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Document 62010CC0618

Conclusioni dell’avvocato generale V. Trstenjak, presentate il 14 febbraio 2012.
Banco Español de Crédito, SA contro Joaquín Calderón Camino.
Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dall’Audiencia Provincial de Barcelona.
Direttiva 93/13/CEE — Contratti stipulati con i consumatori — Clausola abusiva sugli interessi moratori — Procedimento d’ingiunzione di pagamento — Competenze del giudice nazionale.
Causa C‑618/10.

Court reports – general

ECLI identifier: ECLI:EU:C:2012:74

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

VERICA TRSTENJAK

presentate il 14 febbraio 2012 ( 1 )

Causa C-618/10

Banco Español de Crédito, SA

contro

Joaquín Calderón Camino

[(domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dall’Audiencia Provincial de Barcelona (Spagna)]

«Tutela dei consumatori — Direttiva 93/13/CEE — Articolo 6, paragrafo 1 — Contratti di credito al consumo — Interessi moratori applicabili — Clausole abusive — Diritto processuale civile nazionale — Procedimento d’ingiunzione di pagamento — Potere di un giudice nazionale di pronunciarsi d’ufficio e in limine litis sulla non vincolatività e sull’adeguamento di una clausola relativa ad interessi di mora contenuta in un contratto di credito al consumo nel contesto di un procedimento d’ingiunzione nazionale — Regolamento (CE) n. 1896/2006 — Procedimento europeo d’ingiunzione di pagamento — Direttiva 2008/48/CE — Articolo 30 — Campo d’applicazione temporale — Direttiva 87/102/CEE — Articoli 6 e 7 — Campo d’applicazione materiale — Autonomia procedurale degli Stati membri»

Indice

 

I – Introduzione

 

II – Contesto normativo

 

A – Normativa dell’Unione

 

B – Normativa nazionale

 

III – Fatti, procedimento principale e questioni pregiudiziali

 

IV – Procedimento dinanzi alla Corte

 

V – Principali argomenti delle parti

 

VI – Valutazione giuridica

 

A – Osservazioni introduttive

 

B – Sulla prima questione pregiudiziale

 

1. Sul ruolo del giudice nazionale nella soppressione delle clausole abusive secondo la giurisprudenza della Corte

 

2. Trasponibilità dei principi giurisprudenziali alla situazione di cui al procedimento principale

 

a) L’approccio della Corte nella sentenza Pénzügyi

 

b) Argomenti contrari alla trasponibilità della suddetta giurisprudenza alla fattispecie di cui al procedimento principale

 

i) Confronto con la causa Pénzügyi

 

– Diversa situazione processuale

 

– Diversa natura delle clausole contrattuali

 

– Conclusione

 

ii) Conseguenze di una trasposizione al procedimento d’ingiunzione

 

– Modifica basilare del funzionamento del procedimento ingiuntivo

 

– Compatibilità con il principio di autonomia procedurale

 

3. Conclusioni

 

a) Inesistenza di un obbligo di valutazione d’ufficio e in limine litis imposto dal diritto dell’Unione nell’ambito del procedimento di ingiunzione

 

b) Facoltà degli Stati membri di adottare norme più severe

 

C – Sulla seconda questione pregiudiziale

 

D – Sulla terza questione pregiudiziale

 

E – Sulla quarta e quinta questione pregiudiziale

 

F – Sulla sesta questione pregiudiziale

 

VII – Conclusione

I – Introduzione

1.

La presente causa ha origine da una domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dall’Audiencia Provincial de Barcelona (in prosieguo: il «giudice del rinvio») ai sensi dell’articolo 267 TFUE, con cui tale giudice ha sottoposto alla Corte di giustizia una serie di questioni riguardanti l’interpretazione della direttiva 93/13/CEE ( 2 ), della direttiva 2009/22/CE ( 3 ), del regolamento (CE) n. 1896/2006 ( 4 ), della direttiva 2008/48/CE ( 5 ) e della direttiva 2005/29/CE ( 6 ).

2.

Alla base della domanda di pronuncia pregiudiziale vi è una controversia fra il Banco Español de Crédito, S.A. (in prosieguo: il «ricorrente nel procedimento principale») e il sig. Joaquín Calderón Camino (in prosieguo: il «convenuto nel procedimento principale») relativamente al rimborso di un prestito e al pagamento di interessi di mora. Il ricorrente nel procedimento principale, che aveva originariamente fatto valere le proprie pretese creditorie attraverso un procedimento ingiuntivo nazionale, agisce ora in giudizio impugnando un’ordinanza con cui è dichiarata nulla, d’ufficio e in limine litis, la clausola contrattuale relativa ad un interesse di mora del 29%, viene ridotto il saggio di interesse al 19% ed imposto al ricorrente di provvedere ad un nuovo calcolo degli interessi prima dell’ulteriore trattazione della causa.

3.

La domanda di pronuncia pregiudiziale è volta ad accertare se, in base al diritto dell’Unione, il giudice nazionale sia tenuto, nell’ambito dell’esame di ricevibilità di una domanda in ambito civilistico, a valutare d’ufficio la natura abusiva delle clausole contrattuali sull’interesse di mora prestabilite in un contratto di credito al consumo nonché ad adeguarne il contenuto. Inoltre, il giudice del rinvio solleva diverse questioni relative alla condotta dell’ente finanziario nel caso di inadempimento di un contratto di mutuo dal punto di vista del diritto dell’Unione applicabile.

4.

La disciplina della tutela dei consumatori nell’Unione europea è attualmente soggetta ad una serie di adeguamenti legislativi che testimoniano l’impegno profuso dalla Commissione per consolidare e modernizzare l’aquis sinora elaborato. Non solo la direttiva 93/13 è stata oggetto di alcune modifiche puntuali per mezzo della direttiva 2011/83/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2011, sui diritti dei consumatori ( 7 ), ispirata ad una completa armonizzazione delle disposizioni nazionali a tutela dei consumatori ( 8 ); la Commissione, inoltre, con la sua proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo ad un diritto comune europeo della vendita ( 9 ), datata 11 ottobre 2011, ha avviato un progetto legislativo che renderà possibile in futuro l’applicazione facoltativa di questo regime normativo ai contratti di acquisto transfrontalieri, previo espresso accordo tra le parti ( 10 ). Quantunque i suddetti atti giuridici non siano applicabili ratione temporis alla fattispecie di cui al procedimento principale, essi sono indubbiamente destinati ad influenzare in modo determinante gli sviluppi futuri nel settore della normativa posta a tutela dei consumatori.

II – Contesto normativo

A – Normativa dell’Unione

5.

Ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 1, della direttiva 93/13, quest’ultima è volta a ravvicinare le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri concernenti le clausole abusive nei contratti stipulati tra un professionista e un consumatore.

6.

L’articolo 3 della suddetta direttiva è formulato nei termini seguenti:

«1.   Una clausola contrattuale, che non è stata oggetto di negoziato individuale, si considera abusiva se, malgrado il requisito della buona fede, determina, a danno del consumatore, un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi delle parti derivanti dal contratto.

2)   Si considera che una clausola non sia stata oggetto di negoziato individuale quando è stata redatta preventivamente in particolare nell’ambito di un contratto di adesione e il consumatore non ha di conseguenza potuto esercitare alcuna influenza sul suo contenuto.

(...)».

7.

L’allegato alla direttiva contiene un elenco indicativo delle clausole che possono essere dichiarate abusive ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 3:

«1.   Clausole che hanno per oggetto o per effetto di:

(...)

e)

imporre al consumatore che non adempie ai propri obblighi un indennizzo per un importo sproporzionatamente elevato;

(…)»

8.

L’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva così recita:

«Fatto salvo l’articolo 7, il carattere abusivo di una clausola contrattuale è valutato tenendo conto della natura dei beni o servizi oggetto del contratto e facendo riferimento, al momento della conclusione del contratto, a tutte le circostanze che accompagnano detta conclusione e a tutte le altre clausole del contratto o di un altro contratto da cui esso dipende».

9.

L’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva dispone quanto segue:

«Gli Stati membri prevedono che le clausole abusive contenute in un contratto stipulato fra un consumatore ed un professionista non vincolano il consumatore, alle condizioni stabilite dalle loro legislazioni nazionali, e che il contratto resti vincolante per le parti secondo i medesimi termini, sempre che esso possa sussistere senza le clausole abusive.

(...)».

10.

L’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva dispone quanto segue:

«Gli Stati membri, nell’interesse dei consumatori e dei concorrenti professionali, provvedono a fornire mezzi adeguati ed efficaci per far cessare l’inserzione di clausole abusive nei contratti stipulati tra un professionista e dei consumatori».

B – Normativa nazionale

11.

Nel diritto spagnolo la tutela dei consumatori dalle clausole abusive era originariamente assicurata dalla Ley General 26/1984 para la Defensa de los Consumidores y Usuarios ( 11 ) (Legge generale 26/1984 del 19 luglio 1984 sulla tutela dei consumatori e degli utenti; in prosieguo: la «legge 26/1984»). La suddetta legge è stata successivamente modificata dalla Ley 7/1998 sobre condiciones generales de la contratación ( 12 ) (Legge 7/1998 del 13 aprile 1998 sulle condizioni generali di contratto; in prosieguo: la «legge 7/1998»), che ha recepito nel diritto nazionale la direttiva 93/13 in questa materia. Con il Real Decreto Legislativo 1/2007 ( 13 ) del 16 novembre 2007 (in prosieguo: l’«RDL 1/2007»), infine, è stata adottata la nuova versione della legge generale sulla tutela dei consumatori e degli utenti.

12.

All’articolo 83 dell’RDL 1/2007 sono sancite le conseguenze giuridiche discendenti dalla constatazione del carattere abusivo di una clausola contrattuale. In esso si legge che: «[l]e clausole abusive sono nulle di pieno diritto e si considerano non apposte». Il suddetto articolo prevede inoltre quanto segue: «[l]a parte del contratto colpita da nullità è integrata conformemente all’articolo 1258 del codice civile e al principio di buona fede oggettiva. A tali effetti, il giudice che dichiara la nullità di dette clausole integra il contratto e dispone di poteri di moderazione rispetto ai diritti e obblighi delle parti, nel caso di sopravvivenza del contratto, e rispetto alle conseguenze della sua inefficacia in caso di apprezzabile pregiudizio per il consumatore o utente. Soltanto qualora le clausole sussistenti determinino una situazione iniqua rispetto alla posizione delle parti, che non può essere sanata, il giudice può dichiarare l’inefficacia del contratto».

13.

L’articolo 1108 del codice civile spagnolo prevede che, nel caso in cui l’obbligazione consista nel pagamento di un importo pecuniario e il debitore sia moroso, il risarcimento dei danni e dei pregiudizi è costituito, salvo quanto diversamente concordato, dal pagamento degli interessi pattuiti e, in assenza di un accordo, dagli interessi legali.

14.

Ai sensi dell’articolo 1258 del codice civile spagnolo, i contratti sono conclusi mediante il semplice consenso e, a partire da tale momento, obbligano non solo ad adempiere quanto espressamente pattuito, bensì anche relativamente a tutte le conseguenze che, per loro natura, siano conformi alla buona fede, alla consuetudine e alla legge.

III – Fatti, procedimento principale e questioni pregiudiziali

15.

Il 28 maggio 2007 le parti nel procedimento principale hanno stipulato un contratto di mutuo per un ammontare di EUR 30 000,00 finalizzato all’acquisto di un autoveicolo. Come si desume in dettaglio dalla decisione di rinvio pregiudiziale, il tasso annuo effettivo era pari all’8,890%, il tasso di interesse del prestito al 7,950% e l’interesse di mora al 29%. Sebbene la scadenza per la restituzione del prestito fosse fissata solo al 5 giugno 2014, il ricorrente ha invocato anticipatamente l’esigibilità del credito, atteso che il convenuto non aveva pagato tutte le 67 rate originariamente convenute.

16.

L’8 gennaio 2009 la ricorrente rivendicava, attraverso un procedimento d’ingiunzione, il pagamento di EUR 29 381,95, interessi convenzionali e spese. Il 21 gennaio 2010 il Juzgado de Primer Instancia no 2 de Sabadell emetteva un’ordinanza con cui dichiarava nulla la clausola relativa agli interessi moratori nel contratto di mutuo, fissava gli interessi moratori al 19% e ordinava al ricorrente di ricalcolare gli interessi per lo stesso periodo, conformandosi a quanto stabilito nell’ordinanza. Il giudice motivava la propria decisione con la natura abusiva della clausola sugli interessi moratori. Vista la natura cogente delle norme esaminate, esso avrebbe il potere di accertare la nullità d’ufficio anche nell’ambito di un procedimento ingiuntivo.

17.

Il ricorrente nel procedimento principale impugnava la suddetta ordinanza con appello proposto dinanzi al giudice del rinvio, richiamando la necessità di una tutela giuridica effettiva e sostenendo essenzialmente che una verifica d’ufficio e in limine litis del saggio degli interessi moratori convenzionali non sarebbe legittima, bensì potrebbe avere luogo solo a seguito di un’eccezione sollevata al riguardo dal convenuto.

18.

Il giudice del rinvio ritiene indispensabile un’interpretazione del diritto dell’Unione ai fini della soluzione della controversia. Esso chiede soprattutto se, alla luce dei precetti del diritto dell’Unione, un giudice nazionale, nel contesto di un procedimento d’ingiunzione, possa accertare d’ufficio e in limine litis la nullità di una clausola sul tasso degli interessi moratori o se sia piuttosto tenuto a lasciare alle parti stesse la contestazione in giudizio della nullità di una siffatta clausola, qualora non si tratti eccezionalmente di clausole contrattuali palesemente contrarie a norme imperative o ad altre norme cogenti. Per questo motivo, esso ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

1)

«Se il diritto comunitario, in particolare il diritto dei consumatori e degli utenti, osti a che un giudice nazionale si astenga dal pronunciarsi d’ufficio e in limine litis, in qualsiasi fase del procedimento, sulla nullità o l’adeguamento di una clausola sugli interessi moratori (nel caso di specie pari al 29%) inserita in un contratto di credito al consumo e se il giudice possa scegliere, senza ledere i diritti del consumatore [riconosciuti dalla] normativa comunitaria, di lasciar dipendere dall’iniziativa del debitore l’eventuale esame di tale clausola (mediante necessaria opposizione processuale).

2)

Come si debba interpretare, a tali effetti, affinché sia conforme agli articoli 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13/CEE e 2 della direttiva 2009/22/CEE, l’articolo 83 del Real Decreto Legislativo n. 1/2007 [precedentemente articolo 8 della Ley General 19 luglio 1984, n. 26/1984 (legge generale per la difesa dei consumatori e degli utenti)]. Quale sia la portata, a tali effetti, dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13/CEE, nello stabilire che le clausole abusive “non vincolano il consumatore”.

3)

Se il controllo del giudice d’ufficio e in limine litis possa essere escluso quando il ricorrente determini con chiarezza nella domanda il tasso di interesse moratorio, l’importo del credito, comprensivo di capitale e interessi, le penalità contrattuali e le spese, il tasso d’interesse ed il periodo di tempo per il quale gli interessi sono richiesti (o l’indicazione che è aggiunto automaticamente al capitale un tasso d’interesse legale ai sensi della legislazione dello Stato membro d’origine), il fondamento dell’azione, compresa una descrizione delle circostanze invocate come base del credito e degli interessi richiesti, specificando se si tratti di interesse legale, contrattuale, capitalizzazione di interessi o tasso di interesse del prestito, se è stato calcolato dal ricorrente, e i punti percentuali di maggiorazione rispetto al tasso base stabilito dalla Banca centrale europea, come previsto nel regolamento comunitario sul procedimento europeo d’ingiunzione di pagamento.

4)

In caso di mancata attuazione, se gli articoli 5, [paragrafo 1], lettere l) e m), 6, [paragrafo 1, lettera i)], e 10, [paragrafo 2], lettera 1), della direttiva 2008/48/CE, nel riferirsi a «modalità di modifica dello stesso», obblighino l’ente finanziario a sottolineare nel contratto, in modo specifico e differenziato (non nel corpo del testo, in forma del tutto indistinta), a titolo di «informazione precontrattuale», le clausole relative al tasso dell’interesse di mora in caso d’inadempimento, espresse chiaramente e poste in rilievo, nonché gli elementi presi in considerazione per la sua determinazione (costi finanziari, di recupero...), e un’avvertenza sulle conseguenze rispetto ai costi.

5)

Se l’articolo 6, paragrafo 2, della direttiva 2008/48/CEE preveda l’obbligo di comunicare la scadenza anticipata del credito o del prestito, che determina l’applicazione dell’interesse moratorio. Se sia applicabile il principio di divieto di ingiustificato arricchimento di cui all’articolo 7 della direttiva 2008/48/CEE, qualora l’ente creditizio non intenda soltanto recuperare il bene (il rimborso del capitale prestato), ma altresì applicare interessi di mora particolarmente elevati.

6)

Se, in assenza di disposizioni di attuazione, e alla luce dell’articolo 11, paragrafo 2, della direttiva 2005/29/CE, il giudice possa qualificare d’ufficio come sleale la prassi di includere nel testo del contratto una clausola di interessi moratori».

