interpretato in conformità della giurisprudenza pertinente della Corte europea dei diritti dell'uomo. In linea con detta giurisprudenza, l'organo di esame può essere anche un'autorità amministrativa a condizione che essa sia composta da membri imparziali che offrano garanzie di indipendenza e che le disposizioni nazionali prevedano la possibilità di revisione della decisione da parte di un'autorità giudiziaria, in linea con le disposizioni dell'articolo 47 della Carta relative al diritto a un ricorso effettivo.

Esistono varie garanzie per contrastare il rischio di un abuso della possibilità di ricorso: l'articolo 13 non prevede un effetto sospensivo automatico in tutte le circostanze (paragrafo 2) e l'assistenza legale gratuita può essere limitata se il ricorso non ha buone probabilità di successo (paragrafo 4). Si deve prestare attenzione anche al principio generale del diritto dell'Unione della cosa giudicata.

I termini per la presentazione di ricorsi avverso le decisioni connesse al rimpatrio devono essere stabiliti dalla legislazione nazionale. La Commissione raccomanda che, al fine di evitare abusi dei diritti e delle procedure, in particolare ricorsi presentati poco prima della data prevista per l'allontanamento, gli Stati membri stabiliscano la scadenza più breve possibile per presentare ricorso contro le decisioni di rimpatrio come stabilito dal diritto nazionale in situazioni analoghe, purché ciò non arrechi un pregiudizio sproporzionato al diritto a un ricorso effettivo. Le decisioni giudiziarie dovrebbero essere emesse senza indebiti ritardi.

2.

L'autorità o l'organo menzionati al paragrafo 1 hanno la facoltà di rivedere le decisioni connesse al rimpatrio di cui all'articolo 12, paragrafo 1, compresa la possibilità di sospenderne temporaneamente l'esecuzione, a meno che la sospensione temporanea sia già applicabile ai sensi del diritto interno.

Effetto sospensivo: l'organo di appello deve avere il potere di sospendere l'esecuzione in singoli casi. La legislazione nazionale dovrebbe prevedere chiaramente che lo stesso organo di esame (l'organo che esamina la decisione connessa al rimpatrio) abbia il potere di sospendere l'esecuzione nel quadro di un unico procedimento.

Obbligo di concedere un effetto sospensivo automatico in caso di rischio di respingimento: la giurisprudenza della Corte EDU prevede un effetto sospensivo automatico nei casi in cui vi siano motivi seri e comprovati di credere che la persona, se rimpatriata, possa essere esposta a un rischio reale di maltrattamenti in violazione dell'articolo 3 della CEDU (rischio di tortura o di trattamenti inumani o degradanti al rientro) (cfr. regola 39 della Corte EDU). L'articolo 13 della direttiva rimpatri, interpretato in combinato disposto con gli articoli 5 e 9 della stessa direttiva, impone quindi all'organo di esame l'obbligo di concedere ipso jure un effetto sospensivo in linea con tale requisito se è applicabile il principio di non respingimento.

Obbligo di concedere un effetto sospensivo automatico in caso di rischio di deterioramento grave e irreversibile delle condizioni di salute: nella sentenza emessa nella causa Abdida  (68), C-562/13 (punto 53), la Corte di giustizia ha ribadito quanto segue: «Gli articoli 5 e 13 della direttiva 2008/115/CE, letti alla luce degli articoli 19, paragrafo 2, e 47 della Carta, devono essere interpretati nel senso che ostano a una normativa nazionale che non prevede un ricorso con effetto sospensivo contro una decisione di rimpatrio la cui esecuzione può esporre il cittadino interessato di paese terzo a un rischio serio di deterioramento grave e irreversibile delle sue condizioni di salute».

La Commissione raccomanda di concedere un effetto sospensivo automatico nei ricorsi contro decisioni di rimpatrio soltanto nei casi obbligatori sopra menzionati, per conseguire il giusto equilibrio tra il diritto a un ricorso effettivo e l'esigenza di garantire l'efficacia delle procedure di rimpatrio. Quando il ricorso si riferisce ad altri motivi (ad esempio carenze procedurali, rispetto dell'unità familiare, protezione di altri diritti o interessi) e non esiste il rischio di danni irreparabili per la vita o un rischio serio di deterioramento grave e irreversibile delle condizioni di salute, gli Stati membri possono decidere di non conferire al ricorso un effetto sospensivo automatico. Comunque, le autorità o gli organi nazionali competenti devono in ogni caso mantenere la facoltà di decidere di sospendere temporaneamente l'esecuzione di una decisione in singoli casi in cui ciò sia ritenuto necessario per altri motivi (ad esempio la vita familiare, cure mediche o l'interesse superiore del minore).

12.5.   Assistenza linguistica e assistenza legale gratuita

Base giuridica: direttiva rimpatri, articolo 13, paragrafi 3 e 4; direttiva 2013/32/UE («direttiva procedure»), articoli 20 e 21, che sostituiscono l'articolo 15, paragrafi da 3 a 6, della direttiva 2005/85/CE del Consiglio (69)

3.

Il cittadino di un paese terzo interessato ha la facoltà di farsi consigliare e rappresentare da un legale e, ove necessario, di avvalersi di un'assistenza linguistica.

L'assistenza linguistica implica non solo l'obbligo di fornire la traduzione di una decisione (già previsto dall'articolo 12, paragrafo 2, della direttiva rimpatri), ma anche quello di fornire l'assistenza di interpreti per consentire a un cittadino di un paese terzo di esercitare i diritti procedurali che gli sono attribuiti dall'articolo 13 della direttiva.

Va rammentato che nel caso Čonka contro Belgio  (70) la Corte EDU ha individuato la disponibilità di interpreti come uno dei fattori che influiscono sull'accessibilità di un mezzo di ricorso efficace. Il diritto di un cittadino di paese terzo di ricevere assistenza linguistica dovrebbe concesso da uno Stato membro in modo tale da offrire alla persona interessata una possibilità pratica e concreta di esercitarlo («effetto utile» della disposizione).

4.

Gli Stati membri provvedono a che sia garantita, su richiesta, la necessaria assistenza e/o rappresentanza legale gratuita ai sensi della pertinente legislazione o regolamentazione nazionale in materia e possono disporre che tale assistenza e/o rappresentanza legale gratuita sia soggetta alle condizioni di cui all'articolo 15, paragrafi da 3 a 6, della direttiva 2005/85/CE.

Assistenza legale e rappresentanza legale: il paragrafo 4 specifica i casi e le condizioni in cui gli Stati membri devono coprire i costi dell'assistenza e della rappresentanza legali, facendo riferimento in sostanza alle condizioni riportate nella direttiva procedure. Gli Stati membri devono fornire un'assistenza legale e una rappresentanza legale gratuite se sono soddisfatte le condizioni previste dalla direttiva e dalla legislazione nazionale di attuazione.

La richiesta di assistenza legale e/o di rappresentanza legale gratuite può essere presentata dal rimpatriando o dal suo rappresentante in qualsiasi momento opportuno della procedura.

Fornitura di consulenza legale da parte delle autorità amministrative: in linea di principio possono offrire consulenza legale anche le autorità amministrative incaricate di emettere le decisioni di rimpatrio, se le informazioni fornite sono obiettive e imparziali («effetto utile»). È importante che le informazioni siano fornite da una persona che agisce in modo imparziale/indipendente al fine di evitare possibili conflitti di interessi. Pertanto, tali informazioni non possono essere fornite, ad esempio, dalla persona che decide in merito a un caso o lo esamina. Una buona prassi, già in uso in alcuni Stati membri, consiste nel separare le autorità investite del potere decisionale da quelle che forniscono informazioni legali e procedurali. Tuttavia, qualora gli Stati membri decidano di affidare quest'ultimo compito alle autorità investite del potere decisionale, dovrebbe essere garantita una netta separazione dei compiti per il personale coinvolto, ad esempio creando una sezione separata e indipendente incaricata unicamente di fornire informazioni legali e procedurali.

Condizioni dell'assistenza/rappresentanza legale gratuita – riferimento all'articolo 15, paragrafi da 3 a 6, della direttiva 2005/85/CE: il riferimento a talune condizioni/limitazioni che gli Stati membri possono prevedere in relazione all'assistenza legale gratuita è un riferimento dinamico e deve essere letto come un riferimento agli attuali articoli 20 e 21 della direttiva procedure in vigore, che sostituisce la direttiva 2005/85/CE. In conformità delle disposizioni summenzionate, gli Stati membri possono prevedere che l'assistenza legale e la rappresentanza legale gratuite siano fornite soltanto:

se un organo giurisdizionale o un'altra autorità competente ritiene che il ricorso abbia prospettive concrete di successo,

a chi non disponga delle risorse necessarie,

tramite i servizi di avvocati o altri consulenti legali che sono specificamente designati dal diritto nazionale per assistere e rappresentare i richiedenti,

nelle procedure di impugnazione dinanzi a un giudice di primo grado e non per i ricorsi o riesami ulteriori.

Gli Stati membri possono anche:

imporre limiti monetari e/o temporali alla prestazione di assistenza e rappresentanza legali gratuite, purché essi non costituiscano restrizioni arbitrarie all'accesso a tale diritto,

prevedere, per quanto riguarda gli onorari e le altre spese, che il trattamento concesso ai richiedenti non sia più favorevole di quello di norma concesso ai propri cittadini per questioni che rientrano nell'assistenza legale,

esigere un rimborso integrale o parziale delle spese sostenute allorché vi sia stato un considerevole miglioramento delle condizioni finanziarie del richiedente o se la decisione di accordare tali prestazioni è stata presa in base a informazioni false fornite dal richiedente.

Ricorso effettivo contro il rifiuto di accordare assistenza legale gratuita: qualora un'autorità che non è un organo giurisdizionale decida di non concedere un'assistenza e una rappresentanza legali gratuite, gli Stati membri garantiscono che il richiedente abbia diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un organo giurisdizionale contro tale decisione. Il diritto a un ricorso effettivo e il diritto a un giudice imparziale rientrano tra i diritti fondamentali che sono parte integrante dell'ordinamento giuridico dell'UE e il loro rispetto è necessario anche qualora la legislazione applicabile non preveda espressamente questo requisito procedurale.

13.   GARANZIE PRIMA DEL RIMPATRIO

Base giuridica: direttiva rimpatri, articolo 14, paragrafo 1

Gli Stati membri provvedono, ad esclusione della situazione di cui agli articoli 16 e 17, affinché si tenga conto il più possibile dei seguenti principi in relazione ai cittadini di paesi terzi durante il periodo per la partenza volontaria concesso a norma dell'articolo 7 e durante i periodi per i quali l'allontanamento è stato differito ai sensi dell'articolo 9:

a)

che sia mantenuta l'unità del nucleo familiare con i membri della famiglia presenti nel territorio;

b)

che siano assicurati le prestazioni sanitarie d'urgenza e il trattamento essenziale delle malattie;

c)

che sia garantito l'accesso al sistema educativo di base per i minori, tenuto conto della durata del soggiorno;

d)

che si tenga conto delle esigenze particolari delle persone vulnerabili.

Promemoria storico/spiegazione: la direttiva rimpatri lascia agli Stati membri la facoltà di scegliere di emettere decisioni di rimpatrio nei confronti di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare o di concedere un diritto di soggiorno. In questo modo si dovrebbe contribuire a ridurre le zone grigie. Tuttavia, nella pratica ne potrebbe anche derivare un aumento del numero assoluto di casi in cui gli Stati membri emettono decisioni di rimpatrio che non possono essere eseguite a causa di ostacoli pratici o giuridici all'allontanamento (ad esempio ritardi nell'ottenimento della necessaria documentazione dai paesi terzi e casi di non respingimento). Al fine di evitare un vuoto giuridico per tali persone, la Commissione aveva proposto di fornire un livello minimo di condizioni di soggiorno per i cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare per i quali l'esecuzione della decisione di rimpatrio è stata rinviata o che non possono essere allontanati, sulla base di una serie di condizioni già stabilite agli articoli da 7 a 10, all'articolo 15 e agli articoli da 17 a 20 della direttiva 2003/9/CE del Consiglio (71) («,direttiva accoglienza») per quanto riguarda essenzialmente quattro diritti fondamentali: 1) unità del nucleo familiare; 2) prestazioni sanitarie; 3) scolarizzazione e istruzione per i minori; 4) rispetto delle esigenze particolari delle persone vulnerabili. Non è stato fatto riferimento ad altri diritti importanti previsti dalla direttiva accoglienza, come l'accesso all'occupazione e alle condizioni materiali di accoglienza. In seguito a negoziati, nel corso dei quali è stata espressa la preoccupazione che i riferimenti alla direttiva accoglienza potessero essere percepiti come un «miglioramento» della situazione dei migranti irregolari e quindi finissero per inviare un messaggio politico sbagliato, è stato predisposto un elenco di diritti a sé stante.

L'ambito delle situazioni cui è applicabile l'articolo 14, paragrafo 1, è ampio: comprende il periodo per la partenza volontaria e ogni periodo per il quale l'allontanamento è stato rinviato formalmente o di fatto in conformità dell'articolo 9 della direttiva rimpatri (ad esempio, ricorso con effetto sospensivo, possibile violazione del principio di non respingimento, motivi di salute, ragioni tecniche, mancato allontanamento a causa della mancata identificazione). Sono espressamente esclusi i periodi trascorsi in stato di trattenimento, in quanto le relative garanzie sono disciplinate altrimenti (cfr. punto 15 del presente manuale).

Le prestazioni sanitarie d'urgenza e il trattamento essenziale delle malattie sono un diritto minimo fondamentale e l'accesso a tali prestazioni non deve essere subordinato al pagamento di un compenso.

Accesso al sistema scolastico: la limitazione insita nella frase «tenuto conto della durata del soggiorno» va interpretata in senso restrittivo. In caso di dubbi sulla durata probabile del soggiorno prima del rimpatrio, l'accesso al sistema educativo dovrebbe essere concesso, e non rifiutato. Può essere considerata accettabile una prassi nazionale in base alla quale l'accesso al sistema scolastico è di norma stabilito solo se la durata del soggiorno è superiore a 14 giorni. Per quanto riguarda i problemi pratici, come i casi i cui il minore non dispone di documenti da cui risulti il livello di istruzione già conseguito in altri paesi o i casi in cui il minore non parla alcuna delle lingue in cui l'istruzione può essere impartita in uno Stato membro, è necessario trovare risposte adeguate a livello nazionale, tenendo conto dello spirito della direttiva e degli strumenti di diritto internazionale pertinenti quali la Convenzione sui diritti del fanciullo del 1989 e l'osservazione generale n. 6 ad essa correlata (72). Si può trarre ispirazione anche dall'acquis in materia di asilo (in particolare dall'articolo 14 della direttiva accoglienza 2013/33/UE).

Altre esigenze fondamentali: nella sentenza emessa nella causa Abdida, C-562/13, la Corte di giustizia ha stabilito che gli Stati membri hanno l'obbligo di prendere in considerazione anche altre necessità primarie, al fine di garantire che siano effettivamente assicurati le prestazioni sanitarie d'urgenza e il trattamento essenziale delle malattie durante il periodo in cui lo Stato membro interessato deve rinviare l'allontanamento. Spetta agli Stati membri stabilire la forma in cui devono essere soddisfatte le necessità primarie del cittadino di paese terzo interessato.

La logica sulla quale la Corte di giustizia si è basata per stabilire tale obbligo è che il requisito di fornire le prestazioni sanitarie d'urgenza e il trattamento essenziale delle malattie ai sensi dell'articolo 14, paragrafo 1, lettera b), della direttiva rimpatri potrebbe essere svuotato del suo significato se non fosse previsto anche un requisito concomitante di provvedere alle necessità primarie del cittadino di paese terzo interessato. Sulla base di questa logica seguita dalla Corte di giustizia, e alla luce delle indicazioni fornite nella giurisprudenza pertinente della Corte EDU, si può desumere che il godimento degli altri diritti di cui all'articolo 14, paragrafo 1, della direttiva rimpatri (quali in particolare l'accesso al sistema educativo e la considerazione delle esigenze delle persone vulnerabili) dia adito anche a un requisito concomitante di provvedere alle necessità primarie del cittadino di paese terzo interessato.

Sebbene il diritto dell'Unione non preveda un obbligo giuridico generale di provvedere alle necessità primarie di tutti i cittadini di paesi terzi in attesa di rimpatrio, la Commissione incoraggia gli Stati membri a farlo in base al diritto nazionale allo scopo di garantire condizioni di vita umane e dignitose per i rimpatriandi.

13.1.   Conferma scritta

Base giuridica: direttiva rimpatri, articolo 14, paragrafo 2

Gli Stati membri confermano per iscritto alle persone di cui al paragrafo 1, conformemente alla legislazione nazionale, che il periodo per la partenza volontaria è stato prorogato ai sensi dell'articolo 7, paragrafo 2, o che l'esecuzione della decisione di rimpatrio è temporaneamente sospesa.

Il considerando 12 della direttiva rimpatri specifica quanto segue: «Affinché possano dimostrare la loro situazione specifica in caso di verifiche o controlli amministrativi, tali persone dovrebbero essere munite di una conferma scritta della loro situazione. Gli Stati membri dovrebbero godere di un'ampia discrezionalità quanto al modello e al formato della conferma scritta e dovrebbero anche poterla includere nelle decisioni connesse al rimpatrio adottate ai sensi della presente direttiva».

