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Document 52012DC0742

COMUNICAZIONE DELLA COMMISSIONE AL PARLAMENTO EUROPEO, AL CONSIGLIO E AL COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO Un nuovo approccio europeo al fallimento delle imprese e all'insolvenza

/* COM/2012/0742 final */

52012DC0742

COMUNICAZIONE DELLA COMMISSIONE AL PARLAMENTO EUROPEO, AL CONSIGLIO E AL COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO Un nuovo approccio europeo al fallimento delle imprese e all'insolvenza /* COM/2012/0742 final */


COMUNICAZIONE DELLA COMMISSIONE AL PARLAMENTO EUROPEO, AL CONSIGLIO E AL COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO

Un nuovo approccio europeo al fallimento delle imprese e all'insolvenza

1.           Introduzione: giustizia per la crescita

Mentre l’Europa sta affrontando una grave crisi economica e sociale, l’Unione europea prende iniziative per promuovere la ripresa economica, stimolare gli investimenti e salvaguardare l’occupazione. Adottare misure che creino una crescita sostenibile e prosperità è una priorità politica capitale[1].

La crisi del debito ha effetti diretti sui cittadini, sui posti di lavoro e sulle imprese. La crisi economica ha portato ad un aumento delle imprese che falliscono: tra il 2009 e il 2011 ogni anno nell’Unione sono fallite in media 200 000 aziende e un quarto di questi fallimenti presenta un elemento transfrontaliero; circa il 50% di tutte le nuove imprese non sopravvive ai cinque anni di attività e si stima che siano 1,7 i milioni di posti di lavoro persi ogni anno a causa delle situazioni d’insolvenza.

La crescita è stata posta al centro del programma della Commissione per la giustizia (“Giustizia per la Crescita”), in sintonia con la strategia per la crescita Europa 2020, l’analisi annuale della crescita e l’Atto per il mercato unico II di recente adozione[2]. Modernizzare le norme UE in materia di insolvenza per facilitare la sopravvivenza delle imprese e offrire una seconda possibilità agli imprenditori è una delle azioni chiave concepite per migliorare il funzionamento del mercato interno. Il programma di Stoccolma del 2009 per uno spazio europeo di giustizia[3] ha messo in luce l’importanza rivestita dalle norme in materia d'insolvenza nel sostenere l'attività economica.

La risposta europea dovrebbe consistere nel creare un sistema efficiente di ristrutturazione e riorganizzazione delle imprese che permetta loro di sopravvivere alle crisi finanziarie, di operare in modo più efficace e, se necessario, di ripartire da zero. Questo vale non solo per le grandi imprese multinazionali, ma anche per i 20 milioni di piccole imprese che costituiscono il pilastro dell'economia europea: trattare efficacemente i casi d'insolvenza è un tema cruciale per l'economia europea e la crescita sostenibile.

Il regolamento UE sulle procedure d’insolvenza[4] è nato per dirimere i casi di insolvenza transfrontalieri grazie all’effettivo riconoscimento e coordinamento delle procedure d’insolvenza nazionali, e per scoraggiare le parti dal trasferire beni o procedimenti giudiziari da uno Stato membro all’altro con il preciso intento di ottenere una posizione giuridica più favorevole (“forum shopping”). Tuttavia, avendo un campo d’applicazione transfrontaliero, il regolamento non ha armonizzato le normative fallimentari applicate ai casi di insolvenza nazionali, lasciando quindi sussistere le divergenze tra i diritti nazionali con il conseguente rischio che si perdano attività economiche, che i creditori recuperino meno denaro di quanto avrebbero altrimenti potuto e che non sia garantito il trattamento paritario dei creditori da uno Stato membro all’altro. La Commissione propone ora la modernizzazione del regolamento dell'UE sulle procedure d’insolvenza, benché le modifiche proposte riguardino solo i casi transfrontalieri.

