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Documento 62011CJ0249
Judgment of the Court (Second Chamber), 4 October 2012.#Hristo Byankov v Glaven sekretar na Ministerstvo na vatreshnite raboti.#Reference for a preliminary ruling from the Administrativen sad Sofia-grad.#Right of citizens of the Union and their family members to move and reside freely within the territory of the Member States — Directive 2004/38/EC — Article 27 — Administrative prohibition on leaving the territory on account of failure to pay a debt owed to a private legal person — Principle of legal certainty with regard to administrative acts which have become final — Principles of equivalence and effectiveness.#Case C‑249/11.
Sentenza della Corte (Seconda Sezione) del 4 ottobre 2012.
Hristo Byankov contro Glaven sekretar na Ministerstvo na vatreshnite raboti.
Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dall’Administrativen sad Sofia‑grad.
Diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri — Direttiva 2004/38/CE — Articolo 27 — Provvedimento amministrativo recante divieto di lasciare il territorio nazionale a causa del mancato pagamento di un debito nei confronti di una persona giuridica di diritto privato — Principio della certezza del diritto con riguardo agli atti amministrativi divenuti definitivi — Principi di equivalenza e di effettività.
Causa C‑249/11.
Sentenza della Corte (Seconda Sezione) del 4 ottobre 2012.
Hristo Byankov contro Glaven sekretar na Ministerstvo na vatreshnite raboti.
Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dall’Administrativen sad Sofia‑grad.
Diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri — Direttiva 2004/38/CE — Articolo 27 — Provvedimento amministrativo recante divieto di lasciare il territorio nazionale a causa del mancato pagamento di un debito nei confronti di una persona giuridica di diritto privato — Principio della certezza del diritto con riguardo agli atti amministrativi divenuti definitivi — Principi di equivalenza e di effettività.
Causa C‑249/11.
Raccolta della giurisprudenza - generale
Identificatore ECLI: ECLI:EU:C:2012:608
SENTENZA DELLA CORTE (Seconda Sezione)
4 ottobre 2012 ( *1 )
«Diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri — Direttiva 2004/38/CE — Articolo 27 — Provvedimento amministrativo recante divieto di lasciare il territorio nazionale a causa del mancato pagamento di un debito nei confronti di una persona giuridica di diritto privato — Principio della certezza del diritto con riguardo agli atti amministrativi divenuti definitivi — Principi di equivalenza e di effettività»
Nella causa C-249/11,
avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dall’Administrativen sad Sofia-grad (Bulgaria), con decisione del 9 maggio 2011, pervenuta in cancelleria il 19 maggio 2011, nel procedimento
Hristo Byankov
contro
Glaven sekretar na Ministerstvo na vatreshnite raboti,
LA CORTE (Seconda Sezione),
composta dal sig. J.N. Cunha Rodrigues, presidente di sezione, dai sigg. U. Lõhmus, A. Ó Caoimh (relatore), A. Arabadjiev e C.G. Fernlund, giudici,
avvocato generale: sig. P. Mengozzi
cancelliere: sig. A. Calot Escobar
vista la fase scritta del procedimento,
considerate le osservazioni presentate:
— |
per la Commissione europea, da C. Tufvesson e V. Savov, in qualità di agenti, |
sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 21 giugno 2012,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1 |
La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 4, paragrafo 3, TUE, in combinato disposto con gli articoli 20 TFUE e 21 TFUE, dell’articolo 52, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»), nonché degli articoli 27, paragrafo 1, e 31, paragrafi 1 e 3, della direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE (GU L 158, pag. 77, e – rettifiche – GU L 229, pag. 35, e GU 2005, L 197, pag. 34). |
2 |
Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra il sig. Byankov e il glaven sekretar na Ministerstvo na vatreshnite raboti (segretario generale del Ministero degli Affari interni) in merito al rifiuto di riaprire un procedimento amministrativo e di revocare un provvedimento amministrativo recante divieto di lasciare il territorio adottato nei suoi confronti a causa del mancato pagamento di un debito privato. |
Contesto normativo
La normativa dell’Unione
3 |
Il trentunesimo considerando della direttiva 2004/38 enuncia che essa rispetta i diritti e le libertà fondamentali e osserva i principi riconosciuti dalla Carta. |
4 |
Ai sensi del suo articolo 3, paragrafo 1, la direttiva 2004/38 si applica a qualsiasi cittadino dell’Unione che si rechi o soggiorni in uno Stato membro diverso da quello di cui ha la cittadinanza, nonché ai suoi familiari che accompagnino o raggiungano il cittadino medesimo. |
5 |
L’articolo 4, paragrafo 1, di tale direttiva così recita: «Senza pregiudizio delle disposizioni applicabili ai controlli dei documenti di viaggio alle frontiere nazionali, ogni cittadino dell’Unione munito di una carta d’identità o di un passaporto in corso di validità (...) [ha] il diritto di lasciare il territorio di uno Stato membro per recarsi in un altro Stato membro». |
6 |