Forma della conferma scritta: gli Stati membri godono di un ampio margine di discrezionalità. La conferma può essere costituita da un documento separato emesso dalle autorità nazionali o fare parte di una decisione formale relativa al rimpatrio. È importante che la conferma consenta al rimpatriando di dimostrare con chiarezza, in caso di controllo da parte della polizia, di essere già oggetto di una decisione di rimpatrio pendente e di usufruire di un periodo per la partenza volontaria o del rinvio formale dell'allontanamento o di essere oggetto di una decisione di rimpatrio che temporaneamente non può essere eseguita. La conferma dovrebbe specificare, se possibile, la durata del periodo per la partenza volontaria o del rinvio.

Negli Stati membri in cui i sistemi di scambio dei dati consentono di effettuare una rapida verifica della situazione dei migranti irregolari in caso di controlli da parte della polizia sulla base di taluni dati personali o numeri di riferimento, l'obbligo della conferma scritta può essere considerato adempiuto se alla persona interessata sono forniti documenti o moduli contenenti tali dati personali o numeri di riferimento (o se già ne è in possesso).

13.2.   Situazioni di prolungata irregolarità

Non è previsto alcun obbligo di rilasciare un permesso ai rimpatriandi non allontanabili: gli Stati membri non hanno l'obbligo di rilasciare un permesso ai rimpatriandi nel momento in cui risulta chiaramente che non esiste più alcuna prospettiva ragionevole di allontanamento, ma hanno la facoltà di farlo in applicazione dell'articolo 6, paragrafo 4, della direttiva rimpatri (cfr. punto 5.6 del presente manuale).

A questo proposito la Corte di giustizia ha chiarito espressamente nella sentenza emessa nella causa Mahdi  (73), C-146/14 (punti 87 e 88): «[la direttiva 2008/115/CE] non mira a disciplinare le condizioni di soggiorno sul territorio di uno Stato membro dei cittadini di paesi terzi il cui soggiorno sia irregolare e nei cui confronti non sia possibile ovvero non sia stato possibile eseguire una decisione di rimpatrio. Tuttavia, l'articolo 6, paragrafo 4, della direttiva 2008/115/CE consente agli Stati membri di rilasciare per motivi caritatevoli, umanitari o di altra natura un permesso di soggiorno autonomo o un'altra autorizzazione che conferisca il diritto di soggiornare a un cittadino di un paese terzo il cui soggiorno nel loro territorio sia irregolare».

Criteri di cui tenere conto per il rilascio dei permessi: come sottolineato in precedenza, non è previsto alcun obbligo giuridico di rilasciare permessi a rimpatriandi non allontanabili e gli Stati membri godono di un ampio margine di discrezionalità. In questo contesto, si raccomanda che i criteri di valutazione che potrebbero essere presi in considerazione dagli Stati membri comprendano elementi sia individuali (connessi a ogni singolo caso), sia orizzontali (di natura politica), quali in particolare:

l'atteggiamento collaborativo/non collaborativo del rimpatriando,

la durata del soggiorno effettivo del rimpatriando nello Stato membro,

gli sforzi di integrazione del rimpatriando,

il comportamento personale del rimpatriando,

i legami familiari,

considerazioni umanitarie,

la probabilità di un rimpatrio nel prossimo futuro,

la necessità di evitare di premiare l'irregolarità,

gli effetti delle misure di regolarizzazione sul modello di migrazione dei potenziali migranti (irregolari),

la probabilità di spostamenti secondari nello spazio Schengen.

14.   TRATTENIMENTO

Le garanzie procedurali di cui all'articolo 12 (forma e traduzione) e all'articolo 13 (ricorso effettivo e assistenza giuridica gratuita) della direttiva rimpatri sono esplicite manifestazioni del diritto fondamentale a una buona amministrazione, del diritto fondamentale di essere ascoltati e del diritto fondamentale a un ricorso effettivo e a un giudice imparziale, che sono tutti parte integrante dell'ordinamento giuridico dell'UE. L'osservanza di tali diritti è quindi necessaria anche per quanto riguarda le decisioni di trattenimento.

Oltre a tali requisiti generali, l'articolo 15 della direttiva rimpatri stabilisce taluni requisiti specificamente applicabili alle decisioni di trattenimento.

14.1.   Circostanze che giustificano il trattenimento

Base giuridica: direttiva rimpatri, articolo 15, paragrafo 1

Salvo se nel caso concreto possono essere efficacemente applicate altre misure sufficienti ma meno coercitive, gli Stati membri possono trattenere il cittadino di un paese terzo sottoposto a procedure di rimpatrio soltanto per preparare il rimpatrio e/o effettuare l'allontanamento, in particolare quando:

a)

sussiste un rischio di fuga; o

b)

il cittadino del paese terzo evita od ostacola la preparazione del rimpatrio o dell'allontanamento.

Il trattenimento ha durata quanto più breve possibile ed è mantenuto solo per il tempo necessario all'espletamento diligente delle modalità di rimpatrio.

L'imposizione del trattenimento ai fini dell'allontanamento è una grave ingerenza nell'esercizio del diritto fondamentale alla libertà delle persone e, pertanto, è soggetta a rigorose limitazioni.

Obbligo di imporre il trattenimento soltanto in mancanza di altra soluzione: l'articolo 8, paragrafo 1, della direttiva rimpatri obbliga gli Stati membri ad adottare «tutte le misure necessarie» per eseguire la decisione di rimpatrio. La possibilità di imporre il trattenimento è una delle eventuali misure cui gli Stati membri possono ricorrere in mancanza di altra soluzione. In tale contesto, nella sentenza emessa nella causa El Dridi, C-61/11 (punto 41) la Corte di giustizia ha espressamente sottolineato che la direttiva rimpatri prevede «una gradazione delle misure da prendere per dare esecuzione alla decisione di rimpatrio, gradazione che va dalla misura meno restrittiva per la libertà dell'interessato – la concessione di un termine per la sua partenza volontaria – alla misura che maggiormente limita la sua libertà – il trattenimento in un apposito centro».

L'obbligo per gli Stati membri di applicare il trattenimento esiste solo in situazioni in cui è chiaro che l'uso del trattenimento è l'unico modo per garantire che possa essere preparato il rimpatrio e che possa essere effettuato l'allontanamento (necessità del trattenimento). Il trattenimento deve basarsi su una valutazione individuale, deve durare il meno possibile e dev'essere mantenuto solo per il tempo necessario all'espletamento diligente delle modalità di rimpatrio (proporzionalità del trattenimento).

Motivi del trattenimento: l'unico obiettivo legittimo del trattenimento ai sensi della direttiva rimpatri è preparare il rimpatrio e/o effettuare l'allontanamento, in particolare quando 1) sussiste un rischio di fuga o 2) il rimpatriando evita od ostacola la preparazione del rimpatrio o dell'allontanamento. Quando tali motivi di trattenimento esistono e quando non è possibile applicare efficacemente altre misure meno coercitive in un caso concreto (misura di ultima istanza), gli Stati membri hanno la facoltà di ricorrere al trattenimento, e dovrebbero farlo, per il tempo necessario a garantire che le procedure di rimpatrio possano essere portate a termine in conformità delle disposizioni dell'articolo 8 della direttiva rimpatri.

Sebbene il testo della direttiva rimpatri sia formulato come un elenco indicativo («in particolare»), questi due casi concreti comprendono i principali scenari che si verificano nella pratica, tali da giustificare il trattenimento allo scopo di preparare e organizzare il rimpatrio e di eseguire l'allontanamento. L'esistenza di un motivo specifico per il trattenimento e la mancata disponibilità di misure efficaci e sufficienti meno coercitive devono essere valutate individualmente caso per caso. Un respingimento alla frontiera, l'esistenza di una segnalazione nel SIS ai fini del rifiuto d'ingresso, la mancanza di documentazione, la mancanza di domicilio, l'assenza di collaborazione e altri criteri/indicazioni pertinenti devono essere presi in considerazione quando si valuta l'eventuale esistenza di un rischio di fuga (cfr. punto 1.6 del presente manuale) che potrebbe giustificare la necessità del trattenimento.

Nessun trattenimento per motivi di ordine pubblico: la possibilità di mantenere o di prolungare il trattenimento per motivi di ordine pubblico non viene trattata nel testo della direttiva rimpatri e gli Stati membri non possono utilizzare il trattenimento dei migranti ai fini dell'allontanamento come forma di «lieve pena detentiva». Lo scopo principale del trattenimento ai fini dell'allontanamento è garantire che i rimpatriandi non pregiudichino l'esecuzione dell'obbligo di rimpatrio con la fuga. L'articolo 15 non è inteso a proteggere la società da persone che costituiscono una minaccia per l'ordine pubblico o la pubblica sicurezza. L'obiettivo, legittimo, di proteggere la società dovrebbe essere oggetto di altri atti legislativi, in particolare del diritto penale, del diritto amministrativo penale e di una legislazione relativa alla cessazione del soggiorno regolare per motivi di ordine pubblico. A questo proposito la Corte di giustizia ha dichiarato nella sentenza emessa nella causa Kadzoev  (74), C-357/09 (punto 70): «La possibilità di collocare una persona in stato di trattenimento per motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza non può trovare fondamento nella direttiva 2008/115/CE. Pertanto, nessuna delle circostanze richiamate dal giudice del rinvio (comportamento aggressivo; mancanza di mezzi di sussistenza; mancanza di un alloggio) può costituire, di per sé, un motivo di trattenimento ai sensi delle disposizioni di tale direttiva». Il comportamento/la condotta nel passato di una persona che costituisce un rischio per l'ordine pubblico e la sicurezza (ad esempio la mancata osservanza del diritto amministrativo in ambiti diversi da quello del diritto in materia di migrazione o violazioni del diritto penale) possono tuttavia essere presi in considerazione quando si valuta se esiste un rischio di fuga (cfr. punto 1.6 del presente manuale): se il comportamento/la condotta tenuti in passato dalla persona interessata consentono di concludere che con ogni probabilità la persona non agirà nel rispetto della legge ed eviterà il rimpatrio, ciò può giustificare la decisione che esiste un rischio di fuga.

Obbligo di fornire alternative efficaci al trattenimento: l'articolo 15, paragrafo 1, deve essere interpretato come obbligo per ogni Stato membro di prevedere nella legislazione nazionale alternative al trattenimento; ciò è del resto coerente con i termini del considerando 16 della direttiva («[…] se l'uso di misure meno coercitive è insufficiente»). Nella sentenza emessa nella causa El Dridi, C-61/11 (punto 39), la Corte di giustizia ha ribadito che «[…] dai considerando 13 e 16 nonché dalla lettera dell'articolo 15, paragrafo 1, della direttiva discende che gli Stati membri devono procedere all'allontanamento mediante misure il meno coercitive possibile. Solo qualora, alla luce della valutazione di ciascuna specifica situazione, l'esecuzione della decisione di rimpatrio sotto forma di allontanamento rischi di essere compromessa dal comportamento dell'interessato, tali Stati possono privare quest'ultimo della libertà, mediante il trattenimento». Ciò non significa tuttavia che una condizione preliminare per il trattenimento sia il fatto che il cittadino di paese terzo fosse già oggetto di una misura meno coercitiva.

L'articolo 15, paragrafo 1, della direttiva rimpatri stabilisce che le misure meno coercitive devono essere «sufficienti» e che dev'essere possibile applicarle «efficacemente» al cittadino di paese terzo interessato. Di conseguenza, per rispettare l'obbligo di fornire alternative efficaci al trattenimento, gli Stati membri devono prevedere negli ordinamenti nazionali alternative al trattenimento che possano conseguire gli stessi obiettivi del trattenimento (ossia prevenire la fuga e impedire che il cittadino di paese terzo eviti od ostacoli il rimpatrio) pur ricorrendo a mezzi che ingeriscano meno nell'esercizio del diritto alla libertà delle persone. Le autorità nazionali incaricate di assumere decisioni in materia di trattenimento e alternative al trattenimento devono valutare se tali misure meno coercitive siano sufficienti ed efficaci in ogni singolo caso.

Tra gli esempi di alternative al trattenimento figurano le limitazioni nella scelta del domicilio, l'obbligo di soggiornare in strutture aperte per famiglie, il supporto da parte di assistenti sociali, la presentazione periodica alle autorità, la consegna dei documenti d'identità/di viaggio, il deposito di una cauzione e il monitoraggio elettronico. L'UNHCR fornisce esempi pratici di buone prassi in materia di alternative al trattenimento (75).

Vantaggi e rischi — alternative al trattenimento

Tra i vantaggi derivanti dalle alternative al trattenimento si possono annoverare tassi di rimpatrio più elevati (comprese le partenze volontarie), una maggiore collaborazione con i rimpatriandi per ottenere la documentazione necessaria, benefici finanziari (riduzione dei costi per lo Stato) e un costo umano inferiore (in quanto si evitano i disagi legati al trattenimento).

I rischi comprendono una maggiore probabilità di fuga, la possibile creazione di incentivi (le strutture alternative di permanenza temporanea potrebbero costituire un'attrattiva per potenziali migranti irregolari) e possibili tensioni sociali nelle vicinanze dei centri aperti.

Raccomandazione: la sfida è trovare soluzioni intelligenti con una combinazione adeguata di incentivi e deterrenti. Una mancanza totale di deterrenti può comportare tassi di rimpatrio insufficienti. Al contempo, anche un sistema troppo repressivo con un trattenimento sistematico può essere poco efficace, poiché il rimpatriando è scarsamente incentivato o incoraggiato a collaborare nella procedure di rimpatrio. Gli Stati membri dovrebbero sviluppare e usare una vasta gamma di alternative per affrontare la situazione di diverse categorie di cittadini di paesi terzi. Le azioni di tutoraggio personalizzate, che consentono al rimpatriando di gestire autonomamente il proprio rimpatrio, l'intervento rapido e una gestione complessiva mirata alla soluzione di ogni singolo caso si sono rivelati efficaci. Si dovrebbe cercare di introdurre un tutoraggio sistematico orizzontale per tutti i potenziali rimpatriandi, fornendo consulenza anche sulle possibilità di soggiorno regolare/asilo e sul rimpatrio volontario/forzato fin dalle prime fasi (e non solo dopo l'adozione di decisioni di rimpatrio forzato).

Ulteriore chiarimento

Essere sottoposti a procedure di rimpatrio: il requisito formale di essere «sottoposto a procedure di rimpatrio» di cui all'articolo 15, paragrafo 1, non equivale a essere destinatario di una «decisione di rimpatrio». Il trattenimento può essere imposto, se sono soddisfatte tutte le condizioni stabilite dall'articolo 15, già prima dell'adozione di una decisione di rimpatrio, ad esempio quando la decisione di rimpatrio è in fase di preparazione e non è ancora stata emessa.

Esempi concreti

Un cittadino di un paese terzo il cui soggiorno è irregolare può nascondere (non rivelare) la propria identità per evitare di essere allontanato. È legittimo mantenere il trattenimento in tali circostanze, allo scopo di esercitare pressioni sulla persona in questione per indurla a collaborare e quindi renderne possibile l'allontanamento?

Questo tipo di allontanamento rientra nell'ambito di applicazione dell'articolo 15, paragrafo 1, lettera b), della direttiva rimpatri, che menziona espressamente la situazione in cui il cittadino di paese terzo «evita od ostacola […]l'allontanamento» come motivo del trattenimento. L'articolo 15, paragrafo 6, lettera a), indica la «mancata cooperazione» come uno dei due casi che possono giustificare un prolungamento di 12 mesi del periodo massimo di trattenimento e l'obiettivo generale e la finalità di questo tipo di trattenimento (Beugehaft o Durchsetzungshaft) è l'allontanamento e non l'imposizione di una sanzione. Qualsiasi trattenimento ai fini dell'allontanamento deve rispettare l'articolo 15, paragrafo 4, della direttiva rimpatri: «Quando risulta che non esiste più alcuna prospettiva ragionevole di allontanamento per motivi di ordine giuridico o per altri motivi o che non sussistono più le condizioni di cui al paragrafo 1, il trattenimento non è più giustificato e la persona interessata è immediatamente rilasciata». Ciò implica che, nei casi in cui diventa evidente che non esiste più alcuna prospettiva ragionevole di allontanamento, si deve porre fine al trattenimento - ad esempio quando diventa evidente che i documenti che devono essere rilasciati da un paese terzo arriveranno troppo tardi o non saranno affatto rilasciati, anche se la persona trattenuta sarebbe disposta a collaborare.

È possibile mantenere il trattenimento se un rimpatriando presenta una domanda di asilo?

