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Document 62004CJ0407

Sentenza della Corte (Prima Sezione) del 25 gennaio 2007.
Dalmine SpA contro Commissione delle Comunità europee.
Ricorso contro una pronuncia del Tribunale di primo grado - Concorrenza - Intesa - Mercati dei tubi in acciaio senza saldatura - Protezione dei mercati nazionali - Contratto di fornitura - Diritti della difesa - Autoincriminazione - Elementi probatori di origine anonima - Ammenda - Motivazione - Parità di trattamento - Orientamenti per il calcolo delle ammende - Dimensioni del mercato rilevante e dell'impresa interessata - Circostanze attenuanti.
Causa C-407/04 P.

European Court Reports 2007 I-00829

ECLI identifier: ECLI:EU:C:2007:53

Causa C-407/04 P

Dalmine SpA

contro

Commissione delle Comunità europee

«Ricorso contro una pronuncia del Tribunale di primo grado — Concorrenza — Intesa — Mercato dei tubi in acciaio senza saldatura — Protezione dei mercati nazionali — Contratto di fornitura — Diritti della difesa — Autoincriminazione — Elementi probatori di origine anonima — Ammenda — Motivazione — Parità di trattamento — Orientamenti per il calcolo delle ammende — Dimensioni del mercato rilevante e dell’impresa interessata — Circostanze attenuanti»

Massime della sentenza

1.        Concorrenza — Procedimento amministrativo — Rispetto dei diritti della difesa

(Regolamento del Consiglio n. 17, art. 11)

2.        Concorrenza — Procedimento amministrativo — Rispetto dei diritti della difesa

3.        Concorrenza — Procedimento amministrativo — Comunicazione degli addebiti — Accesso al fascicolo — Oggetto — Rispetto dei diritti della difesa e del diritto ad un processo equo

4.        Concorrenza — Procedimento amministrativo — Mezzi probatori

5.        Ricorso di annullamento — Oggetto — Motivazione di una decisione — Esclusione salvo eccezione

(Art. 230 CE)

6.        Concorrenza — Intese — Lesione della concorrenza — Criteri di valutazione

(Art. 81, n. 1, CE)

7.        Concorrenza — Intese — Posizione dominante — Pregiudizio per il commercio fra Stati membri — Criteri di valutazione

(Artt. 81 CE e 82 CE)

8.        Ricorso contro una pronuncia del Tribunale di primo grado — Motivi — Sviamento di potere — Nozione

(Artt. 220 CE e 230 CE)

9.        Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Criteri — Gravità dell’infrazione

(Regolamento del Consiglio n. 17, art. 15, n. 2; comunicazione della Commissione 98/C 9/03, punto 1 A)

10.      Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Criteri

(Regolamento del Consiglio n. 17, art. 15, n. 2; comunicazione della Commissione 98/C 9/03, punto 1 A, sesto comma)

11.      Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Importo massimo

(Regolamento del Consiglio n. 17, art. 15, n. 2)

12.      Ricorso contro una pronuncia del Tribunale di primo grado — Competenza della Corte

(Art. 81, n. 1, CE; regolamento del Consiglio n. 17, art. 15, n. 2)

13.      Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Criteri — Circostanze attenuanti

(Regolamento del Consiglio n. 17, art. 15, n. 2)

1.        Nell’ambito dei poteri conferitile per far rispettare le regole comunitarie di concorrenza la Commissione può, eventualmente mediante una decisione, obbligare un’impresa a fornirle tutte le informazioni necessarie per quanto attiene ai fatti di cui quest’ultima possa essere a conoscenza, ma non può imporre a tale impresa l’obbligo di fornire risposte attraverso le quali quest’ultima sarebbe indotta ad ammettere l’esistenza della trasgressione, che deve essere provata dalla Commissione.

Tuttavia, qualora le domande cui era tenuta a rispondere non implicassero il riconoscimento di un’infrazione, un’impresa non può far utilmente valere il suo diritto di non essere costretta dalla Commissione ad ammettere la sua partecipazione ad un’infrazione.

(v. punti 34-35)

2.        In materia di concorrenza, il rispetto dei diritti della difesa esige che l’impresa interessata sia stata messa in grado, durante il procedimento amministrativo, di far conoscere in modo efficace il proprio punto di vista sulla realtà e sulla rilevanza dei fatti e delle circostanze allegati nonché sui documenti di cui la Commissione ha tenuto conto per suffragare la sua affermazione circa l’esistenza di un’infrazione.

Tuttavia, l’interpretazione secondo la quale i diritti della difesa non sono stati rispettati per il fatto stesso che l’origine dei detti documenti era ignota e l’affidabilità di questi ultimi non era stata dimostrata dalla Commissione, potrebbe compromettere la produzione di prove laddove si debba dimostrare l’esistenza di un’infrazione al diritto comunitario della concorrenza.

Infatti, la produzione di prove nelle cause riguardanti il diritto comunitario della concorrenza è caratterizzata dal fatto che i documenti esaminati contengono spesso segreti commerciali o altre informazioni che non possono essere divulgate o possono esserlo solo nell’osservanza di notevoli limiti.

Pertanto, i diritti della difesa non possono essere interpretati nel senso che debbano essere automaticamente esclusi come mezzi di prova i documenti contenenti elementi di prova a carico qualora talune informazioni debbano restare riservate. Siffatta riservatezza può riguardare anche l’identità degli autori dei documenti e delle persone che li hanno fatti pervenire alla Commissione.

(v. punti 44, 46-48)

3.        Nell’ambito del procedimento amministrativo in materia di concorrenza, sono l’invio della comunicazione degli addebiti, da un lato, e l’accesso al fascicolo che consente al destinatario di avere cognizione degli elementi probatori contenuti nel fascicolo della Commissione, dall’altro, a garantire i diritti della difesa e il diritto ad un equo processo per l’impresa di cui trattasi.

È infatti con la comunicazione degli addebiti che l’impresa interessata viene informata di tutti gli elementi essenziali sui quali si fonda la Commissione in tale fase del procedimento. Di conseguenza, solo dopo l’invio della detta comunicazione l’impresa interessata può far pienamente valere i diritti della difesa.

Infatti, laddove tali diritti fossero estesi al periodo che precede l’invio della comunicazione degli addebiti, l’efficacia dell’indagine della Commissione risulterebbe compromessa, in quanto l’impresa sarebbe in grado, già dalla prima fase dell’inchiesta della Commissione, di identificare le informazioni note a quest’ultima e, pertanto, quelle che possono esserle ancora nascoste.

Per questo, qualora nulla indichi che la circostanza che la Commissione non abbia informato l’impresa in questione, nella fase istruttoria, di essere in possesso di verbali di determinati interrogatori svoltisi nell’ambito di indagini nazionali possa avere avuto un’incidenza sulle ulteriori possibilità di difesa di quest’ultima nel corso della fase del procedimento amministrativo iniziato con l’invio della comunicazione degli addebiti, non è ravvisabile alcuna violazione dei diritti della difesa e del diritto ad un equo processo riconosciuto dalla Corte europea dei diritti dell’uomo ai sensi dell’art. 6, n. 1, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

(v. punti 54, 58-61)

4.        La legittimità della trasmissione alla Commissione, da parte di un procuratore nazionale o delle autorità competenti in materia di concorrenza, di informazioni raccolte in conformità del diritto penale nazionale va valutata alla luce della normativa nazionale e il giudice comunitario non è competente a verificare la legittimità, rispetto al diritto di uno Stato membro, di un atto emanato da un’autorità nazionale.

Poiché il principio vigente nel diritto comunitario è quello della libera produzione delle prove e il solo criterio pertinente per valutare le prove prodotte è quello della loro credibilità, allorché la trasmissione di verbali alla Commissione non è stata dichiarata illegittima da un giudice nazionale, non vi è motivo di considerare che tali documenti siano elementi probatori inammissibili che devono essere stralciati dal fascicolo.

(v. punti 62-63)

5.        Nessuna norma di diritto permette al destinatario di una decisione di contestare, nell’ambito di un ricorso di annullamento ai sensi dell’art. 230 CE, determinati motivi di quest’ultima, a meno che tali motivi non producano effetti giuridici obbligatori atti a pregiudicare i suoi interessi. In linea di principio i motivi di una decisione non sono idonei a produrre effetti del genere.

Poiché constatazioni contenute nella decisione che essa impugna sono state qualificate dalla ricorrente stessa come motivi ultronei, quest’ultima non può in alcun caso sostenere che, in mancanza di tali constatazioni, la decisione controversa avrebbe avuto un contenuto essenzialmente diverso né può quindi ottenerne l’annullamento.

(v. punti 69-70)

6.        Ai fini dell’applicazione dell’art. 81, n. 1, CE, è superfluo prendere in considerazione gli effetti concreti di un accordo, ove risulti che esso ha per oggetto di restringere, impedire o falsare il gioco della concorrenza. Riguardo, in particolare, ad accordi di natura anticoncorrenziale che si manifestano in occasione di riunioni tra imprese concorrenti, sussiste un’infrazione all’art. 81, n. 1, CE qualora tali riunioni abbiano per oggetto di restringere, impedire o falsare il gioco della concorrenza e mirino in tal modo ad organizzare artificialmente il funzionamento del mercato.

(v. punto 84)

7.        L’interpretazione e l’applicazione della condizione relativa agli effetti sul commercio fra Stati membri, che figura negli artt. 81 CE e 82 CE, devono assumere come punto di partenza lo scopo di tale condizione, che è quello di delimitare, in materia di disciplina della concorrenza, il campo di applicazione del diritto comunitario rispetto a quello degli Stati membri. Rientrano perciò nell’ambito del diritto comunitario qualsiasi intesa e qualsiasi prassi atte ad incidere sulla libertà del commercio fra Stati membri in un senso che possa nuocere alla realizzazione degli scopi di un mercato unico fra gli Stati membri, in particolare isolando i mercati nazionali o modificando la struttura della concorrenza nel mercato comune.

