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Documento 62009CJ0542

Sentenza della Corte (Seconda Sezione) del 14 giugno 2012.
Commissione europea contro Regno dei Paesi Bassi.
Inadempimento di uno Stato — Libera circolazione delle persone — Accesso all’istruzione dei lavoratori migranti e dei loro familiari — Finanziamento degli studi superiori compiuti fuori del territorio dello Stato membro interessato — Requisito della residenza.
Causa C‑542/09.

Raccolta della giurisprudenza - generale

Identificatore ECLI: ECLI:EU:C:2012:346

SENTENZA DELLA CORTE (Seconda Sezione)

14 giugno 2012 ( *1 )

«Inadempimento di uno Stato — Libera circolazione delle persone — Accesso all’istruzione dei lavoratori migranti e dei loro familiari — Finanziamento degli studi superiori compiuti fuori del territorio dello Stato membro interessato — Requisito della residenza»

Nella causa C-542/09,

avente ad oggetto il ricorso per inadempimento, ai sensi dell’articolo 258 TFUE, proposto il 18 dicembre 2009,

Commissione europea, rappresentata da G. Rozet e M. van Beek, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo,

ricorrente,

contro

Regno dei Paesi Bassi, rappresentato da C. Wissels, J. Langer e K. Bulterman, in qualità di agenti,

convenuto,

sostenuto da:

Regno del Belgio, rappresentato da L. van den Broeck e M. Jacobs, in qualità di agenti,

Regno di Danimarca, rappresentato da V. Pasternak Jørgensen, in qualità di agente,

Repubblica federale di Germania, rappresentata da J. Möller e C. Blaschke, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo,

Regno di Svezia, rappresentato da A. Falk, in qualità di agente,

intervenienti,

LA CORTE (Seconda Sezione),

composta dal sig. J.N. Cunha Rodrigues (relatore), presidente di sezione, dai sigg. U. Lõhmus, A. Rosas, A. Ó Caoimh e A. Arabadjiev, giudici,

avvocato generale: sig.ra E. Sharpston

cancelliere: sig. M.-A. Gaudissart, Capo unità

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 10 novembre 2011,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 16 febbraio 2012,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1

Con il suo ricorso la Commissione europea chiede alla Corte di constatare che il Regno dei Paesi Bassi, imponendo una condizione di residenza – cioè la cosiddetta regola dei «3 anni su 6» ai lavoratori migranti e ai loro familiari al cui mantenimento essi continuano a provvedere – per consentire loro di ottenere il finanziamento degli studi superiori compiuti fuori dei Paesi Bassi (in prosieguo: il «finanziamento portabile»), non ha adempiuto gli obblighi ad esso incombenti in forza dell’articolo 45 TFUE e dell’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento (CEE) n. 1612/68 del Consiglio, del 15 ottobre 1968, relativo alla libera circolazione dei lavoratori all’interno della Comunità (GU L 257, pag. 2), come modificato dal regolamento (CEE) n. 2434/92 del Consiglio, del 27 luglio 1992 (GU L 245, pag. 1; in prosieguo: il «regolamento n. 1612/68»).

Contesto normativo

Il diritto dell’Unione

2

Ai sensi dell’articolo 7 del regolamento n. 1612/68:

«1.   Il lavoratore cittadino di uno Stato membro non può ricevere sul territorio degli altri Stati membri, a motivo della propria cittadinanza, un trattamento diverso da quello dei lavoratori nazionali per quanto concerne le condizioni di impiego e di lavoro, in particolare in materia di retribuzione, licenziamento, reintegrazione professionale o ricollocamento se disoccupato.

2.   Egli gode degli stessi vantaggi sociali e fiscali dei lavoratori nazionali.

(...)».

3

L’articolo 12 del regolamento n. 1612/68 così dispone:

«I figli del cittadino di uno Stato membro, che sia o sia stato occupato sul territorio di un altro Stato membro, sono ammessi a frequentare i corsi d’insegnamento generale, di apprendistato e di formazione professionale alle stesse condizioni previste per i cittadini di tale Stato, se i figli stessi vi risiedono.

Gli Stati membri incoraggiano le iniziative intese a permettere a questi giovani di frequentare i predetti corsi nelle migliori condizioni».

Il diritto olandese

4

L’articolo 2.2 della legge del 2000 sul finanziamento degli studi (Wet studiefinanciering 2000; in prosieguo: la «WSF 2000»), che fissa le condizioni che consentono agli studenti di beneficiare di un finanziamento completo dei loro studi superiori se studiano nei Paesi Bassi, è formulato nel modo seguente:

«1.   Può chiedere il finanziamento degli studi lo studente che:

a)

sia cittadino olandese;

b)

non sia cittadino olandese, ma sia equiparato al cittadino olandese in materia di finanziamento degli studi in forza di un trattato o della decisione di un’organizzazione internazionale (…).

(…)».

5

Per quanto riguarda il finanziamento portabile, dall’articolo 2.14, paragrafo 2, della WSF 2000 deriva che può beneficiare di tale vantaggio lo studente che, da una parte, abbia diritto al finanziamento completo degli studi nei Paesi Bassi e, dall’altra, vi abbia legalmente risieduto per almeno tre anni nel corso dei sei anni precedenti la sua iscrizione allo scopo di compiere taluni studi superiori fuori da detto Stato membro.

6

Secondo l’articolo 11.5 della WSF 2000, il ministro competente può, in casi manifesti di grave ingiustizia, derogare alla condizione di residenza prevista all’articolo 2.14, paragrafo 2, di detta legge.

7

Fino al 1o gennaio 2014, la cosiddetta regola dei «3 anni su 6» non è applicabile a tutti gli studenti che possono ottenere il finanziamento degli studi superiori nei Paesi Bassi e che desiderano proseguire tali studi in determinate regioni limitrofe, cioè le Fiandre e la regione di Bruxelles-Capitale in Belgio, nonché la Renania del Nord-Vestfalia, la Bassa Sassonia e Brema in Germania.