IV – Procedimento dinanzi alla Corte

19.

La decisione di rinvio, datata 29 novembre 2010, è pervenuta alla cancelleria del Tribunale il 29 dicembre 2010.

20.

Il ricorrente nel procedimento principale, i governi del Regno di Spagna e della Repubblica federale di Germania e la Commissione europea hanno presentato osservazioni scritte entro il termine di cui all’articolo 23 dello Statuto della Corte.

21.

All’udienza del 1o dicembre 2011 hanno presentato osservazioni i rappresentanti del ricorrente nel procedimento principale, dei governi del Regno di Spagna, della Repubblica federale di Germania, e della Commissione.

V – Principali argomenti delle parti

22.

Appare opportuno riportare gli argomenti delle parti, laddove rilevanti, nell’ambito dell’esame delle singole questioni giuridiche.

VI – Valutazione giuridica

A – Osservazioni introduttive

23.

L’inadempimento di un’obbligazione pecuniaria da parte di un debitore non è sempre dovuto al fatto che quest’ultimo abbia obiezioni sostanziali da eccepire contro la pretesa creditoria. Spesso il debitore semplicemente non ha intenzione o possibilità di pagare. In questi casi per il creditore può apparire poco sensato iniziare un procedimento giudiziario di cognizione ordinaria nei confronti di tale debitore ( 14 ). Egli cercherà piuttosto vie più semplici e meno costose per ottenere un titolo esecutivo. Numerosi Stati membri hanno inteso soddisfare questa esigenza di modalità semplificate di esercizio del diritto introducendo nel proprio diritto processuale civile diversi procedimenti speciali per la riscossione dei crediti ( 15 ), la cui struttura e valenza pratica, tuttavia, possono variare ampiamente da un ordinamento giuridico nazionale all’altro ( 16 ).

24.

A seguito dell’estesa formalizzazione, nel tempo, di questi procedimenti, in alcuni ordinamenti giuridici la relativa competenza è stata demandata, ad esempio, ad operatori giudiziari adeguatamente formati sotto il profilo giuridico, nell’ottica di un decongestionamento della giustizia – ad esempio funzionari amministrativi o di cancelleria – ( 17 ), mentre in altri ordinamenti giuridici il giudice civile continua ad avere competenza esclusiva ( 18 ). Inoltre, la necessità di far valere i diritti in modo semplice e rapido ha comportato che alcuni ordinamenti giuridici abbiano tollerato deroghe a norme fondamentali del processo civile, ad esempio con riferimento all’audizione delle parti o alla misura in cui la pretesa creditoria vantata dev’essere circostanziata e provata (verifica di plausibilità o di concludenza) ( 19 ).

25.

A livello dell’Unione, il regolamento (CE) n. 1896/2006, che – parallelamente ai procedimenti nazionali – ha istituito un procedimento europeo d’ingiunzione di pagamento in relazione ai crediti pecuniari non contestati nelle controversie transfrontaliere in materia civile e commerciale, testimonia l’impegno del legislatore per pervenire ad una soluzione adeguata della tensione fra attuazione celere del diritto, da un lato, e tutela delle garanzie processuali, dall’altro. Questo procedimento europeo d’ingiunzione di pagamento si basa, al riguardo, sulle esperienze degli Stati membri in merito all’uso dei suddetti procedimenti semplificati, in quanto ha recepito diverse soluzioni che si sono rivelate positive a livello nazionale. Fra di esse è annoverabile, ad esempio, la previsione della possibilità di presentare opposizione nel caso in cui il convenuto intenda contestare l’ingiunzione di pagamento, per cui in un siffatto caso, analogamente a quanto avviene nella maggior parte dei procedimenti d’ingiunzione nazionali ( 20 ), il procedimento prosegue dinanzi ad un giudice secondo le norme del processo civile ordinario ( 21 ).

26.

La presente causa verte sul procedimento d’ingiunzione di pagamento spagnolo finalizzato al recupero dei crediti pecuniari (proceso monitorio), il quale presenta diverse delle succitate peculiarità. Con la prima questione pregiudiziale il giudice nazionale solleva innanzi tutto la questione a quali precetti dell’Unione debba conformarsi un procedimento giudiziario nazionale finalizzato a far valere crediti pecuniari, con riguardo alla sua configurazione, affinché il consumatore sia efficacemente protetto da pretese riconducibili a clausole abusive contenute in contratti di credito al consumo. In particolare la questione riguarda un eventuale obbligo del giudice nazionale, discendente dal diritto dell’Unione, di pronunciarsi anche nel contesto di un procedimento di ingiunzione di pagamento in limine litis e d’ufficio sull’assenza di carattere vincolante di una clausola abusiva inserita in un contratto di credito al consumo, senza subordinare l’esame del carattere abusivo ad un’attività processuale del debitore.

27.

La delicatezza della suddetta questione dipende, non da ultimo, dal fatto che la valutazione del carattere abusivo presupporrà di norma un’estesa valutazione dei diritti e dei doveri contrattuali da parte del giudice nazionale, ciò che solitamente non si verifica nel contesto di un procedimento d’ingiunzione. Qualora la Corte dovesse affermare l’esistenza di un siffatto obbligo discendente dal diritto dell’Unione, ciò finirebbe col tradursi nell’obbligo per il legislatore nazionale di apportare ampie modifiche al proprio diritto processuale per conformarsi ai precetti giuridici dell’Unione. Al contempo questi dovrebbe tuttavia garantire che il procedimento ingiuntivo nazionale non perda la sua efficienza e continui a rimanere uno strumento semplice ed economico di tutela del diritto ( 22 ). In considerazione della particolare rilevanza di detta questione e delle possibili ampie ripercussioni della risposta della Corte nel diritto processuale civile negli Stati membri, essa sarà oggetto di particolare attenzione nella mia analisi.

B – Sulla prima questione pregiudiziale

28.

Pur essendo la questione pregiudiziale formulata in termini molto ampi («in qualsiasi fase del procedimento»), constatazione che potrebbe indurre a ritenere che il giudice a quo sia interessato ad un chiarimento generale circa i poteri del giudice nazionale civile relativamente alla soppressione delle clausole abusive, una siffatta interpretazione della questione pregiudiziale ometterebbe di tenere conto del fatto che la Corte, nella sua giurisprudenza sull’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13, si è già espressa profusamente su questa tematica. Per una valutazione accorta della domanda di pronuncia pregiudiziale che sia basata sulle circostanze particolari del procedimento principale occorre invece muovere dal presupposto che il giudice nazionale intenda sapere se i principi giurisprudenziali elaborati dalla Corte nel settore della tutela dei consumatori siano parimenti applicabili al procedimento nazionale d’ingiunzione. Ma prima di affrontare tale questione è d’uopo richiamare brevemente alla memoria i suddetti principi.

1. Sul ruolo del giudice nazionale nella soppressione delle clausole abusive secondo la giurisprudenza della Corte

29.

Secondo una costante giurisprudenza della Corte, il sistema di tutela istituito con la direttiva 93/13 è fondato sull’idea che il consumatore si trovi in una situazione di inferiorità rispetto al professionista per quanto riguarda sia il potere nelle trattative sia il grado di informazione, situazione che lo induce ad aderire alle condizioni predisposte dal professionista, senza poter incidere sul contenuto delle stesse ( 23 ). Relativamente ad una siffatta situazione di inferiorità, l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13 prevede che le clausole abusive non vincolino i consumatori. Come si evince dalla giurisprudenza, si tratta di una norma imperativa che mira a sostituire all’equilibrio formale che il contratto determina fra i diritti e gli obblighi delle parti un equilibrio reale, finalizzato a ristabilire l’uguaglianza delle parti stesse ( 24 ).

30.

Per garantire la tutela voluta dalla direttiva 93/13, la Corte di giustizia ha ripetutamente dichiarato che la persistente diseguaglianza tra il consumatore e il professionista può essere riequilibrata solo grazie ad un intervento positivo da parte di soggetti estranei al rapporto contrattuale ( 25 ). È sulla base di tali principi che la Corte ha così statuito che il giudice nazionale è tenuto ad esaminare d’ufficio il carattere abusivo di una clausola contrattuale ( 26 ). La facoltà per il giudice di esaminare d’ufficio la natura abusiva di una clausola costituisce, secondo la Corte, «un mezzo idoneo al conseguimento tanto dell’obiettivo fissato dall’articolo 6 della direttiva [93/13], che è quello di impedire che un consumatore individuale sia vincolato da una clausola abusiva, quanto dell’obiettivo dell’articolo 7 [della medesima direttiva], dato che tale esame può avere un effetto dissuasivo e, pertanto, contribuire a far cessare l’inserimento di clausole abusive nei contratti conclusi tra un professionista e i consumatori» ( 27 ). Questa facoltà riconosciuta al giudice è stata inoltre ritenuta necessaria per «garantire al consumatore una tutela effettiva, tenuto conto in particolare del rischio non trascurabile che questi ignori i suoi diritti o incontri difficoltà per esercitarli» ( 28 ).

31.

Nella sentenza Pannon ( 29 ) la Corte ha rafforzato la posizione processuale del consumatore, sottolineando l’obbligo del giudice nazionale di verificare d’ufficio il carattere abusivo di una clausola contrattuale «a partire dal momento in cui dispone degli elementi di diritto e di fatto necessari a tal fine». Essa, inoltre, ha chiarito che tale obbligo incombe al giudice nazionale anche in sede di verifica della propria competenza territoriale ( 30 ). La suddetta giurisprudenza è stata al riguardo oggetto di precisazione attraverso la sentenza del 9 novembre 2010, Pénzügyi ( 31 ), laddove, secondo la Corte, il giudice nazionale «deve adottare d’ufficio misure istruttorie al fine di accertare se una clausola attributiva di competenza giurisdizionale territoriale esclusiva contenuta nel contratto, che costituisce l’oggetto della controversia di cui è investito e che è stato concluso tra un professionista e un consumatore, rientri nell’ambito di applicazione della direttiva [93/13] e, in caso affermativo, valutare d’ufficio il carattere eventualmente abusivo di una siffatta clausola» ( 32 ). Per quanto attiene in particolare alla verifica dell’applicabilità della direttiva 93/13 ad un contratto concreto, la Corte ha chiarito che «il giudice nazionale deve (...), in tutti i casi e a prescindere dalle norme di diritto interno, determinare se la clausola controversa sia stata o meno oggetto di un negoziato individuale tra un professionista e un consumatore».

2. Trasponibilità dei principi giurisprudenziali alla situazione di cui al procedimento principale

a) L’approccio della Corte nella sentenza Pénzügyi

32.

Di tutte le sentenze che ho citato, la sentenza Pénzügyi mi sembra offrire maggiori spunti per trovare una soluzione alla prima questione pregiudiziale, tanto più che la Corte in quella causa si è occupata di una questione analoga. Alla Corte era stata sottoposta la questione se il giudice nazionale che ravvisi autonomamente la possibile sussistenza di una clausola contrattuale abusiva possa, d’ufficio, effettuare un’indagine volta ad accertare gli elementi di diritto e di fatto necessari a compiere tale valutazione, laddove il diritto processuale nazionale ammetta un siffatto esame solo su richiesta delle parti e una siffatta richiesta non sia stata avanzata. Come si evince dalle citazioni dei passi delle sentenze precedentemente riportati, la Corte non solo ha risposto affermativamente, bensì ha imposto al giudice nazionale un obbligo, discendente dal diritto dell’Unione, di adottare misure istruttorie volte ad acquisire gli elementi di diritto e di fatto necessari. Si è così data risposta ad una questione rimasta ancora insoluta nella sentenza Pannon, ossia le modalità con cui si dovesse procedere. In mancanza di indicazioni più precise da parte della Corte, si poteva presupporre, pertanto, che si dovesse far riferimento, al riguardo, al diritto processuale dei singoli Stati membri.

33.

I passi delle sentenze riportati al paragrafo 31 delle presenti conclusioni inducono a ritenere che la Corte probabilmente intendesse derogare al principio dispositivo nel processo civile, al fine di garantire l’effettività della tutela del consumatore auspicata dal legislatore dell’Unione in determinate circostanze. Questo approccio è conforme alla giurisprudenza favorevole ai consumatori elaborata sino a quel momento dalla Corte. Imponendo al giudice civile nazionale un ampio obbligo istruttorio, infatti, gli viene data la possibilità di intervenire nel procedimento a tutela del consumatore benché il diritto nazionale dello stesso non gli consentirebbe di norma di agire in tal senso. La facoltà di intervento, pertanto, discenderebbe direttamente dal diritto dell’Unione, per cui norme processuali nazionali in senso contrario dovrebbero essere disapplicate in virtù della primazia del diritto dell’Unione.

b) Argomenti contrari alla trasponibilità della suddetta giurisprudenza alla fattispecie di cui al procedimento principale

34.

Quantunque il suddetto approccio possa apparire auspicabile sotto il profilo della tutela del consumatore, non mi sembra possibile, da un punto di vista dogmatico, trasporre illimitatamente questa giurisprudenza ad un procedimento come quello ingiuntivo. A mio avviso occorre considerare le particolari circostanze che caratterizzavano la causa Pénzügyi e che hanno costituito il fondamento della pronuncia della Corte. Si deve inoltre riflettere sulle ripercussioni che si verificherebbero qualora tale giurisprudenza fosse trasposta al procedimento d’ingiunzione.

i) Confronto con la causa Pénzügyi

– Diversa situazione processuale

35.

Occorre in primo luogo evidenziare che la situazione processuale in cui si trovava il consumatore in quella causa era diversa da quella di cui al procedimento principale, per cui, a mio avviso, è precluso ogni parallelismo fra le due cause. Come si evince dalle considerazioni relative alla vicenda processuale svolte nella sentenza Pénzügyi ( 33 ), contro il consumatore era richiesta l’emissione di un’ingiunzione di pagamento a causa del mancato pagamento di un mutuo. L’ingiunzione richiesta era stata pronunciata nell’ambito di un procedimento cosiddetto «non contraddittorio», che secondo il diritto ungherese non esige una fase orale o l’audizione della controparte. Nell’emanare l’ingiunzione di cui trattasi il giudice del rinvio non aveva posto in questione né la propria competenza territoriale, né la clausola attributiva di competenza giurisdizionale contenuta nel contratto di mutuo.

36.

Dalla sentenza risulta del pari, tuttavia, che il consumatore aveva presentato un’opposizione contro tale ingiunzione di pagamento, con la conseguente transizione dal procedimento monitorio ad un procedimento in contraddittorio, svoltosi conformemente alle disposizioni del diritto processuale civile nazionale che disciplinano il rito ordinario ( 34 ). Si deve pertanto desumere che aveva avuto inizio il procedimento di cognizione. Nella fattispecie di cui al procedimento principale, invece, il procedimento d’ingiunzione si è svolto senza che il consumatore abbia presentato opposizione. Per contro, il giudice nazionale è intervenuto motu proprio, dichiarando la nullità della clausola contrattuale ritenuta abusiva. In questo contesto si deve affermare che l’approccio elaborato dalla Corte nella causa Pénzügyi è stato sviluppato con riguardo specifico al giudizio di cognizione nel processo civile e non al procedimento d’ingiunzione.

– Diversa natura delle clausole contrattuali

37.

Occorre inoltre prestare attenzione al fatto che la causa Pénzügyi verteva su una clausola contrattuale di natura completamente diversa da quella di cui al procedimento principale. Questo aspetto riveste un’importanza particolare e necessita di essere discusso profusamente. A questo proposito, si dovranno passare in rassegna i diversi tipi di clausole con cui il giudice nazionale si trova solitamente a confrontarsi.

38.

Oggetto del procedimento principale nella causa Pénzügyi era una clausola attributiva di competenza giurisdizionale inserita nel contratto di mutuo fra il professionista e il consumatore. La suddetta clausola presentava la peculiarità di prevedere la competenza territoriale esclusiva di un giudice che non era né quello nella cui circoscrizione si trovava la residenza del consumatore, né quello nella cui circoscrizione era ubicata la sede del professionista, bensì quello che si trovava in prossimità della sede di quest’ultimo tanto sul piano geografico quanto dal punto di vista dei collegamenti con i mezzi di trasporto ( 35 ). Quanto a questo aspetto, la suddetta clausola attributiva di competenza giurisdizionale, come anche correttamente osservato dalla Corte nella sentenza Pénzügyi, presentava analogie con la clausola che aveva costituito l’oggetto della causa Océano Grupo Editorial e Salvat Editores. La Corte ha ricordato che, al punto 24 della citata sentenza, essa aveva statuito che una clausola attributiva di competenza giurisdizionale esclusiva al tribunale nel cui foro si trova la sede del professionista deve essere considerata abusiva ai sensi dell’articolo 3 della direttiva se, in contrasto con il requisito della buona fede, determina a danno del consumatore un significativo squilibrio tra i diritti e gli obblighi delle parti derivanti dal contratto ( 36 ).

39.

