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Documento 62017CC0556

    Conclusioni dell’avvocato generale M. Bobek, presentate il 30 aprile 2019.
    Alekszij Torubarov contro Bevándorlási és Menekültügyi Hivatal.
    Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Pécsi Közigazgatási és Munkaügyi Bíróság.
    Rinvio pregiudiziale – Politica comune in materia di asilo e di protezione sussidiaria – Procedure comuni ai fini del riconoscimento della protezione internazionale – Direttiva 2013/32/UE – Articolo 46, paragrafo 3 – Esame completo ed ex nunc – Articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – Diritto a un ricorso effettivo – Portata dei poteri del giudice di primo grado – Assenza di potere di riforma – Rifiuto dell’autorità amministrativa o quasi giurisdizionale competente di conformarsi a una decisione di tale giudice.
    Causa C-556/17.

    Raccolta della giurisprudenza - generale - Sezione "Informazioni sulle decisioni non pubblicate"

    Identificatore ECLI: ECLI:EU:C:2019:339

    CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

    MICHAL BOBEK

    presentate il 30 aprile 2019 ( 1 )

    Causa C‑556/17

    Alekszij Torubarov

    contro

    Bevándorlási és Menekültügyi Hivatal

    [domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Pécsi Közigazgatási és Munkaügyi Bíróság (Tribunale amministrativo e del lavoro di Pécs, Ungheria)]

    «Rinvio pregiudiziale – Spazio di libertà, sicurezza e giustizia – Controlli alle frontiere esterne, asilo e immigrazione – Procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca della protezione internazionale – Controllo giurisdizionale delle decisioni amministrative relative alle domande di protezione internazionale – Diritto a un ricorso effettivo – Competenza del giudice nazionale limitata al potere di annullamento»

    I. Introduzione

    1.

    Il tennistavolo (o Ping-Pong, secondo la sua denominazione commerciale) è uno sport famoso, le cui origini sembrano risalire all’Inghilterra del diciannovesimo secolo o dell’inizio del ventesimo secolo. ‘Lo scopo [del gioco] consiste nel colpire la pallina in modo che superi la rete e rimbalzi nella metà campo altrui, in modo tale che l’avversario non riesca a raggiungerla o restituirla correttamente’. A questa definizione di base l’Encyclopædia Britannica aggiunge un interessante aneddoto storico: ‘il primo campionato mondiale si è tenuto a Londra nel 1926 e, da allora fino al 1939, tale sport è stato dominato da giocatori provenienti dall’Europa centrale, ove le competizioni maschili sono state vinte nove volte dall’Ungheria e due volte dalla Cecoslovacchia ( 2 ).

    2.

    Sfortunatamente, esiste un’altra versione del gioco, in generale meno divertente. Nel gergo giuridico ceco, ma probabilmente non solo in tale contesto, si parla di «ping pong legale» o «processuale» in riferimento alla sgradevole situazione in cui un caso rimbalza ripetutamente tra giudici nell’ambito di una struttura giudiziaria o, nel contesto della giustizia amministrativa, tra giudici e autorità amministrative.

    3.

    La presente causa e le questioni che essa pone potrebbero confermare l’ipotesi secondo cui la popolarità del gioco nell’Europa centrale, sfortunatamente nella sua ultima versione, quella legale, non è confinata ai libri di storia e alle enciclopedie.

    4.

    Nel 2015, il legislatore ungherese ha modificato la competenza dei giudici per quanto concerne il controllo delle decisioni amministrative in materia di asilo, eliminando la possibilità di riformare direttamente una decisione e attribuendo loro il mero potere di annullare e rinviare. Di conseguenza, i giudici nazionali non hanno il potere di sostituire tali decisioni quando le reputano illegittime. Essi possono soltanto annullare la decisione e rinviare il caso all’autorità amministrativa affinché adotti una nuova decisione.

    5.

    Il sig. A. Torubarov (in prosieguo: il «ricorrente») ha presentato domanda di protezione internazionale in Ungheria nel 2013. La sua domanda è stata respinta per due volte dall’autorità amministrativa. Entrambe tali decisioni di diniego sono state annullate, per motivi diversi, dal giudice del rinvio. In seguito, l’autorità amministrativa ha respinto la domanda per la terza volta, apparentemente in violazione degli orientamenti giuridici espressi dal giudice del rinvio nella seconda sentenza di annullamento della seconda decisione amministrativa.

    6.

    Il giudice del rinvio si trova ora a decidere sulla questione per la terza volta. Di fronte al problema di un’autorità amministrativa restia ad attenersi a una decisione giudiziale, detto giudice chiede se il potere di riformare la decisione amministrativa in questione possa discendere dal diritto dell’Unione e, più in particolare, dalla direttiva 2013/32/UE, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale (in prosieguo: la «direttiva 2013/32») ( 3 ), interpretata alla luce dell’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»).

    7.

    La risposta è affermativa.

    II. Contesto normativo

    A.   Diritto dell’Unione

    8.

    L’articolo 46, paragrafi 1, lettera a), e 3, della direttiva 2013/32 prevede quanto segue:

    «1.   Gli Stati membri dispongono che il richiedente abbia diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice avverso i seguenti casi:

    a)

    la decisione sulla sua domanda di protezione internazionale, compresa la decisione:

    i)

    di ritenere la domanda infondata in relazione allo status di rifugiato e/o allo status di protezione sussidiaria;

    (…)

    3.   Per conformarsi al paragrafo 1 gli Stati membri assicurano che un ricorso effettivo preveda l’esame completo ed ex nunc degli elementi di fatto e di diritto compreso, se del caso, l’esame delle esigenze di protezione internazionale ai sensi della direttiva 2011/95/UE ( 4 ), quanto meno nei procedimenti di impugnazione dinanzi al giudice di primo grado».

    9.

    L’articolo 52 della direttiva 2013/32 contiene le seguenti disposizioni transitorie:

    «Gli Stati membri applicano le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative di cui all’articolo 51, paragrafo 1, alle domande di protezione internazionale presentate e alle procedure di revoca della protezione internazionale avviate dopo il 20 luglio 2015 o ad una data precedente. Alle domande presentate prima del 20 luglio 2015 e alle procedure di revoca dello status di rifugiato avviate prima di tale data si applicano le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative adottate ai sensi della direttiva 2005/85/CE ( 5 ).

    (…)».

    10.

    Le «disposizioni legislative, regolamentari e amministrative di cui all’articolo 51, paragrafo 1» della direttiva 2013/32 comprendono le misure relative all’attuazione dell’articolo 46 delle medesima direttiva.

    B.   Diritto ungherese

    11.

    L’articolo 46, paragrafo 1, lettera a), della évi LXXX. törvény a menedékjogról del 2007 (legge LXXX del 2007 sul diritto d’asilo; in prosieguo: la «legge sul diritto d’asilo») prevede quanto segue:

    «Nei procedimenti in materia di asilo condotti dall’autorità per i rifugiati:

    a)

    non è ammessa impugnazione e non può essere richiesta la riapertura del caso».

    12.

    L’articolo 68, paragrafi 5 e 6, della legge sul diritto d’asilo così dispone:

    «5   Il giudice non riforma la decisione dell’autorità per i rifugiati. Il giudice annulla le decisioni amministrative che reputa illegittime, fatta eccezione per la violazione di norme procedurali che non incidono sul merito e, se necessario, ordina all’autorità competente in materia di asilo di avviare un nuovo procedimento.

    6   La decisione adottata dal giudice al termine del procedimento è definitiva e non impugnabile».

    13.

    L’articolo 339, paragrafo 1, della évi III. törvény a polgári perrendtartásról del 1952 (legge III del 1952 sul codice di procedura civile, in prosieguo: il «CPC», stabilisce quanto segue:

    «Salvo diversamente disposto dalla legislazione pertinente, il giudice annulla le decisioni amministrative che reputa illegittime, fatta eccezione per la violazione di norme procedurali che non incidono sul merito del caso, e, se necessario, ordina all’autorità amministrativa di avviare un nuovo procedimento».

    14.

    L’articolo 109, paragrafo 4, della évi CXL. törvény a közigazgatási hatósági eljárás és szolgáltatás általános szabályairól del 2004 (legge CXL del 2004 che stabilisce disposizioni generali in materia di procedimento e servizi amministrativi; in prosieguo: la «legge in materia di procedimento e di servizi amministrativi») prevede quanto segue:

    «L’autorità è vincolata al dispositivo e alle motivazioni della decisione adottata dal giudice competente in materia di ricorsi amministrativi e si conforma ad essi nel nuovo procedimento e all’atto di adozione di una decisione».

    15.

    L’articolo 121, paragrafo 1, lettera f), della legge in materia di procedimento e di servizi amministrativi così dispone:

    «Nei procedimenti disciplinati dal presente capo, le decisioni sono annullate nei seguenti casi:

    (…)

    f) quando il contenuto della decisione è in contrasto con quanto stabilito nei paragrafi 3 e 4 dell’articolo 109».

    III. Fatti, procedimento nazionale e questione proposta

    16.

    Il ricorrente è un uomo d’affari russo che era membro del partito russo di opposizione denominato «Causa Giusta». Inoltre, era membro dell’organizzazione della società civile denominata «Russia Commerciale Attiva», che sostiene gli imprenditori in tale paese.

    17.

    Dal 2008, sono stati promossi nei confronti del ricorrente vari procedimenti penali in Russia. Il ricorrente si è recato in Austria e, in seguito, nella Repubblica ceca. Da tale paese è stato estradato in Russia, il 2 maggio 2013, in forza di un mandato di arresto internazionale. Una volta ritornato in Russia, sono state mosse accuse nei confronti del ricorrente che, tuttavia, è stato successivamente rilasciato.

    18.

    Il 9 dicembre 2013, il ricorrente ha attraversato il confine ungherese. Lo stesso giorno è stato arrestato dalla polizia di frontiera ungherese e ha presentato domanda di protezione internazionale.

    19.

    Con decisione del 15 agosto 2014, l’autorità ungherese competente in materia di asilo, il Bevándorlási és Menekültügyi Hivatal (ufficio per l’immigrazione e la cittadinanza, in prosieguo: il «convenuto») ha respinto la domanda (in prosieguo: la «prima decisione amministrativa»). Ad avviso del convenuto, né le dichiarazioni del ricorrente, né le informazioni sul paese d’origine consentivano di sostenere che egli fosse esposto a un reale rischio di persecuzione o danni gravi.

    20.

    Il ricorrente ha promosso il controllo giurisdizionale della prima decisione amministrativa dinanzi al giudice del rinvio, il quale, con sentenza del 6 maggio 2015 (in prosieguo: la «prima decisione giudiziale»), ha annullato la decisione del convenuto, ingiungendo a quest’ultimo di avviare un nuovo procedimento. Tale giudice ha osservato che la prima decisione amministrativa conteneva contraddizioni interne, che il convenuto non aveva esaminato una serie di fatti e che aveva valutato in modo confuso i fatti accertati. Il giudice ha ordinato al convenuto di integrare la sua ricerca delle informazioni sul paese d’origine e di condurre un esame completo dei fatti e delle prove nell’ambito di un nuovo procedimento.

    21.