Al capo VI della direttiva in esame, intitolato «Limitazioni del diritto d’ingresso e di soggiorno per motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di sanità pubblica», l’articolo 27, paragrafi 1 e 2, dispone quanto segue: «1. Fatte salve le disposizioni del presente capo, gli Stati membri possono limitare la libertà di circolazione [e di soggiorno] di un cittadino dell’Unione o di un suo familiare, qualunque sia la sua cittadinanza, per motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di sanità pubblica. Tali motivi non possono essere invocati per fini economici. 2. I provvedimenti adottati per motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza rispettano il principio di proporzionalità e sono adottati esclusivamente in relazione al comportamento personale della persona nei riguardi della quale essi sono applicati. La sola esistenza di condanne penali non giustifica automaticamente l’adozione di tali provvedimenti. Il comportamento personale deve rappresentare una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave da pregiudicare un interesse fondamentale della società. Giustificazioni estranee al caso individuale o attinenti a ragioni di prevenzione generale non sono prese in considerazione». |
7 |
Allo stesso capo, l’articolo 31 della direttiva 2004/38, intitolato «Garanzie procedurali», prevede quanto segue: «1. L’interessato può accedere ai mezzi di impugnazione giurisdizionali e, all’occorrenza, amministrativi nello Stato membro ospitante, al fine di presentare ricorso o chiedere la revisione di ogni provvedimento adottato nei suoi confronti per motivi di ordine pubblico, pubblica sicurezza o sanità pubblica. (...) 3. I mezzi di impugnazione comprendono l’esame della legittimità del provvedimento nonché dei fatti e delle circostanze che ne giustificano l’adozione. Essi garantiscono che il provvedimento non sia sproporzionato (...) (...)». |
8 |
L’articolo 32, paragrafo 1, di tale direttiva, che fa parte anch’esso del capo VI, così recita: «La persona nei cui confronti sia stato adottato un provvedimento di divieto d’ingresso nel territorio per motivi d’ordine pubblico o pubblica sicurezza può presentare una domanda di revoca del divieto d’ingresso nel territorio nazionale dopo il decorso di un congruo periodo, determinato in funzione delle circostanze e in ogni modo dopo tre anni a decorrere dall’esecuzione del provvedimento definitivo di divieto validamente adottato ai sensi del diritto comunitario, nella quale essa deve addurre argomenti intesi a dimostrare l’avvenuto oggettivo mutamento delle circostanze che hanno motivato la decisione di vietarne l’ingresso nel territorio. Lo Stato membro interessato si pronuncia in merito a tale nuova domanda entro sei mesi dalla data di presentazione della stessa». |
La normativa bulgara
9 |
L’articolo 23, paragrafo 2, della legge sui documenti d’identità bulgari (Zakon za balgarskite litschni dokumenti, DV n. 93, dell’11 agosto 1998), nella sua versione applicabile al procedimento principale (DV n. 105, del 22 dicembre 2006; in prosieguo: la «ZBLD»), prevede che «[o]gni cittadino bulgaro ha il diritto di lasciare il paese con una carta d’identità, e di farvi ritorno, attraverso le frontiere della Repubblica di Bulgaria con gli Stati membri dell’Unione europea, nonché nei casi previsti da trattati internazionali». |
10 |
Il paragrafo 3 di tale articolo 23 prosegue precisando che «[i]l diritto di cui al paragrafo 2 può subire solo le limitazioni previste dalla legge che abbiano lo scopo di tutelare la sicurezza nazionale, l’ordine pubblico, la salute dei cittadini o i diritti e le libertà di altri cittadini». |
11 |
L’articolo 76, paragrafo 3, della ZBLD prevede quanto segue: «È possibile vietare l’espatrio e non rilasciare passaporti o documenti d’identità sostitutivi alle: (...) 3. (...) persone che abbiano debiti pecuniari ingenti, accertati giudizialmente, nei confronti di persone fisiche o giuridiche bulgare o nei confronti di persone fisiche o giuridiche straniere, salvo che il loro patrimonio personale copra il debito o che esse abbiano costituito un’adeguata garanzia». |
12 |
Ai sensi delle disposizioni complementari della ZBLD, un importo superiore a BGN 5 000 è ritenuto «ingente» ai sensi dell’articolo 76, paragrafo 3, della ZBLD. |
13 |
Quest’ultima disposizione è stata abrogata dal paragrafo 62, punto 3, della legge che modifica e completa la legge sui documenti d’identità bulgari (DV n. 82, del 16 ottobre 2009), entrata in vigore il 20 ottobre 2009. Il legislatore bulgaro non ha tuttavia previsto la revoca d’ufficio dei provvedimenti amministrativi coercitivi adottati sul fondamento dell’articolo 76, paragrafo 3, della ZBLD. |
14 |
L’articolo 99 del codice di procedura amministrativa (Administrativnoprotsesualen kodeks; in prosieguo: l’«APK»), contenuto nel capitolo 7, intitolato «Condizioni per la revisione dei procedimenti di adozione di atti amministrativi», così recita: «Un atto amministrativo individuale o generale, divenuto definitivo, che non sia stato impugnato in sede giudiziaria, può essere revocato o modificato dall’autorità amministrativa direttamente sovraordinata ovvero, qualora si tratti di un atto amministrativo non impugnabile in sede amministrativa, dall’autorità medesima che lo ha emanato, nei casi in cui:
(...)
