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Documento 62009CJ0097

Sentenza della Corte (grande sezione) del 26 ottobre 2010.
Ingrid Schmelz contro Finanzamt Waldviertel.
Domanda di pronuncia pregiudiziale: Unabhängiger Finanzsenat, Außenstelle Wien - Austria.
Sesta direttiva IVA - Artt. 24, n. 3, e 28 decies - Direttiva 2006/112/CE - Art. 283, n. 1, lett. c) - Validità - Artt. 12 CE, 43 CE e 49 CE - Principio della parità di trattamento - Regime particolare delle piccole imprese - Franchigia dall’IVA - Diniego di concessione del beneficio della franchigia ai soggetti passivi residenti in altri Stati membri - Nozione di "cifra d’affari annua".
Causa C-97/09.

Raccolta della Giurisprudenza 2010 I-10465

Identificatore ECLI: ECLI:EU:C:2010:632

SENTENZA DELLA CORTE (Grande Sezione)

26 ottobre 2010 (*)

«Sesta direttiva IVA – Artt. 24, n. 3, e 28 decies – Direttiva 2006/112/CE – Art. 283, n. 1, lett. c) – Validità – Artt. 12 CE, 43 CE e 49 CE – Principio della parità di trattamento – Regime particolare delle piccole imprese – Franchigia dall’IVA – Diniego di concessione del beneficio della franchigia ai soggetti passivi residenti in altri Stati membri – Nozione di “cifra d’affari annua”»

Nel procedimento C‑97/09,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’art. 234 CE, dall’Unabhängiger Finanzsenat, Außenstelle Wien (Austria), con decisione 4 marzo 2009, pervenuta in cancelleria il 10 marzo 2009, nella causa

Ingrid Schmelz

contro

Finanzamt Waldviertel,

LA CORTE (Grande Sezione),

composta dal sig. V. Skouris, presidente, dai sigg. A. Tizzano, J.N. Cunha Rodrigues, K. Lenaerts, J.‑C. Bonichot e A. Arabadjiev (relatore), presidenti di sezione, dai sigg. E. Juhász, G. Arestis, A. Borg Barthet, M. Ilešič, dalla sig.ra P. Lindh, dal sig. T. von Danwitz e dalla sig.ra C. Toader, giudici,

avvocato generale: sig.ra J. Kokott

cancelliere: sig. K. Malacek, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 13 aprile 2010,

considerate le osservazioni presentate:

–        per il governo austriaco, dalla sig.ra C. Pesendorfer e dal sig. J. Bauer, in qualità di agenti;

–        per il governo tedesco, dai sigg. C. Blaschke e J. Möller, in qualità di agenti;

–        per il governo greco, dalla sig.ra M. Tassopoulou nonché dai sigg. K. Georgiadis e I. Bakopoulos, in qualità di agenti;

–        per il Consiglio dell’Unione europea, dalla sig.ra A.‑M. Colaert e dal sig. J.‑P. Hix, in qualità di agenti;

–        per la Commissione europea, dai sigg. D. Triantafyllou e B.‑R. Killmann, in qualità di agenti,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 17 giugno 2010,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sulla validità, alla luce degli artt. 12 CE, 43 CE, 49 CE e del principio della parità di trattamento, degli artt. 24, n. 3, e 28 decies della sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, 77/388/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari – Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme (GU L 145, pag. 1), come modificata dalla direttiva del Consiglio 14 febbraio 2006, 2006/18/CE (GU L 51, pag. 12; in prosieguo: la «sesta direttiva»), nonché dell’art. 283, n. 1, lett. c), della direttiva del Consiglio 28 novembre 2006, 2006/112/CE, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto (GU L 347, pag. 1; in prosieguo: la «direttiva IVA»). Tale domanda verte altresì sull’interpretazione dell’art. 24, n. 2, della sesta direttiva e dell’art. 287 della direttiva IVA.

2        Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra la sig.ra Schmelz, cittadina tedesca residente in Germania, e il Finanzamt Waldviertel (in prosieguo: il «Finanzamt»), in ordine a un avviso di accertamento emesso dal Finanzamt e riguardante l’imposta sulla cifra d’affari asseritamente dovuta dalla sig.ra Schmelz per gli esercizi 2006 e 2007 in ragione dei suoi proventi derivanti dalla locazione di un appartamento ubicato in Austria.

 Contesto normativo

 La normativa dell’Unione

 La sesta direttiva

3        In virtù dell’art. 13, parte B, lett. b), della sesta direttiva, gli Stati membri esentano dall’imposta l’affitto e la locazione di beni immobili.

4        L’art. 24, n. 2, lett. a) e b), della sesta direttiva, intitolato «Regime particolare delle piccole imprese», contenuto nel capo XIV della stessa relativo ai regimi particolari, consente, in sostanza, agli Stati membri di mantenere o di concedere una franchigia dall’imposta sul valore aggiunto (in prosieguo: l’«IVA») ai soggetti passivi la cui cifra d’affari annua sia al massimo pari al controvalore in moneta nazionale di 5 000 unità di conto europee al tasso di cambio del giorno dell’adozione della sesta direttiva.