    Con la sua seconda decisione, adottata il 22 giugno 2016, il convenuto ha respinto nuovamente la domanda in questione (in prosieguo: la «seconda decisione amministrativa»). Esso ha ritenuto che, sebbene fossero stati avviati vari procedimenti penali nei confronti del ricorrente in Russia, per motivi politici, tale paese garantisce al ricorrente il diritto a un processo equo dinanzi a un giudice indipendente. Il convenuto ha richiamato, inoltre, un parere dell’Alkotmányvédelmi Hivatal (ufficio ungherese per la tutela della costituzione, Ungheria). Il convenuto ha dichiarato che la presenza del ricorrente in Ungheria ledeva interessi di sicurezza nazionale, dal momento che esistevano ragioni per presumere che, nel caso del ricorrente, sussistesse il motivo di esclusione di cui all’articolo 1 F), lettera c), della convenzione di Ginevra del 1951 relativa allo status dei rifugiati ( 6 ).

    22.

    Il ricorrente ha proposto ricorso contro la seconda decisione amministrativa dinanzi al giudice del rinvio. Con la sua seconda sentenza, del 25 febbraio 2017, (in prosieguo: la «seconda decisione giudiziale»), il giudice del rinvio ha annullato tale decisione. Esso ha ritenuto illegittima la decisione del convenuto per due motivi: in primo luogo, a causa della valutazione manifestamente incoerente delle informazioni sul paese di origine e, in secondo luogo, in quanto era fondata sul parere reso dall’ufficio ungherese per la tutela della costituzione, che conteneva dati riservati.

    23.

    Per quanto concerne il primo aspetto, il giudice del rinvio ha ritenuto che fosse stato debitamente provato che il ricorrente nutriva un fondato timore di persecuzione politica. In relazione al secondo aspetto, il giudice del rinvio ha dichiarato che la valutazione del parere era manifestamente incoerente, poiché dal parere non si evinceva che il ricorrente potesse essere coinvolto in attività di servizi segreti stranieri tali da pregiudicare l’indipendenza o gli interessi politici, economici, di difesa o altri interessi rilevanti dell’Ungheria e, d’altra parte, non si poteva affermare che sussistesse il motivo di esclusione di cui all’articolo 1 F), lettera c), della convenzione di Ginevra del 1951 relativa allo status dei rifugiati.

    24.

    Pertanto, il giudice del rinvio ha raccomandato al convenuto di avviare un nuovo procedimento. Nella motivazione della decisione, detto giudice indica che la domanda di protezione internazionale del ricorrente, in linea di principio, deve essere accolta.

    25.

    Con la sua decisione del 15 maggio 2017, il convenuto ha respinto per la terza volta la richiesta del ricorrente e ha dichiarato inapplicabile il principio di non respingimento (in prosieguo: la «terza decisione amministrativa»), senza più fondarsi sul parere menzionato supra. Esso confermava, tuttavia, che non era stato dimostrato che il timore di persecuzione per motivi politici del ricorrente fosse fondato.

    26.

    Con ricorso promosso avverso la terza decisione amministrativa, il ricorrente chiede al giudice del rinvio la riforma della decisione del convenuto e il riconoscimento dello status di rifugiato o, quantomeno, il riconoscimento della protezione sussidiaria o l’applicazione del principio di non respingimento. In subordine, il ricorrente chiede che sia annullata la terza decisione amministrativa. Su quest’ultimo punto, fa valere che, conformemente alla seconda decisione giudiziale, avrebbe dovuto essergli riconosciuto lo status di rifugiato, fatta salva soltanto l’esistenza di un motivo di esclusione. A suo avviso, la terza decisione amministrativa è invalida, poiché non rispetta la precedente sentenza del giudice.

    27.

    Il convenuto ribadisce la posizione adottata nella terza decisione amministrativa.

    28.

    Il giudice del rinvio osserva che il convenuto non si è conformato alla seconda decisione giudiziale, circostanza che integra un motivo di annullamento ai sensi dell’articolo 109, paragrafi 3 e 4, della legge in materia di procedimento e di servizi amministrativi. Tale giudice rileva altresì che, ai sensi delle pertinenti disposizioni nazionali, esso non possiede la competenza per riformare una decisione amministrativa e accogliere direttamente la domanda di protezione internazionale del richiedente. Esso non possiede nemmeno il potere di obbligare l’autorità competente in materia di asilo a conformarsi a una precedente sentenza, ad esempio sanzionandola per non aver agito in tal senso. Tale giudice può soltanto annullare la decisione amministrativa invalida e ingiungere all’autorità competente in materia di asilo di avviare un nuovo procedimento e adottare una nuova decisione. Tuttavia, ciò può sfociare in un ciclo procedurale infinito, lasciando il richiedente asilo intrappolato in una situazione di incertezza giuridica.

    29.

    Alla luce di tali circostanze, il Pécsi Közigazgatási és Munkaügyi Bíróság (Tribunale amministrativo e del lavoro di Pécs, Ungheria) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:

    «Se l’articolo 46, paragrafo 3, della [direttiva 2013/32/UE], in combinato disposto con l’articolo 47 della [Carta], debba essere interpretato nel senso che i giudici ungheresi hanno il potere di riformare le decisioni amministrative dell’autorità competente in materia di asilo con cui viene negata la protezione internazionale, nonché di concedere detta protezione».

    30.

    Il ricorrente, i governi slovacco e ungherese e la Commissione europea hanno presentato osservazioni scritte. Il ricorrente, il governo ungherese e la Commissione europea hanno presentato osservazioni orali all’udienza dell’8 gennaio 2019.

    IV. Valutazione

    31.

    Le presenti conclusioni sono articolate come segue. Inizierò con due osservazioni preliminari sull’applicabilità ratione temporis della direttiva 2013/32 alla presente causa e sulla terminologia adottata nelle presenti conclusioni. (A). In seguito, enucleerò i requisiti derivanti dall’obbligo di garantire un ricorso giurisdizionale effettivo, contenuto nell’articolo 46, paragrafo 3, della direttiva, nonché nell’articolo 47 della Carta e nel diritto dell’Unione in generale (B). Quindi, valuterò il funzionamento del controllo giurisdizionale delle decisioni amministrative in materia di protezione internazionale adottate in Ungheria alla luce di tali requisiti. (C). Dopo essere giunto, inevitabilmente, alla conclusione secondo cui tale sistema di controllo giurisdizionale si dimostra insoddisfacente, in particolare per quanto concerne la garanzia di una tutela giurisdizionale effettiva, concluderò offrendo alcuni suggerimenti in merito a quale rimedio debba applicarsi nelle circostanze di cui al procedimento principale (D).

    A.   Osservazioni preliminari

    1. Applicazione nel tempo

    32.

    Il ricorrente ha presentato la sua domanda prima del 20 luglio 2015. In linea di principio, tale data determina, ai sensi dell’articolo 52 della direttiva 2013/32, l’applicabilità delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative adottate a norma di quest’ultima direttiva. Ai sensi della stessa disposizione, tuttavia, tale direttiva potrebbe applicarsi (per quanto qui interessa) anche alle domande di protezione internazionale presentate anteriormente al 20 luglio 2015.

    33.

    Su richiesta della Corte, il giudice del rinvio ha confermato che, in Ungheria, la direttiva 2013/32 si applica anche alle domande di protezione internazionale presentate prima del 20 luglio 2015. Ai sensi del diritto nazionale, la circostanza rilevante per determinare l’applicabilità della direttiva 2013/32 risulta essere la data in cui è stata adottata la pertinente decisione amministrativa o giudiziale.

    34.

    Nella presente causa, la pertinente decisione amministrativa (la terza) è stata adottata il 15 maggio 2017. Di conseguenza, proseguirò nel presupposto che la direttiva 2013/32 sia applicabile ratione temporis alla controversia di cui al procedimento principale.

    2. Terminologia

    35.

    Nelle presenti conclusioni, farò riferimento a due tipi di sindacato delle decisioni di autorità amministrative: la riforma e l’annullamento. A tal proposito, l’elemento distintivo risiede nella facoltà del giudice nazionale di sostituire con la propria valutazione la decisione amministrativa sul merito.

    36.

    Per riforma (della decisione amministrativa da parte di un giudice) intendo una situazione in cui una parte o la totalità (del dispositivo) della decisione di un’autorità amministrativa è annullata e immediatamente modificata (sostituita) dalla decisione di un giudice. Pertanto, se il giudice che esamina la decisione ritiene di poter decidere il merito del caso, egli adotta una (parziale) decisione sul merito stesso, senza necessità di rinviare il caso all’autorità amministrativa. Quindi, la decisione giudiziale sostituisce (in parte o integralmente) la decisione amministrativa.

    37.

    Per annullamento (della decisione amministrativa da parte di un giudice) mi riferisco a un assetto istituzionale in cui il giudice nazionale non può sostituire direttamente una parte della decisione amministrativa con la propria decisione. Esso può unicamente invalidare o annullare (parzialmente o nella sua interezza) la decisione amministrativa e rinviare il caso all’autorità amministrativa per una nuova valutazione.

    B.   Tutela giurisdizionale effettiva

    38.

    La Corte ha già avuto opportunità di chiarire, nella sua recente sentenza nella causa Alheto ( 7 ), alcuni aspetti concernenti il requisito della tutela giurisdizionale effettiva ai sensi dell’articolo 46, paragrafo 3, della direttiva 2013/32, interpretato alla luce dell’articolo 47 della Carta (1). Tuttavia, ai fini della presente causa, assumono rilevanza anche considerazioni più ampie di carattere costituzionale e concernenti i diritti fondamentali (2).

    1. Alheto

    39.

    L’articolo 46, paragrafo 3, della direttiva 2013/32 «precisa la portata del diritto al ricorso effettivo di cui i richiedenti protezione internazionale (…) devono disporre avverso le decisioni sulla loro domanda». Tale disposizione esige espressamente «l’esame completo ed ex nunc degli elementi di fatto e di diritto compreso, se del caso, l’esame delle esigenze di protezione internazionale» da parte di un giudice ( 8 ). In un’altra sentenza, la Corte ha altresì osservato che «[n]e consegue che le caratteristiche del ricorso previsto dall’articolo 46 della direttiva 2013/32 devono essere determinat[e] conformemente all’articolo 47 della Carta, che costituisce una riaffermazione del principio della tutela giurisdizionale effettiva» ( 9 ).

    40.

    Rammento che l’articolo 47, paragrafo 1, della Carta ( 10 ) corrisponde, in linea di principio, all’articolo 13 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (in prosieguo: la «CEDU»), mentre l’articolo 47, paragrafo 2, ricalca l’articolo 6, paragrafo 1, della CEDU ( 11 ). In virtù del collegamento di cui all’articolo 52, paragrafo 3, della Carta, il significato e la portata attribuiti a tali disposizioni della Carta dovrebbero essere uguali (o più estesi) rispetto al significato e alla portata delle summenzionate disposizioni della CEDU.

    41.

    La sentenza Alheto ha evidenziato tre punti cruciali.

    42.

    In primo luogo, come rilevato dalla Corte in tale sentenza, in risposta alla sesta questione, l’articolo 46, paragrafo 3, della direttiva 2013/32, letto in combinato disposto con l’articolo 47 della Carta, è «muto», ex ante, quanto al tipo di controllo giurisdizionale che uno Stato membro ha previsto nell’attuazione di tale articolo. La Corte ha osservato che l’articolo 46, paragrafo 3, della direttiva 2013/32 si riferisce «all’“esame” dell’impugnazione e non riguarda, pertanto, l’esito di un eventuale annullamento della decisione oggetto di tale impugnazione» ( 12 ). Ne discende che, in assenza di qualsivoglia misura di armonizzazione, gli Stati membri sono liberi di istituire un controllo fondato sulla logica della riforma o dell’annullamento.

