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Document 62005CC0110(01)
Opinion of Mr Advocate General Léger delivered on 5 October 2006. # Commission of the European Communities v Italian Republic. # Failure of a Member State to fulfil obligations - Article 28 EC - Concept of ‘measures having equivalent effect to quantitative restrictions on imports’ - Prohibition on mopeds, motorcycles, motor tricycles and quadricycles towing a trailer in the territory of a Member State - Road safety - Market access - Obstacle - Proportionality. # Case C-110/05.
Conclusioni dell'avvocato generale Léger del 5 ottobre 2006.
Commissione delle Comunità europee contro Repubblica italiana.
Inadempimento di uno Stato - Art. 28 CE - Nozione di "misure di effetto equivalente a restrizioni quantitative all’importazione" - Divieto per ciclomotori, motocicli, tricicli e quadricicli di trainare rimorchi sul territorio di uno Stato membro - Sicurezza stradale - Accesso al mercato - Ostacolo - Proporzionalità.
Causa C-110/05.
Conclusioni dell'avvocato generale Léger del 5 ottobre 2006.
Commissione delle Comunità europee contro Repubblica italiana.
Inadempimento di uno Stato - Art. 28 CE - Nozione di "misure di effetto equivalente a restrizioni quantitative all’importazione" - Divieto per ciclomotori, motocicli, tricicli e quadricicli di trainare rimorchi sul territorio di uno Stato membro - Sicurezza stradale - Accesso al mercato - Ostacolo - Proporzionalità.
Causa C-110/05.
European Court Reports 2009 I-00519
ECLI identifier: ECLI:EU:C:2008:386
CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE
YVES BOT
presentate l’8 luglio 2008 1(1)
Causa C‑110/05
Commissione delle Comunità europee
contro
Repubblica italiana
«Riapertura della fase orale – Inadempimento di uno Stato – Art. 28 CE – Libera circolazione delle merci – Modalità d’uso – Normativa nazionale che vieta il traino di rimorchi ai ciclomotori, ai motocicli, ai tricicli e ai quadricicli – Restrizioni quantitative – Misure di effetto equivalente – Giustificazione – Sicurezza della circolazione stradale – Proporzionalità»
1. Una normativa nazionale riguardante le «modalità di utilizzo» di un bene dev’essere esaminata alla luce dell’art. 28 CE o dei criteri individuati dalla Corte nella sentenza Keck e Mithouard (2), al pari di una normativa riguardante le «modalità di vendita»?
2. Questa, in sostanza, è la domanda cui la Corte è chiamata a rispondere nell’ambito del presente ricorso.
3. La causa in esame riguarda una procedura per inadempimento che la Commissione delle Comunità europee ha aperto nei confronti della Repubblica italiana ai sensi dell’art. 226 CE. La Commissione infatti ritiene che la Repubblica italiana, inserendo nel codice della strada una norma che vieta il traino di rimorchi ai ciclomotori, ai motocicli, ai tricicli e ai quadricicli, sia venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza dell’art. 28 CE (3).
4. È la seconda volta che vengono presentate conclusioni nell’ambito del presente ricorso.
5. Inizialmente la Corte aveva deciso di assegnare la presente causa ad una sezione di cinque giudici (4) e di statuire senza udienza dibattimentale, poiché nessuna delle parti aveva chiesto di svolgere osservazioni orali. L’avvocato generale Léger ha presentato le sue conclusioni il 5 ottobre 2006, a seguito delle quali la fase orale del procedimento è stata chiusa. L’avvocato generale ha concluso che la Repubblica italiana, adottando e mantenendo in vigore siffatta normativa, era venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza dell’art. 28 CE.
6. Poiché tale proposta ha sollevato nuove questioni riguardo all’ambito di applicazione dell’art. 28 CE che non sono state discusse dalle parti nel corso del procedimento, la Corte, con ordinanza 7 marzo 2007, ha disposto la riapertura della fase orale e ha rinviato la causa dinanzi alla Grande Sezione. Inoltre, essa ha invitato non solo le parti, ma anche gli Stati membri diversi dalla Repubblica italiana a rispondere al seguente quesito:
«In che misura e a quali condizioni le disposizioni nazionali che disciplinano non le caratteristiche di un prodotto ma il suo utilizzo e che sono applicabili senza distinzioni sia ai prodotti nazionali sia a quelli importati debbano essere considerate misure di effetto equivalente a restrizioni quantitative all’importazione ai sensi dell’art. 28 CE».
7. Oltre alla Commissione e alla Repubblica italiana hanno presentato osservazioni la Repubblica ceca, il Regno di Danimarca, la Repubblica federale di Germania, la Repubblica ellenica, la Repubblica francese, la Repubblica di Cipro, il Regno dei Paesi Bassi e, infine, il Regno di Svezia.
8. Le presenti conclusioni si articoleranno in due parti.
9. Nella prima parte esporrò il mio punto di vista in merito alla soluzione da proporre al quesito posto dalla Corte.
10. Ciò implica una riflessione generale sul senso e sulla portata delle norme sulla libera circolazione delle merci. A costo di tornare su posizioni già espresse al riguardo, verrà svolta un’analisi dell’ambito di applicazione dell’art. 28 CE e dei criteri che permettono di qualificare una determinata disposizione nazionale come misura di effetto equivalente a una restrizione quantitativa all’importazione. Il quesito posto dalla Corte offre inoltre l’opportunità di precisare la portata della sentenza Keck e Mithouard, citata in precedenza. Questa sentenza, come noto, ha creato numerose difficoltà interpretative che hanno potuto essere risolte unicamente caso per caso.
11. Nell’ambito delle presenti conclusioni spiegherò i motivi per cui ritengo che misure nazionali che disciplinano le condizioni di utilizzo di un prodotto non debbano essere esaminate alla luce dei criteri sanciti dalla Corte nella citata sentenza Keck e Mithouard. Sosterrò che tali misure rientrano nell’ambito di applicazione dell’art. 28 CE e possono costituire misure di effetto equivalente a restrizioni quantitative all’importazione contrarie al Trattato CE qualora ostacolino l’accesso al mercato del prodotto di volta in volta considerato.
12. Alla luce di questa analisi valuterò, nella seconda parte, la fondatezza del ricorso per inadempimento proposto dalla Commissione contro la Repubblica italiana.
13. Dopo aver esaminato gli effetti della misura in oggetto sugli scambi intracomunitari, sosterrò che la normativa italiana, impedendo ai rimorchi legalmente prodotti e venduti negli altri Stati membri di accedere al mercato italiano, costituisce una misura di effetto equivalente a una restrizione quantitativa all’importazione contraria all’art. 28 CE.
I – Il contesto normativo
A – Il diritto comunitario
1. Il Trattato CE
14. L’art. 28 CE vieta fra gli Stati membri le restrizioni quantitative all’importazione nonché qualsiasi misura di effetto equivalente.
15. Tuttavia, ai sensi dell’art. 30 CE, l’art. 28 CE lascia impregiudicati i divieti o le restrizioni all’importazione giustificati, tra l’altro, da motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di tutela della salute e della vita delle persone, a condizione che tali divieti o restrizioni non costituiscano un mezzo di discriminazione arbitraria né una restrizione dissimulata al commercio tra gli Stati membri.
2. Il diritto derivato
16. Nell’ambito della direttiva 92/61/CEE (5) il legislatore comunitario ha istituito una procedura di omologazione comunitaria dei veicoli a motore a due o tre ruote.
17. Ai sensi dell’art. 1, nn. 2 e 3, della direttiva 92/61, i veicoli interessati sono i ciclomotori (6), i motocicli, i tricicli e i quadricicli.
18. Come emerge chiaramente dai ‘considerando’ di tale direttiva, questa procedura permette, da un lato, di garantire un miglior funzionamento del mercato interno eliminando gli ostacoli tecnici agli scambi nel settore dei veicoli a motore e contribuisce, dall’altro lato, a migliorare la sicurezza della circolazione stradale e la tutela dell’ambiente e dei consumatori (7).
19. Per consentire l’attuazione della suddetta procedura, la direttiva 92/61 prevede una completa armonizzazione dei requisiti tecnici cui tali veicoli debbono rispondere. Essa stabilisce inoltre che le prescrizioni tecniche applicabili ai diversi elementi e caratteristiche di detti veicoli siano armonizzate nell’ambito di direttive particolari (8).
20. Per esempio, le prescrizioni relative alle masse, alle dimensioni nonché ai dispositivi di attacco e di agganciamento dei suddetti veicoli sono state armonizzate nell’ambito, rispettivamente, delle direttive 93/93/CEE (9) e 97/24/CE (10).
21. Entrambe queste direttive, nell’ambito dei rispettivi preamboli e con termini identici, enunciano che le loro prescrizioni non possono avere l’effetto di obbligare gli Stati membri che non permettono sul loro territorio che i veicoli a motore a due o a tre ruote trainino un rimorchio a modificare le loro regolamentazioni (11).
B – Il diritto nazionale
22. Ai sensi dell’art. 53 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (12), per motoveicoli si intendono i veicoli a motore a due, tre o quattro ruote; questi ultimi compongono la categoria dei «quadricicli a motore».
23. Ai sensi dell’art. 54 del codice della strada, per autoveicoli si intendono i veicoli a motore con almeno quattro ruote diversi dai motoveicoli.
24. Conformemente all’art. 56 del medesimo codice, sono autorizzati a trainare rimorchi solo gli autoveicoli, i filoveicoli e i mototrattori.
II – Il procedimento precontenzioso
25. A seguito di uno scambio di corrispondenza tra di loro intercorso, la Commissione, ritenendo che la Repubblica italiana, con l’adozione della disposizione controversa, fosse venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza dell’art. 28 CE, le intimava, con lettera 3 aprile 2003, di presentare osservazioni.
26. Con lettera 13 giugno 2003 la Repubblica italiana s’impegnava, in risposta, a modificare la propria normativa per rimuovere gli ostacoli alle importazioni segnalati dalla Commissione. Precisava, inoltre, che tali modifiche riguardavano non solo l’omologazione dei veicoli, ma anche l’immatricolazione, la circolazione e i controlli sulla messa in strada dei rimorchi (revisione).
27. La Commissione non riceveva nessuna comunicazione relativa all’adozione delle dette modifiche. Essa pertanto indirizzava alla Repubblica italiana, il 19 dicembre 2003, un parere motivato e la invitava a prendere entro due mesi dalla notifica di quest’ultimo le misure necessarie a conformarsi agli obblighi risultanti dall’art. 28 CE. Non ottenendo risposte al parere, la Commissione avanzava un ricorso per inadempimento ai sensi dell’art. 226 CE, con atto introduttivo depositato presso la cancelleria della Corte il 4 marzo 2005.
III – Il ricorso
28. La Commissione chiede che la Corte voglia:
– dichiarare che la Repubblica italiana, vietando ai motoveicoli il traino di rimorchi, è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza dell’art. 28 CE;
– condannare la Repubblica italiana alle spese.
29. La Repubblica italiana chiede alla Corte di respingere il ricorso.
IV – Il quesito posto dalla Corte
30. Come ho già indicato, in seguito alla riapertura della fase orale del procedimento la Corte ha invitato le parti e gli Stati membri a rispondere al seguente quesito:
«In che misura e a quali condizioni le disposizioni nazionali che disciplinano non le caratteristiche di un prodotto ma il suo utilizzo e che sono applicabili senza distinzioni sia ai prodotti nazionali sia a quelli importati debbano essere considerate misure di effetto equivalente a restrizioni quantitative all’importazione ai sensi dell’art. 28 CE».