La Corte ha ivi ravvisato un grave pregiudizio del consumatore in quanto una siffatta clausola impone al medesimo l’obbligo di assoggettarsi alla competenza esclusiva di un tribunale che può essere lontano dal suo domicilio e, pertanto, può rendergli più difficoltoso l’esercizio dei propri diritti a causa delle spese legate alla comparizione in giudizio proprio in una controversia di valore limitato. Secondo la Corte, una siffatta clausola rientra pertanto nella categoria di clausole che hanno lo scopo o l’effetto di sopprimere o limitare l’esercizio di azioni legali da parte del consumatore, categoria contemplata al punto 1, lettera q), dell’allegato della direttiva ( 37 ). La Corte ha inoltre ravvisato in una siffatta clausola un indebito trattamento preferenziale del professionista, atteso che essa gli consente di concentrare tutto il contenzioso attinente alla sua attività professionale dinanzi ad un unico foro, diverso da quello del domicilio del consumatore, agevolando la sua comparizione in giudizio e rendendola al contempo meno onerosa ( 38 ).

40.

Diversamente dalle cause Pénzügyi, Océano Grupo Editorial e Salvat Editores, l’oggetto della presente causa non è, tuttavia, una clausola attributiva di giurisdizione, bensì una clausola contrattuale sull’interesse moratorio. Questa differenziazione è importante perché l’approccio del giudice nazionale nell’ambito di un giudizio civile muterà a seconda della natura della clausola nella rispettiva fattispecie.

41.

Come ho esposto nelle conclusioni da me presentate nella causa Pénzügyi ( 39 ), le clausole attributive di competenza devono essere distinte, in linea di principio, dalle clausole che attribuiscono obblighi contrattuali di natura sostanziale. Queste ultime si caratterizzano per il contenuto prescrittivo spesso dettagliato, vincolante per le parti contrattuali, la cui incompatibilità con il precetto della buona fede non può essere sempre desunta a prima vista, non da ultimo per la complessità di tali clausole. Per una constatazione di questo genere, invece, vi è bisogno non di rado di una valutazione puntuale da parte del giudice nazionale sulla base di tutte le circostanze del singolo caso. Anche la Commissione ha messo in evidenza questo aspetto ( 40 ). La direttiva 93/13 stessa presuppone che il giudice nazionale effettui una siffatta valutazione puntuale in quanto, da un lato, ai sensi della definizione contenuta nell’articolo 3 si può ritenere sussistente il carattere abusivo di una clausola solo «se malgrado il requisito della buona fede, determina, a danno del consumatore, un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi delle parti derivanti dal contratto», situazione che potrà essere accertata soltanto tramite un’indagine accurata; dall’altro, l’articolo 4 della direttiva 93/13 stabilisce che il carattere abusivo di una clausola contrattuale «è valutato tenendo conto della natura dei beni o servizi oggetto del contratto e facendo riferimento, al momento della conclusione del contratto, a tutte le circostanze che accompagnano detta conclusione e a tutte le altre clausole del contratto o di un altro contratto da cui esso dipende». La considerazione di queste circostanze richiede dunque un’analisi della clausola in questione che va ben oltre la mera verifica di plausibilità.

42.

Anche la proposta di regolamento relativo ad un diritto comune europeo della vendita, citata nell’introduzione, ( 41 ) tiene conto della circostanza che determinate clausole spesso devono essere sottoposte ad un esame accurato prima di poter essere giudicate abusive. Tale proposta contiene, fra l’altro, norme sulle «clausole abusive» nei contratti fra un’impresa e un consumatore, che corrispondono ampiamente a quelle della direttiva 93/13 ( 42 ). È importante menzionare in questo contesto che la proposta di regolamento contiene anche norme sugli interessi nel caso di mora del consumatore ( 43 ). A questo proposito, è di particolare interesse una norma ( 44 ) secondo la quale, nel caso in cui sia fissato un tasso di interesse superiore a quello previsto dalle disposizioni della proposta di regolamento, deve essere disposta la non vincolatività di una siffatta clausola contrattuale qualora questa debba essere considerata «abusiva» nell’accezione delle norme pertinenti. La valutazione stessa viene effettuata secondo criteri altrettanto rigorosi quanto quelli di cui alla direttiva 93/13 ( 45 ). L’eventualità che questa norma entri un giorno in vigore sotto questa forma dipende certamente dall’ulteriore sviluppo del procedimento legislativo. Negli assetti contrattuali come quello di cui al caso di specie – nella misura in cui le parti acconsentano ad applicare il diritto comune europeo della vendita – essa rappresenterebbe comunque per il giudice nazionale, chiamato a valutare l’eventuale carattere abusivo di una clausola sugli interessi moratori, un utile elemento su cui basare la decisione.

43.

Nella misura in cui la clausola controversa sia tipizzata per legge in via non eccezionale, ad esempio venendo inserita in un elenco di clausole che devono essere comunque dichiarate abusive, il giudice nazionale non potrà evitare di dover dichiarare sussistente il carattere abusivo di una clausola. Si osservi, tuttavia, in questo contesto che nemmeno una tipizzazione come quella di cui alle tipologie di clausole dell’allegato della direttiva 93/13 può portare ad alcun cambiamento al riguardo. L’allegato cui rinvia l’articolo 3, paragrafo 3, della direttiva contiene infatti un elenco soltanto indicativo e non esauriente di clausole ( 46 ) che possono essere dichiarate abusive ( 47 ). Una clausola che vi figuri non deve essere necessariamente considerata abusiva e, viceversa, una clausola che non vi figuri può tuttavia essere dichiarata abusiva ( 48 ). Pertanto, dalla mera circostanza che una clausola figura nell’elenco non si può dedurre automaticamente anche che essa presenta natura abusiva. Nonostante il carattere indicativo attribuito a tale circostanza dalla giurisprudenza, è necessaria una valutazione autonoma e dettagliata della clausola contrattuale in questione sotto il profilo del suo eventuale carattere abusivo.

44.

La situazione cambia allorquando il giudice nazionale si confronta con una clausola attributiva della competenza come quella di cui alla causa Pénzügyi. Come ho affermato al paragrafo 112 delle mie conclusioni nella suddetta causa, il giudice nazionale potrebbe esaminare, già in sede di verifica d’ufficio della propria competenza e senza che ciò postuli dettagliate allegazioni di parte, una clausola contrattuale da classificarsi, in determinate circostanze, come abusiva in quanto attributiva di competenza, in relazione a tutte le controversie scaturenti dal contratto, al giudice nel cui foro si trova la sede del professionista. L’imposizione di un ampio obbligo di verifica non era indispensabile per conseguire l’obiettivo del controllo delle clausole abusive prefissato dalla direttiva 93/13. Questo assunto era stato confermato anche dalla situazione processuale esistente nel procedimento principale. Come ho affermato nelle mie conclusioni, dal fascicolo di causa emergeva che il giudice del rinvio, ancor prima della fissazione dell’udienza, aveva constatato che il domicilio del convenuto non si trovava nel proprio circondario e che la ricorrente aveva presentato la propria istanza relativa all’ingiunzione di pagamento dinanzi al giudice ubicato in prossimità della propria sede ai sensi delle condizioni generali del contratto, circostanze che avevano indotto il giudice del rinvio a dubitare della clausola in questione, fino ad accennare al sospetto che si trattasse di una clausola abusiva.

45.

In considerazione delle osservazioni che precedono, sono dell’opinione che era ovvio che il giudice nazionale nella causa Pénzügyi dovesse qualificare come abusiva la clausola controversa, per i seguenti motivi: da un lato, tale giudice si trovava ad esaminare una clausola contrattuale la cui natura abusiva era indiscutibile alla luce della valutazione effettuata dalla Corte stessa nella sentenza Océano Grupo. Si può pertanto ritenere correttamente che si trattasse di una clausola sufficientemente tipizzata dal diritto dell’Unione. D’altro canto, il giudice nazionale poteva avvalersi, nel contesto della verifica della propria competenza territoriale, e pertanto in modo relativamente semplice, degli «elementi di fatto e di diritto necessari» per adempiere il proprio obbligo relativo alla verifica d’ufficio del carattere abusivo della clausola contrattuale. In altre parole, il giudice nazionale non era tenuto ad effettuare una valutazione complessiva del carattere abusivo tenendo conto di tutte le circostanze del singolo caso.

46.

È necessario tenere presenti queste circostanze per potere collocare nel giusto contesto la sentenza Pénzügyi. Ritengo che l’obbligo del giudice nazionale di adottare d’ufficio misure istruttorie, come previsto dalla Corte al punto 56 di quella sentenza, può essere compreso solo alla luce del dato che il giudice civile nazionale può di solito verificare d’ufficio la propria competenza e quindi accertare in modo relativamente semplice il carattere abusivo di una clausola come quella di cui alle cause Océano Grupo e Pénzügyi. Per i motivi che ho già menzionato, nel caso di una clausola sostanziale, ciò non è affatto possibile, a maggior ragione quando l’accertamento del carattere abusivo presuppone un’analisi accurata. Pertanto la sentenza Pénzügyi offre una soluzione adeguata ad assicurare la tutela dei consumatori solo nel contesto delle circostanze particolari della fattispecie di cui al procedimento principale in quella causa.

– Conclusione

47.

Pervengo pertanto alla conclusione che la giurisprudenza Pénzügyi non può essere trasposta ad una fattispecie come quella di cui alla presente causa, nella misura in cui vi sia collegato l’obbligo del giudice nazionale, nel contesto di un procedimento ingiuntivo, di pronunciarsi d’ufficio e in limine litis circa la nullità di una clausola relativa agli interessi di mora contenuta in un contratto di credito al consumo.

ii) Conseguenze di una trasposizione al procedimento d’ingiunzione

– Modifica basilare del funzionamento del procedimento ingiuntivo

48.

Qualora la Corte sia di avviso opposto e, diversamente da quanto sostenuto nelle presenti conclusioni, non ravvisi alcun impedimento per trasporre nelle circostanze succitate la giurisprudenza Pénzügyi alla fattispecie di cui al procedimento principale, occorrerebbe tuttavia riflettere sulle conseguenze che discenderebbero dalla trasposizione dell’approccio sviluppato dalla Corte al procedimento d’ingiunzione.

49.

Tutte le parti concordano – a mio avviso correttamente – sul fatto che imporre un obbligo di effettuare un’analisi completa nel contesto di un procedimento ingiuntivo nazionale nonché di pronunciarsi in limine litis sulla nullità di una clausola relativa agli interessi di mora contenuta in un contratto di credito al consumo comporterebbe una modifica sostanziale e non auspicabile del funzionamento del suddetto procedimento. Le perplessità espresse sono legate alla necessità di preservare le garanzie procedurali delle parti nonché di mantenere nel lungo periodo l’efficienza del procedimento ingiuntivo nazionale.

50.

Per potere ricostruire la portata di un siffatto obbligo del giudice nazionale discendente dal diritto dell’Unione è necessario richiamare l’importanza del procedimento ingiuntivo nonché le sfide poste da questo modello processuale in ordine alla finalità di bilanciare adeguatamente efficienza e stato di diritto. Come già esposto nelle mie considerazioni introduttive ( 49 ), il procedimento d’ingiunzione, indipendentemente dalla sua precisa articolazione nei singoli ordinamenti giuridici degli Stati membri, è finalizzato a garantire un soddisfacimento dei crediti pecuniari non contestati in modo semplice, celere ed efficiente ( 50 ). La limitazione ai crediti pecuniari non contestati consente di organizzare il procedimento d’ingiunzione come procedimento di massa. Come ha spiegato correttamente il governo tedesco ( 51 ), proprio il vantaggio rappresentato dalla rapidità del procedimento svolge un ruolo sostanziale per scongiurare o ridurre il rischio discendente dal ritardo nel pagamento per le piccole e medie imprese. In tal modo anche le spese processuali possono essere evitate.

51.

Questi procedimenti si caratterizzano per il fatto che viene emesso un titolo a favore del richiedente sulla base di un’istanza presentata tramite un modulo o una memoria, senza udienza. Nella fase processuale precedente l’emissione del decreto ingiuntivo il convenuto, pertanto, non partecipa al procedimento. Il giudice verifica, oltre alla sussistenza della propria competenza, determinati requisiti della domanda, soprattutto se la pretesa fatta valere sia stata sufficientemente precisata. Di norma, invece, non ha luogo alcuna verifica del contenuto della pretesa asserita. La domanda di emissione di decreto ingiuntivo può essere rigettata solo se il credito asserito è palesemente infondato ( 52 ). La verifica del contenuto del credito fatto valere è riservata alla fase del procedimento contraddittorio, che può essere introdotta tramite opposizione del convenuto al decreto ingiuntivo. Nel conseguente procedimento contraddittorio il giudice verifica poi, sempre anche d’ufficio, la sussistenza dei presupposti per la pretesa fatta valere. Qualora una clausola contrattuale sia determinante ai fini della sussistenza o meno di un diritto, il giudice nazionale esamina poi anche la questione di un suo eventuale carattere abusivo.

52.

Un obbligo del giudice nazionale di esaminare d’ufficio e disapplicare le eventuali clausole abusive dovrebbe essere considerato dubbio dal punto di vista giuridico, atteso che il procedimento d’ingiunzione di pagamento non è un procedimento contraddittorio, per cui, qualora il giudice nazionale dovesse dichiarare d’ufficio abusiva la clausola contrattuale e respingere la domanda di emissione di decreto ingiuntivo, non verrebbe data al professionista alcuna possibilità di prendere posizione sull’addebito di avere utilizzato clausole abusive nei rapporti d’affari. Il diritto ad essere sentiti, che è considerato connaturato allo Stato di diritto ed è annoverabile fra i principi giuridici generali del diritto dell’Unione riconosciuti nella giurisprudenza ( 53 ), non sarebbe sufficientemente garantito.

53.

Un siffatto obbligo del giudice nazionale, inoltre, confliggerebbe con determinati limiti connessi con le formalità del procedimento ingiuntivo. Quantunque la natura abusiva di una clausola contrattuale in alcuni casi si imponga, ad esempio quando la tipologia di clausola in questione è tipizzata dalla legge, ciò, tuttavia, non si verificherebbe sempre. Come già esposto, la valutazione del carattere abusivo di una clausola alla luce dei precetti normativi di cui agli articoli 3 e 4 della direttiva 93/13 può essere estremamente complessa ( 54 ). Potrebbero inoltre sorgere dubbi circa la questione se la clausola in questione sia stata oggetto di negoziato individuale, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1. Come affermato correttamente dalla Commissione ( 55 ), non può essere escluso che il giudice nazionale si troverà a svolgere il delicato compito di doversi pronunciare definitivamente sul carattere abusivo di una clausola, pur avendo dubbi al riguardo o non disponendo di tutte le informazioni del caso. Si deve concordare con la Commissione nell’affermare che desterebbe dubbi di natura giuridica un sistema in cui le uniche opzioni del giudice competente fossero, nonostante il persistere del dubbio, il rigetto della domanda – a danno del creditore – o l’accoglimento della stessa – a danno del debitore.

54.

Se il procedimento di ingiunzione dovesse essere adeguato in modo tale che, in contrasto con la sua concezione originaria, esso preveda la possibilità di osservazioni orali, per esempio ammettendo lo svolgimento di una fase orale volta a dissipare dubbi o a garantire alle parti in causa il diritto ad essere sentite prima della pronuncia giudiziale, sarebbe da temere la perdita proprio di uno dei suoi vantaggi essenziali in termini di efficienza, con la trasformazione di tale procedimento in una mera copia del procedimento contradditorio.

55.

Va inoltre tenuto conto che in alcuni Stati membri la competenza in materia di procedimenti di ingiunzione non è stata conferita a magistrati di professione, bensì a funzionari di giustizia, allo scopo di decongestionare l’attività giudiziaria ( 56 ). In considerazione, però, della complessità insita nel valutare il carattere abusivo di una clausola contrattuale e degli effetti per le parti della dichiarazione di non vincolatività di una clausola, detto compito dovrebbe essere riservato a un magistrato. Pertanto, se la Corte di giustizia dovesse considerare che dall’articolo 6 della direttiva 93/13 si può far discendere l’obbligo del giudice nazionale, basato sul diritto dell’Unione, a compiere un’indagine approfondita e a pronunciare in limine litis la nullità di una clausola inserita in un contratto di credito al consumo anche nell’ambito del procedimento di ingiunzione, si renderebbe necessario un adeguamento organizzativo degli ordinamenti giudiziari nazionali. Andrebbero adottate disposizioni adeguate affinché le domande di emissione di decreti ingiuntivi in cause attinenti al diritto dei consumatori investano esclusivamente magistrati. Un eventuale scorporo di tali cause dal normale procedimento ingiuntivo comporterebbe comunque l’eventuale maggiore complessità di quest’ultimo e, di conseguenza, verrebbe parzialmente meno l’effetto di decongestionamento per le giurisdizioni nazionali.

56.

Giungo pertanto alla conclusione che l’imposizione, nell’ambito del procedimento di ingiunzione, dell’obbligo di compiere un’indagine approfondita e di deliberare in limine litis in merito alla nullità di una clausola sugli interessi moratori inserita in un contratto di credito al consumo indurrebbe un cambiamento radicale del funzionamento di tale procedimento, annullandone un vantaggio essenziale sul piano dell’efficienza, cioè la possibilità di far valere in tempi rapidi i crediti pecuniari non contestati.

