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Documento 62021CJ0335

    Sentenza della Corte (Nona Sezione) del 22 settembre 2022.
    Vicente contro Delia.
    Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dallo Juzgado de Primera Instancia n° 10 bis de Sevilla.
    Rinvio pregiudiziale – Clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori – Direttiva 93/13/CEE – Pratiche commerciali sleali nei confronti dei consumatori – Principio di effettività – Articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – Procedimento sommario per il pagamento degli onorari di avvocato – Carattere eventualmente abusivo delle clausole contenute in una prenotula degli onorari – Normativa nazionale che non prevede la possibilità di un controllo da parte del giudice – Articolo 4, paragrafo 2 – Portata dell’eccezione – Direttiva 2005/29/CE – Articolo 7 – Pratica commerciale ingannevole – Contratto stipulato tra un avvocato e il suo cliente che vieta a quest’ultimo di rinunciare agli atti, all’insaputa o contro il parere dell’avvocato, pena il versamento di una penalità pecuniaria.
    Causa C-335/21.

    Raccolta della giurisprudenza - generale - Sezione "Informazioni sulle decisioni non pubblicate"

    Identificatore ECLI: ECLI:EU:C:2022:720

     SENTENZA DELLA CORTE (Nona Sezione)

    22 settembre 2022 ( *1 )

    «Rinvio pregiudiziale – Clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori – Direttiva 93/13/CEE – Pratiche commerciali sleali nei confronti dei consumatori – Principio di effettività – Articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – Procedimento sommario per il pagamento degli onorari di avvocato – Carattere eventualmente abusivo delle clausole contenute in una prenotula degli onorari – Normativa nazionale che non prevede la possibilità di un controllo da parte del giudice – Articolo 4, paragrafo 2 – Portata dell’eccezione – Direttiva 2005/29/CE – Articolo 7 – Pratica commerciale ingannevole – Contratto stipulato tra un avvocato e il suo cliente che vieta a quest’ultimo di rinunciare agli atti, all’insaputa o contro il parere dell’avvocato, pena il versamento di una penalità pecuniaria»

    Nella causa C‑335/21,

    avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dallo Juzgado de Primera Instancia n. 10 bis de Sevilla (Tribunale di primo grado n. 10 bis di Siviglia, Spagna), con decisione del 24 maggio 2021, pervenuta in cancelleria il 27 maggio 2021, nel procedimento

    Vicente

    contro

    Delia,

    LA CORTE (Nona Sezione),

    composta da S. Rodin, presidente di sezione, J.‑C. Bonichot e O. Spineanu‑Matei (relatrice), giudici,

    avvocato generale: P. Pikamäe

    cancelliere: A. Calot Escobar

    vista la fase scritta del procedimento,

    considerate le osservazioni presentate:

    per il governo spagnolo, da I. Herranz Elizalde, in qualità di agente;

    per la Commissione europea, da J. Baquero Cruz e N. Ruiz García, in qualità di agenti,

    vista la decisione, adottata dopo aver sentito l’avvocato generale, di giudicare la causa senza conclusioni,

    ha pronunciato la seguente

    Sentenza

    1

    La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»), della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori (GU 1993, L 95, pag. 29), come modificata dalla direttiva 2011/83/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2011 (GU 2011, L 304, pag. 64) (in prosieguo: la «direttiva 93/13»), e della direttiva 2005/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 maggio 2005, relativa alle pratiche commerciali sleali delle imprese nei confronti dei consumatori nel mercato interno e che modifica la direttiva 84/450/CEE del Consiglio e le direttive 97/7/CE, 98/27/CE e 2002/65/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e il regolamento (CE) n. 2006/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio («direttiva sulle pratiche commerciali sleali») (GU 2005, L 149, pag. 22).

    2

    Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra l’avv. Vicente e la sig.ra Delia, sua cliente, in seguito al mancato pagamento degli onorari richiesti per servizi legali forniti a quest’ultima.

    Contesto normativo

    Diritto dell’Unione

    Direttiva 93/13

    3

    Il ventunesimo e il ventiquattresimo considerando della direttiva 93/13 sono così formulati:

    «considerando che gli Stati membri devono prendere le misure necessarie per evitare l’inserzione di clausole abusive in contratti stipulati tra un professionista e dei consumatori (...)

    (...)

    considerando che le autorità giudiziarie e gli organi amministrativi degli Stati membri devono disporre dei mezzi adeguati ed efficaci per far cessare l’inserzione delle clausole abusive contenute nei contratti stipulati con i consumatori (...)».

    4

    L’articolo 3, paragrafo 1, di tale direttiva così recita:

    «Una clausola contrattuale che non è stata oggetto di negoziato individuale si considera abusiva se, in contrasto con il requisito della buona fede, determina, a danno del consumatore, un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi delle parti derivanti dal contratto».

    5

    L’articolo 4 di detta direttiva enuncia quanto segue:

    «1.   Fatto salvo l’articolo 7, il carattere abusivo di una clausola contrattuale è valutato tenendo conto della natura dei beni o servizi oggetto del contratto e facendo riferimento, al momento della conclusione del contratto, a tutte le circostanze che accompagnano detta conclusione e a tutte le altre clausole del contratto o di un altro contratto da cui esso dipende.

    2.   La valutazione del carattere abusivo delle clausole non verte né sulla definizione dell’oggetto principale del contratto, né sulla perequazione tra il prezzo e la remunerazione, da un lato, e i servizi o i beni che devono essere forniti in cambio, dall’altro, purché tali clausole siano formulate in modo chiaro e comprensibile».

    6

    Ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, della medesima direttiva:

    «Gli Stati membri prevedono che le clausole abusive contenute in un contratto stipulato fra un consumatore ed un professionista non vincolano il consumatore, alle condizioni stabilite dalle loro legislazioni nazionali, e che il contratto resti vincolante per le parti secondo i medesimi termini, sempre che esso possa sussistere senza le clausole abusive».

    7

    L’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 93/13 prevede quanto segue:

    «Gli Stati membri, nell’interesse dei consumatori e dei concorrenti professionali, provvedono a fornire mezzi adeguati ed efficaci per far cessare l’inserzione di clausole abusive nei contratti stipulati tra un professionista e dei consumatori».

    Direttiva 2005/29

    8

    L’articolo 5, paragrafo 4, della direttiva 2005/29 così dispone:

    «In particolare, sono sleali le pratiche commerciali:

    a) ingannevoli di cui agli articoli 6 e 7

    o

    b) aggressive di cui agli articoli 8 e 9».

    9

    L’articolo 7, paragrafi 1 e 2, di tale direttiva prevede quanto segue:

    «1.   È considerata ingannevole una pratica commerciale che nella fattispecie concreta, tenuto conto di tutte le caratteristiche e circostanze del caso, nonché dei limiti del mezzo di comunicazione impiegato, ometta informazioni rilevanti di cui il consumatore medio ha bisogno in tale contesto per prendere una decisione consapevole di natura commerciale e induca o sia idonea ad indurre in tal modo il consumatore medio ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso.

    2.   Una pratica commerciale è altresì considerata un’omissione ingannevole quando un professionista occulta o presenta in modo oscuro, incomprensibile, ambiguo o intempestivo le informazioni rilevanti di cui al paragrafo 1, tenendo conto degli aspetti di cui a detto paragrafo, o non indica l’intento commerciale della pratica stessa, qualora non risultino già evidenti dal contesto e quando, in uno o nell’altro caso, ciò induce o è idoneo a indurre il consumatore medio ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso».