A – Le risposte proposte dalle parti e dagli Stati membri
31. La Commissione, la Repubblica italiana, la Repubblica ceca, il Regno di Danimarca, la Repubblica federale di Germania, la Repubblica ellenica, la Repubblica francese, la Repubblica di Cipro, il Regno dei Paesi Bassi e, infine, il Regno di Svezia hanno presentato osservazioni scritte e orali.
32. La Commissione sostiene che le modalità di utilizzo di un prodotto regolano le condizioni in cui questo può essere adoperato. Tale sarebbe il caso di una misura che limiti l’uso di un prodotto nello spazio o nel tempo (13). In questa nozione rientrerebbero anche i casi di normative che vietano l’uso di un prodotto.
33. Secondo la Commissione, per stabilire se una misura nazionale che riguarda l’utilizzo di un prodotto costituisca una misura di effetto equivalente ai sensi dell’art. 28 CE, bisognerebbe tener conto, nell’ambito di un esame condotto caso per caso, degli effetti diretti o indiretti, in atto o in potenza, di tale misura. Non vi è alcun dubbio, per la Commissione, che una normativa la quale vieti in modo assoluto o quasi assoluto l’utilizzo di un prodotto costituisce una misura di effetto equivalente a una restrizione quantitativa ai sensi dell’art. 28 CE (14).
34. Il Regno dei Paesi Bassi è favorevole a una netta delimitazione dell’ambito di applicazione dell’art. 28 CE. A suo parere, l’obiettivo perseguito da tale disposizione, ossia il buon funzionamento del mercato interno, non può far sì che una normativa nazionale relativa, per esempio, alla sicurezza della circolazione stradale, ricada nell’ambito di applicazione dell’art. 28 CE (15). Esso però sottolinea anche che un accesso privo di ostacoli al mercato è di importanza fondamentale.
35. Il Regno dei Paesi Bassi appoggia la tesi, difesa dall’avvocato generale Kokott nelle conclusioni presentate relativamente alla causa C‑142/05, Mickelsson e Roos, ancora pendente dinanzi alla Corte, che consentirebbe di escludere dall’ambito di applicazione dell’art. 28 CE un insieme di regole che non mirano alla tutela di interessi economici. Esso nondimeno mette in rilievo alcuni inconvenienti derivanti da tale approccio. Anzitutto, sarebbe difficile definire con chiarezza la nozione di «modalità di utilizzo». Se la disposizione relativa all’uso richiede un adeguamento del prodotto, allora richiederebbe anche che questo presenti caratteristiche specifiche.
36. Il Regno dei Paesi Bassi considera inoltre che l’aggiunta di una nuova categoria di deroghe all’applicazione dell’art. 28 CE sarebbe fonte di confusione per il giudice nazionale. A seconda della categoria in cui rientra una data disposizione, dovrebbero essere applicati criteri diversi.
37. Il Regno dei Paesi Bassi critica altresì la giurisprudenza Keck e Mithouard, precedentemente citata, sostenendo che essa non offrirebbe un criterio adeguato e rinvia, a questo riguardo, alle conclusioni presentate dall’avvocato generale Poiares Maduro relativamente alla causa Alfa Vita Vassilopoulos e Carrefour‑Marinopoulos (16). Rileva, inoltre, che, così come le modalità di vendita, anche alcune modalità di utilizzo possono avere gravi ripercussioni sul commercio infracomunitario e si interroga sull’utilità pratica di introdurre una nuova deroga. Il Regno dei Paesi Bassi suggerisce quindi di adottare l’approccio «de minimis» difeso dall’avvocato generale Jacobs nelle conclusioni presentate relativamente alla sentenza Leclerc-Siplec (17), pur facendo notare le difficoltà che i giudici nazionali incontrerebbero nell’applicarlo.
38. Contrariamente alla Repubblica ceca, il Regno di Danimarca, la Repubblica federale di Germania, la Repubblica francese, la Repubblica di Cipro e il Regno di Svezia ritengono che i criteri individuati nella citata sentenza Keck e Mithouard siano applicabili alle misure che regolano l’utilizzo di un prodotto. In sostanza, essi ritengono che le disposizioni nazionali indistintamente applicabili che limitano ma non vietano l’uso di un prodotto non rientrano, in linea di principio, nella nozione di «restrizione» ai sensi dell’art. 28 CE. Tuttavia, a loro avviso è possibile derogare a tale principio qualora sia dimostrato che le misure in esame vietano tout court l’utilizzo di un prodotto o ne autorizzano solo un uso marginale, limitando in tal modo l’accesso del prodotto stesso al mercato.
39. La Repubblica ellenica sostiene che una normativa relativa all’uso di un prodotto non è idonea di per sé ad ostacolare il commercio tra gli Stati membri. Tuttavia, se tale uso è un elemento costitutivo della circolazione del prodotto – cosa da valutarsi caso per caso –, allora è possibile che la misura che impedisce l’uso rientri nell’ambito di applicazione dell’art. 28 CE.
40. Infine, la Repubblica italiana ritiene in sostanza che la risposta al quesito formulato dalla Corte dipenda anche dalla possibilità che il prodotto venga utilizzato per altri fini. Essa inoltre ribadisce i timori legati alla sicurezza della circolazione stradale e le peculiarità dell’orografia italiana.
B – La mia valutazione
41. Nell’ambito della presente controversia si chiede alla Corte di stabilire se la normativa italiana che vieta l’uso sul suo territorio di un determinato prodotto costituisca una misura di effetto equivalente a una restrizione quantitativa all’importazione ai sensi dell’art. 28 CE o se tale normativa, definendo una «modalità di utilizzo» di un prodotto, sia sottratta all’ambito di applicazione di tale disposizione conformemente ai criteri individuati dalla Corte nella citata sentenza Keck e Mithouard.
42. La questione è tanto più interessante in quanto già nella citata causa Mickelsson e Roos, pendente dinanzi alla Corte, si pone un interrogativo analogo.
43. In detta causa, infatti, si chiede alla Corte di stabilire se gli artt. 28 CE e 30 CE ostino ad una normativa svedese che limita l’uso delle moto d’acqua in determinate acque. Tale normativa è diversa da quella oggetto della presente causa perché limita l’uso di un prodotto, senza vietarlo tout court, come invece fa la normativa italiana.
44. Nelle conclusioni presentate relativamente alla suddetta causa l’avvocato generale Kokott suggerisce, per analogia con le «modalità di vendita», di escludere anche le «modalità di utilizzo» di un prodotto dall’ambito di applicazione dell’art. 28 CE, quando siano soddisfatti i criteri stabiliti dalla Corte nella citata sentenza Keck e Mithouard (18).
45. L’avvocato generale Kokott rileva difatti che le disposizioni nazionali relative alle modalità d’uso dei prodotti e quelle riguardanti le loro modalità di vendita sono comparabili sotto il profilo del tipo e dell’intensità degli effetti che hanno sul commercio. Tali disposizioni non mirerebbero solitamente a disciplinare gli scambi di merci tra gli Stati membri. In linea di principio, esse produrrebbero i propri effetti solo dopo l’importazione del prodotto e si ripercuoterebbero solo indirettamente sulla sua vendita. Secondo l’avvocato generale Kokott, sarebbe dunque coerente estendere la citata giurisprudenza Keck e Mithouard alle misure che disciplinano l’uso delle merci e conseguentemente escluderle dal campo di applicazione dell’art. 28 CE (19).
46. Tuttavia, l’avvocato generale Kokott invita la Corte ad affinare e completare i criteri stabiliti nella citata sentenza Keck e Mithouard e conclude che le disposizioni nazionali che vietano l’uso di un prodotto o che ne consentono solo un uso marginale ricadono nell’ambito di applicazione dell’art. 28 CE «ove precludano ([o] quasi) l’accesso al mercato del prodotto» (20).
47. Dopo aver ricordato quanto sopra, ritengo importante ricapitolare per sommi capi la giurisprudenza in tema di libera circolazione delle merci.
1. La giurisprudenza relativa al principio della libera circolazione delle merci
48. La libera circolazione delle merci tra gli Stati membri costituisce uno dei principi fondamentali della Comunità (21).
49. Difatti, l’art. 3 CE, inserito nella prima parte del Trattato, intitolata «Principi», dispone alla lett. c) che, ai fini enunciati all’art. 2 CE, l’azione della Comunità comporta un mercato interno caratterizzato dall’eliminazione, fra gli Stati membri, degli ostacoli anche alla libera circolazione delle merci.
50. Inoltre ai sensi dell’art. 14, n. 2, CE, il mercato interno comporta uno spazio senza frontiere interne, nel quale è assicurata la libera circolazione delle merci secondo le disposizioni del Trattato.
51. Questo principio fondamentale è messo in atto in particolare dall’art. 28 CE.
52. Questa disposizione, lo ricordo, stabilisce che sono vietate fra gli Stati membri le restrizioni quantitative all’importazione nonché qualsiasi misura di effetto equivalente.
53. Secondo una giurisprudenza costante sin dalla sentenza 11 luglio 1974, Dassonville (22), tale disposizione va intesa come diretta all’eliminazione di «ogni normativa commerciale degli Stati membri che possa ostacolare direttamente o indirettamente, in atto o in potenza, gli scambi intracomunitari» (23).
54. Inoltre, la Corte ha espressamente riconosciuto nella sentenza 20 febbraio 1979, Rewe-Zentral, detta «Cassis de Dijon» (24), che, in assenza di armonizzazione delle legislazioni nazionali, misure indistintamente applicabili ai prodotti nazionali e a quelli importati da altri Stati membri possono costituire anch’esse restrizioni alla libera circolazione delle merci (25).
55. Secondo la Corte, tali restrizioni possono però essere giustificate da uno dei motivi indicati nell’art. 30 CE o da una delle esigenze imperative riconosciute dalla sua giurisprudenza (26), a condizione che, in entrambi i casi, le misure siano idonee a garantire la realizzazione dell’obiettivo perseguito e non vadano oltre quanto necessario per il suo raggiungimento (27).
56. L’interpretazione che la Corte ha dato nella citata sentenza Dassonville della nozione di misura di effetto equivalente è particolarmente ampia (28). Infatti, alla luce della giurisprudenza citata, anche se una misura non ha per oggetto la regolamentazione degli scambi di merci tra gli Stati membri, quel che è determinante per il giudice comunitario è il suo effetto sul commercio intracomunitario, attuale o potenziale che sia. Tale interpretazione ha quindi permesso di comprendere nella prospettiva dell’art. 28 CE tutte le forme di protezionismo economico degli Stati membri, dal momento che tutte le normative nazionali idonee a produrre effetti restrittivi sul commercio, anche quelle che non presentavano alcun nesso con le importazioni, potevano essere oggetto di esame da parte della Corte.
57. Per tentare di arginare quel che ha ritenuto essere un ricorso eccessivo all’art. 28 CE e per evitare di interferire oltre misura con i poteri normativi degli Stati membri, la Corte ha adottato un nuovo approccio nel senso di limitare la portata di tale disposizione.