Un diritto fallimentare moderno negli Stati membri dovrebbe aiutare le società a sopravvivere e incoraggiare gli imprenditori a cogliere una seconda opportunità; dovrebbe assicurare la rapidità e l’efficienza delle procedure, nell’interesse tanto dei debitori che dei creditori, contribuire a salvaguardare i posti di lavoro, aiutare i fornitori a mantenere la clientela e gli azionisti a preservare il valore delle società economicamente solide.

Per conseguire gli obiettivi di Europa 2020, è necessario concentrarsi su quello generale di una migliore giustizia per l’Unione europea. Sistemi giudiziari efficienti possono ampiamente contribuire a ridurre i rischi e le incertezze giuridiche, incoraggiando le attività imprenditoriali, commerciali e d’investimento transfrontaliere. Grazie all’esperienza maturata con gli Stati membri nell'ambito del programma di ripresa economica, la Commissione ha identificato il ruolo centrale delle riforme giudiziarie:; quella del diritto fallimentare rappresenta uno strumento basilare per promuovere la ripresa economica. L’incidenza dei sistemi giudiziari sull’economia ha trovato eco nel semestre europeo 2012 in una serie di raccomandazioni rivolte ad alcuni Stati membri per l’efficienza delle procedure d’insolvenza. La sfida sta nel coniugare un trattamento adeguato e celere dei problemi finanziari del debitore con i legittimi interessi del creditore, garantendo a tutte le parti l’accesso alla giustizia.

Negli ultimi vent’anni il mercato unico si è sviluppato in uno spazio senza frontiere interne: se una società versa in difficoltà finanziarie, trovare aiuto a livello transfrontaliero dovrebbe essere altrettanto facile che a livello nazionale. Ponendo tutti i diritti fallimentari nazionali sullo stesso piano, si accrescerà la fiducia di società, imprenditori e privati desiderosi di operare nel mercato interno negli ordinamenti degli altri Stati membri. Con norme fallimentari efficienti migliora anche l’accesso al credito, che a sua volta incoraggia gli investimenti: i creditori sono più propensi a prestare denaro se sanno che lo recupereranno. Una maggior compatibilità delle norme sulle procedure d’insolvenza può quindi migliorare il funzionamento del mercato interno. Pur essendo la diversità una componente della concorrenza legittima tra norme fondata su scelte politiche nazionali, da un punto di vista più generale genera il problema del forum shopping[5].

La volontà di dare agli imprenditori una seconda opportunità per rilanciare attività imprenditoriali redditizie e conservare l’occupazione rappresenta una delle caratteristiche fondamentali del nuovo approccio europeo al fallimento delle imprese e all’insolvenza. Questa impostazione mira ad imprimere una forte spinta all'imprenditoria europea nel mercato interno e già ispira la proposta di aggiornare il regolamento UE sulle procedure d’insolvenza in ambito transfrontaliero, adottata in contemporanea alla presente comunicazione, oltre a trovare ulteriore riscontro nel futuro piano d’azione per l’imprenditoria europea.

La presente comunicazione mette in luce quei settori in cui le divergenze tra diritti fallimentari nazionali rischiano maggiormente di ostacolare la creazione di un quadro giuridico efficiente per le situazioni d’insolvenza nel mercato interno, e vuole individuare i problemi su cui il nuovo approccio europeo dovrebbe concentrarsi per diffondere una “cultura del salvataggio” in tutti gli Stati membri.

2.           Delineare un nuovo approccio all’insolvenza: creare un clima più favorevole alle aziende

Tanto il Parlamento europeo quanto la Commissione hanno già condotto una notevole quantità di ricerche e analisi riguardo ai diritti fallimentari nazionali.

