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Document 62008CC0069

Conclusioni dell'avvocato generale Trstenjak del 2 aprile 2009.
Raffaello Visciano contro Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS).
Domanda di pronuncia pregiudiziale: Tribunale di Napoli - Italia.
Politica sociale - Tutela dei lavoratori - Insolvenza del datore di lavoro - Direttiva 80/987/CEE - Obbligo di pagare la totalità dei crediti insoluti entro un massimale prestabilito - Natura dei crediti del lavoratore nei confronti dell’organismo di garanzia - Termine di prescrizione.
Causa C-69/08.

European Court Reports 2009 I-06741

ECLI identifier: ECLI:EU:C:2009:227

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

VERICA TRSTENJAK

presentate il 2 aprile 2009 ( 1 )

Causa C-69/08

Raffaello Visciano

contro

Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS)

«Politica sociale — Tutela dei lavoratori — Insolvenza del datore di lavoro — Direttiva 80/987/CEE — Obbligo di pagare la totalità dei crediti insoluti entro un massimale prestabilito — Natura dei crediti del lavoratore nei confronti dell’organismo di garanzia — Termine di prescrizione»

I — Introduzione

1.

Con la sua domanda di pronuncia pregiudiziale ai sensi dell’art. 234 CE, il Tribunale di Napoli (in prosieguo: il «giudice del rinvio») sottopone alla Corte di giustizia delle Comunità europee tre questioni concernenti l’interpretazione della direttiva del Consiglio 20 ottobre 1980, 80/987/CEE, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative alla tutela dei lavoratori subordinati in caso di insolvenza del datore di lavoro ( 2 ).

2.

Tale domanda viene presentata nell’ambito di un ricorso promosso dal sig. Visciano (in prosieguo: il «ricorrente») nei confronti dell’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (in prosieguo: l’«INPS»), mirante alla soddisfazione dei crediti relativi agli ultimi tre mesi del rapporto di lavoro, rimasti insoluti a causa dell’insolvenza del suo datore di lavoro. Tra le parti del procedimento principale è controverso in sostanza l’ammontare di tali crediti, ma soprattutto se l’INPS possa invocare il termine di prescrizione di un anno previsto dal diritto italiano. L’INPS rimanda al riguardo alla giurisprudenza italiana di ultimo grado, la quale attribuisce a tali crediti la natura giuridica di crediti di natura previdenziale, nonché alla non applicabilità di disposizioni nazionali suscettibili di sospendere ovvero interrompere il decorso del termine di prescrizione.

3.

Le questioni pregiudiziali sono intese a chiarire la natura giuridica nonché i requisiti di diritto comunitario concernenti la possibilità di far valere in giudizio i crediti di un lavoratore nei confronti degli organismi di garanzia che devono essere istituiti ai sensi della direttiva 80/987.

II — Contesto normativo

A — Normativa comunitaria

4.

La direttiva 80/987 contiene le seguenti disposizioni rilevanti nella loro versione applicabile al procedimento a quo.

5.

Ai sensi del suo primo ‘considerando’, sono «necessarie disposizioni per tutelare i lavoratori subordinati in caso di insolvenza del datore di lavoro, in particolare per garantire loro il pagamento dei diritti non pagati (…)».

6.

L’art. 1, nn. 1 e 2, della direttiva prevede quanto segue:

«1.   La presente direttiva si applica ai diritti dei lavoratori subordinati derivanti da contratti di lavoro o da rapporti di lavoro ed esistenti nei confronti dei datori di lavoro che si trovano in stato di insolvenza ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1.

2.   Gli Stati membri possono, in via eccezionale, escludere dal campo di applicazione della presente direttiva i diritti di alcune categorie di lavoratori subordinati, in funzione della natura particolare del contratto di lavoro o del rapporto di lavoro dei lavoratori subordinati o in funzione dell’esistenza di altre forme di garanzia che assicurano ai lavoratori subordinati una tutela equivalente a quella che risulta dalla presente direttiva.

L’elenco delle categorie di lavoratori subordinati di cui al primo comma è riportato nell’allegato».

7.

Secondo il suo art. 2, n. 2, la direttiva non pregiudica il diritto nazionale per quanto riguarda la definizione dei termini «lavoratore subordinato», «datore di lavoro», «retribuzione», «diritto maturato» e «diritto in corso di maturazione».

8.

L’art. 3 della direttiva prevede quanto segue:

«1.   Gli Stati membri adottano le misure necessarie affinché gli organismi di garanzia assicurino, fatto salvo l’articolo 4, il pagamento dei diritti non pagati dei lavoratori subordinati, risultanti da contratti di lavoro o da rapporti di lavoro e relativi alla retribuzione del periodo situato prima di una data determinata.

2.   La data di cui al paragrafo 1 è, a scelta degli Stati membri:

o quella dell’insorgere dell’insolvenza del datore di lavoro;

o quella del preavviso di licenziamento del lavoratore subordinato interessato, comunicato a causa dell’insolvenza del datore di lavoro;

o quella dell’insorgere dell’insolvenza del datore di lavoro o quella della cessazione del contratto di lavoro o del rapporto di lavoro del lavoratore subordinato interessato, avvenuta a causa dell’insolvenza del datore di lavoro».

9.

L’art. 4 della direttiva prescrive quanto segue:

«1.   Gli Stati membri hanno la facoltà di limitare l’obbligo di pagamento degli organismi di garanzia, di cui all’articolo 3.

2.   Quando si avvalgono della facoltà di cui al paragrafo 1, gli Stati membri devono:

nel caso di cui all’articolo 3, paragrafo 2, primo trattino, assicurare il pagamento dei diritti non pagati relativi alla retribuzione degli ultimi tre mesi del contratto di lavoro o del rapporto di lavoro nell’ambito di un periodo di sei mesi precedenti la data dell’insorgere dell’insolvenza del datore di lavoro;

nel caso di cui all’articolo 3, paragrafo 2, secondo trattino, assicurare il pagamento dei diritti non pagati relativi alla retribuzione degli ultimi tre mesi del contratto di lavoro o del rapporto di lavoro precedenti la data del preavviso di licenziamento del lavoratore subordinato, comunicato a causa dell’insolvenza del datore di lavoro;

o, nel caso di cui all’articolo 3, paragrafo 2, terzo trattino, assicurare il pagamento dei diritti non pagati relativi alla retribuzione degli ultimi diciotto mesi del contratto di lavoro o del rapporto di lavoro precedenti la data dell’insorgere dell’insolvenza del datore di lavoro o la data della cessazione del contratto di lavoro o del rapporto di lavoro del lavoratore subordinato, avvenuta a causa dell’insolvenza del datore di lavoro. In tal caso, gli Stati membri possono limitare l’obbligo di pagamento alla retribuzione corrispondente ad un periodo di otto settimane o a vari periodi parziali per un totale della stessa durata.

(3)   Tuttavia per evitare di versare delle somme che vanno oltre il fine sociale della presente direttiva, gli Stati membri possono fissare un massimale per la garanzia di pagamento dei diritti non pagati dei lavoratori subordinati.

(…)».

10.

L’art. 5 della direttiva contiene le seguenti disposizioni:

«Gli Stati membri fissano le modalità di organizzazione, di finanziamento e di funzionamento degli organismi di garanzia nel rispetto, in particolare, dei seguenti principi:

a)

il patrimonio degli organismi deve essere indipendente dal capitale di esercizio dei datori di lavoro e essere costituito in modo da non poter essere sequestrato in un procedimento in caso di insolvenza;

b)

i datori di lavoro devono contribuire al finanziamento, a meno che quest’ultimo non sia integralmente assicurato dai pubblici poteri;

c)

l’obbligo di pagamento a carico degli organismi esiste indipendentemente dall’adempimento degli obblighi di contribuire al finanziamento».

11.

L’art. 6 della direttiva così recita:

«Gli Stati membri possono prevedere che gli articoli 3, 4 e 5 non si applichino ai contributi dovuti a titolo dei regimi legali nazionali di sicurezza sociale o dai regimi complementari di previdenza, professionali o interprofessionali, diversi dai regimi legali nazionali di sicurezza sociale».

B — Normativa nazionale

1. La legge n. 297/1982

12.

In attuazione della direttiva 80/987, la legge 29 maggio 1982, n. 297 ( 3 ), recante la disciplina del trattamento di fine rapporto e norme in materia pensionistica, prevedeva, all’art. 2, l’istituzione presso l’INPS di un «Fondo di garanzia per il trattamento di fine rapporto», il quale, in caso di insolvenza, è tenuto a sostituirsi al datore di lavoro nel pagamento del trattamento di fine rapporto previsto dall’art. 2120 cod. civ. spettante ai lavoratori o ai loro aventi diritto. Erogata la prestazione, il Fondo di garanzia ha azione di regresso nei confronti del datore di lavoro e subentra per l’importo della somma pagata nel privilegio riconosciuto al credito del lavoratore dagli artt. 2751 bis e 2776 cod. civ.

2. Il decreto legislativo n. 80/1992

13.

Gli artt. 1 e 2 del decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 80, di attuazione della direttiva 80/987 in materia di tutela dei lavoratori subordinati in caso di insolvenza del datore di lavoro ( 4 ) (in prosieguo: il «decreto legislativo n. 80/92») disciplinano la garanzia del pagamento dei crediti di lavoro e l’intervento del Fondo di garanzia gestito dall’INPS (in prosieguo: il «Fondo»).

14.

L’art. 1 («Garanzia dei crediti di lavoro»), n. 1, del decreto legislativo n. 80/92, stabilisce quanto segue:

«Nel caso in cui il datore di lavoro sia assoggettato alle procedure di fallimento, concordato preventivo, liquidazione coatta amministrativa ovvero alla procedura dell’amministrazione straordinaria (…), il lavoratore da esso dipendente o i suoi aventi diritto possono ottenere a domanda il pagamento, a carico del Fondo di garanzia (…), dei crediti di lavoro non corrisposti di cui all’art. 2».

15.