    43.

    In secondo luogo, tuttavia, tale affermazione è accompagnata da significativi vincoli. La Corte ha aggiunto, inoltre, che «dal suo obiettivo consistente nell’assicurare un trattamento quanto più rapido possibile delle domande (…), dall’obbligo di garantire un effetto utile all’articolo 46, paragrafo 3 [della direttiva 2013/32], nonché dalla necessità, derivante dall’articolo 47 della Carta, di garantire l’effettività del ricorso, emerge nondimeno che ogni Stato membro vincolato da detta direttiva deve adattare il suo diritto nazionale di modo che, in seguito all’annullamento della decisione iniziale e in caso di rinvio del fascicolo all’organo quasi giurisdizionale o amministrativo di cui all’articolo 2, lettera f), di tale direttiva, sia adottata entro un breve termine una nuova decisione che sia conforme alla valutazione contenuta nella sentenza che ha disposto l’annullamento» ( 13 ).

    44.

    Pertanto, la risposta della Corte implica quanto segue: sebbene dall’articolo 46, paragrafo 3, della direttiva 2013/32 non derivi alcun obbligo che imponga agli Stati membri di recepire tale disposizione attribuendo ai giudici nazionali il potere di decidere essi stessi sul merito della domanda, la preservazione degli effetti pratici di tale disposizione esige che un giudice abbia il potere di formulare orientamenti obbligatori che devono essere rispettati e attuati dall’autorità amministrativa in modo celere ( 14 ).

    45.

    In terzo luogo, quest’ultimo requisito deve essere letto in combinato disposto con la risposta che la Corte ha fornito alla terza questione posta nella stessa causa, che chiarisce il significato dell’esame completo ed ex nunc da parte di un giudice ai sensi dell’articolo 46, paragrafo 3, della direttiva 2013/32 ( 15 ). A tale riguardo, la Corte ha precisato che il termine «ex nunc» fa riferimento all’obbligo, per il giudice, di procedere a «una valutazione che tenga conto (…) dei nuovi elementi intervenuti dopo l’adozione della decisione oggetto dell’impugnazione» ( 16 ).

    46.

    L’aggettivo «completo» chiarisce che il ruolo del giudice non si limita alla verifica del «rispetto delle norme di diritto applicabili ma si estend[e] all’accertamento e alla valutazione dei fatti» ( 17 ). A tal riguardo, un esame completo esige che il giudice valuti «sia gli elementi di cui l’autorità accertante ha tenuto o avrebbe potuto tenere conto sia di quelli che sono intervenuti dopo l’adozione della decisione» ( 18 ).

    47.

    Pertanto, in sintesi, in primo luogo, la direttiva 2013/32 non determina una modalità specifica di applicazione dell’articolo 46, paragrafo 3, di tale direttiva. Tale scelta spetta agli Stati membri, alla luce delle loro tradizioni e prassi giudiziarie e amministrative. Essi possono optare per la riforma delle decisioni o per il mero l’annullamento, oppure, ovviamente, anche per soluzioni ibride delle due opzioni. In secondo luogo, in entrambi i casi, il limite è determinato dalla necessità che tale controllo costituisca un esame completo, in cui sia le questioni di diritto, sia quelle di fatto possano essere oggetto di valutazione. In terzo luogo, qualora gli Stati membri optino per l’annullamento, essi devono garantire che il risultato del controllo giurisdizionale effettuato in tale forma sia rispettato in modo celere dall’autorità amministrativa quando tale autorità si pronunci nuovamente a seguito di una sentenza di annullamento della sua decisione.

    2. Contesto (costituzionale) più ampio

    48.

    Le precisazioni fornite dalla Corte nella sentenza Alheto costituiscono un’espressione, nel settore specifico della protezione internazionale, di principi più generali relativi al requisito del ricorso giurisdizionale effettivo attualmente sancito all’articolo 47 della Carta e richiamato dall’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, del TUE ( 19 ).

    49.

    Il controllo giurisdizionale effettivo costituisce il fondamento dello Stato di diritto, su cui, come sovente rammentato dalla Corte fin dalla sua sentenza nella causa Les Verts, si fonda l’Unione europea ( 20 ). Lo Stato di diritto rappresenta uno dei valori fondanti dell’Unione, sancito all’articolo 2 TUE, ed è «comun[e] agli Stati membri in una società caratterizzata, in particolare, dalla giustizia» ( 21 ).

    50.

    Il quintessenziale e immutabile ruolo del giudice (nazionale) è quello di garantire il rispetto del diritto e la protezione dei diritti individuali. Tale ruolo è svolto, tra l’altro, attraverso un controllo del giudice sulla pubblica amministrazione. Naturalmente non solo è possibile, ma anche auspicabile, che tale tutela sia già concessa a livello della pubblica amministrazione. Tuttavia, certamente, tale possibilità non inficia il diritto delle persone fisiche di promuovere il controllo giurisdizionale dell’azione della pubblica amministrazione, né il ruolo dei giudici amministrativi ( 22 ).

    51.

    Tale ruolo deve essere rispettato anche in sede di applicazione a livello nazionale del diritto dell’Unione. Quando i giudici nazionali agiscono come giudici dell’Unione, nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione ( 23 ), essi, ovviamente, adempiono lo stesso intrinseco dovere di garantire il rispetto del diritto e la protezione dei diritti dei singoli derivanti dal diritto dell’Unione a livello nazionale. Nel quadro della ripartizione costituzionale dei poteri in uno Stato membro, il ruolo del potere giudiziario è essenziale per l’efficace applicazione del diritto dell’Unione ( 24 ).

    52.

    Certamente, nella ripartizione delle competenze all’interno dell’Unione, tali decisioni devono essere limitate ai casi in cui gli Stati membri attuano il diritto dell’Unione (ai sensi dell’articolo 51, paragrafo 1, della Carta) e/o agiscono «nei settori disciplinati dal diritto dell’Unione» (ai sensi dell’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, del TUE).

    53.

    Per quanto ciò sia indubbiamente vero, ritengo utile distinguere, a tal proposito, due tipi di situazioni: da un lato, le questioni specifiche concernenti il ricorso o la procedura (con argomentazioni e considerazioni relative a un elemento distinto concernente l’apparato giudiziario e il suo funzionamento) e, dall’altro lato, le questioni di carattere orizzontale o trasversale (che permeano di sé ogni elemento della funzione giudiziaria nazionale). Mentre ai fini della discussione di situazioni del primo tipo, quali la possibile interpretazione della precisa forma e portata dei rimedi giurisdizionali in materia di protezione internazionale di cui all’articolo 46 della direttiva 2013/32, è necessario accertare che un caso rientri saldamente nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione, tale discussione riveste un’importanza limitata nel secondo tipo di casi, in cui le misure adottate a livello nazionale riguardano per definizione, in modo strutturale, l’intera funzione giudiziaria, indipendentemente dal fatto che un singolo caso sia deciso o meno ai sensi del diritto dell’Unione.

    54.

    Per questi motivi, comprendo appieno il motivo per cui la Corte, nella causa Associação Sindical dos Juízes Portugueses, non si è eccessivamente data cura di operare una precisa distinzione tra il campo di applicazione dell’articolo 19, paragrafo 1, TUE e/o dell’articolo 51, paragrafo 1, della Carta ( 25 ). A mio parere, la logica per cui il diritto dell’Unione penetra chiaramente in questioni concernenti modifiche trasversali, strutturali alla funzione giudiziaria nazionale è un altro: tutte le suddette modifiche saranno per definizione applicabili senza distinzione a tutte le funzioni esercitate dai giudici nazionali. Pertanto, se le retribuzioni dei giudici nazionali vengono ridotte ( 26 ) o se i giudici sono costretti a un pensionamento anticipato ( 27 ) o se, ipoteticamente, essi sono stati sottoposti a procedimenti disciplinari illegittimi o hanno subito pressioni da parte del presidente, di nomina politica, dell’organo giudiziario in cui operano, o da parte di altre istituzioni giudiziarie nazionali corrotte, o se, parimenti, sono intaccate altre condizioni di natura trasversale concernenti il loro lavoro e la loro funzione, qualsiasi teoria secondo cui ciò inciderebbe soltanto sull’espletamento delle loro funzioni come giudici «nazionali», mentre essi rimarrebbero perfettamente indipendenti per quanto concerne la loro azione in qualità di «giudici dell’Unione» cessa di essere un argomento che possa essere preso in considerazione seriamente.

    55.

    Pertanto, siffatte misure trasversali, di carattere orizzontale, che per definizione interessano l’intera azione delle magistrature nazionali costituiscono una questione di diritto dell’Unione, e questo, a mio avviso, indipendentemente dal fatto che la specifica questione procedurale che ha dato origine al contenzioso rientri o meno nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione nel senso tradizionale del termine. In tale contesto, una discussione dettagliata circa l’esatta portata dell’articolo 51, paragrafo 1, della Carta rispetto all’articolo 19, paragrafo 1, TUE, sembra un po’ come un dibattito sul colore da scegliere per il copriteiera o il servizio da tavola per la casa, accompagnato da un acceso scambio di vedute sulla tonalità che combina alla perfezione con le tende scelte per la sala da pranzo, ma che ignora il fatto che il tetto ha delle perdite, che le porte e le finestre della casa sono state rimosse e che stanno apparendo delle crepe nei muri. Tuttavia, il fatto che piova dentro casa e che le pareti si stiano sgretolando sarà sempre strutturalmente rilevante ai fini di qualsiasi discussione concernente lo stato della casa giudiziaria, indipendentemente dal fatto che la questione relativa al colore del copriteiera sia, alla fine, dichiarata come rientrante o meno nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione, ai sensi di qualsivoglia norma dell’Unione.

    56.

    Infine, potrebbe essere utile ricordare che tutte le garanzie istituzionali e costituzionali non sono fini a se stesse. Né esse sono previste a vantaggio dei giudici, bensì costituiscono il mezzo per raggiungere un altro scopo: assicurare una tutela giurisdizionale effettiva, a livello nazionale, dei diritti che il diritto dell’Unione attribuisce ai singoli e, pertanto, ancora una volta, l’essenza dello Stato di diritto ( 28 ).

    57.

    Nel punto in cui si incontrano tali principi costituzionali sorge la questione dell’esecuzione delle decisioni giudiziali, che costituisce un elemento necessario per l’effettivo e corretto funzionamento del sistema di tutela giurisdizionale, nonché del diritto a un ricorso effettivo ai sensi dell’articolo 47, paragrafo 1, della Carta. L’eventuale inosservanza dell’esito del controllo giurisdizionale può comportare problemi sotto due profili. Si tratta di aspetti che non si escludono a vicenda. Semplicemente, essi pongono il medesimo problema da due differenti punti di vista.

    58.

    In primo luogo, vi sono alcune questioni sistemiche, strutturali, relative allo Stato di diritto. Sebbene l’effettivo funzionamento del controllo giurisdizionale in un determinato settore sia sottoposto a regole specifiche (quali, nella presente causa, il requisito di cui al diritto dell’Unione di una competenza piena ed ex nunc) ( 29 ), una volta che il giudice ha preso posizione in una decisione definitiva, tale decisione deve essere osservata ed eseguita da tutte le parti alle quali è destinata, ivi compresa, ovviamente, la pubblica amministrazione. Tuttavia, se la pubblica amministrazione non si conforma a una decisione giudiziale definitiva, e se tale inosservanza non rappresenta un evento isolato, ciò pregiudica il corretto funzionamento di qualsiasi società fondata sulla premessa dello Stato di diritto e della separazione tra potere legislativo, esecutivo e giudiziario.