Nel novembre 2011 il Parlamento europeo ha adottato una risoluzione[6] in cui ha innanzitutto esortato a modificare il regolamento sulle procedure d’insolvenza - e la proposta di modifica intende rispondere a tale esortazione - raccomandando altresì di armonizzare specifici aspetti del diritto fallimentare e del diritto societario nazionale. Secondo uno studio[7] commissionato dal Parlamento, le divergenze tra diritti fallimentari nazionali possono creare ostacoli, vantaggi e/o svantaggi dal punto di vista concorrenziale e difficoltà per le società che hanno attività o un azionariato transfrontaliero nell’Unione europea. Sempre stando allo studio, l’armonizzazione delle procedure d’insolvenza negli Stati membri dell’Unione porterebbe grande beneficio all’efficienza delle stesse e del processo di riorganizzazione dell’impresa. Al contempo ciò incrementerebbe il ricavato spettante ai creditori in caso di decisione di liquidazione dell’attivo, o migliorerebbe le prospettive di riorganizzazione incoraggiando più creditori ad aderire ai piani di ristrutturazione. In entrambi i casi aumenterebbe la fiducia dei settori commerciali e finanziari nell’efficienza dell’infrastruttura economica dell'Unione.

Alla luce di questo studio, il Parlamento europeo ha concluso che “vi sono alcuni settori del diritto fallimentare in cui l’armonizzazione è auspicabile e possibile”. Ogni altra considerazione in merito alla riforma del diritto fallimentare dovrà però tener conto dell'incidenza su altre importanti branche del diritto.

La Commissione ha di recente analizzato le dinamiche imprenditoriali[8]. Lo studio ha rivelato che non vi è prova dell’effettiva incidenza del tipo di sistema giuridico (common law/ civil law) sul livello dell’imprenditoria (tasso di creazione di imprese, attività imprenditoriale complessiva, tasso di sopravvivenza delle imprese). Ciò significa che l’efficienza delle procedure di fallimento non è funzione del tipo di sistema o approccio giuridico, ma di disposizioni specifiche come gli accordi stragiudiziali, le procedure accelerate per le PMI, meccanismi di preallarme e altre norme che incidono fortemente sull’efficienza del sistema. I paesi più efficienti sono quelli in cui esistono un quadro giuridico fallimentare e meccanismi di preallarme ben funzionanti: lo studio dimostra che quasi tutti i paesi il cui sistema giuridico fallimentare è considerato molto efficiente possiedono anche meccanismi di preallarme estremamente validi.

Un punto importante per garantire un’effettiva seconda opportunità[9] sono i “tempi di riabilitazione”, ossia il tempo che intercorre tra il momento in cui la società è dichiarata fallita (liquidazione) e quello in cui può riavviare un’attività. La riabilitazione è spesso considerata fondamentale ai fini di una seconda opportunità. Attualmente i tempi di riabilitazione sono molto diversi da paese a paese: in alcuni le imprese oneste che hanno fallito sono automaticamente riabilitate una volta terminata la liquidazione, mentre in altri le imprese dichiarate fallite devono richiedere detto beneficio, e in altri ancora non possono ottenerlo affatto.

Un’ulteriore considerazione a proposito della “seconda opportunità” riguarda la ripresa delle attività di un imprenditore che sia stato dichiarato fallito o insolvente. In molti paesi europei esiste un impegno politico ad affrontare la questione del fallimento delle imprese e promuovere una seconda opportunità . Gli Stati membri hanno elaborato proposte di riforma delle loro norme fallimentari per dare sostegno agli imprenditori in cerca di una seconda opportunità: la maggior parte dei diritti nazionali non sembra orientata a favorire chi voglia riprendere l’attività, con il risultato che sono pochi quelli che ripartono da zero, nonostante il fatto che gli imprenditori falliti abbiano generalmente una forte propensione a ritornare sul mercato.

Il Consiglio “Competitività” del maggio 2011 ha esortato ad adottare misure specifiche, invitando gli Stati membri a “dare una seconda opportunità agli imprenditori, riducendo, ove possibile, a un massimo di tre anni entro il 2013 per gli imprenditori onesti i termini per la riabilitazione e la liberazione dai debiti dopo il fallimento”[10].

3.           Settori del diritto fallimentare nazionale in cui l’armonizzazione potrebbe essere benefica

In base all’analisi degli elementi di cui sopra, la Commissione ha identificato una serie di settori in cui le divergenze tra diritti fallimentari nazionali possono originare incertezza giuridica e un clima “ostile" alle imprese, che a loro volta creano condizioni sfavorevoli per gli investimenti transfrontalieri.