L’art. 2, nn. 1, 2, 4 e 5 del decreto legislativo n. 80/92 così recita:

«1.   Il pagamento effettuato dal Fondo di garanzia ai sensi dell’art. 1 è relativo ai crediti di lavoro, diversi da quelli spettanti a titolo di trattamento di fine rapporto, inerenti gli ultimi tre mesi del rapporto di lavoro rientranti nei dodici mesi che precedono: a) la data del provvedimento che determina l’apertura di una delle procedure indicate nell’art. 1, comma 1; b) la data di inizio dell’esecuzione forzata; c) la data del provvedimento di messa in liquidazione o di cessazione dell’esercizio provvisorio ovvero dell’autorizzazione alla continuazione dell’esercizio di impresa per i lavoratori che abbiano continuato a prestare attività lavorativa, ovvero la data di cessazione del rapporto di lavoro, se questa è intervenuta durante la continuazione dell’attività dell’impresa.

2.   Il pagamento effettuato dal Fondo ai sensi del comma 1 non può essere superiore ad una somma pari a tre volte la misura massima del trattamento straordinario di integrazione salariale mensile al netto delle trattenute previdenziali e assistenziali.

(…)

4.   Il pagamento di cui al comma 1 non è cumulabile fino a concorrenza degli importi: a) con il trattamento straordinario di integrazione salariale fruito nell’arco dei dodici mesi di cui al comma 1; b) con le retribuzioni corrisposte al lavoratore nell’arco dei tre mesi di cui al comma 1; c) con l’indennità di mobilità riconosciuta ai sensi della legge 23 luglio 1991, n. 223, nell’arco dei tre mesi successivi alla risoluzione di rapporto di lavoro.

5.   Il diritto alla prestazione di cui al comma 1 si prescrive in un anno (…)».

III — Fatti, procedimento principale e questioni pregiudiziali

16.

Dall’ordinanza di rinvio si evince che il ricorrente nel procedimento principale ha prestato attività lavorativa subordinata fino al 9 novembre 2000 alle dipendenze della società di vigilanza La Metropoli S.a.r.l. In tale data, a seguito dell’apertura della procedura concorsuale di liquidazione coatta amministrativa per insolvenza, dichiarata con decreto ministeriale , egli veniva assoggettato alla procedura di licenziamento collettivo ai sensi degli artt. 4 e 24 della legge n. 223/1991.

17.

L’8 giugno 2001, il ricorrente proponeva, ai sensi degli artt. 1 e 2 del decreto legislativo , n. 80, recante attuazione della direttiva 80/987, una domanda volta ad ottenere dal Fondo di garanzia istituito presso l’INPS il pagamento dei crediti di lavoro rimasti insoluti relativi agli ultimi tre mesi del rapporto di lavoro.

18.

L’INPS, nel liquidare la prestazione a carico del Fondo, anziché erogargli la retribuzione rimasta insoluta nel limite fissato dal decreto legislativo 80/1992, ossia tre volte la misura massima del trattamento straordinario di integrazione salariale, sottraeva dal massimale fissato per legge gli anticipi sulla retribuzione ottenuti dal datore di lavoro, liquidando così una somma inferiore a quella spettante.

19.

Il ricorrente faceva valere che la metodologia seguita dall’INPS, di sottrazione dal massimale degli anticipi sulla retribuzione pagati dal datore di lavoro, fosse illegittima alla luce della sentenza della Corte di giustizia 4 marzo 2004, Barsotti e a. ( 5 ), e chiedeva che il giudice del rinvio gli riconoscesse il diritto a percepire la differenza tra l’importo che gli era già stato erogato ed il massimale spettantegli senza alcuna detrazione.

20.

A fronte del ricorso l’INPS eccepiva la prescrizione annuale del credito. Essa rilevava al riguardo che il credito fatto valere nei confronti del Fondo di garanzia non fosse lo stesso credito vantato nei confronti del datore di lavoro, bensì un’autonoma e distinta obbligazione previdenziale. Tale istituto obiettava inoltre che la natura autonoma e previdenziale del credito escludeva la qualificazione della fattispecie in termini di accollo ex lege e rendeva inapplicabili le norme sulla prescrizione nelle obbligazioni solidali e quindi l’art. 94 della legge fallimentare, che dispone la sospensione del decorso della prescrizione sino alla chiusura della procedura concorsuale. In assenza di sospensione o di precedenti atti interruttivi della prescrizione, il credito azionato doveva ritenersi prescritto per l’avvenuto decorso del termine annuale ai sensi dell’art. 2 del decreto legislativo n. 80/92.

21.

Secondo il Tribunale di Napoli la decisione giudiziaria della controversia dipende dall’applicazione del diritto comunitario. Esso solleva al contempo dubbi in merito all’applicazione degli artt. 3 e 4 della direttiva 80/987 nonché di ulteriori principi del diritto comunitario. Alla luce di tali circostanze ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)

Se gli articoli 3 e 4 della direttiva 20 ottobre 1980, n. 80/987 nella parte in cui prevedono il pagamento dei diritti non pagati ai lavoratori subordinati relativi alla retribuzione, consentono che tali crediti, nel momento in cui vengono fatti valere nei confronti dell’organismo di garanzia, vengano privati della loro iniziale natura retributiva ed assumano la diversa qualificazione previdenziale per il solo fatto che la loro erogazione sia stata affidata dallo Stato membro ad un istituto previdenziale, e che quindi nella normativa nazionale il termine «retribuzione» venga sostituito dall’espressione “prestazione previdenziale”.

2)

Se per il fine sociale della direttiva è sufficiente che la normativa nazionale utilizzi il credito retributivo iniziale del lavoratore subordinato come un mero termine di paragone, rispetto al quale determinare per relationem la prestazione da garantire con l’intervento dell’organismo di garanzia, o si richiede che il credito retributivo del lavoratore nei confronti del datore di lavoro insolvente venga tutelato, grazie all’intervento dell’organismo di garanzia, assicurandogli eguale contenuto, garanzie, tempi e modalità di esercizio di quelle riconosciute a qualsiasi altro credito di lavoro nello stesso ordinamento.

3)

Se i principi desumibili dalla normativa comunitaria, ed in particolare i principi di equivalenza ed effettività, consentono di applicare ai diritti non pagati ai lavoratori subordinati relativi alla retribuzione del periodo individuato ai sensi dell’art. 4 della direttiva n. 80/987 un regime prescrizionale meno favorevole rispetto a quello applicato a crediti di analoga natura».

IV — Procedimento dinnanzi alla Corte

22.

L’ordinanza di rinvio del 29 gennaio 2008 è pervenuta alla cancelleria della Corte il .

23.

Hanno presentato osservazioni scritte, nei termini previsti dall’art. 23 dello Statuto della Corte, il ricorrente nel procedimento principale, l’INPS, i governi della Repubblica italiana, del Regno dei Paesi Bassi e del Regno di Spagna nonché la Commissione.

24.

All’udienza del 12 febbraio 2009 hanno presentato osservazioni i rappresentanti del ricorrente nel procedimento principale, dell’INPS, dei governi della Repubblica italiana, del Regno dei Paesi Bassi e del Regno di Spagna nonché della Commissione.

V — Argomenti sostanziali delle parti

A — Sulla prima questione

25.

Il ricorrente nel procedimento principale suggerisce di risolvere la prima questione nel senso che un’interpretazione della direttiva 80/987 intesa a conferire ai crediti nei confronti del Fondo di garanzia una natura giuridica diversa da quella retributiva sia incompatibile con il fine sociale delle direttiva, in quanto una siffatta interpretazione scende al di sotto del livello di protezione fissato dal diritto comunitario. Il ricorrente chiarisce che il legislatore comunitario avrebbe inteso munire il rapporto di lavoro di una garanzia supplementare nel caso di insolvenza del datore di lavoro ponendo a carico degli Stati membri il pagamento di una parte della retribuzione non corrisposta.

26.

L’INPS sottolinea che le questioni pregiudiziali riguarderebbero solo il caso in cui il diritto al pagamento della retribuzione non corrisposta venga fatto valere nell’ambito di una procedura concorsuale. La recente giurisprudenza della Corte di cassazione, la quale attribuirebbe natura previdenziale ai diritti risultanti dalla direttiva 80/987, rafforzerebbe la loro tutela. Il fine sociale della direttiva sarebbe salvaguardato dall’organismo di garanzia, in quanto viene assicurato il pagamento integrale della retribuzione.

27.

Il governo italiano suggerisce di risolvere la prima questione nel senso che gli artt. 3 e 4 della direttiva 80/987 consentono che i crediti insoluti del lavoratore, allorché vengono fatti valere nei confronti dell’organismo di garanzia, perdono la loro originaria natura giuridica retributiva e acquisiscono la diversa natura giuridica di prestazione previdenziale, in quanto lo Stato ha affidato il loro soddisfacimento ad un organismo di garanzia e il legislatore nazionale ha corrispondentemente sostituito il termine «retribuzione» con l’espressione «prestazione previdenziale».

28.

Il governo italiano argomenta che il lavoratore sarebbe tutelato in modo particolare dalla struttura che caratterizzerebbe gli organismi di garanzia, in quanto questi ultimi sarebbero sottratti a procedure esecutive. La direttiva prevedrebbe inoltre la possibilità di limitare sotto il profilo temporale l’obbligo di pagamento a carico degli organismi di garanzia nonché di fissare un massimale. Gli organismi di garanzia garantirebbero in tal modo un minimo a tutti i lavoratori. Il pagamento delle retribuzioni rimaste insolute non sarebbe invece assicurato se il lavoratore dovesse far valere egli stesso i propri diritti nei confronti del datore di lavoro.

29.

Il governo spagnolo suggerisce di risolvere negativamente la prima questione. Esso rimanda innanzitutto alla circostanza che la convenzione dell’OIL n. 173 e la raccomandazione n. 180 avrebbero sancito la tutela delle retribuzioni attraverso gli organismi di garanzia. In secondo luogo esso sostiene che la prestazione erogata dall’organismo di garanzia debba essere considerata quale retribuzione, e ciò a prescindere dalla circostanza che il patrimonio dell’organismo di garanzia, come altre prestazioni sociali, venga gestito dall’INPS stessa.

30.

La Commissione ritiene che la prima questione debba essere risolta nel senso che gli artt. 3 e 4 della direttiva 80/987 non ostano ad una normativa nazionale come quella di cui alla legge n. 297/82 e al decreto legislativo n. 80/92, la quale conferisce ai crediti vantati dal lavoratore nei confronti dell’organismo di garanzia una natura giuridica diversa rispetto a quelli che gli spettano nei confronti del datore di lavoro.

31.

La direttiva 80/987 prescriverebbe un obbligo di risultato e lascerebbe a ciascuno Stato membro la scelta dei mezzi per conseguirlo. Ciò che rileverebbe è che i crediti del lavoratore rimasti insoluti vengano pagati dall’organismo di garanzia, e ciò a prescindere dalla natura giuridica dei crediti fatti valere nei confronti dell’organismo stesso.