5        Conformemente al punto 2, lett. c), del titolo IX, rubricato «Fiscalità», contenuto nell’allegato XV dell’atto relativo alle condizioni di adesione della Repubblica d’Austria, della Repubblica di Finlandia e del Regno di Svezia e agli adattamenti dei trattati sui quali si fonda l’Unione europea (GU 1994, C 241, pag. 21, e GU 1995, L 1, pag. 1), in applicazione dell’art. 24, nn. 2-6, della sesta direttiva, la Repubblica d’Austria può accordare un’esenzione dall’IVA ai soggetti passivi la cui cifra d’affari annua sia inferiore al controvalore in moneta nazionale di EUR 35 000.

6        L’art. 24, n. 3, della sesta direttiva dispone quanto segue:

«Le nozioni di franchigia (…) si applicano alle cessioni di beni e alle prestazioni di servizi effettuate dalle piccole imprese.

Gli Stati membri hanno la facoltà di escludere operazioni dal regime previsto al paragrafo 2. (…)».

7        L’art. 28, n. 2, lett. j), della sesta direttiva enuncia che «la Repubblica d’Austria può applicare alla locazione dei beni immobili ad uso residenziale una delle due aliquote ridotte previste all’articolo 12, paragrafo 3, lettera a), terzo comma, a condizione che tale aliquota non sia inferiore al 10%».

8        L’art. 28 decies della sesta direttiva, intitolato «Regime particolare delle piccole imprese», ha aggiunto all’art. 24, n. 3, della medesima direttiva il seguente comma:

«In ogni caso (…) le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate da un soggetto passivo non residente all’interno del paese sono escluse dal beneficio della franchigia dall’imposta di cui al paragrafo 2».

 La direttiva IVA

9        Conformemente all’art. 135, n. 1, lett. l), della direttiva IVA, gli Stati membri esentano dall’imposta l’affitto e la locazione di beni immobili.

10      L’art. 117, n. 2, della direttiva IVA enuncia che la Repubblica d’Austria «può applicare alla locazione di beni immobili ad uso residenziale una delle due aliquote ridotte previste all’articolo 98, a condizione che tale aliquota non sia inferiore al 10%».

11      Ai sensi dell’art. 272, n. 1, lett. d), della direttiva IVA gli Stati membri possono esentare «i soggetti passivi che beneficiano della franchigia per le piccole imprese prevista agli articoli da 282 a 292» da determinati obblighi o da qualsiasi obbligo di cui ai capi 2 («Identificazione»), 3 («Fatturazione»), 4 («Contabilità»), 5 («Dichiarazioni») e 6 («Elenchi riepilogativi») del titolo XI («Obblighi dei soggetti passivi e di alcune persone non soggetti passivi») della direttiva medesima.

12      Il titolo XII della direttiva IVA, relativo ai «Regimi speciali», contiene un capo 1 intitolato «Regime speciale delle piccole imprese». L’art. 281, contenuto nella sezione 1 di tale capo 1, dedicata alle «Modalità semplificate d’imposizione e di riscossione», consente, in sostanza, agli «Stati membri che incontrano difficoltà ad assoggettare al regime normale IVA le piccole imprese, data la loro attività o struttura, (…) [di] applicare modalità semplificate d’imposizione e riscossione dell’imposta (…)».

13      L’art. 282 della direttiva IVA, contenuto nella sezione 2 di detto capo 1, intitolata «Franchigie o riduzioni decrescenti», precisa che le «franchigie e le riduzioni di cui alla presente sezione si applicano alle cessioni di beni e alle prestazioni di servizi effettuate dalle piccole imprese».

14      Ai sensi dell’art. 283, n. 1, lett. c), della direttiva IVA, contenuto nella medesima sezione 2, sono escluse dal beneficio del regime di cui alla presente sezione «le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate da un soggetto passivo che non è stabilito nello Stato membro in cui è dovuta l’IVA».

15      Conformemente all’art. 287 della direttiva IVA, gli «Stati membri che hanno aderito dopo il 1° gennaio 1978 possono applicare una franchigia d’imposta ai soggetti passivi il cui volume d’affari annuo è al massimo uguale al controvalore in moneta nazionale degli importi seguenti al tasso del giorno della loro adesione». Per la Repubblica d’Austria, tale importo è fissato in EUR 35 000.

16      L’art. 288 della direttiva IVA enuncia quanto segue:

«Il volume d’affari cui si fa riferimento per l’applicazione del regime di cui alla presente sezione è costituito dai seguenti importi al netto dell’IVA:

1)      l’importo delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi, purché siano soggette a imposizione;

2)      l’importo delle operazioni esenti con diritto a detrazione dell’IVA pagata nella fase precedente in virtù degli articoli 110 e 111, dell’articolo 125, paragrafo 1, dell’articolo 127 e dell’articolo 128, paragrafo 1;

3)      l’importo delle operazioni esenti in virtù degli articoli da 146 a 149 e degli articoli 151, 152 e 153;

4)      l’importo delle operazioni immobiliari, delle operazioni finanziarie di cui all’articolo 135, paragrafo 1, lettere da b) a g), e delle prestazioni di assicurazione, a meno che tali operazioni non abbiano carattere di operazioni accessorie.

Tuttavia le cessioni di beni d’investimento materiali o immateriali dell’impresa non sono prese in considerazione per la determinazione del volume d’affari».

17      A termini, segnatamente, dei suoi artt. 411 e 413, la direttiva IVA ha abrogato la sesta direttiva ed è entrata in vigore il 1° gennaio 2007.