Fase precontenziosa

8

Nel corso del 2007, la Commissione ha ricevuto una denuncia riguardante la condizione di residenza prevista all’articolo 2.14, paragrafo 2, della WSF 2000, in forza della quale, per beneficiare del finanziamento portabile, lo studente dovrebbe, tra le altre condizioni, aver risieduto legalmente almeno tre anni nei Paesi Bassi nel corso dei sei anni precedenti la sua iscrizione per il compimento di studi superiori.

9

A seguito di uno scambio di corrispondenza con le autorità olandesi, la Commissione ha inviato al Regno dei Paesi Bassi, il 4 aprile 2008, una lettera di diffida. In tale lettera, la Commissione affermava che il requisito della residenza previsto dalla WSF 2000, in quanto si applica ai lavoratori migranti inclusi i lavoratori frontalieri e i loro familiari, era in contrasto con le disposizioni di diritto dell’Unione relative alla libera circolazione dei lavoratori.

10

Con lettera del 4 giugno 2008, il Regno dei Paesi Bassi ha risposto alla lettera di diffida sostenendo che la cosiddetta regola dei «3 anni su 6» rispettava il diritto dell’Unione e che esso aveva adempiuto gli obblighi che gli incombevano in forza dell’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 1612/68.

11

In seguito ad una riunione tra i servizi della Commissione e le autorità olandesi, queste ultime hanno trasmesso alla Commissione una risposta complementare, con lettera del 24 ottobre 2008. Dette autorità hanno anche manifestato la loro intenzione di presentare al Parlamento olandese un progetto di legge che modificava la cosiddetta regola dei «3 anni su 6».

12

Con lettera del 15 aprile 2009, la Commissione ha emesso un parere motivato in cui ha concluso che il Regno dei Paesi Bassi non aveva rispettato gli obblighi ad esso incombenti alla luce degli articoli 45 TFUE e 7, paragrafo 2, del regolamento n. 1612/68, e lo ha invitato ad adottare i provvedimenti necessari per conformarsi a detto parere nel termine di due mesi a decorrere dal suo ricevimento.

13

Il 15 giugno 2009 tale Stato membro ha ribadito la sua posizione, sottolineando che il requisito della residenza previsto dalla WSF 2000 non violava il diritto dell’Unione.

Procedimento dinanzi alla Corte

14

Con ordinanza del presidente della Corte del 20 luglio 2010 il Regno del Belgio, il Regno di Danimarca, la Repubblica federale di Germania e il Regno di Svezia sono stati autorizzati ad intervenire a sostegno delle conclusioni del Regno dei Paesi Bassi.

Sul ricorso

Argomenti delle parti

15

Nel ricorso la Commissione fa presente che, nella sentenza del 26 febbraio 1992, Bernini (C-3/90, Racc. pag. I-1071), la Corte ha dichiarato che l’aiuto per il mantenimento e per la formazione, ai fini del proseguimento di studi di livello secondario o superiore, deve essere considerato come un vantaggio sociale ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 1612/68. Secondo la stessa giurisprudenza, che sarebbe stata confermata dalla sentenza dell’8 giugno 1999, Meeusen (C-337/97, Racc. pag. I-3289), il figlio di un lavoratore migrante potrebbe avvalersi di detto articolo 7, paragrafo 2, per ottenere il finanziamento dei suoi studi alle stesse condizioni applicate ai figli dei lavoratori nazionali, senza che alcuna condizione supplementare relativa alla sua residenza possa essergli imposta.

16

La Commissione osserva che, secondo costante giurisprudenza, il principio della parità di trattamento previsto all’articolo 45 TFUE e all’articolo 7 del regolamento n. 1612/68 vieta non soltanto le discriminazioni dirette, basate sulla nazionalità, ma anche ogni forma indiretta di discriminazione che, facendo applicazione di altri criteri di distinzione, conduca allo stesso risultato. Spetterebbe alle autorità nazionali che intendono avvalersi di una deroga al principio fondamentale di libera circolazione delle persone provare, in ciascun caso singolo, che le loro normative sono necessarie e proporzionate all’obiettivo perseguito.

17

La Commissione sostiene che il requisito della residenza previsto dalla WSF 2000 costituisce una discriminazione indiretta. Sarebbe evidente che, anche qualora detto requisito si applicasse in modo identico ai cittadini nazionali e agli altri cittadini dell’Unione europea, esso sarebbe naturalmente più agevole da soddisfare per i lavoratori nazionali e sarebbe quindi atto a sfavorire più in particolare i lavoratori migranti.

18

Inoltre, secondo la Commissione, tale requisito è ancora più discriminatorio per i lavoratori frontalieri e i loro figli, i quali, per definizione, risiedono in uno Stato membro diverso dallo Stato membro di impiego e sono nell’impossibilità di soddisfare la cosiddetta regola dei «3 anni su 6». Al riguardo, la Commissione sottolinea che il Regno dei Paesi Bassi, avendo preso coscienza di questo problema, ha proposto una modifica della normativa nazionale al fine di consentire il finanziamento portabile a quegli studenti che, pur potendo essere ammessi al finanziamento per seguire studi superiori nei Paesi Bassi, avessero vissuto «in Belgio, in una delle regioni di confine tedesche oppure in Lussemburgo per un periodo di almeno tre anni nel corso dei sei anni precedenti l’inizio degli studi all’estero».

19

La Commissione considera che la libera circolazione dei lavoratori all’interno dell’Unione costituisce un diritto fondamentale e che ogni ostacolo nazionale può giustificarsi soltanto se si inscrive nel contesto di un obiettivo compatibile con il Trattato FUE, se trova la sua giustificazione in un motivo imperativo d’interesse generale, se è idoneo a garantire la realizzazione dell’obiettivo perseguito e non eccede quanto necessario per raggiungerlo.

20

La Commissione sostiene che la necessarietà e la proporzionalità della regola dei «3 anni su 6» non risulta, come asseriscono le autorità olandesi, dalle sentenze del 15 marzo 2005, Bidar (C-209/03, Racc. pag. I-2119), e del 18 novembre 2008, Förster (C-158/07, Racc. pag. I-8507). In tali sentenze, infatti, l’analisi della Corte avrebbe riguardato la situazione di studenti economicamente inattivi non rientranti né nella previsione dell’articolo 45 TFUE, né in quella del regolamento n. 1612/68 e dai quali le autorità nazionali potevano esigere un certo grado di integrazione nello Stato membro ospitante. Per contro, secondo la Commissione, è alla luce dell’articolo 45 TFUE e del regolamento n. 1612/68 che deve essere valutato l’accesso dei lavoratori migranti e dei loro familiari al cui mantenimento detti lavoratori continuano a provvedere, a vantaggi sociali quali un sussidio concesso ai fini del compimento di studi superiori.