    59.

    In secondo luogo, dal punto di vista del singolo ricorrente e della la tutela dei suoi diritti fondamentali, l’osservanza della decisione giudiziale da parte della pubblica amministrazione costituisce un elemento importante del diritto di accesso a un giudice, quale sancito all’articolo 47, paragrafo 1, della Carta. Tale diritto non può essere ridotto alla fase «a monte», che conduce alla una decisione del giudice, cioè alla semplice possibilità di «accesso all’edificio del tribunale», proporre ricorso e avere la possibilità di perorare la propria causa. Esso include, ovviamente, anche determinati requisiti in merito all’«esito» dell’intero processo, vale a dire la fase dell’esecuzione della decisione definitiva.

    60.

    Come affermato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo (in prosieguo: la «Corte EDU») in sede di interpretazione dell’articolo 6, paragrafo 1, della CEDU, «il “diritto a un tribunale”, di cui il diritto d’accesso, vale a dire il diritto di adire un tribunale civile, costituisce un aspetto (…) sarebbe illusorio se l’ordinamento giuridico interno di uno Stato contraente permettesse che una decisione giudiziale definitiva e vincolante possa restare inoperante, a danno di una parte» ( 30 ). La Corte EDU ha aggiunto che «sarebbe inconcepibile che l’articolo [6, paragrafo 1, della CEDU] descriva nel dettaglio le garanzie procedurali riconosciute ai contendenti (…) senza tutelare l’esecuzione delle decisioni giudiziali; interpretare l’articolo [6, paragrafo 1, della CEDU] come concernente esclusivamente l’accesso a un giudice e lo svolgimento del procedimento potrebbe condurre a situazioni incompatibili con il principio dello Stato di diritto, che gli Stati contraenti si sono impegnati a rispettare all’atto di ratifica della convenzione».

    61.

    La Corte ha quindi concluso che «l’esecuzione di una decisione resa da qualsiasi giudice deve pertanto essere considerata parte integrante del “processo”, ai fini dell’articolo 6» ( 31 ). Inoltre, «tale principio riveste un’importanza ancora maggiore nel contesto dei procedimenti amministrativi relativi a una controversia il cui esito è determinante per i diritti civili del singolo». Soprattutto, «non ci si può attendere che un soggetto che abbia ottenuto una sentenza nei confronti dello Stato al termine di un procedimento giurisdizionale debba promuovere un distinto procedimento di esecuzione» ( 32 ).

    62.

    È in tale contesto generale che deve essere valutata la questione posta dal giudice del rinvio nella presente causa.

    C.   Sulla presente causa: tutela giurisdizionale effettiva

    63.

    La valutazione condotta dalla Corte nella sentenza Alheto possedeva natura generale e prospettica. La questione proposta era se l’articolo 46, paragrafo 3, della direttiva 2013/32, presupponesse un determinato metodo di attuazione. La risposta a tale questione, già indicata supra, ai paragrafi da 39 a 47 delle presenti conclusioni, è stata negativa. Trattasi di un aspetto che spetta agli Stati membri decidere, a condizione che le procedure istituite soddisfino determinati requisiti minimi quanto al loro efficace funzionamento.

    64.

    Di converso, la presente causa è specifica e, per sua natura, di carattere retrospettivo. In sostanza, essa inizia e continua nel punto in cui è stata lasciata la questione di cui alla sentenza Alheto. Nella presente causa, lo Stato membro ha già compiuto la sua scelta per quanto riguarda la struttura e l’assetto procedurale del modello nazionale in questione. La questione proposta dal giudice del rinvio è se tale specifica scelta procedurale nazionale sia, nella pratica – ove la pratica risulta dal procedimento principale –, compatibile con i requisiti di cui alla precedente sezione delle presenti conclusioni.

    65.

    La griglia analitica tradizionale per l’esame di tali scelte procedurali o istituzionali compiute dagli Stati membri è il duplice requisito dell’equivalenza e dell’effettività che, in mancanza di un’armonizzazione a livello dell’Unione, opera quale limite all’autonomia (procedurale) nazionale di base.

    66.

    Sebbene concordi sul fatto che, nella presente causa, il punto cruciale della questione sia la natura (in)efficace del sistema di controllo giurisdizionale nazionale quando sottoposto alla prova del requisito dell’effettività e dell’articolo 47, paragrafo 1, della Carta (2), ritengo comunque molto utile iniziare l’analisi con una discussione del requisito dell’equivalenza (1). Ciò anche perché, sulla base della portata del potere discrezionale assegnato agli Stati membri nella sentenza Alheto, per quanto riguarda le precise modalità in cui intendono strutturare le loro procedure ai sensi dell’articolo 46, paragrafo 3, della direttiva 2013/32, le considerazioni concernenti l’equivalenza sono state, di fatto, re(inserite) in un quadro che potrebbe altrimenti essere visto esclusivamente in relazione all’efficacia di una misura di armonizzazione dell’Unione.

    1. Equivalenza

    67.

    In sostanza, il requisito dell’equivalenza vieta a uno Stato membro di stabilire norme procedurali meno favorevoli per le azioni intese a garantire la tutela dei diritti spettanti ai singoli in forza del diritto dell’Unione rispetto a quelle applicabili ad azioni analoghe di natura interna ( 33 ).

    68.

    Al fine di procedere all’esame di tale requisito, è necessario chiarire con precisione quale regola dovrebbe essere esaminata e con quali altre norme essa dovrebbe essere confrontata.

    69.

    Per quanto riguarda il primo punto, emerge dall’ordinanza di rinvio e dalla discussione svoltasi in udienza che le norme nazionali che definiscono la portata del controllo giurisdizionale in materia di protezione internazionale si sono sviluppate nel corso di tre periodi distinti.

    70.

    In primo luogo, prima del 15 settembre 2015, il controllo giurisdizionale delle decisioni amministrative risultava disciplinato, in via generale, dalla logica dell’annullamento, mentre il potere di riforma costituiva un’eccezione ( 34 ). Il potere di riformare una decisione è stato attribuito ai giudici amministrativi in determinate materie, quali, ad esempio, le questioni relative allo status personale (come l’adozione o le iscrizioni concernenti dati personali all’anagrafe); in materie che richiedono una decisione celere (ad esempio per quanto concerne l’affidamento di minori o il loro collocamento in un istituto di accoglimento); in alcune questioni di natura economica (benessere familiare e prestazioni di sicurezza sociale, registrazione di diritti e fatti relativi a beni immobili, imposte, dazi e altri obblighi di pagamento, trasferimento di proprietà e uso di immobili residenziali); e in alcune questioni di particolare rilevanza storica (collocazione di materiale negli archivi generali, o la questione della durata del tempo trascorso come detenuto nell’ipotesi di custodia cautelare per la tutela della pubblica sicurezza, oppure nei campi di prigionia dell’Unione Sovietica). Anche le questioni concernenti la protezione internazionale (asilo) sono state incluse nell’elenco delle eccezioni di cui all’articolo 339, paragrafo 2, lettera j) del CPC. Il potere di riforma del giudice è stato riconosciuto dall’articolo 68, paragrafo 5, della legge sul diritto d’asilo ( 35 ). Pertanto, prima del 15 settembre 2015, i giudici nazionali avevano il potere di riformare le decisioni amministrative in materia di protezione internazionale.

    71.

    In secondo luogo, tra il 15 settembre 2015 e il 1o gennaio 2018, la regola di base dell’annullamento in materia di giustizia amministrativa è rimasta invariata ( 36 ), ma l’articolo 339, paragrafo 2, lettera j) del CPC, contenente l’eccezione relativa alle questioni in materia d’asilo, è stato abrogato ( 37 ). Pertanto, le questioni in materia di asilo sono state escluse dall’elenco delle eccezioni, con la conseguenza che si è tornati ad applicare la regola dell’annullamento. L’articolo 68, paragrafo 5, della legge sul diritto d’asilo è stato modificato come segue: «[i]l giudice non riforma la decisione dell’autorità per i rifugiati. Il giudice annulla le decisioni amministrative che reputa illegittime (…) e, se necessario, ordina all’autorità competente di avviare un nuovo procedimento».

    72.

    L’ordinanza di rinvio precisa che, secondo la motivazione di tale modifica data dal legislatore, il suo obiettivo era quello di assicurare l’uniformità delle decisioni dei giudici. Tuttavia, tale giustificazione è stata offerta dal legislatore con riferimento alla proposta originaria. Quest’ultima riguardava, inizialmente, soltanto il controllo giurisdizionale delle domande presentate in «zone di transito». Per contro, non risulta che sia stata fornita alcuna motivazione in relazione alla riforma finale, concepita in termini più generali, che riguarda il controllo giurisdizionale di tutte le domande di protezione internazionale (indipendentemente dal luogo in cui sono state presentate).

    73.

    In terzo luogo, dal 1o gennaio 2018, la regola generale di base applicabile al controllo giurisdizionale di decisioni amministrative è passata dalla regola dell’annullamento al potere di riforma, attraverso una nuova disposizione secondo cui «il giudice riforma l’atto amministrativo se la natura della causa lo consente, se i fatti sono correttamente accertati e se, sulla base delle informazioni disponibili, la controversia può essere decisa in via definitiva» ( 38 ). Tuttavia, il settore della protezione internazionale è rimasto escluso da tale nuova regola, poiché l’articolo 68, paragrafo 5, della legge sul diritto d’asilo è rimasto, in linea di principio, invariato ( 39 ). Pertanto, dal 1o gennaio 2018, la regola generale di base è rappresentata dal potere di riformare, ma le decisioni in materia di protezione internazionale rientrano tra le materie che restano soggette all’eccezione, restando sottoposte al principio dell’annullamento.

    74.

    Il procedimento nella causa principale sembra rientrare nell’ambito del secondo periodo, in cui le questioni relative alla protezione internazionale sono state escluse dall’elenco delle eccezioni, essendo quindi sottoposte alla regola di base dell’annullamento. Oggetto della presente valutazione sarà, dunque, tale regime.

    75.

    Passando ora al parametro alla luce del quale considerare il pertinente regime (il secondo), occorre osservare che le norme armonizzate di cui alla direttiva 2013/32 non sembrano possedere un equivalente «domestico» (nazionale) e, quindi, un termine di paragone. Infatti, il procedimento in questione appartiene a un’area di diritto armonizzata che è priva di qualsiasi equivalente nazionale diretto. In tali circostanze, i «ricorsi analoghi di natura interna», il «loro oggetto, [la] loro causa e [i] loro elementi essenziali» ( 40 ), che possono essere confrontati con il procedimento in questione, devono essere reperiti a un livello di astrazione più elevato, ricercando anche l’analogia più stretta possibile con il pertinente ricorso o regola di diritto dell’Unione nell’ordinamento giuridico nazionale ( 41 ). Tuttavia, l’analogia più stretta possibile non può essere tanto astratta da coprire un intero settore del diritto, circostanza che renderebbe impossibile il confronto.

    76.

    Sebbene il compimento di tale valutazione spetti, in ultima istanza, al giudice nazionale, sulla base della sua conoscenza delle norme procedurali nazionali specifiche, rilevo che, nel secondo periodo di cui supra (dal 15 settembre 2015 al 1o gennaio 2018), le questioni relative allo status personale e quelle la cui natura esige, in linea di principio, una decisione piuttosto celere (adozione, affidamento di minori o loro collocamento in un istituto di accoglimento) ( 42 ) sono rimaste escluse dalla regola di base dell’annullamento, a differenza delle questioni in materia di protezione internazionale.