58. In un primo tempo, la Corte ha cercato di escludere dall’ambito di applicazione dell’art. 28 CE alcune normative che perseguivano un obiettivo di interesse generale ed erano prive di nesso con l’attività commerciale.
59. Per esempio, nella sentenza 14 luglio 1981, Oebel (29), la Corte ha dichiarato che una normativa nazionale sul lavoro notturno nelle panetterie e nelle pasticcerie costituiva una legittima scelta di politica economica e sociale, conforme agli obiettivi di interesse generale perseguiti dal Trattato. A suo avviso una simile normativa, che «si applica[va], in funzione di criteri obiettivi, a tutte le imprese di un settore determinato, stabilite sul territorio nazionale, senza creare alcuna differenza di trattamento in ragione della nazionalità degli operatori e senza distinguere fra il commercio interno dello Stato interessato e quello d’esportazione», non aveva per effetto di restringere specificamente le correnti di scambio intracomunitario e non costituiva dunque manifestamente una misura di effetto equivalente contraria all’art. 28 CE (30).
60. Analogamente, nella sentenza 31 marzo 1982, Blegsen (31), la Corte ha dichiarato che una normativa che limitava il consumo, la vendita e l’offerta di bevande alcoliche nei locali pubblici non era contraria all’art. 28 CE in quanto, non avendo alcun rapporto con l’importazione dei prodotti, non era atta ad ostacolare il commercio tra gli Stati membri. Tale misura non stabiliva una distinzione in base alla natura o alla provenienza dei prodotti né influiva sulle altre forme di smercio delle bevande alcoliche. Quanto ai suoi effetti restrittivi, la Corte ha ritenuto che non eccedessero gli effetti propri di una normativa commerciale (32).
61. In una seconda fase, la Corte ha deciso di riconsiderare la propria giurisprudenza. La citata sentenza Keck e Mithouard segna un punto di svolta nel suo approccio. La Corte ha infatti ritenuto necessario riesaminare e precisare la propria giurisprudenza in materia «[c]onsiderato che [a suo avviso] gli operatori economici invocano sempre più frequentemente l’art. [28 CE] al fine di contestare qualsiasi normativa che, pur non riguardando i prodotti provenienti da altri Stati membri, produca l’effetto di limitare la loro libertà commerciale» (33).
62. Detta causa verteva su una normativa francese che vietava la vendita sottocosto. Pur riconoscendo che siffatta normativa era atta a restringere il volume delle vendite dei prodotti importati privando gli operatori economici di un metodo di promozione delle vendite, la Corte si è domandata se «tale eventualità [fosse] sufficiente per qualificare la normativa di cui tratta[va]si come misura di effetto equivalente ad una restrizione quantitativa all’importazione» (34) ai sensi dell’art. 28 CE.
63. Per rispondere alla domanda, la Corte ha distinto fra due categorie di normative: quelle che dettano i requisiti cui le merci devono rispondere e quelle che limitano o vietano determinate modalità di vendita. Per ciascuna delle due categorie la Corte ha previsto un sistema di controllo diverso.
64. La prima categoria è quella delle normative concernenti specificamente la denominazione, la forma, il peso, le dimensioni, la composizione, la presentazione, l’etichettatura o il confezionamento del prodotto che stabiliscono requisiti diversi da quelli imposti nello Stato membro di origine (35).
65. In tal caso, la Corte ha confermato la giurisprudenza classica inaugurata con la citata sentenza Cassis de Dijon, secondo la quale tali normative, anche se indistintamente applicabili a tutti i prodotti, rientrano nell’ambito di applicazione dell’art. 28 CE (36).
66. L’ostacolo agli scambi deriva difatti dall’obbligo di adattare alle condizioni imposte nello Stato membro di commercializzazione le merci provenienti dagli altri Stati membri. Per esempio, imponendo una nuova confezione o una modifica della composizione del prodotto, una simile normativa implica costi e difficoltà supplementari per l’importatore.
67. La seconda categoria comprende le normative che limitano o vietano talune «modalità di vendita». La Corte non ha dato una definizione di questa nozione, tuttavia è possibile farne un inventario, non esaustivo, sulla base della sua giurisprudenza. Oltre al divieto di vendita sottocosto di cui alla citata sentenza Keck e Mithouard, la Corte ha ritenuto che concernessero «modalità di vendita» le normative che limitano alcune forme di promozione delle vendite, come i divieti che colpiscono la pubblicità televisiva in un determinato settore o destinata ad un pubblico particolare (37), o le normative che riservano la vendita di determinati prodotti a certi stabilimenti (38) o che disciplinano, per esempio, gli orari di apertura degli esercizi commerciali (39).
68. Oramai, in mancanza di discriminazione diretta o dissimulata a vantaggio dell’industria nazionale, tali normative non ricadono più nell’ambito di applicazione dell’art. 28 CE.
69. Come si può osservare, queste misure riguardano l’esercizio dell’attività commerciale in quanto tale. Esse hanno carattere generale e non colpiscono la vendita dei prodotti provenienti da altri Stati membri in modo diverso da quella dei prodotti nazionali. Tali normative non sono atte a condizionare direttamente l’accesso al mercato del prodotto considerato. Tuttavia, esse possono avere un effetto indiretto sulle importazioni, poiché possono effettivamente determinare un calo delle vendite.
70. Contrariamente alla sua precedente giurisprudenza, la Corte ha quindi ritenuto che tali normative non costituiscono misure di effetto equivalente ai sensi dell’art. 28 CE, sempre che le misure «valgano nei confronti di tutti gli operatori interessati che svolgano la propria attività sul territorio nazionale» e sempre che incidano «in egual misura, tanto sotto il profilo giuridico quanto sotto quello sostanziale, sullo smercio dei prodotti sia nazionali sia provenienti da altri Stati membri» (40).
71. La Corte ha quindi precisato che, ove tali requisiti siano soddisfatti, «l’applicazione di normative di tal genere alla vendita di prodotti provenienti da un altro Stato membro e rispondenti alle norme stabilite da tale Stato non costituisce elemento atto ad impedire l’accesso di tali prodotti al mercato o ad ostacolarlo in misura maggiore rispetto all’ostacolo rappresentato per i prodotti nazionali» (41).
72. Qual è la ragion d’essere della distinzione che la Corte ha operato fra le due categorie di normative?
73. I prodotti, così come sono con la loro composizione, denominazione, forma, etichettatura e confezionamento, debbono poter essere esportati, in linea di principio, in tutti gli Stati membri, qualora rispondano, riguardo ai suddetti punti, alle prescrizioni del loro Stato di provenienza. L’applicazione della normativa dello Stato di importazione è lecita solo qualora possa essere giustificata da un motivo superiore di interesse generale. Si tratta di non ostacolare oltre quanto necessario l’accesso dei prodotti al mercato dello Stato membro di importazione e di evitare così che l’industria nazionale benefici di una protezione.
74. Per contro, sin dal momento in cui tali prodotti hanno accesso al mercato dello Stato membro di importazione, essi debbono poter essere soggetti alle «regole di vendita» che sono in vigore in detto Stato. Al riguardo, essi debbono trovarsi su un piano di parità con i prodotti nazionali.
75. L’introduzione di una siffatta distinzione mi sembra ispirata all’intento di garantire l’esistenza di un regime giuridico equilibrato. Infatti, l’esame della giurisprudenza della Corte mostra un conflitto latente tra la volontà del giudice comunitario di conferire all’art. 28 CE un ruolo di «strumento di tutela» contro le diverse forme di protezionismo economico degli Stati membri, da un lato, e la preoccupazione elevata della Corte di non interferire con certi settori della politica interna degli Stati, dall’altro lato.
76. Sotto questo profilo la causa in oggetto si pone al centro del problema.
77. La citata sentenza Keck e Mithouard ha sollevato perplessità. Molti hanno lamentato le contraddizioni in essa contenute, la sua mancanza di motivazione e di chiarezza (42). L’attuazione dei criteri individuati in tale sentenza ha comportato non poche difficoltà interpretative cui la Corte ha dovuto far fronte e che hanno potuto essere risolte unicamente caso per caso.
78. Mi concentrerò in particolare su due critiche mosse nei confronti di tale giurisprudenza.
79. In primo luogo, come altri prima di me, ritengo improprio operare una distinzione tra differenti categorie di misure (43).
80. Infatti, benché sia lecito tentare di elaborare ipotesi riguardo agli effetti sul mercato di diverse categorie di misure, l’esistenza di una restrizione può dipendere anche da altri fattori, come le modalità di applicazione della normativa di cui si tratta e i suoi effetti in concreto sugli scambi.
81. La distinzione operata dalla Corte può quindi essere artificiosa e la linea di demarcazione tra queste diverse categorie di misure può apparire incerta (44). In alcuni casi, la Corte qualifica normative sulle caratteristiche dei prodotti come «modalità di vendita» (45). In altri casi, essa considera misure relative alle modalità di vendita di un prodotto come norme sulle caratteristiche dei prodotti; ad esempio, le misure che disciplinano la pubblicità nel caso in cui abbiano effetti sulla confezione del prodotto (46). Ma può altresì accadere che la Corte si discosti da tale distinzione per effettuare un’analisi basata unicamente sugli effetti della normativa (47). Questi esempi dimostrano le difficoltà che la Corte può incontrare nella qualificazione di alcune misure. A mio avviso, quindi, è difficile procedere per categorie quando, nella pratica, il giudice nazionale e il giudice comunitario possono trovarsi di fronte a normative assai diverse, che vanno valutate alla luce delle circostanze di ogni singolo caso di specie.
82. In secondo luogo, individuando criteri nuovi e creando un sistema di controllo diverso secondo i tipi di misure in questione, questa giurisprudenza ha portato a differenziare il modo in cui sono percepite le restrizioni alla libera circolazione delle merci rispetto al regime applicabile alle altre libertà di circolazione (48).
83. Infatti, come vedremo, i modi in cui vengono percepite le restrizioni a queste diverse libertà hanno in comune il fatto di basarsi su un criterio unico, quello dell’accesso al mercato. Non ritengo che adottare un approccio diverso nel settore della libera circolazione delle merci sia coerente con i requisiti legati alla costruzione di un mercato unico europeo e all’emergere di una cittadinanza dell’Unione.
84. Pertanto, alla luce di quanto precede, ritengo che i criteri individuati dalla Corte nella citata sentenza Keck e Mithouard non abbiano permesso di chiarire l’ambito di applicazione dell’art. 28 CE e di agevolarne l’attuazione.
85. Tuttavia, al pari dell’avvocato generale Poiares Maduro, non mi sembra che sia oggi opportuno tornare sulla suddetta giurisprudenza (49).
86. Né ritengo che si debba estendere la suddetta giurisprudenza alle normative, come quella di cui si discute nella causa principale, riguardanti le «modalità di utilizzo» dei prodotti.
2. I motivi per cui non sono favorevole ad una estensione della giurisprudenza Keck e Mithouard alle misure che regolano le modalità di utilizzo dei prodotti
87. Estendere la giurisprudenza Keck e Mithouard succitata alle normative riguardanti le modalità di utilizzo dei prodotti presenta, a mio avviso, un certo numero di inconvenienti, mentre la «griglia di analisi classica» della Corte mi sembra pienamente soddisfacente.
88. In primo luogo, una soluzione come quella prospettata equivarrebbe ad introdurre un nuovo tipo di deroga all’applicazione dell’art. 28 CE. Ebbene, non sono favorevole a tale soluzione, per più di un motivo.
