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Document 62018CN0719

    Causa C-719/18: Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Italia) il 15 novembre 2018 — Vivendi SA / Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni

    GU C 103 del 18.3.2019, p. 11–12 (BG, ES, CS, DA, DE, ET, EL, EN, FR, HR, IT, LV, LT, HU, MT, NL, PL, PT, RO, SK, SL, FI, SV)

    18.3.2019   

    IT

    Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

    C 103/11


    Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Italia) il 15 novembre 2018 — Vivendi SA / Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni

    (Causa C-719/18)

    (2019/C 103/10)

    Lingua processuale: l’italiano

    Giudice del rinvio

    Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

    Parti nella causa principale

    Ricorrente: Vivendi SA

    Resistente: Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni

    Questioni pregiudiziali

    1)

    Se, pur essendo facoltà degli Stati membri accertare quando le imprese godano di una posizione dominante (con conseguente imposizione alle stesse di specifici obblighi) sia, o meno, contrastante con il diritto dell’Unione Europea e, in particolare, con il principio della libertà di circolazione dei capitali di cui all’art. 63 TFUE, la disposizione di cui all’art. 43, comma 11, del d.lgsl 31.7.2005, n. 177, nel testo vigente alla data di adozione della delibera impugnata, secondo cui «le imprese, anche attraverso società controllate o collegate, i cui ricavi nel settore delle comunicazioni elettroniche, come definito ai sensi dell’articolo 18 del decreto legislativo 1o agosto 2003, n. 259, sono superiori al 40 per cento dei ricavi complessivi di quel settore, non possono conseguire nel sistema integrato delle comunicazioni ricavi superiori al 10 per cento del sistema medesimo»; quanto sopra, nella parte in cui, attraverso il richiamo all’articolo 18 del Codice delle comunicazioni elettroniche, si limita il settore in questione ai mercati suscettibili di regolamentazione ex ante, nonostante il dato di comune esperienza, secondo cui l’informazione (al cui pluralismo la norma è finalizzata) risulta veicolata in misura crescente dall’uso di internet, dei personal computer e della telefonia mobile, tanto da poter rendere irragionevole l’esclusione dal settore stesso, in particolare, dei servizi al dettaglio di telefonia mobile, solo perché operanti in pieno regime di concorrenza. Quanto sopra, tenendo anche conto del fatto che l’Autorità ha delimitato i confini del settore delle comunicazioni elettroniche, ai fini dell’applicazione del citato art. 43, comma 11, proprio in occasione del procedimento in esame, prendendo in considerazione solo i mercati in ordine ai quali sia stata svolta almeno un’analisi dall’entrata in vigore del CCE, quindi dal 2003 ad oggi, e con ricavi desunti dall’ultimo accertamento utile, effettuato nel 2015;

    2)

    se i principi in tema di tutela della libertà di stabilimento e di libera prestazione di servizi, di cui agli articoli 49 e 56 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE), gli artt. 15 e 16 della direttiva 2002/21/CE (1)«servizi di media audiovisivi e radiofonici», posti a tutela del pluralismo e della liberà di espressione, e il principio eurounitario di proporzionalità, ostino all’applicazione di una normativa nazionale in materia di servizi di media audiovisivi e radiofonici pubblici, come quella italiana, contenuta nell’articolo 43, commi 11 e 14, secondo la quale i ricavi, rilevanti per determinare la seconda soglia di sbarramento del 10 %, sono rapportabili anche ad imprese non controllate né soggette ad influenza dominante, ma anche solo «collegate» nei termini di cui all’art. 2359 del codice civile (richiamato dal comma 14 dell’art. 43), pur risultando non esercitabile, nei confronti di queste ultime, alcuna influenza sulle informazioni da diffondere;

    3)

    se i principi in tema di libertà di stabilimento e di libera prestazione di servizi, di cui agli articoli 49 e 56 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE), gli artt. 15 e 16 della direttiva 2002/21/CE, i principi in materia di tutela del pluralismo delle fonti d’informazione e della concorrenza nel settore radiotelevisivo di cui alla Direttiva 2010/13/UE (2) sui Servizi di media audiovisivi e alla direttiva 2002/21/CE ostino ad una disciplina nazionale come il d.lgsl 177/2005, che nei commi 9 e 11 dell’art. 43, sottopone a soglie di sbarramento molto diverse (rispettivamente, del 20 % e del 10 %) i «soggetti tenuti all’iscrizione nel registro degli operatori di comunicazione, costituito ai sensi dell’art. 1, comma 6, lettera a), n. 5 della legge 31 luglio 1997, n. 249» (ovvero i soggetti destinatari di concessione o autorizzazione in base alla vigente normativa, da parte dell’Autorità o di altre Amministrazioni competenti, nonché le imprese concessionarie di pubblicità comunque trasmessa, le imprese editrici etc., di cui al comma 9) rispetto alle imprese operanti nel settore delle comunicazioni elettroniche, come in precedenza definito (nell’ambito del comma 11).


    (1)  Direttiva 2002/21/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 7 marzo 2002, che istituisce un quadro normativo comune per le reti ed i servizi di comunicazione elettronica (direttiva quadro) (GU 2002, L 108, pag. 33).

    (2)  Direttiva 2010/13/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 10 marzo 2010, relativa al coordinamento di determinate disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri concernenti la fornitura di servizi di media audiovisivi (direttiva sui servizi di media audiovisivi) (GU 2010, L 95, pag. 1).


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