 La normativa nazionale

18      Ai sensi dell’art. 6, n. 1, punto 16, della legge del 1994, relativa all’imposta sulla cifra d’affari (Umsatzsteuergesetz 1994, BGBl. 663/1994; in prosieguo: l’«UStG 1994»), nel testo applicabile ai fatti oggetto della causa principale, sono esenti da IVA l’affitto e la locazione di beni immobili, ad eccezione, in particolare, della locazione di immobili a scopo abitativo.

19      L’art. 6, n. 1, punto 27, dell’UStG 1994, nel testo applicabile ai fatti oggetto della causa principale, prevedeva l’esenzione per le «operazioni dei piccoli imprenditori. È considerato “piccolo imprenditore” l’imprenditore avente domicilio o sede nel territorio nazionale e il cui volume d’affari, ai sensi dell’art. 1, n. 1, punti 1 e 2, non superino, nel corso del periodo d’imposizione, l’importo di EUR 22 000» per l’anno 2006 e di EUR 30 000 per l’anno 2007.

 Causa principale e questioni pregiudiziali

20      La sig. Schmelz, cittadina tedesca, risiede in Germania ed è proprietaria di un appartamento in Austria concesso in locazione ad un canone mensile di EUR 330, più le spese.

21      La sig.ra Schmelz, ritenendo, in quanto piccolo imprenditore, di essere esentata dal pagamento dell’imposta sulla cifra d’affari, ai sensi dell’art. 6, n. 1, punto 27, dell’UStG 1994, non aveva fatturato tale imposta sul canone di affitto.

22      Il Finanzamt ritiene che la sig.ra Schmelz, non avendo sede o residenza in Austria, non può ottenere il beneficio della franchigia concessa alle piccole imprese. Pertanto, il Finanzamt, avendo accertato che la sig.ra Schmelz aveva realizzato, per effetto della sua attività di locazione in Austria, un fatturato netto di EUR 5 890,90 per l’anno 2006 e di EUR 5 936,37 per l’anno 2007, emetteva due avvisi di accertamento, in data 19 giugno 2008 e 17 novembre 2008, ponendo a carico della sig.ra Schmelz le imposte sul fatturato pari alla somma, rispettivamente, di EUR 334,93 e di EUR 316,15.

23      Avverso detti avvisi la sig.ra Schmelz proponeva quindi ricorso dinanzi all’Unabhängiger Finanzsenat, Außenstelle Wien. Quest’ultimo ha precisato, con una nota informativa complementare, che la sig.ra Schmelz ha dichiarato, il 10 marzo 2009, di non aver realizzato, negli anni cui si riferisce la causa principale, alcun altro fatturato nel territorio dell’Unione europea.

24      Il giudice del rinvio, da un lato, ritiene che i provvedimenti di imposizione adottati dal Finanzamt siano conformi alla legge nazionale, che a sua volta è conforme sia alle disposizioni della sesta direttiva sia a quelle della direttiva IVA, e, dall’altro, osserva che, contrariamente alla sig.ra Schmelz, una persona residente in Austria potrebbe, in quanto piccola impresa, beneficiare dell’esenzione dall’imposta sulla cifra d’affari.

25      L’Unabhängiger Finanzsenat, Außenstelle Wien, nutre dubbi circa la compatibilità di tali direttive con i divieti di discriminazione derivanti dal diritto primario, vale a dire dagli artt. 12 CE, 43 CE e 49 CE nonché dal principio generale del diritto dell’Unione relativo alla parità di trattamento.

26      Chiedendosi altresì se il valore del volume d’affari che distingue le piccole imprese dalle altre imprese riguardi il volume d’affari realizzato nel singolo Stato membro interessato o se si debba prendere in considerazione il volume d’affari realizzato nell’intero territorio dell’Unione, l’Unabhängiger Finanzsenat, Außenstelle Wien, ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se la locuzione “nonché le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate da un soggetto passivo non residente all’interno del paese”, di cui agli artt. 24, n. 3, e 28 decies, della sesta direttiva (…) nonché una normativa di diritto nazionale di attuazione di tale disposizione, violino il Trattato [CE], in particolare il principio di non discriminazione (art. 12 CE), la libertà di stabilimento (artt. 43 CE e segg.), la libera prestazione dei servizi (artt. 49 CE e segg.), ovvero i diritti fondamentali dell’Unione (il principio dell’Unione relativo alla parità di trattamento), atteso che la disposizione fa sì che i cittadini dell’Unione, non residenti nei rispettivi territori nazionali, siano esclusi dal beneficio della franchigia prevista dall’art. 24, n. 2, della sesta direttiva (regime particolare delle piccole imprese), mentre i cittadini dell’Unione, residenti nei rispettivi territori nazionali, possono beneficiare di tale franchigia sempre che il rispettivo Stato membro accordi una franchigia alle piccole imprese a condizioni conformi alla direttiva [IVA].

2)      Se la locuzione “le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate da un soggetto passivo che non è stabilito nello Stato membro in cui è dovuta l’IVA”, di cui all’art. 283, n. 1, lett. c), della direttiva [IVA], nonché una disciplina di attuazione di tale disposizione nel diritto nazionale, violino il Trattato [CE], in particolare il principio di non discriminazione (art. 12 CE), la libertà di stabilimento (artt. 43 CE e segg.), la libera prestazione dei servizi (artt. 49 CE e segg.), ovvero i diritti fondamentali dell’Unione (il principio dell’Unione relativo alla parità di trattamento), atteso che la disposizione fa sì che i cittadini dell’Unione, non residenti nei rispettivi territori nazionali, siano esclusi dal beneficio della franchigia ai sensi degli artt. 282 e segg. della direttiva IVA (regime particolare delle piccole imprese), mentre i cittadini dell’Unione, residenti nei rispettivi territori nazionali, possono beneficiare di tale franchigia sempre che il rispettivo Stato membro accordi una franchigia alle piccole imprese a condizioni conformi alla direttiva [IVA].