89. Da un lato, non sono sicuro che le ragioni che hanno portato la Corte ad escludere dall’ambito di applicazione dell’art. 28 CE le normative riguardanti le modalità di vendita dei prodotti valgano anche nel caso di misure che ne regolano le modalità di utilizzo. Infatti, a meno di sbagliarmi, alla Corte non è stato presentato un numero rilevante di ricorsi contro questo tipo di misure.
90. Dall’altro lato, come ho già spiegato, non considero opportuno distinguere tra diverse categorie di normative. Si tratta di un modo artificiale di procedere che può essere fonte di confusione per il giudice nazionale.
91. Infine, ritengo che escludere dall’ambito di applicazione dell’art. 28 CE non solo le misure nazionali che regolano le modalità di vendita dei prodotti, ma anche quelle che disciplinano le loro modalità di utilizzo sia contrario agli obiettivi del Trattato, ossia alla creazione di un mercato unico e integrato. A mio avviso, una simile soluzione pregiudicherebbe l’effetto utile dell’art. 28 CE, poiché equivarrebbe a reintrodurre la possibilità per gli Stati membri di legiferare in settori che il legislatore ha invece voluto «comunitarizzare». Ebbene, non è questa la direzione che devono prendere la costruzione europea e la creazione di un mercato unico europeo. Occorre infatti che un prodotto possa circolare senza ostacoli all’interno del mercato comune e che le misure nazionali che ostacolano in qualsiasi modo gli scambi intracomunitari possano essere giustificate dagli Stati membri.
92. In secondo luogo, ritengo che non vi sia alcun interesse a limitare il controllo della Corte su misure che, in realtà, possono costituire un serio ostacolo agli scambi intracomunitari.
93. Infatti, il controllo giurisdizionale cui la Corte procede secondo la «griglia di analisi classica» definita nelle sentenze Dassonville e Cassis de Dijon, precedentemente citate, è a mio parere pienamente soddisfacente e non vedo motivi per discostarsene.
94. Questa griglia di analisi non solo permette alla Corte di controllare il rispetto delle disposizioni del Trattato da parte degli Stati membri, ma lascia altresì a questi ultimi il margine di manovra necessario per tutelare i loro legittimi interessi.
95. In effetti, ricordo che al fine di evitare che la liberalizzazione degli scambi comprometta il perseguimento di altri interessi generali, il legislatore comunitario e la Corte, attraverso la sua giurisprudenza, hanno stabilito deroghe al principio della libera circolazione delle merci (50).
96. L’art. 30 CE detta infatti un elenco di giustificazioni che gli Stati membri possono invocare per adottare restrizioni alla libera circolazione delle merci. Si tratta di un elenco tassativo che va interpretato restrittivamente (51).
97. Parallelamente, la giurisprudenza della Corte ha definito alcune «esigenze imperative di interesse generale», tra cui i timori legati all’ambiente o ancora la tutela dei consumatori (52). Per esempio, in assenza di armonizzazione comunitaria, una misura nazionale adottata per la tutela dell’ambiente può costituire un’«esigenza imperativa» atta, ai sensi della citata sentenza Cassis de Dijon, a limitare l’applicazione dell’art. 28 CE.
98. Il fatto che il legislatore e il giudice comunitario abbiano ammesso casi in cui può essere legittimo limitare la libera circolazione delle merci non lascia però «carta bianca» agli Stati membri. Le misure da questi adottate, infatti, anche se giustificate da motivi di interesse generale, debbono comunque essere necessarie e proporzionate (53).
99. Tale griglia di analisi permette inoltre alla Corte di garantire un controllo giurisdizionale su tutte le misure adottate dagli Stati membri.
100. Si tratta di un controllo necessario. Occorre infatti accertarsi che gli Stati membri tengano conto del grado di incidenza delle norme da essi adottate sulla libera circolazione delle merci, nonché del godimento, da parte di chi opera sul mercato, delle libertà di circolazione. Occorre altresì evitare che i giudici nazionali siano portati ad escludere un numero eccessivo di misure dal divieto previsto dalla suddetta disposizione. La nozione di restrizione dev’essere quindi considerata in senso ampio.
101. Al tempo stesso, questo controllo giurisdizionale deve rimanere limitato, perché il ruolo della Corte non è quello di mettere sistematicamente in dubbio le misure di polizia che gli Stati membri possono adottare. È dunque il controllo di proporzionalità che consente alla Corte di effettuare una ponderazione di interessi fra i timori legati alla realizzazione del mercato interno e la tutela degli interessi legittimi degli Stati membri (54).
102. Tenuto conto di quanto precede, non vedo quindi alcun motivo di discostarsi dalla suddetta griglia di analisi per accogliere una soluzione che, alla fine, porterebbe a svuotare una delle disposizioni fondamentali del Trattato di parte del suo contenuto.
103. In terzo luogo, penso che la citata giurisprudenza Keck e Mithouard non possa essere estesa né ad una normativa che vieta l’uso di un prodotto né ad una normativa che stabilisce le modalità di utilizzo dello stesso.
104. Difatti, la normativa oggetto della presente causa, vietando tout court l’uso di un prodotto e privandolo così di ogni utilità, costituisce, per sua stessa natura, un ostacolo alla libera circolazione delle merci. Pur applicandosi allo stesso modo ai prodotti nazionali e a quelli importati, tale normativa impedisce ai secondi l’accesso al mercato. Questo costituisce con evidenza una restrizione e rende necessario un esame basato sul combinato disposto degli artt. 28 CE e 30 CE.
105. A mio avviso, altrettanto avviene nel caso delle misure che fissano le modalità di utilizzo di un prodotto. In linea di principio tali misure non hanno per oggetto di regolare gli scambi di merci tra gli Stati membri; tuttavia, esse possono produrre effetti sul commercio intracomunitario influenzando l’accesso al mercato del prodotto interessato. Secondo me è quindi preferibile esaminare questo tipo di misure alla luce delle norme del Trattato, anziché escluderle dall’ambito di applicazione dello stesso.
106. Tutto ciò considerato; ritengo che le disposizioni nazionali che disciplinano l’utilizzo di un prodotto vadano valutate alla luce non dei criteri individuati dalla Corte nella citata sentenza Keck e Mithouard, bensì dell’art. 28 CE.
107. L’esame che il giudice comunitario deve compiere dovrebbe, a mio avviso, basarsi su un criterio elaborato alla luce dell’obiettivo perseguito dall’art. 28 CE e comune a tutte le restrizioni alle libertà di circolazione, ossia il criterio dell’accesso al mercato (55).
3. Un controllo giurisdizionale basato sul criterio dell’accesso al mercato
108. Ricordo che, ai sensi dell’art. 28 CE, il Trattato vieta qualsiasi «misura di effetto equivalente» tra gli Stati membri (56). Nell’ambito del controllo giurisdizionale di una misura nazionale sarebbe pertanto maggiormente conforme alla lettera e allo spirito del Trattato effettuare una valutazione concreta degli effetti di tale normativa sul mercato.
109. Quello da me suggerito sarebbe pertanto un criterio generale, basato più sull’effetto della misura sull’accesso al mercato che non sull’oggetto della normativa in esame. Esso si applicherebbe quindi a tutti i tipi di normative, che si tratti di requisiti dei prodotti, di modalità di vendita o ancora di modalità di utilizzo.
110. Detto criterio si articolerebbe intorno alla misura in cui una normativa nazionale ostacola il commercio tra gli Stati membri (57).
111. Alla sua stregua, una normativa nazionale costituirebbe una misura di effetto equivalente a una restrizione quantitativa, contraria al Trattato, allorché impedisce, ostacola o rende più difficile l’accesso al mercato dei prodotti originari degli altri Stati membri.
112. Con un simile criterio gli Stati membri dovrebbero solamente giustificare le misure che ostacolano il commercio intracomunitario. Ciò consentirebbe di trovare un migliore equilibrio tra le esigenze legate al buon funzionamento del mercato comune e quelle legate al necessario rispetto delle competenze sovrane degli Stati membri.
113. Quanto alla sua attuazione ritengo, al pari della Commissione, che il giudice comunitario dovrebbe procedere ad un esame caso per caso. Nell’ambito di tale controllo la Corte valuterebbe in concreto la portata dell’ostacolo agli scambi intracomunitari provocato dalla misura che limita l’accesso al mercato.
114. Un esame della giurisprudenza della Corte ci fornisce alcune indicazioni sull’applicazione di siffatto criterio.
115. Innanzi tutto, per quanto riguarda le misure che operano una discriminazione aperta, l’ostacolo agli scambi intracomunitari è evidente. Tali misure sono vietate in quanto tali dall’art. 28 CE.
116. Per quel che riguarda, invece, le altre categorie di misure, occorre esaminarne l’impatto concreto sulle correnti di scambio, ma l’analisi che la Corte sarebbe tenuta ad effettuare non dovrebbe comportare valutazioni economiche complesse. Infatti, per la Corte, l’art. 28 CE non fa distinzione tra i provvedimenti che possono essere considerati misure di effetto equivalente a una restrizione quantitativa secondo l’intensità degli effetti che essi hanno sugli scambi in seno alla Comunità (58).
117. La Corte deve tuttavia disporre di indicazioni sufficienti che le consentano di stabilire se tali misure siano atte ad impedire o ad ostacolare il commercio tra gli Stati membri. Infatti, dalla sua giurisprudenza emerge che gli effetti meramente ipotetici (59) o quelli troppo aleatori e indiretti (60) o ancora quelli semplicemente insignificanti (61) non sono sufficienti per qualificare una misura come misura di effetto equivalente a una restrizione quantitativa, contraria all’art. 28 CE. Non è quindi necessario che l’ostacolo sia attuale e significativo, ma occorre che sia almeno possibile. Tale sarebbe, per esempio, il caso delle misure indistintamente applicabili che stabiliscono specifici requisiti dei prodotti.
118. Il ricorso ad un criterio unico e semplice, relativo all’accesso al mercato, permetterebbe di armonizzare i sistemi di controllo delle restrizioni alle diverse libertà di circolazione. Difatti, come abbiamo spiegato, i criteri individuati nella citata giurisprudenza Keck e Mithouard hanno comportato una differenziazione nel modo in cui vengono percepite le restrizioni alla libera circolazione delle merci rispetto alle altre libertà. Orbene, un approccio comune tra queste diverse libertà si impone, tenuto conto, in particolare, delle esigenze legate alla costruzione del mercato unico europeo e dell’emergere di una cittadinanza europea.
119. Le analogie tra le libertà di circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali non sono evidentemente perfette. Tuttavia, i modi in cui vengono percepite le restrizioni a tali diverse libertà presentano in comune il fatto di basarsi sull’esistenza di un ostacolo all’accesso al mercato.
120. Nel campo della libera circolazione delle persone, dei servizi e dei capitali, la Corte esamina se la misura controversa impedisca, ostacoli o scoraggi l’esercizio della libertà in questione e giudica contraria al Trattato una normativa che limiti, per esempio, l’accesso di un lavoratore al mercato dell’occupazione o che impedisca l’accesso di capitali ad un mercato finanziario.