Risposta fornita dalla Corte di giustizia nella causa Arslan  (76), C-534/11 (punti 49 e 63): «L'articolo 2, paragrafo 1, della direttiva 2008/115/CE […] non è applicabile al cittadino di un paese terzo che ha presentato una domanda di protezione internazionale ai sensi della direttiva 2005/85/CE, e ciò durante il periodo che intercorre tra la presentazione di tale domanda e l'adozione della decisione dell'autorità di primo grado che si pronuncia su tale domanda o, eventualmente, fino all'esito del ricorso che sia stato proposto avverso tale decisione. […] Le direttive 2003/9/CE e 2005/85/CE non ostano a che il cittadino di un paese terzo, che abbia presentato una domanda di protezione internazionale ai sensi della direttiva 2005/85/CE dopo che ne sia stato disposto il trattenimento ai sensi dell'articolo 15 della direttiva 2008/115/CE, continui ad essere trattenuto in base ad una norma del diritto nazionale qualora appaia, in esito ad una valutazione individuale di tutte le circostanze pertinenti, che tale domanda è stata presentata al solo scopo di ritardare o compromettere l'esecuzione della decisione di rimpatrio e che è oggettivamente necessario che il provvedimento di trattenimento siamantenuto al fine di evitare che l'interessato si sottragga definitivamente al proprio rimpatrio». NB: il riferimento al «diritto nazionale» riguarda le norme nazionali sul trattenimento legato all'asilo che recepiscono, se del caso, le disposizioni relative al trattenimento dell'acquis dell'UE in materia di asilo.

14.2.   Forma e riesame iniziale del trattenimento

Base giuridica: direttiva rimpatri, articolo 15, paragrafo 2

Il trattenimento è disposto dalle autorità amministrative o giudiziarie.

Il trattenimento è disposto per iscritto ed è motivato in fatto e in diritto.

Quando il trattenimento è disposto dalle autorità amministrative, gli Stati membri:

a)

prevedono un pronto riesame giudiziario della legittimità del trattenimento su cui decidere entro il più breve tempo possibile dall'inizio del trattenimento stesso;

b)

oppure accordano al cittadino di un paese terzo interessato il diritto di presentare ricorso per sottoporre ad un pronto riesame giudiziario la legittimità del trattenimento su cui decidere entro il più breve tempo possibile dall'avvio del relativo procedimento. In tal caso gli Stati membri informano immediatamente il cittadino del paese terzo in merito alla possibilità di presentare tale ricorso.

Il cittadino di un paese terzo interessato è liberato immediatamente se il trattenimento non è legittimo.

Le autorità giudiziarie possono essere i giudici, ma non devono necessariamente essere composte da giudici. In linea con la giurisprudenza pertinente della Corte EDU, esse devono avere caratteristiche di indipendenza e imparzialità e offrire le garanzie giudiziarie di un contraddittorio.

Ambito del riesame giudiziario: il riesame deve valutare tutti gli aspetti cui fa espresso riferimento l'articolo 15 della direttiva rimpatri, tenendo conto sia delle questioni di diritto (ad esempio la correttezza della procedura di trattenimento e della decisione di trattenimento dal punto di vista procedurale/giudiziario), sia delle questioni di fatto (ad esempio la situazione personale della persona trattenuta, i legami familiari nel paese, le garanzie riguardanti la partenza dal territorio, le prospettive ragionevoli di allontanamento ecc.).

Durata massima di un «pronto riesame giudiziario»: il testo della direttiva rimpatri si ispira al testo dell'articolo 5, paragrafo 4, della CEDU, che richiede un «pronto riesame giudiziario da parte di un tribunale». La giurisprudenza pertinente della Corte EDU chiarisce che non è possibile definire in astratto una durata massima accettabile (ossia una durata ragionevole); tale durata deve invece essere stabilita alla luce delle circostanze di ogni caso, tenendo conto della complessità del procedimento e del comportamento delle autorità e del richiedente. L'adozione di una decisione in meno di un settimana può essere certamente considerata una buona prassi conforme al requisito giuridico della prontezza.

Il requisito di una decisione scritta è applicabile anche alle decisioni di proroga: il requisito di emettere una decisione scritta motivata è applicabile anche alle decisioni relative alla proroga del trattenimento. Nella sentenza emessa nella causa Mahdi, C-146/14, punto 44, la Corte di giustizia ha espressamente chiarito quanto segue: «Tale requisito dell'adozione di una decisione scritta deve essere inteso come riferito necessariamente a tutte le decisioni sulla proroga del trattenimento, posto che, da una parte, il trattenimento e la sua proroga presentano una natura analoga, avendo entrambi per effetto di privare della libertà il cittadino del paese terzo interessato al fine di preparare il rimpatrio e/o procedere all'allontanamento, e, dall'altra, in entrambi i casi, tale cittadino deve poter conoscere i motivi della decisione assunta nei suoi confronti».

Tutte le garanzie inerenti al rispetto del diritto di essere ascoltati si applicano alle decisioni di trattenimento e alle decisioni di proroga del trattenimento. Tuttavia, il mancato rispetto di questo diritto costituisce motivo di invalidità di una decisione solo nella misura in cui l'esito della procedura sarebbe stato diverso se il diritto fosse stato rispettato - si veda la causa G & R, C-383/13: «[…] il diritto dell'Unione, in particolare l'articolo 15, paragrafi 2 e 6, della direttiva 2008/115/CE, deve essere interpretato nel senso che, quando nell'ambito di un procedimento amministrativo la proroga di una misura di trattenimento è stata adottata in violazione del diritto di essere sentiti, il giudice nazionale chiamato a valutare la legittimità di tale decisione può ordinare la cessazione del trattenimento soltanto se ritiene, tenuto conto di tutte le circostanze di fatto e di diritto di ciascun caso di specie, che tale violazione abbia effettivamente privato colui che la invoca della possibilità di difendersi più efficacemente, di modo che il procedimento amministrativo in questione avrebbe potuto comportare un risultato diverso» (cfr. punto 12 del presente manuale).

14.3.   Riesame periodico del trattenimento

Base giuridica: direttiva rimpatri, articolo 15, paragrafo 3

In ogni caso, il trattenimento è riesaminato ad intervalli ragionevoli su richiesta del cittadino di un paese terzo interessato o d'ufficio.

L'articolo 15, paragrafo 3, prima frase, non prevede l'adozione di una decisione scritta di riesame, come è stato chiarito dalla Corte di giustizia nella sentenza emessa nella causa Mahdi, C-146/14 (punto 47): «le disposizioni dell'articolo 15 di detta direttiva non impongono l'adozione di un “provvedimento di riesame” scritto […] Le autorità che procedono al riesame del trattenimento di un cittadino di un paese terzo a intervalli ragionevoli, in applicazione di detto articolo 15, paragrafo 3, primo periodo, non sono quindi tenute ad adottare, per ciascun riesame, un atto esplicito in forma scritta recante gli elementi di fatto e di diritto che lo motivano». Gli Stati membri hanno tuttavia la facoltà di adottare una decisione scritta di riesame in conformità del diritto nazionale.

Le decisioni combinate di riesame e di proroga devono essere adottate per iscritto: nella sentenza emessa nella causa Mahdi, C-146/14, punto 48, la Corte di giustizia ha chiarito quanto segue: «in un caso del genere, il riesame del trattenimento e l'adozione della decisione sul mantenimento di tale trattenimento hanno luogo durante la medesima fase processuale. Tale decisione deve, quindi, soddisfare le condizioni previste all'articolo 15, paragrafo 2, della direttiva 2008/115/CE».

Nel caso di periodi di trattenimento prolungati il riesame è sottoposto al controllo di un'autorità giudiziaria.

Significato di «trattenimento prolungato»: l'articolo 15, paragrafo 3, seconda frase, della direttiva rimpatri prevede un controllo giudiziario d'ufficio nei casi di «trattenimento prolungato». Ciò implica la necessità di un intervento delle autorità giudiziarie anche nei casi in cui la persona interessata non presenti ricorso. Sulla base del confronto linguistico dell'espressione «trattenimento prolungato» (tedesco: «Bei längerer Haftdauer»; francese: «En cas de périodes de rétention prolongées»; neerlandese: «In het geval van een lange periode van bewaring»; spagnolo: «En caso de periodos de internamiento prolongados») è evidente che essa si riferisce in sostanza a un lungo periodo di trattenimento a prescindere dal fatto che sia già stata adottata o meno una decisione formale di proroga. La Commissione ritiene che un intervallo di sei mesi per esercitare il primo controllo giudiziario d'ufficio della decisione di trattenimento sia decisamente troppo lungo e che un controllo giudiziario d'ufficio trimestrale sia al limite di ciò che potrebbe essere ancora compatibile con l'articolo 15, paragrafo 3, della direttiva, a condizione che, se necessario, sia possibile anche effettuare riesami individuali su richiesta.

Poteri dell'autorità giudiziaria di controllo: un meccanismo di riesame che valuti solo le questioni di diritto e non le questioni di fatto non è sufficiente. L'autorità giudiziaria deve avere il potere di decidere sia sulle questioni di fatto, sia su quelle di diritto - si veda la sentenza emessa dalla Corte di giustizia nella causa Mahdi, C-146/14, punto 62: «[…] l'autorità giudiziaria competente deve essere in grado di sostituire la propria decisione a quella dell'autorità amministrativa o, se del caso, a quella dell'autorità giudiziaria che ha disposto il trattenimento iniziale e di pronunciarsi sulla possibilità di disporre una misura sostitutiva o il rilascio del cittadino di un paese terzo interessato. A tal fine, l'autorità giudiziaria che si pronunci sulla domanda di proroga del trattenimento deve poter prendere in considerazione sia gli elementi di fatto e le prove assunti dall'autorità amministrativa che ha disposto il trattenimento iniziale sia tutte le osservazioni eventualmente formulate dal cittadino di un paese terzo interessato. Inoltre, essa deve poter ricercare, laddove lo ritenga necessario, tutti gli altri elementi di prova rilevanti ai fini della propria decisione».

14.4.   Termine del trattenimento

Base giuridica: direttiva rimpatri, articolo 15, paragrafi da 4 a 6

4.

Quando risulta che non esiste più alcuna prospettiva ragionevole di allontanamento per motivi di ordine giuridico o per altri motivi o che non sussistono più le condizioni di cui al paragrafo 1, il trattenimento non è più giustificato e la persona interessata è immediatamente rilasciata.

5.

Il trattenimento è mantenuto finché perdurano le condizioni di cui al paragrafo 1 e per il periodo necessario ad assicurare che l'allontanamento sia eseguito. Ciascuno Stato membro stabilisce un periodo limitato di trattenimento, che non può superare i sei mesi.

6.

Gli Stati membri non possono prolungare il periodo di cui al paragrafo 5, salvo per un periodo limitato non superiore ad altri dodici mesi conformemente alla legislazione nazionale nei casi in cui, nonostante sia stato compiuto ogni ragionevole sforzo, l'operazione di allontanamento rischia di durare più a lungo a causa:

a)

della mancata cooperazione da parte del cittadino di un paese terzo interessato; o

b)

dei ritardi nell'ottenimento della necessaria documentazione dai paesi terzi.

Si deve porre fine al trattenimento e il rimpatriando deve essere rilasciato in varie situazioni, in particolare se:

non esistono più prospettive ragionevoli di allontanamento per motivi di ordine giuridico o di altro tipo,

le autorità non eseguono come previsto le disposizioni di allontanamento,

sono stati raggiunti i termini massimi per il trattenimento.

Inoltre, si deve porre fine al trattenimento caso per caso se le alternative al trattenimento diventano una soluzione adeguata.

14.4.1.   Assenza di prospettive ragionevoli di allontanamento

Assenza di prospettive ragionevoli di allontanamento: nella sentenza emessa nella causa Kadzoev, C-357/09, punto 67, la Corte di giustizia ha fornito un'interpretazione chiarificatrice del significato di «prospettive ragionevoli»: «solo una concreta prospettiva di esecuzione dell'allontanamento tenuto conto dei termini stabiliti ai nn. 5 e 6 dello stesso articolo corrisponde ad una prospettiva ragionevole di allontanamento e […] quest'ultima non sussiste quando risulta poco probabile che l'interessato sia accolto in un paese terzo tenuto conto dei detti termini».

«Assenza di prospettive ragionevoli» non equivale a «impossibilità di esecuzione»: l'«impossibilità di esecuzione» è più categorica e più difficile da dimostrare rispetto all'«assenza di prospettive ragionevoli», che si riferisce solo a un certo grado di probabilità.

Periodi di trattenimento che dovrebbero essere presi in considerazione quando si valutano le «prospettive ragionevoli di allontanamento»: tenuto conto dell'importanza attribuita dall'articolo 15 (e dal considerando 6) a una valutazione individuale concreta caso per caso per stabilire la proporzionalità della privazione della libertà, si deve sempre prestare attenzione ai periodi massimi di trattenimento previsti per la persona interessata in un caso specifico. Ciò significa che sono rilevanti i periodi massimi stabiliti dal diritto nazionale dello Stato membro interessato e che, inoltre, un rimpatriando non dovrebbe essere trattenuto in uno Stato membro se fin dall'inizio sembra improbabile che questi possa essere ammesso in un paese terzo entro il periodo massimo di trattenimento consentito dalla legislazione di tale Stato membro (nella sentenza emessa nella causa Kadzoev, C-357/09, la Corte di giustizia ha fatto riferimento ai periodi massimi previsti dalla direttiva, in quanto corrispondevano ai periodi massimi previsti dalla legislazione applicabile nello Stato membro interessato).

La Commissione raccomanda di fissare un periodo massimo iniziale di trattenimento di sei mesi, che dovrà essere adeguato alla luce delle circostanze e riesaminato a ragionevoli intervalli di tempo sotto il controllo di un'autorità giudiziaria, e di introdurre la possibilità di prolungare ulteriormente il trattenimento fino a 18 mesi nei casi previsti all'articolo 15, paragrafo 6, della direttiva rimpatri.

Una volta raggiunti i periodi massimi di trattenimento, l'articolo 15, paragrafo 4, della direttiva rimpatri non è più applicabile e la persona deve in ogni caso essere immediatamente rilasciata - si veda la sentenza emessa dalla Corte di giustizia nella causa Kadzoev, C-357/09, punti 60 e 61: «È giocoforza rilevare che, quando è raggiunta la durata massima di trattenimento prevista all'articolo 15, n. 6, della direttiva 2008/115/CE, non si pone la questione se non esista più una “prospettiva ragionevole di allontanamento”, a norma del n. 4 dello stesso articolo. In un caso del genere, infatti, la persona interessata deve comunque essere immediatamente rimessa in libertà. Pertanto, l'articolo 15, n. 4, della direttiva 2008/115/CE può trovare applicazione unicamente nei limiti di cui le durate massime di trattenimento stabilite dall'articolo 15, nn. 5 e 6, di tale direttiva non sono state superate».

Ulteriori chiarimenti

Occorre prestare particolare attenzione alla situazione specifica degli apolidi, che potrebbero non essere in grado di beneficiare dell'assistenza consolare di paesi terzi per ottenere un documento d'identità o di viaggio valido. Alla luce della sentenza emessa dalla Corte di giustizia nella causa Kadzoev, C-357/09, gli Stati membri dovrebbero accertarsi del fatto che esista una prospettiva ragionevole di allontanamento tale da giustificare l'imposizione o il prolungamento del trattenimento.

È legittimo mantenere il trattenimento se un cittadino di paese terzo è momentaneamente protetto dall'eventualità di un allontanamento in base al principio di non respingimento?

Se l'allontanamento diventa improbabile (ad esempio per una questione di non respingimento probabilmente su base permanente), i cittadini di paesi terzi devono essere rilasciati in conformità dell'articolo 15, paragrafo 4, della direttiva rimpatri. Se la questione del non respingimento è solo limitata e di carattere temporaneo (ad esempio, entro breve potrebbe essere fornita una garanzia diplomatica credibile da parte del paese di rimpatrio o il rimpatriando ha temporaneamente necessità di ricevere cure mediche vitali che non sono disponibili nel paese di rimpatrio) il trattenimento può essere mantenuto, purché esista ancora una prospettiva ragionevole di allontanamento.

14.4.2.   Raggiungimento del periodo massimo di trattenimento

L'articolo 15, paragrafi 5 e 6, della direttiva rimpatri impone agli Stati membri l'obbligo di fissare in base al diritto nazionale (77) termini massimi per il trattenimento che non devono essere superiori a sei mesi (nei casi normali) o a 18 mesi (in due casi specifici: mancanza di collaborazione da parte del rimpatriando o ritardi nell'ottenimento della necessaria documentazione dai paesi terzi).

I periodi massimi di trattenimento stabiliti dal diritto nazionale, se più brevi, prevalgono sul termine di 6/18 mesi previsto dalla direttiva rimpatri: nella gestione di casi concreti si devono applicare i periodi massimi stabiliti dal dirittonazionale (in conformità della direttiva rimpatri) e non i periodi massimi previsti dalla direttiva rimpatri. Ciò implica che uno Stato membro che ha stabilito un periodo massimo nazionale di, ad esempio, 60 giorni per i rimpatriandi non collaborativi non può mantenere il trattenimento per più di 60 giorni, anche se l'articolo 15, paragrafo 6, della direttiva rimpatri prevede un periodo fino a 18 mesi.

Il diritto nazionale dovrebbe stabilire un periodo massimo di trattenimento tale da permettere alle autorità nazionali competenti di adottare tutte le misure necessarie per eseguire la decisione di rimpatrio e, quindi, per completare le procedure necessarie per portare a termine il rimpatrio dei cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare e assicurarne la riammissione nel paese terzo di rimpatrio. La Commissione raccomanda che gli Stati membri utilizzino i margini previsti dall'articolo 15 della direttiva rimpatri, fissando un periodo massimo iniziale di trattenimento di sei mesi e introducendo la possibilità di prolungare ulteriormente il trattenimento fino a 18 mesi nei casi previsti dall'articolo 15, paragrafo 6, della direttiva. Si rammenta che l'effettiva durata del trattenimento dev'essere stabilita caso per caso e che il rimpatriando dev'essere rilasciato se non sussistono più le condizioni del trattenimento (ad esempio, una ragionevole prospettiva di allontanamento).