3.1.        Una seconda opportunità nei casi di fallimento non fraudolento[11]

Il principio II della comunicazione della Commissione “Pensare anzitutto in piccolo” (Think Small First) Uno “Small Business Act” per l’Europa”[12] mira a promuovere il concetto di una seconda possibilità per gli imprenditori onesti[13]. Il fallimento può dirsi “onesto” quando si verifica senza evidente colpa del proprietario o del gestore, ossia onestamente e nel rispetto delle regole, contrariamente ai casi in cui è frutto di frode o negligenza. Al riguardo la comunicazione auspica uno scambio di pratiche esemplari tra gli Stati membri.

Costituiscono un grande ostacolo alla possibilità effettiva di una seconda opportunità la lungaggine e l’onerosità delle procedure fallimentari. Per giunta gli imprenditori onesti che falliscono sono solitamente soggetti agli stessi limiti imposti ai disonesti, con il risultato che non solo subiscono la stigmatizzazione sociale legata al fallimento, ma anche gli impedimenti giuridici e amministrativi alla ripresa dell’attività. Le difficoltà a trovare finanziamenti per un nuovo progetto imprenditoriale sono considerate il problema principale per chi voglia ricominciare da zero. Eppure non bisogna dimenticare che chi ritenta impara dai propri errori e solitamente registra una crescita più rapida rispetto a società di prima costituzione.

Si potrebbe intervenire per differenziare maggiormente i fallimenti onesti da quelli disonesti. I regimi fallimentari potrebbero in effetti distinguere tra debitori che hanno agito correttamente a titolo personale o nell’attività d’impresa, pur generando indebitamento, e debitori che hanno agito in modo disonesto, e prevedere ad esempio che il debitore che volontariamente o per negligenza non abbia rispettato gli obblighi di legge sia soggetto a sanzioni civili e, ove opportuno, a responsabilità penale. I programmi di sostegno alla creazione di una nuova attività commerciale dovrebbero essere accessibili solo alle imprese fallite onestamente, che però non dovranno godere di un trattamento diverso rispetto alle imprese non fallite.

Seguono le misure più importanti da adottare per favorire una seconda opportunità:

· distinguere le procedure di liquidazione applicabili agli imprenditori onesti e agli imprenditori disonesti;

· elaborare e applicare procedure di liquidazione “accelerate” agli imprenditori onesti che falliscono.

3.2.        Tempi di riabilitazione che non incoraggiano una seconda opportunità

La riabilitazione è importante anche ai fini di una seconda opportunità: tre anni dovrebbero costituire il limite massimo e per quanto possibile automatico per la riabilitazione e la liberazione dal debito di un imprenditore onesto. È fondamentale che l’attività imprenditoriale non finisca per essere una "condanna a vita" se qualcosa va storto[14].

Nelle conclusioni del Consiglio “Competitività” del maggio 2011, a seguito del riesame dello “Small Business Act” per l’Europa[15], gli Stati membri hanno concordato sulla necessità di armonizzare i “tempi per la riabilitazione” a meno di tre anni.

Riducendo e allineando i termini per ottenere la riabilitazione si muoverebbe un passo importante verso la creazione di un clima più favorevole e innovativo per le imprese europee, che potrebbero così operare a parità di condizioni. Sarebbe questa una prima tappa verso un’armonizzazione più ampia dei diritti fallimentari nazionali.

3.3.        Possibilità di ristrutturazione divergenti a causa di norme diverse sull’apertura delle procedure

I criteri per l’apertura delle procedure d’insolvenza variano molto: in certi Stati membri, possono essere avviate procedure solo per debitori già in crisi e in stato d’insolvenza, in altri ciò è possibile anche per società che, pur solvibili, prevedono uno stato d’insolvenza nell’immediato futuro. Altre differenze si riscontrano nelle verifiche dell’insolvibilità (come il test di liquidità) applicate dai vari diritti nazionali: ovviamente, ciò significa che società in condizioni finanziarie simili possono superare il test d’insolvibilità in uno Stato membro ma non in un altro. Sono quindi difformi le possibilità date alle società di ricorrere a procedure stragiudiziali di ristrutturazione per superare una fase di crisi finanziaria, evitando la procedura d'insolvenza che comporterà lo spossessamento totale o parziale del debitore o la nomina di un curatore.