32.

La Commissione sottolinea l’ambiguità della legislazione italiana quanto alla qualificazione dei crediti del lavoratore nei confronti dell’organismo di garanzia, in quanto essa consentirebbe di qualificarli sia come «crediti retributivi» sia come «prestazione previdenziale».

B — Sulla seconda questione

33.

Secondo la Commissione, la direttiva 80/987 deve essere interpretata nel senso che per il suo recepimento sia sufficiente, con riguardo al suo fine sociale, che la normativa nazionale utilizzi il credito retributivo iniziale del lavoratore subordinato come un mero termine di paragone, rispetto al quale determinare per relationem la prestazione da garantire con l’intervento del Fondo di garanzia. Essa sottolinea che la direttiva sarebbe intesa a garantire ai lavoratori una tutela minima quanto al pagamento dei crediti retributivi rimasti insoluti nel caso di insolvenza del datore di lavoro. Se gli autori della direttiva avessero inteso equiparare sotto ogni aspetto il credito del lavoratore nei confronti del Fondo di garanzia a quello nei confronti del proprio datore di lavoro, essi non si sarebbero accordati con gli Stati membri sulla possibilità di limitare l’obbligo di pagamento da parte del Fondo di garanzia.

34.

Il governo italiano suggerisce di rispondere nel senso che per il fine sociale della direttiva sia sufficiente che la normativa nazionale impieghi il credito retributivo solo quale termine di paragone rispetto al quale determinare per relationem la prestazione da garantire con l’intervento del Fondo di garanzia, senza che il credito retributivo del lavoratore nei confronti del datore di lavoro insolvente debba coincidere esattamente in senso giuridico, quanto alla persistenza di garanzie, termini e altre modalità, con tutti gli altri crediti retributivi analoghi. Esso chiarisce che la più recente giurisprudenza della Corte di cassazione si fonderebbe sull’idea che il diritto al pagamento nei confronti del Fondo di garanzia nascerebbe non in forza del rapporto di lavoro bensì dal rapporto con l’organismo di garanzia. Da questa natura autonoma rispetto a quella del credito nei confronti del datore di lavoro discenderebbe l’inapplicabilità delle disposizioni inerenti i crediti retributivi.

35.

Il governo olandese suggerisce di rispondere nel senso che, in relazione al fine sociale della direttiva, sia sufficiente che la normativa nazionale utilizzi la nozione di credito retributivo solo come termine di paragone, rispetto al quale determinare per relationem la prestazione da garantire attraverso l’organismo di garanzia. Non sarebbe necessario che la normativa nazionale tratti tale credito in conformità della sua natura giuridica originaria.

36.

Il governo spagnolo espone che sarebbe adeguato assoggettare i crediti retribuitivi non corrisposti, nel caso di insolvenza del datore di lavoro, al medesimo regime di tutela previsto per le retribuzioni in generale. Esso rileva che i crediti retributivi beneficerebbero di talune garanzie che dovrebbero essere preservate.

C — Sulla terza questione

37.

Il ricorrente nel procedimento principale suggerisce di rispondere nel senso che un’interpretazione della direttiva 80/987 tendente a riconoscere ai crediti vantati nei confronti del Fondo una natura giuridica diversa da quella dei crediti di lavoro è inammissibile, in quanto essa crea una disparità fra i lavoratori nei diversi Stati membri legata all’esistenza o meno di un sistema di previdenza sociale. Tale interpretazione comporterebbe inoltre una disparità di trattamento fra i lavoratori del medesimo Stato membro.

38.

Egli rammenta che la giurisprudenza più recente della Corte di Cassazione comporterebbe che per i crediti esistenti nei confronti dell’organismo di garanzia verrebbe creato un regime prescrizionale diverso rispetto a quello valido per tutti gli altri crediti della massa fallimentare.

39.

Egli sottolinea inoltre che — nonostante la procedura fallimentare sia ancora aperta e il termine di prescrizione per l’ammissione al passivo dei crediti sia pertanto sospeso — i lavoratori che non abbiano ancora ottenuto la somma nell’ammontare stabilito nella sentenza Barsotti vedrebbero prescritto il loro credito ammesso al passivo solo a causa della sua qualificazione come prestazione previdenziale.

40.

Infine, egli fa valere che una siffatta qualificazione sarebbe contraria ai principi della parità di trattamento e di effettività.

41.

L’INPS osserva che la Corte di cassazione, con sentenza 18 aprile 2001 avrebbe respinto l’eccezione pregiudiziale relativa all’incompatibilità con il principio di equivalenza, motivando che la previsione di un termine annuale di prescrizione non avrebbe comportato per il lavoratore alcuno svantaggio rispetto ad un ricorso analogo di natura interna. Nel procedimento a quo l’inerzia del lavoratore, il quale avrebbe agito in giudizio per ottenere il pagamento delle retribuzioni rimaste insolute solo dopo più di un anno dalla presentazione della domanda di pagamento, sarebbe dovuta al fatto che, alla luce dello sviluppo della giurisprudenza, sarebbe stato difficile stabilire con certezza il momento iniziale della decorrenza del termine. La giurisprudenza della Corte di cassazione non avrebbe tuttavia come conseguenza quella di impedire l’esercizio tempestivo delle pretese retributive del lavoratore nei confronti del Fondo di garanzia.

42.

Secondo la Commissione, la terza questione si fonda sulla presunzione che i crediti retributivi fatti valere dal lavoratore nei confronti dell’organismo di garanzia rivestirebbero il medesimo carattere giuridico di quelli che il lavoratore potrebbe far valere nei confronti del proprio datore di lavoro. In considerazione della soluzione suggerita per la prima questione, diverrebbe superfluo risolvere la terza questione.

43.

Qualora il giudice nazionale dovesse comunque pervenire alla conclusione che i due tipi di credito presentino un carattere giuridico analogo, il principio di uguaglianza e di non discriminazione imporrebbe la parità di trattamento dei crediti fatti valere nei confronti del datore di lavoro nell’ambito di una procedura fallimentare. In relazione all’interruzione della prescrizione essi dovrebbero pertanto essere assoggettati alle medesime modalità.

44.

Il governo italiano suggerisce di risolvere la terza questione nel senso che i principi del diritto comunitario, e segnatamente i principi di equivalenza e di effettività, consentono di applicare ai crediti retributivi rimasti insoluti un regime prescrizionale meno favorevole rispetto a quello applicato a crediti analoghi, in quanto la disciplina rispettivamente applicabile deve essere presa in considerazione nel suo complesso.

45.

In relazione al principio di effettività, il governo italiano argomenta che il decreto legislativo n. 80/92 sarebbe estremamente chiaro nel fissare un termine di prescrizione di un anno. Il mutamento nella giurisprudenza della Corte di cassazione riguarderebbe esclusivamente l’applicabilità della solidarietà passiva. In relazione al principio di equivalenza esso dichiara che il termine annuale di prescrizione sarebbe applicabile in generale alle prestazioni previdenziali. Esso sottolinea inoltre che la Corte di cassazione partirebbe di regola dal presupposto che la prescrizione non inizierebbe a decorrere fintantoché non si verifichino gli specifici presupposti per il sorgere del diritto alle prestazioni previdenziali, il che avverrebbe non al momento della cessazione del rapporto di lavoro, bensì allorché si realizzano le condizioni previste dalla legge fallimentare.

46.

Secondo il governo olandese, il diritto comunitario non osta all’applicazione di un regime prescrizionale come quello che caratterizza il giudizio a quo ai crediti retributivi dei lavoratori rimasti insoluti relativi al periodo individuato ai sensi dell’art. 4 della direttiva 80/987, nella misura in cui tale regime prescrizionale non sia contrario ai principi di equivalenza e di effettività.

47.

Il governo olandese si fonda al riguardo sulla sentenza Pflücke ( 6 ), la quale autorizza gli Stati membri a fissare un termine di decadenza ai fini della proposizione da parte di un lavoratore, secondo il diritto nazionale, di una domanda diretta ad ottenere la corresponsione di un’indennità di insolvenza, sempreché tale termine osservi i principi generali del diritto comunitario. Esso non deve pertanto, ai sensi del principio di equivalenza, risultare meno favorevole rispetto a quelli relativi a domande analoghe di natura interna e, in conformità del il principio di effettività, non deve essere strutturato in modo tale da rendere praticamente impossibile l’esercizio dei diritti riconosciuti dall’ordinamento giuridico comunitario.

48.

Esso richiama inoltre l’attenzione sul fatto che il giudice del rinvio sosterrebbe manifestamente la posizione secondo la quale il regime di prescrizione applicabile ai crediti in questione sarebbe meno favorevole rispetto a quello applicato a crediti analoghi. Esso fa valere che l’applicazione del principio di equivalenza implicherebbe un confronto fra le norme procedurali applicabili a crediti analoghi. Qualora uno Stato membro abbia optato per un regime in cui la garanzia delle retribuzioni sia configurata quale credito di diritto civile, il termine di prescrizione applicabile a crediti analoghi di diritto civile dovrebbe essere impiegato quale metro di paragone. Lo stesso dovrebbe valere qualora la garanzia delle retribuzioni sia configurata quale diritto ad una prestazione previdenziale.

49.

Il governo spagnolo suggerisce di risolvere negativamente la terza questione. Esso ritiene che una legge nazionale, la quale preveda un termine di decadenza di un anno senza specificare il momento di decorrenza di tale termine e senza tenere conto delle peculiarità della procedura fallimentare del datore di lavoro, sarebbe idonea a generare una situazione in cui la tutela concessa sarebbe inferiore alla tutela minima prevista dalla direttiva 80/987.

VI — Valutazione giuridica

A — Osservazioni preliminari

50.

Il diritto del lavoro degli Stati membri dell’Unione europea è stato oggetto di armonizzazione in alcuni settori. Il diritto emanato al riguardo può essere in linea di principio suddiviso in dichiarazioni di principio, normative intese alla tutela del lavoratore nel caso di crisi aziendali e alla salvaguardia della parità di trattamento tra uomini e donne, nonché in disposizioni concernenti la tutela del lavoro sul piano tecnico ( 7 ).

51.