    Diritto spagnolo

    10

    L’azione per il pagamento degli onorari è disciplinata dalla Ley 1/2000 de Enjuiciamiento Civil (legge 1/2000 recante il codice di procedura civile), del 7 gennaio 2000 (BOE n. 7, dell’8 gennaio 2000, pag. 575; in prosieguo: la «LEC»).

    11

    L’articolo 34 della LEC, relativo alle «Parcelle del procuratore», al paragrafo 2 prevedeva quanto segue:

    «Dopo che la parcella è stata presentata e dichiarata ricevibile dal cancelliere, quest’ultimo ingiunge al mandante di pagare la somma o di contestare la parcella per il motivo che la somma non è dovuta, entro un termine di dieci giorni. In difetto di pagamento o di contestazione, si procederà in via esecutiva.

    Se, entro tale termine, il mandante ha formulato una contestazione, il cancelliere concede al procuratore un termine di tre giorni per esprimersi su tale contestazione. Il cancelliere esamina poi la parcella e gli atti processuali, nonché i documenti prodotti ed emette, entro dieci giorni, una decisione motivata che stabilisce la somma da versare al procuratore. In difetto di pagamento entro cinque giorni dalla notifica, si procederà in via esecutiva.

    La decisione motivata cui si riferisce il precedente comma non è impugnabile, ma non pregiudica in alcun modo la sentenza eventualmente pronunciata in un procedimento giurisdizionale ordinario successivo».

    12

    L’articolo 34, paragrafo 2, terzo comma, della LEC è stato dichiarato incostituzionale e annullato dalla sentenza 34/2019 del Tribunal Constitucional (Corte costituzionale, Spagna) del 14 marzo 2019 (BOE n. 90, del 15 aprile 2019, pag. 39549; in prosieguo: la «sentenza n. 34/2019»).

    13

    L’articolo 35 della LEC, intitolato «Onorari dell’avvocato», disponeva quanto segue:

    «1.   Gli avvocati possono chiedere alla parte che difendono il pagamento degli onorari dovuti per la causa, presentando una nota dettagliata e dichiarando formalmente che tali onorari sono loro dovuti e sono insoluti. (...)

    2.   A seguito della presentazione di tale domanda, il cancelliere ingiunge al debitore il pagamento di detta somma o di contestare la parcella, nel termine di dieci giorni. In difetto di pagamento o di contestazione da parte del mandante, si procederà in via esecutiva.

    Se, entro il suddetto termine, gli onorari sono contestati con la motivazione che non sono dovuti, si applicherà quanto disposto dall’articolo 34, paragrafo 2, secondo e terzo comma.

    Se gli onorari sono contestati con la motivazione che sono eccessivi, il cancelliere chiederà all’avvocato di esprimersi entro tre giorni sulla contestazione. Qualora l’avvocato non accetti la riduzione degli onorari richiesta, il cancelliere effettuerà preliminarmente il calcolo degli stessi ai sensi dell’articolo 241 e seguenti, salvo che l’avvocato non provi l’esistenza di un preventivo scritto accettato dall’autore della contestazione, ed emetterà una decisione motivata che stabilisca la somma dovuta. In difetto di pagamento entro cinque giorni dalla notifica si procederà in via esecutiva.

    Detta decisione motivata non è impugnabile, ma non pregiudica in alcun modo la sentenza eventualmente pronunciata in un procedimento giurisdizionale ordinario successivo.

    3.   Nel caso in cui il debitore degli onorari non formuli una contestazione nel termine stabilito, si procederà con l’esecuzione per l’importo cui ammonta la nota, oltre le spese».

    14

    All’articolo 35, paragrafo 2, secondo comma, della LEC, l’inciso «e terzo comma» è stato dichiarato incostituzionale e annullato dalla sentenza n. 34/2019. Lo stesso vale per il quarto comma di tale articolo 35, paragrafo 2.

    15

    L’articolo 206 della LEC, intitolato «Tipi di decisioni», figura nel capo VIII della stessa, intitolato «Decisioni processuali». Tale articolo dispone quanto segue:

    «(...)

    2.   Le decisioni dei cancellieri sono denominate “misure incidentali” e “decisioni motivate”.

    (...)».

    16

    Ai sensi dell’articolo 454 bis della LEC, intitolato «Ricorso per revisione»:

    «1.   (...)

    Le decisioni motivate che concludono il procedimento o che impediscono il suo proseguimento sono impugnabili mediante ricorso diretto per revisione. Tale ricorso non ha effetto sospensivo e non è in alcun caso possibile contestare quanto deciso.

    È altresì possibile proporre un ricorso diretto per revisione avverso le decisioni motivate nei casi espressamente previsti.

    2.   Il ricorso per revisione deve essere presentato entro un termine di cinque giorni mediante una memoria in cui si espongono i vizi della decisione motivata. Qualora tali condizioni siano soddisfatte, il cancelliere, con una misura di organizzazione del procedimento, dichiarerà il ricorso ricevibile concedendo alle altre parti un termine comune di cinque giorni per contestarlo, se lo ritengono opportuno.

    Se le condizioni di ricevibilità del ricorso non sono soddisfatte, il tribunale lo dichiara irricevibile con decisione motivata.

    Alla scadenza del termine per la contestazione, il tribunale si pronuncia mediante ordinanza entro un termine di cinque giorni, e ciò indipendentemente dal fatto che siano state presentate o meno osservazioni scritte. Le decisioni in materia di ricevibilità o irricevibilità non sono impugnabili.

    3.   L’ordinanza che decide sul ricorso per revisione è impugnabile solo qualora essa ponga fine al procedimento o ne impedisca la prosecuzione».

    17

    A seguito dell’annullamento parziale degli articoli 34 e 35 della LEC, di cui ai punti 12 e 14 della presente sentenza, le decisioni motivate del cancelliere che non erano impugnabili possono ora essere oggetto di un ricorso per revisione sul fondamento dell’articolo 454 bis della LEC.

    18

    Ai sensi dell’articolo 517, paragrafo 2, della LEC:

    «Sono titoli esecutivi soltanto:

    (...)

    9.

    le altre decisioni processuali e i documenti esecutivi in base alla presente o ad altre leggi».

    19

    Intitolato «Opposizione avverso l’esecuzione di decisioni processuali o arbitrali o di accordi di mediazione», l’articolo 556 della LEC, al suo paragrafo 1, prevede quanto segue:

    «Se il titolo esecutivo è una decisione processuale o arbitrale di condanna o un accordo di mediazione, il debitore esecutato può, entro dieci giorni dalla notifica dell’ordinanza di esecuzione, opporsi a quest’ultima per iscritto, facendo valere il pagamento o il rispetto del dispositivo della sentenza, del lodo arbitrale o dell’accordo, di cui dovrà fornire la prova documentale.

    È altresì possibile opporre la prescrizione dell’azione esecutiva, nonché gli accordi e le transazioni che siano stati conclusi per evitare l’esecuzione, purché tali accordi e transazioni siano contenuti in un atto notarile».

    20

    L’articolo 557 della LEC, intitolato «Opposizione avverso l’esecuzione avviata in forza di titoli esecutivi diversi da quelli giudiziali o arbitrali», al suo paragrafo 1 così dispone:

    «Quando l’esecuzione è disposta in forza dei titoli di cui ai punti 4, 5, 6 e 7 nonché di altri titoli esecutivi menzionati all’articolo 517, paragrafo 2, punto 9, il debitore esecutato può opporsi, entro i termini e nella forma previsti dall’articolo precedente, solo fondandosi su uno dei seguenti motivi:

    (...)