– Compatibilità con il principio di autonomia procedurale

Il diritto processuale civile nell’ordinamento giuridico dell’Unione europea e nell’ordinamento giuridico nazionale

57.

Non è chiaro, tra l’altro, in che modo un’interpretazione del genere, che avrebbe ampie conseguenze sui procedimenti di ingiunzione nazionali, potrebbe conciliarsi con la giurisprudenza della Corte di giustizia in materia di autonomia procedurale degli Stati membri.

58.

Secondo una giurisprudenza costante, infatti, in assenza di apposite normative dell’Unione europea, è compito dell’ordinamento giuridico interno di ogni Stato membro determinare i giudici competenti e l’articolazione dei processi atti a garantire la tutela dei diritti attribuiti al cittadino dal diritto dell’Unione ( 57 ). Tale attribuzione di competenza al livello nazionale va fatta risalire, in ultima analisi, al fatto che, in linea di principio, il diritto processuale degli Stati membri non è oggetto di armonizzazione. In questo settore non esiste neanche una competenza legislativa generale dell’Unione. Ciò vale in particolare per il diritto processuale civile, di cui si tratta nella causa in esame, sebbene le normative dell’Unione europea abbiano acquisito una sempre maggiore influenza ( 58 ). Per ora l’influenza del diritto dell’Unione sul diritto processuale civile nazionale si manifesta attraverso norme procedurali inserite in singoli atti di diritto derivato ( 59 ), principi di diritto dell’Unione e, non da ultima, la giurisprudenza della Corte di giustizia.

59.

Un’importante limitazione di tale autonomia procedurale degli Stati membri discende anzitutto dai principi generali del diritto dell’Unione, per esempio in relazione all’attuazione dei diritti soggettivi attribuiti dall’ordinamento europeo. Pertanto la Corte di giustizia, da una parte, proprio data la sua competenza residuale in materia, ha riconosciuto agli Stati membri ampia discrezionalità nell’articolare i procedimenti volti a garantire la tutela dei diritti conferiti al cittadino dal diritto dell’Unione; d’altra parte, però, ha evidenziato in modo inequivocabile i limiti posti a tale competenza nazionale dal diritto dell’Unione, chiarendo che le modalità di svolgimento dei procedimenti interessati non devono essere meno favorevoli rispetto a quelle di ricorsi equivalenti esclusivamente di diritto interno (principio di equivalenza) e che essi non devono rendere l’esercizio dei diritti attribuiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione eccessivamente difficile o praticamente impossibile (principio di effettività) ( 60 ).

60.

Questi principi giurisprudenziali si applicano anche al sistema introdotto dalla direttiva 93/13 per tutelare il consumatore dalle clausole abusive negli scambi commerciali. Per esempio, da ultimo nella sentenza Asturcom Telecomunicaciones, la Corte di giustizia ha evidenziato quanto sia importante il principio dell’autonomia procedurale nell’ambito del controllo giurisdizionale delle clausole contrattuali. Detta causa verteva sulla questione se la direttiva 93/13 potesse essere interpretata nel senso che un giudice nazionale investito di una domanda per l’esecuzione forzata di un lodo arbitrale che ha acquisito autorità di cosa giudicata, emesso in assenza del consumatore, sia tenuto a rilevare d’ufficio il carattere abusivo della clausola compromissoria inserita nel contratto concluso tra un professionista e detto consumatore, nonché ad annullare tale lodo ( 61 ). La Corte di giustizia ha risposto alla questione rinviando alla propria giurisprudenza, secondo cui «il diritto [dell’Unione] non impone ad un giudice nazionale di disapplicare le norme processuali interne che attribuiscono autorità di cosa giudicata ad una decisione, anche quando ciò permetterebbe di accertare una violazione del diritto comunitario da parte di tale decisione» ( 62 ). Dopo aver rilevato l’assenza di norme dell’Unione in materia di autorità di cosa giudicata, la Corte di giustizia ha sottolineato che «le modalità di attuazione del principio dell’autorità di cosa giudicata rientrano nell’ordinamento giuridico interno degli Stati membri in virtù del principio dell’autonomia procedurale di questi ultimi», ricordando altresì che «esse non devono tuttavia essere meno favorevoli di quelle che riguardano situazioni analoghe di natura interna (...) né essere strutturate in modo da rendere in pratica impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico comunitario (...)» ( 63 ).

61.

Tale sentenza permette di desumere che, secondo la Corte di giustizia, le norme interne di procedura civile sono soggette esclusivamente ai principi di equivalenza e di effettività, salvo laddove il diritto dell’Unione europea fornisce indicazioni più specifiche ( 64 ). Si può quindi presumere una violazione del diritto dell’Unione solo nel caso in cui le norme interne non rispondano a tali principi. Pertanto, alla domanda se sia necessario modificare i procedimenti d’ingiunzione nazionali, come indicato nella prima questione pregiudiziale, al fine di fare prevalere la tutela del consumatore, si può dare risposta solo qualora il procedimento nazionale già descritto per sommi capi violi i principi di equivalenza e di effettività. Questo aspetto andrà esaminato di seguito.

Nessuna violazione del principio di equivalenza

62.

Il principio di equivalenza esige che una norma nazionale debba applicarsi indifferentemente ai ricorsi fondati sull’inosservanza del diritto dell’Unione europea e a quelli fondati sull’inosservanza del diritto interno aventi un oggetto e una causa analoghi ( 65 ). Se lo si traspone nel contesto specifico dell’aspetto qui pertinente, la tutela del consumatore, tale principio significa che va verificato se le norme interne di diritto processuale garantiscano la tutela del consumatore rispetto alle clausole abusive nei rapporti commerciali, perseguita dal legislatore dell’Unione con la direttiva 93/13, nella stessa misura in cui la garantiscono dalle ingerenze in posizioni giuridiche analoghe tutelate dal diritto interno. Si potrebbe perciò ammettere la sussistenza di una violazione del principio di equivalenza solo se la configurazione procedurale delle possibilità di affermazione dei diritti derivanti dalla direttiva 93/13 risultasse, nel confronto, più sfavorevole.

63.

Nella sua giurisprudenza la Corte di giustizia ha sviluppato una serie di criteri generali che consentono di valutare l’equivalenza della tutela giurisdizionale nazionale proprio nel campo della salvaguardia delle posizioni giuridiche sancite dal diritto dell’Unione. La valutazione stessa consiste essenzialmente nella formulazione di un giudizio di valore delle relative modalità procedurali poste a confronto. In tale ambito la Corte di giustizia considera che tanto l’oggetto e la causa quanto gli elementi essenziali dei ricorsi di natura interna che si presumono analoghi devono essere utilizzati quali elementi rilevanti per valutarne l’affinità ( 66 ). La Corte di giustizia ha altresì spiegato che, per stabilire se una norma procedurale interna sia meno favorevole, il giudice deve tener conto della sua collocazione nel complesso del procedimento, delle sue particolarità e dello svolgimento del procedimento stesso ( 67 ).

64.

La Corte di giustizia, pur avendo assegnato questa valutazione in linea di principio alle giurisdizioni nazionali, così da avvalersi della loro conoscenza diretta del diritto processuale interno ( 68 ), non ha esitato a formulare osservazioni sull’interpretazione del diritto dell’Unione ( 69 ) né, talvolta, perfino a pronunciarsi sulla salvaguardia dell’equivalenza in casi concreti ( 70 ), potendo disporre di sufficienti informazioni valide. In tal modo, però, la Corte di giustizia non intende far altro che fornire ai giudici nazionali elementi utili che possano aiutarli a compiere la loro valutazione ( 71 ). Il contesto descritto rende opportune alcune osservazioni di principio su determinati tratti del procedimento principale.

65.

Per quanto riguarda la fattispecie del procedimento principale, comunque, a mio parere, l’esposizione del giudice del rinvio non permette di ricavare spunti tali da far concludere che le norme spagnole di diritto processuale civile in materia di procedimenti nazionali di ingiunzione prevedano modalità di controllo del carattere abusivo delle clausole inserite nei contratti di credito al consumo, ai sensi della direttiva 93/13, meno favorevoli rispetto alle modalità di controllo della conformità di tali contratti alle prescrizioni normative nazionali. Pertanto, nell’ambito del procedimento nazionale di ingiunzione di cui trattasi non vi è nulla che indichi una violazione del principio di equivalenza.

66.

Ai fini del presente procedimento pregiudiziale, quindi, si deve ritenere che il principio di equivalenza sia salvaguardato.

Nessuna violazione del principio di effettività

67.

Da ultimo occorre verificare se il procedimento nazionale di ingiunzione sia, nei suoi tratti essenziali, conforme al principio di effettività. Quest’ultimo esige che l’applicazione del diritto dell’Unione non sia resa in pratica impossibile o eccessivamente difficile. A tale proposito va ricordato l’obiettivo fissato dal legislatore dell’Unione nell’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 93/13 consistente, «nell’interesse dei consumatori e dei concorrenti professionali, [nel] fornire mezzi adeguati ed efficaci per far cessare l’inserzione di clausole abusive nei contratti stipulati tra un professionista e dei consumatori». Dal punto di vista giuridico tale obiettivo rappresenta il parametro rispetto al quale valutare il procedimento nazionale di ingiunzione.

68.

Obbligare il giudice nazionale a compiere un’indagine approfondita e a deliberare in limine litis sulla nullità di una clausola abusiva inserita in un contratto di credito al consumo equivarrebbe a tutelare il consumatore prima ancora che sul credito pecuniario interessato sia stato assunto un provvedimento con autorità di giudicato. Il procedimento nazionale di ingiunzione sarebbe così integrato da un meccanismo di tutela giurisdizionale preventiva. Vi è da chiedersi però se un meccanismo del genere sia assolutamente necessario per garantire efficacemente la tutela del consumatore rispetto all’impiego di clausole abusive nei rapporti commerciali. Come già accennato, in genere i procedimenti di ingiunzione degli Stati membri sono articolati in modo tale che l’esame del carattere abusivo di una clausola contrattuale è trasferito nell’ambito di un procedimento contradditorio da introdurre mediante opposizione ( 72 ). Nell’ambito di questo procedimento contraddittorio il giudice nazionale ha occasione di adempiere l’obbligo di valutazione del carattere abusivo assegnatogli dal diritto dell’Unione. In altre parole, anche questo modello fornisce al consumatore tutela giurisdizionale, ma quest’ultima è subordinata alla condizione che, nell’ambito del procedimento di ingiunzione, il consumatore esprima la sua volontà di presentare opposizione.

69.

Mi permetto di dubitare che l’effettività del diritto dell’Unione sia compromessa perché si è condizionata la tutela giurisdizionale a un’espressione di volontà da parte del consumatore. Proprio la giurisprudenza, infatti, indica che la Corte di giustizia ha ritenuto conforme alle prescrizioni degli articoli 6 e 7 della direttiva 93/13 il fatto che un intervento positivo del giudice nazionale volto ad ovviare allo squilibrio tra consumatore e professionista fosse subordinato al consenso del consumatore.

70.

Va ricordata innanzitutto la sentenza Pannon GSM, in cui la Corte di giustizia ha sottolineato l’obbligo del giudice nazionale di disapplicare le clausole che dovesse ritenere abusive, a meno che, però, «il consumatore vi si opponga» ( 73 ). Nella motivazione la Corte ha spiegato che l’obbligo di compiere questa valutazione d’ufficio serve a garantire l’effetto utile della tutela cui mirano le disposizioni della direttiva. Allo stesso tempo, però, ha chiarito che «il giudice nazionale non deve (…) disapplicare la clausola in esame qualora il consumatore, dopo essere stato avvisato da detto giudice, non intenda invocarne la natura abusiva e non vincolante».

71.

Va ricordata inoltre la sentenza nella causa Martín Martín ( 74 ), in cui era stata sottoposta alla Corte di giustizia la questione se un giudice nazionale potesse rilevare d’ufficio la violazione dell’articolo 4 della direttiva 85/577/CEE del Consiglio, del 20 dicembre 1985, per la tutela dei consumatori in caso di contratti negoziati fuori dei locali commerciali ( 75 ) e dichiarare d’ufficio la nullità di un contratto rientrante nell’ambito di applicazione di tale direttiva in quanto il consumatore non era stato informato del suo diritto di recesso, nonostante detta nullità non fosse stata mai fatta valere dal consumatore dinanzi ai giudici nazionali competenti ( 76 ). In quella sentenza la Corte di giustizia ha rilevato che «il diritto comunitario, in via di principio, non impone ai giudici nazionali di sollevare d’ufficio un motivo basato sulla violazione di disposizioni comunitarie, qualora l’esame di tale motivo li obblighi ad esorbitare dai limiti della lite quale è stata circoscritta dalle parti, basandosi su fatti e circostanze diversi da quelli che la parte processuale che ha interesse all’applicazione di dette disposizioni ha posto a fondamento della propria domanda» ( 77 ). La Corte di giustizia ha inoltre affermato che «tale limitazione del potere del giudice nazionale è giustificata dal principio secondo il quale l’iniziativa di un processo spetta alle parti e che, pertanto, il giudice può agire d’ufficio solo in casi eccezionali in cui il pubblico interesse esige il suo impulso» ( 78 ). In conclusione, la Corte di giustizia ha ritenuto giustificato l’intervento positivo del giudice nazionale in una fattispecie simile a quella del procedimento principale, fornendo la motivazione che l’articolo 4 della direttiva 85/577 attiene all’ordine pubblico. Come ha rilevato la Corte di giustizia, rinviando alle conclusioni da me presentate in quella causa ( 79 )«l’obbligo d’informazione ex art. 4 della direttiva [85/577] riveste un ruolo centrale nell’economia generale della stessa, in quanto garanzia essenziale (…) di un esercizio effettivo del diritto di recesso e, pertanto, dell’effetto utile della tutela del consumatore voluta dal legislatore comunitario» ( 80 ). In tale contesto occorre sottolineare che la Corte ha annoverato la possibilità di dichiarare nullo il contratto controverso tra le «misure appropriate» di tutela del consumatore di cui all’articolo 4, terzo comma, della direttiva in caso di violazione dell’obbligo di informazione. A questo proposito, però, non si può tacere il fatto che la Corte, nel rinviare al punto della sentenza Pannon GSM di cui sopra ( 81 ), ha anche chiarito che «il giudice nazionale adito potrebbe altresì dover tenere conto, in talune circostanze, dell’eventualità che il consumatore non voglia che il contratto sia dichiarato nullo» ( 82 ).

72.

Va infine ancora ricordata la sentenza nella causa Asturcom Telecomunicaciones, in cui è stata sottoposta alla Corte di giustizia la questione se un giudice nazionale investito di una domanda per l’esecuzione forzata di un lodo arbitrale che ha acquisito autorità di cosa giudicata, emesso in assenza del consumatore, sia tenuto a rilevare d’ufficio il carattere abusivo della clausola compromissoria inserita nel contratto concluso tra un professionista e detto consumatore, nonché ad annullare tale lodo ( 83 ). È degna di nota la distinzione che la Corte di giustizia ha operato nei confronti della sentenza Mostaza Claro, facendo osservare che, diversamente da come si sono svolti i fatti su cui si fonda l’altra causa, la consumatrice «è rimasta completamente passiva nel corso dei diversi procedimenti relativi alla controversia che la oppone [al professionista] e, in particolare, non ha proposto un’azione diretta ad ottenere l’annullamento del lodo arbitrale emesso (...) invocando il carattere abusivo della clausola compromissoria, cosicché tale lodo ha ormai acquisito autorità di cosa giudicata» ( 84 ). Contrariamente a quanto da me proposto ( 85 ), la Corte di giustizia ha deciso di non imporre al giudice nazionale un siffatto obbligo. Ha invece lasciato che fossero gli ordinamenti nazionali a rispondere alla questione sottoposta, limitandosi a controllare che le norme processuali spagnole interessate fossero in linea con i principi di equivalenza e di effettività. La Corte ha ravvisato l’obbligo per un giudice nazionale di valutare d’ufficio il carattere abusivo di una clausola compromissoria, nell’ambito di un’esecuzione forzata, soltanto nella misura in cui, secondo le norme procedurali nazionali, gli sia possibile procedere a tale valutazione nell’ambito di ricorsi analoghi di natura interna ( 86 ).

73.