La direttiva 80/987 deve essere classificata nella seconda categoria delle normative comunitarie nel settore del diritto del lavoro ( 8 ). Con essa viene assicurata una tutela minima di tutti i lavoratori subordinati in caso d’insolvenza del datore di lavoro ( 9 ). I crediti non soddisfatti dal datore di lavoro risultanti da contratti di lavoro o da rapporti di lavoro e relativi alla retribuzione per un determinato periodo di tempo, vengono saldati da organismi di garanzia che devono essere creati ad hoc. Senza la tutela della direttiva 80/987, i crediti dei lavoratori aventi ad oggetto il pagamento della retribuzione verrebbero spesso riuniti ai crediti di altri creditori di pari rango. La loro realizzazione è, in questi casi, quasi senza speranza ( 10 ). Questa direttiva persegue pertanto, come risulta già dal suo primo ‘considerando’ [«necessità di un equilibrato sviluppo (…) sociale nella Comunità»] e come ha ripetutamente sottolineato la Corte nella sua giurisprudenza, un fine sociale nell’interesse dei lavoratori ( 11 ). Lo stesso vale per la direttiva 2002/74/CE ( 12 ), la quale doveva essere recepita nel diritto nazionale entro l’8 ottobre 2005, e che, a causa delle modifiche del diritto fallimentare intervenute negli Stati membri e dello sviluppo del mercato interno, è stata accompagnata da adeguamenti e modifiche sulla scorta della giurisprudenza della Corte.

52.

La tutela offerta dalla direttiva 80/987 è, da un lato, concepita quale standard minimo di diritto comunitario. Dall’altro, essa risulta da un’armonizzazione parziale ( 13 ) del diritto nazionale, il che comporta che la facoltà degli Stati membri di applicare o di introdurre disposizioni legislative, regolamentari o amministrative più favorevoli per i lavoratori non è limitata, come si evince espressamente dall’art. 9 della direttiva 80/987 ( 14 ). Al contempo il legislatore comunitario accorda agli Stati membri, nell’attuazione della direttiva 80/987, un ampio potere discrezionale ( 15 ) nella misura in cui esso, inter alia, lascia ai medesimi la specificazione delle modalità di organizzazione, di finanziamento e di funzionamento degli organismi di garanzia (art. 5) nonché la scelta delle misure necessarie affinché venga assicurato il pagamento dei diritti non pagati dei lavoratori subordinati (art. 3). Il legislatore evita inoltre di fornire esso stesso definizioni legali per talune nozioni di diritto del lavoro contenute nell’art. 2, n. 2, e rimanda invece, quanto alla loro determinazione, al singolo diritto nazionale ( 16 ).

53.

Non è la prima volta che la Corte si occupa di questioni pregiudiziali sollevate da giudici italiani concernenti l’interpretazione della direttiva 80/987. La presente domanda di pronuncia pregiudiziale offre ancora una volta la possibilità di mostrare le interfacce fra il diritto del lavoro della Comunità come espresso dalla direttiva 80/987 e il diritto nazionale, al fine di precisare, se del caso, i confini delle competenze legislative degli Stati membri nell’interesse di un’attuazione effettiva delle pretese di diritto comunitario dei lavoratori.

B — Sulla prima questione

54.

Con la prima questione il giudice del rinvio chiede se sia compatibile con la direttiva 80/987 il fatto che il diritto nazionale non considera più i crediti del lavoratore come crediti di natura retributiva bensì come crediti di natura previdenziale, in quanto lo Stato membro ha affidato la loro erogazione ad un istituto previdenziale.

55.

Il giudice a quo, nella sua ordinanza di rinvio, rimanda alla circostanza che negli ultimi anni si sarebbero formate, nella giurisprudenza della Corte di cassazione, interpretazioni diverse quanto alla natura giuridica delle prestazioni erogate dal Fondo di garanzia per coprire i crediti dei lavoratori relativi agli ultimi tre mesi del rapporto di lavoro, rimasti insoluti a seguito dell’insolvenza del datore di lavoro, interpretazioni le quali influenzerebbero la giurisprudenza dei giudici di merito, segnatamente in relazione al decorso del termine annuale di prescrizione previsto nell’ordinamento giuridico italiano per le prestazioni previdenziali. Mentre un primo orientamento, manifestato dalle Sezioni Unite, classificherebbe le prestazioni del Fondo come «retribuzione», un secondo orientamento partirebbe dal presupposto che il credito vantato nei confronti dell’organismo di garanzia avrebbe ad oggetto una «prestazione previdenziale», la quale dovrebbe essere considerata indipendente dal diritto al pagamento della retribuzione vantato nei confronti del datore di lavoro. Il governo italiano sottolinea, nelle sue osservazioni scritte, che la Corte di cassazione aderirebbe attualmente a questa seconda tesi.

56.

Ad un esame più approfondito degli argomenti esposti a favore dell’una e dell’altra classificazione delle prestazioni controverse risulta evidente che le tesi sostenute all’interno della giurisprudenza italiana di ultimo grado si fondano principalmente sulle peculiarità del diritto italiano. Ciò vale, per esempio, per la questione dell’applicabilità di quelle disposizioni che fissano i rispettivi termini di prescrizione nonché di quelle che disciplinano la sospensione ovvero l’interruzione del decorso di siffatti termini. Come correttamente esposto dalla Commissione e dal giudice del rinvio, a seconda della disposizione nazionale, è possibile produrre argomenti a favore e contro una determinata tesi.

57.

Occorre inoltre rammentare che non rientra nella competenza della Corte prendere posizione, nell’ambito di un rinvio pregiudiziale ai sensi dell’art. 234 CE, in merito a disposizioni degli ordinamenti giuridici nazionali. Secondo giurisprudenza costante ( 17 ), la Corte non può infatti pronunciarsi, nell’ambito dell’art. 234 CE, né sull’interpretazione di disposizioni legislative o regolamentari nazionali né sulla loro compatibilità con il diritto comunitario. Essa può tuttavia fornire al giudice nazionale gli elementi interpretativi attinenti al diritto comunitario che gli consentono di risolvere il problema giuridico ad esso sottoposto.

58.

In tal senso occorre pertanto rinviare al già menzionato potere discrezionale degli Stati membri in sede di attuazione della direttiva 80/987 ( 18 ), il quale li autorizza a disciplinare essi stessi i dettagli del sistema di garanzia, mentre al contempo viene loro prescritto un determinato fine di tutela di diritto comunitario. Al riguardo, il legislatore comunitario esige esclusivamente, ai sensi dell’art. 3, n. 1, della direttiva 80/987, che gli Stati membri «adott[i]no le misure necessarie» affinché gli organismi di garanzia«assicurino» il pagamento dei diritti non pagati dei lavoratori subordinati, risultanti da contratti di lavoro o da rapporti di lavoro e relativi alla retribuzione del periodo situato prima di una data determinata.

59.

In conformità della sua natura giuridica di direttiva, essa, ai sensi dell’art. 249, terzo comma, CE, è vincolante per quanto riguarda il risultato da raggiungere, salva restando la competenza degli organi nazionali in merito alla forma e ai mezzi. All’attuazione di ogni direttiva è pertanto connesso l’obbligo, incombente a ciascuno Stato membro, di attestare un determinato risultato ( 19 ), il quale, nel caso della direttiva 80/987, può configurarsi come la concessione effettiva di una garanzia supplementare per il pagamento delle retribuzioni rimaste insolute nel caso di insolvenza del datore di lavoro.

60.

Come esposto all’inizio, il legislatore comunitario lascia inoltre agli Stati membri il compito di specificare le modalità di organizzazione, di finanziamento e di funzionamento degli organismi di garanzia, limitandosi a fissare talune condizioni quadro imperative intese ad assicurare che il fine di tutela della direttiva venga in ogni caso conseguito.

61.

Poiché l’obbligo degli Stati membri consiste in sostanza nell’instaurare una situazione giuridica auspicata dalla direttiva, è irrilevante, dal punto di vista del legislatore comunitario, il carattere giuridico che in definitiva rivestono i crediti del lavoratore nei confronti dell’organismo di garanzia, tanto più che dalle disposizioni della direttiva 80/987 non sono ravvisabili elementi a favore di un’interpretazione opposta. Di conseguenza, il legislatore comunitario è in linea di principio libero, allo stato attuale del diritto comunitario, di determinare esso stesso la natura giuridica di tali crediti, fintantoché ciò sia conforme al resto del diritto comunitario. Mi occuperò ancora, nell’ambito dell’esame della terza questione pregiudiziale, dei limiti posti dal diritto comunitario alla libertà organizzativa del legislatore nazionale nel recepimento della direttiva 80/987.

62.

Il fatto che la competenza di stabilire la natura giuridica dei crediti nei confronti dell’organismo di garanzia spetti in linea di principio al legislatore nazionale si spiega in definitiva anche sulla scorta della circostanza che la direttiva 80/987 si limita ad un’armonizzazione minima, al fine di fissare un livello minimo di tutela per i lavoratori. Essa è stata emanata sul fondamento dell’art. 100 Trattato CEE (art. 94 CE) e dovrebbe esplicare effetti sul riavvicinamento delle disposizioni legislative nazionali nel progresso ai sensi dell’art. 117 di tale Trattato (art. 136 CE). L’armonizzazione perseguita dovrebbe peraltro avvenire solo per tappe, tanto più che il legislatore comunitario, come ha dichiarato la Corte nella sentenza Francovich II ( 20 ), ha incontrato la difficoltà di armonizzare sistemi nazionali molto diversi fra loro, i quali in parte non conoscevano questo tipo di meccanismi di garanzia ( 21 ). La Corte ha pertanto riconosciuto, nella medesima sentenza, che, nonostante la direttiva costituisca certamente un progresso sulla via del miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro della mano d’opera in tutta la Comunità come pure su quella dell’armonizzazione graduale delle pertinenti legislazioni, permangono differenze nelle legislazioni da uno Stato membro all’altro, le quali possono ripercuotersi sulla tutela dei lavoratori ( 22 ).

63.

Diversamente dal giudice del rinvio, ritengo che dalla semplice circostanza che gli artt. 3 e 4 della direttiva 80/987 parlino di «retribuzione» non possa trarsi alcuna conclusione su un’eventuale classificazione effettuata dal diritto comunitario delle controverse prestazioni dell’organismo di garanzia. Una siffatta interpretazione esclusivamente letterale non tiene conto del fatto che questa direttiva, ai sensi del suo art. 2, n. 2, non pregiudica il diritto del singolo Stato per quanto riguarda la definizione della nozione di «retribuzione». Nella sentenza Rodríguez Caballero ( 23 ), la Corte ha interpretato questa disposizione nel senso che compete al diritto nazionale precisare la nozione di «retribuzione» e definirne il contenuto. Come riconosciuto dalla Corte in tale sentenza, questa disposizione deve essere intesa giuridicamente come un rinvio diretto al diritto nazionale.