|
15 |
Secondo la decisione di rinvio, l’articolo 99, paragrafo 1, dell’APK conferisce all’organo amministrativo il potere di revocare un atto amministrativo divenuto definitivo nel caso in cui vi sia una sostanziale violazione di uno dei presupposti da cui dipende la sua legittimità. Tuttavia, ai sensi degli articoli 100 e 102, paragrafo 1, dell’APK, tale potere può essere esercitato solo entro un mese dall’adozione dell’atto in questione e su iniziativa dell’organo amministrativo da cui esso promana, del procuratore competente o del mediatore. |
16 |
Per contro, conformemente all’articolo 102, paragrafo 2, dell’APK, nell’ipotesi di cui all’articolo 99, paragrafo 7, di tale codice, è possibile che il procedimento sia riaperto su istanza del destinatario di un provvedimento amministrativo che, non essendo stato impugnato in sede giudiziaria, è divenuto definitivo. |
17 |
Dalla decisione di rinvio risulta che il destinatario di un siffatto provvedimento può altresì presentare una domanda di riapertura del procedimento nei casi previsti all’articolo 99, paragrafi 2-6, dell’APK. |
18 |
Da tale decisione risulta parimenti che l’articolo 99, paragrafo 2, dell’APK riguarda in particolare il caso di nuove prove scritte. |
Controversia nel procedimento principale e questioni pregiudiziali
19 |
Il decreto del direttore della direzione regionale del Ministero degli Affari interni del 17 aprile 2007 (in prosieguo: il «decreto del 2007»), ha inflitto al sig. Byankov, cittadino bulgaro, un provvedimento amministrativo coercitivo, ai sensi dell’articolo 76, paragrafo 3, della ZBLD, recante divieto di uscita dal territorio bulgaro e divieto di rilascio di passaporti o documenti di identità sostitutivi (in prosieguo: il «divieto di uscita dal territorio di cui trattasi nel procedimento principale»). |
20 |
Il decreto del 2007 è stato adottato su istanza di un ufficiale giudiziario a causa di un debito nei confronti di una persona giuridica di diritto privato bulgara. Tale decreto precisa che il suddetto debito, pari a BGN 200 000 maggiorati delle spese e degli interessi, è «ingente», ai sensi delle disposizioni complementari della ZBLD, e che il sig. Byankov non ha costituito adeguata garanzia. |
21 |
Tale decreto non è stato impugnato in sede giudiziaria ed è divenuto definitivo. |
22 |
Il 6 luglio 2010, ossia oltre tre anni dopo l’adozione del decreto del 2007, il sig. Byankov ha chiesto la revoca del divieto di uscita dal territorio di cui trattasi nel procedimento principale, facendo valere la propria qualità di cittadino dell’Unione ed il proprio diritto di circolare e di soggiornare liberamente nell’Unione. Il sig. Byankov si è basato anche sull’articolo 27, paragrafo 1, della direttiva 2004/38, sulla sentenza del 10 luglio 2008, Jipa (C-33/07, Racc. pag. I-5157), nonché sulla sentenza n. 3909, del 24 marzo 2010, del Varhoven administrativen sad (Suprema Corte amministrativa). Egli ha sostenuto che il provvedimento restrittivo che può essere adottato ai sensi dell’articolo 76, paragrafo 3, della ZBLD non può rientrare nella nozione di «ordine pubblico». |
23 |
Il glaven sekretar na Ministerstvo na vatreshnite raboti, cui era stata trasmessa la domanda del sig. Byankov, l’ha esaminata in quanto istanza di revoca di un atto amministrativo divenuto definitivo, procedimento disciplinato dall’articolo 99 dell’APK. |
24 |
Con decreto del 20 luglio 2010 tale istanza è stata respinta in quanto non ricorrevano i requisiti giuridici previsti dall’articolo 99 dell’APK per l’annullamento di un «atto amministrativo consolidato». Non sarebbe infatti stata dimostrata la presenza di alcuno dei motivi di revoca stabiliti all’articolo 99, paragrafi 2-7, dell’APK, che corrispondono ai casi in cui un privato sarebbe autorizzato a presentare una domanda di riapertura del procedimento. In particolare, dato che riguarda una persona diversa dal sig. Byankov, la sentenza del Varhoven administrativen sad citata al punto 22 supra non costituirebbe una nuova prova scritta ai sensi dell’articolo 99, paragrafo 2, dell’APK. Non sarebbe stato dimostrato neppure il motivo di revoca sancito all’articolo 99, paragrafo 1, dell’APK, non essendo stata proposta nei termini previsti alcuna domanda da una persona a tal fine autorizzata. |
25 |
Il sig. Byankov ha adito il giudice del rinvio ai fini dell’annullamento del decreto del 20 luglio 2010 e dell’accoglimento della sua istanza di revoca del decreto del 2007. |
26 |
La parte convenuta nel procedimento principale chiede che il ricorso del sig. Byankov sia respinto, sostenendo la legittimità del divieto di uscita dal territorio di cui trattasi nel procedimento principale. |
27 |
Secondo il giudice del rinvio, la motivazione del decreto del 2007 non menziona alcuna ragione di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di sanità pubblica né contiene una valutazione del comportamento personale del sig. Byankov, né, ancora, espone i motivi a riprova del fatto che il divieto di uscita dal territorio di cui trattasi nel procedimento principale agevolerebbe i pagamenti in questione. |
28 |
In tali circostanze, l’Administrativen sad Sofia-grad ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
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Sulle questioni pregiudiziali
Sulla terza questione
29 |
Con la sua terza questione, che occorre esaminare per prima, il giudice del rinvio chiede sostanzialmente se il diritto dell’Unione debba essere interpretato nel senso che osta all’applicazione di una disposizione nazionale che prevede l’applicazione di una limitazione al diritto di un cittadino di uno Stato membro di circolare liberamente nell’Unione, per il solo fatto che ha un debito non garantito, superiore ad un determinato importo stabilito dalla legge, nei confronti di una persona giuridica di diritto privato. |
30 |