La giurisprudenza citata dimostra che la Corte si prefigge di interpretare il diritto dell’Unione in modo da tenere adeguatamente conto degli interessi individuali del consumatore, dandogli la possibilità di decidere autonomamente, nell’ambito di un processo civile contraddistinto fondamentalmente dal principio dell’iniziativa delle parti ( 87 ), se intende avvalersi delle norme a tutela dei consumatori. Questa concezione della posizione processuale del consumatore è in linea con il modello di consumatore, anch’esso elaborato nella giurisprudenza della Corte ( 88 ), «normalmente informato e ragionevolmente attento ed avveduto». L’approccio seguito nella sentenza Pannon GSM presenta la particolarità di evitare che il consumatore subisca una tutela coattiva e corrisponde all’idea di una tutela del consumatore fondata sull’informazione. La Corte di giustizia, infatti, tiene conto del fatto che, nel caso specifico, al consumatore può risultare conveniente attenersi alla clausola abusiva interessata, per esempio se si tratta di un accordo sul foro competente e il consumatore vuole che il processo si svolga nel luogo previsto dalla clausola ( 89 ). Viceversa, sembra che la Corte di giustizia tenda a considerare anche il caso in cui il consumatore rinuncia a salvaguardare i suoi diritti, come mostra la sentenza Asturcom Telecomunicaciones. In base a tale sentenza sembra che l’obbligo che discende dal diritto dell’Unione per i giudici nazionali, di tutelare il cittadino dalle clausole abusive assumendo un ruolo attivo nel procedimento, abbia una portata che si estende solo fin dove glielo consentono le norme procedurali interne.

74.

Alla luce delle considerazioni che precedono, giungo alla conclusione che l’efficacia pratica del sistema introdotto con la direttiva 93/13 non è compromesso dal fatto che il giudice nazionale non sia obbligato a pronunciarsi d’ufficio e in limine litis sul carattere non vincolante di una clausola abusiva contenuta in un contratto di credito al consumo. Al riguardo si può concordare con il giudizio unanimemente espresso da tutte le parti in causa, secondo cui, per assicurare la tutela del consumatore da pretese creditorie fondate su clausole contrattuali abusive, sembra sufficiente consentire al consumatore contro cui è stata chiesta l’emissione di un decreto ingiuntivo, come prevedono in genere i procedimenti nazionali di ingiunzione, di tutelarsi in sede giudiziaria proponendo un’opposizione. Non si può ravvisare in ciò alcuna violazione del principio di effettività.

75.

Tali osservazioni riguardano naturalmente solo la tutela del consumatore. Non si può però trascurare il fatto che l’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 93/13 reclama espressamente la messa in campo di mezzi adeguati ed efficaci anche «nell’interesse (…) dei concorrenti professionali». In altre parole, vanno create procedure che tengano conto in pari misura degli interessi di entrambe le parti contrattuali. A tale proposito va rilevato che, demandando il controllo del carattere abusivo delle clausole ad un procedimento contraddittorio da introdurre mediante ricorso, si evita allo stesso tempo che un giudice nazionale rilevi la non vincolatività di una certa clausola contrattuale senza prima dare al professionista l’opportunità di esprimersi. Si soddisfa così adeguatamente l’esigenza di effettività della tutela giurisdizionale del professionista, come segnala giustamente la Commissione ( 90 ).

Conclusione intermedia

76.

Va pertanto affermato che i principi di equivalenza e di effettività non impongono di obbligare il giudice nazionale di decidere d’ufficio e in limine litis sulla non vincolatività di una clausola abusiva inserita in un contratto di credito al consumo. Non vedo quindi alcuna necessità di limitare l’autonomia procedurale degli Stati membri allo scopo di fare prevalere la tutela del consumatore.

3. Conclusioni

a) Inesistenza di un obbligo di valutazione d’ufficio e in limine litis imposto dal diritto dell’Unione nell’ambito del procedimento di ingiunzione

77.

Giungo pertanto alla conclusione che la trasponibilità della giurisprudenza Pénzügyi alla fattispecie di cui al procedimento principale non può essere presa in considerazione. Lo impedisce anzitutto la diversità delle circostanze su cui si fondano le due cause, soprattutto la situazione processuale ( 91 ) – un procedimento di ingiunzione a fronte di un procedimento contraddittorio – ma anche il tipo di clausola contrattuale – una clausola sostanziale a fronte di una clausola attributiva di giurisdizione – sottoposta all’esame del giudice nazionale ( 92 ). Un altro argomento che si può addurre contro l’applicazione di tale giurisprudenza al procedimento principale è che l’obbligo di pronunciarsi d’ufficio e in limine litis sul carattere non vincolante di una clausola abusiva inserita in un contratto di credito al consumo apporterebbe al procedimento di ingiunzione un drastico cambiamento funzionale ( 93 ), il quale limiterebbe l’autonomia procedurale degli Stati membri senza che ciò sia assolutamente indispensabile a garantire l’efficacia pratica della direttiva 93/13 ( 94 ). Dati tali presupposti, si deve negare la sussistenza di un obbligo del giudice nazionale in tal senso derivante dal diritto dell’Unione.

78.

Dato che la normativa dell’Unione non impone tale condotta al giudice nazionale, non è in contrasto con tale normativa neanche il fatto che un giudice nazionale si astenga dal pronunciarsi d’ufficio e in limine litis sul carattere non vincolante di una clausola sugli interessi moratori inserita in un contratto di credito al consumo.

b) Facoltà degli Stati membri di adottare norme più severe

79.

Occorre allo stesso tempo rammentare che la direttiva 93/13, come si evince chiaramente dal dodicesimo considerando, si limita ad operare un’armonizzazione parziale e minima delle norme nazionali relative alle clausole abusive ( 95 ). L’espressione normativa fondamentale del principio di armonizzazione minima alla base di quella direttiva è contenuta nell’articolo 8, che prevede espressamente per gli Stati membri la facoltà di adottare disposizioni più severe, purché compatibili con il Trattato, nel settore disciplinato dalla direttiva al fine di garantire al consumatore un livello di protezione più elevato. Come già rilevato nelle conclusioni da me presentate nella causa Caja de Ahorros y Monte de Piedad de Madrid, tale principio di armonizzazione minima conferisce agli Stati membri un considerevole margine di discrezionalità ( 96 ), circoscritto solo dai limiti generali posti dal diritto dell’Unione, in primo luogo dal diritto primario ( 97 ). Di conseguenza, in linea di principio, gli Stati membri hanno piena facoltà di prevedere nel diritto processuale civile nazionale l’obbligo per i propri giudici di valutare d’ufficio e in limine litis il carattere abusivo di una clausola contrattuale nell’ambito del procedimento di ingiunzione.

C – Sulla seconda questione pregiudiziale

80.

La seconda questione pregiudiziale necessita una riformulazione affinché si possa dare al giudice nazionale una risposta utile. Stando al testo attuale, infatti, essa è volta a ottenere dalla Corte di giustizia un’interpretazione dell’articolo 83 dell’RDL 1/2007 che sia conforme alle direttive, ossia all’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13 e all’articolo 2 della direttiva 2009/22, e in quanto tale dovrebbe essere dichiarata irricevibile per mancanza di un oggetto di interpretazione ricevibile ( 98 ).

81.

Va ricordato in proposito che, nel quadro di un procedimento pregiudiziale ai sensi dell’articolo 267 TFUE, non spetta alla Corte di giustizia pronunciarsi sulla compatibilità di una normativa nazionale con il diritto dell’Unione, né interpretare il diritto nazionale. La Corte di giustizia è, per contro, competente a fornire al giudice del rinvio tutti gli elementi interpretativi attinenti al diritto dell’Unione che gli consentano di pronunciarsi su tale compatibilità per definire la causa di cui è investito ( 99 ). A tal fine, all’interno di tutti i dati forniti dal giudice nazionale, e specialmente della motivazione della domanda di pronuncia pregiudiziale, deve evidenziare quegli elementi di diritto dell’Unione che, dato l’oggetto della controversia, necessitano di interpretazione ( 100 ).

82.

Tenuto conto sia della problematica del procedimento principale esposta nell’ordinanza di rinvio, sia della prima questione pregiudiziale («la nullità o l’adeguamento di una clausola (…) inserita in un contratto di credito al consumo»), la seconda questione pregiudiziale va intesa nel senso che il giudice nazionale chiede essenzialmente come vada interpretato l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13. Data la conseguenza giuridica, prevista da questa disposizione della direttiva, della non vincolatività della clausola abusiva per il consumatore, detto giudice intende infatti appurare se egli sia autorizzato a sostituire una clausola, il cui carattere abusivo è stato accertato, con un’altra non qualificabile come abusiva.

83.

A mio giudizio la risposta a questa questione emerge sia dalla formulazione sia dalla finalità normativa dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13.

84.

Va anzitutto osservato che la direttiva 93/13 non prevede espressamente la «sostituzione» di clausole abusive né un corrispondente potere dei giudici in tal senso. L’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva si limita invece a prescrivere la conseguenza giuridica della «non vincolatività» di tali clausole per il consumatore ( 101 ). Anche il ventunesimo considerando suggerisce una conclusione analoga. Nei limiti del suo campo di applicazione, si tratta di una prescrizione imperativa per gli Stati membri, che quindi non ammette deroghe. In base alla sua finalità, l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva deve comportare anche in sede di attuazione la conseguenza giuridica, obbligatoria e non derogabile contrattualmente, della non vincolatività.

85.

Va peraltro constatato che l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva prescrive che, una volta rilevata la non vincolatività della clausola abusiva, il contratto «resti vincolante per le parti secondo i medesimi termini» (il corsivo è mio), sempre che esso possa sussistere senza le clausole abusive. Il ventunesimo considerando afferma al riguardo che «il contratto resta vincolante per le parti secondo le stesse condizioni» (il corsivo è mio). La norma dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva va perciò intesa nel senso che, una volta soppresse le clausole abusive, il contratto deve continuare a valere in forma immutata mediante le clausole residue, purché ciò risulti giuridicamente possibile. Già sul piano concettuale, ciò esclude qualsiasi sostituzione di clausole o adeguamento del contratto.

86.

Se si considera inoltre più da vicino la finalità normativa dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva, è possibile rinvenire ulteriori argomenti contrari ad un potere conferito al giudice nazionale di adeguamento della clausola. Come già spiegato, la rilevazione della non vincolatività delle clausole abusive da parte del giudice nazionale è volta a evitare che il consumatore resti vincolato da queste ultime. Con tale disposizione, però, si persegue al tempo stesso anche un’altra finalità a più lungo termine della direttiva 93/13, ossia quella di porre fine all’impiego di clausole abusive nei rapporti commerciali, come risulta dall’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva. A tal fine la direttiva 93/13, come ha riconosciuto espressamente la Corte nella sua giurisprudenza, si avvale dell’effetto deterrente prodotto sui professionisti dal controllo giurisdizionale del carattere abusivo delle clausole ( 102 ).

87.

Per accertare se l’adeguamento del contratto attraverso la sostituzione della clausola abusiva con un’altra clausola, come avvenuto nella causa principale, sia in contrasto con le prescrizioni della direttiva 93/13, va quindi esaminata l’idoneità di tale adeguamento a compromettere durevolmente l’effetto deterrente prodotto dal controllo del carattere abusivo. Ciò vorrebbe dire infatti che l’efficacia pratica della direttiva non sarebbe più assicurata, il che violerebbe il divieto previsto dal diritto dell’Unione di vanificare gli obiettivi di una direttiva mediante gli atti interni di recepimento.

88.

Un adeguamento del contratto in questo senso comporta una notevole riduzione dei rischi incorsi dal professionista a seguito dell’impiego di clausole abusive nei rapporti commerciali. Mentre una volta rilevata la non vincolatività di una clausola il professionista può avere motivo di temere di restare vincolato ad un contratto per lui eventualmente più sfavorevole, l’adeguamento di cui sopra, in fin dei conti, induce ad allineare le condizioni contrattuali a un livello conforme alla legge, e quindi accettabile per il professionista ( 103 ). Tuttavia, anche nelle fattispecie in cui il carattere abusivo di una o più clausole comporterebbe l’inefficacia totale del contratto, il professionista può confidare nel fatto che il contratto manterrà comunque la sua efficacia, cosa che può anche non essere nell’interesse del consumatore. La prospettiva che i motivi d’inefficacia del contratto siano sanati e l’esiguità dei rischi incorsi dal professionista potrebbero produrre un effetto contrario a quello voluto dal legislatore europeo. Tali fattori potrebbero indurre il professionista semplicemente a «tentare la fortuna» inserendo nel contratto quante più clausole abusive possibile, nella speranza che gran parte di esse sfuggano all’attenzione del giudice nazionale. Come osserva giustamente la Commissione ( 104 ), in ultima analisi il professionista potrebbe vivere una situazione giuridica del genere come una sfida, tanto più che non avrebbe nulla da perdere a tentare di imporre le sue clausole al consumatore. Questi esempi mostrano che la possibilità di adeguamento successivo del contratto da parte del giudice non solo attenuerebbe l’effetto deterrente prodotto dall’articolo 6 della direttiva, ma addirittura produrrebbe l’effetto contrario. Risulterebbe così vanificato il perseguimento degli obiettivi della direttiva 93/13.

89.

Alla luce di questo risultato, l’efficacia pratica della direttiva 93/13 è da ritenersi compromessa. Di conseguenza occorre rispondere alla questione pregiudiziale anche nel senso che l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva osta ad una norma nazionale come quella di cui all’articolo 83 dell’RDL 1/2007, che consente al giudice nazionale di sostituire una clausola contrattuale abusiva con un’altra non qualificabile come tale ( 105 ). Spetta al giudice nazionale il compito di interpretare e applicare tale norma interna in modo conforme alla direttiva. Nell’applicare il diritto interno, il giudice nazionale deve interpretarlo per quanto possibile alla luce del testo e dello scopo di questa direttiva, in modo da conseguire il risultato da quest’ultima perseguito e conformarsi in tal modo all’articolo 288, terzo comma, CE ( 106 ).

D – Sulla terza questione pregiudiziale

90.

Il giudice nazionale chiede inoltre se un controllo giurisdizionale d’ufficio e in limine litis possa essere escluso nel caso in cui vengano forniti dati univoci su determinati aspetti del contratto di mutuo, come previsto dal procedimento europeo d’ingiunzione di pagamento. Il giudice nazionale fa qui riferimento alla norma di cui all’articolo 7 del regolamento n. 1896/2006 sul procedimento europeo d’ingiunzione di pagamento, secondo cui la domanda d’ingiunzione di pagamento europea deve contenere una serie di informazioni, elencate in dettaglio nel paragrafo 2. A questo proposito il giudice nazionale formula l’ipotesi che l’elencazione di determinati requisiti sostanziali potrebbe eventualmente controbilanciare l’assenza di una possibilità di controllo in limine litis ( 107 ). Il motivo di queste considerazioni sembra appunto essere che, stando a quanto riferisce il giudice del rinvio, la normativa spagnola non esige che questi dati siano forniti.

91.

Rimane però da chiarire, in fin dei conti, dove voglia arrivare in realtà la questione pregiudiziale. Da una parte, come proposto dal governo spagnolo e dalla Commissione ( 108 ), si potrebbe considerare la questione ipotetica e quindi, ai sensi della giurisprudenza della Corte di giustizia, in ultima analisi irricevibile, in quanto finalizzata a ottenere un’interpretazione del regolamento n. 1896/2006, tanto più che la causa principale verte esclusivamente su un procedimento di ingiunzione nazionale, che è soggetto unicamente alle norme di procedura civile spagnole. È opportuno rammentare in tale contesto che, laddove le questioni sottoposte dai giudici nazionali riguardino l’interpretazione di una disposizione di diritto dell’Unione, la Corte di giustizia è, in linea di principio, tenuta a statuire ( 109 ), a meno che non appaia in modo manifesto che essa è indotta in realtà a pronunciarsi mediante una controversia costruita o a formulare pareri su questioni generali o ipotetiche, che l’interpretazione del diritto dell’Unione richiesta non ha alcun rapporto con la realtà o con l’oggetto della controversia, o ancora che la Corte non dispone degli elementi di fatto o di diritto necessari per fornire una risposta utile alle questioni che le vengono sottoposte ( 110 ).

92.

Il carattere ipotetico della questione pregiudiziale, che appare evidente a prima vista, viene però a cadere nel momento in cui quest’ultima, sulla scorta delle ulteriori considerazioni del giudice del rinvio, è intesa come indirizzata a chiedere ragguagli sulle prescrizioni che si possono desumere dal regolamento n. 1896/2006 riguardo ai requisiti sostanziali di una domanda di ingiunzione di pagamento nazionale. Dall’ordinanza di rinvio si può infatti evincere che il giudice nazionale valuta l’opportunità di una «applicazione in via analogica» del regolamento n. 1896/2006. Applicare in via analogica la norma dettata dall’articolo 7 del regolamento n. 1896/2006 comporterebbe però in fin dei conti l’armonizzazione delle norme interne di procedura civile, un obiettivo che il legislatore europeo non aveva perseguito. Come infatti si può desumere dal decimo considerando del regolamento, «il procedimento previsto dal presente regolamento dovrebbe costituire un mezzo supplementare e facoltativo per il ricorrente, che rimane libero di avvalersi delle procedure previste dal diritto nazionale» (il corsivo è mio). L’approccio concepito dal legislatore europeo di un procedimento europeo d’ingiunzione di pagamento a carattere supplementare e facoltativo e mirante al recupero coattivo transfrontaliero dei crediti pecuniari non contestati rivela l’idea di fondo della parallela coesistenza del procedimento nazionale e di quello europeo ( 111 ). Il rapporto tra regolamento europeo e normativa nazionale è altresì chiarito nella seconda frase, da cui risulta espressamente che «il presente regolamento non sostituisce né armonizza i meccanismi vigenti di recupero dei crediti non contestati previsti dalla legislazione nazionale» (il corsivo è mio). Di conseguenza non è possibile ricavare dal regolamento n. 1896/2006 alcuna prescrizione vincolante ( 112 ) sul modo in cui si deve articolare il contenuto di una domanda di ingiunzione di pagamento nazionale.