64.

Mi sembra inoltre conforme alla direttiva e all’obiettivo da essa perseguito classificare come credito di natura previdenziale il credito del lavoratore nei confronti dell’organismo di garanzia ( 24 ). La natura giuridica dei crediti vantati dal lavoratore nei confronti dell’organismo di garanzia dipende da se l’organismo di garanzia subentri in un debito del datore di lavoro o se esso eroghi una prestazione autonoma e faccia riferimento, quanto all’ammontare della medesima, alla retribuzione corrisposta fino a quel momento. Per la soluzione di tale questione rileva la natura giuridica dell’organismo di garanzia stesso secondo i precetti della direttiva. L’art. 5 della direttiva 80/987 prevede al riguardo che l’organismo di garanzia venga alimentato finanziariamente dai contributi dei datori di lavoro e dei pubblici poteri. I dettagli vengono fissati dagli Stati membri stessi. In tal modo l’organismo di garanzia acquista piuttosto il carattere di un ente previdenziale. Già ciò depone a favore del fatto che è conforme alla direttiva 80/987 considerare come una prestazione autonoma la prestazione erogata dall’organismo di garanzia, con la conseguenza che anche i crediti del lavoratore nei confronti del Fondo non devono condividere la natura giuridica del credito retributivo originario per essere conformi alla medesima.

65.

L’art. 5, lett. c), della direttiva 80/987 prescrive inoltre che l’esistenza dell’obbligo di pagamento a carico dell’organismo di garanzia nei confronti dei lavoratori di cui trattasi non può essere fatta dipendere dall’effettivo adempimento, da parte del datore di lavoro, del suo obbligo di finanziamento nei confronti dell’organismo di garanzia ( 25 ). Tale organismo deve, in altre parole, adempiere in ogni caso al suo obbligo di pagamento allorché sussistono i relativi presupposti di diritto. Questa disposizione mira a prevenire il pericolo che il lavoratore, in seguito all’insolvenza del datore di lavoro, perda i propri diritti nei confronti dell’organismo di garanzia, nonostante sia proprio tale organismo a doverlo tutelare nei casi di insolvenza del suo datore di lavoro. Da questa disposizione della direttiva si può inoltre ricavare che non occorre necessariamente equiparare, sotto il profilo giuridico, il credito vantato nei confronti dell’organismo di garanzia al credito vantato nei confronti del datore di lavoro. Piuttosto, esso esiste per legge, a prescindere dalla capacità e dalla volontà contributiva del datore di lavoro. Ritengo pertanto che esso non debba neanche presentare lo stesso carattere giuridico del credito esistente nei confronti del datore di lavoro.

66.

Infine, nell’esaminare la prima questione, occorre valutare la circostanza che gli Stati membri, ai sensi dell’art. 6 della direttiva 80/987, possono escludere i pagamenti del datore di lavoro a favore dei regimi legali di sicurezza sociale. Tali contributi costituiscono tuttavia, in linea di principio, anche una componente della retribuzione, in quanto si fondano sul rapporto di lavoro reciproco e sono dovuti insieme alla retribuzione, anche qualora quest’ultima — come nel caso di insolvenza — non venga corrisposta. La possibilità, accordata dalla direttiva 80/987, di compensare in altro modo gli svantaggi risultanti dal mancato pagamento dei contributi previdenziali mostra dunque, parimenti, che la direttiva 80/987 non pone come condizione una ripresa del credito retributivo originario nella normativa nazionale.

67.

Occorre pertanto risolvere la prima questione pregiudiziale nel senso che gli artt. 3 e 4 della direttiva 80/987 non ostano ad una normativa nazionale come quella di cui alla legge n. 297/82 e al decreto legislativo n. 80/92, la quale conferisce ai crediti del lavoratore nei confronti dell’organismo di garanzia una natura giuridica diversa da quella che rivestono i crediti vantati nei confronti del proprio datore di lavoro.

C — Sulla seconda questione

68.

Con la seconda questione il giudice del rinvio chiede se per il fine sociale della direttiva sia sufficiente che la normativa nazionale utilizzi il credito retributivo iniziale del lavoratore subordinato come un mero termine di paragone, rispetto al quale determinare per relationem la prestazione da garantire con l’intervento dell’organismo di garanzia o se debba piuttosto essere assicurato che tale credito abbia eguale contenuto, garanzie, tempi e modalità di esercizio di quelle riconosciute a qualsiasi altro credito di lavoro nello stesso ordinamento giuridico.

69.

Per poter risolvere tale questione occorre innanzitutto esaminare l’art. 4 della direttiva 80/987, il cui n. 1 prevede che gli Stati membri hanno la facoltà di limitare l’obbligo di pagamento degli organismi di garanzia di cui all’art. 3. Consentendo la limitazione della garanzia dei crediti da parte degli organismi di garanzia sia sotto il profilo temporale sia del loro ammontare, si mira, da un lato, ad impedire che gli organismi di garanzia vengano gravati eccessivamente dal punto di vista finanziario, dall’altro, ad assicurare tuttavia anche una tutela a fronte di uno sfruttamento abusivo dell’organismo di garanzia ( 26 ). Fissando un massimale si impedisce che vengano versati importi per un ammontare che oltrepassa il fine sociale della direttiva ( 27 ).

70.

Qualunque sia la finalità di questa normativa dal punto di vista del legislatore, già sulla scorta di questa autorizzazione emerge che il credito del lavoratore nei confronti dell’organismo di garanzia non è qualitativamente identico al credito nei confronti del datore di lavoro insolvente, ma piuttosto è soggetto a restrizioni, le quali, fatti salvi i limiti fissati in maniera esatta all’art. 4, nn. 2 e 3, rientrano nella discrezionalità degli Stati membri. Se il legislatore comunitario avesse avuto la finalità di collocare sotto il profilo giuridico il lavoratore nei confronti dell’organismo di garanzia nella stessa posizione in cui lo stesso si trova nei confronti del datore di lavoro, avrebbe rinunciato, come espone correttamente la Commissione, ad una siffatta limitazione della portata della tutela della direttiva 80/987.

71.

Già per questo motivo, un’interpretazione secondo la quale la direttiva 80/987 è intesa ad equiparare il credito nei confronti dell’organismo di garanzia, quanto a contenuto, garanzie, tempi e modalità di esercizio, a qualsiasi altro credito di lavoro nel medesimo ordinamento giurisdizionale, sarebbe insostenibile.

72.

Inoltre, la decisione concernente la natura giuridica del credito del lavoratore nei confronti dell’organismo di garanzia, come da me esposto nell’ambito dell’esame della prima questione pregiudiziale, rientra in linea di principio, in assenza di un’espressa disciplina nella direttiva 80/987, nella competenza degli Stati membri. Alla luce di una possibile divergenza quanto alla natura giuridica dei due tipi di credito, non si può escludere che il contenuto, le garanzie, i tempi e le modalità di esercizio dei crediti nei confronti del datore di lavoro e dell’organismo di garanzia divergano parimenti l’uno dall’altro. Ciò non viola di per sé il diritto comunitario al suo stato attuale.

73.

Occorre pertanto risolvere la seconda questione nel senso che per il fine sociale della direttiva è sufficiente che la normativa nazionale utilizzi il credito retributivo iniziale del lavoratore subordinato come un mero termine di paragone, rispetto al quale determinare per relationem la prestazione da garantire con l’intervento dell’organismo di garanzia.

D — Sulla terza questione

74.

La terza questione è intesa ad accertare se il diritto comunitario osti all’applicazione di un regime prescrizionale come quello che caratterizza il procedimento principale ai crediti insoluti dei lavoratori subordinati relativi alla retribuzione, risalenti al periodo individuato ai sensi dell’art. 4 della direttiva n. 80/987.

75.

A questo proposito, desidero premettere che i termini di ricorso sono imperativi. Il loro decorso, di regola, impedisce definitivamente ai soggetti interessati di sottoporre ulteriormente una fattispecie a sindacato amministrativo o giurisdizionale, a prescindere dalla situazione giuridica sostanziale. Ciò ha offerto ripetutamente l’occasione per sottoporre i termini nazionali all’esame della Corte di giustizia sotto il profilo della loro conformità al diritto comunitario.

76.

Il diritto processuale degli Stati membri non è armonizzato. In tale settore non esiste neanche una competenza legislativa generale della Comunità. La Corte sottolinea pertanto, nella sua giurisprudenza, che il procedimento inteso all’esercizio di diritti comunitari soggettivi è disciplinato dal diritto nazionale ( 28 ). Tale principio del diritto comunitario, conosciuto anche come «autonomia processuale degli Stati membri», viene riconosciuto anche dalla dottrina giuridica ( 29 ).

77.

Anche la direttiva 80/987 non contiene alcuna disposizione in ordine alla durata dei termini di decadenza ovvero di prescrizione. Nella sentenza Pflücke ( 30 ), la Corte ha tuttavia dichiarato che gli Stati membri sono liberi, in linea di principio, di stabilire, nell’ambito dei rispettivi ordinamenti nazionali, disposizioni che fissino un termine di decadenza ai fini della proposizione, da parte di un lavoratore, di una domanda diretta ad ottenere, secondo le modalità previste dalla direttiva 80/987, la corresponsione dell’indennità d’insolvenza, sempreché tali disposizioni rispettino i principi generali del diritto comunitario.

78.

Per quanto attiene a tali principi, è giurisprudenza costante ( 31 ) che siffatti termini di decadenza previsti dal diritto nazionale non possono essere meno favorevoli di quelli che riguardano domande analoghe di natura interna (principio di equivalenza) e non possono essere strutturati in modo da rendere praticamente impossibile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico comunitario (principio di effettività). Poiché il diritto comunitario non distingue fra termini di decadenza e di prescrizione, bensì si fonda esclusivamente sull’attuabilità effettiva dei diritti garantiti a livello comunitario, mi sembra opportuno estendere questa giurisprudenza alle disposizioni in materia di prescrizione.

79.