Esempi di motivi che giustificano/non giustificano il trattenimento prolungato ai sensi dell'articolo 15, paragrafo 6:

la mancanza di documenti di identità in quanto tale non è sufficiente per giustificare una proroga del trattenimento - si veda la sentenza emessa dalla Corte di giustizia nella causa Mahdi, C-146/14, punto 73: «[…] il fatto che il cittadino di un paese terzo interessato non sia munito di documenti di identità non può, di per sé, giustificare una proroga del trattenimento prevista all'articolo 15, paragrafo 6, della direttiva 2008/115/CE»,

la mancanza di collaborazione nell'ottenimento dei documenti di identità può giustificare una proroga del trattenimento se esiste un nesso causale tra la mancanza di collaborazione e il mancato rimpatrio - si veda la sentenza emessa dalla Corte di giustizia nella causa Mahdi, C-146/14, punto 85: «[…] soltanto qualora dall'esame del comportamento del cittadino medesimo nel corso del periodo di trattenimento emerga la sua mancata collaborazione all'esecuzione delle operazioni di allontanamento, nonché la probabilità che, a causa di tale comportamento, dette operazioni durino più del previsto».

Ulteriori chiarimenti

 

Considerazione dei periodi di trattenimento di una persona in qualità di richiedente asilo: quando si calcola il periodo di trattenimento ai fini dell'allontanamento, non devono essere presi in considerazione i periodi di trattenimento di una persona in qualità di richiedente asilo in quanto il trattenimento ai fini dell'allontanamento e il trattenimento nei confronti dei richiedenti asilo rientrano in norme e regimi giuridici diversi - si veda la sentenza emessa dalla Corte di giustizia nella causa Kadzoev, C-357/09, punti 45 e 48: «il trattenimento ai fini dell'allontanamento disciplinato dalla direttiva 2008/115/CE ed il trattenimento [in arresto] disposto nei confronti di un richiedente asilo, in particolare in forza delle direttive 2003/9/CE e 2005/85/CE e delle disposizioni nazionali applicabili, rientrano in distinti regimi giuridici. […] pertanto […] il periodo durante il quale una persona è stata collocata in un Centro di permanenza temporanea in forza di una decisione adottata a norma delle disposizioni nazionali e comunitarie relative ai richiedenti asilo non deve essere considerato un trattenimento ai fini dell'allontanamento ai sensi dell'articolo 15 della direttiva 2008/115/CE»;

 

e punto 47: «Se dovesse risultare che non è stata adottata alcuna decisione sul collocamento del sig. Kadzoev presso il Centro di permanenza temporanea nel contesto dei procedimenti avviati in seguito alle sue richieste d'asilo richiamate al punto 19 di questa sentenza, e che pertanto il suo trattenimento è rimasto fondato sull'anteriore regime nazionale di trattenimento ai fini dell'allontanamento o sul regime previsto dalla direttiva 2008/115/CE, il periodo di trattenimento del sig. Kadzoev corrispondente al periodo durante il quale i detti procedimenti d'asilo erano in corso dovrebbe essere preso in considerazione nel calcolo del periodo di trattenimento ai fini dell'allontanamento contemplato all'articolo 15, nn. 5 e 6, della direttiva 2008/115/CE».

 

Considerazione dei periodi di trattenimento in attesa della preparazione di un trasferimento ai sensi del regolamento Dublino: si applica la stessa logica illustrata in precedenza in relazione ai periodi di trattenimento di una persona in qualità di richiedente asilo.

 

Considerazione dei periodi di trattenimento durante i quali è pendente un ricorso con effetto sospensivo: tali periodi devono essere presi in considerazione — si veda la sentenza emessa dalla Corte di giustizia nella causa Kadzoev, C-357/09, punti 53 e 54: «il periodo di trattenimento subìto dalla persona interessata durante il procedimento di verifica giurisdizionale della legittimità della decisione di allontanamento deve essere preso in considerazione ai fini del calcolo della durata massima del trattenimento di cui all'articolo 15, nn. 5 e 6, della direttiva 2008/115/CE. Se così non fosse, la durata del trattenimento ai fini dell'allontanamento potrebbe variare, all'occorrenza anche considerevolmente, da un caso all'altro in uno stesso Stato membro oppure da uno Stato membro all'altro, a seconda delle particolarità e delle specifiche circostanze delle procedure giudiziarie nazionali, il che contrasterebbe con la finalità perseguita dall'articolo 15, nn. 5 e 6, della direttiva 2008/115/CE, che consiste nel garantire una comune durata massima del trattenimento negli Stati membri».

 

Tenere conto dei periodi di trattenimento ai fini dell'allontanamento trascorsi in uno (un altro) Stato membro A, seguiti immediatamente da un trattenimento che precede l'allontanamento in uno Stato membro B (tale situazione può verificarsi, ad esempio, nel contesto del trasferimento di un cittadino di paese terzo dallo Stato membro A nello Stato membro B in base a un accordo bilaterale di riammissione ai sensi dell'articolo 6, paragrafo 3, della direttiva rimpatri): la Commissione ritiene che non si debba superare la soglia assoluta di 18 mesi di trattenimento ininterrotto prima dell'allontanamento, tenuto conto della necessità di rispettare l'effetto utile del termine massimo fissato dall'articolo 15, paragrafo 6, della direttiva rimpatri. Lo scambio di informazioni tra gli Stati membri sui periodi di trattenimento già trascorsi in un altro Stato membro, e sull'eventualità che lo Stato membro B si opponga al trasferimento dallo Stato membro A se quest'ultimo ha presentato la richiesta con eccessivo ritardo, dovrebbe essere gestito in base agli accordi bilaterali di riammissione pertinenti.

 

Tenere conto dei periodi di trattenimento completati prima che siano diventate applicabili le disposizioni della direttiva rimpatri: tali periodi devono essere presi in considerazione - si veda la sentenza emessa dalla Corte di giustizia nella causa Kadzoev, C-357/09, punti da 36 a 38.

14.5.   Nuovo trattenimento dei rimpatriandi

Il periodo massimo di trattenimento prescritto dalla direttiva rimpatri non dev'essere pregiudicato da un nuovo trattenimento dei rimpatriandi immediatamente successivo al loro rilascio dopo un periodo di trattenimento.

Un nuovo trattenimento della stessa persona in un momento successivo è legittimo solo se si è verificato un importante cambiamento delle circostanze (ad esempio il rilascio da parte di un paese terzo dei documenti necessari o un miglioramento della situazione nel paese di origine, tale da consentire un rimpatrio sicuro), se tale cambiamento crea una «prospettiva ragionevole di allontanamento» ai sensi dell'articolo 15, paragrafo 4, della direttiva rimpatri e se sono soddisfatte tutte le altre condizioni previste dall'articolo 15 di tale direttiva per l'imposizione del trattenimento.

14.6.   Applicazione di misure meno coercitive dopo la fine del periodo di trattenimento

È possibile imporre misure meno coercitive, ad esempio la presentazione periodica alle autorità, il deposito di una garanzia finanziaria adeguata, la presentazione di documenti o l'obbligo di dimora in un determinato luogo, per il periodo e nella misura utili affinché esse possano ancora essere considerate «misure necessarie» per eseguire il rimpatrio. Sebbene non siano previsti termini massimi assoluti per l'applicazione di misure meno coercitive, l'ambito di applicazione e la durata di tali misure devono essere oggetto di una valutazione approfondita riguardo alla loro proporzionalità.

Inoltre, se la natura e l'intensità di una misura meno coercitiva sono simili o pari a quelle della privazione della libertà (ad esempio l'imposizione di un obbligo illimitato di soggiorno in una struttura specifica, senza la possibilità di uscirne), la misura deve essere considerata una continuazione di fatto del trattenimento e si applicano i termini previsti dall'articolo 15, paragrafi 5 e 6, della direttiva rimpatri.

15.   CONDIZIONI DI TRATTENIMENTO

Base giuridica: direttiva rimpatri, articolo 16

1.

Il trattenimento avviene di norma in appositi centri di permanenza temporanea. Qualora uno Stato membro non possa ospitare il cittadino di un paese terzo interessato in un apposito centro di permanenza temporanea e debba sistemarlo in un istituto penitenziario, i cittadini di paesi terzi trattenuti sono tenuti separati dai detenuti ordinari.

2.

I cittadini di paesi terzi trattenuti hanno la possibilità — su richiesta — di entrare in contatto, a tempo debito, con rappresentanti legali, familiari e autorità consolari competenti.

3.

Particolare attenzione è prestata alla situazione delle persone vulnerabili. Sono assicurati le prestazioni sanitarie d'urgenza e il trattamento essenziale delle malattie.

4.

I pertinenti e competenti organismi ed organizzazioni nazionali, internazionali e non governativi hanno la possibilità di accedere ai centri di permanenza temporanea di cui al paragrafo 1, nella misura in cui essi sono utilizzati per trattenere cittadini di paesi terzi in conformità del presente capo. Tali visite possono essere soggette ad autorizzazione.

5.

I cittadini di paesi terzi trattenuti sono sistematicamente informati delle norme vigenti nel centro e dei loro diritti e obblighi. Tali informazioni riguardano anche il loro diritto, ai sensi della legislazione nazionale, di mettersi in contatto con gli organismi e le organizzazioni di cui al paragrafo 4.

15.1.   Fermo di polizia iniziale

L'arresto iniziale (fermo) da parte della polizia a fini di identificazione rientra nell'ambito del diritto nazionale, come viene espressamente sottolineato nel considerando 17 della direttiva rimpatri: «Fatto salvo l'arresto iniziale da parte delleautorità incaricate dell'applicazione della legge, disciplinato dal diritto nazionale, il trattenimento dovrebbe di norma avvenire presso gli appositi centri di permanenza temporanea». Ciò chiarisce che per un periodo iniziale può continuare a essere applicabile il diritto nazionale. Pur non trattandosi di un obbligo giuridico, gli Stati membri sono incoraggiati a garantire già in questa fase che i cittadini di paesi terzi siano tenuti separati dai detenuti ordinari.

Durata del periodo di fermo iniziale durante il quale i migranti irregolari sospetti possono essere trattenuti dalla polizia: si tratta di un periodo breve, ma ragionevole, per poter identificare la persona soggetta al controllo e per ricercare le informazioni che consentono di accertare se tale persona sia un cittadino di un paese terzo il cui soggiorno è irregolare - si veda la sentenza emessa dalla Corte di giustizia nella causa Achughbabian, C-329/11, punto 31: «A tale riguardo, le autorità competenti devono disporre di un termine che, seppur breve, sia anche ragionevole, per poter identificare la persona soggetta al controllo e per ricercare le informazioni che consentono di accertare se tale persona sia un cittadino di un paese terzo il cui soggiorno è irregolare. In caso di mancata cooperazione dell'interessato, determinarne il nome e la nazionalità può rivelarsi difficile. Lo stesso può dirsi della verifica della sussistenza di un soggiorno irregolare, soprattutto qualora l'interessato invochi lo status di richiedente asilo o di rifugiato. Ciò premesso, le competenti autorità, onde evitare di compromettere, come ricordato al punto precedente, l'obiettivo della direttiva 2008/115/CE, sono tenute ad agire con diligenza e a pronunciarsi senza indugio in merito alla regolarità o meno del soggiorno della persona interessata». Sebbene non sia previsto un termine vincolante preciso, la Commissione incoraggia gli Stati membri a garantire che il trasferimento in un apposito centro di permanenza temporanea per migranti irregolari avvenga di norma entro 48 ore dal fermo (in via del tutto eccezionale possono essere ammessi periodi più lunghi in caso di ubicazioni geografiche remote).

15.2.   Uso di appositi centri di permanenza temporanea come regola generale

L'uso di appositi centri di permanenza temporanea è la regola generale: i rimpatriandi non sono delinquenti e meritano un trattamento diverso dai detenuti ordinari. L'uso di appositi centri di permanenza temporanea è quindi la regola generale prevista dalla direttiva rimpatri. Gli Stati membri sono tenuti a trattenere ai fini dell'allontanamento i cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare in appositi centri di permanenza temporanea e non in istituti penitenziari ordinari. Ciò implica l'obbligo per gli Stati membri di garantire la disponibilità di posti sufficienti negli appositi centri di permanenza temporanea e quindi di disporre di capacità di trattenimento conformi alle effettive esigenze, garantendo al contempo condizioni materiali di trattenimento adeguate.

Eccezioni alla regola generale: la deroga prevista dall'articolo 16, paragrafo 1, della direttiva rimpatri, che consente agli Stati membri di sistemare le persone trattenute in attesa di allontanamento, in casi eccezionali, in istituti penitenziari ordinari deve essere interpretata in senso restrittivo. La Corte di giustizia lo ha espressamente confermato nella sentenza emessa nelle cause congiunte Bero, C-473/13, e Bouzalmate, C-514/13 (78), punto 25: «La seconda frase […] dell'articolo 16, paragrafo 1 […] prevede una deroga a tale principio, che, in quanto tale, deve essere interpretata restrittivamente (cfr, in tal senso, sentenza Kamberaj, C-571/10, EU:C:2012:233, punto 86)». Quando ci si avvale di tale deroga, occorre tenere pienamente conto dei diritti fondamentali, prestando la debita attenzione a elementi quali le situazioni di sovraffollamento, la necessità di evitare trasferimenti ripetuti e i possibili effetti negativi sul benessere dei rimpatriandi, in particolare nel caso di persone vulnerabili.

Picchi imprevedibili del numero di persone trattenute: la deroga prevista dall'articolo 16, paragrafo 1, della direttiva rimpatri può essere applicata quando picchi imprevedibili del numero di persone trattenute dovuti a oscillazioni quantitative imprevedibili insite nel fenomeno della migrazione irregolare (ma non ancora tali da raggiungere il livello di «situazioni di emergenza», espressamente disciplinate dall'articolo 18 della direttiva rimpatri) rendono problematico sistemare le persone trattenute nei centri appositi in uno Stato membro che, in altre situazioni, disporrebbe di un numero adeguato/sufficiente di posti in tali centri.

Comportamento aggressivo di persone trattenute: conformemente alla giurisprudenza pertinente della Corte EDU, gli Stati membri hanno l'obbligo di proteggere i rimpatriandi trattenuti dal comportamento aggressivo o inopportuno di altre persone trattenute. Gli Stati membri sono incoraggiati a ricercare un modo pratico per affrontare questo problema negli appositi centri senza ricorrere alla sistemazione in istituti penitenziari. Tra le possibili soluzioni vi è quella di riservare determinate parti o ali dei centri di permanenza temporanea alle persone aggressive o riservare specifici centri di permanenza temporanea a questa categoria di persone.

Assenza di appositi centri di permanenza temporanea in un'area regionale specifica di uno Stato membro: il fatto che manchino appositi centri di permanenza temporanea in un'area regionale specifica di uno Stato membro, mentre ne esistono in altre parti dello stesso Stato membro, non può giustificare di per sé la sistemazione in un istituto penitenziario ordinario. Lo ha ribadito espressamente la Corte di giustizia nella sentenza emessa nelle cause congiunte Bero, C-473/13, e Bouzalmate, C-514/13, punto 32: «l'articolo 16, paragrafo 1, della direttiva 2008/115/CE deve essere interpretato nel senso che uno Stato membro è tenuto, di norma, a trattenere ai fini dell'allontanamento i cittadini di paesi terzi in situazione di soggiorno irregolare sistemandoli in un apposito centro di permanenza temporanea di questo Stato, ancorché tale Stato membro abbia una struttura federale e lo Stato federato competente a decidere e ad eseguire detto trattenimento ai sensi del diritto nazionale non disponga di un centro di permanenza temporanea siffatto».

Periodi di trattenimento brevi: il fatto che il trattenimento sia probabilmente destinato a durare solo per un breve periodo (ad esempio sette giorni o meno) non è un motivo legittimo per far ricorso a istituti penitenziari.

Trattenimento in istituti medici/psichiatrici chiusi: il trattenimento che precede l'allontanamento in istituti medici/psichiatrici chiusi o insieme a persone trattenute per motivi medici non è previsto dall'articolo 16, paragrafo 1, della direttiva rimpatri e sarebbe in contrasto con il suo effetto utile, salvo che, alla luce delle condizioni mediche e dello stato di salute dell'interessato, il trattenimento o il trasferimento in un centro apposito o specificamente adattato appaiano necessari per sottoporlo ad assistenza, cure mediche e controlli specialistici adeguati e costanti, allo scopo di evitare il deterioramento della sua salute.

15.3.   Separazione dai detenuti ordinari

L'obbligo di tenere separati i rimpatriandi e i detenuti è un requisito assoluto: la direttiva rimpatri prevede, per gli Stati membri, l'obbligo incondizionato di garantire che i cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare siano sempre tenuti separati dai detenuti ordinari qualora uno Stato membro non possa, in via eccezionale, sistemarli in un apposito centro di permanenza temporanea.