121. La Corte lo ha recentemente ricordato nella sentenza Governo della Comunità francese e Governo vallone, precisando che «gli artt. 39 CE e 43 CE ostano a qualsiasi provvedimento nazionale che, seppur applicabile senza discriminazioni basate sulla cittadinanza, sia idoneo ad ostacolare o a scoraggiare l’esercizio, da parte dei cittadini comunitari, delle libertà fondamentali garantite dal Trattato» (62).
122. Tra queste misure figurano quelle che, pur essendo indistintamente applicabili, colpiscono una modalità di esercizio dell’attività interessata, privando un operatore economico di un mezzo efficace di concorrenza per entrare in un mercato (63).
123. Per esempio, nella sentenza Caixabank France, citata in precedenza, la Corte ha ritenuto che la normativa francese che vietava la remunerazione dei conti di deposito a vista costituisse una restrizione ai sensi dell’art. 43 CE, rappresentando per le società di Stati membri diversi dalla Repubblica francese un «serio ostacolo all’esercizio delle loro attività» atto a pregiudicare il loro accesso al mercato francese (64).
124. Ancora, per quanto riguarda la libera prestazione dei servizi, nella sentenza Fidium Finanz (65), vertente su una normativa tedesca che imponeva un’autorizzazione preliminare nello Stato membro in cui la prestazione era fornita, la Corte ha dichiarato che il regime controverso aveva per effetto di ostacolare l’accesso al mercato finanziario tedesco degli operatori economici privi dei requisiti stabiliti dalla legge tedesca, in particolare delle società aventi sede in Stati terzi (66).
125. In quella stessa sentenza, sebbene l’aspetto relativo alla libera circolazione dei capitali sia stato ritenuto accessorio, la Corte ha osservato che la medesima normativa rendeva meno accessibili ai clienti residenti in Germania le prestazioni di servizi finanziari proposte da società stabilite al di fuori dello Spazio economico europeo e comportava, di conseguenza, una diminuzione dei flussi finanziari transfrontalieri relativi a tali prestazioni (67).
126. Per quanto attiene, infine, alla libera circolazione dei lavoratori, nella sentenza Graf (68) la Corte ha considerato che disposizioni, anche indistintamente applicabili, che impediscono ad un cittadino di uno Stato membro di lasciare il paese d’origine per esercitare il proprio diritto alla libera circolazione, o che lo dissuadono dal farlo, costituiscono ostacoli frapposti a tale libertà. Al riguardo, la Corte ha ricordato che, «per poter costituire ostacoli del genere, occorre che [le misure di cui trattasi] condizionino direttamente l’accesso dei lavoratori al mercato del lavoro negli altri Stati membri» (69). In tal senso la Corte si era già pronunciata nella sentenza Bosman (70), vertente su una normativa riguardante il trasferimento di un calciatore professionista da un club ad un altro (71).
127. Dette misure costituiscono restrizioni contrarie al Trattato in quanto, impedendo l’accesso di nuovi operatori al mercato, creano oggettivamente delle barriere alle libertà di circolazione. Esse cristallizzano il mercato interessato nella sua situazione attuale e sono dunque, per loro natura, contrarie alle libertà di circolazione ed alla concorrenza, sulle quali si fonda per l’appunto il mercato comune (72).
128. Nel settore della libera circolazione delle merci il criterio dell’accesso al mercato è alla base dell’approccio giurisprudenziale della Corte.
129. Ricordo che nella sentenza Dassonville, precedentemente citata, la Corte ha definito misura di effetto equivalente «ogni normativa commerciale degli Stati membri che possa ostacolare (…) gli scambi intracomunitari» (73). Successivamente, nella citata sentenza Keck e Mithouard, la Corte ha dichiarato che disposizioni nazionali che limitano o vietano alcune modalità di vendita esulano dalla sfera di applicazione dell’art. 28 CE qualora non costituiscano un elemento «atto ad impedire l’accesso [dei prodotti provenienti da un altro Stato membro] al mercato o ad ostacolarlo in misura maggiore rispetto all’ostacolo rappresentato per i prodotti nazionali» (74). Distinguendo tra diverse categorie di misure, la Corte ha pertanto tentato di individuare le condizioni in cui ciascuna di tali categorie può pregiudicare l’accesso al mercato (75).
130. Esistono numerosi esempi in giurisprudenza basati, in realtà, su questo criterio. Per esempio, nella sentenza Gourmet International Products (76), la Corte ha rilevato che una normativa che vieti qualsiasi diffusione di messaggi pubblicitari per le bevande alcoliche diretti ai consumatori costituisce un ostacolo al commercio tra gli Stati membri, che rientra nell’ambito di applicazione dell’art. 28 CE, in quanto incide sull’accesso al mercato dei prodotti provenienti da altri Stati membri più che su quello dei prodotti nazionali (77). Analogamente, nella sentenza De Agostini e TV‑Shop, citata in precedenza, la Corte ha concluso che una normativa nazionale che priva un annunciatore della sola forma di promozione che gli permetterebbe di entrare sul mercato rilevante può costituire una misura di effetto equivalente a una restrizione quantitativa (78).
131. Come rilevato dall’avvocato generale Tizzano nelle conclusioni relative alla citata sentenza CaixaBank France, nella giurisprudenza relativa alla libera circolazione delle merci si ritrova enunciato dunque un criterio dello stesso tenore di quello applicato riguardo alle altre libertà (79).
132. L’uso di uno stesso criterio per tutte le libertà di circolazione permette di risolvere più facilmente le ipotesi in cui alcune misure soggette all’esame della Corte nella prospettiva della libera circolazione delle merci possono costituire anche restrizioni alle altre libertà di circolazione.
133. Se, nella maggior parte dei casi, la Corte procede all’esame di questo tipo di misure solamente riguardo ad una delle libertà fondamentali (80), è anche vero che a volte essa ha ritenuto che l’aspetto della libera circolazione delle merci e quello della libera prestazione dei servizi, per esempio, fossero strettamente connessi e ha quindi esaminato, in modo simultaneo, la restrizione in oggetto alla luce sia dell’art. 28 CE che dell’art. 49 CE.
134. Per esempio, nella sentenza Canal Satélite Digital (81), la Corte ha giudicato contraria ai principi della libera circolazione delle merci e della libera prestazione dei servizi una normativa che assoggettava l’immissione in commercio di talune attrezzature, nonché la prestazione dei servizi connessi, ad una procedura di previa autorizzazione in quanto, in considerazione della sua durata e dell’importo delle spese che ne derivano, essa era idonea a dissuadere gli operatori interessati dal perseguimento del loro progetto (82).
135. Esistono inoltre anche casi in cui la Corte ha applicato in via analogica al settore delle altre libertà di circolazione i criteri individuati nella citata sentenza Keck e Mithouard. Per esempio, nella sentenza Alpine Investments (83), relativa alla libera prestazione dei servizi, il giudice comunitario ha messo l’accento proprio sul fatto che, a differenza che nella citata causa Keck e Mithouard, il divieto in questione «condizionava direttamente l’accesso al mercato dei servizi negli altri Stati membri [ed era] quindi atto ad ostacolare il commercio intracomunitario dei servizi» (84).
136. Di conseguenza, alla luce di quanto precede, sono dell’avviso che una normativa nazionale sia atta a costituire una misura di effetto equivalente a una restrizione quantitativa, contraria al Trattato, qualora ostacoli l’accesso di un prodotto al mercato, e ciò indipendentemente dall’oggetto della misura in questione.
137. Pertanto, per rispondere al quesito posto dalla Corte nell’ambito della presente causa, ritengo che disposizioni nazionali che regolano le condizioni per l’utilizzo di un prodotto e che sono indistintamente applicabili ai prodotti nazionali e a quelli importati da altri Stati membri costituiscano misure di effetto equivalente a restrizioni quantitative all’importazione ai sensi dell’art. 28 CE qualora ostacolino l’accesso al mercato del prodotto interessato.
138. Passo ora ad esaminare, alla luce dei suddetti elementi, la conformità della misura oggetto della presente fattispecie con il principio della libera circolazione delle merci sancito dall’art. 28 CE.
V – Sull’inadempimento
139. Il ricorso della Commissione, lo ricordo, è diretto a far constatare alla Corte che, vietando ai ciclomotori, ai motocicli, ai tricicli e ai quadricicli il traino di rimorchi, la normativa italiana introduce un ostacolo alla libera circolazione delle merci contrario al Trattato.
A – I principali argomenti delle parti (85)
140. In via preliminare, la Commissione ricorda che, in mancanza di una normativa comunitaria armonizzata relativa all’omologazione, all’immatricolazione e alla circolazione dei rimorchi per motoveicoli, trovano applicazione gli artt. 28 CE e 30 CE.
141. La Commissione fa osservare che la normativa italiana impedisce l’utilizzazione dei rimorchi legalmente fabbricati e commercializzati negli altri Stati membri, ostacolandone in tal modo l’importazione e la vendita in Italia. Siffatto divieto potrebbe essere ritenuto compatibile con il Trattato solo se giustificato da uno dei motivi elencati all’art. 30 CE o da una delle esigenze imperative riconosciute dalla giurisprudenza della Corte.
142. A tale riguardo la Commissione rileva che il fatto che la Repubblica italiana ammetta motoveicoli immatricolati in altri Stati membri a circolare sul suo territorio trainando rimorchi prova che il divieto di traino in questione non risponde ad esigenze di sicurezza della circolazione stradale.
143. La Commissione nota, infine, che i ‘considerando’ delle direttive 93/93 e 97/24, invocati dalla Repubblica italiana a sostegno della sua normativa, secondo una giurisprudenza costante non sono vincolanti e non possono avere l’oggetto o l’effetto di rendere compatibili con il diritto comunitario disposizioni nazionali come quelle di cui trattasi nel presente ricorso.
144. La Repubblica italiana replica a tali argomenti che l’infrazione addebitatale concerne il divieto di trainare rimorchi per i motoveicoli immatricolati in Italia e non il rifiuto d’immatricolazione di motoveicoli e di rimorchi fabbricati in un altro Stato membro e destinati ad essere commercializzati in Italia.
145. Sostiene, inoltre, che la riserva espressa negli ultimi ‘considerando’ delle direttive 93/93 e 97/24 legittima la misura controversa. Tale riserva si spiegherebbe con la differente configurazione dei territori nazionali e potrebbe essere superata solo se le regole tecniche relative ad omologazione, immatricolazione e circolazione stradale dei rimorchi trainati da veicoli a motore a due o a tre ruote fossero armonizzate (86). Ebbene, la Repubblica italiana fa notare che il diritto comunitario applicabile non prevede una tale armonizzazione. Il reciproco riconoscimento dei rimorchi resterebbe, pertanto, nella discrezionalità degli Stati membri.
146. La Repubblica italiana sottolinea, infine, che le caratteristiche tecniche dei veicoli sono importanti per la sicurezza della circolazione stradale. Le autorità italiane sono dell’avviso che, senza norme di omologazione per i veicoli trainanti rimorchi, le condizioni di sicurezza della circolazione non siano garantite.
B – Analisi
147. Si deve osservare, in limine, che il diritto comunitario nulla dispone riguardo alle regole di condotta e di circolazione, in particolare dei veicoli dotati di rimorchio.
148. In assenza di disposizioni di armonizzazione a livello comunitario, gli Stati membri possono quindi stabilire il livello di tutela della sicurezza della circolazione stradale che ritengono appropriato per il loro territorio ed emanare misure volte a proteggere la sicurezza pubblica. Di conseguenza, essi possono prevedere restrizioni all’uso dei rimorchi.