In linea di principio, stabilire in concreto se una disposizione processuale nazionale rispetti i suddetti requisiti è compito dei giudici nazionali, ai quali incombe il dovere, sulla base del principio di collaborazione enunciato nell’art. 10 CE, di garantire la tutela giurisdizionale spettante ai singoli in forza delle norme di diritto comunitario aventi efficacia diretta. Pertanto, un giudice nazionale, se accerta che una norma nazionale non è conforme al diritto comunitario sotto questo profilo, deve disapplicarla ( 32 ).

80.

L’accertamento astratto delle condizioni di cui sopra spetta tuttavia alla Corte di giustizia, la quale, nell’ambito del rinvio pregiudiziale previsto all’art. 234 CE, è incaricata di garantire l’unitaria e uniforme applicazione del diritto comunitario ( 33 ).

81.

Secondo il giudice del rinvio, qualificare il credito fatto valere dal lavoratore nei confronti del Fondo di garanzia come credito di natura previdenziale comporta la penalizzazione di tale credito rispetto a crediti analoghi fatti valere nell’ambito della procedura fallimentare. Il giudice del rinvio raffronta al riguardo il regime prescrizionale di cui all’art. 2, n. 5, del decreto legislativo n. 80/92 di attuazione della direttiva n. 80/987, pari ad un anno, con il regime prescrizionale applicabile ai crediti retributivi, pari a cinque anni.

82.

Verificherò pertanto innanzitutto, conformemente a tale argomento, se il legislatore nazionale, relativamente ai termini di prescrizione nell’ambito dell’attuazione della direttiva n. 80/987, debba riprendere il termine nazionale previsto dalla legge per far valere crediti retributivi, al fine di rimanere in sintonia con gli obiettivi della direttiva.

83.

Come già illustrato in sede di soluzione della prima e della seconda questione pregiudiziale, il credito vantato dal lavoratore nei confronti dell’organismo di garanzia non deve essere qualitativamente identico al credito vantato nei confronti del datore di lavoro insolvente ( 34 ). Piuttosto, esso è soggetto a restrizioni che, fatti salvi i limiti esattamente fissati nella direttiva n. 80/987, rientrano nella discrezionalità degli Stati membri. Il legislatore comunitario non ha pertanto avuto la finalità di collocare sotto il profilo giuridico il lavoratore nei confronti dell’organismo di garanzia nella stessa posizione in cui lo stesso si trova nei confronti del datore di lavoro. Queste considerazioni valgono anche in relazione ai corrispondenti termini di prescrizione per entrambi i crediti. Ciò consente di desumere che, anche con riferimento al termine per far valere i crediti e alla loro prescrizione nei confronti dell’organismo di garanzia, il termine per far valere i crediti retributivi non rileva. La circostanza che il termine per l’esercizio dei crediti retributivi ordinari sia pari a cinque anni, e sia dunque considerevolmente più lungo di quello previsto per i crediti vantati nei confronti dell’organismo di garanzia, è pertanto irrilevante, poiché le due disposizioni non sono equivalenti. Entrambi i termini di prescrizione non devono essere trattati in maniera analoga neanche sotto ogni altro aspetto del principio di equivalenza, non potendosi equiparare il termine di prescrizione quinquennale di un credito di fatto inattuabile al termine annuale relativo ad un diritto garantito al pagamento nei confronti dell’organismo di garanzia. Non è pertanto ravvisabile una violazione del principio di equivalenza da parte della legge nazionale.

84.

Tale conclusione viene confermata dal fatto che, in alcuni Stati membri, il termine per far valere crediti di lavoro nel caso di insolvenza del datore di lavoro viene assorbito dai termini speciali — e soprattutto più brevi — previsti dalle leggi fallimentari, quali lex specialis. In questo caso risulta in generale che l’attuabilità giuridica dei crediti di lavoro nel caso di insolvenza del datore di lavoro — conformemente alla natura dell’insolvenza — può mutare, con la conseguenza che, pur presupponendo che i crediti vantati nei confronti dell’organismo di garanzia debbano essere qualificati come crediti di lavoro, ciò non ha necessariamente implicazioni per la configurazione della loro prescrizione.

85.

È possibile che ciò si fondi sulla considerazione che per la questione dell’attuabilità di crediti connessi al contratto di lavoro non si può più fare esclusivamente riferimento al rapporto obbligatorio sinallagmatico fra lavoratore e datore di lavoro. In situazioni di insolvenza, infatti, occorre prendere contemporaneamente in considerazione una pluralità di interessi diversi: le esigenze sociali dei lavoratori, gli interessi del curatore fallimentare ad un rapido risanamento ovvero alla liquidazione dell’azienda, la quale potrebbe essere intralciata da termini di prescrizione lunghi, nonché gli interessi dei creditori della massa — fra i quali i lavoratori — ad un pagamento il più possibile integrale dei loro crediti ( 35 ). Se anche in Italia i termini previsti dal diritto del lavoro vengano assorbiti da disposizioni speciali in materia fallimentare, è questione la cui soluzione spetta al giudice del rinvio.

86.

L’insolvenza costituisce non solo nello spirito di numerosi ordinamenti giuridici nazionali, bensì evidentemente anche nello spirito degli autori della direttiva 80/987, un evento inaspettato e radicale per il quale occorre trovare soluzioni ad hoc. La direttiva — come risulta dalla sua configurazione nello specifico — è intesa a far fronte a questa speciale situazione per quanto riguarda la retribuzione lavorativa non corrisposta. In relazione ai termini, essa autorizza gli Stati membri ad esercitare il loro potere discrezionale, solo fintantoché resti impregiudicato il fine della copertura finanziaria del periodo di disoccupazione. Da essa non si può invece desumere l’intento di garantire termini in materia di diritto del lavoro ormai inapplicabili in molti ordinamenti giuridici in situazioni di insolvenza e dei quali in genere non potrebbe inoltre più avvalersi il lavoratore di un’impresa insolvente nei confronti del suo datore di lavoro fino alla loro scadenza (nel caso presente cinque anni).

87.

Occorre infine verificare se il termine annuale previsto nel diritto italiano per i crediti relativi a prestazioni previdenziali sia configurato in maniera tale da non rendere praticamente impossibile l’esercizio dei diritti che i giudici nazionali sono tenuti a tutelare. Come dichiarato dalla Corte nella sentenza Pflücke ( 36 ) in relazione all’applicazione di termini di decadenza a livello nazionale, la loro brevità non deve essere tale da mettere l’interessato nell’impossibilità pratica di rispettare tale termine e quindi di beneficiare della tutela che la direttiva 80/987 deve garantirgli.

88.

È vero che la Corte sottolinea, nella medesima sentenza, che un termine di due mesi deve, a causa della sua brevità, essere giustificato da motivi imperativi connessi al principio della certezza del diritto, e in particolare al buon funzionamento dell’organismo di garanzia ( 37 ). Essa si è tuttavia astenuta dall’imporre requisiti più precisi quanto alla lunghezza di un termine, e tanto meno dal fissare un termine minimo per l’esercizio dei crediti vantati nei confronti dell’organismo di garanzia.

89.

Da una valutazione complessiva della giurisprudenza pertinente ( 38 ) si evince inoltre che la Corte rinviene nella fissazione di termini adeguati, come per esempio per l’esercizio di diritti, un’applicazione del principio fondamentale della certezza del diritto e presuppone pertanto, in linea di principio, la conformità al diritto comunitario dei termini nazionali di decadenza e di prescrizione ( 39 ). Così, nella sentenza Palmisani ( 40 ), in relazione a richieste risarcitorie di singoli a causa del tardivo recepimento della direttiva 80/987 nel diritto nazionale, la Corte ha dichiarato ammissibile in ogni caso, in base allo stato allora vigente del diritto comunitario, un termine di decadenza di un anno per avviare un’azione di risarcimento danni. Lo stesso dicasi per un termine di decadenza ovvero di prescrizione di due ( 41 ), tre ( 42 ) ovvero cinque anni ( 43 ) quanto ai ricorsi in materia di ripetizione dell’indebito.

90.

Alla luce di questa giurisprudenza, non vedo in che misura l’applicazione di un termine nazionale di prescrizione di un anno debba di per sé rendere praticamente impossibile la soddisfazione, accordata dall’ordinamento giuridico comunitario, dei crediti insoluti dei lavoratori risultanti dai contratti o dai rapporti di lavoro. Il ricorrente nel procedimento principale ha avuto oggettivamente la possibilità di venire a conoscenza del termine, essendo tale termine previsto dalla legge nazionale e risultando dunque senz’altro accessibile al medesimo, diversamente da quanto succede spesso nel caso di direttive non ancora recepite o recepite solo in parte. Nulla depone inoltre nel senso che per il ricorrente possa essere divenuto praticamente impossibile o eccessivamente gravoso osservare il termine per far valere i crediti nei confronti del Fondo di garanzia. Mi sembra senz’altro ragionevole nonché possibile far valere i crediti entro il termine di un anno. Ciò costituisce un termine sufficiente nella particolare situazione dell’insolvenza di un datore di lavoro, la quale esige un rapido risanamento ovvero la liquidazione dell’azienda al fine di soddisfare i creditori.

91.

Alla luce dei principi enunciati dalla Corte di giustizia pervengo dunque alla conclusione che la normativa nazionale soddisfa anche le esigenze del principio di effettività.

92.

Un ulteriore limite di diritto comunitario alla libertà di organizzazione del legislatore nazionale in sede di attuazione della direttiva 80/987 si evince dai diritti fondamentali. Secondo giurisprudenza costante, questi ultimi formano parte integrante dei principi generali del diritto dei quali la Corte deve garantire l’osservanza. È infatti riconosciuto che gli Stati membri, quando danno esecuzione ed attuazione alle normative comunitarie, devono osservare gli obblighi inerenti alla tutela dei diritti fondamentali nell’ordinamento giuridico comunitario. Essi sono pertanto tenuti, per quanto possibile, ad applicare tali normative nel rispetto di tali obblighi ( 44 ). Fra i diritti fondamentali rientra, in particolare, il principio generale di uguaglianza e di non discriminazione. In forza di tale principio, situazioni analoghe non possono essere trattate in modo dissimile e situazioni diverse non possono essere trattate nello stesso modo, a meno che tale trattamento non sia obiettivamente giustificato ( 45 ).

93.