Ex detenuti sottoposti a successivo rimpatrio: al termine del periodo di detenzione, quando la persona interessata dovrebbe essere di norma rilasciata, iniziano a essere applicabili le disposizioni relative al trattenimento ai fini dell'allontanamento, compreso l'obbligo di cui all'articolo 16, paragrafo 1, della direttiva rimpatri di effettuare il trattenimento in centri appositi. Se la preparazione dell'allontanamento ed eventualmente l'allontanamento stesso sono effettuati in un periodo compreso in quello della pena detentiva, la sistemazione nell'istituto penitenziario può essere mantenuta poiché comunque prevista dalla condanna inflitta per il reato commesso in precedenza. Gli Stati membri sono incoraggiati a iniziare tutte le procedure necessarie per l'allontanamento con largo anticipo, mentre il cittadino di paese terzo interessato sta ancora scontando la pena in un istituto penitenziario, affinché questi possa essere efficacemente rimpatriato, al più tardi al momento del suo rilascio.

Comportamento aggressivo di persone trattenute: un comportamento aggressivo o inopportuno da parte dei rimpatriandi non ne giustifica il trattenimento insieme ai detenuti ordinari, salvo che un atto di aggressione sia stato giudicato come reato e che quindi un tribunale abbia inflitto una pena detentiva.

L'espressione «detenuti ordinari» comprende sia i detenuti condannati che i detenuti in custodia cautelare: lo conferma l'orientamento n. 10, punto 4, dei «Venti orientamenti sul rimpatrio forzato» adottati dal Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa, dove si sottolinea esplicitamente che le persone trattenute in attesa dell'allontanamento dal territorio di norma dovrebbero essere separate dai detenuti ordinari, siano essi condannati o in custodia cautelare. Le persone trattenute devono quindi essere separate anche dai detenuti in custodia cautelare.

Non è previsto il consenso del rimpatriando a essere trattenuto insieme ai detenuti: nella sentenza emessa nella causa Pham, C-474/13 (79) (punti 21 e 22), la Corte di giustizia ha ribadito espressamente: «A questo proposito, l'obbligo di separazione dei cittadini di paesi terzi in situazione di soggiorno irregolare dai detenuti comuni, previsto dall'articolo 16, paragrafo 1, seconda frase, della direttiva 2008/115/CE, va al di là di una semplice modalità di esecuzione specifica della sistemazione dei cittadini di paesi terzi in regime di trattenimento all'interno di istituti penitenziari e costituisce un presupposto di merito di tale sistemazione senza il quale, in via di principio, quest'ultima non sarebbe conforme alla direttiva summenzionata. In tale contesto, uno Stato membro non può tener conto della volontà del cittadino di un paese terzo di cui trattasi».

15.4.   Condizioni materiali di trattenimento

Direttiva rimpatri, articolo 16; orientamento n. 10 sul rimpatrio forzato del Consiglio d'Europa («condizioni di trattenimento in attesa dell'allontanamento»); norme e scheda sul trattenimento degli immigrati del Comitato per la prevenzione della tortura (CPT); regole penitenziarie europee del 2006

La direttiva rimpatri prevede varie garanzie concrete. Gli Stati membri sono tenuti a:

assicurare le prestazioni sanitarie d'urgenza e il trattamento essenziale delle malattie,

prestare attenzione alla situazione delle persone vulnerabili, il che implica anche la necessità, più in generale, di tenere in debito conto elementi quali l'età, la disabilità e le condizioni di salute dell'interessato (compresa la salute mentale),

fornire alle persone trattenute informazioni che spieghino le norme vigenti nel centro e i loro diritti e obblighi; si raccomanda di fornire tali informazioni quanto prima e comunque entro 24 ore dall'arrivo,

consentire alle persone trattenute di mantenere i contatti con i rappresentanti legali, i familiari e le autorità consolari competenti,

offrire a organizzazioni e organismi nazionali, internazionali e non governativi competenti e pertinenti la possibilità di visitare i centri di permanenza temporanea; tale diritto può essere concesso direttamente agli organismi interessati, indipendentemente da un invito della persona trattenuta.

Riguardo alle questioni non espressamente disciplinate dalla direttiva rimpatri, gli Stati membri devono attenersi alle norme pertinenti del Consiglio d'Europa, in particolare le «norme del CPT»: la direttiva rimpatri non disciplina talune condizioni materiali, quali le dimensioni delle stanze, l'accesso ai servizi igienici, l'accesso all'aria aperta o l'alimentazione, durante il trattenimento. Il considerando 17 ribadisce tuttavia che le persone trattenute devono essere trattate in «modo umano e dignitoso», nel pieno rispetto dei loro diritti fondamentali e in conformità del diritto internazionale. Ogni volta che gli Stati membri impongono il trattenimento ai fini dell'allontanamento, devono farlo a condizioni conformi all'articolo 4 della Carta, che proibisce il trattamento inumano e degradante. Gli effetti pratici di tale obbligo sugli Stati membri sono illustrati in modo più approfondito, in particolare:

1)

nell'orientamento n. 10 sul rimpatrio forzato del Consiglio d'Europa («condizioni di trattenimento in attesa dell'allontanamento»);

2)

nelle norme stabilite dal Comitato per la prevenzione della tortura del Consiglio d'Europa («norme del CPT», documento CPT/Inf/E (2002) 1 - Rev. 2013; scheda del CPT sul trattenimento degli immigrati, documento CPT/Inf(2017)3), che riguardano specificamente le esigenze particolari e lo status dei migranti irregolari trattenuti;

3)

nelle regole penitenziarie europee del 2006 (raccomandazione Rec(2006)2 del Comitato dei ministri agli Stati membri) quali norme minime fondamentali su tutte le questioni non affrontate dalle regole summenzionate;

4)

nelle regole minime delle Nazioni Unite per il trattamento dei detenuti (approvate dal Consiglio economico e sociale con le risoluzioni 663 C (XXIV) del 31 luglio 1957 e 2076 (LXII) del 13 maggio 1977).

Tali norme rappresentano una descrizione generalmente riconosciuta degli obblighi in materia di trattenimento che dovrebbero essere osservati dagli Stati membri in qualsiasi caso di trattenimento come requisiti minimi assoluti, allo scopo di garantire l'adempimento degli obblighi previsti dalla CEDU e di quelli derivanti dalla Carta nel momento in cui si applica il diritto dell'UE.

Orientamento 10 del Consiglio d'Europa — Condizioni di trattenimento in attesa dell'allontanamento

1.

Le persone trattenute in attesa dell'allontanamento dovrebbero essere di norma sistemate nel più breve tempo possibile in centri concepiti specificamente per questo scopo che offrano condizioni materiali e un regime appropriati alla loro situazione legale e dotati di personale adeguatamente qualificato.

2.

Tali centri dovrebbero fornire una sistemazione che sia adeguatamente attrezzata, pulita e in buono stato e offra uno spazio sufficiente per vivere in relazione al numero di persone coinvolte. Inoltre, dovrebbero essere curati la progettazione e lo schema delle strutture per evitare, per quanto possibile, qualunque impressione di un ambiente «carcerario». Per quanto concerne il regime di attività, esso dovrebbe includere esercizi all'aria aperta, l'accesso a una stanza di soggiorno e a radio/televisione e giornali/riviste, così come ad altri appropriati mezzi di ricreazione.

3.

Il di tali centri dovrebbe essere selezionato con cura e ricevere una formazione adeguata. Gli Stati membri sono incoraggiati a fornire al personale interessato, per quanto possibile, una formazione mirata all'acquisizione non soltanto di capacità nel campo della comunicazione interpersonale, ma anche di conoscenze riguardo alle diverse culture delle persone trattenute. Una parte del personale dovrebbe preferibilmente possedere competenze linguistiche pertinenti ed essere in grado di riconoscere i possibili sintomi di reazione da stress manifestati dalle persone trattenute e di provvedere in maniera adeguata. Ove necessario, il personale dovrebbe potersi avvalere anche di un supporto esterno, in particolare medico e sociale.

4.

Le persone trattenute in attesa dell'allontanamento dal territorio dovrebbero di norma essere separate dai detenuti ordinari, siano essi condannati o in custodia cautelare. Gli uomini e le donne dovrebbero essere separati dai membri del sesso opposto se lo desiderano, ma nel rispetto del principio dell'unità familiare; pertanto le famiglie dovrebbero essere sistemate di conseguenza.

5.

Le autorità nazionali dovrebbero garantire che le persone trattenute in tali centri abbiano accesso ad avvocati, medici, organizzazioni non governative, familiari e l'UNHCR e possano comunicare con il mondo esterno, conformemente alle norme nazionali pertinenti. Inoltre, il funzionamento di tali centri dovrebbe essere verificato periodicamente, anche da controllori indipendenti riconosciuti.

6.

Le persone trattenute devono avere il diritto di presentare denuncia di presunti casi di maltrattamenti o di mancata protezione da atti violenti di altre persone trattenute. I denuncianti e i testimoni devono essere protetti da maltrattamenti o intimidazioni derivanti dalle loro denunce o dalla presentazione di prove che le possano suffragare.

7.

Le persone trattenute dovrebbero essere sistematicamente informate delle norme vigenti nel centro, delle procedure ad esse applicabili e dei loro diritti e obblighi. Le informazioni dovrebbero essere disponibili nelle lingue più comunemente usate dagli interessati e, se necessario, si dovrebbe ricorrere a interpreti. Le persone trattenute dovrebbero essere informate del loro diritto di contattare un avvocato di loro scelta, la rappresentanza diplomatica competente del loro paese, organizzazioni internazionali quali l'UNHCR e l'Organizzazione internazionale per le migrazioni (OIM) e organizzazioni non governative. Dovrebbe essere fornita assistenza al riguardo.

Norme del CPT sul trattenimento degli immigrati — stralci

29.

(Centri di permanenza temporanea) […] Ovviamente, tali centri dovrebbero fornire una sistemazione che sia adeguatamente attrezzata, pulita e in buono stato e offra uno spazio sufficiente per vivere in relazione al numero di persone coinvolte. Inoltre, dovrebbero essere curati la progettazione e lo schema delle strutture per evitare, per quanto possibile, qualunque impressione di un ambiente carcerario. Per quanto concerne il regime di attività, esso dovrebbe includere esercizi all'aria aperta, l'accesso a una stanza di soggiorno e a radio/televisione e giornali/riviste, così come ad altri appropriati mezzi di ricreazione (ad esempio giochi da tavolo, tennis da tavolo). Quanto più è lungo il periodo per il quale le persone sono trattenute, tanto più sviluppato dovrebbe essere il programma di attività loro offerto.

Il personale dei centri per immigrati trattenuti ha un compito particolarmente oneroso. Prima di tutto, ci saranno inevitabilmente difficoltà di comunicazione dovute alle barriere linguistiche. In secondo luogo, per molte persone trattenute sarà difficile accettare di essere state private della libertà senza essere sospettate di alcun reato. In terzo luogo, vi è un rischio di tensione tra persone trattenute di nazionalità o gruppi etnici differenti. Di conseguenza, il CPT dà molta importanza al fatto che il personale di custodia di tali centri sia selezionato con cura e riceva una formazione adeguata. Oltre a possedere capacità ben sviluppate nel campo della comunicazione interpersonale, il personale in questione dovrebbe avere familiarità con le diverse culture delle persone trattenute e almeno alcuni di loro dovrebbero avere competenze linguistiche pertinenti. Inoltre, il personale dovrebbe essere istruito su come riconoscere i possibili sintomi di reazione da stress manifestati da tali persone (sia post-traumatici che indotti dai cambiamenti socio-culturali) e come provvedere in maniera adeguata.

79.

Le condizioni di trattenimento per i migranti irregolari dovrebbero rispecchiare la natura della privazione della libertà cui sono sottoposti, con restrizioni limitate e un regime variato di attività. Più in generale, gli immigrati irregolari trattenuti dovrebbero avere tutte le opportunità di mantenere contatti significativi con il mondo esterno (comprese frequenti occasioni di effettuare telefonate e ricevere visite) e la loro libertà di movimento nel centro di permanenza temporanea dovrebbe essere limitata il meno possibile. Anche quando le condizioni di trattenimento in ambienti carcerari soddisfano tali requisiti, e certamente ciò non sempre avviene, il CPT ritiene che il trattenimento di migranti regolari in un ambiente carcerario sia sostanzialmente sbagliato, per i motivi indicati in precedenza.

82.

Il diritto di accesso a un avvocato dovrebbe includere il diritto di parlare con un avvocato in privato e di avere accesso a una consulenza legale su questioni legate al soggiorno, al trattenimento e alla deportazione. Ciò implica che, qualora i migranti irregolari non siano in grado di nominare e di pagare essi stessi un avvocato, dovrebbero avere accesso a un'assistenza legale.

Inoltre, ogni persona trattenuta appena arrivata dovrebbe essere prontamente visitata da un medico o un infermiere qualificato, che riferisce al medico. Il diritto di accesso a un medico dovrebbe includere il diritto – qualora un migrante irregolare lo desideri – di essere visitato da un medico di sua scelta, con eventuale addebito dei costi di tale visita alla persona interessata. La possibilità di comunicare a un familiare o a terzi di propria scelta la misura di trattenimento è considerevolmente agevolata se i migranti irregolari possono tenere con sé il proprio telefono cellulare durante la privazione della libertà o almeno avervi accesso.

90.

La valutazione delle condizioni di salute dei migranti irregolari durante la privazione della libertà è una responsabilità essenziale a livello sia di singola persona trattenuta che di un gruppo di migranti irregolari nel suo complesso. Precedenti esperienze traumatiche possono influire negativamente sullo stato fisico e mentale dei migranti irregolari. Inoltre, la perdita dell'ambiente personale e culturale abituale e l'incertezza riguardo al futuro possono comportare un deterioramento mentale, compreso l'aggravamento di sintomi preesistenti di depressione, ansia e disturbi post-traumatici.

91.

Come minimo, in tutti i centri deve essere presente quotidianamente per i migranti irregolari trattenuti una persona con una qualifica infermieristica riconosciuta, con il compito principale di eseguire lo screening medico iniziale dei nuovi arrivati (in particolare per quanto riguarda le malattie trasmissibili, compresa la tubercolosi), ricevere le richieste di visite mediche, garantire la fornitura e la distribuzione dei farmaci prescritti, tenere la documentazione medica e controllare le condizioni igieniche generali.

Regole penitenziarie europee 2006 — Stralci

Locali di detenzione

18.1.

I locali di detenzione e, in particolare, quelli destinati ad accogliere i detenuti durante la notte, devono soddisfare le esigenze di rispetto della dignità umana e, per quanto possibile, della vita privata, e rispondere alle condizioni minime richieste in materia di sanità e di igiene, tenuto conto delle condizioni climatiche, in particolare per quanto riguarda la superficie, la cubatura d'aria, l'illuminazione, il riscaldamento e l'aerazione.

18.2.

Nei locali in cui i detenuti devono vivere, lavorare o riunirsi:

a.

le finestre devono essere sufficientemente ampie affinché i detenuti possano leggere e lavorare alla luce naturale in condizioni normali e per permettere l'apporto di aria fresca, a meno che esista un sistema di climatizzazione appropriato;

b.

la luce artificiale deve essere conforme alle norme tecniche riconosciute in materia; e

c.

un sistema d'allarme deve permettere ai detenuti di contattare immediatamente il personale.

Igiene

19.1.

Tutti gli spazi di ciascun istituto devono essere tenuti in perfetto stato e sempre puliti.

19.2.

Quando i detenuti fanno ingresso in istituto, le celle e gli altri locali ai quali sono destinati devono essere puliti.

19.3.

I detenuti devono avere un accesso immediato a servizi igienici che siano salubri e rispettino la privacy.

19.4.

Devono essere previste strutture adeguate affinché ciascun detenuto possa usufruire di un bagno e di una doccia, a temperatura adatta al clima, se possibile quotidianamente, ma almeno due volte a settimana (o più frequentemente se necessario) conformemente ai principi generali di igiene.

19.5.

I detenuti devono tenere la propria persona, i vestiti e la zona letto puliti e ordinati.

19.6.

Le autorità penitenziarie devono fornire loro i mezzi per la pulizia inclusi articoli per l'igiene personale, materiali e utensili per la pulizia generale.

19.7.

Speciali provvedimenti devono essere adottati per le necessità igieniche delle donne.

Vestiario e biancheria da letto

20.1.

I detenuti che non posseggono indumenti propri devono ricevere un vestiario adatto al clima.

20.2.

Tale vestiario non deve essere in alcuna maniera degradante o umiliante.

20.3.

Tale vestiario deve essere mantenuto in buono stato e, se necessario, sostituito.

20.4.

Quando un detenuto ottiene un permesso per uscire dall'istituto, non deve essere costretto a portare indumenti che lo possano identificare come detenuto.

21.

Ogni detenuto deve disporre di un letto separato e di biancheria da letto personale e idonea che deve essere mantenuta in buono stato e cambiata con la frequenza necessaria ad assicurarne la pulizia.

Regime alimentare

22.1.

I detenuti devono beneficiare di un regime alimentare che tenga conto del loro sesso, della loro età, del loro stato di salute, della loro religione, della loro cultura e della natura del loro lavoro.

22.2.