A tale riguardo, occorre rilevare anzitutto che una situazione come quella del sig. Byankov, a cui viene impedito di spostarsi dal territorio dello Stato di cui è cittadino nel territorio di un altro Stato membro, ricade nella sfera del diritto alla libera circolazione e al libero soggiorno nel territorio degli Stati membri, come attribuito dallo status di cittadino dell’Unione (v., per analogia, sentenze Jipa, cit., punto 17; del 17 novembre 2011, Gaydarov, C-430/10, Racc. pag. I-11637, punti 24-27, e Aladzhov, C-434/10, Racc. pag. I-11659, punti 24-27). |
31 |
Dalla giurisprudenza della Corte risulta infatti che tale diritto alla libera circolazione comprende sia il diritto per i cittadini dell’Unione di entrare in uno Stato membro diverso da quello di cui sono originari, sia il diritto di lasciare quest’ultimo. Come la Corte ha già avuto occasione di sottolineare, le libertà fondamentali garantite dal Trattato FUE sarebbero vanificate se lo Stato membro d’origine, senza una valida giustificazione, potesse vietare ai suoi cittadini di lasciare il suo territorio per entrare nel territorio di un altro Stato membro (v. sentenza Jipa, cit., punto 18 e giurisprudenza ivi citata). |
32 |
D’altronde l’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 2004/38 prevede espressamente, senza richiedere il previo esercizio del suddetto diritto alla libera circolazione e al libero soggiorno, che ogni cittadino dell’Unione munito di una carta d’identità o di un passaporto in corso di validità abbia il diritto di lasciare il territorio di uno Stato membro per recarsi in un altro Stato membro. |
33 |
Sono ininfluenti al riguardo le circostanze, sottolineate nella decisione di rinvio, che l’articolo 76, paragrafo 3, della ZBLD, entrato in vigore prima dell’adesione della Repubblica di Bulgaria all’Unione, non sia volto a trasporre il diritto dell’Unione, o che l’articolo 27 della direttiva 2004/38 sia stato trasposto nel diritto nazionale bulgaro unicamente per quanto riguarda i cittadini di Stati diversi dalla Bulgaria (v., su quest’ultimo punto, sentenza Aladzhov, cit., punti 31 e 32). |
34 |
In simili circostanze, occorre ricordare che il diritto alla libera circolazione dei cittadini dell’Unione non è incondizionato, ma può essere subordinato alle limitazioni e alle condizioni previste dal Trattato nonché dalle relative disposizioni di attuazione (v., in particolare, sentenze Jipa, cit., punto 21 e giurisprudenza ivi citata, nonché Aladzhov, cit., punto 28). |
35 |
Tali restrizioni e condizioni risultano, in particolare, dall’articolo 27, paragrafo 1, della direttiva 2004/38, che consente agli Stati membri di restringere la libertà di circolazione dei cittadini dell’Unione o dei loro familiari per motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di salute pubblica. A termini della medesima disposizione, tali motivi non possono essere tuttavia invocati «per fini economici» (sentenza Aladzhov, cit., punto 29). |
36 |
Pertanto, affinché il diritto dell’Unione non osti ad un provvedimento amministrativo come quello di cui trattasi nel procedimento principale, occorre in particolare dimostrare che esso è stato adottato per uno dei motivi elencati all’articolo 27, paragrafo 1, della direttiva 2004/38, sempre a patto che tale motivo non sia stato invocato per fini economici. |
37 |
Orbene, dalla decisione di rinvio e dal tenore letterale della terza questione risulta che l’unico fondamento del provvedimento amministrativo in discussione nel procedimento principale è la duplice constatazione della sussistenza di un debito nei confronti di una persona giuridica di diritto privato e dell’impossibilità per il debitore di costituire una garanzia relativa a tale debito. Non vi è menzione dell’ordine pubblico, della pubblica sicurezza o della sanità pubblica. |
38 |
Su tale punto, il giudice del rinvio prospetta l’ipotesi che l’articolo 76, paragrafo 3, della ZBLD e, di riflesso, il divieto di uscita dal territorio di cui trattasi nel procedimento principale perseguano un obiettivo di tutela dei creditori. |
39 |
Anche ammesso che sia corretto ritenere che una determinata concezione del mantenimento dell’ordine pubblico sottenda un tale obiettivo, la decisione di rinvio non consente di escludere che il divieto di uscita dal territorio di cui al procedimento principale persegua un obiettivo esclusivamente economico. Orbene, l’articolo 27, paragrafo 1, della direttiva 2004/38 esclude espressamente che uno Stato membro possa invocare motivi di ordine pubblico a fini economici. |
40 |
Del resto, dalla giurisprudenza della Corte risulta che il ricorso alla nozione di ordine pubblico presuppone, in ogni caso, oltre alla perturbazione dell’ordine sociale insita in qualsiasi infrazione della legge, l’esistenza di una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave nei confronti di un interesse fondamentale della società (v., in particolare, sentenze Jipa, cit., punto 23 e giurisprudenza ivi citata, nonché Gaydarov, cit., punto 33). |
41 |
In tale contesto, le deroghe alla libera circolazione delle persone che possono essere invocate da uno Stato membro implicano, in particolare, come emerge dall’articolo 27, paragrafo 2, della direttiva 2004/38, che i provvedimenti adottati per motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza debbano essere fondati, per poter essere giustificati, esclusivamente sul comportamento personale del soggetto nei riguardi del quale vengono applicati, mentre giustificazioni estranee al caso individuale o attinenti a ragioni di prevenzione generale non possono essere prese in considerazione (sentenze Jipa, cit., punto 24, e Gaydarov, cit., punto 34). |
42 |
Tuttavia, dalla decisione di rinvio risulta che il decreto del 2007 è sprovvisto di qualsiasi valutazione specifica in relazione al comportamento personale del sig. Byankov o al carattere reale, attuale e grave di una minaccia che tale comportamento rappresenterebbe per un interesse fondamentale della società bulgara sul quale il fascicolo a disposizione della Corte non fornisce alcuna indicazione. |