Nel caso presente mancano tuttavia già due situazioni analoghe. Da un lato, la direttiva non presuppone in alcun modo, come già illustrato, che il credito retributivo vantato nei confronti del datore di lavoro debba essere trattato allo stesso modo del credito vantato nei confronti dell’organismo di garanzia. Dall’altro, il ricorrente nel procedimento principale non può far valere la circostanza che venga creata una disparità di trattamento fra i lavoratori nei diversi Stati membri, tanto più che il legislatore comunitario ha lasciato agli Stati membri un ampio potere discrezionale nella definizione sia della natura giuridica del credito nei confronti dell’organismo di garanzia, sia dei termini di prescrizione.

94.

Come ho rilevato da ultimo nelle mie conclusioni nella causa Horvath ( 46 ), differenze delle diverse norme nazionali non costituiscono discriminazioni nei settori non sottoposti ad armonizzazione. Piuttosto, gli Stati membri, nei settori di propria competenza, sono liberi di legiferare, così che la sola diversità di regolamentazione di una fattispecie in due diversi Stati membri non può costituire una violazione del principio di uguaglianza. Ciò è da tempo riconosciuto nella giurisprudenza della Corte ( 47 ). La Corte ha pertanto chiarito per la prima volta nella sentenza Van Dam en Zonen e a. ( 48 ) che non si può considerare come contraria al principio di uguaglianza l’applicazione di una legislazione nazionale solo perché singoli Stati membri applicano disposizioni meno rigorose. Ciò è senz’altro illuminante, in quanto un’interpretazione contraria comporterebbe un pregiudizio alla discrezionalità legislativa degli Stati membri difficilmente sostenibile.

95.

Di conseguenza, nella fissazione di un termine annuale di prescrizione non è ravvisabile neanche una violazione del principio di uguaglianza.

VII — Conclusione

96.

Sulla base delle considerazioni sopra svolte suggerisco alla Corte di rispondere nel seguente modo al Tribunale di Napoli:

1)

Gli artt. 3 e 4 della direttiva del Consiglio 20 ottobre 1980, 80/987/CEE, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative alla tutela dei lavoratori subordinati in caso di insolvenza del datore di lavoro non ostano ad una normativa nazionale come quella di cui alla legge n. 297/82 e al decreto legislativo n. 80/92, la quale conferisce ai crediti del lavoratore nei confronti dell’organismo di garanzia una natura giuridica diversa da quella che rivestono i crediti vantati nei confronti del proprio datore di lavoro.

2)

Per il fine sociale della direttiva è sufficiente che la normativa nazionale utilizzi il credito retributivo iniziale del lavoratore subordinato come un mero termine di paragone, rispetto al quale determinare per relationem la prestazione da garantire con l’intervento dell’organismo di garanzia.

3)

È compatibile con i principi del diritto comunitario, e segnatamente con i principi di equivalenza, di effettività e di non discriminazione l’applicazione ai crediti vantati nei confronti di un organismo di garanzia di un regime di prescrizione più breve di quello che si applica ai crediti retributivi nei confronti del datore di lavoro.


( 1 ) Lingua originale: il tedesco.

( 2 ) GU L 283, pag. 23.

( 3 ) GURI del 31 maggio 1982, n. 147.

( 4 ) GURI del 13 febbraio 1992, Supplemento ordinario n. 36, pag. 26.

( 5 ) Sentenza 4 marzo 2004, cause riunite C-19/01, C-50/01 e C-84/01, Barsotti e a. (Racc. pag. I-2005).

( 6 ) Sentenza 18 settembre 2003, causa C-125/01, Pflücke (Racc. pag. I-9375).

( 7 ) In tal senso la ripartizione tematica di Eichenhofer, E., «Arbeitsrecht», in: Handbuch des EU-Wirtschaftsrechts (a cura di M. A. Dauses), D. III, punto 29, pag. 9.

( 8 ) Nel tema della tutela sociale del lavoro all’interno del diritto del lavoro dell’Unione europea rientra, oltre alla tutela dei lavoratori subordinati in caso di insolvenza del datore di lavoro (disciplinata dalla direttiva 80/987), la tutela dei lavoratori subordinati nel caso di licenziamenti collettivi (disciplinata dalla direttiva del Consiglio 20 luglio 1998, 98/59/CE, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di licenziamenti collettivi, GU L 225, pag. 16) e la loro tutela sociale nel caso di trasferimenti di aziende (disciplinata dalla direttiva del Consiglio , 77/187/CEE, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento di imprese, di stabilimenti o di parti di stabilimenti, GU L 61, pag. 26).

( 9 ) In tal senso anche Barnard, C., EC Employment Law, 2a ed., Oxford, 2000, pag. 504, riferendosi all’art. 9 della direttiva 80/987.

( 10 ) In tal senso Krimphove, D., Europäisches Arbeitsrecht, Monaco di Baviera, 1996, pag. 255.

( 11 ) V. sentenze 10 luglio 1997, causa C-373/95, Maso (Racc. pag. I-4051, punto 56); , causa C-125/97, Regeling (Racc. pag. I-4493, punto 20); , causa C-441/99, Gharehveran (Racc. pag. I-7687, punto 26), nonché , causa C-201/01, Walcher (Racc. pag. I-8827, punto 38).

( 12 ) Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 23 settembre 2002, che modifica la direttiva 80/987/CEE del Consiglio concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative alla tutela dei lavoratori subordinati in caso di insolvenza del datore di lavoro (GU L 270, pag. 10).

( 13 ) Sentenza Regeling (cit. alla nota 11, punto 19). Al paragrafo 47 delle sue conclusioni 14 maggio 1998 in tale causa, l’avvocato generale Cosmas sottolinea che la soluzione consistente in una armonizzazione parziale non sia stata scelta deliberatamente dal legislatore comunitario, ma che sia stata imposta dai fatti, cioè dalle divergenze significative che presentavano le legislazioni degli Stati membri in materia e dalle difficoltà pratiche che suscitava l’elaborazione di norme comuni da applicarsi in modo uniforme in tutti gli Stati membri.

( 14 ) Sentenza Maso (cit. alla nota 11, punto 3).

( 15 ) Sentenze 19 novembre 1991, cause riunite C-6/90 e C-9/90, Francovich (Racc. pag. I-5357, punti 25 e 26); , causa C-334/92, Wagner Miret (Racc. pag. I-6911, punto 17), nonché Gharehveran (cit. alla nota 11, punto 36).

( 16 ) V. sentenze 16 dicembre 2004, causa C-520/03, Olaso Valero (Racc. pag. I-12065, punto 31), nonché , causa C-442/00, Rodríguez Caballero (Racc. pag. I-11915, punto 27).

( 17 ) V., inter alia, sentenze 18 novembre 1999, causa C-107/98, Teckal (Racc. pag. I-8121, punto 33); , causa C-57/01, Makedoniko Metro e Michaniki (Racc. pag. I-1091, punto 55), nonché Barsotti e a., cit. alla nota 5, punto 30.

( 18 ) V. paragrafo 52 delle presenti conclusioni.

( 19 ) La nozione di «Ziele» nella versione tedesca dell’art. 249, n. 3, CE viene intesa anche dalla dottrina di lingua tedesca nel senso di un «risultato» prescritto dalla direttiva. Tale opinione viene supportata dalla formulazione utilizzata in altre versioni linguistiche («résultat»,«result»,«resultado», «risultato», «resultaat»). Gli Stati membri devono pertanto instaurare una situazione giuridica auspicata dalla direttiva [v., al riguardo, Schroeder, W., in: EUV/EGV — Kommentar [a cura di Rudolf Streinz], Monaco di Baviera, 2003, art. 249 EGV, punto 77, pag. 2178, e Biervert, B., EU-Kommentar (a cura di Jürgen Schwarze, Baden-Baden, 2000, art. 249 EGV, punto 25, pag. 2089]. Per questo motivo in dottrina è divenuta di uso corrente la nozione francese di «obligation de résultat» (v. Lenaerts, K./Van Nuffel, P., Constitutional Law of the European Union, 2aed., Londra, 2006, punti 17-123, pag. 768).

( 20 ) Sentenza 9 novembre 1995, causa C-479/93, Francovich II (Racc. pag. I-3843, punti 25 e 26). La Corte ha rinviato al riguardo alla proposta di direttiva sottoposta dalla Commissione al Consiglio il (GU 1978, C 135, pag. 2). Da essa si evince che già prima dell’adozione della direttiva esistevano in più Stati membri organismi a garanzia dei diritti del lavoratori nel caso di insolvenza del datore di lavoro, le cui normative erano tuttavia molto diverse fra loro, mentre siffatti organismi in alcuni Stati mancavano.

( 21 ) Nella Repubblica federale di Germania esistevano già dal 1974, e quindi prima dell’entrata in vigore della direttiva 80/987, normative concernenti l’indennità di insolvenza. Il motivo dell’introduzione di tale indennità deve essere ricercato nella recessione che aveva caratterizzato l’inizio degli anni ‘70, la quale aveva fatto salire il numero dei fallimenti ed aveva inasprito la situazione dei lavoratori nel caso di insolvenza del datore di lavoro. Il governo federale partiva dal presupposto, nel 1974, di perdite salariali annuali a scapito dei lavoratori pari ad un ammontare da 20 milioni fino a 50 milioni di marchi tedeschi. Un adeguamento delle disposizioni legislative alle mutate strutture economiche e sociali fu pertanto considerato urgentemente necessario (v. Grepl, M., Die Funktionen des Insolvenzgeldes unter besonderer Berücksichtigung des europäischen Rechts, Amburgo, 2008, pag. 8). Uno dei primi Stati membri che ha introdotto il sistema di garanzia è considerato tuttavia il Belgio, in quanto già negli anni ‘60 esso aveva istituito un corrispondente fondo di garanzia (v. Servais, J.-M., Droit Social de l’Union Européenne, Bruxelles, 2008, pag. 182). Prima dell’introduzione dell’indennità di insolvenza nella forma attuale, la tutela del lavoratore subordinato è stata assicurata in più Stati membri attraverso la concessione di un privilegio per i crediti salariali. Essa consisteva nel classificare gli arretrati salariali sorti prima dell’apertura della procedura fallimentare come crediti fallimentari di primo rango. Tale metodo si rivelò tuttavia sempre più insufficiente per assicurare la tutela dei lavoratori.

( 22 ) V. sentenza Francovich II (cit. alla nota 20, punti 20 e 27).

( 23 ) Sentenza Rodríguez Caballero (cit. alla nota 16).