Il diritto interno deve determinare i criteri di qualità del regime alimentare precisandone, in particolare, il contenuto energetico e proteico.

22.3.

Gli alimenti devono essere preparati e serviti in condizioni igieniche.

22.4.

Devono essere serviti tre pasti al giorno ad intervalli ragionevoli.

22.5.

I detenuti devono avere a disposizione acqua potabile in ogni momento.

22.6.

Il medico o un(a) infermiere(a) qualificato(a) devono prescrivere modifiche del regime alimentare di un detenuto se tale misura risulta necessaria per motivi medici.

Regime penitenziario

25.1.

Il regime previsto per tutti i detenuti deve offrire un programma di attività equilibrato.

25.2.

Tale regime deve permettere a tutti i detenuti di trascorrere giornalmente fuori dalla cella il tempo necessario per garantire un livello sufficiente di contatti umani e sociali.

25.3.

Tale regime deve, inoltre, provvedere ai bisogni sociali dei detenuti.

25.4.

Un'attenzione particolare deve essere prestata ai bisogni dei detenuti che hanno subito delle violenze fisiche, psichiche o sessuali.

Attività fisiche e ricreative

27.1.

Ad ogni detenuto deve essere offerta la possibilità di svolgere attività fisica per almeno un'ora al giorno all'aria aperta, se le condizioni atmosferiche lo consentono.

27.2.

Quando la stagione è inclemente, si devono prevedere soluzioni alternative per permettere ai detenuti di svolgere esercizio fisico.

27.3.

Delle attività adeguatamente organizzate – concepite per mantenere i detenuti in buona forma fisica e per permettere loro di fare dell'attività fisica e di distrarsi – devono far parte integrante del regime carcerario.

27.4.

Le autorità penitenziarie devono facilitare questo tipo di attività mettendo a disposizione gli impianti e le attrezzature appropriate.

27.5.

Le autorità penitenziarie devono adottare speciali accorgimenti per organizzare, per i detenuti che ne hanno bisogno, delle attività particolari.

27.6.

Devono essere proposte ai detenuti attività ricreative – che comprendono in particolare sport, giochi, attività culturali, passatempi – e questi ultimi devono essere, per quanto possibile, autorizzati ad organizzarle.

27.7.

I detenuti devono essere autorizzati a riunirsi nel quadro delle attività fisiche e delle attività ricreative.

Libertà di pensiero, di coscienza e di religione

29.1.

La libertà di pensiero, di coscienza e di religione dei detenuti deve essere rispettata.

29.2.

Il regime penitenziario deve essere organizzato, per quanto possibile, in modo da permettere ai detenuti di praticare la loro religione o di seguire la loro filosofia, di partecipare ai servizi o alle riunioni condotti dai rappresentanti riconosciuti dalle dette religioni o filosofie, di ricevere in privato delle visite dei rappresentanti di queste religioni o di queste filosofie e di poter detenere libri o pubblicazioni a carattere religioso o spirituale.

29.3.

I detenuti non possono essere costretti a praticare una religione o a seguire una filosofia, a partecipare a uffici o riunioni religiose, a partecipare a pratiche religiose oppure accettare la visita di un rappresentante di una religione o di una filosofia qualsiasi.

Minoranze etniche o linguistiche

38.1.

Devono essere presi provvedimenti speciali per i bisogni dei detenuti appartenenti ad una minoranza etnica o linguistica.

38.2.

Per quanto possibile, le pratiche culturali dei diversi gruppi devono poter continuare ad essere osservate in carcere.

38.3.

I bisogni linguistici devono essere soddisfatti ricorrendo ad interpreti competenti e consegnando degli opuscoli di informazione redatti nelle diverse lingue parlate in ogni istituto.

Cure sanitarie

40.3.

I detenuti devono avere accesso al servizio sanitario disponibile nel paese senza discriminazione basata sulla loro situazione giuridica.

40.4.

I servizi medici in istituto cercheranno di individuare e di curare ogni malattia o problema fisico o mentale da cui i detenuti possano essere affetti.

40.5.

A tale scopo, tutti i necessari servizi medici, chirurgici e psichiatrici compresi quelli disponibili nella comunità libera devono essere messi a disposizione del detenuto.

Personale medico e curante

41.1.

Ogni istituto deve disporre dei servizi di almeno un medico generico.

41.2.

Devono essere adottate delle disposizioni per garantire che un medico possa intervenire immediatamente in caso di urgenza.

41.3.

Gli istituti che non dispongono di un medico a tempo pieno devono essere regolarmente visitati da un medico a tempo parziale.

41.4.

Ogni istituto deve avere del personale adeguatamente formato per il servizio sanitario.

41.5.

I servizi di dentisti e di oculisti specializzati devono essere disponibili per ogni detenuto.

Doveri del medico

42.1.

Il medico, o un(a) infermiere(a) professionale che dipende da questo medico, deve incontrare ogni detenuto il più presto possibile dopo l'ingresso in istituto e lo deve visitare, salvo se ciò è manifestamente non necessario.

42.2.

Il medico, o un(a) infermiere(a) professionale che dipende da questo medico, deve visitare i detenuti che ne fanno richiesta prima della loro scarcerazione, altrimenti deve visitare i detenuti ogni volta che è necessario.

42.3.

Quando visita un detenuto, il medico – o un(a) infermiere(a) professionale che riferisce a tale medico – deve porre particolare attenzione a:

a.

osservare le normali regole del segreto professionale;

b.

diagnosticare malattie fisiche o mentali e prendere tutte le misure necessarie per il trattamento di esse e per la prosecuzione del trattamento medico preesistente;

c.

registrare e segnalare alle autorità competenti ogni segno o indicazione che facciano supporre che il detenuto possa aver subito violenze;

d.

rilevare i sintomi di astinenza risultanti dall'abuso di stupefacenti, farmaci o alcool;

e.

individuare qualsiasi stress psicologico o di altra natura derivante dalla privazione della libertà;

f.

isolare i detenuti sospettati di essere affetti da malattie infettive o contagiose per il periodo dell'infezione e fornire loro un trattamento adeguato;

g.

assicurarsi che i detenuti portatori del virus HIV non vengano isolati solo per questo motivo;

h.

notare problemi fisici o mentali che possano impedire il reinserimento dopo la liberazione;

i.

determinare l'idoneità di ogni detenuto all'attività lavorativa e fisica; e

j.

concludere accordi con enti locali per la prosecuzione di ogni necessario trattamento medico e psichiatrico dopo la liberazione, qualora il detenuto dia il suo consenso a tali accordi.

Fornitura di cure sanitarie

46.1.

I detenuti malati che hanno necessità di cure specialistiche devono essere trasferiti presso istituti specializzati o presso ospedali civili, se queste cure non sono disponibili nell'istituto.

46.2.

Laddove un servizio penitenziario disponga di proprie strutture ospedaliere, in esse deve operare personale adeguatamente qualificato e tali strutture devono essere dotate di attrezzature in grado di fornire ai detenuti ad esse affidati assistenza e trattamento adeguati.

16.   TRATTENIMENTO DI MINORI E FAMIGLIE

Base giuridica: direttiva rimpatri, articolo 17

1.

I minori non accompagnati e le famiglie con minori sono trattenuti solo in mancanza di altra soluzione e per un periodo adeguato il più breve possibile.

2.

Le famiglie trattenute in attesa di allontanamento usufruiscono di una sistemazione separata che assicuri loro un adeguato rispetto della vita privata.

3.

Ai minori trattenuti è offerta la possibilità di svolgere attività di svago, tra cui attività di gioco e ricreative consone alla loro età e, in funzione della durata della permanenza, è dato accesso all'istruzione.

4.

Ai minori non accompagnati è fornita, per quanto possibile, una sistemazione in istituti dotati di personale e strutture consoni a soddisfare le esigenze di persone della loro età.

5.

L'interesse superiore del bambino costituisce un criterio fondamentale per il trattenimento dei minori in attesa di allontanamento.

La direttiva rimpatri autorizza il trattenimento di minori non accompagnati e famiglie con minori ai fini dell'allontanamento solo in mancanza di altra soluzione e per un periodo adeguato il più breve possibile, purché siano debitamente rispettate le garanzie del caso.

In aggiunta a tali garanzie stabilite all'articolo 17 della direttiva rimpatri, occorre rispettare i principi sanciti all'articolo 15 della medesima direttiva, applicabili alle disposizioni generali sul trattenimento: in particolare, il trattenimento dev'essere disposto soltanto in mancanza di altra soluzione, dev'essere disponibile un'adeguata gamma di alternative efficaci al trattenimento e dev'essere svolta una valutazione individuale di ogni caso (cfr. punto 14 del presente manuale). L'interesse superiore del minore dev'essere sempre tenuto in primaria considerazione nel contesto del trattenimento di minori e famiglie, gli Stati membri sono incoraggiati a coinvolgere organismi di protezione dei minori in tutte le questioni relative al trattenimento e, laddove esistono motivi per effettuarlo, occorre fare tutto il possibile per garantire che sia disponibile e accessibile un'adeguata gamma di alternative efficaci al trattenimento dei minori (sia non accompagnati che accompagnati dalle famiglie).

L'UNHCR (80) e la FRA (81) forniscono esempi di buone prassi in materia di alternative al trattenimento di minori non accompagnati e famiglie con minori.

La Commissione raccomanda che il diritto nazionale non precluda la possibilità di trattenere i minori, laddove è strettamente necessario per garantire l'esecuzione di una decisione di rimpatrio definitiva e se non è possibile applicare efficacemente misure meno coercitive nel caso specifico.

Il testo dell'articolo 17 della direttiva rimpatri corrisponde strettamente al testo dell'orientamento 11 del Consiglio d'Europa su «Minori e famiglie». Ulteriori orientamenti concreti si trovano nell'osservazione relativa a tale orientamento.

Orientamento 11 del Consiglio d'Europa — Minori e famiglie

Commento

1.

I paragrafi 1, 3 e 5 dell'orientamento si ispirano alle disposizioni pertinenti della Convenzione sui diritti del fanciullo, adottata e aperta alla firma, alla ratifica e all'adesione dalla risoluzione n. 44/25 dell'Assemblea generale del 20 novembre 1989 e ratificata da tutti gli Stati membri del Consiglio d'Europa. Riguardo al paragrafo 2, si potrebbe rammentare che il diritto al rispetto della vita familiare garantito ai sensi dell'articolo 8 della CEDU si applica anche nel contesto del trattenimento.

2.

Riguardo alla privazione della libertà dei bambini, l'articolo 37 della Convenzione prevede in particolare che «[l]'arresto, la detenzione o l'imprigionamento di un fanciullo devono essere effettuati in conformità con la legge, costituire un provvedimento di ultima risorsa e avere la durata più breve possibile» [articolo 37, lettera b)]. In base all'articolo 20, paragrafo 1, della Convenzione «[o]gni fanciullo il quale è temporaneamente o definitivamente privato del suo ambiente familiare oppure che non può essere lasciato in tale ambiente nel suo proprio interesse, ha diritto a una protezione e ad aiuti speciali dello Stato».

3.

Si è tratta ispirazione anche dal paragrafo 38 delle Regole delle Nazioni Unite per la protezione dei minori privati della libertà, adottate con la risoluzione n. 45/113 dell'Assemblea generale del 14 dicembre 1990, che si applicano a qualsiasi privazione della libertà, intesa come qualsiasi forma di detenzione o d'incarcerazione o il collocamento di una persona in un istituto di custodia pubblico o privato dal quale essa non è autorizzata a uscire liberamente, su disposizione di un'autorità giudiziaria o amministrativa o di qualsiasi altra autorità pubblica [paragrafo 11, lettera b)]. In base al paragrafo 38, nell'età dell'obbligo scolastico ogni minore ha diritto a ricevere un'istruzione adeguata alle sue esigenze e capacità e intesa a prepararlo al reinserimento nella società. Tale istruzione dovrebbe essergli impartita al di fuori del centro di trattenimento, in scuole pubbliche ove possibile e, in ogni caso, da insegnanti qualificati attraverso programmi integrati con il sistema scolastico del paese, in modo tale che, dopo il rilascio, il minore possa continuare gli studi senza difficoltà. L'amministrazione dei centri di trattenimento dovrebbe prestare particolare attenzione all'istruzione dei minori di origine straniera o con particolari esigenze etniche o culturali. I minori analfabeti o con difficoltà cognitive o di apprendimento dovrebbero avere diritto a un'istruzione specifica.

4.

L'ultimo paragrafo rispecchia il principio guida della Convenzione sui diritti del fanciullo, il cui articolo 3, paragrafo 1, stabilisce che «[i]n tutte le decisioni relative ai fanciulli, di competenza delle istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale, dei tribunali, delle autorità amministrative o degli organi legislativi, l'interesse superiore del fanciullo deve essere una considerazione preminente». Com'è ovvio, ciò vale anche per le decisioni riguardanti il trattenimento dei minori che potrebbero essere allontanati dal territorio.

Riguardo al trattenimento dei minori, le norme del CPT prevedono le seguenti disposizioni, che dovrebbero essere rispettate dagli Stati membri ogni volta che ricorrono al trattenimento in via del tutto eccezionale e in mancanza di altra soluzione.

Norme del CPT relative al trattenimento dei minori - stralci

97.

Il CPT ritiene che debba essere compiuto ogni sforzo per evitare di privare della libertà un migrante irregolare che è un minore. Sulla base del principio dell'interesse superiore del minore quale formulato nell'articolo 3 della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo, il trattenimento dei minori, compresi i minori non accompagnati e separati dalla famiglia, è raramente giustificato e, secondo il Comitato, non può certo essere unicamente motivata dall'assenza dello status di residente dell'interessato. Quando un minore è trattenuto, in casi eccezionali, la privazione della libertà deve essere della durata più breve possibile; ogni sforzo deve tendere al rilascio immediato dei minori non accompagnati o separati dalla famiglia dal centro di permanenza temporanea e al loro affidamento a strutture che garantiscano un trattamento più appropriato. Inoltre, vista la vulnerabilità dei minori, devono applicarsi garanzie supplementari ogni volta che un minore è trattenuto in un centro, in particolare se è separato dai genitori o da altre persone che si prendano cura di lui, o se è non accompagnato, ossia senza genitori, membri della famiglia o altre persone che si prendano cura di lui.

98.

Non appena le autorità sono informate della presenza di un minore, una persona professionalmente qualificata deve procedere a un primo colloquio, in una lingua comprensibile al minore. Deve essere effettuata una valutazione delle particolari vulnerabilità del minore, tenendo conto tra l'altro dell'età, delle condizioni di salute, dei fattori psicosociali e di altre esigenze di protezione, comprese quelle derivanti da violenze, tratta o traumi psicologici. I minori non accompagnati o separati dalla famiglia e privati della libertà devono poter ottenere rapidamente e gratuitamente accesso a un'assistenza giuridica o ad altra assistenza appropriata, compresa l'assegnazione di un tutore o di un rappresentante legale. Devono altresì essere attivati meccanismi di controllo per verificare la qualità della tutela.

99.

Devono essere adottate misure atte a garantire la presenza regolare di un assistente sociale e di uno psicologo negli istituti che ospitano minori trattenuti, e ad accertarsi che stabiliscano contatti con loro. L'impiego di personale misto costituisce un'altra garanzia contro i maltrattamenti: la presenza di personale maschile e femminile può avere effetti positivi in termini di comportamenti eticamente corretti e favorire una certa normalità in un luogo di trattenimento. I minori privati della libertà devono potere scegliere tra diverse attività costruttive (miranti in particolare a rendere possibile la prosecuzione della loro istruzione).

100.

Per limitare il rischio di sfruttamento, si devono prendere disposizioni speciali per l'allestimento dei locali in cui sono alloggiati i minori, in modo che siano adatti a loro, separandoli, ad esempio, dai reparti degli adulti, a meno che si ritenga preferibile non farlo, nell'interesse superiore dei minori. Un esempio al riguardo è rappresentato dal caso di minori accompagnati dai genitori o da altri parenti prossimi. In tali circostanze, bisogna compiere ogni sforzo per evitare di separare i membri di una famiglia.

131.

Procedure efficaci di reclamo e di ispezione rappresentano le garanzie fondamentali contro i maltrattamenti in qualunque luogo di trattenimento, compresi gli istituti per i minorenni. I minori (come pure i loro genitori o i loro rappresentanti legali) dovrebbero disporre di vie di ricorso all'interno del sistema amministrativo degli istituti e dovrebbero essere autorizzati a rivolgersi, in via confidenziale, a un'autorità indipendente. Le procedure per la presentazione dei reclami dovrebbero essere semplici, efficaci e a misura di minore, in particolare per quanto riguarda il linguaggio utilizzato. I minori (come pure i loro genitori o i loro rappresentanti legali) dovrebbero avere il diritto di sollecitare un parere giuridico sulle procedure di denuncia e di usufruire di una consulenza legale gratuita quando lo richiede l'interesse della giustizia.

132.