3)      In caso di soluzione affermativa alla prima questione, se la locuzione “nonché le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate da un soggetto passivo non residente all’interno del paese”, di cui agli artt. 24, n. 3, e 28 decies della sesta direttiva, sia invalida ai sensi dell’art. 234, primo comma, lett. b), CE.

4)      In caso di soluzione affermativa alla seconda questione, se la locuzione “le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate da un soggetto passivo che non è stabilito nello Stato membro in cui è dovuta l’IVA”, di cui all’art. 283, n. 1, lett. c), della direttiva IVA, sia invalida ai sensi dell’art. 234, primo comma, lett. b), CE.

5)      In caso di soluzione affermativa alla terza questione, se con il termine “cifra d’affari annua”, di cui all’allegato XV, titolo IX, rubricato «Fiscalità», punto 2, lett. c), [dell’atto relativo alle condizioni di adesione della Repubblica d’Austria, della Repubblica di Finlandia e del Regno di Svezia e agli adattamenti dei trattati sui quali si fonda l’Unione europea] nonché ai sensi dell’art. 24 della sesta direttiva, debba essere inteso il volume d’affari dell’impresa realizzato in un anno in ciascuno Stato membro nel quale si applica il regime delle piccole imprese ovvero il volume d’affari dell’impresa realizzato in un anno nell’intero territorio dell’Unione.

6)      In caso di soluzione affermativa alla quarta questione, se con il termine “cifra d’affari annua”, ai sensi dell’art. 287 della direttiva IVA, debba essere inteso il volume d’affari dell’impresa realizzato in un anno in ciascuno Stato membro nel quale si applica il regime delle piccole imprese ovvero il volume d’affari annuo dell’impresa realizzato in un anno nell’intero territorio dell’Unione».

 Sulla ricevibilità delle questioni pregiudiziali

27      Il Consiglio dell’Unione europea ritiene che il giudice del rinvio, al momento della formulazione delle questioni pregiudiziali, non disponesse di tutti i dati necessari per valutare la questione relativa al paese di stabilimento della sig.ra Schmelz. Infatti, sarebbe emerso solo in un secondo tempo che la ricorrente nella causa principale non svolgeva alcuna attività economica in Germania e che non era dunque ivi considerata quale persona soggetta ad IVA. Poiché l’unica attività soggetta all’IVA della sig.ra Schmelz consiste nella locazione a soggetti privati di un appartamento ubicato in Austria, il Consiglio ritiene che sia possibile considerare che la stessa sia stabilita in Austria. Pertanto, non sarebbe chiara la rilevanza delle questioni pregiudiziali ai fini della soluzione della controversia principale.

28      Si deve rammentare a tale proposito che, nell’ambito del procedimento ex art. 234 CE, spetta soltanto al giudice nazionale, cui è stata sottoposta la controversia e che deve assumersi la responsabilità dell’emananda decisione giurisdizionale, valutare, alla luce delle particolari circostanze della causa, sia la necessità di una pronuncia pregiudiziale per essere in grado di emettere la propria sentenza, sia la rilevanza delle questioni che sottopone alla Corte. Di conseguenza, se le questioni sollevate riguardano l’interpretazione e/o la validità del diritto dell’Unione, la Corte, in via di principio, è tenuta a pronunciarsi (v., in tal senso, sentenze 15 dicembre 1995, causa C‑415/93, Bosman, Racc. pag. I‑4921, punto 59, nonché 18 marzo 2010, cause riunite da C‑317/08 a C‑320/08, Alassini e a., Racc. pag. I‑2213, punto 25).

29      Pertanto, il rigetto, da parte della Corte, di una domanda di pronuncia pregiudiziale proposta da un giudice nazionale è possibile soltanto qualora appaia in modo manifesto che l’interpretazione del diritto dell’Unione richiesta non ha alcun rapporto con la realtà effettiva o l’oggetto della causa principale, qualora la questione sia di tipo ipotetico, oppure qualora la Corte non disponga degli elementi di fatto e di diritto necessari per rispondere in modo utile alle questioni che le sono sottoposte (sentenza Alassini e a., cit., punto 26).

30      Peraltro, dall’art. 234, secondo comma, CE emerge chiaramente che spetta al giudice nazionale decidere in quale fase del procedimento ritenga necessario sottoporre alla Corte una questione pregiudiziale (sentenze 10 marzo 1981, cause riunite 36/80 e 71/80, Irish Creamery Milk Suppliers Association e a., Racc. pag. 735, punto 5, nonché 17 aprile 2007, causa C‑470/03, AGM-COS.MET, Racc. pag. I‑2749, punto 45).

31      Nel caso di specie, anche se si supponesse corretta l’informazione comunicata dalla sig.ra Schmelz al giudice del rinvio, ciò non implicherebbe affatto che l’interpretazione del diritto dell’Unione richiesta sia manifestamente priva di qualsiasi rapporto con la realtà effettiva o l’oggetto della causa principale né che il problema sia di natura ipotetica. Infatti, come ha avuto modo di precisare il governo austriaco all’udienza, la circostanza che le operazioni imponibili della sig.ra Schmelz siano solo quelle connesse alla locazione del suo appartamento non implica che le autorità austriache possano considerarla stabilita in Austria.