21

Le considerazioni di bilancio non rientrerebbero nella nozione di ragione imperativa di interesse generale atta a consentire di giustificare un ostacolo al diritto fondamentale di libera circolazione dei lavoratori. La Commissione dubita che la regola dei «3 anni su 6» sia l’unica che possa garantire la realizzazione dell’obiettivo perseguito. Al riguardo, la restrizione dell’area geografica nella quale il finanziamento portabile può essere applicato e la durata di quest’ultimo costituirebbero misure ipotizzabili. Per evitare le frodi, sarebbero peraltro realizzabili controlli nel territorio di Stati membri diversi dal Regno dei Paesi Bassi, mediante l’attuazione di un coordinamento tra Stati membri.

22

Il Regno dei Paesi Bassi chiede il rigetto del ricorso.

23

In via principale, esso afferma che la regola dei «3 anni su 6» non costituisce discriminazione indiretta. Detta regola istituirebbe una distinzione tra i lavoratori residenti nei Paesi Bassi da più di tre anni e quelli che non hanno risieduto in tale Stato nel corso di tale periodo, in quanto si tratterebbe di situazioni che non sono paragonabili. Poiché le disposizioni di cui all’articolo 2.14 della WSF 2000 sono dirette a promuovere gli studi fuori dei Paesi Bassi, ciò comporterebbe chiaramente la condizione di risiedere nel territorio nazionale. Il Regno dei Paesi Bassi osserva anche che la giurisprudenza della Corte ha già ammesso differenze di trattamento in funzione di luoghi di residenza diversi.

24

In subordine, per il caso in cui le situazioni di cui alla fattispecie dovessero essere considerate paragonabili, il Regno dei Paesi Bassi sostiene che la Commissione attribuisce un ambito d’applicazione troppo ampio all’articolo 7 del regolamento n. 1612/68. Tale articolo riguarderebbe, in linea di principio, soltanto il lavoratore migrante stesso, mentre i vantaggi concessi ai suoi figli in materia di istruzione sarebbero oggetto dell’articolo 12 dello stesso regolamento. Tale Stato membro sottolinea che quest’ultimo articolo impone una condizione di residenza ai figli, la cui giustificazione sarebbe precisamente quella di stabilire un certo collegamento con la società dello Stato membro ospitante. Poiché siffatta condizione non è menzionata nell’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 1612/68, l’applicazione di detto articolo ai figli dei lavoratori comporterebbe l’elusione dei requisiti stabiliti all’articolo 12.

25

In ulteriore subordine, il Regno dei Paesi Bassi sostiene che la regola dei «3 anni su 6» è obiettivamente giustificata e proporzionata all’obiettivo perseguito.

26

Secondo tale Stato membro, la promozione della mobilità degli studenti sarebbe ipotizzabile soltanto se i beneficiari del finanziamento portabile mantenessero un vero collegamento con i Paesi Bassi. Da una parte, tale finanziamento sarebbe diretto ad offrire una possibilità di studiare fuori dei Paesi Bassi agli studenti che normalmente studierebbero nei Paesi Bassi. D’altra parte, l’abbandono della regola dei «3 anni su 6» avrebbe conseguenze finanziarie inaccettabili e rischierebbe di porre a rischio l’esistenza stessa di tale regime di sussidi. Il fatto che la definizione di beneficiari sia collegata ad alcuni limiti perché il finanziamento possa continuare ad essere garantito sarebbe stato ammesso dalla Corte nelle citate sentenze Bidar e Förster.

27

Secondo il Regno dei Paesi Bassi, la tutela di tali interessi giustifica l’applicazione della regola dei «3 anni su 6» anche ai lavoratori subordinati, altrimenti talune categorie di studenti potrebbero beneficiare del finanziamento portabile sebbene quest’ultimo non sia loro destinato. Tale sarebbe, ad esempio, il caso degli studenti-lavoratori che svolgono un impiego a breve termine nei Paesi Bassi esclusivamente per ottenere detto finanziamento.

28

Per quanto riguarda la proporzionalità della regola dei «3 anni su 6», il Regno dei Paesi Bassi osserva che nessun’altra misura – quale la conoscenza della lingua olandese, la fissazione di limiti geografici oltre i quali la possibilità del finanziamento portabile sarebbe esclusa, oppure la previsione di un periodo più lungo della residenza – può proteggere in modo altrettanto efficace gli interessi in questione. Per di più, esisterebbero, per i figli dei lavoratori migranti nei Paesi Bassi, residenti fuori di detto Stato membro, altre possibilità di sussidio finanziario, in particolare il finanziamento dei loro studi nello Stato membro in cui risiedono o presso istituti olandesi.

29

Il Regno dei Paesi Bassi ricorda, inoltre, che l’articolo 11.5 della WSF 2000 contiene una regola di equità che consente, in casi singoli, di derogare alla condizione di residenza per evitare un’ingiustizia grave.

30

Infine, secondo il Regno dei Paesi Bassi, la Commissione travisa la circostanza che, a decorrere dal 1o settembre 2007, la regola dei «3 anni su 6» non si applica ai figli dei lavoratori frontalieri che desiderano studiare in regioni limitrofe dei Paesi Bassi, cioè, nelle Fiandre e nella regione di Bruxelles-Capitale, nonché nella Renania del Nord-Vestfalia, in Bassa Sassonia e a Brema. Detta eccezione all’applicazione del requisito della residenza sarebbe stata prorogata fino al 1o gennaio 2014.

Giudizio della Corte

31

L’articolo 45, paragrafo 2, TFUE prevede che la libera circolazione dei lavoratori implichi l’abolizione di ogni discriminazione, fondata sulla nazionalità, tra i lavoratori degli Stati membri per quanto riguarda l’impiego, la retribuzione e le altre condizioni di lavoro.