    77.

    Tali aree del diritto, al pari di una decisione sulla protezione internazionale, riguardano elementi importanti dello status personale di un individuo, in relazione al quale ottenere un accertamento definitivo e celere della domanda risulta essenziale. Fatta salva la valutazione del giudice del rinvio quanto alla questione se si possa sostenere siffatta comparabilità alla luce dell’oggetto, della causa e degli elementi essenziali delle azioni in tali materie ( 43 ), risulta difficile individuare motivi e argomenti che giustifichino tale scostamento di carattere sistematico per quanto concerne le questioni di protezione internazionale.

    78.

    Desidero sottolineare chiaramente un punto: l’analisi appena condotta non costituisce una giustificazione a favore dell’immutabilità. Il fatto che, fino a un certo momento, vi fosse un determinato assetto procedurale non implica affatto che tale assetto procedurale non possa essere modificato in futuro. Tuttavia, la questione pertinente è per quale motivo si sia manifestata improvvisamente la necessità di una simile modifica, quando tale necessità non risulta essere stata avvertita in altri settori analoghi, che sono rimasti soggetti alle stesse norme.

    79.

    È su questo punto che gli argomenti dedotti dal governo ungherese non sono convincenti. Tale governo ha avanzato due argomenti concernenti il motivo per cui, nel 2015, si è reso necessario eliminare il potere dei giudici di riformare le decisioni e sostituirlo con il potere di mero annullamento e rinvio: in primo luogo, la particolare complessità e la difficoltà del settore della protezione internazionale, che esige conoscenze specifiche possedute soltanto dall’autorità amministrativa specializzata e, in secondo luogo, la necessità di assicurare l’uniformità del processo decisionale in tale settore.

    80.

    In primo luogo, pur non negando la delicatezza delle questioni concernenti l’asilo, mi lascia perplesso l’argomento secondo cui tale settore del diritto, a differenza di alcune altre materie elencate all’articolo 339, paragrafo 2, del CPC ( 44 ), quali le questioni relative allo status personale o quelle che richiedono una decisione celere, sarebbe così straordinariamente complesso da differenziarsi in tale misura.

    81.

    Inoltre, in secondo luogo, il governo ungherese giustifica la necessità di dotare i giudici, in tale settore, del solo potere di annullamento con la necessità di garantire l’uniformità delle decisioni. Tale necessità deriva, secondo detto governo, dal fatto che non possa essere proposta impugnazione avverso le decisioni giudiziali.

    82.

    A mio avviso, trattasi di un argomento curioso, in cui il carro è posto davanti ai buoi, per poi accusare i buoi di essere zoppi perché non sono in grado di trainare correttamente il carro. Se si vuole assicurare l’uniformità del processo decisionale giudiziario in uno specifico settore, il modo naturale di farlo è istituendo un organo giurisdizionale superiore il cui compito sia precisamente questo. Non vedo in che modo possa realizzarsi l’obiettivo dell’uniformità privando i giudici del potere di riformare le decisioni e assegnando all’amministrazione il potere di pronunciarsi sulla fondatezza delle domande di asilo. Fintantoché sia possibile un controllo, anche se di mero annullamento, affidato alla competenza di vari tribunali o persino di vari giudici, vi sarà, per definizione, il «pericolo» di esiti divergenti dinanzi alle varie istanze giurisdizionali. Oppure, piuttosto, quest’ultima conseguenza svela l’intera portata logica di tale argomento, che potrebbe essere parimenti utilizzato per suggerire che, al fine di mantenere l’uniformità della prassi decisionale dinanzi a una sola autorità amministrativa, non vi può essere alcun controllo giurisdizionale.

    83.

    Alla luce di tutti gli elementi di cui sopra, ritengo che gli argomenti dedotti dal governo ungherese per chiarire perché, per sua natura, il settore della protezione internazionale doveva ricevere un trattamento particolare siano difficili da sostenere.

    84.

    Tale difficoltà è ancora più evidente se si prende in considerazione, come argomento sussidiario, il periodo di tempo successivo alla riforma del 1o gennaio 2018, che ha modificato la regola di base dell’annullamento (all’epoca applicabile in tutti i settori di controllo giurisdizionale delle decisioni amministrative), introducendo la regola della riforma e lasciando la materia dell’asilo al di fuori di questa nuova regola generale. Sebbene tale periodo non sia direttamente rilevante ai fini della presente valutazione di equivalenza, si deve rilevare che la competenza a riformare una decisione è stata introdotta come regola generale in una serie di settori che sembrano estremamente più complessi rispetto al settore della protezione internazionale (con tutto il rispetto dovuto a quest’ultimo).

    85.

    Pertanto, alla luce delle modifiche apportate al controllo giurisdizionale nei tre diversi periodi menzionati in precedenza, devo ammettere che mi sfugge ciò che rende tanto speciali e strutturalmente incompatibili con la regola della riforma le questioni in materia di protezione internazionale. Certamente, ciò non esclude che possano esistere ragioni che giustifichino tale trattamento differenziato. Tuttavia, resta il fatto che, se tali ragioni esistono, esse non sono state dedotte nel presente procedimento dal governo ungherese.

    2. Effettività

    86.

    Ai sensi del requisito dell’effettività, le modalità procedurali dei ricorsi intesi a garantire la tutela dei diritti spettanti ai singoli in forza del diritto dell’Unione non devono rendere l’esercizio di tali diritti praticamente impossibile o eccessivamente difficile ( 45 ). Peraltro, la questione «se una norma processuale nazionale renda impossibile o eccessivamente difficile l’applicazione del diritto dell’Unione dev’essere esaminat[a] tenendo conto del ruolo di detta norma nell’insieme del procedimento, dello svolgimento e delle peculiarità dello stesso, dinanzi ai vari organi giurisdizionali nazionali. Sotto tale profilo si devono considerare segnatamente, se necessario, la tutela dei diritti della difesa, il principio della certezza del diritto e il regolare svolgimento del procedimento» ( 46 ).

    87.

    Il significato di ricorso effettivo nello specifico contesto dell’articolo 46, paragrafo 3, della direttiva 2013/32, interpretato alla luce dell’articolo 47, paragrafo 1, della Carta, è già stato enunciato dalla Corte nella sentenza Alheto ed esposto supra, ai paragrafi da 39 a 47 delle presenti conclusioni.

    88.

    Mentre il parametro di valutazione è relativamente chiaro, è necessario dissipare, preliminarmente, un altro tipo di dubbio. Nei rinvii pregiudiziali, la Corte è competente a interpretare il diritto dell’Unione. Nel farlo, nell’ambito della valutazione dell’effettività o dell’equivalenza, essa può fornire indicazioni in merito alla compatibilità generale della normativa: norme nazionali strutturate e/o applicate in un determinato modo sono o non sono compatibili con i requisiti derivanti dal diritto dell’Unione. Pertanto, l’attenzione si concentra sul conflitto normativo, supponendo che, di fatto, gli organi e le autorità nazionali «seguano le regole», e sul funzionamento generale della regola, e non sulla sua possibile errata applicazione a un singolo caso.

    89.

    Questa impostazione tradizionale diventa un poco più sfumata se tali due livelli cominciano a spostarsi: ci si chiede che cosa accada se, in un caso concreto, il «diritto in azione», si discosti dal «diritto nei testi normativi».

    90.

    La possibile dissociazione tra i due livelli di analisi si riflette anche nei differenti punti di vista menzionati supra, ai paragrafi 58 e 59 delle presenti conclusioni: da un lato, vi è l’analisi strutturale di un certo modello o la sua applicazione pratica, che può indicare carenze strutturali. Dall’altro lato, vi è un’analisi del caso concreto che, in una data situazione, può costituire una violazione dei diritti fondamentali del singolo richiedente, pur non rappresentando un problema strutturale. Quest’ultima può essere liquidata come un fallimento isolato (di un sistema che, di regola, funziona correttamente).

    91.

    Desidero sottolineare in modo piuttosto chiaro che, a mio avviso, la presente causa costituisce un esempio del primo tipo di analisi. Si potrebbe avanzare l’argomento secondo cui il caso di specie altro non è che un’isolata applicazione scorretta del diritto dell’Unione al caso specifico di un singolo richiedente, che non porta con sé alcuna prova di carenze strutturali più ampie.

    92.

    Tuttavia, è impossibile sostenere tale tesi.

    93.

    In primo luogo, come già indicato supra, ai paragrafi da 67 a 85, trattando del requisito dell’equivalenza, la presente causa si inserisce saldamente in un tipo o modello di controllo giurisdizionale i cui parametri sono stati fissati dal legislatore. Tali parametri limitano necessariamente ciò che un giudice può fare in un caso concreto come quello qui in esame.

    94.

    In secondo luogo, il governo ungherese sostiene che il funzionamento del sistema, come dimostrato nella presente causa, corrisponde al funzionamento voluto dal legislatore, soprattutto in considerazione della spiegazione del governo in merito all’interpretazione dell’articolo 109, paragrafo 4, della legge in materia di procedimento e di servizi amministrativi. Infatti, il governo ungherese ha proposto una visione alquanto singolare del ruolo e delle funzioni della giustizia amministrativa in sede di controllo delle decisioni amministrative ai sensi di tale disposizione. Esso ha precisato, al riguardo, che il giudice amministrativo può solo impartire istruzioni per quanto concerne i fatti che dovrebbero essere esaminati e le nuove prove che dovrebbero essere raccolte, nonché interpretare la normativa in modo astratto e indicare gli elementi rilevanti che l’amministrazione, nel suo processo decisionale, deve prendere in considerazione. Di converso, il giudice amministrativo non può vincolare l’amministrazione alla sua valutazione specifica nel singolo caso e non può decidere il caso al posto dell’autorità competente in materia di asilo, che è abilitata a farlo ai sensi della direttiva 2013/32.

    95.

    Pertanto, apparentemente, lungi dal costituire un caso isolato, il caso di specie dovrebbe piuttosto essere considerato come una prova concreta di un disegno istituzionale più ampio, consapevolmente predisposto. Sotto questo profilo, e supponendo che possieda i parametri dimostrati dal presente caso e ulteriormente chiariti dal governo ungherese, si può certamente valutare il problema strutturale dell’effettività dello specifico modello di controllo giurisdizionale scelto dall’Ungheria per attuare l’articolo 46, paragrafo 3, della direttiva 2013/32.

    96.

    Valutato su tale base, è evidente che un modello di controllo giurisdizionale in materia di protezione internazionale in cui i giudici sono dotati di un mero potere di annullamento, mentre gli orientamenti giurisprudenziali che essi formulano nelle loro decisioni di annullamento sono, di fatto, ignorati dagli organi amministrativi, non soddisfa i requisiti del controllo giurisdizionale effettivo di cui all’articolo 46, paragrafo 3, della direttiva 2013/32, interpretato alla luce dell’articolo 47, paragrafo 1, della Carta.

    97.

    In via preliminare, desidero sottolineare che non vi è alcun dubbio che l’autorità competente a esaminare le domande di protezione internazionale in primo grado ( 47 ) (cioè a livello amministrativo) svolge un ruolo particolarmente importante all’interno del sistema di asilo come previsto dalla direttiva 2013/32 ( 48 ).