    7) presenza di clausole abusive nel titolo».

    Procedimento principale e questioni pregiudiziali

    21

    Il 9 febbraio 2017 la sig.ra Delia, da un lato, e i sigg. Augusto e Vicente, in qualità di avvocati, dall’altro, hanno sottoscritto una lettera di incarico vertente, in particolare, sull’esame, la diffida stragiudiziale e, se necessario, l’azione giudiziaria, nonché, se del caso, la redazione e la proposizione di un ricorso diretto all’accertamento della nullità delle clausole abusive contenute in un contratto di mutuo stipulato, il 26 novembre 2003, dalla sig.ra Delia, in qualità di consumatrice, con un istituto bancario.

    22

    La lettera di incarico conteneva una clausola ai sensi della quale «firmando la lettera di incarico, il cliente si impegna a seguire le istruzioni dello studio e, in caso di rinuncia agli atti per qualsiasi motivo prima della conclusione del procedimento giudiziario o nel caso in cui lo stesso concluda un accordo con la banca, all’insaputa o contro il parere dello studio legale, dovrà versare l’importo risultante dall’applicazione del tariffario dell’ordine degli avvocati di Siviglia per la fissazione delle spese concernenti il ricorso relativo all’accertamento della nullità e all’importo» (in prosieguo: la «clausola di rinuncia agli atti»).

    23

    La sig.ra Delia si sarebbe rivolta a tale studio legale mediante un annuncio pubblicitario su un social network nel quale non sarebbe stata menzionata la clausola di rinuncia agli atti, e l’interessata sarebbe stata unicamente informata del prezzo dei servizi legali. Non sarebbe quindi dimostrato, nel caso di specie, che la sig.ra Delia fosse a conoscenza della clausola di rinuncia agli atti precedentemente alla firma della lettera di incarico.

    24

    Prima della proposizione del ricorso diretto all’accertamento della nullità, l’avv. Vicente ha presentato, il 22 febbraio 2017, una diffida stragiudiziale presso l’istituto bancario in questione, in seguito alla quale quest’ultimo ha proposto, direttamente alla sig.ra Delia, il 2 giugno 2017, la restituzione di una somma di EUR 870,67 a titolo di importi indebitamente pagati in applicazione di una clausola di tasso minimo contenuta nel contratto di mutuo. La sig.ra Delia ha deciso di accettare tale offerta. Non vi sarebbe tuttavia alcuna prova della data esatta in cui quest’ultima ha informato l’avv. Vicente di aver ricevuto la risposta della banca né della questione se quest’ultimo le abbia consigliato, in quel momento, di non accettare tale proposta.

    25

    Il ricorso diretto all’accertamento della nullità della clausola di tasso minimo, datato 22 maggio 2017 e firmato dall’avv. Vicente e da una procuratrice, è stato registrato presso il giudice del rinvio, lo Juzgado de Primera Instancia n. 10 bis de Sevilla (Tribunale di primo grado n. 10 bis di Siviglia, Spagna), il 12 giugno 2017.

    26

    Con lettera inviata via fax del 13 giugno 2017, l’avv. Vicente ha comunicato alla sua cliente il proprio disaccordo con la proposta dell’istituto bancario, sottolineando che era stato proposto un ricorso contro quest’ultimo.

    27

    Il 25 settembre 2017 la procuratrice ha informato il giudice del rinvio della rinuncia agli atti della sig.ra Delia per il motivo che le pretese di quest’ultima erano state soddisfatte in via stragiudiziale, precisando al contempo che tale rinuncia era motivata dal fatto che, contrariamente al parere del suo avvocato e successivamente alla proposizione del ricorso, la loro cliente aveva accettato tale transazione. Di conseguenza, il cancelliere di detto organo giurisdizionale ha emesso, in pari data, una decisione motivata che poneva fine al procedimento.

    28

    Dalla domanda di pronuncia pregiudiziale risulta che, il 13 novembre 2017, l’avv. Vicente ha promosso presso il cancelliere del giudice del rinvio un procedimento per il pagamento di onorari nei confronti della sig.ra Delia, procedimento avente ad oggetto una somma di EUR 1105,50, imposta sul valore aggiunto esclusa, per un totale di EUR 1337,65, il cui calcolo era determinato come segue:

    «Base di fatturazione: EUR 18000,00. Risultato dopo l’applicazione del tariffario: [EUR] 2211,00;

    (...) 50% per la proposizione del ricorso: [EUR] 1105,50».

    29

    A titolo di giustificazione dell’importo richiesto, la domanda era accompagnata da un documento intitolato «Prenotula degli onorari», che rinviava alle norme applicabili in materia di onorari professionali dell’ordine degli avvocati di Siviglia.

    30

    La sig.ra Delia, assistita da un difensore d’ufficio, ha contestato tali onorari con la motivazione che essi non erano dovuti. La medesima non sarebbe stata infatti informata dell’esistenza della clausola di rinuncia agli atti, cosicché ella sarebbe tenuta unicamente a versare, a titolo di onorari, il 10% dell’importo ricevuto dalla banca mutuante, ossia EUR 105,35, somma che sarebbe stata versata. La sig.ra Delia ha altresì invocato, in tale occasione, il carattere abusivo della clausola di rinuncia agli atti.

    31

    Con decisione motivata del 15 ottobre 2020 il cancelliere del giudice del rinvio ha respinto detta contestazione e ha fissato l’importo dovuto dalla sig.ra Delia a titolo di onorari di avvocato in EUR 1337,65, concedendo un termine di pagamento di cinque giorni, a pena di esecuzione forzata. La questione relativa al carattere abusivo della clausola di rinuncia agli atti non è stata esaminata da tale cancelliere.

    32

    Il 2 febbraio 2021 la sig.ra Delia ha presentato dinanzi al giudice del rinvio un ricorso per revisione avverso tale decisione motivata, ricorso che è stato dichiarato ricevibile e notificato all’avv. Vicente. Quest’ultimo ha presentato un controricorso diretto al rigetto del ricorso e alla condanna della sig.ra Delia alle spese.

    33

    Tale giudice nutre dubbi sul fatto che le norme processuali nazionali che disciplinano il procedimento per il pagamento di onorari siano conformi ai requisiti derivanti dalla direttiva 93/13, dal principio di effettività e dal diritto a una tutela giurisdizionale effettiva di cui all’articolo 47 della Carta.

    34

    A tal riguardo detto giudice precisa che, in forza del diritto spagnolo, gli avvocati dispongono di tre rimedi processuali per chiedere giudizialmente il pagamento degli onorari loro dovuti: il procedimento giurisdizionale ordinario, il procedimento d’ingiunzione di pagamento o il procedimento per il pagamento di onorari, contemplato dall’articolo 35 della LEC, che costituisce un procedimento sommario avente garanzie limitate. Quest’ultimo procedimento rientra nella competenza del cancelliere del giudice investito del procedimento giudiziario all’origine degli onorari di cui si richiede il pagamento.

    35

    Pertanto, il procedimento per il pagamento di onorari rientra, in un primo momento, nella competenza di un cancelliere, vale a dire un’autorità che, secondo la sentenza del 16 febbraio 2017, Margarit Panicello (C‑503/15, EU:C:2017:126), e la sentenza n. 34/2019, non è investita di funzioni giurisdizionali. Ai sensi dell’articolo 35 della LEC, gli onorari possono essere contestati con la motivazione che non sono dovuti o sono eccessivi, e la decisione resa dal cancelliere all’esito di una siffatta contestazione è qualificata, all’articolo 206 della LEC, come «decisione motivata». A seguito della sentenza n. 34/2019, tale decisione può essere oggetto, in un secondo momento, di un ricorso per revisione, conformemente all’articolo 454 bis della LEC.