149. Tale competenza, però, non è priva di limiti.
150. Infatti, in assenza di norme comuni o armonizzate, gli Stati membri sono tenuti a rispettare le libertà fondamentali consacrate dal Trattato, fra le quali figura, lo ricordo, la libertà di circolazione delle merci (87). Come ho già spiegato, tale libertà garantisce, ai sensi dell’art. 28 CE, il divieto tra gli Stati membri di restrizioni quantitative all’importazione nonché di qualsiasi misura di effetto equivalente.
151. Dalla definizione di misura di effetto equivalente offerta dalla Corte nella citata sentenza Dassonville consegue che ogni normativa nazionale che ostacoli l’accesso al mercato del prodotto importato ricade nell’ambito di applicazione dell’art. 28 CE.
152. Alla luce dell’analisi appena effettuata, si pone pertanto il problema di verificare se la legislazione italiana sia atta ad ostacolare gli scambi tra gli Stati membri e, in particolare, ad impedire che rimorchi legalmente fabbricati e commercializzati negli altri Stati membri entrino nel mercato italiano.
153. Nella presente causa la normativa in esame è una misura di polizia adottata dal governo italiano per garantire la sicurezza dei conducenti e degli utenti della strada. In quanto tale, essa è inserita nel codice della strada. Tale misura vieta a chi utilizza un rimorchio di attaccarlo ad un ciclomotore, ad un motociclo, ad un triciclo o ancora ad un quadriciclo, su tutto il territorio italiano. Non sembra che vi siano deroghe a questo divieto di principio. A differenza della normativa discussa nella causa Mickelsson e Roos, citata in precedenza, la detta misura non limita l’utilizzo di un prodotto, ma lo vieta tout court.
154. Inoltre, la misura in esame non distingue affatto se i rimorchi siano fabbricati e commercializzati in Italia o siano importati da altri Stati membri (88). Nella controreplica, infatti, la Repubblica italiana sottolinea che il divieto riguarda tutti i rimorchi, indipendentemente dal luogo in cui vengono prodotti e venduti (89).
155. Come indicato dalla Commissione nelle sue osservazioni scritte (90), i rimorchi oggetto della normativa in discussione costituiscono un mercato particolare. Essi difatti posseggono caratteristiche tecniche peculiari per poter essere agganciati a motoveicoli.
156. Alla luce dei suddetti elementi, pur riconoscendo pienamente l’importanza della tutela della sicurezza della circolazione stradale e tenendo conto della crescente consapevolezza che di essa hanno la Comunità e gli Stati membri, ritengo che la normativa italiana imponga considerevoli restrizioni ai produttori e ai distributori di rimorchi stabiliti negli altri Stati membri.
157. Difatti, il divieto in questione ha l’effetto di rendere praticamente impossibile l’ingresso nel mercato italiano.
158. La portata del divieto, in effetti, è tale da non permettere alcun uso dei rimorchi, se non puramente marginale. I rimorchi vengono privati di ogni utilità poiché non possono essere utilizzati nel modo abituale, ossia per aumentare la capacità del portabagagli dei motoveicoli. Questo divieto dissuade dunque i distributori dall’importarli. Tale operazione non ha infatti alcun senso se il venditore al dettaglio sa che non esistono margini di vendita o di locazione del materiale (91). Il divieto pertanto provocherà un calo significativo delle importazioni.
159. Di conseguenza, ritengo che la normativa in esame, che vieta in maniera pura e semplice l’utilizzo di un prodotto su tutto il territorio nazionale, comporti un ostacolo sostanziale, diretto ed immediato al commercio intracomunitario. Siffatta normativa costituisce quindi, a mio parere, una misura di effetto equivalente a una restrizione quantitativa ai sensi dell’art. 28 CE.
160. Tale misura, tuttavia, non è necessariamente contraria al diritto comunitario. Come abbiamo visto, le libertà di circolazione ben possono essere oggetto di restrizioni da parte degli Stati membri qualora tali restrizioni siano giustificate da un motivo legittimo e siano appropriate e proporzionate.
161. Per quel che riguarda la giustificazione della misura in esame, secondo una costante giurisprudenza una normativa nazionale che ostacola la libera circolazione delle merci può essere giustificata da uno dei motivi indicati nell’art. 30 CE o da una delle ragioni imperative riconosciute dalla giurisprudenza della Corte nel caso in cui la normativa nazionale sia indistintamente applicabile (92).
162. Nel presente ricorso, la Repubblica italiana sostiene che il divieto de quo è stato stabilito allo scopo di garantire la sicurezza della circolazione stradale.
163. Secondo una costante giurisprudenza, tale obiettivo costituisce una ragione imperativa di interesse generale atta a giustificare un ostacolo alla libera circolazione delle merci (93).
164. Tuttavia, tale divieto dev’essere proporzionato. Infatti, sebbene siano liberi, in mancanza di regole armonizzate sulla circolazione dei motoveicoli trainanti rimorchi, di decidere il livello di tutela che intendono assicurare ai conducenti e la maniera in cui raggiungerlo, gli Stati membri devono nondimeno muoversi nei limiti tracciati dal Trattato, in particolare nel rispetto del principio di proporzionalità.
165. Affinché una normativa nazionale sia conforme al principio di proporzionalità si deve accertare, da un lato, che essa sia necessaria per la tutela dell’interesse perseguito e, dall’altro, che i mezzi da essa predisposti non eccedano quanto è necessario per raggiungere detto scopo (94).
166. È evidente che la normativa in esame può costituire un mezzo efficace per tutelare gli utenti della strada. Infatti, come rilevato dall’avvocato generale Léger nelle prime conclusioni proposte per la presente causa, l’attacco di un rimorchio a un motoveicolo può costituire, in date circostanze, un pericolo per la circolazione, in quanto si tratta di un veicolo lento che può ingombrare notevolmente la strada.
167. Mi sembra tuttavia che difficilmente la misura impugnata possa soddisfare il requisito della proporzionalità.
168. Infatti, la normativa italiana non si limita a vietare l’uso dei rimorchi abbinati ad un motoveicolo in località precise o su itinerari particolari, ma si applica su tutto il territorio italiano, indipendentemente dalle infrastrutture stradali e dalle condizioni di circolazione.
169. Le autorità italiane non indicano alcun elemento preciso che possa dimostrare che un divieto così ampio sia proporzionato all’obiettivo perseguito. Inoltre il divieto in parola riguarda unicamente i motoveicoli immatricolati in Italia (95). Quelli immatricolati negli altri Stati membri sono quindi autorizzati a circolare con un rimorchio sulle strade italiane.
170. La sicurezza dei conducenti cui mira la normativa italiana potrebbe essere garantita con mezzi molto meno restrittivi per la libertà degli scambi. Per esempio, sarebbe opportuno definire all’interno del paese quali siano gli itinerari giudicati a rischio – come i valichi di montagna, le autostrade o le vie pubbliche particolarmente frequentate – in modo da stabilire divieti o limitazioni settoriali. Questa alternativa limiterebbe i rischi legati all’uso dei rimorchi e sarebbe sicuramente molto meno restrittiva per gli scambi commerciali.
171. In ogni caso, penso che le autorità italiane, prima di adottare una misura tanto radicale quanto un divieto generale ed assoluto, avrebbero dovuto esaminare attentamente la possibilità di ricorrere a misure meno restrittive della libertà di circolazione ed escluderle solo se si fossero rivelate chiaramente inadeguate rispetto all’obiettivo perseguito. Ma dai documenti del fascicolo non risulta che le autorità italiane abbiano proceduto a un tale esame.
172. Tenuto conto di quanto precede, ritengo che, adottando e mantenendo in vigore una normativa che vieta, sul suo territorio, il traino di rimorchi ai ciclomotori, ai motocicli, ai tricicli e ai quadricicli, la Repubblica italiana sia venuta meno agli obblighi che le incombono in forza dell’art. 28 CE.
173. Per quel che riguarda l’argomento proposto dalla Repubblica italiana secondo cui gli ultimi ‘considerando’ delle direttive 93/93 e 97/24 legittimerebbero gli Stati membri a mantenere in vigore una tale normativa, a mio avviso esso non permette di giustificare la restrizione introdotta dalla misura in esame.
174. Infatti, come rilevato dall’avvocato generale Léger nelle sue conclusioni relative alla presente causa, per giurisprudenza consolidata il preambolo di un atto comunitario non ha valore giuridico vincolante e non può essere invocato né per derogare alle disposizioni stesse dell’atto di cui trattasi né al fine di interpretare tali disposizioni in un senso manifestamente in contrasto con la loro formulazione (96).
175. Orbene, da una semplice lettura della direttiva 93/93 emerge che nessuno dei ‘considerando’ invocati dalla Repubblica italiana è stato ripreso nel testo delle direttive. Al riguardo, e come ricordato dall’avvocato generale Léger al paragrafo 65 delle sue conclusioni relative alla presente causa, se è vero che il preambolo di una direttiva consente generalmente alla Corte di desumere indicazioni sull’intenzione del legislatore e di individuare utili spunti per determinare il significato da attribuire alle sue disposizioni, ciò non toglie che, quando una nozione che figura in un ‘considerando’ non compare nel corpo della direttiva, è il contenuto della direttiva che deve prevalere (97).
176. In ogni caso, ricordo che, secondo una costante giurisprudenza, una disposizione di diritto derivato, nella fattispecie una direttiva, «non può essere interpretat[a] nel senso che autorizza gli Stati membri a imporre condizioni in contrasto con le norme del Trattato relative alla circolazione delle merci» (98).
177. Alla luce di quanto precede, propongo alla Corte di dichiarare che, adottando e mantenendo in vigore una normativa che vieta il traino di rimorchi ai ciclomotori, ai motocicli, ai tricicli e ai quadricicli, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi che le incombono in forza dell’art. 28 CE.
VI – Sulle spese
178. Ai sensi dell’art. 69, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché la Commissione ne ha fatto domanda, la Repubblica italiana, risultata soccombente, va condannata alle spese.
VII – Conclusione
179. Alla luce delle considerazioni che precedono, propongo alla Corte di voler:
– dichiarare che, adottando e mantenendo in vigore una normativa che vieta il traino di rimorchi ai ciclomotori, ai motocicli, ai tricicli e ai quadricicli, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi che le incombono in forza dell’art. 28 CE;
– condannare la Repubblica italiana alle spese.
1 – Lingua originale: il francese.
2 – Sentenza 24 novembre 1993, cause riunite C‑267/91 e C‑268/91 (Racc. pag. I‑6097).
3 – Nell’ambito delle presenti conclusioni per indicare tutti questi veicoli utilizzerò anche il termine «motoveicoli».
4 – Nel caso di specie, alla Terza Sezione.
5 – Direttiva del Consiglio 30 giugno 1992, relativa all’omologazione dei veicoli a motore a due o a tre ruote (GU L 225, pag. 72).
6 – Ai sensi dell’art. 1, n. 2, primo trattino, della direttiva 92/61, per «ciclomotori» si intendono i «veicoli a due o a tre ruote muniti di un motore con cilindrata non superiore a 50 cc. se a combustione interna e aventi una velocità massima per costruzione non superiore a 45 km/h».
7 – V. il primo, il dodicesimo e l’ultimo ‘considerando’.
