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Document 62009CJ0391

Sentenza della Corte (Seconda Sezione) del 12 maggio 2011.
Malgožata Runevič-Vardyn e Łukasz Paweł Wardyn contro Vilniaus miesto savivaldybės administracija e altri.
Domanda di pronuncia pregiudiziale: Vilniaus miesto 1 apylinkės teismas - Lituania.
Cittadinanza dell’Unione - Libertà di circolazione e di soggiorno negli Stati membri - Principio di non discriminazione in base alla nazionalità - Artt. 18 TFUE e 21 TFUE - Principio di parità di trattamento fra le persone senza distinzioni di razza o di origine etnica - Direttiva 2000/43/CE - Normativa nazionale che impone la registrazione dei nomi e dei cognomi delle persone fisiche negli atti di stato civile in una forma che rispetti le regole di grafia proprie della lingua ufficiale nazionale.
Causa C-391/09.

European Court Reports 2011 I-03787

ECLI identifier: ECLI:EU:C:2011:291

Causa C‑391/09

Malgožata Runevič-Vardy

e

Łukasz Paweł Wardyn

contro

Vilniaus miesto savivaldybės administracija e altri

(domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Vilniaus miesto 1 apylinkės teismas)

«Cittadinanza dell’Unione — Libertà di circolazione e di soggiorno negli Stati membri — Principio di non discriminazione in base alla nazionalità — Artt. 18 TFUE e 21 TFUE — Principio di parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica — Direttiva 2000/43/CE — Normativa nazionale che impone la registrazione dei nomi e dei cognomi delle persone fisiche negli atti di stato civile in una forma che rispetti le regole di grafia proprie della lingua ufficiale nazionale»

Massime della sentenza

1.        Diritto dell’Unione — Principi — Parità di trattamento — Parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica — Direttiva 2000/43 — Ambito di applicazione

(Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, art. 21; direttiva del Consiglio 2000/43, art. 3, n. 1)

2.        Cittadinanza dell’Unione europea — Diritto di libera circolazione e di libero soggiorno nel territorio degli Stati membri — Regole di grafia della lingua ufficiale di uno Stato membro applicabili agli atti di stato civile

(Art. 21 TFUE)

3.        Cittadinanza dell’Unione europea — Diritto di libera circolazione e di libero soggiorno nel territorio degli Stati membri — Regole di grafia della lingua ufficiale di uno Stato membro applicabili agli atti di stato civile

(Art. 21 TFUE)

4.        Cittadinanza dell’Unione europea — Diritto di libera circolazione e di libero soggiorno nel territorio degli Stati membri — Regole di grafia della lingua ufficiale di uno Stato membro applicabili agli atti di stato civile

(Art. 21 TFUE)

1.        Una normativa nazionale secondo cui i cognomi e i nomi di una persona possono essere registrati negli atti di stato civile di tale Stato unicamente in una forma che rispetti le regole di grafia della lingua ufficiale nazionale riguarda una fattispecie che esula dall’ambito di applicazione della direttiva 2000/43, che attua il principio della parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica.

Se è vero che, considerato l’oggetto della menzionata direttiva e la natura dei diritti che si propone di tutelare, come pure il fatto che tale direttiva non è altro se non l’espressione, nell’ambito esaminato, del principio di uguaglianza, il quale è uno dei principi generali del diritto dell’Unione, riconosciuto all’art. 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, la sfera di applicazione della direttiva in parola non può essere definita in modo restrittivo, ciò nondimeno non si può ritenere che una siffatta normativa nazionale rientri nell’ambito della nozione di servizio ex art. 3, n. 1, della stessa direttiva.

(v. punti 43, 45, 48, dispositivo 1)

2.        L’art. 21 TFUE deve essere interpretato nel senso che non osta a che le autorità competenti di uno Stato membro rifiutino, in applicazione di una normativa nazionale secondo cui il cognome e i nomi di una persona possono essere registrati negli atti di stato civile di tale Stato esclusivamente in una forma che rispetti le regole di grafia della lingua ufficiale nazionale, di modificare nei certificati di nascita e di matrimonio di uno dei suoi cittadini il cognome e il nome di detta persona secondo le regole di grafia di un altro Stato membro.

Il fatto che il cognome e il nome di una persona possano essere modificati e registrati negli atti di stato civile del suo Stato membro d’origine esclusivamente nei caratteri della lingua di quest’ultimo non può costituire un trattamento meno favorevole di quello di cui beneficiava prima di fare uso delle agevolazioni offerte dal Trattato in materia di libera circolazione delle persone e, pertanto, tale fatto non è idoneo a scoraggiarla dall’esercitare i diritti di circolazione garantiti dall’art. 21 TFUE.

(v. punti 69-70, 94, dispositivo 2)

3.        L’art. 21 TFUE deve essere interpretato nel senso che non osta a che le autorità competenti di uno Stato membro rifiutino, in applicazione di una normativa nazionale secondo cui il cognome e i nomi di una persona possono essere registrati negli atti di stato civile di tale Stato esclusivamente in una forma che rispetti le regole di grafia della lingua ufficiale nazionale, di modificare il cognome comune a una coppia coniugata di cittadini dell’Unione, quale compare negli atti di stato civile rilasciati dallo Stato membro di origine di uno di tali cittadini, in una forma che rispetti le regole di grafia di quest’ultimo Stato, a condizione che tale diniego non provochi, per i cittadini dell’Unione interessati, seri inconvenienti di ordine amministrativo, professionale e privato, circostanza che spetta al giudice del rinvio accertare. Qualora ciò accadesse, è parimenti compito di tale giudice verificare se il diniego di modifica sia necessario alla tutela degli interessi che la normativa nazionale mira a garantire e se risulti proporzionato all’obiettivo legittimamente perseguito.

Lo scopo perseguito da una siffatta normativa nazionale, consistente nel proteggere la lingua ufficiale nazionale con l’imposizione delle regole di grafia previste da tale lingua, costituisce, in via di principio, uno scopo legittimo idoneo a giustificare restrizioni ai diritti di libera circolazione e di soggiorno stabiliti all’art. 21 TFUE e può essere preso in considerazione nella ponderazione dei legittimi interessi con i menzionati diritti riconosciuti dal diritto dell’Unione.

(v. punti 87, 94, dispositivo 2)

4.        L’art. 21 TFUE deve essere interpretato nel senso che non osta a che le autorità competenti di uno Stato membro neghino, in applicazione di una normativa nazionale secondo cui il cognome e i nomi di una persona possono essere registrati negli atti di stato civile di tale Stato esclusivamente in una forma che rispetti le regole di grafia della lingua ufficiale nazionale, di modificare il certificato di matrimonio di un cittadino dell’Unione che possieda la cittadinanza di un altro Stato membro affinché i nomi del cittadino medesimo siano registrati in detto certificato con segni diacritici, quali trascritti negli atti di stato civile rilasciati dal suo Stato membro di origine e in una forma che rispetti le regole di grafia della lingua ufficiale nazionale di quest’ultimo Stato.