Perché una decisione, un accordo o una prassi possano pregiudicare il commercio fra Stati membri è necessario che, in base ad un complesso di elementi obiettivi di diritto o di fatto, appaia probabile che essi siano atti ad esercitare un’influenza diretta o indiretta, attuale o potenziale sugli scambi tra Stati membri, in un modo tale da far temere che possano nuocere al conseguimento di un mercato unico fra Stati membri. Tale influenza inoltre non deve essere trascurabile.

A questo proposito, una ripartizione di mercati nazionali all’interno della Comunità è idonea ad incidere in modo significativo sui flussi di scambi fra Stati membri.

(v. punti 89-91)

8.        Uno sviamento di potere sussiste allorché un’istituzione esercita le proprie competenze allo scopo esclusivo, o quanto meno determinante, di raggiungere fini diversi da quelli dichiarati o di eludere una procedura appositamente prevista dal Trattato per far fronte alle circostanze del caso di specie.

Qualora non sia stato addotto alcun elemento che possa dimostrare che il Tribunale abbia esercitato le proprie competenze ad uno scopo diverso da quello, enunciato nell’art. 220 CE, di assicurare il rispetto del diritto nell’interpretazione e nell’applicazione del Trattato, un comportamento del genere non può essergli addebitato.

(v. punti 99-100)

9.        La gravità delle infrazioni al diritto comunitario della concorrenza va accertata in funzione di un gran numero di elementi, quali le circostanze proprie del caso di specie, il contesto in cui questo si inserisce e l’efficacia dissuasiva delle ammende, e ciò senza che sia stato redatto, negli orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’articolo 15, paragrafo 2, del regolamento n. 17 e dell’articolo 65, paragrafo 5, del Trattato CECA, un elenco vincolante o esaustivo di criteri da tenere obbligatoriamente in considerazione.

Tra i fattori che possono incidere sulla valutazione della gravità dell’infrazione figurano il comportamento di ciascuna delle imprese, la parte svolta da ciascuna di esse nel porre in essere l’intesa, il vantaggio che esse possono aver tratto da quest’ultima, le loro dimensioni e il valore delle merci in questione nonché la minaccia che infrazioni di questo tipo costituiscono per gli scopi della Comunità.

Il punto 1, parte A, degli orientamenti per il calcolo delle ammende precisa che «[p]er valutare la gravità dell’infrazione, occorre prenderne in considerazione la natura, l’impatto concreto sul mercato, quando sia misurabile, e l’estensione del mercato geografico rilevante».

Le dimensioni del mercato rilevante sono solo uno dei fattori pertinenti per valutare la gravità dell’infrazione e stabilire l’ammontare dell’ammenda.

La Commissione gode di un ampio potere discrezionale e il metodo di calcolo delineato dagli orientamenti per il calcolo delle ammende prevede vari elementi di flessibilità.

Spetta tuttavia alla Corte verificare se il Tribunale abbia correttamente valutato l’esercizio, da parte della Commissione, del detto potere discrezionale.

(v. punti 129-134)

10.      Come ricordato al punto 1, parte A, sesto comma degli orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’articolo 15, paragrafo 2, del regolamento n. 17 e dell’articolo 65, paragrafo 5, del Trattato CECA, la Commissione non è tenuta, in sede di determinazione dell’ammontare delle ammende in funzione della gravità e della durata dell’infrazione in questione, a calcolare l’ammenda a partire da importi basati sul fatturato delle imprese interessate. La Commissione può certo tenere conto del fatturato dell’impresa interessata, ma non si deve attribuire un’importanza sproporzionata a tale fatturato rispetto ad altri elementi di valutazione.

La Commissione conserva quindi un certo potere discrezionale nel ponderare o meno le ammende in funzione delle dimensioni delle singole imprese. Dunque, essa non è tenuta, allorché determina l’importo delle ammende, ad assicurarsi, nel caso in cui siano sanzionate più imprese coinvolte nella medesima infrazione, che gli importi finali distinguano le imprese sulla base del loro fatturato complessivo.

Questa soluzione è a maggior ragione adeguata quando tutte le imprese destinatarie della decisione controversa sono di grandi dimensioni, circostanza che può indurre la Commissione a non differenziare gli importi decisi per le ammende.

(v. punti 141-145)

11.      Unicamente l’importo finale dell’ammenda e non il suo importo di base deve rispettare il limite massimo del 10% di cui all’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17.

(v. punto 146)

12.      Anche se la Corte, nell’ambito di un giudizio di impugnazione, non può sostituire, per motivi di equità, la propria valutazione a quella del Tribunale che statuisce, nell’esercizio della sua competenza anche di merito, sull’ammontare delle ammende inflitte a talune imprese per una loro violazione del diritto comunitario, nondimeno, l’esercizio di siffatta competenza non può comportare, in sede di determinazione dell’importo delle dette ammende, una discriminazione tra le imprese che hanno preso parte ad un accordo o ad una pratica concordata in contrasto con l’art. 81, n. 1, CE.

Tuttavia, il ricorso avverso una pronuncia del Tribunale deve indicare in modo preciso gli argomenti di diritto dedotti a specifico sostegno del motivo relativo alla violazione del principio della parità di trattamento, a pena di irricevibilità del motivo di cui trattasi.

(v. punti 152-153)

13.      Poiché l’infrazione controversa era terminata o quantomeno stava per terminare al momento in cui la Commissione ha effettuato accertamenti, tale cessazione non poteva costituire una circostanza attenuante ai fini della determinazione dell’ammontare dell’ammenda.

(v. punto 160)




SENTENZA DELLA CORTE (Prima Sezione)

25 gennaio 2007 (*)


Indice


I – La decisione controversa

A – L’intesa

B – La durata dell’intesa

C – Le ammende

D – Il dispositivo della decisione controversa

II – Il procedimento dinanzi al Tribunale e la sentenza impugnata

III – Procedimento dinanzi alla Corte

IV – Sul ricorso dinanzi alla Corte

A – Sul primo motivo, vertente sull’illegittimità dei quesiti posti dalla Commissione nel corso dell’indagine

1. Argomenti delle parti

2. Giudizio della Corte

B – Sul secondo motivo, vertente sull’inammissibilità di taluni elementi di prova

1. Il documento «Sharing key»

a) Argomenti delle parti

b) Giudizio della Corte

2. I verbali degli interrogatori degli ex dirigenti della Dalmine

a) Argomenti delle parti

b) Giudizio della Corte

C – Sul terzo motivo, vertente sull’inclusione nella decisione controversa di motivi non connessi agli addebiti comunicati alla ricorrente

1. Argomenti delle parti

2. Giudizio della Corte

D – Sul quarto motivo, vertente su uno snaturamento dei fatti e una carenza di motivazione per quanto riguarda l’infrazione di cui all’art. 1 della decisione controversa

1. Argomenti delle parti

2. Giudizio della Corte

E – Sul quinto motivo, vertente su errori di diritto, sullo snaturamento delle prove e su una carenza di motivazione per quanto riguarda gli effetti dell’infrazione sugli scambi fra Stati membri.

1. Argomenti delle parti

2. Giudizio della Corte

F – Sul sesto motivo, vertente su uno sviamento di potere, un errore di diritto e uno snaturamento dei fatti per quanto riguarda l’infrazione di cui all’art. 2 della decisione controversa

1. Argomenti delle parti

2. Giudizio della Corte

G – Sul settimo motivo, vertente su uno sviamento di potere, su errori di diritto e su uno snaturamento dei fatti per quanto riguarda gli effetti dell’infrazione di cui all’art. 2 della decisione controversa

1. Argomenti delle parti

2. Giudizio della Corte

H – Sull’ottavo motivo, vertente su errori di diritto e su uno snaturamento dei fatti per quanto riguarda il contesto economico del contratto di fornitura stipulato tra la Dalmine e la Corus

1. Argomenti delle parti

2. Giudizio della Corte

I – Sul nono motivo, vertente su errori di diritto e su un difetto di motivazione circa la gravità dell’infrazione

1. Argomenti delle parti

2. Giudizio della Corte

J – Sul decimo motivo, vertente su errori di diritto e su un difetto di motivazione riguardante la durata dell’infrazione e le circostanze attenuanti

1. Argomenti delle parti

2. Giudizio della Corte

V – Sulle spese

«Ricorso contro una pronuncia del Tribunale di primo grado – Concorrenza – Intesa – Mercati dei tubi in acciaio senza saldatura – Protezione dei mercati nazionali – Contratto di fornitura – Diritti della difesa – Autoincriminazione – Elementi probatori di origine anonima – Ammenda – Motivazione – Parità di trattamento – Orientamenti per il calcolo delle ammende – Dimensioni del mercato rilevante e dell’impresa interessata – Circostanze attenuanti»

Nel procedimento C‑407/04 P,

avente ad oggetto il ricorso contro una pronuncia del Tribunale di primo grado, ai sensi dell’art. 56 dello Statuto della Corte di giustizia, proposto il 24 settembre 2004,

Dalmine SpA, con sede in Dalmine, rappresentata dagli avv.ti A. Sinagra, M. Siragusa e F. Moretti,

ricorrente,

procedimento in cui l’altra parte è:

Commissione delle Comunità europee, rappresentata dai sigg. A. Whelan e F. Amato, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo,

convenuta in primo grado,

LA CORTE (Prima Sezione),

composta dal sig. P. Jann, presidente di sezione, dai sigg. K. Lenaerts, E. Juhász, K. Schiemann e M. Ilešič (relatore), giudici,

avvocato generale: sig. L.A. Geelhoed

cancelliere: sig.ra L. Hewlett, amministratore principale

vista la fase scritta del procedimento e in seguito alla trattazione orale dell’8 dicembre 2005,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 12 settembre 2006,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        Con il suo ricorso, la società Dalmine SpA (in prosieguo: la «Dalmine» oppure la «ricorrente») chiede l’annullamento della sentenza del Tribunale di primo grado delle Comunità europee 8 luglio 2004, causa T‑50/00, Dalmine/Commissione (Racc. pag. II‑2395; in prosieguo: la «sentenza impugnata»), nella parte in cui tale sentenza ha respinto il suo ricorso proposto contro la decisione della Commissione 8 dicembre 1999, 2003/382/CE, relativa ad un procedimento di applicazione dell’art. 81 CE (Caso IV/E‑1/35.860‑B Tubi di acciaio senza saldatura) (GU 2003, L 140, pag. 1; in prosieguo: la «decisione controversa»).