43 |
Risulta inoltre dall’articolo 27, paragrafo 2, della direttiva 2004/38, nonché dalla costante giurisprudenza della Corte, che un provvedimento restrittivo del diritto alla libera circolazione può essere giustificato solamente qualora, essendo atto a garantire la realizzazione dell’obiettivo da esso perseguito e non andando al di là di quanto necessario per il suo raggiungimento, rispetti il principio di proporzionalità (v. in tal senso, in particolare, sentenze Jipa, cit., punto 29, e Gaydarov, cit., punto 40). |
44 |
A tale riguardo occorre rilevare, da un lato, che, fatta salva la possibilità di pagare l’importo rivendicato o di costituire un’adeguata garanzia, il divieto di uscita dal territorio di cui al procedimento principale è assoluto, ossia non accompagnato da eccezioni, da un limite temporale o da una possibilità di revisione periodica delle circostanze di fatto e di diritto ad esso sottese. Pertanto, fintantoché un siffatto divieto non è revocato, i suoi effetti giuridici per una persona quale il sig. Byankov si rinnovano di continuo e sono tali da protrarsi a tempo indeterminato. |
45 |
Dall’altro, nel diritto dell’Unione esistono norme giuridiche a tutela dei diritti dei creditori, senza che tuttavia la libertà di circolazione del debitore debba necessariamente essere limitata. È sufficiente citare a titolo esemplificativo il regolamento (CE) n. 44/2001 del Consiglio, del 22 dicembre 2000, concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale (GU 2001, L 12, pag. 1), che peraltro è ricordato dal giudice del rinvio stesso. |
46 |
Ne consegue che, contrariamente a quanto teme il giudice del rinvio, non può ritenersi che, a motivo dell’esclusione, nell’ambito dell’articolo 27, paragrafo 1, della direttiva 2004/38, delle deroghe invocate a fini economici, l’ordinamento giuridico dell’Unione non garantisca un livello di tutela del diritto di proprietà altrui, nel caso di specie dei creditori, almeno equivalente a quello istituito ai sensi della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. |
47 |
Del resto, come sostanzialmente rilevato dal giudice del rinvio, dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo risulta che i provvedimenti, quali il divieto di uscita dal territorio di cui trattasi nel procedimento principale, che pregiudicano il diritto di una persona di lasciare il proprio paese, devono, in particolare, essere regolarmente sottoposti ad un riesame, a pena di dover essere considerati «sproporzionati» ai sensi di questa stessa giurisprudenza (v. in tal senso, in particolare, Corte eur. D.U., sentenze Ignatov/Bulgaria del 2 luglio 2009, ricorso n. 50/02, punto 37, e Gochev/Bulgaria del 26 novembre 2009, ricorso n. 34383/03, punti 55-57). |
48 |
Alla luce di tutto quanto precede, occorre rispondere alla terza questione dichiarando che il diritto dell’Unione dev’essere interpretato nel senso che osta all’applicazione di una disposizione nazionale che prevede l’imposizione di una limitazione al diritto alla libera circolazione nell’Unione di un cittadino di uno Stato membro, per il solo fatto che ha un debito non garantito, superiore ad un determinato importo stabilito dalla legge, nei confronti di una persona giuridica di diritto privato. |
Sulla prima e sulla seconda questione
Considerazioni preliminari
49 |
Dal fascicolo a disposizione della Corte risulta che il giudice del rinvio è stato adito con un ricorso di annullamento di una decisione amministrativa che ha respinto l’istanza del sig. Byankov, diretta ad ottenere la riapertura del procedimento amministrativo conclusosi con l’adozione del decreto del 2007, in ragione dell’asserita incompatibilità di tale decreto con il diritto dell’Unione. Nel procedimento principale si tratta quindi di stabilire se tale rigetto sia conforme ai requisiti del diritto dell’Unione. |
50 |
In simili circostanze, il giudice del rinvio si interroga, nella sua prima questione, sull’interazione tra, da un lato, il principio della certezza del diritto nei confronti di un atto amministrativo divenuto definitivo e, dall’altro, il principio della tutela giurisdizionale effettiva dei diritti conferiti ai singoli dal diritto dell’Unione. In particolare, prende in considerazione la sentenza del 13 gennaio 2004, Kühne & Heitz (C-453/00, Racc. pag. I-837), e una parte della giurisprudenza che ne è derivata. Sembra trarne la conclusione che, sostanzialmente, il principio della tutela giurisdizionale effettiva incontra sempre i suoi limiti nelle «norme nazionali che sanciscono il principio della certezza del diritto con riguardo agli atti amministrativi». |
51 |
Nel caso di specie, non occorre tuttavia pronunciarsi sugli sviluppi esposti relativamente a tale punto nella decisione di rinvio. È infatti sufficiente ricordare che, poiché il decreto del 2007 è divenuto definitivo senza essere stato oggetto di sindacato giurisdizionale, la citata sentenza Kühne & Heitz non è direttamente pertinente ai fini di stabilire se, in una situazione come quella del procedimento principale, un organo amministrativo sia tenuto a riaprire il procedimento amministrativo per revocare un atto amministrativo quale il decreto del 2007 (v., per analogia, sentenza del 19 settembre 2006, i-21 Germany e Arcor, C-392/04 e C-422/04, Racc. pag. I-8559, punti 53 e 54). |
52 |
È ancora nell’ambito delineato al punto 49 supra che il giudice del rinvio, con la sua seconda questione, chiede sostanzialmente se l’articolo 31 della direttiva 2004/38 possa fungere da base ad un obbligo di riesame di una decisione amministrativa in una situazione come quella di cui al procedimento principale. |
53 |
Detto articolo 31 mira segnatamente ad assicurare ai cittadini dell’Unione e ai loro familiari un accesso ai mezzi di impugnazione giurisdizionali e, all’occorrenza, amministrativi al fine di presentare ricorso o chiedere la revisione di provvedimenti che limitano il loro diritto alla libera circolazione e al libero soggiorno negli Stati membri. |