93.

A prescindere da ciò, la risposta alla terza questione pregiudiziale discende già dalle mie considerazioni relative alla prima e alla seconda questione. In base a queste, le normative dell’Unione non obbligano gli Stati membri a prevedere nei propri ordinamenti giuridici nazionali, nell’ambito del procedimento di ingiunzione, una valutazione d’ufficio e in limine litis del carattere abusivo delle clausole contrattuali. Gli Stati membri hanno tuttavia facoltà di disporre tale valutazione, nell’interesse della tutela del consumatore, in virtù della facoltà conferita nell’articolo 8 della direttiva 93/13.

E – Sulla quarta e quinta questione pregiudiziale

94.

Sussistono dubbi anche sulla necessità di rispondere alla quarta questione pregiudiziale. Infatti, nella misura in cui questa è finalizzata a ottenere un’interpretazione della direttiva 2008/48, occorre tener presente la circostanza che, ratione temporis, tale direttiva non è applicabile alla fattispecie di cui al procedimento principale. Essa è stata infatti adottata il 23 aprile 2008 ed è entrata in vigore l’11 giugno 2008, mentre il termine per il suo recepimento negli ordinamenti giuridici nazionali è scaduto il 12 maggio 2010. Il contratto di mutuo controverso è stato però concluso il 28 maggio 2007, quindi prima dell’entrata in vigore della direttiva 2008/48.

95.

Anche se la direttiva 2008/48 prevede misure transitorie, va tenuto conto del suo articolo 30, che afferma espressamente che la direttiva non si applica ai contratti di credito in corso alla data di entrata in vigore delle misure nazionali di attuazione. Fanno eccezione a questa regola solo gli articoli 11, 12, 13, 17, 18, paragrafo 1, seconda frase, e 18, paragrafo 2, la cui applicazione deve essere garantita dagli Stati membri «anche ai contratti di credito a durata indeterminata in corso alla data di entrata in vigore delle misure nazionali di attuazione». Non fanno eccezione, però, l’articolo 5, paragrafo 1, lettere l) ed m), né l’articolo 6, né l’articolo 10, paragrafo 2, lettera l), i quali impongono al soggetto che concede il credito determinati obblighi d’informazione precontrattuale nei confronti del beneficiario e che sono appunto oggetto della questione pregiudiziale. Anche un tentativo di dare comunque al giudice nazionale una risposta utile, facendo riferimento non alla direttiva 2008/48, bensì alla precedente direttiva 87/102, applicabile ratione temporis, incontrerebbe difficoltà insormontabili, poiché quest’ultima non conteneva norme corrispondenti a quelle citate. L’interpretazione della direttiva 87/102 non consente quindi di dare risposta alle questioni sottoposte dal giudice del rinvio.

96.

Il fatto che la quarta questione pregiudiziale non presenti alcun rapporto con la controversia principale rende superfluo fornirle una risposta. Al giudice nazionale andrebbe tuttavia segnalata l’inapplicabilità ratione temporis della direttiva 2008/48.

97.

Per quanto riguarda la quinta questione pregiudiziale, sembra necessario anzitutto segnalare l’errore che apparentemente è sfuggito al giudice del rinvio nel formulare la questione. Poiché le disposizioni che cita non presentano alcun nesso con l’oggetto della normativa esposto, come osserva giustamente anche la Commissione europea ( 113 ), si deve supporre che il giudice nazionale si riferisse piuttosto all’articolo 6, paragrafo 2, e all’articolo 7 della direttiva 87/102. Il diritto all’informazione e il principio del divieto di ingiustificato arricchimento sono infatti sanciti nella direttiva 87/102 e non nella direttiva 2008/48 citata dal giudice del rinvio.

98.

Ammesso che questa supposizione sia corretta, si deve poi verificare se la questione pregiudiziale, tenuto conto della problematica concreta del procedimento principale, possa essere giudicata anche rilevante ai fini della decisione da rendere nello stesso.

99.

A questo proposito va constatato che nell’ordinanza di rinvio non vi sono elementi che indichino che nel procedimento principale si porrebbe un problema legato all’obbligo del mutuante di informare il consumatore «nel corso del contratto di credito (...) di qualsiasi modifica del tasso d’interesse annuo o delle spese applicabili, al momento in cui essa entra in vigore», disciplinato nell’articolo 6, paragrafo 2, della direttiva 87/102. A prescindere da ciò, tale obbligo, ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 87/102 riguarda esclusivamente gli accordi tra un consumatore e un istituto di credito o una istituzione finanziaria sulla concessione di crediti sotto forma di anticipi su conto corrente. Poiché il contratto di prestito controverso, stando agli elementi di fatto disponibili, non sembra rientrare in questa tipologia di contratti di credito, neanche un’interpretazione dell’articolo 6, paragrafo 2, della direttiva 87/102 risulta utile ai fini della pronuncia nel procedimento principale.

100.

Altrettanto superflua, ai fini della definizione della controversia principale, appare un’interpretazione dell’articolo 7 della direttiva 87/102. Tale disposizione della direttiva obbliga gli Stati membri «nel caso di crediti concessi per l’acquisizione di beni, [a stabilire] le condizioni alle quali il bene può essere recuperato, in particolare quando il consumatore non abbia dato il suo consenso». Prescrive inoltre agli Stati membri di provvedere affinché, «quando il creditore rientra in possesso del bene, i conteggi tra le parti siano stabiliti in modo che tale recupero non comporti un ingiustificato arricchimento». Parimenti, nell’ordinanza di rinvio nulla indica che nel procedimento principale si porrebbe un problema connesso alla restituzione di un bene al creditore. Forse, però, il giudice nazionale si riferisce ad una possibile fattispecie in cui il professionista, a seguito dell’inosservanza degli obblighi contrattuali da parte del consumatore, potrebbe esigere il rimborso del prestito. In quel caso si porrebbe l’interrogativo se questi abbia anche il diritto di esigere gli interessi di mora qualificabili come abusivi. In quest’ultima ipotesi infatti potrebbe altrimenti ravvisarsi un caso di ingiustificato arricchimento. L’ordinanza di rinvio, tuttavia, non fornisce alcuno spunto che faccia pensare che la domanda di rinvio pregiudiziale sia rivolta a chiarire questa questione.

101.

In base alle suesposte considerazioni, giungo alla conclusione che risulta superfluo rispondere alla quarta e alla quinta questione.

F – Sulla sesta questione pregiudiziale

102.

Con la sesta questione pregiudiziale il giudice del rinvio intende essenzialmente sapere se l’articolo 11, paragrafo 1, della direttiva 2005/29 vada interpretato nel senso che un giudice nazionale può valutare d’ufficio il carattere sleale di una pratica commerciale consistente nell’inserire nel testo di un contratto una clausola sugli interessi di mora.

103.

Tale disposizione della direttiva, citata dal giudice del rinvio nella questione pregiudiziale, prescrive un obiettivo generico che gli Stati membri sono tenuti a conseguire per via legislativa. Si tratta di assicurare, nell’interesse del consumatore, che «esistano mezzi adeguati ed efficaci per combattere le pratiche commerciali sleali al fine di garantire l’osservanza delle disposizioni della presente direttiva». Tali mezzi includono disposizioni giuridiche che consentano di agire in giudizio contro tali pratiche commerciali sleali e/o avviare un procedimento dinanzi ad un’autorità amministrativa competente a giudicare in merito ai ricorsi oppure a promuovere adeguate azioni giudiziarie. Va quindi tenuto presente che la direttiva 2005/29, al fine di combattere le pratiche commerciali sleali, permette di istituire a livello nazionale sia un procedimento giudiziario sia un procedimento amministrativo.

104.

Ai fini del procedimento pregiudiziale, però, assume rilievo solo la prima possibilità, in quanto le questioni giuridiche sollevate si riferiscono ad un procedimento di ingiunzione nazionale pendente dinanzi a un giudice nazionale. In tale contesto va osservato che l’articolo 11, paragrafo 2, della direttiva 2005/29 assegna ampi poteri, descritti per sommi capi, agli organi giurisdizionali degli Stati membri. Tali poteri comprendono, tra l’altro, l’emanazione di provvedimenti inibitori delle pratiche commerciali sleali, la garanzia della tutela cautelare e l’adozione di provvedimenti atti a rimuovere gli effetti consequenziali a questo tipo di pratiche commerciali.

105.

Secondo la chiara formulazione di tale disposizione della direttiva, però, i poteri in materia devono prima essere conferiti dagli Stati membri in sede di attuazione della direttiva, osservando determinate prescrizioni minime dettate dal diritto dell’Unione, ( 114 ). In tale sede gli Stati membri dispongono altresì di un ampio margine di discrezionalità ( 115 ). La direttiva 2005/29 prevede l’armonizzazione totale delle norme sostanziali sulle pratiche commerciali sleali messe in atto dalle imprese nei confronti dei consumatori ( 116 ), ma non quella degli strumenti procedurali volti a combattere questo tipo di pratiche. Per quanto riguarda, a sua volta, la questione dell’applicabilità diretta della direttiva 2005/29, cui allude probabilmente il giudice del rinvio segnalando che apparentemente la direttiva 2005/29 non è stata recepita nell’ordinamento spagnolo, a mio giudizio le considerazioni che precedono portano a concludere che questa possibilità non solo non è esplicitamente prevista ma, sulla scorta della finalità normativa della direttiva 2005/29, non sembra essere stata perseguita. Un argomento contrario all’applicabilità diretta e indifferenziata delle disposizioni della direttiva 2005/29 da parte dei giudici nazionali può essere infatti ravvisato nella circostanza che, proprio dall’articolo 11, paragrafo 1, risulta che l’osservanza delle disposizioni della direttiva sarà anzitutto garantita dai procedimenti che gli Stati membri devono creare. La creazione dei mezzi adeguati per combattere le pratiche commerciali sleali si rivela pertanto un presupposto indispensabile per l’affermazione degli obiettivi della direttiva sul piano nazionale ( 117 ).

106.

A prescindere da questo esito interpretativo, in merito alla rilevanza della questione pregiudiziale ai fini della definizione della causa, va rilevato nell’ordinanza di rinvio non si rinvengono elementi che indichino che il giudice di primo grado abbia considerato l’inserimento della clausola contrattuale sugli interessi di mora da lui giudicata abusiva anche quale pratica commerciale sleale ai sensi della direttiva 2005/29. Il giudice del rinvio, che per primo ha sollevato la questione dell’applicabilità della direttiva 2005/29 alla fattispecie di cui al procedimento principale, accenna solo ad una «possibile pratica commerciale sleale» ( 118 ), senza però fornire spunti per una presunzione in tal senso. In base al contesto globale si può solo supporre che la slealtà della pratica commerciale, secondo il giudice del rinvio, consistesse nell’aver fissato un tasso d’interesse moratorio troppo elevato. Le stringate considerazioni dell’ordinanza di rinvio non permettono però di stabilire con certezza se il giudice nazionale abbia sussunto o meno i fatti in esame sotto le disposizioni della direttiva. Da ciò consegue che la questione sull’interpretazione della direttiva 2005/29 non ha alcun rapporto con la controversia principale. Date queste premesse, come hanno anche sostenuto le parti in causa, si deve considerare la questione pregiudiziale come una questione puramente ipotetica. Di conseguenza, anche la sesta questione pregiudiziale va dichiarata irricevibile.

VII – Conclusione

107.

Considerate le osservazioni che precedono, suggerisco alla Corte di giustizia di rispondere alle questioni pregiudiziali sottoposte dall’Audiencia Provincial de Barcelona come segue:

«1.

La direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, va interpretata nel senso che non obbliga un giudice nazionale a pronunciarsi d’ufficio e in limine litis, nell’ambito di un procedimento di ingiunzione nazionale, sulla non vincolatività di una clausola sugli interessi moratori inserita in un contratto di credito al consumo, qualora la valutazione dell’eventuale carattere abusivo di questa clausola, ai sensi delle norme procedurali interne, possa essere trasferita nell’ambito di un procedimento contraddittorio da introdurre mediante opposizione del debitore, nel quale il giudice nazionale abbia la possibilità di acquisire gli elementi di diritto e di fatto necessari a compiere una siffatta valutazione.

2.

L’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13 osta ad una normativa interna che conferisca al giudice nazionale la facoltà di adeguare un contratto stipulato da un consumatore sostituendo una clausola contrattuale abusiva con un’altra non qualificabile come tale.

3.

Le disposizioni del regolamento (CE) n. 1896/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, che istituisce un procedimento europeo d’ingiunzione di pagamento, non sono applicabili ad un procedimento d’ingiunzione nazionale.»


( 1 ) Lingua originale: il tedesco

Lingua processuale: lo spagnolo

( 2 ) Direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori (GU L 95, pag. 29).

( 3 ) Direttiva 2009/22/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2009, relativa a provvedimenti inibitori a tutela degli interessi dei consumatori (GU L 110, pag. 30).

( 4 ) Regolamento (CE) n. 1896/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, che istituisce un procedimento europeo d’ingiunzione di pagamento (GU L 399, pag. 1).

( 5 ) Direttiva 2008/48/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2008, relativa ai contratti di credito ai consumatori e che abroga la direttiva 87/102/CEE del Consiglio (GU L 133, pag. 66).

( 6 ) Direttiva 2005/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 maggio 2005, relativa alle pratiche commerciali sleali delle imprese nei confronti dei consumatori nel mercato interno e che modifica la direttiva 84/450/CEE del Consiglio e le direttive 97/7/CE, 98/27/CE e 2002/65/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e il regolamento (CE) n. 2006/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio (GU L 149, pag. 22).

( 7 ) Direttiva 2011/83/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2011, sui diritti dei consumatori, recante modifica della direttiva 93/13/CEE del Consiglio e della direttiva 1999/44/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e che abroga la direttiva 85/577/CEE del Consiglio e la direttiva 97/7/CE del Parlamento europeo e del Consiglio (GU L 304, pag. 64). Ai sensi dell’articolo 28, paragrafo 1, gli Stati membri sono tenuti a recepire la direttiva nel proprio diritto nazionale entro il 13 dicembre 2013.

( 8 ) L’articolo 32 della direttiva 2011/83, inserito come articolo 8 bis nella direttiva 93/13, impone agli Stati membri l’obbligo di informare la Commissione circa l’adozione di specifiche disposizioni nazionali in determinati settori, e precisamente con riferimento alla portata del controllo sul contenuto di cui all’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13 e all’introduzione di liste nazionali di clausole contrattuali che devono essere considerate abusive.

( 9 ) Proposta della Commissione, dell’11 ottobre 2011, di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo a un diritto comune europeo della vendita [COM(2011) 635 def.].

( 10 ) L’impegno della Commissione per creare uno strumento europeo in materia di diritto contrattuale è stato intensificato negli ultimi anni. La comunicazione della Commissione «Maggiore coerenza del diritto contrattuale europeo – Un piano d’azione», presentata nel 2003, ha suggerito l’elaborazione di un «quadro comune di riferimento» come strumento «opt-in» destinato a contenere regole comuni ed una terminologia comune del diritto contrattuale europeo. Successivamente, lo «Study Group on a European Civil Code», una rete internazionale di ricercatori, ha elaborato un progetto accademico di quadro comune di riferimento (Common Frame of Reference – CFR) che ha attinto ai «Principles of European Contract Law» (PECL) sviluppati nel contesto della cosiddetta Commissione Lando. Sulla base di questi lavori precedenti, la Commissione europea, nell’aprile 2010, ha incaricato un gruppo di esperti di studiare un quadro comune di riferimento del diritto contrattuale europeo, ed esso ha presentato, il 3 maggio 2011, uno studio di fattibilità. V. sull’impegno per la creazione di un codice europeo dei diritti dei consumatori, Lando, O., «On a European Contract Law for Consumers and Businesses – Future Perspectives», Towards a European Contract Law (a cura di Reiner Schulze/Jules Stuyck), Monaco, 2011, pag. 203 e segg. e Mazeaud, D., «Unfairness and Non-negotiated Term», ibidem, pag. 123; Hesselink, M., «The Consumer Rights Directive and the CFR: two worlds apart?», European review of contract law, volume 5 (2009), n. 3, pag. 290; Zimmermann, R., «The present state of European private law», The American journal of comparative law, volume 57 (2009), n. 2, pag. 479.

( 11 ) BOE n. 176 del 24 luglio 1984.

( 12 ) BOE n. 89 del 14 aprile 1998.

( 13 ) BOE n. 287 del 30 novembre 2007.

( 14 ) V. Gruber, U., Europäisches Zivilprozess- und Kollisionsrecht – Kommentar (a cura di Thomas Rauscher), Monaco, 2010, pag. 274, punto 1.