Il CPT attribuisce ugualmente un'importanza particolare alle visite regolari effettuate presso tutti gli istituti detentivi per minori da parte di un organismo indipendente, ad esempio un comitato incaricato delle visite, un giudice, il garante dei minori o il meccanismo nazionale per la prevenzione (istituito in virtù del protocollo facoltativo della Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura - OPCAT), abilitato a ricevere i reclami dei minori o dei loro genitori o rappresentanti legali e, se necessario, ad agire di conseguenza, procedere all'ispezione dei locali e delle strutture e definire se la gestione dell'istituto è conforme alle disposizioni della legislazione nazionale e alle norme internazionali pertinenti. I membri di tale organismo d'ispezione dovrebbero essere proattivi ed entrare direttamente in contatto con i minori, in particolare intervistandoli senza la presenza di testimoni.

17.   SITUAZIONI DI EMERGENZA

Base giuridica: direttiva rimpatri, articolo 18

1.

Nei casi in cui un numero eccezionalmente elevato di cittadini di paesi terzi da rimpatriare comporta un notevole onere imprevisto per la capacità dei centri di permanenza temporanea di uno Stato membro o per il suo personale amministrativo o giudiziario, sino a quando persiste la situazione anomala detto Stato membro può decidere di accordare per il riesame giudiziario periodi superiori a quelli previsti dall'articolo 15, paragrafo 2, terzo comma, e adottare misure urgenti quanto alle condizioni di trattenimento in deroga a quelle previste all'articolo 16, paragrafo 1, e all'articolo 17, paragrafo 2.

2.

All'atto di ricorrere a tali misure eccezionali, lo Stato membro in questione ne informa la Commissione. Quest'ultima è informata anche non appena cessino di sussistere i motivi che hanno determinato l'applicazione delle suddette misure eccezionali.

3.

Nulla nel presente articolo può essere interpretato nel senso che gli Stati membri siano autorizzati a derogare al loro obbligo generale di adottare tutte le misure di carattere generale e particolare atte ad assicurare l'esecuzione degli obblighi ad essi incombenti ai sensi della presente direttiva.

Il campo di applicazione delle possibili deroghe è limitato a tre disposizioni: in situazioni di emergenza in cui si verifica l'arrivo improvviso di un numero molto elevato di migranti irregolari, l'articolo 18 prevede la possibilità per gli Stati membri di non applicare tre disposizioni della direttiva relative al trattenimento: i) l'obbligo di garantire un pronto riesame giudiziario iniziale del trattenimento, ii) l'obbligo di effettuare il trattenimento solo in centri appositi e iii) l'obbligo di prevedere una sistemazione separata che assicuri alle famiglie un adeguato rispetto della vita privata. Non sono possibili deroghe ad altre disposizioni contenute nella direttiva rimpatri.

Il recepimento nel diritto nazionale è un prerequisito per una eventuale applicazione della clausola di emergenza: l'articolo 18 descrive e limita le situazioni interessate, nonché l'ambito di possibili deroghe e degli obblighi di informazione nei confronti della Commissione. Se desidera avere la possibilità di applicare questa clausola di salvaguardia in situazioni di emergenza, lo Stato membro deve averla già correttamente recepita (82), come possibilità e in linea con i criteri di cui all'articolo 18, nella legislazione nazionale. NB: a differenza delle clausole di salvaguardia contenute nei regolamenti (ad esempio quelle previste dal codice frontiere Schengen relative al ripristino dei controlli alle frontiere interne), le clausole di salvaguardia contenute nelle direttive devono essere recepite nel diritto nazionale prima di poter essere applicate.

Gli Stati membri devono informare la Commissione quando ricorrono a tali misure e quando cessano di applicarle. Tali informazioni devono essere trasmesse mediante i consueti canali ufficiali, ossia al segretariato generale della Commissione europea tramite la Rappresentanza permanente.

18.   RECEPIMENTO, INTERPRETAZIONE E REGIME TRANSITORIO

Effetto diretto della direttiva rimpatri in caso di recepimento insufficiente o tardivo: secondo la giurisprudenza consolidata della Corte di giustizia, le disposizioni di una direttiva che conferiscono diritti alle persone e sono sufficientemente chiare e incondizionate sono direttamente applicabili a decorrere dalla scadenza del termine di attuazione della direttiva. Molte delle disposizioni della direttiva rimpatri soddisfano tali requisiti e devono essere applicate direttamente dalle autorità amministrative e giudiziarie nazionali nei casi in cui gli Stati membri non abbiano recepito (o abbiano recepito in misura insufficiente) determinate disposizioni della direttiva. Ciò vale in particolare per le disposizioni relative a quanto segue:

il rispetto del principio di non respingimento (articoli 5 e 9 della direttiva rimpatri),

il requisito secondo cui alle persone da rimpatriare di norma dev'essere offerto un periodo congruo di durata compresa tra sette e trenta giorni per la partenza volontaria (articolo 7 della direttiva rimpatri),

le limitazioni all'uso di misure coercitive in relazione ai rimpatri forzati (articolo 8 della direttiva rimpatri),

il diritto dei minori non accompagnati sottoposti a procedure di rimpatrio di ricevere assistenza da organismi adeguati diversi dalle autorità che eseguono il rimpatrio e l'obbligo per gli Stati membri di garantire che i minori non accompagnati siano ricondotti esclusivamente a un membro della famiglia, a un tutore designato o presso adeguate strutture di accoglienza nello Stato di rimpatrio (articolo 10 della direttiva rimpatri),

le limitazioni della durata dei divieti d'ingresso e la necessità di esami individuali caso per caso (articolo 11 della direttiva rimpatri) (ciò è stato espressamente ribadito dalla Corte di giustizia nella sentenza emessa nella causa Filev-Osmani, C-297/12, punto 55),

le garanzie procedurali, compreso il diritto a una decisione di rimpatrio scritta e motivata, nonché il diritto a un ricorso effettivo e a un'assistenza legale e linguistica (articoli 12 e 13 della direttiva rimpatri),

le limitazioni dell'uso del trattenimento e i limiti di tempo massimi per il trattenimento (articolo 15 della direttiva rimpatri) e il diritto a condizioni di trattenimento umane e dignitose (articolo 16 della direttiva rimpatri) (ciò è stato espressamente ribadito dalla Corte di giustizia nella sentenza emessa nella causa El Dridi, C-61/11, punti 46 e 47),

le limitazioni e le garanzie specifiche relative al trattenimento di minori e famiglie (articolo 17 della direttiva rimpatri).

Riferimenti preliminari alla Corte di giustizia: l'articolo 267 del TFUE attribuisce alla Corte di giustizia la competenza a pronunciarsi sull'interpretazione e sulla validità della direttiva rimpatri. Quando una questione del genere è sollevata dinanzi a un giudice di uno degli Stati membri, tale giudice può domandare alla Corte di pronunciarsi sulla questione qualora reputi che una decisione al riguardo sia necessaria affinché egli possa emanare la propria sentenza. Quando una questione del genere è sollevata in una causa pendente davanti a un giudice di uno Stato membro avverso le cui decisioni non possa proporsi un ricorso giudiziario secondo il diritto nazionale, tale giudice è tenuto a sottoporre la questione alla Corte. Se una questione del genere è sollevata in una causa pendente davanti a un giudice in relazione a una persona trattenuta, la Corte di giustizia agisce tramite una procedura accelerata d'urgenza. I rinvii pregiudiziali hanno già svolto un ruolo importante contribuendo a garantire un'interpretazione armonizzata di varie disposizioni fondamentali della direttiva rimpatri.

I membri degli organi giudiziari degli Stati membri sono incoraggiati a utilizzare costantemente i rinvii pregiudiziali e a chiedere alla Corte di giustizia un'interpretazione autentica ogni volta che risulti necessario.

Regime transitorio per i casi/procedimenti relativi a periodi antecedenti al 24 dicembre 2010: gli Stati membri devono garantire che tutte le persone rientranti nell'ambito di applicazione della direttiva usufruiscano delle garanzie sostanziali e dei diritti accordati dalla direttiva a partire dal 24 dicembre 2010 (o dalla data di adesione nel caso dei nuovi Stati membri). Sebbene possa essere legittimo mantenere le procedure nazionali di rimpatrio avviate in conformità della legislazione nazionale vigente prima del recepimento, ciò non deve pregiudicare nella sostanza i diritti accordati dalla direttiva, quali, ad esempio, la limitazione del trattenimento e dell'uso di misure coercitive, le garanzie procedurali, compreso il diritto a una decisione scritta e alla sua impugnazione, la priorità attribuita alla partenza volontaria. Per ogni rimpatrio non ancora effettuato entro il 24 dicembre 2010 deve essere emessa una decisione di rimpatrio scritta in conformità dei termini dell'articolo 12 della direttiva e deve essere concesso un ricorso effettivo contro tale decisione in conformità dell'articolo 13 della direttiva.

I divieti d'ingresso «storici» emessi prima del 24 dicembre 2010 devono essere adattati ai requisiti della direttiva rimpatri (cfr. punto 11.9 del presente manuale). I periodi di trattenimento completati prima che le disposizioni della direttiva rimpatri siano diventate applicabili devono essere presi in considerazione per il calcolo del limite di tempo massimo complessivo previsto dalla direttiva rimpatri (cfr. punto 14.4.2 del presente manuale).

Introduzione di una deroga all'ambito di applicazione in una fase successiva (dopo il 2010): gli Stati membri possono decidere di ricorrere alla deroga prevista dall'articolo 2 (casi frontalieri e casi di diritto nazionale) in un momento successivo. Una modifica della legislazione nazionale non deve avere conseguenze svantaggiose per le persone alle quali erano già applicabili gli effetti della direttiva rimpatri (cfr. punto 2 del presente manuale).

19.   FONTI E DOCUMENTI DI RIFERIMENTO

Il presente manuale è basato sulle fonti elencate qui di seguito.

1.

Verbali del gruppo di contatto sulla direttiva rimpatri.

2.

Stralci dalla giurisprudenza pertinente della Corte di giustizia (con parole chiave e nome dello Stato membro tra parentesi):

sentenza del 30 novembre 2009, Kadzoev, C-357/09 PPU, ECLI:EU:C:2009:741 (trattenimento, motivi di prolungamento; legame con il trattenimento dei richiedenti asilo - BG),

sentenza del 28 aprile 2011, El Dridi, C-61/11 PPU, ECLI:EU:C:2011:268 (qualifica come reato – sanzionamento del soggiorno irregolare con una pena detentiva – IT),

sentenza del 6 dicembre 2011, Achughbabian, C-329/11, ECLI:EU:C:2011:807 (qualifica come reato – sanzionamento del soggiorno irregolare con una pena detentiva – FR),

sentenza del 6 dicembre 2012, Sagor, C-430/11, ECLI:EU:C:2012:777 (qualifica come reato – sanzionamento del soggiorno irregolare con un'ammenda; provvedimento di espulsione; obbligo di permanenza domiciliare - IT),

sentenza del 21 marzo 2013, Mbaye, C-522/11, ECLI:EU:C:2013:190 (qualifica come reato del soggiorno irregolare – IT),

sentenza del 30 maggio 2013, Arslan, C-534/11, ECLI:EU:C:2013:343 (confronto tra rimpatrio e trattenimento dei richiedenti asilo – CZ),

sentenza del 10 settembre 2013, G. e R., C-383/13 PPU, ECLI:EU:C:2013:533 (diritto di essere sentiti prima di un prolungamento del trattenimento – NL),

sentenza del 19 settembre 2013, Filev e Osmani, C-297/12, ECLI:EU:C:2013:569 (divieti d'ingresso – necessità di stabilire d'ufficio la durata; divieti d'ingresso storici – DE),

sentenza del 5 giugno 2014, Mahdi, C-146/14 PPU, ECLI:EU:C:2014:1320 (trattenimento – motivi di prolungamento e controllo giudiziario – BG),

sentenza del 3 luglio 2014, Da Silva, C-189/13, ECLI:EU:C:2014:2043 (qualifica come reato – ingresso irregolare – FR),

sentenza del 17 luglio 2014, Bero, C-473/13, e Bouzalmate, C-514/13, ECLI:EU:C:2014:2095 (condizioni di trattenimento – obbligo di fornire appositi centri – DE),

sentenza del 17 luglio 2014, Pham, C-474/13, ECLI:EU:C:2014:2096 (condizioni di trattenimento – DE),

sentenza del 6 novembre 2014, Mukarubega, C-166/13, ECLI:EU:C:2014:2336 (diritto di essere sentiti prima dell'emissione di una decisione di rimpatrio – FR),

sentenza dell'11 dicembre 2014, Boudjlida, C-249/13, ECLI:EU:C:2014:2431 (diritto di essere sentiti prima dell'emissione di una decisione di rimpatrio – FR),

sentenza del 18 dicembre 2014, Abdida, C-562/13, ECLI:EU:C:2014:2453 (diritti durante il periodo di rinvio del rimpatrio – BE),

sentenza del 23 aprile 2015, Zaizoune, C-38/14, ECLI:EU:C:2015:260 (obbligo di emettere una decisione di rimpatrio – ES),

sentenza dell'11 giugno 2015, Zh. e O., C-554/13, ECLI:EU:C:2015:377 (criteri per determinare il periodo per la partenza volontaria – NL),

sentenza del 1o ottobre 2015, Skerdjan Celaj, C-290/14, ECLI:EU:C:2015:640 (qualifica come reato della mancata osservanza di un divieto d'ingresso – IT),

sentenza del 15 febbraio 2016, J.N., C-601/15 PPU, ECLI:EU:C:2016:84 (esecuzione di una decisione di rimpatrio in seguito a rigetto di una domanda di protezione internazionale – NL),

sentenza del 7 giugno 2016, Affum, C-47/15, ECLI:EU:C:2016:408 (definizione di soggiorno irregolare – qualifica come reato – ingresso irregolare – FR),

sentenza del 15 marzo 2017, Al Chodor e altri, C-528/15, ECLI:EU:C:2017:213 (definizione di rischio di fuga nelle procedure Dublino – CZ),

sentenza del 26 luglio 2017, Ouhrami, C-225/16, ECLI:EU:C:2017:590 (data di validità di un divieto d'ingresso – NL).

3.

L'acquis dell'UE in materia di rimpatri:

direttiva 2008/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2008, recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare,

direttiva 2001/40/CE del Consiglio, del 28 maggio 2001, relativa al riconoscimento reciproco delle decisioni di allontanamento dei cittadini di paesi terzi,

direttiva 2003/110/CE del Consiglio, del 25 novembre 2003, relativa all'assistenza durante il transito nell'ambito di provvedimenti di espulsione per via aerea,

decisione 2004/191/CE del Consiglio, del 23 febbraio 2004, che definisce i criteri e le modalità pratiche per la compensazione degli squilibri finanziari risultanti dall'applicazione della direttiva 2001/40/CE,

decisione 2004/573/CE del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa all'organizzazione di voli congiunti per l'allontanamento dei cittadini di paesi terzi illegalmente presenti nel territorio di due o più Stati membri,

regolamento (UE) 2016/1624 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 settembre 2016, relativo alla guardia di frontiera e costiera europea che modifica il regolamento (UE) 2016/399 del Parlamento europeo e del Consiglio e che abroga il regolamento (CE) n. 863/2007 del Parlamento europeo e del Consiglio, il regolamento (CE) n. 2007/2004 del Consiglio e la decisione 2005/267/CE del Consiglio,

raccomandazione della Commissione del 7 marzo 2017 per rendere i rimpatri più efficaci nell'attuazione della direttiva 2008/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, C(2017) 1600,

comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio del 12 aprile 2017, «La protezione dei minori migranti», COM(2017) 211 final.

4.

Documenti pertinenti del Consiglio d'Europa:

«Venti orientamenti sul rimpatrio forzato» adottati dal Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa il 4 maggio 2005 e relativi commenti (settembre 2005, ISBN 92-871-5809-6),

norme del CPT (documento CPT/Inf/E (2002) 1 — Rev. 2013),

scheda del CPT sul trattenimento degli immigrati [documento CPT/Inf(2017) 3 del marzo 2017],

raccomandazione Rec(2006)2 del Comitato dei ministri agli Stati membri sulle regole penitenziarie europee (adottata dal Comitato dei ministri l'11 gennaio 2006 nel corso della 952a riunione dei viceministri).

5.

Documenti pertinenti dell'Agenzia dell'Unione europea per i diritti fondamentali:

documento di orientamento dell'ottobre 2012 relativo alle considerazioni sui diritti fondamentali nei casi di arresto dei migranti irregolari,

manuale sul diritto europeo in materia di asilo, frontiere e immigrazione (pubblicato congiuntamente dalla FRA e dalla Corte EDU), 2014,

alternative al trattenimento per richiedenti asilo e persone soggette a procedure di rimpatrio, ottobre 2015,

nota: I diritti fondamentali dei migranti in situazione irregolare che non sono allontanati, disponibile sul seguente sito: http://fra.europa.eu/en/Non-removed-migrants-rights,

quadro giuridico e politico europeo sul trattenimento dei minori immigrati, giugno 2017, disponibile sul seguente sito: http://fra.europa.eu/en/publication/2017/child-migrant-detention.

6.

Relazioni su valutazioni Schengen nel settore del rimpatrio.