32      Ne consegue che occorre procedere alla soluzione delle questioni pregiudiziali sollevate dall’Unabhängiger Finanzsenat, Außenstelle Wien.

 Sulle questioni pregiudiziali

33      Con le sue questioni pregiudiziali, che sono connesse tra loro e che risulta dunque opportuno esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se gli artt. 24, n. 3, e 28 decies della sesta direttiva nonché l’art. 283, n. 1, lett. c), della direttiva IVA, siano conformi agli artt. 12 CE, 43 CE e 49 CE nonché al principio generale della parità di trattamento, nella parte in cui consentono agli Stati membri di concedere alle piccole imprese stabilite nel loro territorio una franchigia dall’IVA con perdita del diritto a detrazione, ma escludono tale possibilità per le piccole imprese stabilite in altri Stati membri.

34      Il giudice del rinvio chiede ancora se la nozione di «cifra d’affari annua», di cui agli artt. 24 e 24 bis della sesta direttiva nonché agli artt. 284‑287 della direttiva IVA, riguardi il volume d’affari dell’impresa realizzato in un anno nello Stato membro nel quale è stata richiesta la franchigia dall’IVA ovvero quello realizzato in un anno nell’intero territorio dell’Unione.

 Sulla libertà applicabile

35      Per quanto riguarda la libertà applicabile alle circostanze della causa principale, il giudice del rinvio fa riferimento alle libertà di stabilimento e di prestazione dei servizi.

36      Innanzitutto, la libertà di stabilimento, che l’art. 43 CE attribuisce ai cittadini dell’Unione e che implica per essi l’accesso alle attività non subordinate ed il loro esercizio, nonché la costituzione e la gestione di imprese, alle stesse condizioni previste dalle leggi dello Stato membro di stabilimento per i propri cittadini, comprende, ai sensi dell’art. 48 CE, per le società costituite a norma delle leggi di uno Stato membro e che abbiano la sede sociale, l’amministrazione centrale o la sede principale nel territorio dell’Unione europea, il diritto di svolgere la loro attività nello Stato membro di cui trattasi mediante una controllata, una succursale o un’agenzia (sentenza 14 settembre 2006, causa C‑386/04, Centro di Musicologia Walter Stauffer, Racc. pag. I‑8203, punto 17 e giurisprudenza ivi citata).

37      Secondo la giurisprudenza della Corte, la nozione di stabilimento ai sensi del Trattato è una nozione molto ampia e implica la possibilità, per un cittadino dell’Unione, di partecipare, in maniera stabile e continuativa, alla vita economica di uno Stato membro diverso dal proprio Stato di origine e di trarne vantaggio, favorendo così l’interpenetrazione economica e sociale nell’ambito dell’Unione nel settore delle attività indipendenti (sentenza Centro di Musicologia Walter Stauffer, cit., punto 18 e giurisprudenza ivi citata).

38      Tuttavia, affinché le disposizioni relative al diritto di stabilimento possano essere applicate, è necessario in linea di principio che sia assicurata una presenza permanente nello Stato membro ospitante e, in caso di acquisto e di possesso di beni immobili, che la gestione di tali beni sia attiva (sentenza Centro di Musicologia Walter Stauffer, cit., punto 19). Una siffatta presenza permanente deve essere accertabile tramite elementi oggettivi e verificabili, relativi, in particolare, al livello di presenza fisica in termini di locali, di personale e di attrezzature (v., in tal senso, sentenza 12 settembre 2006, causa C‑196/04, Cadbury Schweppes e Cadbury Schweppes Overseas, Racc. pag. I‑7995, punto 67).

39      Orbene, dalla descrizione dei fatti fornita dal giudice del rinvio emerge che la sig.ra Schmelz non soddisfa tali requisiti.

40      Ne consegue che le disposizioni che disciplinano la libertà di stabilimento non trovano applicazione in circostanze come quelle oggetto della causa principale.

41      Quanto poi alla libera prestazione dei servizi, da un lato, si deve considerare che la locazione immobiliare costituisce una prestazione di servizi fornita dietro retribuzione ai sensi dell’art. 50, primo comma, CE (v., in tal senso, sentenza 15 luglio 2010, causa C‑70/09, Hengartner e Gasser, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 32). Dall’altro, la circostanza che la sig. ra Schmelz abbia concesso in locazione per diversi anni un appartamento ubicato in Austria non osta all’applicabilità dell’art. 49 CE.

42      A tal riguardo la Corte ha dichiarato che nella nozione di servizio ai sensi del Trattato possono rientrare servizi di natura molto diversa, ivi compresi i servizi la cui prestazione si estende per un periodo di tempo prolungato, persino di più anni. Infatti, nessuna disposizione del Trattato consente di determinare, in maniera astratta, la durata o la frequenza a partire dalla quale la fornitura di un servizio o di un certo tipo di servizio in un altro Stato membro non può essere più considerata prestazione di servizi ai sensi del Trattato (v. sentenza 11 dicembre 2003, causa C‑215/01, Schnitzer, Racc. pag. I‑14847, punti 30 e 31).

43      Alla luce di quanto sopra esposto, si deve ritenere l’attività locativa della sig.ra Schmelz ricompresa nella libera prestazione dei servizi ai sensi dell’art. 49 CE.