(v. punto 94, dispositivo 2)







SENTENZA DELLA CORTE (Seconda Sezione)

12 maggio 2011 (*)

«Cittadinanza dell’Unione – Libertà di circolazione e di soggiorno negli Stati membri – Principio di non discriminazione in base alla nazionalità – Artt. 18 TFUE e 21 TFUE – Principio di parità di trattamento fra le persone senza distinzioni di razza o di origine etnica – Direttiva 2000/43/CE – Normativa nazionale che impone la registrazione dei nomi e dei cognomi delle persone fisiche negli atti di stato civile in una forma che rispetti le regole di grafia proprie della lingua ufficiale nazionale»

Nel procedimento C‑391/09,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’art. 234 CE, dal Vilniaus miesto 1 apylinkės teismas (Lituania), con decisione 8 settembre 2009, pervenuta in cancelleria il 2 ottobre 2009, nella causa

Malgožata Runevič-Vardyn,

Łukasz Paweł Wardyn

contro

Vilniaus miesto savivaldybės administracija,

Lietuvos Respublikos teisingumo ministerija,

Valstybinė lietuvių kalbos komisija,

Vilniaus miesto savivaldybės administracijos Teisės departamento Civilinės metrikacijos skyrius,

LA CORTE (Seconda Sezione),

composta dal sig. J.N. Cunha Rodrigues, presidente di sezione, dai sigg. A. Arabadjiev, A. Rosas, U. Lõhmus e A. Ó Caoimh (relatore), giudici,

avvocato generale: sig. N. Jääskinen

cancelliere: sig.ra R. Şereş, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 15 settembre 2010,

considerate le osservazioni presentate:

–        per la sig.ra Runevič-Vardyn e il sig. Wardyn, dagli avv.ti E. Juchnevičius e Ł. Wardyn, advokatai;

–        per il governo lituano, dal sig. D. Kriaučiūnas e dalla sig.ra V. Balčiūnaitė, in qualità di agenti;

–        per il governo ceco, dal sig. M. Smolek, in qualità di agente;

–        per il governo estone, dal sig. L. Uibo e dalla sig.ra M. Linntam, in qualità di agenti;

–        per il governo lettone, dalle sig.re K. Drēviņa e Z. Rasnača, in qualità di agenti;

–        per il governo polacco, dai sigg. M. Szpunar e M. Jarosz, in qualità di agenti;

–        per il governo portoghese, dai sigg. L. Fernandes e P.M. Pinto, in qualità di agenti;

–        per il governo slovacco, dalla sig.ra B. Ricziová, in qualità di agente;

–        per la Commissione europea, dalle sig.re D. Maidani e A. Steiblytė nonché dal sig. J. Enegren, in qualità di agenti,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 16 dicembre 2010,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        La domanda di pronuncia pregiudiziale riguarda l’interpretazione degli artt. 18 TFUE e 21 TFUE e dell’art. 2, n. 2, lett. b), della direttiva del Consiglio 29 giugno 2000, 2000/43/CE, che attua il principio della parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica (GU L 180, pag. 22).

2        Tale domanda è stata proposta nell’ambito di una controversia fra, da un lato, una cittadina lituana, la sig.ra Malgožata Runevič‑Vardyn, e il suo coniuge, un cittadino polacco, il sig. Łukasz Paweł Wardyn, e, dall’altro, il Vilniaus miesto savivaldybės administracija (Comune di Vilnius), il Lietuvos Respublikos teisingumo ministerija (Ministero della Giustizia della Repubblica di Lituania), la Valstybinė lietuvių kalbos komisija (commissione nazionale della lingua lituana) e il Vilniaus miesto savivaldybės administracijos Teisės departamento Civilinės metrikacijos skyrius (servizio di stato civile dell’Ufficio legale del Comune di Vilnius; in prosieguo: il «servizio di stato civile di Vilnius»), relativamente al diniego da parte di quest’ultimo di modificare i cognomi e i nomi dei ricorrenti della causa principale quali sono registrati negli atti di stato civile ad essi rilasciati.

 Contesto normativo

 La normativa dell’Unione

3        Il dodicesimo e il sedicesimo ‘considerando’ della direttiva 2000/43 sono così formulati:

«(12)          Per assicurare lo sviluppo di società democratiche e tolleranti che consentono la partecipazione di tutte le persone a prescindere dalla razza o dall’origine etnica, le azioni specifiche nel campo della lotta contro le discriminazioni basate sulla razza o l’origine etnica dovrebbero andare al di là dell’accesso alle attività di lavoro dipendente e autonomo e coprire ambiti quali l’istruzione, la protezione sociale, compresa la sicurezza sociale e l’assistenza sanitaria, le prestazioni sociali, l’accesso a beni e servizi e la loro fornitura.

(…)

(16)               È importante proteggere tutte le persone fisiche contro la discriminazione per motivi di razza o di origine etnica. (…)».

4        Ai sensi dell’art. 1 della direttiva 2000/43 essa «mira a stabilire un quadro per la lotta alle discriminazioni fondate sulla razza o l’origine etnica, al fine di rendere effettivo negli Stati membri il principio della parità di trattamento».

5        L’art. 2, nn. 1 e 2, lett. b), della medesima direttiva dispone che:

«1.      Ai fini della presente direttiva, il principio della parità di trattamento comporta che non sia praticata alcuna discriminazione diretta o indiretta a causa della razza o dell’origine etnica.

2.      Ai fini del paragrafo 1:

(…)

b)      sussiste discriminazione indiretta quando una disposizione, un criterio o una prassi apparentemente neutri possono mettere persone di una determinata razza od origine etnica in una posizione di particolare svantaggio rispetto ad altre persone, a meno che tale disposizione, criterio o prassi siano oggettivamente giustificati da una finalità legittima e i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari».

6        L’art. 3, n. 1, della direttiva in parola definisce l’ambito di applicazione della stessa nei seguenti termini:

«Nei limiti dei poteri conferiti alla Comunità, la presente direttiva si applica a tutte le persone sia del settore pubblico che del settore privato, compresi gli organismi di diritto pubblico, per quanto attiene:

a)      alle condizioni di accesso all’occupazione e al lavoro sia indipendente che autonomo, compresi i criteri di selezione e le condizioni di assunzione, indipendentemente dal ramo d’attività e a tutti i livelli della gerarchia professionale, nonché alla promozione;

b)      all’accesso a tutti i tipi e livelli di orientamento e formazione professionale, perfezionamento e riqualificazione professionale, inclusi i tirocini professionali;

c)      all’occupazione e alle condizioni di lavoro, comprese le condizioni di licenziamento e la retribuzione;

d)      all’affiliazione e all’attività in un’organizzazione di lavoratori o di datori di lavoro o in qualunque organizzazione i cui membri esercitino una particolare professione, nonché alle prestazioni erogate da tali organizzazioni;

e)      alla protezione sociale, comprese la sicurezza sociale e l’assistenza sanitaria;

f)      alle prestazioni sociali;

g)      all’istruzione;

h)      all’accesso a beni e servizi e alla loro fornitura, incluso l’alloggio».

 La normativa nazionale

 La Costituzione

7        L’art. 14 della Costituzione lituana dispone che la lingua ufficiale è il lituano.

 Il codice civile

8        L’art. 2.20, n. 1, del codice civile lituano (in prosieguo: il «codice civile») stabilisce che: «ogni persona gode di un diritto al nome. Tale diritto al nome comprende il diritto ad un cognome, ad uno o più nomi e ad uno pseudonimo».

9        L’art. 3.31 del codice civile così dispone:

«Ciascuno dei coniugi ha il diritto di conservare il cognome che aveva prima del suo matrimonio, di scegliere il cognome del proprio coniuge come cognome comune o di scegliere di portare un doppio cognome formato dall’aggiunta del cognome del coniuge al proprio».

10      L’art. 3.281 del codice civile prevede che gli atti di stato civile sono registrati, ricostituiti, modificati, integrati o corretti secondo le norme che disciplinano lo stato civile emanate dal Ministro della Giustizia.

11      L’art. 3.282 del codice civile dispone che «le indicazioni figuranti sugli atti di stato civile devono essere effettuate in lituano. Il nome, il cognome e i toponimi sono redatti in conformità alle regole della lingua lituana».

 Le norme che disciplinano lo stato civile

12      Il punto 11 del decreto n. IR‑294 del Ministro della Giustizia, in data 22 luglio 2008, relativo alla conferma delle norme che disciplinano lo stato civile (Žin., 2008, n. 88‑3541), stabilisce che le indicazioni degli atti di stato civile sono redatte in lituano.

 Le disposizioni relative alle carte d’identità e ai passaporti

13      La legge 6 novembre 2001, n. IX-577 relativa alle carte d’identità (Žin., 2001, n. 97‑3417), come modificata (Žin., 2008, n. 76‑3007), e la legge 8 novembre 2001, n. IX-590, relativa ai passaporti (Žin., 2001, n. 99‑3524), come modificata (Žin., 2008, n. 87-3466), stabiliscono che i dati figuranti sulla carta d’identità e sul passaporto devono comparire in caratteri lituani.