I –  La decisione controversa

A –  L’intesa

2        La Commissione ha inviato la decisione controversa a otto imprese produttrici di tubi di acciaio senza saldatura. Fra tali imprese figurano quattro società europee (in prosieguo: i «produttori comunitari»): la Mannesmannröhren-Werke AG (in prosieguo: la «Mannesmann»), la Vallourec SA (in prosieguo: la «Vallourec»), la Corus UK Ltd (già British Steel Ltd; in prosieguo: la «Corus») e la Dalmine. Le altre quattro destinatarie della decisione impugnata sono società giapponesi (in prosieguo: i «produttori giapponesi»): la NKK Corp., la Nippon Steel Corp., la Kawasaki Steel Corp. e la Sumitomo Metal Industries Ltd (in prosieguo: la «Sumitomo»).

3        I tubi in acciaio senza saldatura sono utilizzati dall’industria petrolifera e del gas e si suddividono in due grandi categorie di prodotti.

4        La prima di tali categorie è quella dei tubi per il sondaggio, comunemente denominati «Oil Country Tubular Goods» ovvero «OCTG». Essi possono essere venduti senza filettatura («tubi lisci») o filettati. La filettatura è un’operazione volta a consentire il raccordo dei tubi OCTG. Essa può essere realizzata secondo i parametri fissati dall’American Petroleum Institute (API), e i tubi filettati secondo tale metodo sono denominati «tubi OCTG standard», oppure realizzata con tecniche particolari, solitamente brevettate. In quest’ultimo caso si parla di filettatura o, eventualmente, di «giunti» «di prima qualità» ovvero «premium», e i tubi così filettati sono denominati «tubi OCTG premium».

5        Alla seconda categoria appartengono i tubi per il trasporto di petrolio e di gas («linepipe»), tra i quali rientrano, da un lato, i tubi fabbricati secondo norme standard e, dall’altro, quelli fabbricati su misura nell’ambito di progetti specifici (in prosieguo: i «linepipe “project”»).

6        Nel novembre 1994 la Commissione delle Comunità europee decideva di avviare un’indagine sull’esistenza di pratiche anticoncorrenziali riguardanti tali prodotti. Nel dicembre dello stesso anno essa effettuava ispezioni presso diverse imprese. Tra il settembre 1996 e il dicembre 1997 la Commissione effettuava ulteriori accertamenti presso la Vallourec, la Dalmine e la Mannesmann. Nel corso di un’ispezione presso la Vallourec effettuata il 17 settembre 1996, il presidente della Vallourec Oil & Gas, sig. Verluca, rilasciava talune dichiarazioni (in prosieguo: le «dichiarazioni del sig. Verluca»). Nel corso di un’ispezione presso la Mannesmann, avvenuta nell’aprile 1997, il dirigente di tale impresa, sig. Becher, ha rilasciato, del pari, talune dichiarazioni (in prosieguo: le «dichiarazioni del sig. Becher»).

7        La Commissione inviava inoltre a diverse imprese una richiesta di informazioni, ex art. 11 del regolamento del Consiglio 6 febbraio 1962, n. 17, primo regolamento d’applicazione degli articoli [81 CE] e [82 CE] (GU 1962, n. 13, pag. 204). Poiché la Dalmine aveva rifiutato di fornire alcune delle informazioni richieste, le veniva inviata la decisione della Commissione 6 ottobre 1997, relativa ad una procedura ai sensi dell’articolo 11, paragrafo 5, del regolamento n. 17 del Consiglio (in prosieguo: la «decisione 6 ottobre 1997»). La Dalmine presentava un ricorso di annullamento contro tale decisione, ricorso che veniva dichiarato manifestamente irricevibile con ordinanza del Tribunale 24 giugno 1998, causa T‑596/97, Dalmine/Commissione (Racc. pag. II‑2383).

8        Tenuto conto delle dichiarazioni dei sigg. Verluca e Becher, nonché di altri elementi probatori, nella decisione controversa la Commissione constatava che le otto imprese destinatarie di tale decisione avevano concluso un accordo che prevedeva, in particolare, la reciproca protezione dei loro mercati nazionali. In base all’accordo, ogni impresa si impegnava a non vendere tubi OCTG standard e linepipe «project» sul mercato nazionale di un’altra parte aderente all’accordo.

9        L’accordo sarebbe stato concluso nell’ambito di riunioni tra i produttori comunitari e quelli giapponesi, conosciute con il nome di «club Europa-Giappone».

10      Il principio della protezione dei mercati nazionali era denominato «regole di base dell’accordo» («fundamentals»). La Commissione rilevava che i «fundamentals» erano stati effettivamente osservati e che pertanto l’accordo aveva sortito effetti anticoncorrenziali sul mercato comune.

11      L’accordo nel suo complesso sarebbe stato costituito da tre parti: la prima rappresentata dai «fundamentals» per la protezione dei mercati nazionali, menzionati supra, i quali integrano l’infrazione constatata all’art. 1 della decisione controversa; la seconda parte consistente nella fissazione dei prezzi per le gare d’appalto e di prezzi minimi per i «mercati speciali» («special markets»), e la terza parte consistente nella ripartizione degli altri mercati mondiali, eccetto quelli del Canada e degli Stati Uniti d’America, mediante apposite chiavi di ripartizione («Sharing keys»).

12      Quanto all’esistenza dei «fundamentals», la Commissione si fondava su una serie di indizi documentali elencati ai punti 62‑67 della motivazione della decisione controversa, nonché sulla tabella di cui al punto 68 di quest’ultima. Dalla detta tabella risulterebbe che la quota del produttore nazionale nelle forniture effettuate dalle destinatarie della decisione controversa in Giappone e nel mercato interno di ciascuno dei quattro produttori comunitari è molto elevata. La Commissione ne deduce che, nel complesso, i mercati nazionali erano effettivamente rispettati dalle parti dell’accordo.

13      Il 5 novembre 1993 i membri del club Europa‑Giappone si sarebbero incontrati a Tokyo, per tentare di raggiungere un nuovo accordo di ripartizione dei mercati con i produttori dell’America latina. Il contenuto dell’accordo stipulato in tale occasione comparirebbe in un documento consegnato alla Commissione il 12 novembre 1997 da un informatore estraneo al procedimento, che contiene in particolare una chiave di ripartizione (in prosieguo: il documento «Sharing key»).

B –  La durata dell’intesa

14      A partire dal 1977 il club Europa-Giappone si sarebbe riunito, al ritmo di circa due volte l’anno, fino al 1994.

15      La Commissione riteneva tuttavia che si dovesse prendere in considerazione il 1990 quale momento iniziale dell’intesa ai fini della fissazione dell’importo delle ammende, in quanto tra il 1977 e il 1990 erano stati conclusi tra la Comunità europea e il Giappone accordi di autolimitazione delle esportazioni. Secondo la Commissione, l’infrazione è terminata nel 1995.

C –  Le ammende

16      Ai fini della fissazione dell’importo delle ammende, la Commissione qualificava l’infrazione come molto grave, giacché l’accordo aveva ad oggetto la protezione dei mercati nazionali e pregiudicava il buon funzionamento del mercato interno. Essa tuttavia rilevava che le vendite di tubi in acciaio senza saldatura effettuate dalle imprese destinatarie della decisione controversa nei quattro Stati membri interessati ammontavano a soli 73 milioni circa di euro all’anno.

17      Alla luce di tali elementi, la Commissione fissava l’ammontare dell’ammenda, in base alla gravità dell’infrazione, in 10 milioni di euro per ognuna delle otto imprese. Queste ultime sono tutte imprese di grandi dimensioni, sicché la Commissione ha ritenuto di non dover differenziare, a tale titolo, gli importi stabiliti.

18      Ritenendo che si trattasse di un’infrazione di durata media, per fissare l’importo di base dell’ammenda irrogata a ciascuna impresa di cui trattasi, la Commissione applicava una maggiorazione del 10% della somma stabilita in funzione della gravità per ogni anno di partecipazione all’infrazione. Tuttavia, considerato che il settore dei tubi in acciaio versava da lungo tempo in uno stato di crisi e che tale situazione si è deteriorata a partire dal 1991, la Commissione ha ridotto i detti importi di base del 10% in considerazione delle circostanze attenuanti.

19      Infine, la Commissione applicava una riduzione pari al 40% dell’importo dell’ammenda irrogata alla Vallourec e una riduzione pari al 20% dell’importo dell’ammenda inflitta alla Dalmine, ai sensi del punto D 2 della sua comunicazione sulla non imposizione o sulla riduzione delle ammende nei casi d’intesa tra imprese (GU 1996, C 207, pag. 4; in prosieguo: la «comunicazione sulla cooperazione»), in considerazione del fatto che queste due imprese avevano collaborato con la Commissione nella fase del procedimento amministrativo.