44      Infine, per quanto riguarda l’applicabilità alle circostanze della causa principale dell’art. 12 CE, il quale enuncia il principio generale del divieto di ogni discriminazione fondata sulla nazionalità, va ricordato che tale disposizione tende ad applicarsi autonomamente solo nelle situazioni disciplinate dal diritto dell’Unione per le quali il Trattato non stabilisca regole specifiche di non discriminazione (sentenza 21 gennaio 2010, causa C‑311/08, SGI, Racc. pag. I‑487, punto 31, nonché giurisprudenza ivi citata).

45      Orbene, l’art. 49 CE, applicabile, come rilevato supra al punto 43, alla causa principale, prevede tali regole specifiche di non discriminazione. Ne deriva che l’art. 12 CE non trova applicazione alle circostanze della causa principale.

 Sull’esistenza di una restrizione alla libera prestazione dei servizi

46      Da una giurisprudenza costante risulta che l’insieme delle disposizioni del Trattato relative alla libera circolazione delle persone è volto a facilitare, ai cittadini dell’Unione, l’esercizio di attività professionali di qualsivoglia natura sul territorio dell’Unione ed osta ai provvedimenti che potrebbero sfavorirli qualora intendano svolgere un’attività economica sul territorio di un altro Stato membro (sentenze Bosman, cit., punto 94, e 19 novembre 2009, causa C‑314/08, Filipiak, Racc. pag. I‑11049, punto 58).

47      A tal proposito, va rammentato che l’art. 49 CE impone l’eliminazione di qualsiasi restrizione della libera prestazione di servizi, quando sia tale da vietare, ostacolare o rendere meno attraenti le attività del prestatore stabilito in un altro Stato membro (v., in tal senso, sentenza 1° luglio 2010, causa C‑233/09, Dijkman e Dijkman-Lavaleije, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 23 nonché giurisprudenza ivi citata).

48      Risulta del pari dalla giurisprudenza che l’art. 49 CE vieta non soltanto le discriminazioni palesi basate sulla cittadinanza, ma anche qualsiasi forma di discriminazione dissimulata che, mediante il ricorso ad altri criteri distintivi, produca, in pratica, lo stesso risultato. Ciò avviene, in particolare, nel caso di una misura che preveda una distinzione basata sul criterio della residenza, in quanto quest’ultimo rischia di operare principalmente a danno dei cittadini di altri Stati membri, considerato che il più delle volte i non residenti sono cittadini di altri Stati membri (v. sentenza 16 gennaio 2003, causa C‑388/01, Commissione/Italia, Racc. pag. I‑721, punti 13 e 14 nonché giurisprudenza ivi citata).

49      Restrizioni vietate dall’art. 49 CE esistono, in particolare, quando disposizioni fiscali che si applicano ad attività economiche oltre frontiera sono meno vantaggiose di quelle che si applicano ad un’attività economica esercitata all’interno dei confini di tale Stato membro (v. sentenza Filipiak, cit., punto 62).

50      Va inoltre sottolineato che il divieto di restrizioni alla libera prestazione di servizi non vale solo per i provvedimenti nazionali, ma anche per quelli adottati dalle istituzioni dell’Unione (v., per analogia, con riferimento alla libera circolazione delle merci, sentenza 25 giugno 1997, causa C‑114/96, Kieffer e Thill, Racc. pag. I‑3629, punto 27 nonché giurisprudenza ivi citata).

51      Nella specie, gli artt. 24, n. 3, e 28 decies della sesta direttiva nonché l’art. 283, n. 1, lett. c), della direttiva IVA consentono agli Stati membri di concedere alle piccole imprese stabilite nel loro territorio una franchigia dall’IVA con perdita del diritto a detrazione, ma escludono tale possibilità per le piccole imprese stabilite in altri Stati membri.

52      Ne consegue che, quando uno Stato membro prevede la franchigia dall’IVA per le piccole imprese, tali imprese, stabilite in loco, possono eventualmente offrire le loro prestazioni a condizioni più vantaggiose rispetto alle piccole imprese stabilite al di fuori del territorio di detto Stato, dal momento che, in forza delle dette disposizioni, è vietato agli Stati membri estendere il beneficio della citata franchigia a queste ultime.

53      Nella specie, da quanto rilevato al punto precedente emerge che l’esclusione dal beneficio della franchigia dall’IVA, per le piccole imprese stabilite al di fuori del territorio austriaco, rende meno attraente, per tali piccole imprese, la prestazione di servizi in Austria. Di conseguenza, ciò determina una restrizione alla libera prestazione dei servizi.

54      D’altronde, come rilevato dall’avvocato generale ai paragrafi 42‑44 e 83 delle sue conclusioni, da un lato, tale restrizione non può essere imputata agli Stati membri, atteso che le direttive di cui trattasi consentono, infatti, di applicare la franchigia dall’IVA soltanto alle piccole imprese stabilite sui rispettivi territori. Dall’altro, la possibilità, per le piccole imprese stabilite al di fuori del territorio dello Stato membro in cui è dovuta l’IVA, di detrarre l’imposta versata a monte può non risultare sufficiente a compensare la mancata applicazione nei loro confronti del regime della franchigia dall’IVA, in particolare quando tali piccole imprese non effettuano operazioni imponibili a monte, o ne effettuano poche.