    36

    Pertanto, sebbene il procedimento per il pagamento di onorari ai sensi dell’articolo 35 della LEC verta su un contratto stipulato tra un avvocato e il suo cliente che, come risulta dalla sentenza del 15 gennaio 2015, Šiba (C‑537/13, EU:C:2015:14), rientra nell’ambito di applicazione della direttiva 93/13, la possibilità che tale procedimento sia avviato dinanzi a un giudice è subordinata alla proposizione di un ricorso per revisione avverso la decisione motivata del cancelliere. Inoltre, tenuto conto del carattere sommario di tale ricorso per revisione e della possibilità di avvalersi di un procedimento giurisdizionale ordinario, conformemente all’articolo 35, paragrafo 2, della LEC, il giudice non potrebbe procedere a un controllo d’ufficio dell’eventuale carattere abusivo delle clausole contenute nel contratto di servizi di assistenza legale, essendo l’esame da parte di tale giudice limitato, in linea di principio, alla portata della decisione motivata adottata dal cancelliere. Il regime di assunzione delle prove sarebbe altresì limitato alle prove documentali già fornite dinanzi a tale cancelliere.

    37

    Per quanto riguarda la possibilità, per il consumatore, di avvalersi del procedimento giurisdizionale ordinario, ai sensi dell’articolo 35, paragrafo 2, della LEC, al fine di far valere i suoi diritti derivanti dalla direttiva 93/13, il giudice del rinvio afferma che dalla sentenza n. 34/2019 risulta che tale procedimento non pone rimedio al carattere non giurisdizionale del procedimento per il pagamento di onorari, in quanto esso non osta a che le decisioni motivate del cancelliere che fissano gli onorari di avvocato producano i loro effetti.

    38

    Per quanto concerne l’esecuzione delle decisioni del cancelliere, tale giudice precisa che, sebbene tale fase si svolga sotto il controllo di un giudice, il consumatore può tuttavia proporre opposizione solo per i motivi di cui all’articolo 556 della LEC, tra i quali non figura l’eventuale carattere abusivo delle clausole contenute nel titolo sulla cui base tale decisione è stata emessa.

    39

    Secondo il giudice del rinvio, nell’ambito di un ricorso per revisione della decisione motivata del cancelliere, come quello di cui è investito, esso è tenuto, in considerazione del carattere sommario ai sensi dell’articolo 35 della LEC, a confermare o revocare la decisione motivata del cancelliere. Non gli spetterebbe, in tale contesto, esaminare l’eventuale carattere abusivo delle clausole del contratto stipulato tra l’avvocato e il suo cliente.

    40

    Di conseguenza detto giudice dubita, anzitutto, della compatibilità di un siffatto sistema procedurale con la giurisprudenza della Corte relativa all’obbligo, per il giudice, di effettuare un siffatto controllo, se necessario d’ufficio. Infatti, da un lato, nell’ambito del procedimento per il pagamento di onorari, il cancelliere non esercita funzioni giurisdizionali e non è competente a procedere a detto controllo. D’altro lato, neppure in caso di ricorso per revisione della decisione motivata del cancelliere è previsto che il giudice proceda a un siffatto esame. Il giudice del rinvio si chiede, pertanto, se sia tenuto, nonostante tali norme procedurali, a procedere, direttamente, d’ufficio al suddetto controllo, tenendo presente che esso non può limitarsi ad annullare la decisione motivata e rinviare il procedimento al cancelliere affinché vi proceda, poiché quest’ultimo non è competente in tal senso.

    41

    Dato che, nel caso di specie, esso sarebbe tenuto ad esaminare d’ufficio il carattere abusivo della clausola di rinuncia agli atti, il giudice del rinvio si interroga, poi, sulla questione se tale clausola rientri nell’eccezione di cui all’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13 o se essa abbia piuttosto la natura di clausola di indennizzo o di clausola penale il cui eventuale carattere abusivo sia soggetto al controllo del giudice. Tuttavia, anche qualora si dovesse ritenere che una clausola quale la clausola di rinuncia agli atti rientri nell’oggetto principale del contratto o nella perequazione tra il prezzo e i servizi forniti in cambio, occorrerebbe esaminare se essa soddisfi i requisiti di trasparenza. Al riguardo, detto giudice osserva che la clausola di rinuncia agli atti non prevede un importo determinato o una modalità di calcolo degli onorari richiesti, ma si limita a rinviare al tariffario indicativo elaborato dall’ordine degli avvocati di Siviglia. Orbene, la portata delle normative nazionali relative agli ordini professionali nonché l’interpretazione di talune loro disposizioni non si imporrebbero manifestamente.

    42

    Inoltre, nulla indica, secondo detto giudice, che il tariffario indicativo utilizzato per il calcolo degli onorari richiesti dall’avv. Vicente sia pubblico e non è neppure dimostrato che la sig.ra Delia sia stata informata del suo contenuto.

    43

    Infine, il giudice del rinvio si chiede se l’inserzione di una clausola in un contratto stipulato tra un avvocato e il suo cliente, quale la clausola di rinuncia agli atti, che rinvia al tariffario di un ordine degli avvocati, la quale non è menzionata né nell’offerta commerciale né nelle informazioni preliminari alla stipula di detto contratto, possa essere qualificata come pratica commerciale sleale, ai sensi della direttiva 2005/29.

    44

    Date tali circostanze, lo Juzgado de Primera Instancia n. 10 bis de Sevilla (Tribunale di primo grado n. 10 bis di Siviglia) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

    «1)

    Se sia conforme alla direttiva 93/13 e al principio di effettività della stessa, in relazione al diritto a un ricorso effettivo ai sensi dell’articolo 47 della Carta, un procedimento sommario per il pagamento degli onorari, esperito da un avvocato, che non consente al giudice di valutare d’ufficio l’eventuale carattere abusivo delle clausole contenute nel contratto stipulato con un consumatore, considerato che tale procedimento non prevede l’intervento del giudice in alcuna fase del suo svolgimento, tranne nel caso in cui il cliente si opponga a tale ingiunzione e successivamente una delle parti presenti un ricorso avverso la decisione definitiva del cancelliere.

    2)

    Se sia conforme alla direttiva 93/13 e al principio di effettività della stessa, in relazione al diritto a un ricorso effettivo ai sensi dell’articolo 47 della Carta, che l’eventuale controllo in merito al carattere abusivo operato dal giudice, d’ufficio o su istanza di parte, in questo tipo di procedimento, di natura sommaria, sia effettuato nell’ambito di un ricorso facoltativo per revisione avverso la decisione emanata da un organo non giurisdizionale, quale il cancelliere, che deve limitarsi, in linea di principio, esclusivamente a ciò che è stato oggetto della decisione e che non consente l’acquisizione di prove che non siano documenti già prodotti dalle parti.

    3)

    Se una clausola contenuta in un contratto tra un avvocato e un consumatore, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, che prevede il pagamento di onorari nel caso specifico in cui il cliente rinunci agli atti del procedimento giurisdizionale prima della sua conclusione o raggiunga un accordo con l’istituto di credito, all’insaputa o contro il parere dello studio legale, debba essere considerata come rientrante nell’ambito di applicazione dell’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13, trattandosi di una clausola principale relativa all’oggetto del contratto, nella fattispecie il prezzo.