20      Nell’art. 2 della decisione controversa la Commissione considerava che la conclusione di contratti, tra i produttori comunitari, riguardanti la vendita di tubi lisci sul mercato del Regno Unito integrava un’infrazione. Nondimeno, essa non infliggeva un’ammenda supplementare per tale infrazione in quanto i detti contratti erano solo un mezzo per attuare il principio della protezione dei mercati nazionali deciso nell’ambito del club Europa-Giappone.

D –  Il dispositivo della decisione controversa

21      Ai sensi dell’art. 1, n. 1, della decisione controversa, le otto imprese destinatarie della stessa «(…) hanno violato le disposizioni dell’articolo 81, paragrafo 1, (…) CE, partecipando (...) ad un accordo che prevedeva fra l’altro la protezione dei rispettivi mercati nazionali dei tubi OCTG (…) standard e linepipe project senza saldatura».

22      Ai termini dell’art. 1, n. 2, della decisione controversa l’infrazione è durata dal 1990 al 1995 per le società Mannesmann, Vallourec, Dalmine, Sumitomo, Nippon Steel Corp., Kawasaki Steel Corp. e NKK Corp. Con riferimento alla Corus si indica che l’infrazione è durata dal 1990 al febbraio 1994.

23      Le altre disposizioni rilevanti della decisione impugnata sono formulate nei termini seguenti:

«Articolo 2

1.      [Mannesmann], Vallourec (…), [Corus] e Dalmine (…) hanno violato le disposizioni dell’articolo 81, paragrafo 1, (...) CE, concludendo, nell’ambito dell’infrazione di cui all’articolo 1, contratti risultanti in una ripartizione delle forniture di tubi OCTG lisci a [Corus] (Vallourec SA a partire dal 1994).

2.      Per [Corus] l’infrazione è durata dal 24 luglio 1991 al febbraio 1994. Per Vallourec (…) è durata dal 24 luglio 1991 al 30 marzo 1999. Per Dalmine (…) è durata dal 4 dicembre 1991 al 30 marzo 1999. Per [Mannesmann] è durata dal 9 agosto 1993 al 24 aprile 1997.

(…)

Articolo 4

A motivo dell’infrazione constatata all’articolo 1, alle imprese ivi elencate sono irrogate le seguenti ammende:

1.      [Mannesmann] 13 500 000 EUR

2.      Vallourec (…)  8 100 000 EUR

3.      [Corus]          12 600 000 EUR

4.      Dalmine (…) 10 800 000 EUR

5.      Sumitomo (…)          13 500 000 EUR

6.      Nippon Steel (…) 13 500 000 EUR

7.      Kawasaki Steel (…) 13 500 000 EUR

8.      NKK (…)          13 500 000 EUR».

II –  Il procedimento dinanzi al Tribunale e la sentenza impugnata

24      Con atti introduttivi depositati presso la cancelleria del Tribunale, sette delle otto imprese sanzionate dalla decisione controversa, tra le quali la Dalmine, hanno proposto ricorsi diretti tutti all’annullamento, totale o parziale, di tale decisione e, in subordine, all’annullamento dell’ammenda che era stata inflitta loro oppure alla riduzione dell’importo di quest’ultima.

25      Con la sentenza impugnata il Tribunale ha:

–        annullato l’art. 1, n. 2, della decisione controversa nella parte in cui accertava in capo alla Dalmine l’esistenza dell’infrazione sanzionata da tale disposizione anteriormente al 1º gennaio 1991;

–        fissato in EUR 10 080 000 l’importo dell’ammenda inflitta alla Dalmine;

–        respinto il ricorso quanto al resto;

–        condannato ciascuna delle parti a sopportare le proprie spese.

III –  Procedimento dinanzi alla Corte

26      Nel suo ricorso la Dalmine conclude che la Corte voglia:

–        annullare la sentenza impugnata;

–        annullare la decisione controversa;

–        in subordine, annullare o ridurre l’ammenda fissata all’art. 4 della decisione controversa;

–        in ulteriore subordine, rinviare la causa al Tribunale per un nuovo giudizio dello stesso sulla base della decisione della Corte;

–        condannare la Commissione alle spese sostenute dinanzi al Tribunale e alla Corte.

27      La Commissione chiede alla Corte di respingere il ricorso, in quanto parzialmente irricevibile e in ogni caso in quanto privo di qualsiasi fondamento e di condannare la ricorrente alle spese.

IV –  Sul ricorso dinanzi alla Corte

28      La Dalmine solleva, in sostanza, otto motivi al fine di ottenere l’annullamento della sentenza impugnata e della decisione controversa, dei quali tre concernono vizi di procedura, due riguardano vizi attinenti all’accertamento dell’infrazione di cui all’art. 1 della decisione controversa, e, infine, tre vertono su vizi attinenti all’accertamento dell’infrazione di cui all’art. 2 della decisione.

29      La Dalmine deduce inoltre due motivi attinenti all’importo dell’ammenda.

A –  Sul primo motivo, vertente sull’illegittimità dei quesiti posti dalla Commissione nel corso dell’indagine

1.     Argomenti delle parti

30      Secondo la Dalmine, il Tribunale ha commesso un errore di diritto nonché una violazione dei diritti di difesa in quanto ha ritenuto legittimi i quesiti posti dalla Commissione nel corso dell’indagine. Da ciò conseguirebbe che sarebbe stato ignorato il diritto di non autoincriminarsi.

31      La Dalmine incentra tale motivo sul primo quesito, lett. d), contenuto nell’allegato 1 della decisione 6 ottobre 1997, che è formulato nei termini seguenti: «per quelle riunioni per cui non riusciste a reperire i documenti relativi, vogliate descrivere l’oggetto delle riunioni, le decisioni adottate, il tipo di documenti ricevuti prima o dopo le riunioni, le quote (“Sharing key”) discusse e/o decise per aree geografiche ed il loro periodo di validità, i prezzi discussi e/o decisi per aree geografiche ed il loro periodo di validità specificandone il tipo (“Target Price-TP”, “Winning Price-WP”, “Proposal Price-PP”, “Rock Bottom Prices-RBP” ecc.)».

32      La Commissione ricorda che il diritto di non contribuire alla propria incriminazione vale solo con riferimento alle richieste di informazioni che obbligano i destinatari alla risposta, a pena di ammenda. Orbene, il suddetto primo quesito, lett. d), non figurava tra le domande per le quali la decisione 6 ottobre 1997 richiedeva una risposta a pena di ammenda.

2.     Giudizio della Corte

33      Per stabilire se il Tribunale abbia commesso gli errori che gli sono contestati occorre rifarsi alla giurisprudenza relativa alla portata dei poteri della Commissione in materia di procedimenti di indagine preliminare e di procedimenti amministrativi, con riferimento ai diritti della difesa.

34      In base a tale giurisprudenza, la Commissione può obbligare, eventualmente mediante una decisione, un’impresa a fornirle tutte le informazioni necessarie per quanto attiene ai fatti di cui quest’ultima possa essere a conoscenza, ma non può imporre a tale impresa l’obbligo di fornire risposte attraverso le quali quest’ultima sarebbe indotta ad ammettere l’esistenza della trasgressione, che deve essere provata dalla Commissione (sentenze 18 ottobre 1989, causa 374/87, Orkem/Commissione, Racc. pag. 3283, punti 34 e 35; 7 gennaio 2004, cause riunite C‑204/00 P, C‑205/00 P, C‑211/00 P, C‑213/00 P, C‑217/00 P e C‑219/00 P, Aalborg Portland e a./Commissione, Racc. pag. I‑123, punti 61 e 65, e 14 luglio 2005, cause riunite C‑65/02 P e C‑73/02 P, ThyssenKrupp/Commissione, Racc. pag. I‑6773, punto 49).

35      Orbene, nella fattispecie, come ha rilevato l’avvocato generale nel paragrafo 29 delle sue conclusioni, dal dispositivo della decisione 6 ottobre 1997 risulta che la Dalmine non era tenuta a rispondere al primo quesito, lett. d), citato al punto 31 della presente sentenza. Pertanto, come il Tribunale ha constatato ai punti 45 e 46 della sentenza impugnata, la Dalmine non può far utilmente valere il suo diritto di non essere costretta dalla Commissione ad ammettere la sua partecipazione ad un’infrazione.

36      Ne consegue che il primo motivo deve essere respinto.

B –  Sul secondo motivo, vertente sull’inammissibilità di taluni elementi di prova

1.     Il documento «Sharing key»

a)     Argomenti delle parti

37      Secondo la Dalmine, il Tribunale ha ritenuto a torto che il documento «Sharing key» fosse ammissibile in quanto mezzo di prova a carico e, così facendo, ha violato il diritto comunitario e in particolare i diritti della difesa. Poiché il documento in questione è stato recapitato alla Commissione da un terzo ignoto, la sua autenticità non avrebbe potuto essere verificata. Inoltre, la Commissione non conoscerebbe neppure l’identità dell’autore del documento.

38      La Dalmine argomenta che, affinché un documento anonimo possa essere ammesso come mezzo di prova, è necessario che la sua pertinenza ed attendibilità vengano dimostrate al soggetto accusato. Essa sostiene che i documenti anonimi possono all’occorrenza giustificare l’apertura di un’istruttoria, ma non possono costituire il fondamento dell’accusa.

39      La Dalmine sostiene, poi, che la sentenza impugnata è contraddittoria in quanto il Tribunale, da un lato, ha affermato che gli argomenti della Dalmine potevano essere rilevanti per valutare la credibilità del documento, ma, dall’altro, non ha proceduto a esaminare nel merito tale credibilità.

40      La Dalmine ritiene infine che il Tribunale avrebbe dovuto esaminare se sussistessero ragioni cogenti per la Commissione per non rivelare l’identità del suo informatore.