55      Tutto ciò premesso, occorre procedere all’esame di un’eventuale giustificazione di detta restrizione.

 Sulla giustificazione

56      I governi austriaco, tedesco e greco nonché il Consiglio e la Commissione europea ritengono che la restrizione alla libera prestazione dei servizi consistente in una disparità di trattamento tra le piccole imprese a seconda che siano stabilite o meno nel territorio austriaco è giustificata dalla necessità di garantire l’efficacia dei controlli fiscali. Secondo i menzionati governi ed istituzioni, detti controlli possono essere effettuati in maniera efficace soltanto dallo Stato membro nel cui territorio è stabilita la piccola impresa.

57      A tale proposito, risulta dalla giurisprudenza che la necessità di garantire l’efficacia dei controlli fiscali costituisce un motivo imperativo di interesse generale idoneo a giustificare una restrizione all’esercizio delle libertà di circolazione garantite dal Trattato (sentenza 27 gennaio 2009, causa C‑318/07, Persche, Racc. pag. I‑359, punto 52).

58      Tuttavia, per essere giustificata, una misura restrittiva deve rispettare il principio di proporzionalità, nel senso che dev’essere idonea a garantire la realizzazione dell’obiettivo che persegue senza eccedere quanto è necessario a tal fine (sentenza Persche, cit., punto 52).

59      A tale proposito si deve considerare che la limitazione del beneficio della franchigia dall’IVA alle piccole imprese stabilite nel territorio dello Stato membro che l’applica è idonea a garantire la realizzazione di controlli fiscali efficaci diretti a verificare l’effettiva sussistenza dei presupposti di concessione di detta franchigia, dal momento che, in linea di principio, le imprese conservano presso le sedi in cui sono stabilite i documenti relativi a tutte le loro attività economiche.

60      Di conseguenza, i governi e le istituzioni intervenuti nel presente procedimento hanno correttamente rilevato che un controllo efficace delle attività svolte nell’ambito della libera prestazione di servizi da parte di una piccola impresa non stabilita in detto territorio non è alla portata dello Stato membro ospitante.

61      Per quanto riguarda la necessità di limitare il beneficio di tale regime alle piccole imprese stabilite nello Stato membro di cui trattasi, i citati governi e istituzioni affermano che le norme sull’assistenza amministrativa scaturenti dal regolamento (CE) del Consiglio 7 ottobre 2003, n. 1798, relativo alla cooperazione amministrativa in materia d’imposta sul valore aggiunto e che abroga il regolamento (CEE) n. 218/92 (GU L 264, pag. 1), e dalla direttiva del Consiglio 19 dicembre 1977, 77/799/CEE, relativa alla reciproca assistenza fra le autorità competenti degli Stati membri nel settore delle imposte dirette (GU L 336, pag. 15), non possono garantire uno scambio utile di dati.

62      Essi osservano che, poiché il regime delle piccole imprese è diretto allo sgravio degli oneri amministrativi relativi alle operazioni imponibili, tali imprese sarebbero dispensate dalle formalità amministrative fiscali connesse all’imposta sulla cifra d’affari, di modo che lo Stato membro nel quale l’impresa è stabilita non disporrebbe di alcun dato comunicabile ai sensi del regolamento n. 1798/2003. Essi aggiungono che, poiché la direttiva 77/799 riguarda soltanto le informazioni connesse alle imposte dirette, essa non consentirebbe né di rilevare né di comunicare informazioni relative al volume d’affari delle piccole imprese.

63      A tale proposito si deve osservare, da un lato, che l’obiettivo consistente nel garantire l’efficacia dei controlli fiscali al fine di combattere la frode, l’evasione fiscale e gli eventuali abusi, garanzia la cui necessità è stata ricordata supra al punto 57, non potrebbe essere conseguito in assenza di dati pertinenti. Dall’altro, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 33 delle sue conclusioni, il regime delle piccole imprese prevede semplificazioni amministrative dirette a rafforzare la creazione, l’attività e la competitività delle piccole imprese nonché a conservare un congruo rapporto tra gli oneri amministrativi connessi al controllo fiscale e gli scarsi gettiti fiscali attesi.

64      Infatti, ai sensi dell’art. 272, n. 1, lett. d), della direttiva IVA, gli Stati membri possono dispensare le piccole imprese da tutte le formalità previste dagli artt. 213‑271 di tale direttiva, volte a informare le amministrazioni finanziarie degli Stati membri sulle attività imponibili ai fini dell’IVA nel loro territorio.

65      Pertanto, come precisato dal Consiglio, le piccole imprese non sono, di regola, fiscalmente identificate ai fini dell’IVA nello Stato membro nel quale sono stabilite e quest’ultimo non dispone di alcun dato relativo al loro volume d’affari. Nella causa principale il governo tedesco ha dunque precisato che la piccola impresa della sig.ra Schmelz non è fiscalmente identificata ai fini dell’IVA in Germania e che tale Stato membro non dispone di alcun dato relativo al volume d’affari della stessa.

66      Per quanto attiene alla direttiva 77/799, si deve osservare che, conformemente al suo art. 1, essa concerne lo scambio di informazioni relative alle imposte sui redditi, sul patrimonio e sui premi assicurativi. Orbene, se non può essere escluso che informazioni relative, in particolare, al reddito possano fornire indicazioni utili soprattutto per le indagini sulle frodi all’IVA eventualmente commesse, nondimeno tali informazioni non contengono il volume d’affari imponibile ai fini dell’IVA.