    4)

    In caso di risposta affermativa alla questione precedente, se tale clausola, che fissa gli onorari mediante il rinvio al tariffario di un ordine forense, che stabilisce norme diverse da applicare a seconda di ciascun caso specifico e di cui non è stata fatta alcuna menzione nelle informazioni preliminari, possa essere considerata chiara e comprensibile ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13.

    5)

    In caso di risposta negativa alla precedente questione, se si possa considerare una pratica commerciale sleale, ai sensi della direttiva 2005/29, l’inserzione di una clausola come quella controversa nel procedimento principale in un contratto concluso tra un avvocato e un consumatore, che fissa gli onorari dell’avvocato mediante il semplice rinvio a un tariffario di un ordine forense, che stabilisce norme diverse da applicare a seconda di ciascun caso specifico e di cui non è stata fatta alcuna menzione né nell’offerta commerciale, né nelle informazioni preliminari».

    Sulla ricevibilità

    45

    Il governo spagnolo eccepisce l’irricevibilità della prima, della seconda, della terza e della quinta questione. Secondo tale governo, la prima questione ha carattere ipotetico in quanto la stessa verte su una situazione in cui non sarebbe stato proposto un ricorso per revisione. Per quanto riguarda la seconda questione, il succitato governo invoca la mancanza di precisazioni sufficienti quanto al contenuto delle limitazioni previste dalla normativa nazionale relative alla portata dell’esame al quale il giudice procede in linea di principio nell’ambito di un ricorso per revisione. Ad avviso dello stesso governo, una risposta alle questioni terza e quinta non appare né necessaria né rilevante per dirimere la controversia di cui al procedimento principale.

    46

    A tal riguardo occorre ricordare che, secondo costante giurisprudenza, le questioni pregiudiziali godono di una presunzione di rilevanza. La Corte può rifiutarsi di statuire su una questione pregiudiziale sottoposta da un giudice nazionale, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, soltanto qualora, segnatamente, non siano rispettati i requisiti relativi al contenuto della domanda di pronuncia pregiudiziale riportati all’articolo 94 del regolamento di procedura della Corte o appaia in modo manifesto che l’interpretazione di una norma dell’Unione o il giudizio sulla sua validità chiesti da tale giudice non hanno alcuna relazione con l’effettività o con l’oggetto del procedimento principale o qualora il problema sia di natura ipotetica (sentenza del 28 marzo 2017, Rosneft, C‑72/15, EU:C:2017:236, punto 50 e giurisprudenza ivi citata).

    47

    Per quanto riguarda il carattere ipotetico della prima questione e il carattere lacunoso delle spiegazioni fornite dal giudice del rinvio a sostegno della seconda questione, occorre constatare, da un lato, che la prima questione non presenta un siffatto carattere, in quanto deve essere intesa in senso ampio, ossia come mirante a valutare, in sostanza, la compatibilità con la direttiva 93/13 dell’assenza di potere di controllo d’ufficio, da parte del giudice, del carattere eventualmente abusivo di una clausola contenuta in un contratto stipulato tra un professionista e un consumatore. D’altro lato, le indicazioni fornite dal giudice del rinvio relative alla seconda questione consentono di determinare sufficientemente la portata di quest’ultima.

    48

    Per quanto riguarda le questioni terza e quinta, non appare in modo manifesto che l’interpretazione del diritto dell’Unione richiesta non abbia alcuna relazione con l’oggetto del procedimento principale.

    49

    Infatti, da un lato, per quanto riguarda la terza questione, qualora si dovesse rispondere che il giudice del rinvio è tenuto ad esaminare l’eventuale carattere abusivo della clausola di rinuncia agli atti, esso dovrà valutare se una siffatta clausola rientri nell’eccezione di cui all’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13. D’altro lato, per quanto riguarda l’interpretazione della direttiva 2005/29, oggetto della quinta questione, dalla decisione di rinvio risulta che la stessa è necessaria «ai fini della soluzione del caso di specie». Essa riguarda quindi l’esame dell’eventuale carattere abusivo della clausola di rinuncia agli atti, ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 93/13, che il giudice del rinvio dovrà effettuare in caso di risposta in tal senso alle questioni dalla prima alla terza.

    50

    Di conseguenza, la prima, la seconda, la terza e la quinta questione sono ricevibili.

    Sulle questioni pregiudiziali

    Sulla prima e sulla seconda questione

    51

    Con le sue questioni prima e seconda, che occorre esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se la direttiva 93/13, letta alla luce del principio di effettività e dell’articolo 47 della Carta, debba essere interpretata nel senso che essa osta a una normativa nazionale relativa a un procedimento sommario per il pagamento di onorari di avvocato in forza della quale la domanda proposta nei confronti del cliente consumatore costituisce oggetto di una decisione emessa da un’autorità non giurisdizionale e l’intervento di un giudice è previsto solo nella fase dell’eventuale ricorso avverso detta decisione, senza che il giudice adito in tale occasione possa controllare, se necessario d’ufficio, se le clausole contenute nel contratto all’origine degli onorari richiesti abbiano carattere abusivo, né ammettere la produzione, ad opera delle parti, di prove diverse da quelle documentali già fornite dinanzi all’autorità non giurisdizionale.

    52

    Occorre ricordare, anzitutto, che, come risulta dalla giurisprudenza della Corte, la disuguaglianza che esiste tra il consumatore e il professionista può essere riequilibrata solo grazie a un intervento positivo da parte di soggetti estranei al rapporto contrattuale, e il giudice nazionale è tenuto ad esaminare d’ufficio il carattere eventualmente abusivo di una clausola contrattuale che ricade nell’ambito di applicazione della direttiva 93/13 a partire dal momento in cui dispone degli elementi di diritto e di fatto necessari a tal fine (v., in tal senso, sentenza del 14 giugno 2012, Banco Español de Crédito, C‑618/10, EU:C:2012:349, punti da 41 a 43 e giurisprudenza ivi citata).

    53

    Se è vero che la Corte ha già precisato, sotto vari aspetti e tenendo conto dei requisiti di cui all’articolo 6, paragrafo 1, e dell’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 93/13, il modo in cui il giudice nazionale deve assicurare la tutela dei diritti che i consumatori traggono dalla direttiva in parola, resta nondimeno il fatto che, in linea di principio, il diritto dell’Unione non armonizza le procedure applicabili all’esame del carattere asseritamente abusivo di una clausola contrattuale, e che queste ultime sono soggette, pertanto, all’ordinamento giuridico interno degli Stati membri (sentenza del 26 giugno 2019, Addiko Bank, C‑407/18, EU:C:2019:537, punto 45 e giurisprudenza ivi citata). Ciò si verifica nel procedimento principale per quanto riguarda le norme processuali di diritto spagnolo che disciplinano il procedimento per il pagamento di onorari di avvocato le quali, in assenza di armonizzazione, sono soggette all’ordinamento giuridico di tale Stato membro.

    54

    Tuttavia, in ossequio al principio di leale cooperazione, sancito dall’articolo 4, paragrafo 3, TUE, le modalità processuali dei ricorsi intesi a garantire la tutela dei diritti spettanti ai singoli in forza del diritto dell’Unione non devono essere meno favorevoli di quelle che riguardano ricorsi analoghi di natura interna (principio di equivalenza), né devono rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione (principio di effettività) (sentenza del 24 ottobre 2018, XC e a., C‑234/17, EU:C:2018:853, punto 22 e giurisprudenza ivi citata).