20.   ABBREVIAZIONI

 

Carta: Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea

 

CEDU: Convenzione europea dei diritti dell'uomo

 

Corte EDU: Corte europea dei diritti dell'uomo

 

Corte di giustizia: Corte di giustizia dell'Unione europea

 

SEE: Spazio economico europeo

 

FRA: Agenzia dell'Unione europea per i diritti fondamentali

 

Stati membri: gli Stati membri vincolati dalla direttiva rimpatri (tutti gli Stati membri dell'UE tranne il Regno Unito e l'Irlanda) nonché la Svizzera, la Norvegia, l'Islanda e il Liechtenstein

 

CAS: Convenzione di applicazione dell'accordo di Schengen

 

SIS: Sistema d'informazione Schengen

 

TUE: trattato sull'Unione europea

 

TFUE: trattato sul funzionamento dell'Unione europea


(1)  Direttiva 2008/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2008, recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare (GU L 348 del 24.12.2008, pag. 98).

(2)  C(2015) 6250.

(3)  C(2017) 1600 final.

(4)  Regolamento (UE) n. 2016/399 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 marzo 2016, che istituisce un codice unionale relativo al regime di attraversamento delle frontiere da parte delle persone (codice frontiere Schengen) (GU L 77 del 23.3.2016, pag. 1).

(5)  In virtù di una specifica disposizione del trattato di adesione del Regno Unito, solo i cittadini britannici che sono «cittadini del Regno Unito ai fini dell'Unione europea» sono anche cittadini dell'Unione europea.

(6)  Direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE (GU L 158 del 30.4.2004, pag. 77).

(7)  A norma dell'articolo 1, paragrafo 1, della Convenzione del 1954 relativa allo status degli apolidi, un apolide è «una persona che nessuno Stato considera come suo cittadino nell'applicazione della sua legislazione».

(8)  Sentenza della Corte di giustizia del 7 giugno 2016, Affum, C-47/15, ECLI:EU:C:2016:408.

(9)  Sentenza della Corte di giustizia del 6 dicembre 2011, Achughbabian, C-329/11, ECLI:EU:C:2011:807.

(10)  Sentenza della Corte di giustizia del 6 dicembre 2012, Sagor, C-430/11, ECLI:EU:C:2012:777.

(11)  Sentenza della Corte di giustizia del 15 marzo 2017, Al Chodor e altri, C-528/15, ECLI:EU:C:2017:213.

(12)  Articolo 2, lettera n), del regolamento (UE) n. 604/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l'esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide (rifusione) (GU L 180 del 29.6.2013, pag. 31): «»rischio di fuga«: la sussistenza in un caso individuale di motivi basati su criteri obiettivi definiti dalla legge per ritenere che un richiedente o un cittadino di un paese terzo o un apolide oggetto di una procedura di trasferimento possa fuggire».

(13)  Queste informazioni possono essere ottenute tramite il sistema europeo di informazione sui casellari giudiziari, istituito dalla decisione quadro 2009/315/GAI del Consiglio, del 26 febbraio 2009, relativa all'organizzazione e al contenuto degli scambi fra gli Stati membri di informazioni estratte dal casellario giudiziario (GU L 93 del 7.4.2009, pag. 23) e dalla decisione 2009/316/GAE del Consiglio, del 6 aprile 2009, che istituisce il sistema europeo di informazione sui casellari giudiziari (ECRIS) in applicazione dell'articolo 11 della decisione quadro 2009/315/GAI (GU L 93 del 7.4.2009, pag. 33). Il 19 gennaio 2016 la Commissione ha presentato la proposta COM(2016) 7 final, al fine di agevolare lo scambio di informazioni sui casellari giudiziari dei cittadini di paesi terzi nell'UE.

(14)  Direttiva 2013/33/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante norme relative all'accoglienza dei richiedenti protezione internazionale (GU L 180 del 29.6.2013, pag. 96).

(15)  Direttiva 2011/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, recante norme sull'attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta (GU L 337 del 20.12.2011, pag. 9).

(16)  A differenza degli Stati membri dell'Unione europea, la Svizzera, la Norvegia, l'Islanda e il Liechtenstein non sono vincolati dalle direttive dell'UE sulla base dell'articolo 288 del TFUE, ma lo diventano solo dopo averle accettate e nel rispetto dei principi generali del diritto pubblico internazionale. Pertanto, la Svizzera, la Norvegia, l'Islanda e il Liechtenstein, a differenza degli Stati membri dell'Unione europea, non sono vincolati dalla giurisprudenza della Corte di giustizia relativa al recepimento delle direttive nel diritto nazionale e hanno la facoltà di scegliere le modalità di recepimento dell'obbligo stabilito dalla direttiva rimpatri (ad esempio, tramite un riferimento diretto al testo della direttiva) conformemente ai loro obblighi internazionali.

(17)  Sentenza della Corte di giustizia del 19 settembre 2013, Filev e Osmani, C-297/12, ECLI:EU:C:2013:569.

(18)  In seguito alla codificazione del codice frontiere Schengen nel 2016, il riferimento all'articolo 13 del codice va inteso come riferimento all'articolo 14 del regolamento (UE) 2016/399.

(19)  Consiglio d'Europa, Convenzione europea di estradizione, 1957.

(20)  Sentenza della Corte di giustizia del 28 aprile 2011, El Dridi, C-61/11 PPU, ECLI:EU:C:2011:268.

(21)  Sentenza della Corte di giustizia del 23 aprile 2015, Zaizoune, C-38/14, ECLI:EU:C:2015:260.

(22)  Nazioni Unite, Convenzione del 1951 relativa allo status dei rifugiati.

(23)  Articolo 31, paragrafo 1, della Convenzione relativa allo status dei rifugiati: «1. Gli Stati Contraenti non prenderanno sanzioni penali, a motivo della loro entrata o del loro soggiorno illegali, contro i rifugiati che giungono direttamente da un territorio in cui la loro vita o la loro libertà erano minacciate nel senso dell'articolo 1, [purché] si presentino senza indugio alle autorità e giustifichino con motivi validi la loro entrata o il loro soggiorno irregolari».

(24)  Sentenza della Corte di giustizia del 1o ottobre 2015, Skerdjan Celaj, C-290/14, ECLI:EU:C:2015:640.

(25)  Direttiva 2009/52/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 18 giugno 2009, che introduce norme minime relative a sanzioni e a provvedimenti nei confronti di datori di lavoro che impiegano cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare (GU L 168 del 30.6.2009, pag. 24). Tale direttiva non è vincolante per la Danimarca, la Svizzera, la Norvegia, l'Islanda e il Liechtenstein.

(26)  Direttiva 2004/81/CE del Consiglio, del 29 aprile 2004, riguardante il titolo di soggiorno da rilasciare ai cittadini di paesi terzi vittime della tratta di esseri umani o coinvolti in un'azione di favoreggiamento dell'immigrazione illegale che cooperino con le autorità competenti (GU L 261 del 6.8.2004, pag. 19).

(27)  Direttiva 2001/40/CE del Consiglio, del 28 maggio 2001, relativa al riconoscimento reciproco delle decisioni di allontanamento dei cittadini di paesi terzi (GU L 149 del 2.6.2001, pag. 34).

(28)  Regolamento (UE) n. 604/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l'esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide (GU L 180 del 29.6.2013, pag. 31).

(29)  Gli esempi forniti sono semplificati a fini esplicativi. All'atto pratico, ogni caso va valutato sulla base delle singole circostanze.

(30)  Convenzione di applicazione dell'Accordo di Schengen del 14 giugno 1985 tra i governi degli Stati dell'Unione economica Benelux, della Repubblica federale di Germania e della Repubblica francese relativo all'eliminazione graduale dei controlli alle frontiere comuni (GU L 239 del 22.9.2000, pag. 19).

(31)  Raccomandazione C(2006) 5186 della Commissione, del 6 novembre 2006, che istituisce un «Manuale pratico per le guardie di frontiera» (Manuale Schengen) comune, ad uso delle autorità competenti degli Stati membri per lo svolgimento del controllo di frontiera sulle persone.

(32)  Si tratta di una disposizione generale «onnicomprensiva» che riguarda anche i casi espressamente esclusi dalla definizione di «permesso di soggiorno» ai sensi dell'articolo 2, paragrafo 16, lettera b), punti i) e ii), del codice frontiere Schengen.

(33)  Decisione della Commissione C(2010) 1620 del 19 marzo 2010 che istituisce il manuale per il trattamento delle domande di visto e la modifica dei visti già rilasciati e successive modifiche.

(34)  Sentenza della Corte di giustizia del 15 febbraio 2016, J.N., C-601/15 PPU, ECLI:EU:C:2016:84.

(35)  Direttiva 2014/66/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 maggio 2014, sulle condizioni di ingresso e soggiorno di cittadini di paesi terzi nell'ambito di trasferimenti intra-societari (GU L 157 del 27.5.2014, pag. 1).

(36)  Direttiva 2003/109/CE del Consiglio, del 25 novembre 2003, relativa allo status dei cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo (GU L 16 del 23.1.2004, pag. 44).

(37)  Direttiva 2011/51/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'11 maggio 2011, che modifica la direttiva 2003/109/CE del Consiglio per estenderne l'ambito di applicazione ai beneficiari di protezione internazionale (GU L 132 del 19.5.2011, pag. 1).

(38)  Direttiva 2009/50/CE del Consiglio, del 25 maggio 2009, sulle condizioni di ingresso e soggiorno di cittadini di paesi terzi che intendano svolgere lavori altamente qualificati (GU L 155 del 18.6.2009, pag. 17).

(39)  Documento 8829/16 del Consiglio.

(40)  Documento 9979/16 del Consiglio.

(41)  Sentenza della Corte di giustizia dell'11 giugno 2015, Zh. e O., C-554/13, ECLI:EU:C:2015:377.

(42)  Decisione 2004/191/CE del Consiglio, del 23 febbraio 2004, che definisce i criteri e le modalità pratiche per la compensazione degli squilibri finanziari risultanti dall'applicazione della direttiva 2001/40/CE del Consiglio relativa al riconoscimento reciproco delle decisioni di allontanamento dei cittadini di paesi terzi (GU L 60 del 27.2.2004, pag. 55).

(43)  Direttiva 2003/110/CE del Consiglio, del 25 novembre 2003, relativa all'assistenza durante il transito nell'ambito di provvedimenti di espulsione per via aerea (GU L 321 del 6.12.2003, pag. 26).

(44)  NB: questa interpretazione non implica che l'espulsione senza scorta sia sinonimo di partenza volontaria. L'espressione «espulsione senza scorta» può comprendere anche i casi di rimpatrio forzato (allontanamento) senza la scorta della polizia.

(45)  

COM(2016) 881 final.

(46)  Regolamento (UE) 2016/1953 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 ottobre 2016, relativo all'istituzione di un documento di viaggio europeo per il rimpatrio dei cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, e recante abrogazione della raccomandazione del Consiglio del 30 novembre 1994 (GU L 311 del 17.11.2016, pag. 13).

(47)  Direttiva 2013/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale (GU L 180 del 29.6.2013, pag. 60).

(48)  Decisione 2004/573/CE del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa all'organizzazione di voli congiunti per l'allontanamento dei cittadini di paesi terzi illegalmente presenti nel territorio di due o più Stati membri (GU L 261 del 6.8.2004, pag. 28).

(49)  Regolamento (UE) 2016/1624 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 settembre 2016, relativo alla guardia di frontiera e costiera europea che modifica il regolamento (UE) n. 2016/399 del Parlamento europeo e del Consiglio e che abroga il regolamento (CE) n. 863/2007 del Parlamento europeo e del Consiglio, il regolamento (CE) 2007/2004 del Consiglio e la decisione 2005/267/CE del Consiglio (GU L 251 del 16.9.2016, pag. 1).

(50)  Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo, 1989.

(51)  UNHCR-Unicef, Safe and Sound, 2014, disponibile all'indirizzo: http://www.refworld.org/docid/5423da264.html.

(52)  Nazioni Unite, General comment No. 14 (2013) on the right of the child to have his or her best interests taken as a primary consideration (articolo 3, para. 1)* [Osservazione generale n. 14 (2013) relativa al diritto del fanciullo a che il suo interesse superiore sia considerato preminente (articolo 3, paragrafo 1)], 2013, disponibile all'indirizzo: http://www2.ohchr.org/English/bodies/crc/docs/GC/CRC_C_GC_14_ENG.pdf.

(53)  UNHCR, Guidelines on Determining the Best Interests of the Child, 2008, http://www.unhcr.org/4566b16b2.pdf.

(54)  UNHCR, Field Handbook for the Implementation of UNHCR BID Guidelines, 2011, disponibile all'indirizzo: http://www.refworld.org/pdfid/4e4a57d02.pdf.

(55)  Consiglio d'Europa, Venti orientamenti sul rimpatrio forzato, 2005.

(56)  Ufficio europeo di sostegno per l'asilo, Age assessment practice in Europe (La prassi di accertamento dell'età in Europa), 2014, disponibile all'indirizzo: https://www.easo.europa.eu/sites/default/files/public/EASO-Age-assessment-practice-in-Europe.pdf. Un nuovo documento di orientamento è in fase di preparazione.

(57)  Nazioni Unite, Guidelines for the alternative care of children, 2010, disponibili all'indirizzo: http://www.refworld.org/docid/4c3acd162.html.

(58)  Regolamento (CE) n. 1987/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 dicembre 2006, sull'istituzione, l'esercizio e l'uso del sistema d'informazione Schengen di seconda generazione (SIS II) (GU L 381 del 28.12.2006, pag. 4).

(59)  COM(2009) 313 def.

(60)  Sentenza della Corte di giustizia del 17 novembre 2011, Gaydarov, C-430/10, ECLI:EU:C:2011:749.

(61)  Sentenza della Corte di giustizia del 26 luglio 2017, Ouhrami, C-225/16, ECLI:EU:C:2017:590.

(62)  Sentenza della Corte di giustizia del 10 settembre 2013, G. e R., C-383/13 PPU, ECLI:EU:C:2013:533.

(63)  Sentenza della Corte di giustizia dell'11 dicembre 2014, Boudjlida, C-249/13, ECLI:EU:C:2014:2431.

(64)  Sentenza della Corte di giustizia del 6 novembre 2014, Mukarubega, C-166/13, ECLI:EU:C:2014:2336.

(65)  Nazioni Unite, Osservazione generale n. 12 (2009): Il diritto del minore di essere ascoltato, 2009, disponibile sul seguente sito: http://www.refworld.org/docid/4ae562c52.html.

(66)  COM(2015) 285 final.

(67)  Regolamento (CE) n. 810/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 luglio 2009, che istituisce un codice comunitario dei visti (codice dei visti) (GU L 243 del 15.9.2009, pag. 1).

(68)  Sentenza della Corte di giustizia del 18 dicembre 2014, Abdida, C-562/13, ECLI:EU:C:2014:2453.

(69)  Direttiva 2005/85/CE del Consiglio, del 1o dicembre 2005, recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato (GU L 326 del 13.12.2005, pag. 13), abrogata dalla direttiva 2013/32/UE.

(70)  Sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo del 5 febbraio 2002, Čonka contro Belgio, domanda n. 51564/99.

(71)  Direttiva 2003/9/CE del Consiglio, del 27 gennaio 2003, recante norme minime relative all'accoglienza dei richiedenti asilo negli Stati membri (GU L 31 del 6.2.2003, pag. 18).

(72)  Nazioni Unite, Osservazione generale n. 6 (2005): Trattamento dei minori non accompagnati e separati fuori dal loro paese d'origine, 2005, disponibile sul seguente sito: http://www.refworld.org/docid/42dd174b4.html.

(73)  Sentenza della Corte di giustizia del 5 giugno 2014, Mahdi, C-146/14 PPU, ECLI:EU:C:2014:1320.

(74)  Sentenza della Corte di giustizia del 30 novembre 2009, Kadzoev, C-357/09 PPU, ECLI:EU:C:2009:741.

(75)  UNHCR, Documento di opzioni 2: Options for governments on open reception and alternatives to detention, 2015, disponibile sul seguente sito: http://www.unhcr.org/protection/detention/5538e53d9/unhcr-options-paper-2-options-governments-open-reception-alternatives-detention.html.

(76)  Sentenza della Corte di giustizia del 30 maggio 2013, Arslan, C-534/11, ECLI:EU:C:2013:343.

(77)  All'indirizzo http://ec.europa.eu/smart-regulation/evaluation/search/download.do?documentId=10737855 (pagg. 44-50) è disponibile una panoramica dei vari termini applicabili in base al diritto nazionale. La panoramica rispecchia la situazione esistente al dicembre 2013; nel frattempo alcune disposizioni nazionali sono cambiate.

(78)  Sentenza del 17 luglio 2014, Bero, C-473/13, e Bouzalmate, C-514/13, ECLI:EU:C:2014:2095.

(79)  Sentenza della Corte di giustizia del 17 luglio 2014, Pham, C-474/13, ECLI:EU:C:2014:2096.

(80)  UNHCR, Documento di opzioni 1: Options for governments on care arrangements and alternatives to detention for children and families, 2015, disponibile sul seguente sito: http://www.unhcr.org/553f58509.pdf.

(81)  Agenzia dell'Unione europea per i diritti fondamentali, European legal and policy framework on immigration detention of children, 2017, disponibile sul seguente sito: http://fra.europa.eu/sites/default/files/fra_uploads/fra-2017-immigration-detention-children_en.pdf.

(82)  Riguardo alla situazione specifica di Svizzera, Norvegia, Islanda e Liechtenstein cfr. la relativa nota a piè di pagina al punto 2 del presente manuale.


Top