41      La Commissione ricorda anzitutto che il principio che prevale nel diritto comunitario è quello della libera produzione delle prove. A suo parere, l’ammissibilità o l’utilizzabilità di un documento non possono essere contestate. Solo la credibilità di tale documento può esserlo. Orbene, la Dalmine non avrebbe espressamente contestato dinanzi al Tribunale la credibilità del documento «Sharing key». Essa si sarebbe limitata a sostenere che tale documento era inammissibile e inutilizzabile e avrebbe addirittura riconosciuto che alcune parti di esso erano corroborate da altri elementi probatori.

42      La Commissione ricorda poi che, quando un soggetto le chiede di non rivelare la sua identità, essa è tenuta al segreto su questo punto.

43      Infine, la Commissione sostiene che, quand’anche si ammettesse che il documento «Sharing key» non poteva essere utilizzato, la validità della decisione controversa non potrebbe essere rimessa in discussione per tale motivo, poiché il suddetto documento ha scarsa importanza nell’economia generale della stessa.

b)     Giudizio della Corte

44      Il rispetto dei diritti della difesa esige che l’impresa interessata sia stata messa in grado, durante il procedimento amministrativo, di far conoscere in modo efficace il proprio punto di vista sulla realtà e sulla rilevanza dei fatti e delle circostanze allegati, nonché sui documenti di cui la Commissione ha tenuto conto per suffragare la sua affermazione circa l’esistenza di un’infrazione (sentenze 7 giugno 1983, cause riunite 100/80-103/80, Musique Diffusion française e a./Commissione, Racc. pag. 1825, punto 10; 6 aprile 1995, causa C‑310/93 P, BPB Industries e British Gypsum/Commissione, Racc. pag. I‑865, punto 21, e Aalborg Portland e a./Commissione, cit., punto 66).

45      Si deve anzitutto constatare che la Dalmine è stata messa in condizione di pronunciarsi sul documento «Sharing key» e di formulare i suoi argomenti riguardo al valore probatorio di tale documento, in considerazione dell’origine anonima di quest’ultimo.

46      Nei limiti in cui la ricorrente afferma, sostanzialmente, che i diritti della difesa non sono stati rispettati per il fatto stesso che l’origine di tale documento era ignota e l’affidabilità di quest’ultimo non le era stata dimostrata dalla Commissione, si deve constatare che un’interpretazione siffatta dei diritti della difesa potrebbe compromettere la produzione di prove laddove si debba dimostrare l’esistenza di un’infrazione al diritto comunitario della concorrenza.

47      Infatti, la produzione di prove nelle cause riguardanti il diritto comunitario della concorrenza è caratterizzata dal fatto che i documenti esaminati contengono spesso segreti commerciali o altre informazioni che non possono essere divulgate o possono esserlo solo nell’osservanza di notevoli limiti.

48      Pertanto i diritti della difesa non possono essere interpretati nel senso che debbano essere automaticamente esclusi come mezzi di prova i documenti contenenti elementi di prova a carico qualora talune informazioni debbano restare riservate. Siffatta riservatezza può riguardare anche l’identità degli autori dei documenti e delle persone che li hanno fatti pervenire alla Commissione.

49      Giustamente quindi il Tribunale ha dichiarato che:

«72      [i]n diritto comunitario prevale il principio della libertà di forma dei mezzi probatori e l’unico criterio pertinente per valutare le prove prodotte risiede nella loro credibilità (...).

73      Di conseguenza, anche se gli argomenti della Dalmine possono essere rilevanti per valutare la credibilità e, pertanto, il valore probatorio del documento “Sharing key”, non c’è motivo di considerare quest’ultimo una prova irricevibile, da dichiarare inutilizzabile».

50      Nel citato punto 73 della sentenza impugnata, il Tribunale ha peraltro indicato che, nel valutare la credibilità del documento «Sharing key», potrebbe rivelarsi necessario prendere in considerazione l’origine anonima di quest’ultimo.

51      Si deve concludere che non è stato commesso alcun errore nel valutare l’ammissibilità e l’utilizzabilità di tale documento quale elemento probatorio.

52      Infine la ricorrente non può contestare al Tribunale di non essersi soffermato maggiormente sull’esame della credibilità del documento di cui trattasi e di non aver verificato se sussistessero ragioni cogenti per la Commissione per non rivelare l’identità del suo informatore. Dato che gli argomenti della Dalmine riguardavano l’inammissibilità di tale documento quale elemento probatorio, il Tribunale poteva limitarsi a ribattere tale argomento.

53      Alla luce di quanto precede, la prima parte del secondo motivo deve essere respinta.

2.     I verbali degli interrogatori degli ex dirigenti della Dalmine

a)     Argomenti delle parti

54      La Dalmine sostiene che, giudicando ammissibili i verbali degli interrogatori di taluni dei suoi ex dirigenti nell’ambito delle indagini condotte dal procuratore di Bergamo, il Tribunale ha violato i diritti della difesa nonché il diritto ad un equo processo riconosciuto dalla Corte europea dei diritti dell’uomo ai sensi dell’art. 6, n. 1, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 (in prosieguo: la «CEDU»).

55      Da un lato, la Commissione avrebbe dovuto informare la Dalmine più presto e, in ogni caso, prima dell’invio della comunicazione degli addebiti, del fatto di disporre dei detti verbali.

56      D’altro lato, tale istituzione avrebbe potuto utilizzare tali documenti solo per decidere se si dovesse o meno avviare un procedimento. In proposito, la Dalmine sottolinea che i documenti di cui trattasi costituivano atti provvisori nell’ambito di un procedimento penale e che la loro credibilità non era quindi ancora dimostrata.

57      La Commissione ricorda che, ai sensi dell’art. 11, n. 1, del regolamento n. 17, essa può «raccogliere tutte le informazioni necessarie presso i Governi e le autorità competenti degli Stati membri» e che quindi, a rigor di logica, deve poter utilizzare tali informazioni. Essa rileva inoltre che il Tribunale ha a giusto titolo considerato che non rientrasse nella propria competenza, né in quella della Commissione, pronunciarsi sulla legittimità della provenienza di dette informazioni alla luce delle norme del diritto nazionale che disciplinano lo svolgimento delle indagini condotte dalle autorità italiane.

b)     Giudizio della Corte

58      Con riguardo alla questione se la Commissione avrebbe dovuto informare la Dalmine più presto, addirittura prima dell’invio della comunicazione degli addebiti, del fatto di disporre dei verbali di cui trattasi, va ricordato che sono proprio l’invio della comunicazione degli addebiti, da un lato, e l’accesso al fascicolo, che consente al destinatario di avere cognizione degli elementi probatori contenuti nel fascicolo della Commissione, dall’altro, a garantire i diritti della difesa e il diritto ad un equo processo, invocati dalla ricorrente nell’ambito del presente motivo.

59      È infatti con la comunicazione degli addebiti che l’impresa interessata viene informata di tutti gli elementi essenziali sui quali si fonda la Commissione in tale fase del procedimento (sentenze 15 ottobre 2002, cause riunite C‑238/99 P, C‑244/99 P, C‑245/99 P, C‑247/99 P, da C‑250/99 P a C‑252/99 P e C‑254/99 P, Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione, Racc. pag. I‑8375, punti 315 e 316, e Aalborg Portland e a./Commissione, cit., punti 66 e 67). Di conseguenza, solo dopo l’invio della detta comunicazione l’impresa interessata può far pienamente valere i diritti della difesa (sentenza 21 settembre 2006, causa C‑105/04 P, Nederlandse Federatieve Vereniging voor de Groothandel op Elektrotechnisch Gebied/Commissione, Racc. pag. I‑8725, punti 47 e 50).

60      Come il Tribunale ha giustamente constatato nel punto 83 della sentenza impugnata, laddove tali diritti fossero estesi, nel senso proposto dalla ricorrente, al periodo che precede l’invio della comunicazione degli addebiti, l’efficacia dell’indagine della Commissione risulterebbe compromessa, in quanto l’impresa sarebbe in grado, già dalla prima fase dell’inchiesta della Commissione, di identificare le informazioni note a quest’ultima e, pertanto, quelle che possono esserle ancora nascoste.

61      Per di più, nulla indica che la circostanza che la Commissione non abbia informato la Dalmine, nella fase istruttoria, di essere in possesso dei detti verbali possa avere avuto un’incidenza sulle ulteriori possibilità di difesa di quest’ultima nel corso della fase del procedimento amministrativo iniziato con l’invio della comunicazione degli addebiti (v., per analogia, sentenza Nederlandse Federatieve Vereniging voor de Groothandel op Elektrotechnisch Gebied/Commissione, cit., punti 48‑50 e 56).

62      Per quanto riguarda poi l’ammissibilità di tali verbali quali elementi probatori, si deve constatare, come ha fatto il Tribunale al punto 86 della sentenza impugnata, che la legittimità della trasmissione alla Commissione, da parte di un procuratore nazionale o delle autorità competenti in materia di concorrenza, di informazioni raccolte in conformità del diritto penale nazionale va valutata alla luce della normativa nazionale. Inoltre, come ha ricordato il Tribunale nello stesso punto, il giudice comunitario non è competente a verificare la legittimità, rispetto al diritto di uno Stato membro, di un atto emanato da un’autorità nazionale (sentenza della Corte 3 dicembre 1992, causa C‑97/91, Oleificio Borelli/Commissione, Racc. pag. I‑6313, punto 9).

63      Con riferimento all’uso delle dette informazioni da parte della Commissione, il Tribunale ha correttamente constatato nel punto 90 della sentenza impugnata che gli argomenti della Dalmine potevano valere solo nei confronti della «credibilità e, pertanto, [del]la forza probatoria delle testimonianze dei suoi direttori e non contro la ricevibilità di tali elementi nel procedimento». Infatti, come è stato rilevato nell’ambito della valutazione della prima parte del presente motivo, il principio vigente nel diritto comunitario è quello della libera produzione delle prove e il solo criterio pertinente per valutare le prove prodotte è quello della loro credibilità. Pertanto, poiché la trasmissione dei verbali di cui trattasi non è stata dichiarata illegittima da un giudice italiano, non vi è motivo di considerare che tali documenti fossero elementi probatori inammissibili che dovevano essere stralciati dal fascicolo.