54 |
Tali garanzie procedurali imposte dal suddetto articolo 31 sono applicabili al momento dell’adozione dei provvedimenti che limitano il diritto in esame. |
55 |
Orbene, nel caso di specie non si contesta il fatto che il sig. Byankov disponeva, al momento dell’adozione del decreto del 2007, di mezzi di ricorso che gli consentivano di contestare il divieto di uscita dal territorio di cui trattasi nel procedimento principale, eventualmente dinanzi ad un giudice. Risulta infatti dalla decisione di rinvio che il sig. Byankov, al momento dell’adozione del decreto del 2007, non ha presentato ricorso nei confronti del medesimo, con la conseguenza che esso è divenuto definitivo. |
56 |
Ne consegue che l’articolo 31 della direttiva 2004/38 non è applicabile, in quanto tale, alle situazioni giuridiche come quella descritta dal giudice del rinvio nella sua seconda questione. |
57 |
Nell’ambito della procedura di cooperazione tra i giudici nazionali e la Corte istituita all’articolo 267 TFUE, spetta a quest’ultima fornire al giudice nazionale una risposta utile che gli consenta di dirimere la controversia di cui è investito. In tale prospettiva, spetta alla Corte, se necessario, riformulare le questioni che le sono sottoposte (v., in particolare, sentenze del 17 luglio 1997, Krüger, C-334/95, Racc. pag. I-4517, punti 22 e 23, nonché del 14 ottobre 2010, Fuß, C-243/09, Racc. pag. I-9849, punto 39 e giurisprudenza ivi citata). |
58 |
A tal fine, la Corte può trarre dall’insieme degli elementi forniti dal giudice nazionale e, in particolare, dalla motivazione della decisione di rinvio le norme e i principi del diritto dell’Unione che richiedono un’interpretazione tenuto conto dell’oggetto della controversia di cui al procedimento principale (v. in tal senso, segnatamente, sentenze del 29 novembre 1978, Redmond, 83/78, Racc. pag. 2347, punto 26; del 23 ottobre 2003, Inizan, C-56/01, Racc. pag. I-12403, punto 34, e Fuß, cit., punto 40). |
59 |
A tale riguardo, dalla decisione di rinvio risulta che, nel diritto bulgaro, il procedimento amministrativo conclusosi con l’adozione di un atto amministrativo individuale definitivo che non è stato oggetto di ricorso giurisdizionale può essere riaperto in via eccezionale ai fini della revoca o della riforma di tale atto nei casi tassativamente elencati all’articolo 99 dell’APK. |
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Inoltre, come risulta dai punti 15, 23 e 24 supra, la domanda del sig. Byankov diretta alla riapertura del procedimento amministrativo con la finalità di revocare il divieto di uscita dal territorio di cui al procedimento principale è stata respinta per il fatto che non ricorrevano i requisiti giuridici per applicare l’articolo 99 dell’APK. In particolare, per quanto riguarda il paragrafo 1 di tale articolo, non era stata presentata alcuna domanda di riapertura del procedimento amministrativo entro un mese dall’adozione del decreto del 2007 da una persona a tal fine autorizzata, vale a dire l’organo amministrativo che ha adottato il decreto in questione, il mediatore o eventualmente il procuratore competente. |
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Pertanto, come sostanzialmente rilevato dal giudice del rinvio, fatta eccezione per la possibilità di pagare l’importo rivendicato o di costituire un’adeguata garanzia, considerando solo il diritto bulgaro, il sig. Byankov non ha ormai più alcuna possibilità di ottenere una revisione periodica delle circostanze di fatto e di diritto che hanno dato luogo al divieto inflittogli di lasciare il territorio, e ciò malgrado il fatto che, come emerge dalla risposta fornita alla terza questione e come d’altronde ammesso nella decisione di rinvio, un siffatto divieto sia chiaramente contrario ai requisiti del diritto dell’Unione, in particolare a quelli di cui all’articolo 27 della direttiva 2004/38. |
62 |
Inoltre, gli organi pertinenti dell’amministrazione bulgara, che sono soggetti all’obbligo di rispettare la preminenza del diritto dell’Unione (v. in tal senso, in particolare, sentenza del 12 gennaio 2010, Petersen, C-341/08, Racc. pag. I-47, punto 80 e giurisprudenza ivi citata), non sono più in grado, secondo l’interpretazione data dal giudice del rinvio alla normativa di cui al procedimento principale, di esercitare la loro facoltà di far riesaminare il caso del sig. Byankov alla luce, in particolare, delle indicazioni derivanti dalle citate sentenze Jipa, Gaydarov e Aladzhov. Tale facoltà può essere esercitata solo entro un mese dall’adozione dell’atto in questione. |
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Orbene, dalla giurisprudenza della Corte risulta che le disposizioni dell’articolo 21, paragrafo 1, TFUE attribuiscono, ai singoli, diritti che possono far valere in giudizio e che i giudici nazionali devono tutelare (v. in tal senso, in particolare, sentenza del 17 settembre 2002, Baumbast e R, C-413/99, Racc. pag. I-7091, punti 84-86). |
64 |
Inoltre, in forza, in particolare, del principio di leale cooperazione, sancito all’articolo 4, paragrafo 3, TUE, spetta a tutte le autorità degli Stati membri, compresi gli organi amministrativi e giurisdizionali, garantire il rispetto delle norme del diritto dell’Unione nell’ambito delle loro competenze (v., in tal senso, sentenza del 13 aprile 2010, Wall, C-91/08, Racc. pag. I-2815, punto 69). |
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Nel caso di specie si tratta quindi di stabilire se, al fine di tutelare i diritti che l’ordinamento dell’Unione riconosce ai singoli, sia possibile chiedere al giudice nazionale investito di un ricorso come quello del sig. Byankov, tenuto conto dell’articolo 4, paragrafo 3, TUE (v., in tal senso, sentenza del 13 marzo 2007, Unibet, C-432/05, Racc. pag. I-2271, punto 38 e giurisprudenza ivi citata), di riconoscere in capo all’autorità amministrativa l’esistenza di un obbligo di revisione ed eventuale revoca di un divieto di lasciare il territorio, come quello di cui al procedimento principale (v., per analogia, sentenza i-21 Germany e Arcor, cit., punti 55 e 56). |