14      Il decreto del Consiglio supremo lituano 31 gennaio 1991, n. I‑1031, relativo all’iscrizione dei cognomi e dei nomi nei passaporti di cittadini della Repubblica di Lituania (Žin., 1991, n. 5‑132) ai punti 1‑3 così prevede:

«1.      Nel passaporto di cittadino della Repubblica di Lituania i cognomi e i nomi sono scritti in caratteri lituani conformemente alle indicazioni in lituano figuranti sul passaporto o su ogni altro documento d’identità in possesso dell’interessato(a) sulla base del quale il passaporto è stato rilasciato.

2.      Nel passaporto di cittadino della Repubblica di Lituania i cognomi e i nomi di persone di origine non lituana sono scritti in caratteri lituani. Su richiesta per iscritto dell’interessato e secondo modalità prestabilite, il suo nome e il suo cognome sono iscritti:

a)      o foneticamente e senza applicazione delle regole grammaticali (ossia, senza desinenze lituane);

b)      o foneticamente e applicando le regole grammaticali (ossia, aggiungendo le desinenze lituane).

3.      Il nome e il cognome di chiunque abbia avuto la nazionalità di un altro Stato possono essere scritti in conformità alle indicazioni figuranti sul passaporto rilasciato da detto altro Stato o su ogni altro documento ad esso corrispondente».

 Causa principale e questioni pregiudiziali

15      La sig.ra Runevič‑Vardyn, ricorrente nella causa principale, nata il 20 marzo 1977 a Vilnius, è cittadina lituana. Secondo le informazioni fornite alla Corte, appartiene alla minoranza polacca della Repubblica di Lituania, ma senza possedere la cittadinanza polacca.

16      Ella ha dichiarato che i suoi genitori le hanno dato il nome polacco «Małgorzata» e il cognome paterno, «Runiewicz».

17      Secondo la decisione di rinvio, il certificato di nascita della ricorrente nella causa principale, rilasciatole il 14 giugno 1977, indica che il nome e il cognome di quest’ultima sono stati registrati nella loro forma lituana, vale a dire «Malgožata Runevič». Gli stessi nome e cognome figurano su un nuovo certificato di nascita, rilasciato il 9 settembre 2003 dal servizio di stato civile di Vilnius, nonché sul passaporto lituano rilasciatole dalle autorità competenti il 7 agosto 2002.

18      In base alle osservazioni dei ricorrenti della causa principale il certificato di nascita del 14 giugno 1977 era redatto in caratteri cirillici, mentre quello in data 9 settembre 2003 utilizzava l’alfabeto latino, e il nome e il cognome della ricorrente nella causa principale vi erano riportati nella forma «Malgožata Runevič».

19      La ricorrente della causa principale fa parimenti valere che un certificato di nascita polacco le era stato rilasciato il 31 luglio 2006 dal servizio di stato civile di Varsavia. In detto certificato polacco il suo nome e il suo cognome sarebbero menzionati secondo le regole di grafia polacche, ossia «Małgorzata Runiewicz». I ricorrenti della causa principale fanno osservare che le autorità competenti polacche hanno anche rilasciato un certificato di matrimonio in cui i loro nomi e cognomi sono scritti conformemente alle regole di grafia polacche.

20      Dopo aver risieduto e lavorato in Polonia per un certo periodo di tempo, la ricorrente della causa principale, il 7 luglio 2007, si è sposata con il ricorrente della causa principale. Sul certificato di matrimonio, emesso dal servizio di stato civile di Vilnius, il nome «Łukasz Paweł Wardyn» è stato trascritto nella forma «Lukasz Pawel Wardyn» − ivi utilizzando l’alfabeto latino senza modifica diacritica −, mentre il nome della moglie compare nella forma «Malgožata Runevič-Vardyn» − il che significa che sono stati utilizzati esclusivamente i caratteri lituani, fra i quali non rientra la lettera «W», e ciò anche riguardo all’aggiunta del cognome del coniuge al proprio.

21      Dagli atti presentati alla Corte risulta che i ricorrenti della causa principale attualmente risiedono, congiuntamente al figlio, in Belgio.

22      Il 16 agosto 2007 la ricorrente nella causa principale ha presentato al servizio di stato civile di Vilnius una domanda diretta ad ottenere che il suo nome e il suo cognome, quali figurano sul suo certificato di nascita, ossia «Malgožata Runevič», siano modificati in «Małgorzata Runiewicz», e che il suo nome e il suo cognome, quali figurano sul suo certificato di matrimonio, ossia «Malgožata Runevič‑Vardyn», siano modificati in «Małgorzata Runiewicz‑Wardyn».

23      Nella sua risposta del 19 settembre 2007 il servizio di stato civile di Vilnius ha informato la ricorrente della causa principale che, in forza della normativa nazionale applicabile, non era possibile modificare le indicazioni figuranti sugli atti di stato civile in causa.

24      I ricorrenti della causa principale hanno presentato ricorso dinanzi al giudice del rinvio.

25      Nella sua decisione il giudice del rinvio fa riferimento ai vari argomenti dedotti dai ricorrenti della causa principale a sostegno del ricorso. Quanto al ricorrente detto giudice constata che, a suo parere, il diniego delle autorità lituane di registrare, nel certificato di matrimonio, i suoi nomi in una forma che rispettasse le regole di grafia polacche costituisce una discriminazione nei confronti di un cittadino dell’Unione che ha contratto matrimonio in uno Stato diverso dal suo Stato di origine. Se il matrimonio fosse stato celebrato in Polonia, i suoi nomi sarebbero stati registrati nel certificato di matrimonio utilizzando la medesima grafia del suo certificato di nascita. Tenuto conto che la lettera «W» non esiste ufficialmente nell’alfabeto lituano, il ricorrente nella causa principale si chiede perché la grafia originale del suo cognome sia stata rispettata dalle autorità lituane, mentre quella dei nomi è stata modificata.

26      Il giudice del rinvio rileva altresì che il servizio di stato civile di Vilnius e le altre parti interessate si sono opposte alla richiesta dei ricorrenti della causa principale volta ad ottenere la modifica delle indicazioni contenute negli atti di stato civile.

27      Dalla decisione di rinvio risulta che il 21 ottobre 1999 la Corte costituzionale ha pronunciato una decisione relativa alla compatibilità con la Costituzione della decisione del Consiglio supremo 31 gennaio 1991, relativa alla registrazione dei nomi e cognomi nei passaporti dei cittadini lituani. Tale giudice ha dichiarato che, sul passaporto, il nome e il cognome di una persona devono essere scritti secondo le regole di grafia della lingua ufficiale nazionale, così da non mettere in discussione lo status costituzionale di questa lingua.

28      A fronte dell’impossibilità di individuare una soluzione chiara alle questioni sollevate dalla controversia sottopostagli relativa, in particolare, agli artt. 18 TFUE e 21 TFUE e all’art. 2, n. 2, lett. b), della direttiva 2000/43, il Vilniaus miesto 1 apylinkės teismas ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se, alla luce di quanto disposto dalla direttiva 2000/43 (…), l’art. 2, n. 2, lett. b), di tale direttiva debba essere interpretato nel senso che vieti agli Stati membri di discriminare indirettamente singoli in base alla loro origine etnica in presenza di una normativa nazionale secondo cui i nomi e i cognomi delle persone possano essere scritti in documenti attestanti lo stato civile utilizzando unicamente le lettere della lingua ufficiale.

2)      Se, alla luce di quanto disposto dalla direttiva 2000/43 (…), l’art. 2, n. 2, lett. b), di tale direttiva debba essere interpretato nel senso che vieta agli Stati membri di discriminare indirettamente singoli in base alla loro origine etnica in presenza di una normativa nazionale secondo cui i nomi e i cognomi di singoli di diversa origine o di diversa nazionalità debbano essere scritti, in documenti attestanti lo stato civile, utilizzando le lettere dell’alfabeto latino ma non i segni diacritici, le legature o altre modificazioni relative alle lettere di tale alfabeto usati in altre lingue.