67      Ne consegue che correttamente i governi e le istituzioni partecipanti al presente procedimento ritengono che le norme sull’assistenza amministrativa previste dal regolamento n. 1798/2003 e dalla direttiva 77/799 non possano garantire uno scambio utile di dati relativamente alle piccole imprese svolgenti attività nel territorio dello Stato membro che applica una franchigia dall’IVA.

68      Peraltro, ad una siffatta carenza di informazioni si potrebbe rimediare soltanto mediante l’introduzione di formalità come quelle previste dagli artt. 213‑271 della direttiva IVA. Orbene, come osservato supra al punto 63, il regime delle piccole imprese mira proprio a risparmiare a queste ultime e alle amministrazioni finanziarie il compimento di tali formalità.

69      Infatti, garantire l’efficacia dei controlli fiscali del volume d’affari realizzato da una piccola impresa in Stati membri diversi da quello nel quale essa è stabilita richiederebbe, da un lato, l’attuazione, per le piccole imprese e le amministrazioni finanziarie, di formalità complesse che consentano di raccogliere i dati rilevanti e di individuare eventuali abusi nonché, dall’altro, frequenti richieste di assistenza amministrativa, finalizzate allo scambio dei suddetti dati, da parte dell’amministrazione finanziaria dello Stato membro nel quale l’impresa è stabilita alle amministrazioni finanziarie di tutti gli altri Stati membri dell’Unione.

70      Si deve aggiungere che la limitazione del beneficio della franchigia dall’IVA soltanto ai soggetti passivi stabiliti nello Stato membro che ha istituito tale esenzione consente di evitare che soggetti passivi che svolgano attività in diversi Stati membri, senza essere stabiliti negli Stati medesimi, possano sottrarsi, in tutto o in gran parte, avvalendosi delle franchigie in vigore negli stessi, all’imposizione delle loro attività, sebbene le stesse, complessivamente considerate, eccedano obiettivamente il livello di attività di una piccola impresa, il che sarebbe inconciliabile con la necessità di incentivare, attraverso la deroga al principio della tassazione rappresentato da un siffatto meccanismo di franchigia, soltanto le piccole imprese.

71      Alla luce delle suesposte considerazioni, risulta che, allo stato attuale dell’evoluzione del regime dell’IVA, l’obiettivo consistente nel garantire l’efficacia dei controlli fiscali al fine di combattere la frode, l’evasione fiscale e gli eventuali abusi nonché l’obiettivo del regime delle piccole imprese, diretto a rafforzare la competitività delle stesse, giustificano, da un lato, che l’applicabilità della franchigia dall’IVA sia circoscritta alle attività delle piccole imprese stabilite nel territorio dello Stato membro in cui l’IVA è dovuta e, dall’altro, che il volume d’affari annuo da prendere in considerazione sia quello realizzato nello Stato membro nel quale l’impresa è stabilita.

72      Ciò premesso, si deve ritenere che la limitazione del beneficio della franchigia dall’IVA alle piccole imprese stabilite nello Stato membro in cui è dovuta l’IVA non eccede quanto è necessario al fine di garantire la realizzazione di tali due obiettivi.

73      Ne deriva che dall’esame delle questioni non risulta alcun elemento idoneo ad inficiare la conformità degli artt. 24, n. 3, e 28 decies della sesta direttiva nonché dell’art. 283, n. 1, lett. c), della direttiva IVA all’art. 49 CE.

74      Infine, poiché il giudice del rinvio chiede, altresì, se le disposizioni controverse nella causa principale siano conformi al principio generale della parità di trattamento, si deve ricordare che, al punto 53 supra, è stato rilevato che la disparità di trattamento in questione determina una restrizione alla libera prestazione dei servizi. Essa rientra, pertanto, nell’ambito di applicazione dell’art. 49 CE.

75      Orbene, tutto ciò premesso, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 75 delle sue conclusioni, si deve ritenere che il principio generale della parità di trattamento non tende ad applicarsi autonomamente.

76      A fronte di tutte le suesposte considerazioni, occorre rispondere alle questioni sollevate dichiarando che dall’esame delle questioni non è emerso alcun elemento idoneo ad inficiare la validità, alla luce dell’art. 49 CE, degli artt. 24, n. 3, e 28 decies della sesta direttiva nonché dell’art. 283, n. 1, lett. c), della direttiva IVA.

77      Gli artt. 24 e 24 bis della sesta direttiva nonché gli artt. 284‑287 della direttiva IVA devono essere interpretati nel senso che la nozione di «cifra d’affari annua» riguarda il volume d’affari di un’impresa realizzato in un anno nello Stato membro in cui è stabilita.

 Sulle spese

78      Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara:

1)      Dall’esame delle questioni non è emerso alcun elemento idoneo ad inficiare la validità, alla luce dell’art. 49 CE, degli artt. 24, n. 3, e 28 decies della sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, 77/388/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari – Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme, come modificata dalla direttiva del Consiglio 14 febbraio 2006, 2006/18/CE, nonché dell’art. 283, n. 1, lett. c), della direttiva del Consiglio 28 novembre 2006, 2006/112/CE, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto.

2)      Gli artt. 24 e 24 bis della direttiva 77/388, come modificata dalla direttiva 2006/18, nonché gli artt. 284‑287 della direttiva 2006/112 devono essere interpretati nel senso che la nozione di «cifra d’affari annua» riguarda il volume d’affari di un’impresa realizzato in un anno nello Stato membro in cui è stabilita.

Firme


* Lingua processuale: il tedesco.

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