Un altro problema riguarda le norme sull’apertura obbligatoria della procedura d'insolvenza. Ci sono consistenti differenze tra gli Stati membri quanto ai termini che il debitore deve rispettare in caso di apertura obbligatoria della procedura d’insolvenza: in alcuni Stati membri il debitore ha due settimane dopo il verificarsi dell’insolvibilità per chiedere l’apertura della procedura di fallimento, in altri ha due mesi da quando viene a conoscenza dello stato d’insolvenza, in altri ancora ha un massimo di 45 giorni per chiedere l'apertura del fallimento dopo la cessazione dei pagamenti.

La lunghezza dei termini non è priva di conseguenze sulla capacità di un debitore di risolvere le proprie difficoltà finanziarie: se termini troppo corti rischiano di pregiudicare questa capacità, termini lunghi possono ritardare la concessione della remissione del debito nel quadro della procedura d'insolvenza e danneggiare l’efficienza della procedura per tutti i creditori.

3.4.        Aspettative insoddisfatte dei creditori per varie categorie di debitori

I diritti nazionali divergono quanto alle possibilità accordate ai creditori di avviare procedure d’insolvenza contro i debitori e le varie categorie di debitori. Queste divergenze possono risultare difficili da conciliare con le legittime aspettative dei creditori che pretendono di imporre procedure d'insolvenza ai loro debitori e, invece di ricorrere ad azioni esecutive singole, possono promuovere procedure d'insolvenza collettive.

Un altro aspetto che è necessario armonizzare è la legittimazione ad avviare una procedura contro un debitore. Tutti gli Stati membri hanno norme che consentono a un debitore (persona fisica o giuridica di diritto pubblico o privato) che svolge un’attività imprenditoriale, a un creditore e allo Stato di chiedere al giudice di aprire una procedura d’insolvenza contro il debitore. Tuttavia, alcune giurisdizioni limitano la possibilità del creditore in tal senso imponendo condizioni speciali. Siffatte limitazioni possono portare a situazioni in cui il trattamento del creditore è diverso a seconda che si tratti di una procedura principale o secondaria contro lo stesso debitore.

3.5.        Incertezza per i creditori quanto all’insinuazione al passivo e alla verifica dei crediti

Per ridurre l’incertezza e creare pari condizioni di trattamento per i creditori negli Stati membri, va considerato l'ulteriore ravvicinamento delle norme in materia di insinuazione al passivo e accertamento dei crediti, tra cui quelle su procedure, termini, sanzioni e conseguenze del mancato rispetto delle norme, oltre all'obbligo d'informazione dei creditori.

Trasparenza ed efficienza del processo di insinuazione al passivo e accertamento dei crediti hanno una notevole incidenza sulla possibilità che i creditori ottengano un risultato soddisfacente dalla procedura d’insolvenza. I diritti degli Stati membri disciplinano questo settore in modo diverso: tra le differenze riscontrate vi sono i termini per l'insinuazione al passivo e l’accertamento dei crediti, la disponibilità e l’accesso alle informazioni sul processo e le conseguenze di un eventuale ritardo dell’insinuazione. Non di rado, il termine per l’insinuazione al passivo è disposto nella sentenza di fallimento. Il mancato rispetto del termine può poi avere conseguenze diverse nei diversi Stati membri: in alcuni il creditore che non ha rispettato il termine può perdere il diritto di ammissione al passivo e di ottenere soddisfazione nell’ambito della procedura d’insolvenza, mentre in altri questo rischio non sussiste.