3)      Se, alla luce dell’art. [21], n. 1, [TFUE], secondo cui ogni cittadino dell’Unione ha il diritto di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, e alla luce dell’art. [18], primo comma, [TFUE], il quale vieta la discriminazione in base alla nazionalità, tali disposizioni debbano essere interpretate nel senso che vietano agli Stati membri di imporre, nelle proprie normative nazionali, che i nomi e i cognomi possano essere scritti in documenti attestanti lo stato civile utilizzando unicamente i caratteri della rispettiva lingua ufficiale.

4)      Se, alla luce dell’art. [21], n. 1, [TFUE], a termini del quale ogni cittadino dell’Unione ha il diritto di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, ed alla luce dell’art. [18], primo comma, [TFUE], il quale vieta le discriminazioni in base alla nazionalità, tali disposizioni debbano essere interpretate nel senso che vietano agli Stati membri di imporre nelle proprie normative nazionali che i nomi e i cognomi delle persone di diversa origine o diversa nazionalità debbano essere scritti, in documenti attestanti lo stato civile, utilizzando le lettere dell’alfabeto latino ma non i segni diacritici, le legature o altre modificazioni relative alle lettere di detto alfabeto usati in altre lingue».

 Sulla ricevibilità della seconda e della quarta questione pregiudiziale

29      In limine, si deve rilevare che il governo lituano propone alla Corte di respingere la seconda e la quarta questione pregiudiziale in quanto irricevibili. Secondo detto governo il giudice del rinvio è investito di un ricorso relativo alle due domande della ricorrente della causa principale concernenti i suoi certificati di nascita e di matrimonio, e non di un ricorso del ricorrente della causa principale relativo al suo certificato di matrimonio. Ciò premesso le questioni relative alla registrazione dei nomi del ricorrente nella causa principale non sarebbero connesse ad un concreto problema che il giudice del rinvio è chiamato a risolvere. Di conseguenza, la Corte dovrebbe rifiutare di pronunciarsi riguardo a dette questioni, dal momento che l’interpretazione del diritto dell’Unione richiesta non presenta collegamenti con la realtà effettiva o con l’oggetto della causa principale.

30      In proposito occorre peraltro rammentare che, nell’ambito della cooperazione fra la Corte e i giudici nazionali di cui all’art. 267 TFUE, spetta soltanto al giudice nazionale, cui è stata sottoposta la controversia e che deve assumersi la responsabilità dell’emananda decisione giurisdizionale, valutare, alla luce delle particolari circostanze della causa, sia la necessità di una pronuncia pregiudiziale per essere in grado di emettere la propria sentenza, sia la rilevanza delle questioni che sottopone alla Corte. Di conseguenza, se le questioni sollevate riguardano l’interpretazione del diritto dell’Unione, la Corte, in via di principio, è tenuta a pronunciarsi (v., in particolare, sentenze 15 dicembre 1995, causa C‑415/93, Bosman, Racc. pag. I‑4921, punto 59, e 12 ottobre 2010, causa C‑45/09, Rosenbladt, Racc. pag. I‑9391, punto 32).

31      Peraltro, secondo la giurisprudenza della Corte, l’art. 267 TFUE istituisce un procedimento non contenzioso, che ha il carattere di un incidente sollevato nel corso di una vertenza pendente dinanzi al giudice nazionale, e nel quale le parti sono solo invitate ad esporre il loro punto di vista entro i limiti stabiliti dallo stesso giudice nazionale. In tale contesto la Corte ha rilevato che, con l’espressione «parti in causa», l’art. 23, n. 1, dello Statuto della Corte di giustizia si intendono i soggetti che hanno tale qualità nella controversia pendente dinanzi al giudice nazionale (v., in particolare, sentenza 1° marzo 1973, causa 62/72, Bollmann, Racc. pag. 269, punto 4, nonché ordinanza 12 settembre 2007, causa C‑73/07, Satakunnan Markkinapörssi e Satamedia, Racc. pag. I‑7075, punto 11).

32      Dalle informazioni fornite dal giudice del rinvio risulta che il ricorso dinanzi ad esso pendente è stato proposto dai due ricorrenti nella causa principale, e non dalla sola ricorrente della causa principale, e che detti ricorrenti hanno suggerito al giudice del rinvio la possibilità di sottoporre delle questioni pregiudiziali alla Corte. Tali questioni vertono sia sul diniego di modificare il cognome e il nome della ricorrente nella causa principale, sia sulla modifica dell’iscrizione dei nomi del ricorrente della causa principale quali compaiono nei documenti dello stato civile rilasciati loro dalle autorità competenti lituane. Le questioni pregiudiziali poste dal detto giudice nell’esercizio della competenza esclusiva attribuitagli ai sensi dell’art. 267 TFUE, così come il ragionamento esposto nella decisione di rinvio, concernono la situazione di entrambi i ricorrenti della causa principale.

33      È corretto che, alla luce del compito assegnatole dall’art. 267 TFUE, la Corte ha considerato di non poter statuire su di una questione posta da un giudice nazionale laddove appaia in modo manifesto che l’interpretazione o la valutazione della validità di una norma dell’Unione, chieste dal giudice nazionale, non ha alcuna relazione con l’effettività o l’oggetto della controversia nella causa principale (v., in particolare, sentenza 26 ottobre 1995, causa C‑143/94, Furlanis, Racc. pag. I‑3633, punto 12).

34      Tuttavia, tenuto conto delle informazioni contenute nella decisione di rinvio, con particolare riguardo a quelle esposte supra al punto 26, e della definizione da parte del giudice remittente dell’oggetto e della portata della controversia dinanzi ad esso pendente, non appare in modo manifesto che l’interpretazione delle norme di diritto dell’Unione chiesta da quest’ultimo non abbia alcuna relazione con l’effettività o l’oggetto della controversia di cui trattasi.

35      Ne consegue che la seconda e la quarta questione poste devono essere considerate ricevibili.

 Sulle questioni pregiudiziali

 Sulla prima e sulla seconda questione

36      Con la prima e la seconda questione, che occorre prendere in esame congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’art. 2, n. 2, lett. b), della direttiva 2000/43 osti a che le autorità competenti di uno Stato membro rifiutino, in applicazione di una normativa nazionale la quale prevede che i cognomi e i nomi di una persona possano essere registrati negli atti di stato civile di tale Stato unicamente in una forma che rispetti le regole di grafia della lingua ufficiale nazionale, di modificare la registrazione del cognome e del nome di una persona, cosicché questi debbano essere scritti utilizzando esclusivamente i caratteri della lingua nazionale, senza i segni diacritici, le legature, o qualsivoglia altra modifica alle lettere dell’alfabeto latino, usati in altre lingue.

37      I governi lituano, ceco, estone, polacco e slovacco nonché la Commissione europea sostengono che le disposizioni nazionali relative alla redazione degli atti di stato civile non rientrano nell’ambito di applicazione della direttiva 2000/43, come descritto all’art. 3, n. 1, della stessa. La ricorrente della causa principale non avrebbe minimamente dimostrato di aver subito un pregiudizio concreto a causa dell’appartenenza razziale o etnica in un ambito ricompreso nella sfera di applicazione ratione materiae della direttiva 2000/43.

38      Per contro, i ricorrenti nella causa principale sottolineano che la sfera di applicazione della direttiva 2000/43 è molto ampia e si estende ad un gran numero di ambiti della vita sociale. Sarebbe, ad esempio, necessario presentare un documento di identità e diversi tipi di documenti, attestazioni o diplomi per poter beneficiare di taluni diritti previsti da tale direttiva, come pure per avere la possibilità di utilizzare i beni e servizi cui si riferisce l’art. 3, n. 1, della stessa.

39      In via preliminare va ricordato che la direttiva 2000/43 mira a stabilire, in conformità al suo art. 1, un quadro per la lotta alle discriminazioni fondate sulla razza o l’origine etnica, al fine di rendere effettivo negli Stati membri il principio della parità di trattamento.

40      Secondo il sedicesimo ‘considerando’ della menzionata direttiva è importante proteggere tutte le persone fisiche contro la discriminazione per motivi di razza o di origine etnica.