( 24 ) Servais, J.-M., op. cit. (nota 21), Bruxelles, 2008, pag. 182, sostiene manifestamente la stessa tesi. Egli sottolinea che i principi ai quali è ispirato il funzionamento degli organismi di garanzia sarebbero simili a quelli propri della previdenza sociale: carattere obbligatorio, solidarietà, finanziamento (salvo eccezioni) attraverso contributi calcolati sulla base dello stipendio, attuazione attraverso organismi autonomi sotto il profilo tecnico-amministrativo, finanziario e legale.

( 25 ) Fuchs, M./Marhold, F., Europäisches Arbeitsrecht, 2a ed., Vienna, 2006, pag. 169.

( 26 ) In tal senso Fuchs, M./Marhold, F., op. cit. (nota 25), pag. 169 e seg. e Teyssié, B., Droit européen du travail, 2a ed., Parigi, 2003, pag. 220.

( 27 ) Secondo Teyssié, B., op. cit. (nota 26), pag. 220, gli Stati membri possono dunque, fissando un massimale, impedire che venga erogato più di quanto assicurato dal fine sociale della direttiva, senza violare la direttiva stessa. Analogamente anche Guggenbühl, A./Leclerc, S., Droit social européen des travailleurs salariés et indépendants — Recueil de la législation et de la jurisprudence de l’Union européenne, Bruxelles, 1995, pag. 518, e Grepl, M., op. cit. (nota 21), pag. 34, secondo i quali la fissazione di un massimale sarebbe intesa ad evitare un superamento del fine sociale della direttiva nel caso concreto.

( 28 ) Secondo il principio dell’autonomia istituzionale e procedurale degli Stati membri, questi ultimi sono tenuti ad attuare il diritto comunitario, in linea di principio, secondo il proprio diritto amministrativo, sostanziale e processuale. V., al riguardo, sull’esempio dell’esecuzione diretta del diritto doganale della Comunità da parte degli Stati membri, le mie allegazioni nelle conclusioni 3 maggio 2007, causa C-62/06, Zefeser (Racc. pag. 2007, I-11995, paragrafo 36). Secondo giurisprudenza costante della Corte, in mancanza di una disciplina comunitaria in materia, spetta all’ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro designare i giudici competenti e stabilire le modalità procedurali dei ricorsi giurisdizionali intesi a garantire la tutela dei diritti spettanti al cittadino in forza delle norme di diritto comunitario (v. in tal senso sentenze , causa 33/76, Rewe, Racc. pag. 1989, punto 5, e causa 45/76, Comet, Racc. pag. 2043, punto 13; , causa C-312/93, Peterbroeck, Racc. pag. I-4599, punto 12, nonché le sentenze , causa C-453/99, Courage e Crehan, Racc. pag. I-6297, punto 29; , causa C-13/01, Safalero, Racc. pag. I-8679, punto 49; , causa C-432/05, Unibet, Racc. pag. I-2271, punto 39; , cause riunite da C-222/05 a C-225/05, Van der Weerd e a., Racc. pag. I-4233, punto 28, nonché , causa C-2/06, Kempter, Racc. pag. I-411, punto 57).

( 29 ) V. Stettner, R., in: «Verwaltungsvollzug», Handbuch des EU-Wirtschaftsrechts (a cura di Dauses), vol. III, punto 30; Voß, R., Grabitz/Hilf, Das Recht der Europäischen Union, Art. 135 EGV punti 4 e 9 (aggiornamento gennaio 2004); Kahl, W., Kommentar zum EUV/EGV, 1a edizione (1999), art. 10, pag. 377, punto 24, nonché Lenaerts, K./Arts, D./Maselis, I., Procedural Law of the European Union, 2 a edizione, Londra, 2006, pag. 83, punto 3-001.

( 30 ) Sentenza 18 settembre 2003, causa C-125/01, Pflücke (Racc. pag. I-9375, punto 33).

( 31 ) V., in particolare, sentenza Pflücke (cit. alla nota 30, punto 34) e in generale sentenze Rewe (cit. alla nota 28, punto 5) e Comet (cit. alla nota 28, punti 13 e 16); Francovich e a. (cit. alla nota 15, punto 43); Peterbroeck (cit. alla nota 28, punti 14 e segg.); 10 luglio 1997, causa C-261/95, Palmisani (Racc. pag. I-4025, punto 27); , causa C-126/97, Eco Swiss (Racc. pag. I-3055, punto 45); , cause riunite C-52/99 e C-53/99, Camarotto e Vignone (Racc. pag. I-1395, punti 28, 30); Courage e Crehan (cit. alla nota 28, punto 29); , causa C-159/00, Sapod Audic (Racc. pag. I-5031, punto 52), nonché , cause riunite da C-295/04 a C-298/04, Manfredi (Racc. pag. I-6619, punto 62).

( 32 ) Secondo giurisprudenza costante, il giudice del rinvio deve disapplicare la disposizione nazionale riguardante il termine di decadenza ove rilevi che essa non è conforme ai requisiti del diritto comunitario e non può neanche essere interpretata conformemente a tale diritto (v. in tal senso sentenze 9 marzo 1978, causa 106/77, Simmenthal, Racc. pag. 629, punto 21; , causa C-91/92, Faccini Dori, Racc. pag. I-3325, punto 26; , causa C-188/00, Kurz, Racc. pag. I-10691, punto 69, nonché Pflücke, cit. alla nota 30, punto 48). In tal senso anche l’avvocato generale Cosmas nelle sue conclusioni nella causa Palmisani (cit. alla nota 31, paragrafo 20).

( 33 ) V. le conclusioni dell’avvocato generale Cosmas nella causa Palmisani (cit. alla nota 32, paragrafo 21) e la sentenza in tale causa (cit. alla nota 30, punto 33).

( 34 ) V. paragrafi 61 e 70 di queste conclusioni.

( 35 ) Obiettivo di una procedura fallimentare è la soddisfazione collettiva dei creditori di un debitore. La soddisfazione dei creditori avviene attraverso la liquidazione del patrimonio del debitore; al riguardo sono possibili tre strade: (1) Nella maggior parte dei casi il patrimonio del debitore viene monetizzato e il ricavato viene ripartito fra i creditori. Si parla di liquidazione del patrimonio. (2) Nel caso di imprese viene preso in considerazione anche il risanamento. In questo caso il patrimonio del debitore viene impiegato per i creditori in maniera tale che — in genere a seguito di considerevoli investimenti e ristrutturazioni — esso viene rimesso in grado di poter procurare utili con i quali poter soddisfare i creditori. (3) Infine, si può optare per un risanamento mediante cessione, caratterizzato dal fatto che un’impresa in grado di sopravvivere (o una parte della medesima) viene ceduta ad un altro soggetto di diritto, come per esempio un concorrente o una società di salvataggio, e il prezzo ricavato dalla vendita viene ripartito fra i creditori del precedente titolare dell’impresa (v., al riguardo, Bork, R., Einführung in das Insolvenzrecht, 4a ed., Tubinga, 2005, pag. 2 e seg.).

( 36 ) Sentenza Pflücke (cit. alla nota 30, punto 37).

( 37 ) Ibidem, punto 39.

( 38 ) V. la giurisprudenza citata alla nota 31 delle presenti conclusioni.

( 39 ) V., sulla compatibilità con il diritto comunitario dei termini nazionali di decadenza e di prescrizione, paragrafo 94 delle mie conclusioni 4 settembre 2008 nella causa C-445/06, Danske Slagterier (sentenza 24 marzo 2009, Racc. pag. I-2119). In tal senso anche Von Bogdandy, A., in E. Grabitz/M. Hilf, op. cit., (nota 29), art. 10, punti 48, 54, 54a.

( 40 ) Sentenza Palmisani, (cit. alla nota 31). Oggetto del procedimento a quo in questa causa era un’azione intesa ad ottenere il risarcimento del danno subito a causa della tardiva attuazione della direttiva 80/987.

( 41 ) Sentenza Camarotto e Vignone (cit. alla nota 31, punto 30).

( 42 ) Sentenza 15 settembre 1998, causa C-231/96, Edis (Racc. pag. I-4951).

( 43 ) Sentenze 17 luglio 1997, causa C-90/94, Haahr Petroleum (Racc. pag. 4085, punto 49), nonché , causa C-188/95, Fantask (Racc. pag. I-6783, punto 49).

( 44 ) V. sentenze 24 marzo 1994, causa C-2/92, Bostock (Racc. pag. I-955, punto 16); , causa C-292/97, Karlsson e a. (Racc. pag. I-2737, punto 37), nonché Rodríguez Caballero (cit. alla nota 16, punto 30).

( 45 ) V., per esempio, sentenze 12 luglio 2001, causa C-189/01, Jippes (Racc. pag. I-5689, punto 129); Rodríguez Caballero (cit. alla nota 16, punto 32); , causa C-149/96, Portogallo/Consiglio (Racc. pag. I-8395, punto 91); Francovich II (cit. alla nota 20, punto 23), nonché , causa C-306/93, SMW Winzersekt (Racc. pag. I-5555, punto 30).

( 46 ) Conclusioni 3 febbraio 2009, causa C-428/07, Horvath, Racc. pag. I-6355, paragrafi 112-114.

( 47 ) V. sentenze 13 febbraio 1969, causa 14/68, Walt Wilhelm (Racc. pag. 1, punto 13); , causa 1/78, Kenny (Racc. pag. 1489, punto 18); , causa 31/78, Bussone (Racc. pag. 2429, punti 38 e seg.); , causa 136/78, Auer (Racc. pag. 437, punti 23-26); , cause riunite da 185 a 204/78, Van Dam en Zonen e a. (Racc. pag. 2345, punto 10); , causa 155/80, Oebel (Racc. pag. 1993, punto 9); , causa 126/82, Smit (Racc. pag. 73, punto 27); , cause riunite C-251/90 e C-252/90, Wood e Cowie (Racc. pag. I-2873, punto 19); , cause riunite C-267/91 e C-268/91, Keck e Mithouard (Racc. pag. I-6097, punto 8); , causa C-279/93, Schumacker (Racc. pag. I-225, punto 21), nonché , causa C-177/94, Perfili (Racc. pag. I-161, punto 17).

( 48 ) Sentenza Van Dam en Zonen e a. (cit. alla nota 47, punto 10). Questa giurisprudenza è stata confermata nelle sentenze Oebel (punto 9), Smit (punto 27), Wood e Cowie (punto 19), nonché Perfili (punto 17), citate alla nota 47.

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