I creditori stranieri hanno più probabilità rispetto ai creditori locali di risentire delle notevoli differenze tra i diritti degli Stati membri, date le conseguenze potenzialmente gravi del mancato rispetto delle norme che disciplinano il processo, compresa la perdita del diritto di partecipare al riparto dell'attivo.

3.6.        Promozione dei piani di ristrutturazione

Le norme che regolano i piani di ristrutturazione (compresi i contenuti e le relative questioni procedurali) svolgono un ruolo cruciale nel creare le condizioni per il successo di detti interventi nelle procedure d'insolvenza. Norme rigide e impossibili da attuare in pratica possono pregiudicare le possibilità di adottare un piano di ristrutturazione, senza lasciare alternative alla liquidazione della società. Il quadro giuridico che sottende ai piani di ristrutturazione adottati negli Stati membri varia notevolmente. Le maggiori differenze riguardano l’identificazione delle altre parti che possano farsi promotrici del piano, l'adozione, la modifica e la verifica dei piani.

Se è vero che i diritti nazionali in genere accettano che stia al debitore proporre un piano di ristrutturazione, le norme sulla possibilità o meno che siano i creditori a proporre il piano o a influenzarne la preparazione variano. Anche tra le norme sull’approvazione del piano, compresa l’eventuale distinzione tra i creditori e le maggioranze previste, vi sono notevoli differenze: in alcuni Stati membri i creditori non sono divisi in categorie e le maggioranze previste dalle leggi nazionali per l'approvazione del piano di ristrutturazione sono diverse da un diritto nazionale all'altro; lo stesso si riscontra per le norme applicate dai giudici nella revisione del piano. Nel diritto di alcuni Stati membri, i giudici hanno ampi poteri discrezionali, mentre in altri tali poteri sono molto più limitati.

4.           Esigenza specifica delle PMI di avere una seconda opportunità

L’Unione europea è particolarmente attenta alla situazione delle PMI e alla possibilità di dar loro una seconda opportunità. La Commissione ritiene che le PMI dovrebbero ricevere sostegno in caso di difficoltà economiche per[16]:

· la prevenzione del fallimento;

· il post-fallimento e la seconda opportunità;

· gli accordi stragiudiziali;

· le procedure giudiziali.

La ristrutturazione può avere costi talmente elevati per le PMI che spesso il fallimento è l’unica soluzione percorribile. Occorre trovare soluzioni per abbassarne i costi a carico delle PMI: una possibilità sarebbe fissare massimali per gli onorari; si dovrebbero poi istituire procedure alternative per rendere disponibili soluzioni adeguate a tutti i tipi di PMI; le procedure dovrebbero essere commisurate alle dimensioni dell’impresa; le procedure stragiudiziali dovrebbero essere esperibili per qualunque tipologia di debitori, a prescindere dai fondi disponibili. Nella maggior parte degli Stati membri dell’UE, a fronte di una loro durata media relativamente breve, gli accordi stragiudiziali registrano un tasso di successo di circa il 50%. Anche se introdotti solo recentemente, gli accordi stragiudiziali e le procedure di pre-insolvenza riscuotono un successo crescente tra le PMI nell'UE.

Anche in quanto creditori le PMI possono risentire di difficoltà economiche: alcuni rappresentanti della categoria ritengono che, a motivo della lungaggine delle procedure e delle norme nazionali sulla prelazione, le micro imprese creditrici perdono una parte decisamente eccessiva dei loro crediti insoluti. Vale quindi la pena di esaminare le possibili opzioni per migliorare la situazione delle PMI in veste di creditori.

5.           Iniziative da adottare

Come prima tappa la Commissione propone di modernizzare il regolamento UE sulle procedure d’insolvenza; inoltre, intende adottare un piano d’azione per l’imprenditoria europea che preveda iniziative per promuovere procedure fallimentari efficienti e la possibilità di offrire una seconda opportunità.