41      Quanto alla sfera di applicazione ratione materiae della direttiva 2000/43, dal dodicesimo ‘considerando’ della stessa risulta che, per assicurare lo sviluppo di società democratiche e tolleranti che consentono la partecipazione di tutte le persone a prescindere dalla razza o dall’origine etnica, le azioni specifiche nel campo della lotta contro le discriminazioni basate sulla razza o l’origine etnica dovrebbero andare al di là dell’accesso alle attività di lavoro dipendente e autonomo e coprire ambiti quali quelli citati all’art. 3, n. 1, della direttiva in parola.

42      Quest’ultima disposizione stabilisce che, nei limiti dei poteri conferiti alla Comunità, nel frattempo divenuta l’Unione europea, tale direttiva si applica a tutte le persone sia del settore pubblico che del settore privato, compresi gli organismi di diritto pubblico, per quanto attiene ai settori elencati esaustivamente in detta disposizione e riportati al punto 6 della presente sentenza.

43      Ciò premesso, si deve rilevare che, considerato l’oggetto della direttiva 2000/43 e la natura dei diritti che si propone di tutelare, come pure il fatto che tale direttiva non è altro se non l’espressione, nell’ambito esaminato, del principio di uguaglianza, il quale è uno dei principi generali del diritto dell’Unione, riconosciuto all’art. 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, la sfera di applicazione della direttiva in parola non può essere definita in modo restrittivo.

44      Non ne consegue peraltro che una normativa nazionale relativa alla registrazione dei cognomi e dei nomi negli atti di stato civile debba essere considerata come compresa nell’ambito di applicazione della direttiva 2000/43.

45      Sebbene l’art. 3, n. 1, lett. h), della direttiva 2000/43 faccia riferimento, in generale, all’accesso a beni e servizi e alla loro fornitura, a disposizione del pubblico, non si può considerare, come osservato dall’avvocato generale al paragrafo 58 delle sue conclusioni, che una siffatta normativa nazionale rientri nella nozione di «servizio» ai sensi di tale disposizione.

46      Occorre peraltro rammentare che i lavori preparatori della direttiva 2000/43, adottata dal Consiglio dell’Unione europea che delibera all’unanimità, conformemente all’art. 13 CE, indicano che il Consiglio non ha voluto prendere in considerazione una proposta di modifica del Parlamento europeo secondo cui «l’esercizio delle funzioni di qualsiasi organismo pubblico, comprese le autorità nei settori della polizia, dell’immigrazione e della giustizia penale e civile» avrebbe dovuto essere incluso nell’elenco delle attività enumerate all’art. 3, n. 1, di tale direttiva e, perciò, rientrare nell’ambito di applicazione di quest’ultima.

47      Di conseguenza, se è pur vero, come risulta dal punto 43 supra, che l’ambito di applicazione della direttiva 2000/43, quale definito all’art. 3, n. 1, della stessa, non deve essere interpretato in modo restrittivo, esso non ricomprende una normativa nazionale come quella in discussione nella causa principale relativa alla registrazione dei cognomi e dei nomi negli atti di stato civile.

48      In base alle suesposte considerazioni si deve dichiarare che una normativa nazionale secondo cui i cognomi e i nomi di una persona possono essere registrati negli atti di stato civile di tale Stato unicamente in una forma che rispetti le regole di grafia della lingua ufficiale nazionale riguarda una fattispecie che esula dall’ambito di applicazione della direttiva 2000/43.

 Sulla terza e quarta questione

49      Con dette questioni, che occorre esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se gli artt. 18 TFUE e 21 TFUE ostino a che le autorità competenti di uno Stato membro rifiutino, in applicazione di una normativa nazionale secondo cui i cognomi e i nomi di una persona possano essere registrati negli atti di stato civile di tale Stato unicamente in una forma che rispetti le regole di grafia della lingua ufficiale nazionale, di modificare la registrazione del cognome e del nome di una persona, cosicché questi debbano essere scritti utilizzando esclusivamente i caratteri della lingua nazionale, senza i segni diacritici, le legature, o qualsivoglia altra modifica alle lettere dell’alfabeto latino, usati in altre lingue.

50      Dette questioni concernono tre elementi distinti della controversia oggetto della causa principale:

–        la domanda della ricorrente nella causa principale diretta ad ottenere che il suo cognome da non coniugata e il suo nome siano espressi nei suoi certificati di nascita e di matrimonio in una forma che rispetti le regole di grafia polacche, il che comporta l’uso dei segni diacritici utilizzati da quest’ultima lingua;

–        le domande dei ricorrenti della causa principale dirette ad ottenere che il cognome del ricorrente nella causa principale, aggiunto al cognome da non coniugata della ricorrente nella causa principale e che compare nel certificato di matrimonio, sia registrato in una forma che rispetti le regole di grafia polacche, e

–        la domanda del ricorrente della causa principale ad ottenere che i suoi nomi siano registrati nel menzionato certificato in una forma che rispetti le regole di grafia polacche.

 Osservazioni preliminari sulle disposizioni di diritto dell’Unione applicabili

51      In limine si deve verificare se, contrariamente a quanto fatto valere, in particolare, dai governi lituano e ceco, la situazione della ricorrente della causa principale, riguardo ai documenti dello stato civile rilasciati dalle autorità competenti lituane, oggetto della controversia di cui alla causa principale, rientri nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione e, segnatamente, delle disposizioni del Trattato relative alla cittadinanza dell’Unione.

52      Relativamente al certificato di nascita, il governo lituano sottolinea, segnatamente, che si tratta di un atto di stato civile emanato per la prima volta il 14 giugno 1977, ossia ben prima dell’adesione della Repubblica di Lituania all’Unione. In aggiunta, si tratta di un atto rilasciato a un cittadino lituano dalle autorità competenti di tale Stato membro. La situazione della ricorrente nella causa principale rispetto al suo certificato di nascita costituirebbe quindi una situazione puramente interna. Di conseguenza, la domanda di modifica del certificato in parola presentata dalla ricorrente della causa principale non sarebbe compresa, né ratione temporis né ratione materiae, nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione e, in particolare, delle disposizioni relative alla cittadinanza dell’Unione.

53      Sotto il profilo dell’applicazione ratione temporis di dette ultime disposizioni al caso di specie si deve rilevare che la controversia principale non riguarda il riconoscimento di diritti fondati sul diritto dell’Unione asseritamente acquisiti prima dell’adesione della Repubblica di Lituania e dell’entrata in vigore nei confronti di tale Stato delle disposizioni relative alla cittadinanza dell’Unione. La controversia in esame attiene ad un lamentato trattamento discriminatorio attuale o restrizione attuale nei confronti di un cittadino dell’Unione (v., in tal senso, sentenza 11 luglio 2002, causa C‑224/98, D’Hoop, Racc. pag. I‑6191, punto 24).

54      La ricorrente della causa principale, infatti, non chiede che il suo certificato di nascita sia modificato con effetti retroattivi, bensì che, al fine di agevolare la sua libera circolazione in quanto cittadina dell’Unione – considerato che, a seguito del matrimonio con un cittadino polacco, ha stabilito la propria residenza in Belgio, ove è venuto alla luce suo figlio, il quale possiede la doppia cittadinanza lituana e polacca –, le autorità competenti lituane le rilascino un certificato di nascita in cui il suo cognome da non coniugata e il suo nome siano espressi in una forma che rispetti le regole di grafia polacche.

55      La Corte ha già avuto modo di dichiarare che le disposizioni relative alla cittadinanza dell’Unione sono applicabili sin dal momento della loro entrata in vigore. Si deve quindi ritenere che esse devono trovare applicazione con riferimento agli effetti presenti di circostanze verificatesi anteriormente (sentenza D’Hoop, cit., punto 25).

56      Ne discende che la discriminazione o la restrizione lamentata dalla ricorrente della causa principale relativamente al diniego di modifica della registrazione del suo cognome da non coniugata e del suo nome sul suo certificato di nascita può, in via principio, essere valutata alla luce delle disposizioni degli artt. 18 TFUE e 21 TFUE.

57      La questione dell’applicazione ratione temporis delle disposizioni relative alla cittadinanza dell’Unione non si pone riguardo alla domanda di modifica del certificato di matrimonio dei ricorrenti della causa principale rilasciato il 7 luglio 2007.