8 – V. ottavo ‘considerando’.
9 – Direttiva del Consiglio 29 ottobre 1993, concernente le masse e le dimensioni dei veicoli a motore a due o tre ruote (GU L 311, pag. 76).
10 – Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 17 giugno 1997, relativa a taluni elementi o caratteristiche dei veicoli a motore a due o a tre ruote (GU L 226, pag. 1).
11 – V. ultimo ‘considerando’ delle direttive 93/93 e 97/24.
12 – GURI n. 114 del 18 maggio 1992; in prosieguo: il «codice della strada».
13 – Casi in cui occorre essere in possesso di un’autorizzazione amministrativa (per esempio, il porto d’armi), o avere una determinata età per poter acquistare o utilizzare determinati prodotti, oppure casi in cui l’uso del prodotto è vietato in certi luoghi o in certe ore della giornata (per esempio, il divieto di uso dei cellulari negli ospedali).
14 – Sentenza 11 luglio 2000, causa C‑473/98, Toolex (Racc. pag. I‑5681, punti 34-37). In tale sentenza la Corte ha dichiarato che una normativa nazionale che stabilisce un divieto di principio di usare un determinato prodotto costituisce una misura di effetto equivalente ad una restrizione quantitativa anche qualora la stessa normativa preveda un sistema di deroghe individuali al suddetto divieto.
15 – Il Regno dei Paesi Bassi cita ad esempio normative nazionali relative alla limitazione della velocità sulle strade o all’uso di fuochi d’artificio.
16 – Sentenza 14 settembre 2006, cause riunite C‑158/04 e C‑159/04 (Racc. pag. I‑8135).
17 – Sentenza 9 febbraio 1995, causa C‑412/93 (Racc. pag. I‑179).
18 – Al paragrafo 44 delle sue conclusioni, l’avvocato generale Kokott definisce le «modalità d’uso» come le «normative degli Stati membri che disciplinano il modo e il luogo d’uso di prodotti».
19 – Paragrafi 52-55.
20 – Paragrafo 87.
21 – V., in particolare, sentenza 30 aprile 1996, causa C‑194/94, CIA Security International (Racc. pag. I‑2201, punto 40), in cui la Corte ha precisato che la libera circolazione delle merci costituisce «uno dei fondamenti della Comunità», nonché sentenza Alfa Vita Vassilopoulos e Carrefour‑Marinopoulos, cit. (punto 14).
22 – Causa 8/74 (Racc. pag. 837).
23 – Idem (punto 5). V. inoltre sentenze 12 marzo 1987, causa 178/84, Commissione/Germania, detta «Legge di purezza per la birra» (Racc. pag. 1227, punto 27); 9 dicembre 1997, causa C‑265/95, Commissione/Francia (Racc. pag. I‑6959, punto 29); 24 novembre 2005, causa C‑366/04, Schwarz (Racc. pag. I‑10139, punto 28), e 10 aprile 2008, causa C‑265/06, Commissione/Portogallo (Racc. pag I‑2245, punto 31 e giurisprudenza ivi citata).
24 – Causa 120/78 (Racc. pag. 649).
25 – Detta causa riguardava una normativa nazionale che stabiliva un contenuto minimo di alcool per certe bevande. La Corte ha dichiarato che la normativa tedesca che riservava la qualificazione di «liquori di frutta» solo alle bevande con un contenuto alcolico minimo di 25° e che, pertanto, rendeva impossibile la vendita nella Repubblica federale di Germania dei liquori francesi con un contenuto alcolico compreso tra 15° e 25° costituiva una misura di effetto equivalente ad una restrizione quantitativa ai sensi dell’art. 28 CE.
26 – Per una critica della giurisprudenza della Corte su questo punto, v. Hatzopoulos, V., «Exigences essentielles, impératives ou impérieuses: une théorie, des théories ou pas de théorie du tout?», Revue trimestrielle de droit européen, n. 2, aprile‑giugno 1998, pag. 191.
27 – V., in particolare, sentenza 8 maggio 2003, causa C‑14/02, ATRAL (Racc. pag. I‑4431, punto 64).
28 – White, E., «In search of the limits to article 30 of the EEC Treaty», Common Market Law Review, 1989, n. 2, pag. 235, e Reich, N., «The ‘November Revolution’ of the European Court of Justice: Keck, Meng and Audi Revisited», Common Market Law Review, 1994, pag. 449.
29 – Causa 155/80 (Racc. pag. 1993).
30 – Punti 12 e 16.
31 – Causa 75/81 (Racc. pag. 1211).
32 – Punti 8 e 9.
33 – Punto 14. Nel medesimo senso, v. le considerazioni illustrate ai paragrafi 31 e 32 delle conclusioni presentate dall’avvocato generale Fennelly relativamente alla causa Graf (sentenza 27 gennaio 2000, causa C‑190/98, Racc. pag. I‑493).
34 – Sentenza Keck e Mithouard, cit. (punto 13).
35 – Ibidem (punto 15). V. altresì sentenze 10 novembre 1982, causa 261/81, Rau Lebensmittelwerke (Racc. pag. 3961), sull’obbligo di usare una determinata forma di imballaggio; 4 dicembre 1986, causa 179/85, Commissione/Germania (Racc. pag. 3879), sul divieto di usare una determinata forma di bottiglie; 2 febbraio 1994, causa C‑315/92, Verband Sozialer Wettbewerb, detta «Clinique» (Racc. pag. I‑317), sulla denominazione di un prodotto cosmetico; 1° giugno 1994, causa C‑317/92, Commissione/Germania (Racc. pag. I‑2039), sull’indicazione delle date di scadenza; 13 marzo 1997, causa C‑358/95, Morellato (Racc. pag. I‑1431), sulla composizione del pane; 18 settembre 2003, causa C‑416/00, Morellato (Racc. pag. I‑9343), sulla necessità di modificare l’etichetta dei prodotti importati; e la citata sentenza Alfa Vita Vassilopoulos e Carrefour‑Marinopoulos, su una normativa nazionale che subordina la vendita dei prodotti «bake-off» agli stessi requisiti applicabili al pane e ai prodotti della panificazione tradizionali.
36 – Sentenza Keck e Mithouard, cit. (punto 15).
37 – V., in particolare, sentenze 15 dicembre 1993, causa C‑292/92, Hünermund e a. (Racc. pag. I‑6787, punti 19-21), su un divieto imposto ai farmacisti di fare pubblicità ai prodotti parafarmaceutici al cinema, alla radio o alla televisione; Leclerc‑Siplec, cit. (punti 21 e 22), a proposito di una misura nazionale che vieta la pubblicità televisiva a favore di imprese del settore della distribuzione, e 9 luglio 1997, cause riunite da C‑34/95 a C‑36/95, De Agostini e TV‑Shop (Racc. pag. I‑3843, punto 39), su un divieto assoluto di pubblicità televisiva destinata ai bambini.
38 – V., in particolare, sentenze 29 giugno 1995, causa C‑391/92, Commissione/Grecia (Racc. pag. I‑1621, punti 13-15), riguardante una normativa che riservava alle farmacie la vendita di latte trasformato per lattanti, e 14 dicembre 1995, causa C‑387/93, Banchero (Racc. pag. I‑4663, punti 34-36), su una normativa che riservava la vendita al dettaglio dei tabacchi ai distributori autorizzati.
39 – V., in particolare, sentenze 2 giugno 1994, cause riunite C‑401/92 e C‑402/92, Tankstation ’t Heukske e Boermans (Racc. pag. I‑2199, punti 12-14), riguardante una misura relativa agli orari di apertura delle stazioni di servizio, e cause riunite C‑69/93 e C‑258/93, Punto Casa e PPV (Racc. pag. I‑2355, punti 12-14), a proposito di una normativa italiana sulla chiusura domenicale degli esercizi di vendita al minuto.
40 – Sentenza Keck e Mithouard, cit. (punto 16).
41 – Ibidem (punto 17).
42 – V., in particolare, Picod, F., «La nouvelle approche de la Cour de justice en matière d’entraves aux échanges», Revue trimestrielle de droit européen, n. 2, aprile-giugno 1998, pag. 169; Mattera, A., «De l’arrêt ‘Dassonville’ à l’arrêt ‘Keck’: l’obscure clarté d’une jurisprudence riche en principes novateurs et en contradictions», Revue du Marché Unique Européen, n. 1, 1994, pag. 117; Weatherill, S., «After Keck: some thoughts on how to clarify the clarification», Common Market Law Review, 1996, pag. 885; Kovar, R., «Dassonville, Keck et les autres: de la mesure avant toute chose», Revue trimestrielle de droit européen, n. 2, aprile‑giugno 2006, pag. 213, e Poiares Maduro, M., «Keck: The End? The Beginning of the End? Or Just the End of the Beginning?», Irish Journal of European Law, 1994, pag. 36.
43 – V. paragrafo 38 delle conclusioni dell’avvocato generale Jacobs relative alla causa Leclerc‑Siplec, cit.
44 – Per un’esemplificazione, v. Picod, F., op. cit., in particolare pagg. 172-177, nonché i paragrafi 27-29 e 31 delle conclusioni dell’avvocato generale Poiares Maduro relative alla sentenza Alfa Vita Vassilopoulos e Carrefour‑Marinopoulos, cit.
45 – Per esempio, nella sentenza 18 settembre 2003, Morellato, cit., la Corte ha dichiarato che, nelle circostanze del caso di specie, «poiché un obbligo di previo confezionamento riguarda solo la messa in commercio del pane risultante dalla cottura finale del pane precotto, esso può esulare, in linea di principio, dall’ambito di applicazione dell’art. [28 CE], a condizione che non costituisca, in realtà, una discriminazione nei confronti dei prodotti importati» (punto 36). Sembra che la Corte si sia basata sul fatto che l’obbligo del confezionamento e quindi dell’adattamento del prodotto veniva imposto solo nella fase finale della sua vendita, di modo che l’accesso del prodotto importato al mercato nazionale non era di per sé in discussione.
46 – Sentenza 6 luglio 1995, causa C‑470/93, Mars (Racc. pag. I‑1923). Questa causa verteva su una normativa tedesca che vietava l’importazione e lo smercio di un prodotto legalmente posto in commercio in un altro Stato membro, cui era stato aggiunto un determinato quantitativo di prodotto nell’ambito di una campagna pubblicitaria ed il cui imballaggio recava la dicitura «+ 10%». Secondo la Corte tale normativa era idonea ad ostacolare il commercio tra gli Stati membri, in quanto costringeva l’importatore a dare ai propri prodotti una presentazione diversa secondo i luoghi in cui questi dovevano essere posti in commercio e, conseguentemente, a dover far fronte a maggiori spese di confezionamento e di pubblicità (punto 13).
47 – V., in particolare, sentenze 5 ottobre 1994, causa C‑323/93, Centre d’insémination de la Crespelle (Racc. pag. I‑5077, punto 29), a proposito della normativa francese che imponeva agli operatori economici che importavano materiale seminale proveniente da uno Stato membro di consegnarlo a un centro beneficiario di una concessione in esclusiva, e 23 ottobre 1997, C‑189/95, Franzén (Racc. pag. I‑5909, punto 71), relativa al regime svedese di autorizzazione all’importazione e alla vendita di bevande alcoliche.