32

A norma dell’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 1612/68, il lavoratore cittadino di uno Stato membro gode, sul territorio degli altri Stati membri, degli stessi vantaggi sociali e fiscali dei lavoratori nazionali.

33

Di detta disposizione beneficiano indifferentemente tanto i lavoratori migranti residenti in uno Stato membro ospitante, quanto i lavoratori frontalieri che, pur esercitando la loro attività subordinata in quest’ultimo Stato membro, risiedono in un altro Stato membro (sentenza del 18 luglio 2007, Geven, C-213/05, Racc. pag. I-6347, punto 15).

34

Secondo costante giurisprudenza, un sussidio concesso per il mantenimento e la formazione, allo scopo di compiere studi universitari sanciti da un titolo qualificante all’esercizio di un’attività professionale, costituisce un vantaggio sociale ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 1612/68 (sentenze del 21 giugno 1988, Lair, 39/86, Racc. pag. 3161, punto 24, e Bernini, cit., punto 23).

35

La Corte ha del pari dichiarato che il finanziamento degli studi concesso da uno Stato membro ai figli dei lavoratori costituisce, per il lavoratore migrante, un vantaggio ai sensi di detto articolo 7, paragrafo 2, quando questi continua a provvedere al mantenimento del figlio (citate sentenze Bernini, punti 25 e 29, nonché Meeusen, punto 19).

36

L’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 1612/68, impone allo Stato membro che offra ai propri lavoratori nazionali la possibilità di frequentare corsi d’istruzione tenuti in un altro Stato membro, di estendere questa possibilità ai lavoratori dell’Unione stabiliti nel suo territorio (sentenze del 27 settembre 1988, Matteucci, 235/87, Racc. pag. 5589, punto 16, nonché del 13 novembre 1990, di Leo, C-308/89, Racc. pag. I-4185, punto 14).

37

Al riguardo, occorre ricordare che il principio della parità di trattamento, sancito sia all’articolo 45 TFUE sia all’articolo 7 del regolamento n. 1612/68 vieta non soltanto le discriminazioni palesi basate sulla cittadinanza, ma anche qualsiasi discriminazione dissimulata che, pur fondandosi su altri criteri di riferimento, pervenga al medesimo risultato (v., in particolare, sentenze del 27 novembre 1997, Meints, C-57/96, Racc. pag. I-6689, punto 44, e del 10 settembre 2009, Commissione/Germania, C-269/07, Racc. pag. I-7811, punto 53).

38

Ciò accade, segnatamente, riguardo ad un provvedimento come quello di cui alla fattispecie, che richiede una durata di residenza ben precisa, in quanto quest’ultima rischia di operare principalmente a danno dei lavoratori migranti e dei lavoratori frontalieri cittadini di altri Stati membri, considerato che i non residenti, nella maggior parte dei casi, sono stranieri (v., in tal senso, sentenze del 29 aprile 1999, Ciola, C-224/97, Racc. pag. I-2517, punto 14 e del 25 gennaio 2011, Neukirchinger, C-382/08, Racc. pag. I-139, punto 34). In tale contesto, è indifferente che la misura controversa colpisca, eventualmente, allo stesso modo tanto i cittadini nazionali che non sono in grado di rispettare detto criterio quanto i cittadini degli altri Stati membri. Perché una misura possa essere qualificata come indirettamente discriminatoria non è necessario che essa abbia l’effetto di favorire tutti i cittadini nazionali oppure di sfavorire soltanto i cittadini degli altri Stati membri ad esclusione dei cittadini nazionali (v., in tal senso, sentenza del 16 gennaio 2003, Commissione/Italia, C-388/01, Racc. pag. I-721, punto 14).

39

L’articolo 2.14, paragrafo 2, della WSF 2000 si basa precisamente su questo tipo di criterio, in quanto subordina il finanziamento portabile, in particolare, alla condizione che l’interessato abbia risieduto nei Paesi Bassi per almeno tre anni nel corso dei sei anni precedenti la sua iscrizione per il compimento di studi superiori fuori di detto Stato membro.

40

Il Regno dei Paesi Bassi sostiene tuttavia che la disciplina olandese di cui trattasi fissa una distinzione tra i lavoratori che risiedono nei Paesi Bassi da almeno tre anni e quelli che non soddisfano tale condizione, in quanto si tratterebbe di situazioni diverse. Infatti, dal punto di vista della mobilità degli studenti, la situazione in cui studenti residenti nei Paesi Bassi sono incoraggiati a recarsi fuori dei Paesi Bassi sarebbe completamente diversa da quella in cui studenti residenti fuori dei Paesi Bassi sono indotti a studiare fuori di tale Stato membro. Una caratteristica intrinseca a tale disciplina consisterebbe nel fatto che essa riguarda esclusivamente persone che risiedono nei Paesi Bassi e il cui primo istinto sarebbe certamente quello di studiare in tale Stato membro. Il fatto che tali situazioni non siano paragonabili escluderebbe quindi qualsiasi discriminazione.

41

Al riguardo, si deve osservare che, secondo una giurisprudenza consolidata, una discriminazione può consistere solo nell’applicazione di norme diverse a situazioni analoghe, ovvero nell’applicazione della stessa norma a situazioni diverse (v., in particolare, sentenze del 14 febbraio 1995, Schumacker, C-279/93, Racc. pag. I-225, punto 30, e del 1o dicembre 2011, Commissione/Ungheria, C-253/09, Racc. pag. I-12391, punto 50).

42

L’applicazione non discrezionale di tale principio richiede che il criterio della comparabilità delle situazioni si basi su elementi obiettivi, facilmente riconoscibili. Detto criterio non può fondarsi sulla semplice probabilità che i lavoratori che esercitano un’attività di lavoro subordinato nei Paesi Bassi, ma siano residenti in un altro Stato membro, studino non nei Paesi Bassi ma nello Stato membro di residenza.