58      Quanto alla questione se la domanda di modifica dei certificati di nascita e di matrimonio della ricorrente nella causa principale corrisponda a una situazione puramente interna esclusa dall’ambito di applicazione del diritto dell’Unione, trattandosi di atti di stato civile rilasciati dalle autorità competenti del suo Stato membro di origine, occorre rilevare che, come risulta dal punto 54 supra, la ricorrente della causa principale, la quale si è avvalsa del diritto di libera circolazione e di soggiorno attribuitole direttamente dall’art. 21 TFUE, intende ottenere la modifica dei certificati in discussione al fine di essere agevolata nell’esercizio di tale diritto. Ella fonda la sua domanda, in particolare, sull’art. 21 TFUE, facendo presenti gli inconvenienti causati dal fatto di esercitare i diritti conferiti da dette disposizioni dovendo utilizzare documenti di stato civile nei quali il suo nome e cognome non compaiono nella loro forma polacca e, per questa ragione, non rispecchiano la natura del suo rapporto con il ricorrente nella causa principale e nemmeno con il proprio stesso figlio.

59      In proposito va ricordato che l’art. 20 TFUE conferisce a chiunque abbia la cittadinanza di uno Stato membro lo status di cittadino dell’Unione (v., in particolare, sentenze D’Hoop, cit., punto 27, e 8 marzo 2011, causa C‑34/09, Ruiz Zambrano, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 40). La ricorrente della causa principale, che ha la cittadinanza di uno Stato membro dell’Unione, beneficia di tale status.

60      Riconoscendo l’importanza attribuita dal diritto primario allo status di cittadino dell’Unione, la Corte ha sottolineato in varie occasioni che tale status è destinato ad essere lo status fondamentale dei cittadini degli Stati membri (v. sentenze 17 settembre 2002, causa C‑413/99, Baumbast e R, Racc. pag. I‑7091, punto 82; 2 marzo 2010, causa C‑135/08, Rottmann, Racc. pag. I‑1449, punti 43 e 56, nonché Ruiz Zambrano, cit., punto 41).

61      Detto status consente a chi tra tali cittadini si trovi nella medesima situazione di ottenere nell’ambito di applicazione ratione materiae del Trattato, indipendentemente dalla cittadinanza e fatte salve le eccezioni espressamente previste a tale riguardo, il medesimo trattamento giuridico (v., in particolare, sentenza 20 settembre 2001, causa C‑184/99, Grzelczyk, Racc. pag. I‑6193, punto 31).

62      Tra le situazioni che rientrano nel campo di applicazione ratione materiae del diritto dell’Unione figura quella relativa all’esercizio delle libertà fondamentali garantite dal Trattato, in particolare della libertà di circolare e di soggiornare nel territorio degli Stati membri quale conferita dall’art. 21 TFUE (v. citate sentenze Grzelczyk, punto 33, e D’Hoop, punto 29).

63      Sebbene, allo stato attuale del diritto dell’Unione, le regole che disciplinano la registrazione negli atti di stato civile del cognome e del nome di una persona rientrino nella competenza degli Stati membri, questi ultimi, nell’esercizio di tale competenza, devono comunque rispettare il diritto dell’Unione e, in particolare, le disposizioni del Trattato relative alla libertà riconosciuta ad ogni cittadino dell’Unione di circolare e di soggiornare nel territorio degli Stati membri (v., in tal senso, sentenze 2 ottobre 2003, causa C‑148/02, Garcia Avello, Racc. pag. I‑11613, punti 25 e 26; 14 ottobre 2008, causa C‑353/06, Grunkin e Paul, Racc. pag. I‑7639, punto 16, nonché 22 dicembre 2010, causa C‑208/09, Sayn-Wittgenstein, Racc. pag. I‑13693, punti 38 e 39).

64      Nella specie della causa principale è pacifico che i relativi ricorrenti hanno entrambi esercitato, quali cittadini dell’Unione, la loro libertà di circolare e di soggiornare in Stati membri diversi dai loro Stati membri di origine.

65      Dal momento che l’art. 21 TFUE comporta non soltanto il diritto di circolare e di soggiornare nel territorio degli Stati membri, ma parimenti, come emerge supra dai punti 61 e 62 e come affermato dalla Commissione nelle proprie osservazioni, il divieto di qualsivoglia discriminazione basata sulla nazionalità, è alla luce di tale disposizione che occorre esaminare il diniego, da parte delle autorità di uno Stato membro, di modificare degli atti di stato civile in circostanze come quelle in discussione nella causa principale.

 Sull’esistenza di una restrizione alla libera circolazione

66      Occorre ricordare, in limine, che il nome e il cognome di una persona sono un elemento costitutivo della sua identità e della sua vita privata, la tutela della quale è garantita dall’art. 7 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, nonché dall’art. 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950. Anche se l’art. 8 di tale convenzione non lo menziona esplicitamente, il nome e il cognome di una persona riguardano in ugual modo la vita privata e familiare di quest’ultima in quanto mezzo di identificazione personale e di collegamento ad una famiglia (v., in particolare, sentenza Sayn-Wittgenstein, cit., punto 52 e giurisprudenza ivi citata).

67      Poiché un cittadino dell’Unione ha diritto a che gli venga riconosciuto in tutti gli Stati membri il medesimo trattamento giuridico accordato ai cittadini di tali Stati membri che si trovino nella medesima situazione, sarebbe incompatibile con il diritto alla libera circolazione che gli si potesse applicare nello Stato membro di cui è cittadino un trattamento meno favorevole di quello di cui beneficerebbe se non avesse usufruito delle facilitazioni concesse dal Trattato in materia di circolazione (sentenza D’Hoop, cit., punto 30).

68      Infatti, la Corte ha già avuto modo di dichiarare che una normativa nazionale che sfavorisca taluni cittadini nazionali per il solo fatto che essi hanno esercitato la loro libertà di circolare e di soggiornare in un altro Stato membro rappresenta una restrizione delle libertà riconosciute dall’art. 21, n. 1, TFUE ad ogni cittadino dell’Unione (v., in particolare, citate sentenze Grunkin e Paul, punto 21, nonché Sayn-Wittgentstein, punto 53).

69      Quanto, in primo luogo, alla domanda della ricorrente della causa principale di modificare il suo nome e il suo cognome da non coniugata nei certificati di nascita e di matrimonio rilasciati dal servizio di stato civile di Vilnius, si deve osservare che, quando un cittadino dell’Unione si sposta in un altro Stato membro e successivamente contrae matrimonio con un cittadino di tale altro Stato, il fatto che il cognome di detto cittadino, portato antecedentemente al matrimonio, e il nome dello stesso possono essere modificati e registrati negli atti di stato civile dello Stato membro di origine di quest’ultimo esclusivamente nei caratteri della lingua del menzionato Stato membro non può costituire un trattamento meno favorevole di quello di cui beneficiava prima di fare uso delle agevolazioni offerte dal Trattato in materia di libera circolazione delle persone.

70      La mancanza di tale diritto non è pertanto tale da scoraggiare il cittadino dell’Unione dall’esercizio dei diritti di circolazione garantiti dall’art. 21 TFUE e, sotto questo profilo, non costituisce una restrizione. Infatti, dal complesso dei documenti rilasciati alla ricorrente nella causa principale dalle autorità competenti lituane e oggetto di ricorso nella causa principale, il nome e il cognome da non coniugata iscritti alla nascita sono registrati nella stessa forma, cosicché non sussistono restrizioni all’esercizio dei citati diritti.

71      Di conseguenza, l’art. 21 TFUE non osta a che le autorità competenti di uno Stato membro neghino, in applicazione di una normativa nazionale secondo cui i cognomi e i nomi di una persona possano essere registrati negli atti di stato civile di tale Stato unicamente in una forma che rispetti le regole di grafia della lingua ufficiale nazionale, di modificare la registrazione del cognome di un suo cittadino portato prima del matrimonio e il nome dello stesso, allorché detti nome e cognome siano stati registrati alla nascita conformemente alla normativa di cui trattasi.

72      Quanto, in secondo luogo, alle domande di modifica dei ricorrenti della causa principale relative all’aggiunta nel certificato di matrimonio del cognome del marito al cognome da non coniugata della ricorrente nella causa principale, va ricordato che tale aggiunta è stata effettuata su espressa domanda dei ricorrenti della causa principale, conformemente alla normativa lituana in vigore.