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Ciò premesso, la prima e la seconda questione vanno intese come sostanzialmente volte ad acclarare se, in circostanze come quelle di cui al procedimento principale, il diritto dell’Unione debba essere interpretato nel senso che osta ad una normativa di uno Stato membro ai sensi della quale il procedimento amministrativo che ha portato all’adozione di un divieto di lasciare il territorio, come quello di cui al procedimento principale, divenuto definitivo e non impugnato in sede giudiziaria, può essere riaperto, nel caso in cui detto divieto sia manifestamente contrario al diritto dell’Unione, solo nei casi tassativamente previsti dall’articolo 99 dell’APK, e ciò nonostante un siffatto divieto continui a produrre effetti giuridici nei confronti del suo destinatario. |
Sulla prima e sulla seconda questione, come riformulate
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Vero è che, in particolare dai punti 30-32 e 36 supra, risulta che le garanzie stabilite dal legislatore dell’Unione all’articolo 32 della direttiva 2004/38 sono tali da applicarsi ai divieti per i cittadini dell’Unione di lasciare il territorio di uno Stato membro. |
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Tuttavia, per potere accedere al riesame nell’ambito specifico del suddetto articolo 32, occorre in particolare che il provvedimento in questione sia stato «validamente adottato ai sensi del diritto [dell’Unione]». Orbene, come risulta dalla risposta fornita alla terza questione, ciò non si verifica nel caso di un provvedimento come il decreto del 2007. Per tale motivo, in particolare, l’articolo 32 della direttiva 2004/38 non può essere considerato applicabile, in quanto tale, al caso di specie. |
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Secondo una costante giurisprudenza, in mancanza di una disciplina dell’Unione in materia, spetta all’ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro, in forza del principio dell’autonomia procedurale degli Stati membri, disciplinare i mezzi di impugnazione intesi a garantire la tutela dei diritti riconosciuti ai singoli in forza del diritto dell’Unione (v. sentenza Wall, cit., punto 63), a condizione, tuttavia, che dette modalità non siano meno favorevoli di quelle che riguardano situazioni analoghe di natura interna (principio di equivalenza) e che esse non rendano in pratica impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione (principio di effettività) (v., in particolare, sentenze del 14 dicembre 1995, Peterbroeck, C-312/93, Racc. pag. I-4599, punto 12; i-21 Germany e Arcor, cit., punto 57 e giurisprudenza ivi citata, nonché del 12 luglio 2012, VALE Építési, C-378/10, punto 48 e giurisprudenza ivi citata). |
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Quanto al principio di equivalenza, esso richiede che la complessiva disciplina dei ricorsi, termini compresi, si applichi indistintamente ai ricorsi fondati sulla violazione del diritto dell’Unione e a quelli per infrazione del diritto interno (v., in particolare, sentenze del 29 ottobre 2009, Pontin, C-63/08, Racc. pag. I-10467, punto 45 e giurisprudenza ivi citata, nonché del 19 luglio 2012, Littlewoods Retail e a., C-591/10, punto 31). |
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A tale riguardo, il giudice del rinvio non ha indicato che le specifiche condizioni di applicazione dell’articolo 99 dell’APK possano differire a seconda che la causa di illegittimità invocata contro l’atto amministrativo divenuto definitivo consista in una violazione del diritto dell’Unione o in una violazione del diritto interno. |
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Nella presente causa, si pone più in particolare la questione di stabilire se una normativa nazionale come quella descritta dal giudice del rinvio sia compatibile con i principi di effettività nonché di leale cooperazione. |
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Da un lato infatti, ai sensi di una normativa di tal genere, i destinatari di divieti di lasciare il territorio che si trovano nella situazione del sig. Byankov non avranno mai, a meno di pagare gli importi rivendicati o di costituire garanzie adeguate, la possibilità di far riesaminare il loro caso, e ciò malgrado la manifesta illegittimità dei divieti attinenti al territorio loro inflitti a tempo indeterminato. |
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Dall’altro, come risulta in particolare dai punti 13 e 15 supra, considerato che non è prevista una revoca d’ufficio, in particolare in forza della citata sentenza Jipa, dei divieti di lasciare il territorio ex articolo 76, paragrafo 3, della ZBLD, e alla luce del termine di un mese applicabile nell’ambito dell’articolo 99, paragrafo 1, dell’APK, i competenti organi amministrativi ritengono di non poter consentire un riesame in casi come quello di cui al procedimento principale, e ciò anche qualora l’illegittimità nei confronti del diritto dell’Unione sia stata confermata dalla giurisprudenza della Corte. |
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Dalla giurisprudenza della Corte risulta che i casi in cui occorre chiarire se una disposizione processuale nazionale renda impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti ai singoli dall’ordinamento giuridico dell’Unione devono essere esaminati tenendo conto del ruolo di detta disposizione nell’insieme del procedimento, dello svolgimento e delle peculiarità dello stesso dinanzi ai vari organi giurisdizionali nazionali (v., in particolare, sentenze Peterbroeck, cit., punto 14; del 3 settembre 2009, Fallimento Olimpiclub, C-2/08, Racc. pag. I-7501, punto 27, e del 14 giugno 2012, Banco Español de Crédito, C-618/10, punto 49). |