64      Anche la seconda parte del secondo motivo deve dunque essere respinta.

65      Ne discende che il secondo motivo dev’essere integralmente respinto.

C –  Sul terzo motivo, vertente sull’inclusione nella decisione controversa di motivi non connessi agli addebiti comunicati alla ricorrente

1.     Argomenti delle parti

66      La Dalmine ricorda di aver contestato alla Commissione l’aver fatto riferimento, nella decisione controversa, a fatti estranei alle infrazioni e potenzialmente idonei ad arrecarle pregiudizio in quanto le informazioni divulgate potevano essere utilizzate da terzi. Essa menziona in particolare le constatazioni della Commissione attinenti alle intese riguardanti i mercati extracomunitari nonché alla fissazione dei prezzi.

67      Respingendo i suoi argomenti su tale punto, il Tribunale avrebbe ignorato l’art. 21 del regolamento n. 17, ai sensi del quale la Commissione deve tener conto del legittimo interesse delle imprese a non veder rivelati i loro segreti commerciali.

68      Secondo la Commissione, il Tribunale ha giustamente dichiarato che il destinatario di una decisione non può contestare, nell’ambito di un ricorso di annullamento, determinati motivi di quest’ultima, a meno che tali motivi non producano effetti giuridici obbligatori atti a pregiudicare i suoi interessi. Nella fattispecie la Dalmine non avrebbe dimostrato in che modo i motivi impugnati sono idonei a produrre effetti di questo tipo.

2.     Giudizio della Corte

69      Avendo la Dalmine chiesto al Tribunale di annullare i motivi ultronei della decisione controversa, quest’ultimo ha giustamente statuito, nel punto 134 della decisione impugnata, che «[è] sufficiente constatare che nessuna norma di diritto permette al destinatario di una decisione di contestare, nell’ambito di un ricorso di annullamento ai sensi dell’art. 230 CE, determinati motivi di quest’ultima, a meno che tali motivi non producano effetti giuridici obbligatori atti a pregiudicare i suoi interessi (v., in tal senso, sentenza del Tribunale 22 marzo 2000, cause riunite T‑125/97 e T‑127/97, Coca Cola/Commissione, Racc. pag. II‑1733, punti 77 e 80‑85). In linea di principio i motivi di una decisione non sono idonei a produrre effetti del genere. Nella fattispecie la ricorrente non ha dimostrato in qual modo i motivi impugnati siano idonei a produrre effetti che modifichino la sua situazione giuridica».

70      Vero è che il Tribunale si è così astenuto dall’esaminare se la Commissione avesse il diritto di divulgare, nella decisione controversa, informazioni attinenti alle intese riguardanti i mercati extracomunitari e alla fissazione dei prezzi; va tuttavia constatato che, anche ammesso che la divulgazione, da parte della Commissione, delle dette informazioni sia stata contraria all’obbligo in capo a quest’ultima di rispettare i segreti commerciali della Dalmine, resta pur sempre il fatto che un’irregolarità di questo tipo avrebbe potuto comportare l’annullamento della decisione controversa solo nel caso in cui fosse dimostrato che, in assenza di tale irregolarità, la decisione di cui trattasi avrebbe avuto un contenuto diverso (sentenze della Corte 16 dicembre 1975, cause riunite 40/73-48/73, 50/73, 54/73-56/73, 111/73, 113/73 e 114/73, Suiker Unie e a./Commissione, Racc. pag. 1663, punto 91, e 18 settembre 2003, causa C‑338/00 P, Volkswagen/Commissione, Racc. pag. I‑9189, punti 163 e 164). Orbene, poiché le constatazioni contenute nella decisione controversa attinenti alle intese relative ai mercati extracomunitari nonché alla fissazione dei prezzi sono state qualificate dalla ricorrente come motivi ultronei, quest’ultima non può in alcun caso sostenere che, in mancanza di tali constatazioni, la decisione controversa avrebbe avuto un contenuto essenzialmente diverso.

71      Di conseguenza, anche il terzo motivo dev’essere disatteso.

D –  Sul quarto motivo, vertente su uno snaturamento dei fatti e una carenza di motivazione per quanto riguarda l’infrazione di cui all’art. 1 della decisione controversa

1.     Argomenti delle parti

72      La Dalmine contesta al Tribunale lo snaturamento dei fatti e una carenza di motivazione di motivazione per quanto riguarda la determinazione dell’oggetto dell’infrazione di cui all’art. 1 della decisione controversa, l’accertamento dei suoi effetti e l’assimilazione di un’eventuale infrazione priva di attuazione o senza sensibile effetto pregiudizievole sulla concorrenza ad un’infrazione pienamente attuata.

73      La Dalmine ricorda di aver sostenuto, dinanzi al Tribunale, che l’intesa di cui trattasi non riguardava una ripartizione dei mercati nazionali. Il Tribunale avrebbe a torto considerato che la Dalmine volesse unicamente sottolineare la mancanza di sensibile effetto sulla concorrenza. La sentenza sarebbe così inficiata da un vizio di motivazione.

74      Il Tribunale inoltre avrebbe snaturato i fatti, in quanto non avrebbe verificato gli elementi addotti dalla Commissione riguardo all’oggetto dell’intesa, segnatamente alla luce dei motivi avanzati dalla Dalmine. In particolare, il Tribunale avrebbe snaturato le dichiarazioni rese dalla Vallourec, dalla Mannesmann, dalla Dalmine e dalla Corus durante l’indagine nonché la tabella delle forniture dei membri del club Europa-Giappone che compare al punto 68 della motivazione della decisione controversa.

75      La Commissione sostiene che gli argomenti formulati dalla Dalmine dinanzi al Tribunale non vertevano sulla questione se essa avesse dimostrato l’esistenza di un accordo avente l’oggetto di limitare la concorrenza, ma piuttosto sulla questione se essa avesse dimostrato l’attuazione del detto accordo e gli effetti di quest’ultimo sulla concorrenza nel mercato.

76      La Commissione osserva inoltre che, dinanzi al Tribunale, la Dalmine ha contestato unicamente l’efficacia probatoria del documento «Sharing key» e delle dichiarazioni di uno dei suoi ex dirigenti, il sig. Biasizzo, e non l’efficacia probatoria degli altri documenti utilizzati dalla Commissione. La Dalmine non può quindi sostenere che il Tribunale abbia snaturato tali prove, poiché quest’ultimo non è stato invitato a pronunciarsi su di esse. Di conseguenza, le censure riguardanti l’asserito snaturamento dei fatti dovrebbero essere dichiarate irricevibili.

2.     Giudizio della Corte

77      La ricorrente non può affermare che il Tribunale abbia omesso di rispondere ai suoi argomenti in base ai quali l’accordo non si riferiva alla ripartizione dei mercati nazionali.

78      A tale riguardo, si deve constatare anzitutto che nel punto 136 della sentenza impugnata il Tribunale ha ricordato che, secondo la Dalmine, l’accordo tra le destinatarie della decisione controversa «non concerneva i mercati interni comunitari». Nei punti successivi di tale sentenza, il Tribunale fornisce diverse precisazioni riguardo a quest’argomento della ricorrente. Così, nei punti 138 e 139 della detta sentenza, ha riportato la conclusione della Commissione secondo cui «i produttori nazionali di tubi in acciaio ricoprivano ciascuno sul proprio mercato una posizione economica preponderante» e ha spiegato che la «Dalmine asserisce che se la Commissione si fosse limitata all’esame della situazione sul mercato dei prodotti interessati essa sarebbe giunta ad una conclusione completamente diversa».

79      Successivamente il Tribunale ha chiaramente indicato che, secondo le sue valutazioni, l’accordo mirava a ripartire i mercati nazionali dei produttori comunitari. In tal senso, nel punto 152 della sentenza impugnata, esso ha ricordato che «la Commissione si è basata nella decisione [controversa] su tutta una serie di prove relative all’oggetto dell’accordo denunciato delle quali la Dalmine non nega la rilevanza, in particolare sulle dichiarazioni succinte ma esplicite del sig. Verluca». Per quanto riguarda, in particolare, la deposizione del sig. Biasizzo, il cui valore probatorio è contestato dalla Dalmine (v. punto 76 della presente sentenza), il Tribunale, dopo aver citato nel punto 153 della sentenza impugnata un altro elemento di prova, ovvero la deposizione del sig. Jachia, secondo la quale esisteva un accordo «a rispettare le aree di pertinenza dei diversi operatori», ha constatato, nel punto 155 della stessa sentenza, che la deposizione del sig. Biasizzo corrobora «le dichiarazioni del sig. Verluca quanto all’esistenza dell’accordo di ripartizione dei mercati interni da questo descritto (v. al riguardo sentenza [del Tribunale 8 luglio 2004, cause riunite T‑67/00, T‑68/00, T‑71/00 e T‑78/00,] JFE Engineering e a./Commissione, [Racc. pag. II‑2501,] punti 309 e segg.)».

80      Nelle sue dichiarazioni del 17 settembre 1996, analizzate dal Tribunale nella citata sentenza JFE Engineering e a./Commissione, il sig. Verluca ha affermato che i mercati nazionali dei partecipanti all’accordo «beneficiavano di una protezione» con riguardo ai tubi OCTG standard e ai linepipe «project» (ad eccezione del mercato offshore del Regno Unito, che era «semiprotetto»). Interrogato il 18 dicembre 1997, in occasione di una nuova ispezione, il sig. Verluca ha dichiarato: «erano considerati domestici i mercati francese, tedesco e italiano. Il Regno Unito aveva uno status particolare (v. mia dichiarazione del 17.09.96)».