( 15 ) Tutti gli Stati membri cercano di risolvere il problema della riscossione di una massa di crediti non contestati per via giudiziaria secondo la propria ottica nel contesto delle proprie tradizioni giuridiche e dei propri procedimenti. Le soluzioni approntate dai singoli Stati divergono fortemente sia sotto il profilo tecnico sia quanto agli esiti. In taluni Stati membri gli strumenti processuali più importanti per la gestione dei crediti che non formano oggetto di un contenzioso sono costituiti da sentenze contumaciali, procedimenti sommari speciali o persino provvedimenti d’urgenza previsti nel contesto del processo civile ordinario che, quanto ad effetti, sono pressoché definitivi, poiché in pratica quasi mai seguiti da una fase di cognizione piena. In alcuni Stati membri, tuttavia, il procedimento d’ingiunzione si è dimostrato particolarmente efficace per la rapida ed economica riscossione dei crediti che presumibilmente rimarranno non contestati. Inizialmente un siffatto procedimento era previsto nel diritto processuale civile di undici Stati membri (Austria, Belgio, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Italia, Lussemburgo, Portogallo, Spagna, Svezia). L'injonction de payer francese e il Mahnverfahren tedesco costituiscono gli esempi più noti. Nel 1999 un procedimento analogo è stato introdotto anche in Spagna (proceso monitorio) [v. Libro verde della Commissione del 12 dicembre 2002 sul procedimento europeo d’ingiunzione di pagamento e sulle misure atte a semplificare ed accelerare il contenzioso in materia di controversie di modesta entità, COM(2002) 746 def.]. Questo sviluppo testimonia il crescente interesse attribuito alla suddetta tipologia processuale nell’Unione europea.

( 16 ) V. Hess, B., Europäisches Zivilprozessrecht, Heidelberg, 2010, pag. 556, § 10, punto 40.

( 17 ) V., a titolo esemplificativo, circa la disciplina della competenza, in Germania Prütting, H./Gehrlein, M., ZPO – Kommentar, 2a ed., Colonia, 2010, pag. 1455, § 689, punto 2; Zeiss, W./Schreiber, K., Zivilprozessrecht, 10a ed., pag. 305; in Austria Rechberger, W.,/Simotta, D.-A., Grundriss des österreichischen Zivilprozessrechts, Vienna, 2003, pag. 302, punto 515/3, e in Spagna Alonso Crespo, E., «Algunos medios preventivos o alternativos del proceso civil atribuidos al secretario judicial», Estudios jurídicos, 2004, pag. 6687, e Rodríguez Tirado, A.M., Las funciones procesales del Secretario judicial, Barcellona, 2001, che affrontano, rispettivamente, la funzione del Rechtspfleger tedesco e austriaco e del secretario judicial spagnolo all’interno dell’amministrazione della giustizia.

( 18 ) V., a titolo esemplificativo sulla disciplina della competenza, in Francia Guinchard, S., Droit et pratique de la procédure civile, Parigi, 2004, pag. 629, e in Italia De Stefano, A., Procedura Civile, Milano, 2010, pag. 662, punto 5144.

( 19 ) Come afferma Sujecki, B., «Das Europäische Mahnverfahren», Neue Juristische Wochenschrift, 2007, pag. 1625, adducendo l’esempio del tenore letterale dell’articolo 8 del regolamento (CE) n. 1896/2006, disposizione che necessita di un’interpretazione, una limitazione dell’ambito di verifica, nel senso di non richiedere un controllo della concludenza, pur esigendo il rigetto delle pretese manifestamente infondate, dovrebbe consentire l’attribuzione di tale verifica ad un funzionario giudiziario con una posizione inferiore a quella di magistrato. Un siffatto ambito di verifica, inoltre, renderebbe possibile anche un esame interamente automatizzato delle domande di decreto ingiuntivo, grazie al quale il procedimento d’ingiunzione potrebbe svolgere l’auspicata funzione di razionalizzazione e di decongestionamento.

( 20 ) V., sulla disciplina francese, Guinchard, S., op. cit. (nota 18), pag. 631; sulla disciplina tedesca, Zeiss, W./Schreiber, K., op. cit. (nota 17), pag. 306, punto 779; sulla disciplina austriaca, Rechberger, W.,/Simotta, D.-A., op. cit. (nota 17), pag. 304, punto 515/7, e sulla disciplina italiana, De Stefano, A., op. cit. (nota 18), pag. 671, punto 5210.

( 21 ) V. Gruber, U., op. cit. (nota 14), pag. 275, punto 3, il quale evidenzia che il procedimento di cui al regolamento (CE) n. 1876/2006 è fondato sui medesimi principi su cui si fondano i procedimenti d’ingiunzione nazionali. Il creditore dovrebbe conseguire un titolo esecutivo tramite un procedimento semplice, veloce e poco costoso. Solo qualora il debitore presenti opposizione il procedimento è riportato nell’alveo di un procedimento civile ordinario.

( 22 ) V. Alonso Crespo, E., op. cit. (nota 17), pag. 6687; Rechberger, W.,/Simotta, D.-A., op. cit. (nota 17), pag. 301, punto 515/2, che sottolineano i vantaggi insiti nell’ottenere un titolo esecutivo a costi contenuti con l’ausilio del procedimento ingiuntivo.

( 23 ) V. sentenze del 27 giugno 2000, Océano Grupo Editorial e Salvat Editores (da C-240/98 a C-244/98, Racc. pag. I-4941, punto 25), e del 26 ottobre 2006, Mostaza Claro (C-168/05, Racc. pag. I-10421, punto 25).

( 24 ) V. sentenze Mostaza Claro (cit. supra alla nota 23, punto 36), e del 4 giugno 2009, Pannon GSM (C-243/08, Racc. pag. I-4713, punto 25). Per una critica della suddetta giurisprudenza, v. Hesselink, M., «Unfair Terms in Contracts Between Businesses», Towards a European Contract Law, op. cit. (nota 10), pag. 132 e segg.

( 25 ) V. sentenze Océano Grupo Editorial e Salvat Editores (cit. supra alla nota 23, punto 27), e Mostaza Claro (cit. supra alla nota 23, punto 26), nonché del 6 ottobre 2009, Asturcom Telecomunicaciones (C-40/08, Racc. pag. I-9579, punto 31).

( 26 ) Sentenza del 6 ottobre 2009, Asturcom Telecomunicaciones (cit. supra alla nota 25, punto 32). V., sul sindacato giurisdizionale in merito al contenuto delle condizioni generali di contratto sulla base della buona fede, Basedow, J., «Der Europäische Gerichtshof und das Privatrecht», Archiv für die civilistische Praxis, volume 210 (2010), pag. 172 e segg.

( 27 ) Sentenze del 21 novembre 2002, Cofidis (C-473/00, Racc. pag. I-10875, punto 32), e del 26 ottobre 2006, Mostaza Claro (cit. supra alla nota 23, punto 27).

( 28 ) Sentenze Cofidis (cit. supra alla nota 27, punto 33), e Mostaza Claro (cit. supra alla nota 23, punto 28).

( 29 ) Sentenza Pannon GSM (cit. supra alla nota 24).

( 30 ) Ibidem, punto 35; il corsivo è mio.

( 31 ) Sentenza del 9 novembre 2010, Pénzügyi (C-137/08, Racc. pag. I-10847).

( 32 ) Ibidem, punto 56.

( 33 ) Ibidem, punti 14 e segg.

( 34 ) Ibidem, punto 18.

( 35 ) Ibidem, punto 52.

( 36 ) Idibem, punto 53.

( 37 ) Ibidem, punto 53.

( 38 ) Ibidem, punto 55.

( 39 ) V. le conclusioni da me presentate il 6 luglio 2010 nella causa Pénzügyi (cit. supra alla nota 31, paragrafo 113).

( 40 ) V. punto 65 della memoria della Commissione.

( 41 ) V. paragrafo 4 delle presenti conclusioni.

( 42 ) V. capitolo 8 (articoli 79 -86 – «Clausole abusive») della proposta di regolamento.

( 43 ) V. parte VI, capo 16, sezione 2 (articoli 166-171 – «Interessi di mora: disposizioni generali») della proposta di regolamento.

( 44 ) L’articolo 167, paragrafo 3, della proposta di regolamento ha il seguente tenore: «La clausola contrattuale che fissa un tasso di interesse superiore a quello previsto dall’articolo 166 o una maturazione anteriore alla data indicata nel paragrafo 2 del presente articolo non è vincolante se è abusiva ai sensi dell’articolo 83».

( 45 ) L’articolo 83, paragrafo 2, della proposta di regolamento stabilisce i criteri (trasparenza della clausola, natura delle prestazioni previste dal contratto, circostanze che prevalgono durante la conclusione del contratto, le altre clausole contrattuali e le clausole di qualsiasi altro contratto da cui dipenda il contratto in questione) in base ai quali deve essere valutata la «natura abusiva» di una disposizione contrattuale. Questa disposizione è improntata sull’articolo 4 della direttiva 93/13.

( 46 ) Come si evince dal diciassettesimo considerando, ai fini della suddetta direttiva, l’elenco delle clausole figuranti nell’allegato ha solamente carattere indicativo e, visto il suo carattere minimo, gli Stati membri possono integrarlo o formularlo in modo più restrittivo, nell’ambito della loro legislazione nazionale, in particolare per quanto riguarda la portata di dette clausole.

( 47 ) V. sentenze Pannon GSM (cit. supra alla nota 24, punto 38), e del 1o aprile 2004, Freiburger Kommunalbauten (C-237/02, Racc. pag. I-3403, punto 20).

( 48 ) V. sentenze del 7 maggio 2002, Commissione/Svezia (C-478/99, Racc. pag. I-4147, punto 20), e Freiburger Kommunalbauten (cit. supra alla nota 47, punto 20).

( 49 ) V. paragrafi 23 e segg. delle presenti conclusioni.

( 50 ) In questo senso anche De Stefano, A., op. cit. (nota 18), pag. 655, punto 5100, sul procedimento ingiuntivo (in concreto sul procedimento di ingiunzione italiano), che fa a meno del contraddittorio e di un esame approfondito della pretesa pecuniaria fatta valere, permettendo così al creditore di ottenere rapidamente e con spese limitate un titolo esecutivo per potere richiedere l’esecuzione forzata.

( 51 ) V. punto 22 della memoria del governo tedesco.

( 52 ) V., ad esempio sul procedimento d’ingiunzione, in Francia Guinchard, S., op. cit. (nota 18), pag. 629, e in Germania Zeiss, W./Schreiber, K., op. cit. (nota 17), pag. 305. Negli ordinamenti giuridici di questi Stati membri il giudice nazionale può respingere l’istanza di emissione di decreto ingiuntivo quando dagli atti presentati risulta che il credito non può palesemente sussistere.

( 53 ) V. sentenze del 4 luglio 1963, Alves (32/62, Racc. pag. 99); del 26 giugno 1980, National Panasonic (136/79, Racc. pag. 2033, punto 21), e del 14 maggio 1998, Windpark Groothusen (C-48/96 P, Racc. pag. I-2873, punto 47).

( 54 ) V. paragrafo 41 delle presenti conclusioni.

( 55 ) V. punto 65 della memoria della Commissione.

( 56 ) V. paragrafo 24 delle presenti conclusioni.

( 57 ) V., ex multis, sentenze del 16 dicembre 1976, Rewe (33/76, Racc. pag. 1989, punto 5), e Comet (45/76, Racc. pag. 2043, punto 13); del 20 settembre 2001, Courage e Crehan (C-453/99, Racc. pag. I-6297, punto 29); dell’11 settembre 2003, Safalero (C-13/01, Racc. pag. I-8679, punto 49); del 13 marzo 2007, Unibet (C-432/05, Racc. pag. I-2271, punto 39), e dell’8 luglio 2010, Bulicke (C-246/09, Racc. pag. I-7003, punto 25).

( 58 ) V. Lupoi, M.A., «The armonization of Civil Procedural Law within the EU» (a cura di Justin Orlando Frosini/Michele Angelo Lupoi/Michele Marchesiello), A European space of justice, Ravenna, 2006, pag. 209, secondo cui l’Unione europea sarebbe il contesto di integrazione in cui il diritto processuale civile è stato maggiormente armonizzato. L’autore ammette tuttavia che tale armonizzazione si è finora limitata all’adozione di singoli strumenti unitari, cosicché gli Stati membri hanno dovuto soltanto adempiere l’obbligo di adeguare i propri codici nazionali di procedura civile in modo tale che gli strumenti unitari potessero funzionare regolarmente. Pertanto, gli effetti armonizzativi si sono infine prodotti solo in modo «indiretto». L’autore ritiene impossibile prevedere quale sarà il futuro dell’armonizzazione nell’ambito del diritto processuale civile. Analogamente, anche Wagner, G., Kommentar zur Zivilprozessordnung (a cura di Stein/Jonas), 22a ed., vol. 10, Tubinga, 2011, pag. 46, punto 88, ritiene che, malgrado la tumultuosa crescita degli atti giuridici europei adottati in questo settore, non sia ancora stato toccato il nocciolo del diritto processuale civile – le norme procedurali per le controversie interne. Secondo l’autore, a un esame realistico risulta che l’unificazione delle norme europee di procedura civile è ancora di là da venire.

( 59 ) Ai sensi dell’articolo 81, paragrafo 2, lettera f), TFUE, l’Unione è competente a emanare norme di procedura civile nella misura in cui sussistano ostacoli al mercato interno. Norme articolate sono contenute nel regolamento (CE) n. 44/2001 del Consiglio, del 22 dicembre 2000, concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale (GU L 12, pag. 1); nel regolamento (CE) n. 1206/2001 del Consiglio, del 28 maggio 2001, relativo alla cooperazione fra le autorità giudiziarie degli Stati membri nel settore dell’assunzione delle prove in materia civile o commerciale (GU L 174, pag. 1); nel regolamento (CE) n. 1393/2007 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 novembre 2007, relativo alla notificazione e alla comunicazione negli Stati membri degli atti giudiziari ed extragiudiziali in materia civile o commerciale (GU L 324, pag. 79); nella direttiva 2003/8/CE del Consiglio, del 27 gennaio 2003, intesa a migliorare l’accesso alla giustizia nelle controversie transfrontaliere attraverso la definizione di norme minime comuni relative al patrocinio a spese dello Stato in tali controversie (GU L 26, pag. 41), e nella decisione del Consiglio del 28 maggio 2001, 2001/470/CE, relativa all’istituzione di una rete giudiziaria europea in materia civile e commerciale (GU L 174, pag. 25). V. Rörig, U., «Einfluss des Rechts der Europäischen Gemeinschaft auf das nationale Zivilprozessrecht», Europäische Zeitschrift für Wirtschaftsrecht, 2004, pag. 18 e segg. A livello dell’Unione sono stati inoltre introdotti numerosi strumenti per facilitare la risoluzione delle controversie transfrontaliere e l’esecuzione forzata transfrontaliera, per esempio il regolamento (CE) n. 861/2007 del Parlamento europeo e del consiglio, dell’11 luglio 2007, che istituisce un procedimento europeo per le controversie di modesta entità (GU L 199, pag. 1); il regolamento (CE) n. 1896/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, che istituisce un procedimento europeo d’ingiunzione di pagamento (GU L 399, pag. 1), e il regolamento (CE) n. 805/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 aprile 2004, che istituisce il titolo esecutivo europeo per i crediti non contestati (GU L 143, pag. 15).

( 60 ) V., in questo senso, sentenze del 14 dicembre 1995, van Schijndel e van Veen (C-430/93 e C-431/93, Racc. pag. I-4705, punto 17); del 15 settembre 1998, Ansaldo Energia e a. (da C-279/96 a C-281/96, Racc. pag. I-5025, punti 16 e 27); del 1o dicembre 1998, Levez (C-326/96, Racc. pag. I-7835, punto 18); del 16 maggio 2000, Preston e a. (C-78/98, Racc. pag. I-3201, punto 31); del 6 dicembre 2001, Clean Car Autoservice (C-472/99, Racc. pag. I-9687, punto 28); del 9 dicembre 2003, Commissione/Italia (C-129/00, Racc. pag. I-14637, punto 25); del 19 settembre 2006, i-21 Germany e Arcor (C-392/04 e C-422/04, Racc. pag. I-8559, punto 57); Mostaza Claro (cit. supra alla nota 23, punto 24); del 7 giugno 2007, van der Weerd e a. (da C-222/05 a C-225/05, Racc. pag. I-4233, punto 28); del 3 settembre 2009, Fallimento Olimpiclub (C-2/08, Racc. pag. I-7501, punto 24); del 6 ottobre 2009, Asturcom Telecomunicaciones (cit. supra alla nota 25, punto 38), e dell’8 settembre 2011, Rosado Santana (C-177/10, Racc. pag. I-7907, punto 89).

( 61 ) Sentenza Asturcom Telecomunicaciones (cit. supra alla nota 25, punto 28).

( 62 ) Ibidem, punto 37).

( 63 ) Ibidem, punto 38).