    55

    Per quanto riguarda il principio di effettività, che costituisce l’unico oggetto dei quesiti del giudice del rinvio, si deve rammentare che, per giurisprudenza costante della Corte, ciascun caso in cui si pone la questione se una disposizione processuale nazionale renda impossibile o eccessivamente difficile l’applicazione del diritto dell’Unione dev’essere esaminato tenendo conto del ruolo di detta disposizione nell’insieme del procedimento, dello svolgimento e delle peculiarità dello stesso, dinanzi ai vari organi giurisdizionali nazionali (sentenza del 14 marzo 2013, Aziz, C‑415/11, EU:C:2013:164, punto 53 e giurisprudenza ivi citata).

    56

    Si deve altresì osservare che, sebbene il rispetto del principio dell’effettività non possa giungere al punto di supplire integralmente alla completa passività del consumatore interessato (v., in tal senso, sentenza del 10 settembre 2014, Kušionová, C‑34/13, EU:C:2014:2189, punto 56 e giurisprudenza ivi citata), occorre tuttavia esaminare se sussista, alla luce delle peculiarità del procedimento nazionale di cui trattasi, un rischio non trascurabile che, nei procedimenti instaurati dai professionisti e nei quali i consumatori sono convenuti, questi ultimi siano dissuasi dal far valere i diritti loro conferiti dalla direttiva 93/13 (v., in tal senso, sentenza del 14 giugno 2012, Banco Español de Crédito, C‑618/10, EU:C:2012:349, punti 5456).

    57

    Qualora l’intervento di un giudice e l’esame del carattere eventualmente abusivo delle clausole di un contratto stipulato tra un professionista e un consumatore siano previsti, dalla normativa nazionale di cui trattasi, solo in una fase processuale avanzata, ad esempio, quella dell’opposizione contro un’ingiunzione già emessa, o, come nel procedimento principale, in occasione del ricorso per revisione proposto avverso la decisione motivata del cancelliere, tale intervento è idoneo a salvaguardare l’effetto utile della direttiva 93/13 solo se il consumatore non è dissuaso dal far valere i suoi diritti, in qualità di attore o convenuto, in detta fase processuale (v., per analogia, sentenza del 20 settembre 2018, EOS KSI Slovensko, C‑448/17, EU:C:2018:745, punti 4651).

    58

    Infine, la Corte ha altresì dichiarato che l’obbligo, risultante dall’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 93/13, di stabilire modalità procedurali che consentano di garantire il rispetto dei diritti che i soggetti dell’ordinamento traggono da tale direttiva contro l’uso di clausole abusive implica la previsione normativa di un ricorso effettivo, sancita parimenti dall’articolo 47 della Carta (sentenza del 13 settembre 2018, Profi Credit Polska, C‑176/17, EU:C:2018:711, punto 59 e giurisprudenza ivi citata).

    59

    È alla luce di tale giurisprudenza che occorre rispondere alle prime due questioni.

    60

    Nel caso di specie, come risulta dai punti da 34 a 36 della presente sentenza, il consumatore, laddove ritenga che gli onorari richiesti dal suo avvocato non siano dovuti o siano eccessivi, può contestarli dinanzi al cancelliere del giudice nazionale investito del procedimento giudiziario all’origine di tali onorari. Il cancelliere emette una decisione motivata che fissa la somma dovuta, a pena di esecuzione forzata. Sebbene il cancelliere effettui determinate verifiche relative a tali onorari, dalla domanda di pronuncia pregiudiziale emerge che, in quanto autorità non giurisdizionale, esso non è competente a valutare se una clausola del contratto da cui detti onorari derivano abbia carattere abusivo alla luce della direttiva 93/13.

    61

    Ove il consumatore decida di proporre un ricorso per revisione avverso la decisione motivata del cancelliere, dall’articolo 454 bis della LEC risulta che detto ricorso deve essere depositato entro un termine di cinque giorni e non ha effetto sospensivo. Dalla domanda di pronuncia pregiudiziale risulta altresì che il giudice investito di un siffatto ricorso non dispone della possibilità di procedere a un esame dell’eventuale carattere abusivo delle clausole contenute nel contratto all’origine degli onorari richiesti, essendo il suo controllo limitato all’oggetto della decisione del cancelliere. Oltretutto, il regime di assunzione delle prove sarebbe altresì limitato alle prove documentali già prodotte dinanzi al cancelliere.

    62

    Nelle sue osservazioni scritte, il governo spagnolo contesta la portata della LEC quale presentata dal giudice del rinvio. Secondo il succitato governo, tale normativa non stabilisce alcuna limitazione esplicita relativa alla possibilità, per il giudice, di esaminare il carattere eventualmente abusivo di clausole o per quanto riguarda l’assunzione di prove nell’ambito di un ricorso per revisione.

    63

    Al riguardo è sufficiente rammentare che, per costante giurisprudenza della Corte, nell’ambito del procedimento previsto all’articolo 267 TFUE, se è vero che l’interpretazione delle disposizioni del diritto dell’Unione incombe alla Corte, spetta tuttavia al solo giudice del rinvio interpretare la legislazione nazionale. La Corte deve quindi attenersi all’interpretazione del diritto nazionale espostale da detto giudice (sentenza del 26 giugno 2019, Addiko Bank, C‑407/18, EU:C:2019:537, punto 52 e giurisprudenza ivi citata).

    64

    Pertanto, alla luce delle caratteristiche del ricorso per revisione previsto dalla LEC, quali esposte nella domanda di pronuncia pregiudiziale, in particolare alla luce del carattere limitato del controllo esercitato dal giudice sulla decisione motivata del cancelliere, del divieto imposto a tale giudice di procedere, d’ufficio o su istanza di parte, a un esame dell’eventuale carattere abusivo delle clausole contenute nel contratto alla base degli onorari richiesti, nonché del regime di assunzione delle prove che sembra impedire a una parte di produrre prove diverse da quelle già fornite dinanzi al cancelliere al fine di far valere i propri diritti derivanti dalla direttiva 93/13, si può concludere che sussiste un rischio non trascurabile che il consumatore sia dissuaso dal far valere tali diritti nell’ambito di un ricorso per revisione.

    65

    Il giudice del rinvio menziona tuttavia il fatto che, nell’ambito di un procedimento giurisdizionale ordinario o del procedimento esecutivo, il consumatore avrebbe la possibilità di far valere l’eventuale carattere abusivo di una clausola contenuta nel contratto stipulato con il suo avvocato e a titolo del quale quest’ultimo domanda il pagamento degli onorari.

    66

    Per quanto riguarda, in primo luogo, il procedimento giurisdizionale ordinario di cui all’articolo 34, paragrafo 2, e all’articolo 35, paragrafo 2, della LEC, dalla domanda di pronuncia pregiudiziale non risulta chiaramente che l’avvio di tale procedimento da parte del consumatore abbia un effetto sospensivo dell’esecuzione della decisione motivata del cancelliere o della decisione giurisdizionale adottata a seguito di un ricorso per revisione che confermi la decisione stessa, in modo da consentire al giudice investito di un siffatto procedimento di esaminare il carattere eventualmente abusivo di clausole del contratto di cui trattasi prima dell’esecuzione delle decisioni in parola.

    67

    Per quanto riguarda, in secondo luogo, l’intervento di un giudice nella fase esecutiva, occorre osservare, per quanto riguarda l’esecuzione della decisione motivata del cancelliere, che il giudice del rinvio ritiene che tali decisioni debbano essere qualificate come «decisioni processuali», cosicché, nella fase della loro esecuzione in vigenza dell’articolo 556 della LEC, il consumatore non può far valere il carattere eventualmente abusivo di talune clausole contenute nel titolo esecutivo.