81      Risulta da quanto precede che la sentenza impugnata non è inficiata dal vizio di motivazione fatto valere dalla ricorrente.

82      Alla luce degli elementi probatori sopra indicati, menzionati dal Tribunale a sostegno della sua constatazione che l’intesa riguardava una ripartizione di mercati nazionali, neppure può essere accolto l’argomento della ricorrente relativo allo snaturamento dei fatti. In particolare, la ricorrente non ha spiegato sotto quale profilo sarebbe erronea l’interpretazione data dal Tribunale alle dichiarazioni dei sigg. Verluca e Jachia, che hanno espressamente affermato che l’accordo verteva su una ripartizione di diversi mercati nazionali all’interno della Comunità.

83      Infine, non può essere neppure accolto l’argomento della ricorrente secondo cui l’art. 81 CE non può essere interpretato nel senso che possa essere assimilata ad un’infrazione pienamente attuata un’infrazione che non abbia trovato attuazione o non abbia sensibile effetto pregiudizievole sulla concorrenza.

84      Infatti, secondo una costante giurisprudenza, ai fini dell’applicazione dell’art. 81, n. 1, CE, è superfluo prendere in considerazione gli effetti concreti di un accordo, ove risulti che esso ha per oggetto di restringere, impedire o falsare il gioco della concorrenza (sentenze 8 luglio 1999, causa C‑49/92 P, Commissione/Anic Partecipazioni, Racc. pag. I‑4125, punti 122 e 123, e Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione, cit., punto 491). In particolare, con riguardo ad accordi di natura anticoncorrenziale che, come nella fattispecie, si manifestano in occasione di riunioni tra imprese concorrenti, la Corte ha già statuito che sussiste un’infrazione all’art. 81, n. 1, CE qualora tali riunioni abbiano per oggetto di restringere, impedire o falsare il gioco della concorrenza e mirino in tal modo ad organizzare artificialmente il funzionamento del mercato (sentenza Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione, cit., punti 508 e 509). Per le ragioni esposte dall’avvocato generale nei paragrafi 134‑137 delle sue conclusioni, sarebbe inopportuno modulare tale giurisprudenza nel senso proposto dalla ricorrente.

85      Da tutto quel che precede risulta che il quarto motivo deve essere respinto.

E –  Sul quinto motivo, vertente su errori di diritto, sullo snaturamento delle prove e su una carenza di motivazione per quanto riguarda gli effetti dell’infrazione sugli scambi fra Stati membri.

1.     Argomenti delle parti

86      Secondo la Dalmine non è stata dimostrata la sussistenza di un’incidenza negativa per il commercio intracomunitario dell’intesa sanzionata all’art. 1 della decisione controversa. A tal proposito, essa fa rilevare che la Commissione non è stata in grado di dimostrare, e il Tribunale non ha potuto verificare, che l’oggetto dell’intesa riguardasse la ripartizione dei mercati nazionali e che, anche laddove fosse stato dimostrato che l’intesa riguardava una ripartizione di questo tipo, il livello di interpenetrazione dei mercati era talmente elevato che questi ultimi non potevano essere compartimentati. Il giudizio contrario del Tribunale sarebbe motivato in modo insufficiente e non conterrebbe inoltre alcuna valutazione della situazione del mercato comunitario.

87      Secondo la Commissione, il Tribunale a giusto titolo si è fondato sulla giurisprudenza in base alla quale, ai fini dell’applicazione dell’art. 81 CE, non è necessario provare l’effettiva sussistenza di un pregiudizio per gli scambi intracomunitari, in quanto può essere sufficiente dimostrare che l’accordo sia idoneo ad avere un siffatto effetto potenziale.

2.     Giudizio della Corte

88      Gli argomenti della Dalmine corrispondono in larga misura a quelli, respinti nell’ambito del quarto motivo, con i quali viene contestato al Tribunale di non aver accertato se l’accordo riguardasse la ripartizione di mercati nazionali e di aver assimilato un’infrazione che non aveva trovato attuazione o che non aveva avuto un sensibile effetto negativo sulla concorrenza ad un’infrazione pienamente attuata.

89      In ogni caso, dalla giurisprudenza consolidata risulta che l’interpretazione e l’applicazione della condizione relativa agli effetti sul commercio fra Stati membri, che figura negli artt. 81 CE e 82 CE, devono assumere come punto di partenza lo scopo di tale condizione, che è quello di delimitare, in materia di disciplina della concorrenza, il campo di applicazione del diritto comunitario rispetto a quello degli Stati membri. Rientrano perciò nell’ambito del diritto comunitario qualsiasi intesa e qualsiasi prassi atte ad incidere sulla libertà del commercio fra Stati membri in un senso che possa nuocere alla realizzazione degli scopi di un mercato unico fra gli Stati membri, in particolare isolando i mercati nazionali o modificando la struttura della concorrenza nel mercato comune (sentenze 31 maggio 1979, causa 22/78, Hugin/Commissione, Racc. pag. 1869, punto 17, e 25 ottobre 2001, causa C‑475/99, Ambulanz Glöckner, Racc. pag. I‑8089, punto 47).

90      Perché una decisione, un accordo o una prassi possano pregiudicare il commercio fra Stati membri è necessario che, in base ad un complesso di elementi obiettivi di diritto o di fatto, appaia probabile che essi siano atti ad esercitare un’influenza diretta o indiretta, attuale o potenziale sugli scambi tra Stati membri, in un modo tale da far temere che possano nuocere al conseguimento di un mercato unico fra Stati membri. Tale influenza inoltre non deve essere trascurabile (sentenza 28 aprile 1998, causa C‑306/96, Javico, Racc. pag. I‑1983, punto 16; 21 gennaio 1999, cause riunite C‑215/96 e C‑216/96, Bagnasco e a., Racc. pag. I‑135, punto 47, e Ambulanz Glöckner, cit., punto 8).

91      Pertanto, dopo aver constatato che l’accordo aveva l’oggetto di ripartire mercati nazionali all’interno della Comunità, il Tribunale giustamente ha concluso, nel punto 157 della sentenza impugnata, che esso aveva avuto l’effetto potenziale di influire sul commercio tra Stati membri. La Corte ha, peraltro, già statuito che una ripartizione di mercati nazionali all’interno della Comunità è idonea ad incidere in modo significativo sui flussi di scambi fra Stati membri (v. sentenza Ambulanz Glöckner, cit., punti 48 e 49).

92      Anche il quinto motivo deve essere quindi respinto.

F –  Sul sesto motivo, vertente su uno sviamento di potere, un errore di diritto e uno snaturamento dei fatti per quanto riguarda l’infrazione di cui all’art. 2 della decisione controversa

1.     Argomenti delle parti

93      La Dalmine rimprovera al Tribunale di non avere correttamente descritto l’atto illecito considerato nell’art. 2 della decisione controversa. Il Tribunale avrebbe riscritto tale decisione, tentando di darle legittimità giuridica in base ad un elemento debole, vale a dire l’asserita illegittimità dei contratti di fornitura stipulati tra la Corus e, rispettivamente, la Dalmine, la Vallourec e la Mannesmann.

94      In particolare, il Tribunale avrebbe tentato di presentare l’atto illecito menzionato all’art. 2 della decisione controversa come una violazione autonoma dell’art. 81 CE, benché esso avesse solo ad oggetto l’attuazione dei «fundamentals». Un’interpretazione siffatta del testo della decisione controversa costituirebbe uno sviamento o un eccesso di potere, nonché uno snaturamento della stessa decisione. Essa si fonderebbe inoltre su una presentazione erronea del mercato dei prodotti interessati.

95      La Dalmine osserva, inoltre, che il Tribunale ha espressamente indicato che l’affermazione della Commissione contenuta nel punto 164 della motivazione della decisione controversa era errata. Orbene, invece di annullare la decisione controversa su tale punto, il Tribunale l’avrebbe riformulata, il che costituisce del pari uno sviamento di potere.

96      Infine, la Dalmine sottolinea che l’interpretazione della relazione intercorrente tra gli artt. 1 e 2 della decisione controversa cui è giunto il Tribunale ha avuto effetti vantaggiosi per i produttori giapponesi, i quali, non essendo stati considerati colpevoli dell’asserita distinta violazione di cui all’art. 2 di tale decisione, hanno beneficiato di una riduzione dell’ammenda.

97      La Commissione sostiene che nella decisione controversa si considera che i contratti di fornitura stipulati tra la Corus e, rispettivamente, la Dalmine, la Vallourec e la Mannesmann costituiscono una violazione separata dell’art. 81 CE e sono per questo motivo oggetto di un articolo specifico nel dispositivo di tale di decisione. Inoltre, ingiungendo alle imprese destinatarie di far cessare le «infrazioni accertate», l’art. 3 della detta decisione indicherebbe chiaramente che si tratta di infrazioni distinte.

98      La Commissione conclude che il Tribunale non ha ecceduto i limiti dei propri poteri né ha snaturato la decisione controversa. Esso non avrebbe neppure riformulato la definizione del mercato dei prodotti interessati. La Commissione fa osservare anche che, quand’anche il Tribunale avesse, in qualche modo, annullato il punto 164 della motivazione di tale decisione, non ne sarebbe risultata alcuna conseguenza sulla validità dell’art. 2 della decisione stessa.