48 – Mi riferisco alla libera circolazione delle persone (artt. 39 CE-48 CE), dei servizi (artt. 49 CE-55 CE) e dei capitali (artt. 56 CE-60 CE).
49 – Paragrafo 25 delle conclusioni relative alla causa Alfa Vita Vassilopoulos e Carrefour‑Marinopoulos, cit.
50 – Nella sentenza 7 febbraio 1985, causa 240/83, ADBHU (Racc. pag. 531), la Corte aveva già riconosciuto che «il principio della libertà del commercio non ha valore assoluto, ma è soggetto a taluni limiti giustificati dagli scopi d’interesse generale perseguiti dalla Comunità, purché non si comprometta la sostanza di questi diritti» (punto 12).
51 – V., in particolare, sentenza 17 giugno 1981, causa 113/80, Commissione/Irlanda (Racc. pag. 1625, punto 7).
52 – V. sentenze Cassis de Dijon, cit., 29 novembre 1983, causa 181/82, Roussel Laboratoria e a. (Racc. pag. 3849), e 9 luglio 1992, causa C‑2/90, Commissione/Belgio, detta «Rifiuti valloni» (Racc. pag. I‑4431).
53 – Il giudice comunitario verifica quindi se i mezzi predisposti dalle misure siano idonei a garantire la realizzazione dello scopo perseguito e non eccedano quanto è necessario per raggiungere detto scopo. V., in particolare, sentenze 14 dicembre 2004, C‑463/01, Commissione/Germania (Racc. pag. I‑11705, punto 78), e causa C‑309/02, Radlberger Getränkegesellschaft e S. Spitz (Racc. pag. I‑11763, punto 79).
54 – Come la Corte ha osservato nella sentenza 16 dicembre 1992, causa C‑169/91, B & Q (Racc. pag. I‑6635), relativa ad una normativa nazionale che limitava l’apertura degli esercizi commerciali la domenica, nel controllo di proporzionalità occorre «contemperare l’interesse nazionale all’attuazione [dello scopo perseguito] con l’interesse comunitario alla libera circolazione delle merci» (punto 15).
55 – V. altresì Picod, F., op. cit., in particolare pagg. 184-189; O’Keeffe, D., e Bavasso, A.F., «Four freedoms, one market and national competence: in search of a dividing line», Liber Amicorum Slynn, Kluwer Law International, L’Aja, 2000, pagg. 541 e segg., in particolare pag. 550; Barnard, C., «Fitting the remaining pieces into the goods and persons jigsaw», European Law Review, n. 1, 2001, vol. 26, pag. 35; Snell, J., «Goods and services in EC Law: a study of the relationship between the freedoms», Oxford University Press, Londra, 2002; Oliver, P. , e Enchelmaier, S., «Free movement of goods: recent developments in the case law», Common Market Law Review, 2007, pagg. 649 e segg., in particolare pagg. 666-671; Weatherill, S., op. cit.; Tryfonidou, A., «Was Keck a Half‑baked Solution After All?», Legal Issues of Economic Integration, Kluwer Law International, L’Aja, 2007, pagg. 167 e segg., in particolare pag. 178, e Prete, L., «Of Motorcycle Trailers and Personal Watercrafts: the Battle over ‘Keck’», Legal Issues of Economic Integration, Kluwer Law International, L’Aja, 2008, pag. 133. V. inoltre le conclusioni dell’avvocato generale Jacobs relative alla sentenza Leclerc‑Siplec, cit.; dell’avvocato generale Tizzano relative alla sentenza CaixaBank France (sentenza 5 ottobre 2004, causa C‑442/02, Racc. pag. I‑8961) e dell’avvocato generale Poiares Maduro relative alla sentenza Alfa Vita Vassilopoulos e Carrefour‑Marinopoulos, cit.
56 – Il corsivo è mio.
57 – Come osservato dalla Corte, la nozione di mercato comune mira ad eliminare ogni «intralcio» agli scambi intracomunitari (v., al riguardo, sentenza 5 maggio 1982, causa 15/81, Schul Douane Expediteur, Racc. pag. 1409, punto 33).
58 – V., in particolare, sentenza 18 maggio 1993, causa C‑126/91, Yves Rocher (Racc. pag. I‑2361, punto 21).
59 – V., in particolare, sentenza B & Q, cit. (punto 15).
60 – V., in particolare, sentenze 7 marzo 1990, causa C‑69/88, Krantz (Racc. pag. I‑583, punto 11); 14 luglio 1994, causa C‑379/92, Peralta (Racc. pag. I‑3453, punto 24); 30 novembre 1995, causa C‑134/94, Esso Española (Racc. pag. I‑4223, punto 24), e 3 dicembre 1998, causa C‑67/97, Bluhme (Racc. pag. I‑8033, punto 22).
61 – Sentenza 26 maggio 2005, causa C‑20/03, Burmanjer e a. (Racc. pag. I‑4133, punto 31).
62 – Sentenza 1°aprile 2008, causa C‑212/06 (punto 45 e giurisprudenza ivi citata).
63 – Sentenza CaixaBank France, cit. (punti 12 e 14).
64 – Ibidem (punto 12 e giurisprudenza ivi citata).
65 – Sentenza 3 ottobre 2006, causa C‑452/04 (Racc. pag. I‑9521).
66 – Punti 46 e 49.
67 – Punto 48.
68 – Sentenza 27 gennaio 2000, causa C‑190/98 (Racc. pag. I‑493).
69 – Punto 23.
70 – Sentenza 15 dicembre 1995, causa C‑415/93 (Racc. pag. I‑4921).
71 – Punti 92-104, in particolare punto 103.
72 – V., al riguardo, paragrafo 73 delle conclusioni da me presentate nella causa C‑500/06, Corporación dermoestética, attualmente pendente dinanzi alla Corte.
73 – Punto 5 (il corsivo è mio).
74 – Punto 17.
75 – V., in particolare, le citate conclusioni degli avvocati generali Fennelly, relativamente alla sentenza Graf (paragrafo 19), e Tizzano, relativamente alla sentenza CaixaBank France (paragrafo 72).
76 – Sentenza 8 marzo 2001, causa C‑405/98 (Racc. pag. I‑1795).
77 – Punti 18-25.
78 – Punto 43. V. anche sentenza 11 dicembre 2003, causa C‑322/01, Deutscher Apothekerverband (Racc. pag. I‑14887), dove la Corte ha qualificato come misura di effetto equivalente un divieto di vendita per corrispondenza di medicinali dichiarando che esso potrebbe ostacolare maggiormente l’accesso al mercato dei prodotti provenienti da altri Stati membri rispetto ai prodotti nazionali (punto 74).
79 – Paragrafo 73. L’avvocato generale Tizzano si riferiva, in particolare, all’approccio adottato dalla Corte in materia di libera circolazione delle persone.
80 – La Corte procede in questo modo nel caso in cui una delle libertà fondamentali sia secondaria rispetto all’altra e possa essere a questa ricollegata. V., in particolare, sentenze 24 marzo 1994, causa C‑275/92, Schindler (Racc. pag. I‑1039, punto 22), riguardo alle attività delle lotterie, e 14 ottobre 2004, causa C‑36/02, Omega (Racc. pag. I‑9609, punti 25-27), riguardo alla gestione e all’uso di un modello di gioco.
81 – Sentenza 22 gennaio 2002, causa C‑390/99 (Racc. pag. I‑607).
82 – Punto 41.
83 – Sentenza 10 maggio 1995, causa C‑384/93 (Racc. pag. I‑1141), relativa ad una normativa olandese che vietava il marketing telefonico.
84 – Punto 38 (il corsivo è mio). V. anche sentenza 13 gennaio 2000, causa C‑254/98, TK‑Heimdienst (Racc. pag. I‑151), sulla compatibilità con l’art. 28 CE di una normativa austriaca che regolava la vendita ambulante di prodotti da forno, di carni e insaccati e di altri prodotti alimentari, in cui la Corte si è espressamente riferita al criterio dell’accesso al mercato e alla sentenza Alpine Investments, cit. (punto 29).
85 – Al riguardo, rinvio ai paragrafi 20-27 delle conclusioni presentate dall’avvocato generale Léger nella presente causa.
86 – La Repubblica italiana fa notare, in proposito, che una normativa armonizzata è già in vigore per i rimorchi trainati da altre categorie di veicoli.
87 – V., in tal senso, sentenza Commissione/Francia, cit. (punti 24 e segg,).
88 – Dagli elementi del fascicolo risulta che non esisterebbe alcuna produzione nazionale di rimorchi di questo tipo.
89 – Punto 2.
90 – Mi riferisco al documento depositato dalla Commissione nell’ambito della riapertura del procedimento (pag. 3).
91 – Su questo punto rinvio alle conclusioni dell’avvocato generale Kokott relative alla causa Mickelsson e Roos, cit. Infatti, al paragrafo 45 di tali conclusioni, l’avvocato generale Kokott ha sottolineato che le misure che regolano l’uso di un prodotto (ad esempio, il divieto di guidare fuoristrada nei boschi abbandonando le strade carrozzabili o i limiti di velocità sulle autostrade) potrebbero scoraggiare alcune persone dall’acquistare un fuoristrada o un’auto particolarmente veloce, non potendoli utilizzare a proprio piacimento, e che pertanto la limitazione dell’uso rappresenterebbe un ostacolo potenziale agli scambi commerciali intracomunitari.
92 – V. sentenza Cassis de Dijon, cit.
93 – In tema di sicurezza della circolazione stradale, v. sentenza Commissione/Portogallo, cit. (punto 38 e giurisprudenza ivi citata). V. inoltre raccomandazione della Commissione 6 aprile 2004, 2004/345/CE, relativa all’applicazione della normativa in materia di sicurezza stradale (GU L 111, pag. 75); comunicazione della Commissione 2 giugno 2003, Programma di azione europeo per la sicurezza stradale – Dimezzare il numero di vittime della strada nell’Unione europea entro il 2010: una responsabilità condivisa [COM(2003) 311 def.], e risoluzione del Consiglio 26 giugno 2000, sul rafforzamento della sicurezza stradale (GU C 218, pag. 1).
94 – V., in particolare, citate sentenze 14 dicembre 2004, Commissione/Germania (punto 78), e Radlberger Getränkegesellschaft e S. Spitz (punto 79), nonché 20 settembre 2007, causa C‑297/05, Commissione/Paesi Bassi (Racc. pag. I‑7467, punto 76 e giurisprudenza ivi citata).
95 – Punto 2 del controricorso della Repubblica italiana.
96 – V., in particolare, sentenze 19 novembre 1998, causa C‑162/97, Nilsson e a. (Racc. pag. I‑7477, punto 54), e 24 novembre 2005, causa C‑136/04, Deutsches Milch‑Kontor (Racc. pag. I‑10095, punto 32 e giurisprudenza ivi citata).
97 – L’avvocato generale Léger fa riferimento al paragrafo 70 delle proprie conclusioni per la causa Meta Fackler (sentenza 12 maggio 2005, causa C‑444/03, Racc. pag. I‑3913).
98 – Sentenza 9 giugno 1992, causa C‑47/90, Delhaize e Le Lion (Racc. pag. I‑3669, punto 26). V. altresì la sentenza Clinique, cit., in cui la Corte ha dichiarato che una «direttiva, al pari di ogni normativa di diritto derivato, deve essere interpretata alla luce delle norme del Trattato relative alla libera circolazione delle merci» (punto 12).