    98.

    Ciò premesso, è difficile sostenere che da tale conferma del ruolo centrale svolto dalle autorità amministrative discenda che il successivo controllo giurisdizionale dovrebbe essere parziale o limitato. In particolare, desidero soffermarmi sulla summenzionata tesi sostenuta dal governo ungherese in merito alla portata del controllo giurisdizionale. Il già citato articolo 109, paragrafo 4, della legge in materia di procedimento e di servizi amministrativi stabilisce che «[l]’autorità è vincolata al dispositivo e alle motivazioni della decisione adottata dal giudice competente in materia di ricorsi amministrativi e si conforma ad essi nel nuovo procedimento e all’atto di adozione di una decisione» ( 49 ).

    99.

    A prima vista, tale disposizione è piuttosto simile a una serie di altre disposizioni che possono essere riscontrate nei sistemi che adottano il sistema dell’annullamento nel controllo delle decisioni amministrative. Tuttavia, ciò che è piuttosto diverso è l’interpretazione (sorprendentemente restrittiva) attribuita a detta disposizione dal governo ungherese.

    100.

    È certamente vero che spetta al legislatore e ai giudici nazionali pronunciarsi in merito alla struttura e all’interpretazione dell’articolo 109, paragrafo 4, della legge in materia di procedimento e di servizi amministrativi.

    101.

    Tuttavia, se questa stessa disposizione è utilizzata come strumento per l’applicazione dei diritti che i singoli derivano dal diritto dell’Unione, come nelle questioni di protezione internazionale che rientrano nel diritto dell’Unione, l’interpretazione data a tale disposizione dal governo ungherese diverrebbe, ovviamente, insostenibile. Come già affermato dalla Corte, i requisiti di cui all’articolo 46, paragrafo 3, della direttiva 2013/32, come interpretato nella sentenza Alheto, comprendono un esame completo ed ex nunc degli elementi di fatto e di diritto, con effetti vincolanti per l’autorità amministrativa e a cui tale autorità deve dare attuazione in modo celere ( 50 ).

    102.

    Ciò significa che un giudice nazionale incaricato di controllare tali decisioni può fornire orientamenti vincolanti sia su questioni di diritto, sia sulla valutazione di fatti relativi al caso concreto, ai quali l’autorità amministrativa è strettamente vincolata e deve conformarsi. Tale visione del controllo giurisdizionale è molto diversa: vi è un organo giurisdizionale chiamato a esaminare e controllare l’amministrazione pubblica, e non ad agire come un umile «amicus administratoris», formulando suggerimenti su come potrebbe essere interpretato il diritto e su quali fatti l’amministrazione potrebbe eventualmente considerare nella tornata successiva.

    103.

    Dall’altro lato, è parimenti vero, naturalmente, che tali effetti vincolanti di una decisione giudiziale riguarderanno soltanto l’oggetto di tale decisione. In altri termini, a seguito di una decisione del giudice su talune questioni, il contesto di fatto e di diritto entro il quale l’amministrazione si può muovere si riduce. Nella misura in cui il giudice ha effettivamente «chiuso» alcuni spazi giuridici a ulteriori considerazioni mediante un accertamento definitivo, la medesima questione non può essere rivalutata. Agire diversamente sarebbe contrario al senso e allo scopo di qualsiasi controllo giurisdizionale e, di fatto, trasformerebbe la giustizia amministrativa in una partita processuale infinita di ping-pong.

    104.

    Di converso, l’amministrazione può effettuare la propria valutazione nell’ambito dello spazio giuridico che è stato lasciato «aperto» dal giudice e, nel contesto specifico della protezione internazionale, in cui la valutazione deve essere effettuata ex nunc, è altresì tenuta a prendere in considerazione qualsiasi fatto nuovo che emerga nel periodo tra la decisione di annullamento del giudice e l’adozione di una nuova decisione amministrativa.

    105.

    Tuttavia, in entrambi i casi, l’amministrazione deve utilizzare in buona fede lo «spazio» eventualmente lasciato aperto da una precedente decisione del giudice e/o dalla natura ex nunc della valutazione: mentre l’amministrazione deve costantemente valutare le circostanze di fatto, essa non può fare uso (improprio) di tale obbligo al fine di basarsi su elementi che, sotto un profilo formale, sono nuovi, ma che non incidono sulla valutazione di fatto, al fine di eludere i limiti della precedente valutazione giudiziale, che è necessariamente legata alla precedente decisione amministrativa contenente determinati elementi di fatto.

    106.

    Desidero aggiungere che, a mio avviso, la stessa conclusione discende anche dai requisiti di cui all’articolo 47, paragrafo 1, della Carta ( 51 ), ai quali devono conformarsi l’interpretazione dell’articolo 46, paragrafo 3, della direttiva 2013/32 e la sua attuazione da parte degli Stati membri ( 52 ).

    107.

    È necessario notare, in tale contesto, che l’articolo 46, paragrafo 3, della direttiva 2013/32 sarebbe privato di qualsiasi effetto utile se l’amministrazione fosse autorizzata a riaprire questioni decise da una sentenza definitiva di un giudice ( 53 ). Siffatta situazione si porrebbe altresì in contrasto con il principio della certezza del diritto, che deve essere considerato parte del diritto a un ricorso effettivo e costituisce «uno degli aspetti fondamentali dello Stato di diritto» ( 54 ). Infatti, come la Corte EDU ha ricordato, il principio della certezza del diritto esige che «qualora un giudice abbia statuito in via definitiva su una questione, la sua decisione non dovrebbe essere rimessa in discussione» ( 55 ). Inoltre, come già discusso in generale, supra ( 56 ), l’inosservanza del requisito di un ricorso giurisdizionale effettivo contrasta con il valore stesso dello Stato di diritto all’interno dell’Unione europea.

    108.

    Per quanto riguarda la controversia di cui al procedimento principale, alla luce degli elementi esposti nell’ordinanza di rinvio, qualsiasi spazio decisionale residuale dell’autorità amministrativa sembra essere stato chiuso dal giudice del rinvio a seguito dell’annullamento della seconda decisione amministrativa. Infatti, mentre nella prima sentenza di annullamento il giudice del rinvio ha esortato l’autorità ad esaminare elementi di prova specifici, nella seconda sentenza di annullamento esso ha affermato che la domanda di protezione internazionale del richiedente doveva essere accolta, poiché l’elemento del fondato timore doveva ritenersi provato. Pertanto, all’autorità amministrativa non era dato pronunciarsi nuovamente su tale valutazione.

    109.

    Inoltre, si potrebbe aggiungere che, ignorando la valutazione effettuata dal giudice nazionale, enunciata nelle motivazioni della seconda decisione di annullamento, l’amministrazione ha prolungato la durata complessiva del procedimento (iniziato cinque anni orsono e tuttora pendente). In tal modo, essa ha ostacolato la realizzazione dell’obiettivo di un controllo celere, che tanto la fase amministrativa quanto la fase giurisdizionale dell’esame della domanda di protezione internazionale devono perseguire ( 57 ).

    110.

    Per tali motivi, la mia conclusione provvisoria è che un modello di controllo giurisdizionale in materia di protezione internazionale in cui i giudici sono dotati di un mero potere di annullamento ma in cui gli orientamenti giuridici che essi forniscono nelle loro decisioni di annullamento sono effettivamente ignorati dagli organi amministrativi all’atto di una nuova decisione sul medesimo caso, come dimostrato dalla causa di cui al procedimento principale, non soddisfa i requisiti di un controllo giurisdizionale effettivo di cui all’articolo 46, paragrafo 3, della direttiva 2013/32, interpretati alla luce dell’articolo 47, paragrafo 1, della Carta.

    D.   Sul rimedio

    111.

    La conclusione provvisoria raggiunta solleva due ulteriori questioni, affrontate anche dal giudice del rinvio: ci si chiede quale rimedio possa essere utilizzato nelle circostanze di cui alla presente causa e in quale momento.

    1. Sul tipo di rimedio

    112.

    Tale questione è stata oggetto di dibattito in udienza. La Corte ha chiesto chiarimenti al governo ungherese per quanto concerne gli strumenti e le misure previste dal diritto ungherese per garantire l’effettiva esecuzione di una decisione giudiziale nei confronti dell’autorità amministrativa. Dalla risposta fornita, e con riserva di verifica da parte del giudice del rinvio, risulta che non esistano siffatte misure.

    113.

    Risulta che, nell’ambito di un procedimento pendente, il giudice nazionale non possa costringere l’amministrazione a prendere provvedimenti specifici per quanto riguarda il merito della causa in esame. Sebbene, in astratto, si potrebbe forse suggerire l’irrogazione di sanzioni o la pronuncia di ingiunzioni, tali misure risultano indisponibili (a prescindere dalla questione relativa alla loro efficacia).

    114.

    Una volta che il giudice emette una decisione definitiva nel merito, la causa e il procedimento giudiziario ad essa connessi sono chiusi. Diviene quindi logicamente impossibile, per un giudice, far eseguire la propria decisione all’amministrazione, anzitutto perché non esiste alcuna causa pendente. In effetti, la decisione del giudice dovrebbe essere imposta all’amministrazione per effetto della mera operatività della legge, segnatamente dell’articolo 109, paragrafo 4 della legge in materia di procedimento e di servizi amministrativi, sempre che l’interpretazione di tale disposizione e la realtà nazionale conducano effettivamente a tale conclusione.

    115.

    Risulta, pertanto, che, nel diritto nazionale, non esiste alcuna valida alternativa all’esecuzione volontaria di una decisione giudiziale che possa attribuire ai giudici il potere di obbligare l’amministrazione a conformarsi alle loro decisioni. Quindi, effettivamente, come sottolineato dal giudice del rinvio, la questione che si pone è quella di stabilire se il diritto dell’Unione fornisca un rimedio, in tale situazione, al giudice nazionale.

    116.

    A mio parere la risposta è positiva. Come affermato dalla Corte in varie occasioni, «in virtù del principio del primato del diritto dell’Unione, che è una caratteristica essenziale dell’ordinamento giuridico dell’Unione (…), il fatto che uno Stato membro invochi disposizioni di diritto nazionale, quand’anche di rango costituzionale, non può sminuire l’efficacia del diritto dell’Unione nel territorio di tale Stato» ( 58 ). Il principio del primato (e dell’effetto diretto ( 59 )), quindi, impone al giudice nazionale di disapplicare qualsiasi norma nazionale che disciplini il controllo giurisdizionale in materia di protezione internazionale in modo incompatibile con l’articolo 46, paragrafo 3, della direttiva 2013/32, nonché con l’articolo 47, paragrafo 1, della Carta e impedisca al giudice nazionale di raggiungere l’obiettivo perseguito da tali norme ( 60 ).

    117.

    Mi pare di capire che, nel caso di specie, non è possibile interpretare il diritto nazionale in conformità con il diritto dell’Unione. La disapplicazione della norma incompatibile, è dunque, sotto il profilo del diritto dell’Unione, l’unico rimedio disponibile nella presente causa ( 61 ). Tuttavia, la questione che si pone immediatamente è in che modo siffatta disapplicazione opererebbe nel contesto della presente causa.

    118.

    Ciò dipende dalle norme procedurali che, in definitiva, si applicano alla causa di cui al procedimento principale nel momento in cui il giudice del rinvio si pronuncia nuovamente su di essa.

    119.