Per la tappa successiva la Commissione sta vagliando le opzioni esistenti per trattare i problemi derivanti dalle divergenze tra diritti fallimentari nazionali. I singoli interventi a livello nazionale non bastano a trovare una soluzione adeguata ai problemi posti dagli aspetti transnazionali del mercato interno. Si potrebbe invece utilmente intervenire per diminuire l'incertezza e creare un clima più favorevole alle imprese. La difficoltà sta nel gestire adeguatamente e speditamente le difficoltà finanziarie del debitore tutelando al contempo gli interessi del creditore e facilitando il salvataggio e la ristrutturazione delle imprese.

La Commissione manterrà l'approccio già seguito durante il precedente semestre europeo, nel cui ambito alcuni Stati membri hanno provveduto a riformare il diritto fallimentare nazionale. Ove necessario, quindi, potrebbero essere formulate raccomandazioni specifiche per paese che invitino gli Stati membri ad aggiornare i rispettivi diritti fallimentari.

Inoltre la Commissione intende approfondire l’analisi dell’impatto delle divergenze tra diritti fallimentari nazionali sul funzionamento del mercato interno. A questo scopo, instaurerà un dialogo con il Parlamento europeo e il Consiglio basandosi sulla presente comunicazione. La Commissione organizzerà altresì una consultazione pubblica allo scopo di raccogliere le opinioni dei portatori d'interessi sulle problematiche identificate nella presente comunicazione e su altri aspetti, e sulle possibili soluzioni e opzioni strategiche.

[1]               Cfr. la lettera del presidente Barroso al presidente del Parlamento europeo nell’ambito del discorso sullo stato dell’Unione del 12 settembre 2012.

[2]               COM(2012) 573.

[3]               GU L 115 del 4.5.2010, pag. 1.

[4]               Regolamento (CE) n. 1346/2000 del Consiglio, relativo alle procedure d’insolvenza (GU L 160 del 30.6.2000, pag. 1)

[5]               Il problema è illustrato più diffusamente nella valutazione d’impatto che accompagna la modifica del regolamento (CE) n. 1346/2000 relativo alle procedure d’insolvenza (COM(2012) 744).

[6]               Risoluzione del Parlamento europeo del 15 novembre 2011 sulle raccomandazioni alla Commissione sulle procedure d'insolvenza nel contesto del diritto societario dell'UE.

[7]               “Harmonisation of insolvency law at EU level”, Parlamento europeo 2010, PR 419.633. A questo ha fatto seguito un altro studiointitolato “Harmonisation of insolvency law at EU level with respect to opening of proceedings, claims filing and verification and reorganisation plans”, Parlamento europeo 2011, PE 432.766.

[8]               “Business dynamics: start-ups, business transfers and bankruptcy”, Commissione europea, DG Imprese e industria, gennaio 2011. Questa relazione esamina l’impatto economico delle procedure giuridiche e amministrative in materia di fallimento e delle possibilità di una seconda opportunità dopo il fallimento in 33 paesi europei (i 27 Stati membri dell’UE e Islanda, Norvegia, Croazia, Turchia, Serbia e Montenegro).

[9]               Si veda la relazione del gruppo di esperti “A second chance for entrepreneurs: prevention of bankruptcy, simplification of bankruptcy procedures and support for a fresh start”, Commissione europea, DG Imprese e industria, gennaio 2011.

[10]             Consiglio dell’Unione europea, documento 10975/11.

[11]             È assolutamente necessario distinguere i fallimenti “onesti” da quelli fraudolenti, che vanno decisamente scoraggiati.

[12]             COM(2008)394 definitivo/2, preceduto dalla comunicazione intitolata “Superare la stigmatizzazione del fallimento aziendale – per una politica della seconda possibilità” (COM(2007) 584 definitivo).

[13]             Principio II: “Far sì che imprenditori onesti, che abbiano sperimentato l’insolvenza, ottengano rapidamente una seconda possibilità”.

[14]             Questo riprende una raccomandazione della relazione del gruppo di esperti, cfr. supra nota 9.

[15]             COM(2011)78 definitivo.

[16]             “A second chance for entrepreneurs: prevention of bankruptcy, simplification of bankruptcy procedures and support for a fresh start”, cfr. supra nota 9.

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