    68

    Relativamente all’esecuzione della decisione pronunciata nell’ambito di un ricorso per revisione, essa sembra essere soggetta ai motivi di opposizione di cui all’articolo 556 della LEC, tenuto conto del suo carattere giudiziario, in quanto il debitore esecutato può soltanto far valere, nell’ambito di un’opposizione priva di effetti sospensivi, l’intervenuto adempimento dell’obbligazione, la prescrizione dell’azione esecutiva o la transazione tra le parti.

    69

    Da quanto precede risulta, fatte salve le verifiche spettanti al giudice del rinvio con riguardo all’interpretazione del diritto nazionale, che né il procedimento giurisdizionale ordinario né il procedimento di esecuzione sembrano consentire di porre rimedio al rischio che il consumatore non sia in grado di far valere i propri diritti derivanti dalla direttiva 93/13 nell’ambito di un ricorso per revisione.

    70

    Di conseguenza, la direttiva 93/13, letta alla luce del principio di effettività e dell’articolo 47 della Carta, osta a un regime processuale nazionale, come quello di cui trattasi nel procedimento principale, atteso che detto regime non consente il controllo del carattere abusivo delle clausole contenute in un contratto stipulato tra un avvocato e il suo cliente né nella fase della contestazione degli onorari richiesti, nell’ambito della prima fase del procedimento che si svolge dinanzi al cancelliere del giudice investito del procedimento giudiziario all’origine degli onorari di cui trattasi, né in occasione di un ricorso per revisione che possa successivamente essere proposto dinanzi a un giudice avverso la decisione del cancelliere.

    71

    Tuttavia, il governo spagnolo e la Commissione sostengono che è possibile procedere a un’interpretazione conforme del regime processuale nazionale, tale da consentire al giudice investito di un ricorso per revisione di valutare, d’ufficio o su richiesta del consumatore, il carattere eventualmente abusivo di una clausola del contratto alla base della domanda di pagamento di onorari, il che non è neppure escluso dal giudice del rinvio.

    72

    Il principio di interpretazione conforme esige che i giudici nazionali si adoperino al meglio nei limiti del loro potere, prendendo in considerazione il diritto interno nel suo insieme ed applicando i metodi di interpretazione riconosciuti da quest’ultimo, al fine di garantire la piena efficacia della direttiva di cui trattasi e di pervenire ad una soluzione conforme allo scopo perseguito da quest’ultima (sentenza del 26 giugno 2019, Addiko Bank, C‑407/18, EU:C:2019:537, punto 65 e giurisprudenza ivi citata).

    73

    Al riguardo la Commissione suggerisce, nelle sue osservazioni scritte, che si potrebbe considerare che gli onorari derivanti da una clausola abusiva «non sono dovuti», ai sensi dell’articolo 35, paragrafo 2, della LEC. In ogni caso, qualora il giudice del rinvio dovesse ritenere che sia possibile un’interpretazione conforme del diritto nazionale e che quest’ultima sia tale da consentirgli di procedere d’ufficio al controllo del carattere eventualmente abusivo della clausola di rinuncia agli atti, esso dovrebbe correlativamente beneficiare della possibilità di adottare d’ufficio misure istruttorie a tal fine (v., in tal senso, sentenza del 14 giugno 2012, Banco Español de Crédito, C‑618/10, EU:C:2012:349, punto 44 e giurisprudenza ivi citata).

    74

    Spetterà pertanto a tale giudice esaminare in che limiti il regime processuale nazionale possa essere oggetto di un’interpretazione conforme alla direttiva 93/13 e trarne le conseguenze, disapplicando, se necessario, qualsiasi disposizione o giurisprudenza nazionali che ostino all’obbligo per il giudice, derivante dalle prescrizioni di tale direttiva, di esaminare d’ufficio se le clausole convenute tra le parti abbiano natura abusiva (v., in tal senso, sentenza del 7 novembre 2019, Profi Credit Polska, C‑419/18 e C‑483/18, EU:C:2019:930, punto 76 e giurisprudenza ivi citata).

    75

    Alla luce di tali considerazioni, occorre rispondere alle questioni prima e seconda dichiarando che la direttiva 93/13, letta alla luce del principio di effettività e dell’articolo 47 della Carta, deve essere interpretata nel senso che essa osta a una normativa nazionale relativa a un procedimento sommario per il pagamento di onorari di avvocato in forza della quale la domanda proposta nei confronti del cliente consumatore costituisce oggetto di una decisione emessa da un’autorità non giurisdizionale e l’intervento di un giudice è previsto solo nella fase dell’eventuale ricorso avverso detta decisione, senza che il giudice adito in tale occasione possa controllare, se necessario d’ufficio, se le clausole contenute nel contratto all’origine degli onorari richiesti abbiano carattere abusivo, né ammettere la produzione, ad opera delle parti, di prove diverse da quelle documentali già fornite dinanzi all’autorità non giurisdizionale.

    Sulla terza questione

    76

    Con la sua terza questione il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13 debba essere interpretato nel senso che rientra nell’eccezione prevista in tale disposizione una clausola di un contratto stipulato tra un avvocato e il suo cliente ai sensi della quale il cliente si impegna a seguire le istruzioni di tale avvocato, a non agire all’insaputa o contro il parere di quest’ultimo e a non rinunciare egli stesso agli atti del procedimento giudiziario per il quale si è avvalso dell’assistenza di detto avvocato, pena il versamento di una penalità pecuniaria.

    77

    In via preliminare occorre ricordare che, nei limiti in cui l’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13 sancisce un’eccezione al meccanismo di controllo nel merito delle clausole abusive, tale disposizione deve essere interpretata restrittivamente. L’eccezione in parola concerne, in primo luogo, le clausole relative all’oggetto principale del contratto e, in secondo luogo, quelle relative alla perequazione tra il prezzo e la remunerazione, da un lato, e i servizi o i beni che devono essere forniti in cambio, dall’altro.

    78

    Per quanto riguarda la categoria di clausole contrattuali rientrante nella nozione di «oggetto principale del contratto», la Corte ha statuito che tali clausole devono intendersi come quelle che fissano le prestazioni essenziali del contratto stesso, ad esclusione delle clausole che rivestono un carattere accessorio rispetto a quelle che definiscono l’essenza stessa del rapporto contrattuale (v., in tal senso, sentenza del 20 settembre 2017, Andriciuc e a., C‑186/16, EU:C:2017:703, punti 3536 e giurisprudenza ivi citata). Nel caso di specie, le prestazioni principali sono quelle elencate al punto 21 della presente sentenza, mentre la clausola di rinuncia agli atti è piuttosto intesa a sanzionare il comportamento del cliente che agisce contro il parere del suo avvocato. La clausola in parola non rientra pertanto in detta categoria.

    79

    Per quanto riguarda la categoria di clausole contrattuali relative alla perequazione tra il prezzo e il servizio, neppure detta categoria comprende la clausola di rinuncia agli atti, atteso che una siffatta clausola non prevede una remunerazione per un servizio fornito, ma si limita a sanzionare la violazione di un obbligo contrattuale (v., per analogia, sentenza del 30 aprile 2014, Kásler e Káslerné Rábai, C‑26/13, EU:C:2014:282, punto 58).