43

Come l’avvocato generale ha osservato ai paragrafi 52 e 53 delle sue conclusioni, riconoscendo che i figli dei lavoratori migranti che desiderano studiare nei Paesi Bassi debbano poter beneficiare del finanziamento dei loro studi superiori alle stesse condizioni dei cittadini olandesi, indipedentemente dalla circostanza che risiedano o meno nei Paesi Bassi, il Regno dei Paesi Bassi ha implicitamente ammesso che almeno alcuni figli di lavoratori migranti possono, come i figli dei lavoratori olandesi, risultare inclini a studiare nei Paesi Bassi, che vi risiedano o no. Ciò considerato, il Regno dei Paesi Bassi non può legittimamente affermare che lo Stato membro di residenza determinerà, in modo quasi automatico, il paese in cui il lavoratore migrante o i suoi figli a carico studieranno.

44

Conseguentemente, ai fini dell’accesso al finanziamento portabile, la situazione del lavoratore migrante che esercita la sua attività nei Paesi Bassi, ma risiede in un altro Stato membro, oppure quella del lavoratore migrante che risiede ed esercita la sua attività nei Paesi Bassi, ma non possa far valere la durata di residenza richiesta dalla misura controversa, è idonea ad essere paragonata a quella del lavoratore olandese che risieda e lavori nei Paesi Bassi.

45

In subordine, il Regno dei Paesi Bassi deduce che la Commissione attribuisca un’interpretazione eccessivamente estensiva all’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 1612/68, in quanto tale disposizione riguarderebbe, in linea di principio, esclusivamente il lavoratore migrante. I vantaggi destinati ai figli di quest’ultimo per quanto riguarda l’accesso all’insegnamento rientrerebbero nell’ambito di applicazione dell’articolo 12 di detto regolamento, che prevede una condizione di residenza applicabile a tali figli.

46

Secondo il Regno dei Paesi Bassi, nelle citate sentenze Bernini e Meeusen, la Corte, dichiarando che l’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 1612/68 era applicabile ai figli dei lavoratori migranti, sembra aver ignorato tale differenza di ambito di applicazione tra le due disposizioni. Ciò sarebbe tuttavia dovuto esclusivamente al fatto che, nelle cause conclusesi con tali sentenze, la Corte si era trovata di fronte a discriminazioni dirette. Sarebbe stato di conseguenza necessario applicare l’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 1612/68. Per contro, qualora non sussista discriminazione diretta, come nella fattispecie, tale esigenza sarebbe meno imperativa e si imporrebbe l’applicazione dell’articolo 12 di detto regolamento.

47

In proposito occorre svolgere le seguenti considerazioni.

48

I familiari del lavoratore migrante sono beneficiari indiretti della parità di trattamento riconosciuta a detto lavoratore dall’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 1612/68. Poiché la concessione del finanziamento degli studi al figlio di un lavoratore migrante costituisce per il lavoratore migrante un vantaggio sociale, il figlio può in prima persona avvalersi di detta disposizione per ottenere tale finanziamento qualora, in forza del diritto nazionale, esso sia concesso direttamente allo studente. Tale beneficio costituisce tuttavia per il lavoratore migrante un vantaggio sociale, ai sensi di detta disposizione, solo qualora il lavoratore continui a provvedere al sostentamento del suo discendente (sentenze del 18 giugno 1987, Lebon, 316/85, Racc. pag. 2811, punti 12 e 13, nonché Bernini, cit., punti 25 e 26).

49

Per contro, l’articolo 12 del regolamento n. 1612/68 conferisce ai figli del lavoratore migrante un diritto proprio di accesso all’istruzione. Tale diritto non è subordinato né allo status di figlio a carico (sentenza del 4 maggio 1995, Gaal, C-7/94, Racc. pag. I-1031, punto 25), né al diritto di soggiorno dei genitori nello Stato membro ospitante (sentenza del 23 febbraio 2010, Ibrahim, C-310/08, Racc. pag. I-1065, punto 40). Esso non è neppure limitato ai figli dei lavoratori migranti in quanto è del pari applicabile ai figli degli ex lavoratori migranti (sentenza Ibrahim, cit., punto 39).

50

L’articolo 12 esige unicamente che il figlio abbia vissuto con i genitori o con uno di essi in uno Stato membro mentre almeno uno dei genitori vi risiedeva in qualità di lavoratore (sentenze del 21 giugno 1988, Brown, 197/86, Racc. pag. 3205, punto 30, e del 23 febbraio 2010, Teixeira, C-480/08, Racc. pag. I-1107, punto 52).

51

Anche se è vero che gli articoli 7, paragrafo 2, e 12 del regolamento n. 1612/68 hanno ambiti di applicazione ratione personae differenti, ciò non toglie che la Corte ha già dichiarato che tali articoli sanciscono entrambi, in modo identico, una regola generale che, nel settore dell’istruzione, prescrive che ogni Stato membro garantisca la parità di trattamento tra i propri cittadini e i figli dei lavoratori cittadini di un altro Stato membro stabiliti nel suo territorio (sentenza di Leo, cit., punto 15).

52

Per quanto riguarda l’argomento del Regno dei Paesi Bassi relativo alle citate sentenze Bernini e Meeusen, è sufficiente ricordare la giurisprudenza richiamata al punto 37 della presente sentenza, secondo cui l’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 1612/68 vieta non soltanto le discriminazioni palesi, basate sulla cittadinanza, ma anche qualsiasi discriminazione dissimulata che, fondandosi su altri criteri di riferimento, pervenga, di fatto, al medesimo risultato.

53

Del resto, come l’avvocato generale ha osservato al paragrafo 35 delle sue conclusioni, l’ampiezza dell’ambito d’applicazione ratione personae dell’obbligo della parità di trattamento previsto dall’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 1612/68 non può dipendere dalla natura della discriminazione.

54

Ne consegue che il requisito della residenza posto all’articolo 2.14, paragrafo 2, della WSF 2000 instaura una disparità di trattamento tra i lavoratori olandesi e i lavoratori migranti, che risiedono nei Paesi Bassi o che svolgono la loro attività di lavoro subordinato in tale Stato membro in quanto lavoratori frontalieri, con riferimento all’accesso al finanziamento portabile.

55

Tale disparità di trattamento costituisce discriminazione indiretta, vietata dall’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 1612/68, a meno che non sia obiettivamente giustificata. In quest’ultimo caso occorre, inoltre, che essa sia idonea a garantire il conseguimento dell’obiettivo di cui trattasi e non ecceda quanto necessario per conseguirlo (v., in particolare, sentenza del 16 marzo 2010, Olympique Lyonnais, C-325/08, Racc. pag. I-2177, punto 38).