    Se le norme procedurali fossero quelle in vigore a partire dal 1o gennaio 2018, il primato del diritto dell’Unione comporterebbe l’esclusione dell’eccezione che ha tolto al giudice amministrativo la possibilità di riformare le decisioni amministrative in materia di protezione internazionale. Mi sembra di capire che tale eccezione sia contenuta nell’articolo 68, paragrafo 5, della legge sul diritto d’asilo. I casi trattati a livello nazionale ritornerebbero, dunque, ad essere soggetti al generale potere di riforma delle decisioni amministrative che è attualmente esercitato ai sensi dell’articolo 90, paragrafo 1 del CCA.

    120.

    Se il diritto processuale applicabile fosse quello in vigore tra il 15 settembre 2015 e il 1o gennaio 2018, il potere di riformare le decisioni amministrative in questione potrebbe essere esercitato disapplicando la legge che ha espunto la lettera j) dall’elenco contenuto nell’articolo 339, paragrafo 2, del CPC in vigore anteriormente al 15 settembre 2015 e che ha altresì modificato l’articolo 68, paragrafo 5, della legge sul diritto d’asilo. Pertanto, le norme processuali ritornerebbero, di fatto, al regime di base applicabile alle questioni in materia di protezione internazionale prima del 15 settembre 2015.

    121.

    In conclusione, l’elemento comune è che la soluzione prospettata consisterebbe nella rimozione, di fatto, dell’esclusione del potere di riformare le decisioni nell’ambito del controllo giurisdizionale in materia di protezione internazionale. In entrambi i casi, a seguito di tale rimozione, i giudici nazionali non sarebbero incaricati di fare nulla che non fossero soliti fare in precedenza e che non corrisponda, effettivamente, al regime procedurale attuale.

    2. Sul momento di attivazione del rimedio

    122.

    L’ultima questione riguarda il momento in cui il primato del diritto dell’Unione farebbe scattare il menzionato effetto di esclusione. Tenendo in considerazione i requisiti cumulativi di un esame tempestivo e del rispetto di una precedente decisione giudiziale, di cui all’articolo 46, paragrafo 3, della direttiva 2013/32, letto alla luce dell’articolo 47, paragrafo 1, della Carta, il momento in cui il suddetto potere del giudice nazionale sarebbe attivato corrisponderebbe alla situazione in cui i) la chiara valutazione contenuta in una decisione giudiziale di annullamento di una decisione amministrativa è stata disattesa dall’autorità amministrativa, (ii) senza che quest’ultima abbia considerato elementi nuovi che avrebbe dovuto ragionevolmente e legittimamente tenere in considerazione, privando così di qualsiasi effetto utile la tutela giurisdizionale del richiedente.

    123.

    In termini più semplici, il momento di attivazione non è una questione di numeri, ma di qualità. Nella logica della chiusura dello spazio assegnato al processo decisionale amministrativo per effetto di una valutazione giudiziale già effettuata, descritta supra ai paragrafi da 103 a 105 delle presenti conclusioni, il giudice nazionale acquisisce la competenza a riformare una decisione in materia di protezione internazionale, in quanto questione di diritto dell’Unione, nel momento in cui la sua decisione viene disattesa per la prima volta. Non rileva che ciò accada in occasione del settimo, terzo, o anche del secondo controllo giurisdizionale.

    124.

    Alla luce di quanto precede, la mia seconda conclusione provvisoria è che, al fine di garantire il rispetto dell’articolo 46, paragrafo 3, della direttiva 2013/32, letto alla luce dell’articolo 47, paragrafo 1, della Carta, il giudice nazionale, statuendo in circostanze quali quelle di cui al procedimento principale, è tenuto a disapplicare la norma nazionale che limita il suo potere al mero annullamento della decisione amministrativa in questione. Tale obbligo sorge quando la chiara valutazione contenuta in una decisione giudiziale che annulla una precedente decisione amministrativa è stata disattesa dall’autorità amministrativa in sede di nuova decisione sullo stesso caso, senza che quest’ultima abbia considerato elementi nuovi che avrebbe potuto ragionevolmente e legittimamente tenere in considerazione, privando in tal modo di qualsiasi effetto utile la tutela giurisdizionale prevista dalle disposizioni invocate.

    125.

    A titolo di osservazione conclusiva, è necessario rilevare che le considerazioni generali riguardanti il ruolo essenziale di un controllo giurisdizionale effettivo nel preservare lo Stato di diritto in qualsiasi sistema giuridico si applicano a qualunque settore di diritto dell’Unione che deve essere attuato a livello nazionale. Ciò vale, in particolare, per la portata e il grado degli effetti vincolanti delle decisioni giudiziali, nonché per l’obbligo che incombe alle autorità pubbliche di eseguirle pienamente e in buona fede. Ciò premesso, va anche sottolineato che la presente causa concerne requisiti specifici per quanto riguarda la celerità e la qualità del controllo giurisdizionale richiesto dalla normativa derivata dettagliata, segnatamente dall’articolo 46, paragrafo 3, della direttiva 2013/32, che appartiene a un settore del diritto alquanto specifico.

    V. Conclusione

    126.

    Alla luce delle considerazioni che precedono, suggerisco alla Corte di rispondere alla questione proposta dal Pécsi Közigazgatási és Munkaügyi Bíróság (Tribunale amministrativo e del lavoro di Pécs, Ungheria) nel modo seguente:

    L’articolo 46, paragrafo 3, della direttiva 2013/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale, in combinato disposto con l’articolo 47, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, deve essere interpretato nel senso che un modello di controllo giurisdizionale in materia di protezione internazionale in cui il giudice è dotato di un mero potere di annullamento ma gli orientamenti giurisprudenziali che fornisce nella sua decisione di annullamento sono concretamente disattesi dagli organi amministrativi in sede di nuova decisione sullo stesso caso, come risulta dalla causa di cui al procedimento principale, non soddisfa i requisiti del controllo giurisdizionale effettivo di cui all’articolo 46, paragrafo 3, della direttiva 2013/32, interpretato alla luce dell’articolo 47, paragrafo 1, della Carta.

    Un giudice nazionale, chiamato a statuire in circostanze come quelle di cui al procedimento principale, è tenuto a disapplicare la norma nazionale che limita il suo potere al mero annullamento della decisione amministrativa pertinente. Tale obbligo sorge quando la chiara valutazione contenuta in una decisione giudiziale che annulla una precedente decisione amministrativa è stata disattesa dall’autorità amministrativa in sede di nuova decisione sullo stesso caso, senza che quest’ultima abbia considerato elementi nuovi che avrebbe potuto ragionevolmente e legittimamente tenere in considerazione, privando in tal modo di qualsiasi effetto utile la tutela giurisdizionale prevista dalle disposizioni invocate.


    ( 1 ) Lingua originale: l’inglese.

    ( 2 ) Voce «Table tennis», Britannica Academic, Encyclopædia Britannica, 21 agosto 2018, https://academic.eb.com/levels/collegiate/article/table-tennis/70842 (visitato il 15 gennaio 2019).

    ( 3 ) Direttiva 2013/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale (GU 2013, L 180, pag. 60).

    ( 4 ) Direttiva 2011/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta (GU 2011 L337, pag. 9)

    ( 5 ) Direttiva 2005/85/CE del Consiglio, del 1o dicembre 2005, recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato (GU 2005 L326, pag. 13).

    ( 6 ) Convenzione di Ginevra relativa allo status dei rifugiati, firmata a Ginevra il 28 luglio 1951 [United Nations Treaty Series, vol. 189, pag. 137, n. 2545 (1954)], come modificata dal protocollo relativo allo status dei rifugiati, firmato il 31 gennaio 1967 a New York, entrato in vigore il 4 ottobre 1967.

    ( 7 ) Sentenza del 25 luglio 2018, Alheto, C‑585/16, EU:C:2018:584.

    ( 8 ) Sentenza del 25 luglio 2018, Alheto, C‑585/16, EU:C:2018:584, punti 105106.

    ( 9 ) Sentenza del 18 ottobre 2018, E.G., C‑662/17, EU:C:2018:847, punto 47 e giurisprudenza ivi citata.

    ( 10 ) L’articolo 47, paragrafo 1, della Carta stabilisce che «[o]gni persona i cui diritti e le cui libertà garantiti dal diritto dell’Unione siano stati violati ha diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice, nel rispetto delle condizioni previste nel presente articolo».

    ( 11 ) Allo stesso tempo, le spiegazioni concernenti la Carta chiariscono che la protezione di cui all’articolo 47, paragrafo 1, della Carta è più estesa rispetto a quella prevista dall’articolo 13 della CEDU, poiché garantisce il diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice. Inoltre, a differenza dell’articolo 6, paragrafo 1, della CEDU, il diritto a un processo equo di cui all’articolo 47, paragrafo 2 della Carta non è limitato alle controversie relative a diritti e obblighi di carattere civile o ad accuse in materia penale. V. Spiegazioni relative alla carta dei diritti fondamentali (GU 2007, C 303, pag. 17).

    ( 12 ) Sentenza del 25 luglio 2018, Alheto, C‑585/16, EU:C:2018:584, punto 145.

    ( 13 ) Sentenza del 25 luglio 2018, Alheto, C‑585/16, EU:C:2018:584, punto 148.

    ( 14 ) V., a tal proposito, conclusioni dell’avvocato generale Mengozzi in Alheto, C‑585/16, EU:C:2018:327, paragrafo 71.

    ( 15 ) Sentenza del 25 luglio 2018, Alheto, C‑585/16, EU:C:2018:584, punti da 102 a 118.

    ( 16 ) Sentenza del 25 luglio 2018, Alheto, C‑585/16, EU:C:2018:584, punto 111. Nello stesso contesto e, più specificamente, sulla necessità per il giudice che effettua il controllo di tenere un’udienza, v. sentenza del 26 luglio 2017, Sacko, C‑348/16, EU:C:2017:591, punti da 42 a 48.

    ( 17 ) Conclusioni dell’avvocato generale Mengozzi in Alheto, C‑585/16, EU:C:2018:327, paragrafo 68.

    ( 18 ) Sentenza del 25 luglio 2018, Alheto, C‑585/16, EU:C:2018:584, punto 113.

    ( 19 ) Sentenze del 28 marzo 2017, Rosneft (C‑72/15, EU:C:2017:236, punto 73 e giurisprudenza ivi citata), e del 27 febbraio 2018, Associação Sindical dos Juízes Portugueses (C‑64/16, EU:C:2018:117, punto 35 e giurisprudenza ivi citata).

    ( 20 ) Sentenze del 23 aprile 1986, Les Verts/Parlamento, 294/83, EU:C:1986:166, punto 23 e del 25 luglio 2002, Unión de Pequeños Agricultores/Consiglio, C‑50/00 P, EU:C:2002:462, punti 3839. Più recentemente, v. sentenza del 3 ottobre 2013, Inuit Tapiriit Kanatami e a./Parlamento e Consiglio, C‑583/11 P, EU:C:2013:625, punto 91 e giurisprudenza ivi citata.

    ( 21 ) Sentenza del 27 febbraio 2018, Associação Sindical dos Juízes Portugueses, C‑64/16, EU:C:2018:117, punto 30. V. anche sentenza del 28 marzo 2017, Rosneft, C‑72/15, EU:C:2017:236, punto 72 e giurisprudenza ivi citata.