( 64 ) V. Wagner, G., op.cit. (nota 58), pag. 39, punto 68, che fa osservare che il diritto processuale civile europeo, laddove disciplina una materia, ha anche la precedenza sul diritto nazionale. Nelle materie che non disciplina, gli Stati membri godono di autonomia procedurale, pur dovendo osservare i principi di equivalenza e di effettività.

( 65 ) V., in tal senso, sentenze del 26 gennaio 2010, Transportes Urbanos y Servicios Generales (C-118/08, Racc. pag. I-635, punto 33); del 15 settembre 1998, Edis (C-231/96, Racc. pag. I-4951, punto 36); Levez (cit. supra alla nota 60, punto 41); Preston e a. (cit. supra alla nota 60, punto 55), e i-21 Germany e Arcor (cit. supra alla nota 60, punto 62).

( 66 ) V. sentenze Rosado Santana (cit. supra alla nota 60, punto 90); Bulicke (cit. supra alla nota 57, punto 28); Levez (cit. supra alla nota 60, punto 43); Preston e a. (cit. supra alla nota 60, punto 56), e del 29 ottobre 2009, Pontin (C-63/08, Racc. pag. I-10467, punto 45).

( 67 ) V. sentenze Rosado Santana (cit. supra alla nota 60, punto 90) e Bulicke (cit. supra alla nota 57, punto 29).

( 68 ) V. sentenza Rosado Santana (cit. supra alla nota 60, punto 91).

( 69 ) V. sentenze Asturcom Telecomunicaciones (cit. supra alla nota 25, punto 50) e Levez (cit. supra alla nota 60, punto 40).

( 70 ) V. sentenze Rosado Santana (cit. supra alla nota 60, punto 91) e del 10 luglio 1997, Palmisani (C-261/95, Racc. pag. I-4025, punto 33).

( 71 ) In questo senso Girerd, P., «Les principes d’équivalence et d’effectivité – encadrement ou désencadrement de l’autonomie procédurale des États membres?», Revue trimestrielle de droit européen, 2002, pag. 75 e segg.

( 72 ) V. paragrafo 24 delle presenti conclusioni.

( 73 ) Sentenza Pannon GSM (cit. supra alla nota 24, punto 35), il corsivo è mio.

( 74 ) Sentenza del 17 dicembre 2009, Martín Martín (C-227/08, Racc. pag. I-11939).

( 75 ) GU L 372, pag. 31.

( 76 ) Sentenza Martín Martín (cit. supra alla nota 74, punto 18).

( 77 ) Ibidem, punto 19.

( 78 ) Ibidem, punto 20, il corsivo è mio.

( 79 ) V. paragrafi 55 e 56 delle mie conclusioni presentate in data 7 maggio 2009 nella causa Martín Martín (sentenza cit. supra alla nota 74).

( 80 ) Sentenza Martín Martín (cit. supra alla nota 74, punto 27).

( 81 ) V. paragrafo 70 delle presenti conclusioni.

( 82 ) Sentenza Martín Martín (cit. supra alla nota 74, punto 35).

( 83 ) Sentenza Asturcom Telecomunicaciones (cit. supra alla nota 25, punto 28).

( 84 ) Ibidem, punto 33.

( 85 ) V. paragrafo 82 delle conclusioni da me presentate in data 14 maggio 2009 nella causa Asturcom Telecomunicaciones (sentenza cit. supra alla nota 25).

( 86 ) Sentenza Asturcom Telecomunicaciones (cit. supra alla nota 25, punti 53-55 e 59). Le informazioni fornite dal governo spagnolo hanno permesso alla Corte di giustizia di desumere che, per il diritto spagnolo, il giudice investito dell’esecuzione forzata di un lodo arbitrale con autorità di giudicato è competente a esaminare d’ufficio la questione dell’eventuale nullità, per violazione di norme imperative interne, della clausola compromissoria di un contratto stipulato tra un consumatore e un professionista. Tale competenza è stata ammessa anche in diverse sentenze pronunciate di recente dalla Audiencia Provincial de Madrid e dalla Audiencia Nacional. La Corte di giustizia ha però incaricato il giudice del rinvio di controllare se le cose stessero così anche nella controversia dinanzi a lui pendente.

( 87 ) Così rileva anche Tinzo, V., «Il potere del giudice di rilevazione della nullità di protezione», Diritto del commercio internazionale, 2011, pag. 584. Secondo la concezione dell’autore il giudice nazionale, prima di dichiarare non vincolante la clausola abusiva interessata, dovrebbe chiedere al consumatore se intende comunque mantenerla in vigore. In fin dei conti, quindi, sarebbe determinante solo la volontà del consumatore. A parere dell’autore, la soluzione sviluppata dalla Corte nascerebbe da una dottrina che tenta di conciliare l’obiettivo di tutela del consumatore perseguito dalla direttiva 93/13 con il principio del mantenimento in essere dei rapporti contrattuali. Esprime parere analogo Milanesi, S., «Le pronunce Pannon ed Eva Martín Martín sulla rilevabilità d’ufficio delle nullità di protezione», Giurisprudenza commerciale, 2010, volume II, pag. 805, che in più apprezza l’approccio adottato dalla Corte in quanto conforme al principio della «nullità di protezione» («protective nullity»). L’autore ritiene che tale approccio garantisca anche l’equilibrio delle forze nel procedimento contradditorio.

( 88 ) V., sul modello di consumatore nella giurisprudenza della Corte, sentenze del 16 gennaio 1992, X (C-373/90, Racc. pag. I-131, punti 15 e 16); del 16 luglio 1998, Gut Springenheide e Tusky (C-210/96, Racc. pag. I-4657, punto 31); del 4 maggio 1999, Windsurfing Chiemsee (C-108/97 e C-109/97, Racc. pag. I-2779, punto 29); del 13 gennaio 2000, Estée Lauder (C-220/98, Racc. pag. I-117, punto 27); del 21 giugno 2001, Commissione/Irlanda (C-30/99, Racc. pag. I-4619, punto 32); del 24 ottobre 2002, Linhart e Biffl (C-99/01 Racc. pag. I-9375, punto 31); dell’8 aprile 2003, Pippig Augenoptik (C-44/01 Racc. pag. I-3095, punto 55); del 12 febbraio 2004, Koninklijke KPN Nederland (C-363/99, Racc. pag. I-1619, punto 77), e Henkel (C-218/01, Racc. pag. I-1725, punto 50); del 9 marzo 2006, Matratzen Concord (C-421/04, Racc. pag. I-2303, punto 24), e del 19 settembre 2006, Lidl Belgium (C-356/04, Racc. pag. I-8501, punto 78).

( 89 ) In questo senso Heinig, J., «Die AGB-Kontrolle von Gerichtsstandsklauseln – zum Urteil Pannon des EuGH», Europäische Zeitschrift zum Wirtschaftsrecht, 24/2009, pag. 885. Anche Josipovič, T., «Verbraucherschutz in der Republik Kroatien», Konsumentenschutz in Zentral- und Osteuropa (a cura di Rudolf Welser), Vienna, 2010, pag. 72, fa osservare la particolarità di questo approccio nella giurisprudenza della Corte di giustizia. A parere dell’autrice, però, tale giurisprudenza non trova ancora attuazione in Croazia, paese in via di adesione, poiché, in caso di carattere abusivo di una clausola, il diritto interno prevede solo la nullità. È quindi impossibile che si mantenga in vigore la clausola qualora il consumatore lo desideri.

( 90 ) V. punto 68 della memoria della Commissione.

( 91 ) V. paragrafi 35 e segg. delle presenti conclusioni.

( 92 ) V. paragrafi 37 e segg. delle presenti conclusioni.

( 93 ) V. paragrafi 48 e segg. delle presenti conclusioni.

( 94 ) V. paragrafi 69 e seg. delle presenti conclusioni.

( 95 ) V. sentenza del 3 giugno 2010, Caja de Ahorros y Monte de Piedad de Madrid (C-484/08, Racc. pag. I-4785, punti 28 e 29).

( 96 ) V. le conclusioni da me presentate il 29 ottobre 2009 nella causa Caja de Ahorros y Monte de Piedad de Madrid (sentenza cit. supra alla nota 95, paragrafo 86).

( 97 ) Nell’avvalersi dell’autorizzazione di cui all’articolo 8 della direttiva, gli Stati membri devono tener conto dei limiti generali posti dal diritto dell’Unione europea. Si intende con quest’ultimo il diritto primario, incluse le libertà fondamentali, e l’ulteriore diritto derivato (v. Kapnopoulou, E., Das Recht der missbräuchlichen Klausel in der Europäischen Union, Tubinga, 1997, pag. 163).

( 98 ) V. Neisser, H./Verschraegen, B., Die Europäische Union – Anspruch und Wirklichkeit, Vienna, 2001, pag. 297, punto 14.103; Koenig, C./Pechstein, M./Sander, C., EU-/CE-Prozessrecht, 2a ed., Tubinga, 2002, pag. 401, punto 767; Leanerts, K./Arts, D./Maselis, I., Procedural Law of the European Union, 2a ed., Londra, 2006, pag. 174 e segg.

( 99 ) V. sentenze del 2 dicembre 1964, Dingemans (24/64, Racc. pag. 1259); del 1o dicembre 1965, Dekker (33/65, Racc. pag. 1111); del 22 marzo 1972, Merluzzi (80/71, Racc. pag. 175); del 15 dicembre 1993, Hünermund e a. (C-292/92, Racc. pag. I-6787, punto 8); del 23 marzo 2006, Enirisorse (C-237/04, Racc. pag. I-2843, punto 24); del 31 gennaio 2008, Centro Europa 7 (C-380/05, Racc. pag. I-349, punti 49 e 50), e del 16 dicembre 2008, Michaniki (C-213/07, Racc. pag. I-9999, punto 51).

( 100 ) V. sentenze del 18 novembre 1999, Teckal (C-107/98, Racc. pag. I-8121, punto 34); del 22 giugno 2000, Marca Mode (C-425/98, Racc. pag. I-4861, punto 21), e del 10 maggio 2001, Agorà e Excelsior (C-223/99 e C-260/99, Racc. pag. I-3605, punto 24).

( 101 ) V. Kapnopoulou, E., op. cit. (nota 97), pag. 151. Anche l’autore rileva che, in linea di principio, l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13 non prevede alcuna «sostituzione» delle clausole non vincolanti. A suo giudizio, invece, occorre continuare a considerare il contratto come se gli svantaggi di natura abusiva gravanti sul consumatore non ne facessero parte.

( 102 ) V. paragrafo 30 delle presenti conclusioni.

( 103 ) In questo contesto va tenuto conto delle osservazioni dell’avvocato generale Antonio Tizzano di cui al paragrafo 80 delle conclusioni da lui presentate il 22 settembre 2005 nella causa Ynos (C-302/04, sentenza del 10 gennaio 2006, Racc. pag. I-371). Come ha giustamente rilevato in quella sede, la direttiva 93/13 «punta in effetti più a riequilibrare la posizione contrattuale del consumatore impedendo che egli “sia vincolato da una clausola abusiva” che non a salvaguardare l’autonomia contrattuale delle parti, e tanto meno quella del professionista, il quale, al contrario, potrebbe avere tutto l’interesse a liberarsi dagli obblighi di un contratto che, una volta riequilibrato, si presenterebbe per lui meno vantaggioso» (il corsivo è mio). Da questo punto di vista, in ultima analisi l’adeguamento del contratto sarebbe solo nell’interesse del professionista, cosa che però secondo l’avvocato generale non rappresenta l’obiettivo della direttiva 93/13.

( 104 ) V. punto 55 della memoria della Commissione.

( 105 ) V. Pfeiffer, T., in: Das Recht der Europäischen Union - Kommentar (a cura di E. Grabitz/M. Hilf), volume IV, A5, articolo 6, punto 7, pag. 2, secondo cui la «riduzione conservativa», ossia il mantenimento della clausola abusiva limitatamente al contenuto ammissibile residuo, è di norma incompatibile con la direttiva 93/13.

( 106 ) V. sentenza del 9 marzo 2004, Pfeiffer (da C-397/01 a C-403/01, Racc. pag. I-8835, punto 113).

( 107 ) V. punto 4.2 dell’ordinanza di rinvio.

( 108 ) V. punto 72 della memoria della Commissione e punto 41 della memoria del governo spagnolo.

( 109 ) V., ex multis, sentenze del 13 marzo 2001, PreussenElektra (C-379/98, Racc. pag. I-2099, punto 38); del 22 maggio 2003, Korhonen e a. (C-18/01, Racc. pag. I-5321, punto 19); del 5 febbraio 2004, Schneider (C-380/01, Racc. pag. I-1389, punto 21); del 19 aprile 2007, Asemfo (C-295/05, Racc. pag. I-2999, punto 30), nonché del 23 aprile 2009, VTB-VAB (C-261/07 e C-299/07, Racc. pag. I-2949, punto 32).

( 110 ) V., ex multis, sentenze del 16 dicembre 1981, Foglia/Novello (244/80, Racc. pag. 3045, punto 18); del 15 giugno 1995, Zabala Erasun e a. (da C-422/93 a C-424/93, Racc. pag. I-1567, punto 29); del 15 dicembre 1995, Bosman (C-415/93, Racc. pag. I-4921, punto 61); del 12 marzo 1998, Djabali (C-314/96, Racc. pag. I-1149, punto 19); PreussenElektra (cit. supra alla nota 109, punto 39); Schneider (cit. supra alla nota 109, punto 22); del 1o aprile 2008, Gouvernement de la Communauté française e Gouvernement wallon (C-212/06, Racc. pag. I-1683, punto 29), e VTB-VAB (cit. supra alla nota 109, punto 33).

( 111 ) Come si evince dall’articolo 1, paragrafo 2, il regolamento n. 1896/2006 non impedisce a un ricorrente di «intentare un procedimento (...) utilizzando qualunque altro procedimento disponibile ai sensi della legislazione di uno Stato membro o della legislazione comunitaria». Gruber, U., op. cit. (nota 14), pag. 279, punto 21, ne trae la conclusione che il regolamento non soppianterebbe i procedimenti di cognizione e di ingiunzione esistenti nello Stato membro e che il creditore possa quindi scegliere se ricorrere al procedimento previsto dal regolamento oppure, come finora, ai procedimenti nazionali già disponibili. Laddove il procedimento nazionale permetta di conseguire un titolo, il creditore potrà farselo certificare come titolo esecutivo europeo ai sensi del regolamento (CE) n. 805/2004 e portare avanti l’esecuzione forzata in altri Stati membri senza dover prima procurarsi una dichiarazione di esecutività.

( 112 ) Benché sia certo che dal regolamento n. 1896/2006 non si possono ricavare prescrizioni vincolanti, non si può trascurare il fatto che, nelle intenzioni del legislatore europeo, il procedimento europeo d’ingiunzione dovrebbe fungere da esempio in virtù della sua efficienza [v. Hess, B., op. cit. (nota 16), pag. 139, § 4, punto 23].

( 113 ) V. punto 77 della memoria della Commissione.

( 114 ) V. Stuyck, J., «Enforcement of consumer rights and legal redress for consumers in the EU: An institutional model», New frontiers of consumer protection (a cura di Fabrizio Cafaggi/Hans-W. Micklitz), Oxford, 2009, pag. 72 e segg., che richiama l’attenzione, da una parte, sulla competenza degli Stati membri ad articolare liberamente le possibilità di affermazione dei diritti a livello nazionale, dall’altra, sulla circostanza che la direttiva 2005/29 impone agli Stati membri determinati requisiti minimi derivanti dal diritto dell’Unione che essi sono tassativamente tenuti ad osservare.

( 115 ) V. Stolze, C., Harmonisierung des Lauterkeitsrechts in der EU – Unter besonderer Berücksichtigung der Sanktionssysteme, Amburgo, 2010, pag. 158, secondo il quale la formulazione elastica della direttiva 2005/29 assegna agli Stati membri un ampio margine d’azione nel recepire le norme in materia di attuazione della disciplina di cui all’articolo 11 e segg.

( 116 ) V. sentenza del 9 novembre 2010, Mediaprint Zeitungs- und Zeitschriftenverlag C-540/08 (Racc. pag. I-10909, punto 27).

( 117 ) In questo senso, Abbamonte, G., «The Unfair Commercial Practices Directive and its General Prohibition», The Regulation of Unfair Commercial Practices under EC Directive 2005/29, Oxford, 2007, pag. 30, il quale rileva che la direttiva 2005/29 armonizza totalmente le norme sostanziali degli Stati membri in materia di concorrenza sleale, ma non i meccanismi volti a combattere le pratiche commerciali sleali. Da ciò consegue che gli Stati membri devono organizzare i propri sistemi di attuazione del diritto, designare le persone fisiche e giuridiche che possono pretendere tutela giurisdizionale a norma della direttiva e anche stabilire le sanzioni in caso d’infrazione. L’autore sottolinea che un sistema efficace di affermazione dei diritti è indispensabile affinché la direttiva possa esprimere tutto il suo potenziale.

( 118 ) V. titolo 7 («La posible práctica desleal de la entidad bancaria») nell’ordinanza di rinvio (il corsivo è mio).

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