56

Nella fattispecie, il Regno dei Paesi Bassi invoca due motivi idonei a giustificare la condizione di residenza controversa. Da una parte, essa sarebbe necessaria per evitare un onere finanziario sproporzionato, che potrebbe produrre conseguenze sull’esistenza stessa di tale regime di sussidi. Dall’altra, dato che la disciplina nazionale di cui trattasi è diretta a promuovere gli studi fuori dei Paesi Bassi, detta condizione garantirebbe che il finanziamento portabile vada esclusivamente a beneficio degli studenti che, in assenza di tale finanziamento, compirebbero gli studi nei Paesi Bassi.

57

Riguardo alla giustificazione fondata sugli oneri supplementari che deriverebbero dal fatto di non applicare il requisito di residenza, occorre ricordare che, sebbene considerazioni di bilancio possano costituire il fondamento delle scelte di politica sociale di uno Stato membro e possano influenzare la natura ovvero la portata dei provvedimenti di tutela sociale che esso intende adottare, esse non costituiscono tuttavia di per sé un obiettivo perseguito da tale politica e non possono, pertanto, giustificare una discriminazione a sfavore dei lavoratori migranti (v., in tal senso, sentenze del 20 marzo 2003, Kutz-Bauer, C-187/00, Racc. pag. I-2741, punto 59, e del 10 marzo 2005, Nikoloudi, C-196/02, Racc. pag. I-1789, punto 53).

58

Ammettere che considerazioni di bilancio possano giustificare una differenza di trattamento tra lavoratori migranti e lavoratori nazionali comporterebbe che l’applicazione e la portata di una norma tanto fondamentale del diritto dell’Unione come quella del principio di non discriminazione basata sulla cittadinanza possano variare, nel tempo e nello spazio, a seconda dello stato delle finanze pubbliche degli Stati membri (v., in tal senso, sentenze del 24 febbraio 1994, Roks e a., C-343/92, Racc. pag. I-571, punto 36, nonché dell’11 settembre 2003, Steinicke, C-77/02, Racc. pag. I-9027, punto 67).

59

Il Regno dei Paesi Bassi fa nondimeno valere che nella citata sentenza Bidar, la Corte ha ammesso la legittimità dell’obiettivo di restringere, mediante un requisito di residenza, la cerchia dei beneficiari di un sussidio diretto a coprire le spese di mantenimento di studenti provenienti da altri Stati membri, allo scopo di garantire che la concessione di tale sussidio non dia luogo ad un onere sproporzionato per lo Stato membro ospitante. Tale giurisprudenza sarebbe stata confermata dalla citata sentenza Förster.

60

Orbene, si deve osservare che, nelle cause conclusesi con le citate sentenze Bidar e Förster, la Corte era chiamata a pronunciarsi su condizioni di residenza, stabilite dallo Stato membro interessato, ai fini della concessione di borse di studio a studenti cittadini di altri Stati membri che non avevano la qualità di lavoratori migranti o di loro familiari.

61

Sebbene la Corte abbia dichiarato che gli studenti di cui trattasi potrebbero essere obbligati dallo Stato membro ospitante a dimostrare di avere raggiunto un certo grado di integrazione in detto Stato per poter beneficiare di una borsa di mantenimento, ciò non toglie che la Corte si è pronunciata in tal senso soltanto dopo aver constatato che gli interessati non rientravano nell’ambito di applicazione delle disposizioni dell’Unione relative alla libera circolazione dei lavoratori, in particolare del regolamento n. 1612/68 (v. citate sentenze Bidar, punto 29, nonché Förster, punti 32 e 33).

62

Allo stesso modo, nella sentenza del 7 settembre 2004, Trojani (C-456/02, Racc. pag. I-7573), la Corte – prima di verificare se il cittadino di uno Stato membro, che non disponeva di risorse sufficienti, fosse in grado di invocare il suo status di cittadino e i diritti riconosciuti dall’articolo 21 TFUE, per beneficiare, in un altro Stato membro, di una prestazione di assistenza sociale – ha anzitutto rinviato al giudice nazionale l’onere di procedere alle necessarie verifiche in fatto per valutare se il cittadino di cui trattasi avesse la qualità di lavoratore ai sensi dell’articolo 45 TFUE.

63

Anche se la facoltà che la Corte riconosce agli Stati membri, fatto salvo il rispetto di talune condizioni, di esigere dai cittadini degli altri Stati membri un certo livello di integrazione nelle loro società al fine di poter beneficiare dei vantaggi sociali, come i sussidi finanziari all’istruzione, non è limitata alle situazioni in cui i richiedenti il sussidio di cui trattasi siano cittadini economicamente inattivi, la previsione di un requisito di residenza come quello previsto all’articolo 2.14, paragrafo 2, della WSF 2000 per dimostrare l’integrazione richiesta sarebbe, in linea di principio, inappropriata riguardo ai lavoratori migranti e frontalieri.

64

L’esistenza di una distinzione tra i lavoratori migranti e i loro familiari, da una parte, e i cittadini dell’Unione che chiedono sussidi senza essere economicamente attivi, dall’altra, risulta dall’articolo 24 della direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE (GU L 158, pag. 77). Anche se quest’ultima disposizione enuncia, al suo paragrafo 1, che ogni cittadino dell’Unione che soggiorni sul territorio dello Stato membro ospitante in forza della direttiva beneficia della parità di trattamento «nel campo di applicazione del trattato», essa precisa al suo paragrafo 2, che lo Stato membro può, con riferimento a persone diverse dai lavoratori subordinati, i lavoratori autonomi, le persone che mantengono tale status o i loro familiari, limitare la concessione degli aiuti al mantenimento, sotto forma di borse di studio o prestiti, per gli studenti che non abbiano acquisito il diritto di soggiorno permanente.