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A tale riguardo, la Corte ha già riconosciuto che il carattere definitivo di una decisione amministrativa contribuisce alla certezza del diritto, con la conseguenza che il diritto dell’Unione non richiede che un organo amministrativo sia tenuto, in linea di principio, a ritornare su una decisione amministrativa che ha acquisito un siffatto carattere definitivo (v., in tal senso, sentenza del 12 febbraio 2008, Kempter, C-2/06, Racc. pag. I-411, punto 37). |
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La Corte ha tuttavia sostanzialmente statuito che particolari circostanze possono, in forza del principio di leale cooperazione derivante dall’articolo 4, paragrafo 3, TUE, imporre ad un organo amministrativo nazionale il riesame di una decisione amministrativa divenuta definitiva per tener conto, in particolare, dell’interpretazione di una pertinente disposizione del diritto dell’Unione nel frattempo accolta dalla Corte (v. sentenza Kempter, cit., punto 38). Dalla giurisprudenza risulta che, in tale contesto, la Corte ha tenuto conto delle particolarità delle situazioni e degli interessi in questione per trovare un equilibrio tra l’esigenza di certezza del diritto e quella della legittimità nei confronti del diritto dell’Unione (v., in particolare, sentenze Kühne & Heitz, cit., punti 25 e 26; i-21 Germany e Arcor, cit., punti 53, 63 e 64; Kempter, cit., punti 46, 55 e 60, nonché Fallimento Olimpiclub, cit., punti 22, 26 e 31). |
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Nel caso di specie, occorre esaminare più particolarmente se, in situazioni come quella di cui al procedimento principale, una normativa nazionale del tipo di quella descritta nella decisione di rinvio possa essere giustificata alla luce della salvaguardia del principio della certezza del diritto, tenuto conto delle conseguenze che ne derivano per l’applicazione del diritto dell’Unione e per i cittadini dell’Unione destinatari di divieti di lasciare il territorio come quelli di cui al procedimento principale (v., per analogia, sentenza Fallimento Olimpiclub, cit., punto 28). |
79 |
Come risulta dalla risposta alla terza questione e, in particolare, dai punti 37, 42 e 44 supra, in casi come quello di specie, la normativa di cui al procedimento principale, che non prevede una revisione periodica, protrae a tempo indeterminato il divieto di lasciare il territorio e, con ciò, la violazione del diritto alla libera circolazione e al libero soggiorno nel territorio degli Stati membri sancito dall’articolo 21, paragrafo 1, TFUE. In simili circostanze, un siffatto divieto attinente al territorio costituisce la negazione stessa della libertà di circolare e soggiornare nel territorio degli Stati membri attribuita dallo status di cittadino dell’Unione (v. anche, per analogia, sentenza del 19 gennaio 1999, Calfa, C-348/96, Racc. pag. I-11, punto 18). |
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Peraltro, con l’articolo 32, paragrafo 1, della direttiva 2004/38, il legislatore dell’Unione ha obbligato gli Stati membri a prevedere la possibilità di riesame dei provvedimenti di divieto d’ingresso sul loro territorio, o di divieto di lasciare il medesimo, anche qualora tali provvedimenti siano stati validamente adottati ai sensi del diritto dell’Unione e siano divenuti definitivi, come nel caso del decreto del 2007. A maggior ragione ciò dovrebbe valere per quanto riguarda i divieti attinenti al territorio del tipo di cui trattasi nel procedimento principale, che non sono stati adottati validamente ai sensi del diritto dell’Unione e che costituiscono la negazione stessa della libertà sancita dall’articolo 21, paragrafo 1, TFUE. In una simile situazione, il principio di certezza del diritto non richiede necessariamente che un atto che impone un siffatto divieto continui a produrre effetti giuridici a tempo indeterminato. |
81 |
Tenuto conto anche dell’importanza che il diritto primario annette allo status di cittadino dell’Unione (v., in particolare, sentenza del 2 marzo 2010, Rottmann, C-135/08, Racc. pag. I-1449, punti 43 e 56), si deve concludere che, in casi come quello di cui al procedimento principale, una normativa nazionale quale quella descritta nella decisione di rinvio, impedendo ai cittadini dell’Unione di far valere il loro diritto alla libera circolazione e al libero soggiorno, come attribuito dall’articolo 21 TFUE, nei confronti di divieti assoluti attinenti al territorio, adottati a tempo indeterminato, e agli organi amministrativi di trarre le conseguenze da una giurisprudenza della Corte che conferma il carattere illegittimo di siffatti divieti alla luce del diritto dell’Unione, non può essere ragionevolmente giustificata dal principio di certezza del diritto e deve pertanto essere considerata, in tale misura, contraria al principio di effettività e all’articolo 4, paragrafo 3, TUE (v., per analogia, sentenza Fallimento Olimpiclub, cit., punti 30 e 31). |
82 |
Alla luce delle suesposte considerazioni, occorre rispondere alla prima e alla seconda questione dichiarando che il diritto dell’Unione dev’essere interpretato nel senso che osta ad una normativa di uno Stato membro ai sensi della quale il procedimento amministrativo che ha portato all’adozione di un divieto di lasciare il territorio, come quello di cui al procedimento principale, divenuto definitivo e non impugnato in sede giudiziaria, può essere riaperto, nel caso in cui detto divieto sia manifestamente contrario al diritto dell’Unione, solo nei casi tassativamente previsti dall’articolo 99 dell’APK, e ciò nonostante un siffatto divieto continui a produrre effetti giuridici nei confronti del suo destinatario. |
Sulle spese
83 |
Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione. |
Per questi motivi, la Corte (Seconda Sezione) dichiara: |
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Firme |
( *1 ) Lingua processuale: il bulgaro.