    80

    Di conseguenza, occorre rispondere alla terza questione dichiarando che l’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13 deve essere interpretato nel senso che non rientra nell’eccezione prevista in tale disposizione una clausola di un contratto stipulato tra un avvocato e il suo cliente ai sensi della quale il cliente si impegna a seguire le istruzioni di tale avvocato, a non agire all’insaputa o contro il parere di quest’ultimo e a non rinunciare egli stesso agli atti del procedimento giudiziario per il quale si è avvalso dell’assistenza di detto avvocato, pena il versamento di una penalità pecuniaria.

    Sulla quarta questione

    81

    Alla luce della risposta fornita alla terza questione, non occorre rispondere alla quarta questione.

    Sulla quinta questione

    82

    Con la sua quinta questione il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se la direttiva 2005/29 debba essere interpretata nel senso che l’inserzione, nel contratto stipulato tra un avvocato e il suo cliente, di una clausola che preveda una penalità pecuniaria a carico di quest’ultimo nel caso in cui egli stesso rinunci agli atti del procedimento giudiziario per il quale si è avvalso dell’assistenza di detto avvocato, clausola che operi un rinvio al tariffario di un ordine professionale e non sia stata menzionata né nell’offerta commerciale né nell’ambito delle informazioni preliminari alla stipula del contratto, può essere considerata una pratica commerciale sleale, ai sensi della direttiva in parola.

    83

    Per rispondere a tale questione occorre rammentare, innanzitutto, che l’articolo 2, lettera d), della direttiva 2005/29 definisce, impiegando una formulazione particolarmente estesa, la nozione di «pratica commerciale» come «qualsiasi azione, omissione, condotta o dichiarazione, comunicazione commerciale ivi compresi la pubblicità e il marketing, posta in essere da un professionista, direttamente connessa alla promozione, vendita o fornitura di un prodotto ai consumatori» (sentenza del 15 marzo 2012, Pereničová e Perenič, C‑453/10, EU:C:2012:144, punto 38 e giurisprudenza ivi citata).

    84

    Inoltre, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 2005/29, in combinato disposto con l’articolo 2, lettera c), della medesima, tale direttiva si applica alle pratiche commerciali sleali delle imprese nei confronti dei consumatori, poste in essere prima, durante o dopo un’operazione commerciale relativa a un prodotto o a un servizio. Conformemente all’articolo 5, paragrafo 4, di detta direttiva, sono sleali, in particolare, le pratiche ingannevoli di cui agli articoli 6 e 7 della stessa.

    85

    Infine, come risulta dall’articolo 7, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2005/29, è considerata ingannevole una pratica commerciale che nella fattispecie concreta, tenuto conto di tutte le caratteristiche e circostanze del caso, nonché dei limiti del mezzo di comunicazione impiegato, ometta, occulti o presenti in modo oscuro informazioni rilevanti di cui il consumatore medio ha bisogno in tale contesto per prendere una decisione consapevole di natura commerciale e induca o sia idonea ad indurre in tal modo il consumatore medio ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso.

    86

    Nel caso di specie, l’inserzione in un contratto stipulato tra l’avvocato e il suo cliente di una clausola come la clausola di rinuncia agli atti, senza che essa sia stata menzionata nell’offerta commerciale o nell’ambito delle informazioni preliminari alla stipula del contratto, costituisce a priori un’omessa comunicazione di informazioni rilevanti o un occultamento di informazioni siffatte tale da influire sulla decisione presa dal consumatore di impegnarsi in detto rapporto contrattuale. Infatti, dal fascicolo sottoposto alla Corte risulta che tale clausola rinvia, per il calcolo della penale contrattuale da essa prevista, al tariffario dell’ordine professionale degli avvocati di Siviglia il cui contenuto sarebbe difficilmente accessibile e comprensibile e, in caso di applicazione di detta clausola, che il consumatore sarebbe tenuto al pagamento di una penale contrattuale che potrebbe raggiungere un importo significativo, se non addirittura sproporzionato rispetto al prezzo dei servizi forniti sulla base di detto contratto. Spetta tuttavia al giudice del rinvio verificare tale aspetto.

    87

    Alla luce delle considerazioni che precedono, si deve rispondere alla quinta questione dichiarando che la direttiva 2005/29 deve essere interpretata nel senso che l’inserzione, in un contratto stipulato tra un avvocato e il suo cliente, di una clausola che preveda una penalità pecuniaria a carico di quest’ultimo nel caso in cui egli stesso rinunci agli atti del procedimento giudiziario per il quale si è avvalso dell’assistenza di detto avvocato, clausola che operi un rinvio al tariffario di un ordine professionale e non sia stata menzionata né nell’offerta commerciale né nell’ambito delle informazioni preliminari alla stipula del contratto, deve essere qualificata come pratica commerciale «ingannevole» ai sensi dell’articolo 7 di tale direttiva, sempreché essa induca o sia idonea ad indurre il consumatore medio ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso, circostanza che spetta al giudice nazionale verificare.

    Sulle spese

    88

    Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

     

    Per questi motivi, la Corte (Nona Sezione) dichiara:

     

    1)

    La direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, come modificata dalla direttiva 2011/83/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2011, letta alla luce del principio di effettività e dell’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea,

    deve essere interpretata nel senso che:

    essa osta a una normativa nazionale relativa a un procedimento sommario per il pagamento di onorari di avvocato in forza della quale la domanda proposta nei confronti del cliente consumatore costituisce oggetto di una decisione emessa da un’autorità non giurisdizionale e l’intervento di un giudice è previsto solo nella fase dell’eventuale ricorso avverso detta decisione, senza che il giudice adito in tale occasione possa controllare, se necessario d’ufficio, se le clausole contenute nel contratto all’origine degli onorari richiesti abbiano carattere abusivo, né ammettere la produzione, ad opera delle parti, di prove diverse da quelle documentali già fornite dinanzi all’autorità non giurisdizionale.

     

    2)

    L’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13, come modificata dalla direttiva 2011/83,

    deve essere interpretato nel senso che:

    non rientra nell’eccezione prevista in tale disposizione una clausola di un contratto stipulato tra un avvocato e il suo cliente ai sensi della quale il cliente si impegna a seguire le istruzioni di tale avvocato, a non agire all’insaputa o contro il parere di quest’ultimo e a non rinunciare egli stesso agli atti del procedimento giudiziario per il quale si è avvalso dell’assistenza di detto avvocato, pena il versamento di una penalità pecuniaria.

     

    3)

    La direttiva 2005/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 maggio 2005, relativa alle pratiche commerciali sleali delle imprese nei confronti dei consumatori nel mercato interno e che modifica la direttiva 84/450/CEE del Consiglio e le direttive 97/7/CE, 98/27/CE e 2002/65/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e il regolamento (CE) n. 2006/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio,

    deve essere interpretata nel senso che:

    l’inserzione, in un contratto stipulato tra un avvocato e il suo cliente, di una clausola che preveda una penalità pecuniaria a carico di quest’ultimo nel caso in cui egli stesso rinunci agli atti del procedimento giudiziario per il quale si è avvalso dell’assistenza di detto avvocato, clausola che operi un rinvio al tariffario di un ordine professionale e non sia stata menzionata né nell’offerta commerciale né nell’ambito delle informazioni preliminari alla stipula del contratto, deve essere qualificata come pratica commerciale «ingannevole» ai sensi dell’articolo 7 di tale direttiva, sempreché essa induca o sia idonea ad indurre il consumatore medio ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso, circostanza che spetta al giudice nazionale verificare.

     

    Firme


    ( *1 ) Lingua processuale: lo spagnolo.

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