65

Riguardo ai lavoratori migranti e frontalieri, il fatto di aver avuto accesso al mercato del lavoro di uno Stato membro determina, in linea di principio, il nesso di integrazione sufficiente nella società di detto Stato, idoneo a consentir loro di avvalersi in tale Stato del principio della parità di trattamento rispetto ai lavoratori nazionali con riferimento ai vantaggi di natura sociale. Tale principio è applicabile non soltanto ad ogni condizione d’impiego e di lavoro, ma anche a tutti i vantaggi che, connessi o meno a un contratto di lavoro, sono generalmente attribuiti ai lavoratori nazionali in relazione, principalmente, alla loro qualifica obiettiva di lavoratori o al semplice fatto della loro residenza abituale nel territorio nazionale (v. segnatamente sentenze del 12 maggio 1998, Martínez Sala, C-85/96, Racc. pag. I-2691, punto 25, e Commissione/Germania, cit., punto 39).

66

Il nesso di integrazione risulta in particolare dal fatto che il lavoratore migrante, con i contributi fiscali che versa nello Stato membro ospitante per l’attività retribuita che esercita, contribuisce anche al finanziamento delle politiche sociali di detto Stato e deve potersene avvalere alle stesse condizioni dei lavoratori nazionali.

67

Tale conclusione è corroborata dal terzo considerando del regolamento n. 1612/68, secondo cui la mobilità della manodopera nell’Unione dev’essere uno dei mezzi che garantiscano al lavoratore la possibilità di migliorare le sue condizioni di vita e di lavoro e di facilitare la sua promozione sociale, contribuendo nel contempo a soddisfare le necessità dell’economia degli Stati membri.

68

Per quanto riguarda il rischio di abusi evocato dal Regno dei Paesi Bassi, derivante in particolare dallo svolgimento di attività lavorative di breve durata all’unico scopo di ottenere un finanziamento portabile, occorre sottolineare che la nozione di «lavoratore» ai sensi dell’articolo 45 TFUE ha portata autonoma propria del diritto dell’Unione e non va interpretata restrittivamente. Per essere qualificato come «lavoratore», un soggetto deve esercitare attività reali ed effettive, restando escluse quelle attività talmente ridotte da potersi definire puramente marginali ed accessorie. La caratteristica del rapporto di lavoro è, secondo la giurisprudenza della Corte, il fatto che una persona fornisca per un certo periodo di tempo, a favore e sotto la direzione di un’altra persona, prestazioni in contropartita delle quali percepisce una retribuzione (v., segnatamente, sentenze del 3 luglio 1986, Lawrie-Blum, 66/85, Racc. pag. 2121, punti 16 e 17, nonché del 14 ottobre 2010, van Delft e a., C-345/09, Racc. pag. I-9879, punto 89).

69

Alla luce di quanto precede, l’obiettivo cui mira il Regno dei Paesi Bassi, consistente nell’evitare un onere finanziario irragionevole, non può essere considerato una ragione imperativa di interesse generale, idoneo a giustificare una disparità di trattamento tra i lavoratori olandesi e i lavoratori degli altri Stati membri.

70

Secondo il Regno dei Paesi Bassi, il requisito della residenza previsto all’articolo 2.14, paragrafo 2, del WSF 2000 può infine trovare la sua legittimità sulla base di una giustificazione oggettiva diversa da quella di evitare un onere finanziario sproporzionato. La finalità del finanziamento portabile sarebbe anche quella di accrescere la mobilità degli studenti incoraggiandoli a compiere i loro studi fuori dei Paesi Bassi. Tali studi sarebbero non soltanto occasione di arricchimento culturale per gli studenti, ma anche vantaggiosi per la società olandese in generale e per il mercato olandese del lavoro in particolare.

71

È pacifico che l’obiettivo di favorire la mobilità degli studenti rientra nella sfera dell’interesse generale. È al riguardo sufficiente sottolineare che esso fa parte delle azioni che l’articolo 165 TFUE assegna all’Unione nel contesto della sua politica dell’educazione, della formazione professionale, della gioventù e dello sport. Risulta peraltro dal primo considerando della raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio del 18 dicembre 2006, relativa alla mobilità transnazionale nella Comunità a fini di istruzione e formazione professionale: Carta europea di qualità per la mobilità (GU L 394, pag. 5), che la mobilità in tema di istruzione e formazione è parte integrante della libera circolazione delle persone e uno dei principali obiettivi dell’azione dell’Unione.

72

Alla luce di quanto sopra esposto, la giustificazione invocata dal Regno dei Paesi Bassi relativa alla promozione della mobilità degli studenti costituisce una ragione imperativa di interesse generale idonea a giustificare una restrizione al principio di non discriminazione basata sulla cittadinanza.

73

Tuttavia, come si è indicato al punto 55 della presente sentenza, una normativa atta a limitare una libertà fondamentale garantita dal Trattato, quale la libera circolazione delle persone, può essere validamente giustificata soltanto se è idonea a garantire la realizzazione dell’obiettivo legittimo perseguito e non eccede quanto necessario per raggiungerlo.

74

Per quanto concerne l’adeguatezza del requisito della residenza previsto all’articolo 2.14, paragrafo 2, della WSF 2000, il Regno dei Paesi Bassi afferma che esso è la garanzia che il finanziamento portabile sia esclusivamente a beneficio degli studenti la cui mobilità va favorita.

75

Nell’affermare che la regola dei «3 anni su 6» è indispensabile affinché il finanziamento portabile sia applicabile esclusivamente ad una categoria di studenti ben mirata, il Regno dei Paesi Bassi si è basato su due premesse.

76

Da una parte, il regime olandese di sussidio agli studi fuori dei Paesi Bassi sarebbe destinato agli studenti residenti nei Paesi Bassi, che, in assenza di tale regime, compirebbero i loro studi in tale Stato membro. Per contro, gli studenti che non risiedono nei Paesi Bassi avrebbero come primo istinto quello di studiare nel loro Stato membro di residenza e perciò la mobilità non ne risulterebbe incentivata. Lo Stato membro di residenza dello studente, si tratti del Regno dei Paesi Bassi o meno, determinerebbe quasi automaticamente il paese in cui egli studierà.

77

D’altra parte, il Regno dei Paesi Bassi, sottolineando i meriti della politica che favorisce la mobilità degli studenti con l’arricchimento che gli studi fuori dei Paesi Bassi apporterebbero non solo agli studenti stessi ma anche alla società e al mercato del lavoro olandesi, si attende che gli studenti che beneficeranno di tale regime facciano ritorno nei Paesi Bassi, per risiedervi e lavorarvi, dopo aver terminato i loro studi.