73      Numerose attività della vita quotidiana, sia in ambito pubblico che privato, richiedono di fornire prove della propria identità e, del resto, trattandosi di una famiglia, la prova della natura dei vincoli familiari esistenti fra i vari membri della stessa. Infatti, una coppia di cittadini dell’Unione come quella di cui alla causa principale, che risiede e lavora in uno Stato membro diverso dai rispettivi Stati membri di origine, deve, conformemente alle disposizioni della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 29 aprile 2004, 2004/38/CE, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE (GU L 158, pag. 77, e rettifiche nella GU 2004, L 229, pag. 35, nonché GU 2007, L 204, pag. 28), essere in grado di dimostrare il rapporto fra loro esistente.

74      È ben vero che le diverse forme ortografiche del nome e del cognome da non coniugata della ricorrente della causa principale, nei documenti di stato civile rilasciati dalle autorità lituane e polacche, sono frutto di una scelta deliberata da parte sua e non costituiscono, in quanto tali, una restrizione al suo diritto di libera circolazione e di soggiorno. Ciò nondimeno non può escludersi che la circostanza che, nel certificato di matrimonio, il cognome del marito sia aggiunto al suo cognome da non coniugata in una forma non corrispondente al cognome di questi quale registrato nello Stato membro di origine di quest’ultimo, né, del resto, quale è iscritto, relativamente al ricorrente della causa principale, nel medesimo certificato di matrimonio, potrebbe essere tale da generare inconvenienti per gli interessati.

75      Inconvenienti del genere potrebbero difatti prodursi a causa della divergenza di registrazione del medesimo cognome riferito a due persone della stessa coppia (v., in tal senso, citate sentenze Garcia Avello, punto 36, nonché Sayn-Wittgenstein, punti 55 e 66).

76      Tuttavia, secondo la giurisprudenza della Corte, per costituire una restrizione alle libertà riconosciute dall’art. 21 TFUE, il diniego di modifica del cognome comune ai ricorrenti della causa principale in forza della normativa nazionale controversa deve essere tale da generare per gli interessati «seri inconvenienti» di ordine amministrativo, professionale e privato (v., in tal senso, citate sentenze Garcia Avello, punto 36; Grunkin e Paul, punti 23‑28, nonché Sayn-Wittgenstein, punti 67, 69 e 70).

77      Spetta quindi al giudice del rinvio stabilire se sussista un rischio concreto, per un nucleo familiare come quello formato dai ricorrenti della causa principale, per effetto del diniego opposto dalle autorità competenti di trasformare, nella grafia del cognome di uno dei membri di tale nucleo familiare, la lettera «V» in «W», di dover dissipare dubbi quanto alla loro identità e all’autenticità dei documenti che essi presentano. Qualora, alla luce delle circostanze della causa principale, il diniego in parola implichi che possa essere messa in discussione la veridicità delle informazioni contenute in detti documenti e che siano messi in dubbio l’identità di tale nucleo familiare e il rapporto esistente fra i suoi membri, ciò potrebbe produrre conseguenze significative riguardo, inter alia, all’esercizio del diritto di soggiorno attribuito direttamente dall’art. 21 TFUE (v. anche, in tal senso, citate sentenze Garcia Avello, punto 36, e Sayn-Wittgenstein, punti 55 e 66‑70).

78      Di conseguenza, è compito del giudice remittente stabilire se il diniego delle autorità competenti di uno Stato membro di modificare, in applicazione della normativa nazionale, il certificato di matrimonio di una coppia di cittadini dell’Unione cosicché il cognome comune ai coniugi sia registrato, da un lato, in modo uniforme e, dall’altro, in una forma fedele alle regole di grafia dello Stato membro di origine del coniuge del cui cognome si tratta, sia tale da generare per gli interessati «seri inconvenienti» di ordine amministrativo, professionale e privato. Se così fosse, si tratterebbe di una restrizione alle libertà riconosciute dall’art. 21 TFUE a ogni cittadino dell’Unione.

79      Quanto, in terzo luogo, alla domanda del ricorrente della causa principale diretta ad ottenere che i suoi nomi siano registrati nel certificato di matrimonio rilasciato dal servizio di stato civile di Vilnius in una forma che rispetti le regole di grafia polacche, ossia «Łukasz Paweł», si deve rammentare che detti nomi sono stati iscritti nel certificato di matrimonio in parola nella forma «Lukasz Pawel». La divergenza fra le summenzionate registrazioni consiste nell’omissione dei segni diacritici, non utilizzati nella lingua lituana.

80      A riguardo il ricorrente della causa principale e il governo polacco fanno valere che ogni modifica, da parte delle autorità di uno Stato membro, dell’ortografia originale del nome o del cognome di una persona figurante negli atti di stato civile rilasciati dalle autorità dello Stato membro di origine di tale persona può avere conseguenze dannose, sia che la modifica consista in una nuova registrazione del nome e/o del cognome in questione o che risulti meramente dalla soppressione dei segni diacritici di questi ultimi. Difatti, ciò potrebbe incidere sulla pronuncia del nome e/o del cognome, così come la soppressione di un segno diacritico sarebbe idonea, in taluni casi, a creare un altro nome.

81      Tuttavia, come fatto valere dall’avvocato generale al paragrafo 96 delle conclusioni, i segni diacritici sono spesso omessi in numerose attività della vita quotidiana per ragioni di ordine tecnico, come quelle che attengono in particolare ai limiti oggettivi inerenti a taluni sistemi informatici. Inoltre, per una persona che non padroneggi una lingua straniera, il significato dei segni diacritici è sovente sconosciuto e passerebbe inosservato. È quindi poco probabile che l’omissione di segni del genere possa, di per sé, generare per la persona interessata reali e seri inconvenienti ai sensi della giurisprudenza citata supra al punto 76, tali da far sorgere dubbi sulla sua identità e sull’autenticità dei documenti da quest’ultima presentati o sulla veridicità dei dati ivi contenuti.

82      Ne consegue che il diniego delle autorità competenti di uno Stato membro, in forza della normativa nazionale applicabile, di modificare il certificato di matrimonio di un cittadino dell’Unione che possieda la cittadinanza di un altro Stato membro affinché i nomi del cittadino di cui trattasi siano registrati in detto certificato con segni diacritici, quali riportati negli atti di stato civile rilasciati dal suo Stato membro di origine e in una forma che rispetti le regole di grafia della lingua ufficiale nazionale di quest’ultimo Stato, non costituisce, in una situazione come quella oggetto della causa principale, una restrizione alle libertà riconosciute dall’art. 21 TFUE a ogni cittadino dell’Unione.

 Sull’esistenza di una giustificazione ad una restrizione della libertà di circolazione e di soggiorno dei cittadini dell’Unione

83      Nell’ipotesi in cui il giudice del rinvio ritenesse che il diniego di modifica del cognome comune ai ricorrenti della causa principale costituisca una restrizione all’art. 21 TFUE, si deve ricordare che, ai sensi di una costante giurisprudenza, un ostacolo alla libera circolazione delle persone può essere giustificato solo se è basato su considerazioni oggettive e se è proporzionato all’obiettivo legittimamente perseguito dalla normativa nazionale (v., in particolare, citate sentenze Grunkin e Paul, punto 29, nonché Sayn-Wittgenstein, punto 81).

84      Ad avviso di vari fra i governi che hanno presentato osservazioni alla Corte, uno Stato membro può legittimamente provvedere alla protezione della lingua ufficiale nazionale, al fine di salvaguardare l’unità nazionale e di preservare la coesione sociale. Il governo lituano sottolinea, in particolare, che la lingua lituana costituisce un valore costituzionale che salvaguarda l’identità della nazione, contribuisce all’integrazione dei cittadini, garantisce l’espressione della sovranità nazionale, l’indivisibilità dello Stato, nonché il buon funzionamento dei servizi dello Stato e delle collettività territoriali.