    ( 22 ) Come ho già suggerito altrove, la competenza e la responsabilità di garantire il rispetto del diritto spetta, in ultima istanza, al giudice (nazionale). Pertanto, il fatto che alcuni elementi del processo decisionale a livello nazionale ricadano nella discrezionalità amministrativa non può privare i giudici della loro intrinseca funzione di protezione dei diritti dei singoli; v. le mie conclusioni in Klohn, C‑167/17, EU:C:2018:387, paragrafi da 127 a 129, e in Link Logistik N&N, C‑384/17, EU:C:2018:494, paragrafo 112.

    ( 23 ) Sentenza del 26 febbraio 2013, Åkerberg Fransson, C‑617/10, EU:C:2013:105.

    ( 24 ) V., in particolare, ordinanza del 17 dicembre 2018, Commissione/Polonia, C‑619/18 R, EU:C:2018:1021, punti 41, 42 e da 65 a 67, e la giurisprudenza ivi citta; sentenze del 27 febbraio 2018, Associação Sindical dos Juízes Portugueses, C‑64/16, EU:C:2018:117, punti 42 e ss.; e del 25 luglio 2018, Minister for Justice and Equality (Carenze nella giustizia), C‑216/18 PPU, EU:C:2018:586, punto 60 e ss., del 6 marzo 2018, Achmea, C‑284/16, EU:C:2018:158, punti da 35 a 37.

    ( 25 ) Sentenza del 27 febbraio 2018, Associação Sindical dos Juízes Portugueses, C‑64/16, EU:C:2018:117, punto 29 e ss e giurisprudenza ivi citata.

    ( 26 ) Come nel caso che ha condotto alla sentenza del 27 febbraio 2018, Associação Sindical dos Juízes Portugueses, C‑64/16, EU:C:2018:117.

    ( 27 ) Situazione considerata nel caso che ha condotto all’ordinanza del 17 dicembre 2018, Commissione/Polonia, C‑619/18 R, EU:C:2018:1021.

    ( 28 ) Sentenze del 28 marzo 2017, Rosneft, C‑72/15, EU:C:2017:236, punto 73 e giurisprudenza ivi citata e del 27 febbraio 2018, Associação Sindical dos Juízes Portugueses, C‑64/16, EU:C:2018:117, punto 36.

    ( 29 ) Enunciato dall’articolo 46, paragrafo 3, della direttiva 2013/32.

    ( 30 ) Corte EDU, 19 marzo 1997, Hornsby c. Grecia, CE:ECHR:1997:0319JUD001835791, § 40, la quale conclude nel senso dell’esistenza di una violazione dell’articolo 6, paragrafo 1, a causa della mancata esecuzione, da parte dell’autorità esecutiva, di una decisione giudiziale. Da allora, tali considerazioni sono state confermate in numerose occasioni. V., ad esempio, Corte EDU, 7 maggio 2002, Burdov c. Russia, CE:ECHR:2002:0507JUD005949800, §§ da 34 a 37; Corte EDU, 6 marzo 2003, Jasiūnienė c. Lituania, CE:ECHR:2003:0306JUD004151098, §§ da 27 a 31; Corte EDU, 7 aprile 2005, Užkurėlienė c. Lituania, CE:ECHR:2005:0407JUD006298800, § 36, che, tuttavia, non riscontra una violazione dell’articolo 6, paragrafo 1, della CEDU nei presunti ritardi nell’esecuzione di una decisione giudiziale; Corte EDU, 7 luglio 2005, Malinovskiy c. Russia, CE:ECHR:2005:0707JUD004130202, § da 34 a 39; Corte EDU, 31 ottobre 2006, Jeličić c. Bosnia e Erzegovina, CE:ECHR:2006:1031JUD004118302, §§ da 38 a 45; Corte EDU, 15 ottobre 2009 Yuriy Nikolayevich Ivanov c. Ucraina, CE:ECHR:2009:1015JUD004045004, § da 51 a 57; e Corte EDU, 19 giugno 2012, Murtić e Ćerimović c. Bosnia e Erzegovina, CE:ECHR:2012:0619JUD000649509, §§ da 27 a 30.

    ( 31 ) Corte EDU, 19 marzo 1997, Hornsby c. Grecia, CE:ECHR:1997:0319JUD001835791, § 40.

    ( 32 ) Corte EDU, 11 gennaio 2018, Sharxhi e a. c. Albania, CE:ECHR:2018:0111JUD001061316, § da 92 a 93, che cita Corte EDU, 12 luglio 2005, Okyay e a. c. Turchia, CE:ECHR:2005:0712JUD003622097, § 72. V. anche Corte EDU, 15 gennaio 2009, Burdov c. Russia (n. 2), CE:ECHR:2009:0115JUD003350904, § 68.

    ( 33 ) V., recentemente, ad esempio, sentenze del 24 ottobre 2018, XC e a., C‑234/17, EU:C:2018:853, punto 25, e del 7 novembre 2018, K e B, C‑380/17, EU:C:2018:877, punto 56 e giurisprudenza ivi citata.

    ( 34 ) V. articolo 339, paragrafo 1, del CPC all’epoca vigente. Per l’elenco (non tassativo) di tali eccezioni, v. articolo 339, paragrafo 2 del CPC.

    ( 35 )

    ( 36 ) V. articolo 109, paragrafo 4, della legge in materia di procedimento e di servizi amministrativi e articolo 339, paragrafo 1, del CPC. La stessa legislazione era in vigore anche prima del 1o settembre 2015.

    ( 37 ) V. egyes törvényeknek a tömeges bevándorlás kezelésével összefüggő módosításáról szóló 2015. évi CXL. törvény (legge CXL del 2015 sulla modifica di alcune leggi concernenti la gestione dell’immigrazione di massa).

    ( 38 ) Articolo 90, paragrafo 1, della közigazgatási perrendtartásról szóló 2017. évi I. törvény (il nuovo codice del contenzioso amministrativo, legge I del 2017, in prosieguo: il «CCA»), che ha sostituito, dal 1o gennaio 2018, il vecchio CPC per quanto concerne i procedimenti giudiziari amministrativi.

    ( 39 ) L’articolo 68, paragrafo 5, della legge sul diritto d’asilo prevede che «[i]l giudice non riforma la decisione dell’autorità per i rifugiati».

    ( 40 ) V., ad esempio, sentenze del 27 giugno 2013, Agrokonsulting-04, C‑93/12, EU:C:2013:432, punto 39 e la giurisprudenza citata, e del 12 febbraio 2015, Baczó e Vizsnyiczai, C‑567/13, EU:C:2015:88, punto 44 e la giurisprudenza citata. V. anche sentenza del 16 maggio 2000, Preston e a., C‑78/98, EU:C:2000:247, punto 57.

    ( 41 ) V., in tal senso, le mie conclusioni in Scialdone, C‑574/15, EU:C:2017:553, paragrafi da 100 a 103.

    ( 42 ) V. supra, paragrafi 70 e 71.

    ( 43 ) Sentenza del 24 ottobre 2018, XC e a., C‑234/17, EU:C:2018:853, punto 27.

    ( 44 ) V. supra, paragrafo 70.

    ( 45 ) V., recentemente, sentenza del 24 ottobre 2018, XC e a., C‑234/17, EU:C:2018:853, punto 22 e giurisprudenza ivi citata.

    ( 46 ) V., recentemente, sentenza del 24 ottobre 2018, XC e a., C‑234/17, EU:C:2018:853, punto 49 e giurisprudenza ivi citata. V. anche sentenze del 14 dicembre 1995, Peterbroeck, C‑312/93, EU:C:1995:437, punto 14 e del 14 dicembre 1995, van Schijndel e van Veen, C‑430/93 e C‑431/93, EU:C:1995:441, punto 19.

    ( 47 ) «[A]utorità accertante», volendo usare il linguaggio utilizzato dalla direttiva 2013/32, definita all’articolo 2, lettera f) della stessa direttiva come «qualsiasi organo quasi giurisdizionale o amministrativo di uno Stato membro che sia competente ad esaminare le domande di protezione internazionale e a prendere una decisione di primo grado al riguardo».

    ( 48 ) La Corte ha sottolineato, infatti, che «l’esame della domanda di protezione internazionale da parte di un organo amministrativo o quasi giurisdizionale dotato di mezzi specifici e di personale specializzato in materia costituisce una fase essenziale delle procedure comuni istituite da tale direttiva». V. sentenza del 25 luglio 2018, Alheto, C‑585/16, EU:C:2018:584, punto 116 e sentenza del 4 ottobre 2018, Ahmedbekova, C‑652/16, EU:C:2018:801, punto 96.

    ( 49 ) Il corsivo è mio.

    ( 50 ) Supra, paragrafi da 41 a 47.

    ( 51 ) Sulla relazione tra il principio di effettività come uno dei due requisiti che rilevano nell’ambito del concetto dell’autonomia procedurale degli Stati membri e il diritto fondamentale a un ricorso giurisdizionale effettivo ai sensi dell’articolo 47 della Carta, v. le mie conclusioni in Banger, C‑89/17, EU:C:2018:225, paragrafo 99 e ss.

    ( 52 ) Sentenza del 18 ottobre 2018, E.G. (C‑662/17, EU:C:2018:847, punto 47 e giurisprudenza ivi citata).

    ( 53 ) V., per analogia, anche Corte EDU, 2 novembre 2004, Tregubenko c. Ucraina, CE:ECHR:2004:1102JUD006133300, § da 34 a 38 e Corte EDU, 6 ottobre 2011 Agrokompleks c. Ucraina, CE:ECHR:2011:1006JUD002346503, §§ 150 e 151.

    ( 54 ) Corte EDU, 6 ottobre 2011 Agrokompleks c. Ucraina, CE:ECHR:2011:1006JUD002346503, § 144 e giurisprudenza ivi citata.

    ( 55 ) Corte EDU, 6 ottobre 2011 Agrokompleks c. Ucraina, CE:ECHR:2011:1006JUD002346503, § 144 e giurisprudenza ivi citata.

    ( 56 ) V. supra, paragrafi da 48 a 62 delle presenti conclusioni.

    ( 57 ) Per quanto concerne la fase pre-giudiziale, v. articolo 31, paragrafo 2, nonché il considerando 18 della direttiva 2013/32. Per quanto riguarda l’obbligo del giudice di garantire «un trattamento quanto più rapido possibile delle domande», v. sentenza del 25 luglio 2018, Alheto, C‑585/16, EU:C:2018:584, punto 148.

    ( 58 ) V. sentenza del 26 febbraio 2013, Melloni, C‑399/11, EU:C:2013:107, punto 59 e giurisprudenza ivi citata.

    ( 59 ) Senza voler entrare nel merito del dibattito (alquanto accademico) della questione se la disapplicazione di una regola nazionale confliggente in un caso quale quello di specie costituisca la conseguenza della sola applicazione del primato del diritto dell’Unione o dell’applicazione del primato e dell’effetto diretto, è sufficiente notare che la Corte ha già dichiarato, nella sentenza del 17 aprile 2018, Egenberger, C‑414/16 EU:C:2018:257, punto 78, che l’articolo 47, paragrafo 1, della Carta è dotato di effetti diretti.

    ( 60 ) V., per analogia, sentenza del 5 giugno 2014, Mahdi, C‑146/14 PPU, EU:C:2014:1320, punto 30 e da 62 a 64.

    ( 61 ) Mentre, almeno in teoria, anche il risarcimento dei danni derivanti da una violazione del diritto dell’Unione attribuibile a uno Stato membro può certamente essere preso in considerazione, appare piuttosto chiaro che, nella situazione dei richiedenti protezione internazionale, un simile rimedio sarebbe illusorio e inefficace.

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