78

Come si è osservato al punto 43 della presente sentenza, i Paesi Bassi hanno del pari ammesso che taluni figli di lavoratori migranti possono essere inclini a studiare nei Paesi Bassi, che vi risiedano o no. Occorre tuttavia ammettere che gli elementi indicati ai punti 76 e 77 della presente sentenza tendono a riflettere la situazione della maggior parte degli studenti.

79

Si deve quindi constatare che il requisito di residenza previsto all’articolo 2.14, paragrafo 2, della WSF 2000 è adeguato ai fini della realizzazione dell’obiettivo di promuovere la mobilità degli studenti.

80

Resta da verificare se siffatto requisito non ecceda quanto necessario per raggiungere tale obiettivo.

81

Secondo una giurisprudenza costante, spetta alle autorità nazionali, qualora adottino un provvedimento di deroga ad un principio sancito dal diritto dell’Unione, provare, caso per caso, che tale provvedimento sia idoneo a garantire la realizzazione dell’obiettivo invocato e non vada al di là di quanto necessario ai fini del suo conseguimento. Le giustificazioni che possono essere addotte da uno Stato membro devono essere corredate di un’analisi dell’idoneità e della proporzionalità del provvedimento adottato dallo Stato medesimo, nonché da precisi elementi che consentano di avvalorarne il ragionamento (sentenze del 7 luglio 2005, Commissione/Austria, C-147/03, Racc. pag. I-5969, punto 63, nonché del 13 aprile 2010, Bressol e a., C-73/08, Racc. pag. I-2735, punto 71).

82

Sul Regno dei Paesi Bassi grava quindi non soltanto l’onere di dimostrare che la misura nazionale di cui trattasi è proporzionata all’obiettivo perseguito, ma anche di indicare elementi idonei a suffragare siffatta conclusione.

83

Nel controricorso, il Regno dei Paesi Bassi ha sostenuto che non esiste alcuna regola che sarebbe in grado di proteggere altrettanto efficacemente gli interessi che sono all’origine della WSF 2000. Un requisito di conoscenza della lingua nazionale oppure relativo al fatto di essere titolari di un diploma olandese non costituirebbe un mezzo efficace per promuovere l’obiettivo perseguito dalla disciplina nazionale di cui trattasi. Secondo detto Stato membro, oltre al fatto che tali condizioni determinerebbero una discriminazione basata sulla cittadinanza, tali criteri avrebbero senso soltanto se riguardassero studi svolti nei Paesi Bassi.

84

Al riguardo, si deve osservare che, perché il Regno dei Paesi Bassi possa assolvere l’onere di dimostrare che il requisito della residenza non eccede quanto necessario, non è sufficiente che tale Stato membro si limiti a fare riferimento a due misure alternative, le quali, a suo parere, sono ancora più discriminatorie del requisito previsto dall’articolo 2.14, paragrafo 2, della WSF 2000.

85

Certo, la Corte ha già dichiarato che l’onere della prova non può estendersi fino ad esigere che uno Stato membro dimostri in positivo che nessun altro possibile provvedimento permette la realizzazione dell’obiettivo perseguito alle stesse condizioni (sentenza del 10 febbraio 2009, Commissione/Italia, C-110/05, Racc. pag. I-519, punto 66).

86

Tuttavia, come l’avvocato generale ha indicato al paragrafo 158 delle sue conclusioni, il Regno dei Paesi Bassi avrebbe dovuto quantomeno chiarire per quale motivo ha optato per la cosiddetta regola dei «3 anni su 6», escludendo ogni altro elemento significativo. Va al riguardo osservato che tale regola presenta un carattere eccessivamente esclusivo. Infatti, imponendo periodi specifici di residenza sul territorio dello Stato membro interessato, la cosiddetta regola dei «3 anni su 6» privilegia un elemento che non è necessariamente l’unico rappresentativo del grado reale di collegamento tra l’interessato e detto Stato membro.

87

Occorre quindi constatare che il Regno dei Paesi Bassi non ha fornito la prova che il requisito della residenza previsto all’articolo 2.14, paragrafo 2, della WSF 2000 non eccede quanto necessario per raggiungere l’obiettivo perseguito da detta disciplina.

88

Ne deriva che tale disposizione nazionale crea una disparità di trattamento, tra i lavoratori olandesi e i lavoratori migranti che risiedono nei Paesi Bassi o svolgono la loro attività subordinata in tale Stato membro come lavoratori frontalieri, contraria all’articolo 45 TFUE e all’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 1612/68.

89

Alla luce delle considerazioni che precedono, occorre constatare che il Regno dei Paesi Bassi, imponendo un requisito di residenza, consistente nella cosiddetta regola dei «3 anni su 6» ai lavoratori migranti e ai loro familiari al cui mantenimento essi continuano a provvedere, per permettere loro di ottenere il finanziamento portabile, non ha adempiuto gli obblighi ad esso incombenti in forza dell’articolo 45 TFUE e dell’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 1612/68.

Sulle spese

90

Ai sensi dell’articolo 69, paragrafo 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché la Commissione ne ha fatto domanda, il Regno dei Paesi Bassi, rimasto soccombente, dev’essere condannato alle spese.

 

Per questi motivi, la Corte (Seconda Sezione) dichiara e statuisce:

 

1)

Il Regno dei Paesi Bassi, imponendo un requisito di residenza, consistente nella cosiddetta regola dei «3 anni su 6», ai lavoratori migranti e ai loro familiari al cui mantenimento essi continuano a provvedere, per permettere loro di ottenere il finanziamento degli studi superiori compiuti fuori dei Paesi Bassi, non ha adempiuto gli obblighi ad esso incombenti in forza dell’articolo 45 TFUE e dell’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento (CEE) n. 1612/68 del Consiglio, del 15 ottobre 1968, relativo alla libera circolazione dei lavoratori all’interno della Comunità, come modificato dal regolamento (CEE) n. 2434/92 del Consiglio, del 27 luglio 1992.

 

2)

Il Regno dei Paesi Bassi è condannato alle spese.

 

Firme


( *1 ) Lingua processuale: l’olandese.

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