85      In proposito occorre rilevare che le disposizioni del diritto dell’Unione non ostano all’adozione di una politica di difesa e valorizzazione della lingua di uno Stato membro, la quale sia, nel contempo, lingua nazionale e prima lingua ufficiale (v. sentenza 28 novembre 1989, causa C‑379/87, Groener, Racc. pag. 3967, punto 19).

86      Infatti, ai sensi dell’art. 3, n. 3, quarto comma, TUE nonché dell’art. 22 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, l’Unione rispetta la ricchezza della sua diversità culturale e linguistica. Conformemente all’art. 4, n. 2, TUE, l’Unione rispetta parimenti l’identità nazionale dei suoi Stati membri, in cui è compresa anche la tutela della lingua ufficiale nazionale dello Stato.

87      Ne deriva che lo scopo perseguito da una normativa nazionale come quella controversa nella causa principale, consistente nel proteggere la lingua ufficiale nazionale con l’imposizione delle regole di grafia previste da tale lingua, costituisce, in via di principio, uno scopo legittimo idoneo a giustificare restrizioni ai diritti di libera circolazione e di soggiorno stabiliti all’art. 21 TFUE e può essere preso in considerazione nella ponderazione dei legittimi interessi con i menzionati diritti riconosciuti dal diritto dell’Unione.

88      Eventuali misure restrittive di una libertà fondamentale, come quella di cui all’art. 21 TFUE, possono essere giustificate da considerazioni oggettive solo ove risultino necessarie ai fini della tutela degli interessi che esse mirano a garantire e solo nella misura in cui tali obiettivi non possano essere raggiunti mediante misure meno restrittive (v. sentenza Sayn-Wittgenstein, cit., punto 90 e giurisprudenza ivi citata).

89      Come risulta dal punto 66 supra, il cognome di una persona è un elemento costitutivo della sua identità e della sua vita privata, la tutela della quale è sancita dall’art. 7 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, nonché dall’art. 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.

90      Inoltre, nell’ambito del diritto dell’Unione è stata riconosciuta l’importanza di assicurare la tutela della vita familiare dei cittadini comunitari al fine di eliminare gli ostacoli all’esercizio delle libertà fondamentali garantite dal Trattato (v. sentenza 29 aprile 2004, cause riunite C‑482/01 e C‑493/01, Orfanopoulos e Oliveri, Racc. pag. I‑5257, punto 98).

91      Qualora fosse dimostrato che il diniego di modifica del cognome comune alla coppia di cittadini dell’Unione di cui alla causa principale provochi loro e/o alla loro famiglia seri inconvenienti di ordine amministrativo, professionale e privato, spetterà al giudice del rinvio stabilire se tale diniego rispetti il giusto equilibrio fra gli interessi in questione, ossia, da un lato, il diritto dei ricorrenti della causa principale al rispetto della loro vita privata e familiare e, dall’altro, la legittima tutela da parte dello Stato membro interessato della propria lingua ufficiale nazionale e delle sue tradizioni.

92      Per quanto riguarda la trasformazione, nel certificato di matrimonio, del cognome polacco «Wardyn» in «Vardyn», il carattere sproporzionato del diniego opposto dal servizio di stato civile di Vilnius alle richieste di modifica presentate in tal senso dai ricorrenti della causa principale potrebbe eventualmente risultare dalla circostanza che il servizio medesimo ha registrato il nome di cui trattasi, con riguardo al ricorrente della causa principale, nel medesimo certificato rispettando le regole di grafia polacche in discussione.

93      Va rilevato, peraltro, che, secondo le informazioni fornite alla Corte, in Lituania i cognomi dei cittadini degli altri Stati membri possono essere registrati utilizzando lettere dell’alfabeto latino non esistenti nell’alfabeto lituano. La circostanza che, nel certificato di matrimonio, il cognome del ricorrente della causa principale inizi con la lettera «W», che non esiste nell’alfabeto lituano, ne costituisce del resto la prova.

94      Tutto ciò considerato, occorre risolvere la terza e la quarta questione dichiarando che l’art. 21 TFUE deve essere interpretato nel senso che:

–        non osta a che le autorità competenti di uno Stato membro rifiutino, in applicazione di una normativa nazionale secondo cui il cognome e i nomi di una persona possono essere registrati negli atti di stato civile di tale Stato esclusivamente in una forma che rispetti le regole di grafia della lingua ufficiale nazionale, di modificare nei certificati di nascita e di matrimonio di uno dei suoi cittadini il cognome e il nome di detta persona secondo le regole di grafia di un altro Stato membro;

–        non osta a che le autorità competenti di uno Stato membro rifiutino, in circostanze come quelle oggetto della causa principale e in applicazione della stessa normativa, di modificare il cognome comune a una coppia coniugata di cittadini dell’Unione, quale compare negli atti di stato civile rilasciati dallo Stato membro di origine di uno di tali cittadini, in una forma che rispetti le regole di grafia di quest’ultimo Stato, a condizione che tale diniego non provochi, per i cittadini dell’Unione interessati, seri inconvenienti di ordine amministrativo, professionale e privato, circostanza che spetta al giudice del rinvio accertare. Qualora ciò accadesse, è parimenti compito di tale giudice verificare se il diniego di modifica sia necessario alla tutela degli interessi che la normativa nazionale mira a garantire e se risulti proporzionato all’obiettivo legittimamente perseguito;

–        non osta a che le autorità competenti di uno Stato membro neghino, in circostanze come quelle oggetto della causa principale e in applicazione della stessa normativa, di modificare il certificato di matrimonio di un cittadino dell’Unione che abbia la cittadinanza di un altro Stato membro affinché i nomi del cittadino medesimo siano registrati in detto certificato con segni diacritici, quali trascritti negli atti di stato civile rilasciati dal suo Stato membro di origine e in una forma che rispetti le regole di grafia della lingua ufficiale nazionale di quest’ultimo Stato.

 Sulle spese

95      Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Seconda Sezione) dichiara:

1)      Una normativa nazionale secondo cui i cognomi e i nomi di una persona possono essere registrati negli atti di stato civile di tale Stato unicamente in una forma che rispetti le regole di grafia della lingua ufficiale nazionale riguarda una fattispecie che esula dall’ambito di applicazione della direttiva del Consiglio 29 giugno 2000, 2000/43/CE, che attua il principio della parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica.

2)      L’art. 21 TFUE deve essere interpretato nel senso che:

–        non osta a che le autorità competenti di uno Stato membro rifiutino, in applicazione di una normativa nazionale secondo cui il cognome e i nomi di una persona possono essere registrati negli atti di stato civile di tale Stato esclusivamente in una forma che rispetti le regole di grafia della lingua ufficiale nazionale, di modificare nei certificati di nascita e di matrimonio di uno dei suoi cittadini il cognome e il nome di detta persona secondo le regole di grafia di un altro Stato membro;

–        non osta a che le autorità competenti di uno Stato membro rifiutino, in circostanze come quelle oggetto della causa principale e in applicazione della stessa normativa, di modificare il cognome comune a una coppia coniugata di cittadini dell’Unione, quale compare negli atti di stato civile rilasciati dallo Stato membro di origine di uno di tali cittadini, in una forma che rispetti le regole di grafia di quest’ultimo Stato, a condizione che tale diniego non provochi, per i cittadini dell’Unione interessati, seri inconvenienti di ordine amministrativo, professionale e privato, circostanza che spetta al giudice del rinvio accertare. Qualora ciò accadesse, è parimenti compito di tale giudice verificare se il diniego di modifica sia necessario alla tutela degli interessi che la normativa nazionale mira a garantire e se sia proporzionato all’obiettivo legittimamente perseguito;

–        non osta a che le autorità competenti di uno Stato membro neghino, in circostanze come quelle oggetto della causa principale e in applicazione della stessa normativa, di modificare il certificato di matrimonio di un cittadino dell’Unione che possieda la cittadinanza di un altro Stato membro affinché i nomi del cittadino medesimo siano registrati in detto certificato con segni diacritici, quali trascritti negli atti di stato civile rilasciati dal suo Stato membro di origine e in una forma che rispetti le regole di grafia della lingua ufficiale nazionale di quest’ultimo Stato.

Firme


* Lingua processuale: il lituano.

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