2.     Giudizio della Corte

99      Nei limiti in cui la ricorrente addebita al Tribunale uno sviamento di potere, si deve ricordare che un comportamento del genere sussiste allorché un’istituzione esercita le proprie competenze allo scopo esclusivo, o quanto meno determinante, di raggiungere fini diversi da quelli dichiarati o di eludere una procedura appositamente prevista dal Trattato per far fronte alle circostanze del caso di specie (sentenze 14 maggio 1998, causa C‑48/96 P, Windpark Groothusen/Commissione, Racc. pag. I‑2873, punto 52, e 10 marzo 2005, causa C‑342/03, Spagna/Consiglio, Racc. pag. I‑1975, punto 64).

100    Orbene, la ricorrente non ha addotto alcun elemento che possa dimostrare l’affermazione secondo cui il Tribunale avrebbe esercitato le proprie competenze ad uno scopo diverso da quello, enunciato nell’art. 220 CE, di assicurare il rispetto del diritto nell’interpretazione e nell’applicazione del Trattato.

101    Peraltro, il presente motivo si basa sulla premessa che il Tribunale avrebbe snaturato la decisione controversa qualificando l’infrazione di cui all’art. 2 di quest’ultima come infrazione autonoma e non come mera attuazione dell’infrazione menzionata nell’art. 1 della stessa decisione.

102    Orbene, il Tribunale non è incorso in uno snaturamento siffatto della decisione controversa. Come fa osservare la Commissione, il fatto stesso che l’infrazione, consistente nella conclusione dei contratti di fornitura di cui trattasi, sia oggetto di un articolo specifico nel dispositivo della decisione controversa dimostra che tale infrazione è stata qualificata dalla decisione di cui trattasi come violazione distinta dell’art. 81 CE. Inoltre, nell’art. 3 della decisione controversa si ordina alle imprese indicate negli artt. 1 e 2 di mettere fine «alle accertate infrazioni», formulazione che indica chiaramente che si tratta di infrazioni distinte.

103    Infine, contrariamente a quanto affermato dalla ricorrente, il Tribunale non avrebbe dovuto trarre conseguenze diverse dalle sue constatazioni riguardo al punto 164 della motivazione della decisione impugnata.

104    Con riferimento a tale punto della motivazione, il Tribunale ha dichiarato, nei punti 244 e 245 della sentenza impugnata:

«244      (...) [o]ccorre constatare che l’affermazione della Commissione nella prima frase del punto 164 [della motivazione] della decisione [controversa], secondo cui i contratti di fornitura, costituenti l’infrazione constatata al suo art. 2, erano solo un modo di attuare l’infrazione di cui al suo art. 1, è esagerata. In realtà la detta attuazione era, per la seconda infrazione, solo uno fra i numerosi oggetti ed effetti anticoncorrenziali perseguiti, connessi ma distinti. Il Tribunale ha infatti statuito nella sentenza JFE Engineering e a./Commissione [citata in precedenza] (punti 569 e segg.), che la Commissione ha ignorato il principio della parità di trattamento, in quanto non ha tenuto conto dell’infrazione constatata all’art. 2 della decisione [controversa] per fissare l’importo delle ammende a carico dei produttori europei, benché l’oggetto e gli effetti della detta trasgressione trascendessero il loro contributo al mantenimento prolungato dell’accordo Europa-Giappone (v., in particolare, punto 571 della detta sentenza).

245      La disparità di trattamento rilevata al punto precedente, anche se infine ha giustificato la riduzione dell’importo delle ammende inflitte alle ricorrenti giapponesi, è viziata da un errore di analisi che non giustifica nell’ambito del presente ricorso l’annullamento dell’art. 2 della decisione [controversa], né quello del suo art. 1».

105    Come ha osservato l’avvocato generale nei paragrafi 213‑216 delle sue conclusioni, la constatazione effettuata dal Tribunale nel punto 244 della sentenza impugnata significava solo che la Commissione ha a torto ritenuto che non occorresse infliggere un’ammenda supplementare per l’infrazione di cui all’art. 2 della decisione controversa in quanto tali contratti costituivano solo un mezzo per dare attuazione al principio della protezione dei mercati nazionali deciso nell’ambito del club Europa-Giappone (v. punto 20 della presente sentenza). Tale valutazione del Tribunale non ha quindi conseguenze sulla constatazione stessa della detta infrazione nell’art. 2 della decisione controversa, e non giustifica in alcun modo l’annullamento di tale articolo.

106    Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, il sesto motivo va respinto.

G –  Sul settimo motivo, vertente su uno sviamento di potere, su errori di diritto e su uno snaturamento dei fatti per quanto riguarda gli effetti dell’infrazione di cui all’art. 2 della decisione controversa

1.     Argomenti delle parti

107    Secondo la Dalmine, il Tribunale ha snaturato i fatti dichiarando che il contratto di fornitura stipulato tra la Dalmine e la Corus limitava la concorrenza sul mercato dei tubi lisci e filettati nel Regno Unito. Il Tribunale avrebbe a torto considerato che, a seguito della conclusione di tale contratto, la Dalmine si era praticamente esclusa dal mercato del Regno Unito dei tubi lisci e filettati. In proposito, la Dalmine sottolinea che in ogni caso non avrebbe potuto accedere al mercato del Regno Unito di tubi OCTG premium, poiché non disponeva della licenza richiesta.

108    La Dalmine sottolinea che il suo contratto di fornitura stipulato con la Corus riguarda i tubi lisci, vale a dire un prodotto estraneo al mercato considerato. Di conseguenza, tale contratto non può essere considerato una modalità d’esecuzione dell’asserito accordo di ripartizione dei mercati nazionali di cui all’art. 1 della decisione controversa. Al contrario, tale contratto si fonderebbe su una logica commerciale lecita.

109    Secondo la Commissione, il Tribunale ha giustamente considerato che la Dalmine avrebbe potuto ottenere una licenza che le consentisse di commercializzare i tubi OCTG premium sul mercato del Regno Unito, laddove vi avesse avuto interesse, ma che la conclusione del contratto di fornitura di cui trattasi escludeva siffatto interesse ed eliminava così la Dalmine quale potenziale concorrente.

110    La Commissione aggiunge che, in mancanza di tale contratto di fornitura, la Dalmine avrebbe anche potuto avere interesse a vendere più tubi OCTG standard su tale mercato. Essa precisa inoltre che la Dalmine vendeva già nel Regno Unito tubi OCTG standard per i quali non era necessaria alcuna licenza e che il suo argomento secondo cui non avrebbe avuto accesso al mercato del Regno Unito è quindi privo di fondamento.

2.     Giudizio della Corte

111    Nel punto 179 della sentenza impugnata, il Tribunale ha dato la seguente interpretazione, di per sé non contestata dalla ricorrente, dei contratti di fornitura di cui all’art. 2 della decisione controversa:

«(...) Nel loro insieme questi contratti ripartiscono, almeno a partire dal 9 agosto 1993, il fabbisogno della Corus di tubi lisci fra gli altri tre produttori europei (40% alla Vallourec, 30% alla Dalmine e 30% alla Mannesmann). Ciascuno di essi prevede, inoltre, che il prezzo pagato dalla Corus per i tubi lisci sia fissato in ragione di una formula matematica che tenga conto del prezzo da essa incassato per i suoi tubi filettati».

112    Tenuto conto di tali clausole dei contratti di fornitura, non può essere accolto l’argomento della ricorrente, teso essenzialmente a dimostrare la mancanza di un qualsiasi nesso, per quanto concerne gli effetti di tali contratti sulla concorrenza, tra i tubi lisci, da un lato, e i tubi filettati, dall’altro. A tal proposito, lungi dall’aver commesso uno snaturamento dei fatti, il Tribunale ha esposto in modo convincente, nel punto 181 della sentenza impugnata, gli effetti anticoncorrenziali dei contratti di fornitura non solo sul mercato dei tubi lisci, ma anche su quello dei tubi filettati, nei seguenti termini:

«Con ciascuno dei contratti di fornitura la Corus ha vincolato le sue tre concorrenti comunitarie in maniera tale che, a prezzo del sacrificio della sua libertà di approvvigionamento, qualsiasi concorrenza effettiva o potenziale da parte loro sul suo mercato interno è scomparsa. Queste ultime, infatti, vedevano ridotte le loro vendite di tubi lisci in caso di riduzione delle vendite di tubi filettati da parte della Corus. Il margine di utile realizzato sulle vendite di tubi lisci che le tre fornitrici si sono impegnate a realizzare si riduceva, peraltro, anche in funzione del prezzo spuntato dalla Corus per i suoi tubi filettati e poteva perfino trasformarsi in una perdita. Ciò considerato, era praticamente inconcepibile che questi tre produttori cercassero di fare concorrenza effettiva alla Corus sul mercato britannico dei tubi filettati, in particolare quanto ai prezzi (...)».

113    Nei limiti in cui la ricorrente presenta la conclusione del suo contratto di fornitura con la Corus come un’attività commerciale logica e lecita, è sufficiente constatare che tale argomento è stato debitamente confutato dal Tribunale nel citato punto 181 della sentenza impugnata, nonché nel punto 185 della stessa sentenza, ai termini al quale «in mancanza dei contratti di fornitura, i produttori europei interessati diversi dalla Corus avrebbero normalmente avuto, fatti salvi i “fundamentals”, un interesse commerciale reale o almeno potenziale a far concorrenza a quest’ultima sul mercato britannico dei tubi filettati e a farsi concorrenza fra di loro per rifornire la Corus di tubi lisci».

114    Infine, riguardo all’argomento della ricorrente secondo cui essa non aveva accesso al mercato del Regno Unito, in particolare in quanto non disponeva di una licenza per la vendita di tubi OCTG premium, è sufficiente rinviare all’analisi, del tutto corretta, effettuata dal Tribunale nel punto 186 della sentenza impugnata:

«Quanto agli argomenti della Dalmine relativi agli ostacoli pratici alla sua vendita diretta di tubi OCTG premium e standard sul mercato britannico, tali ostacoli non dimostrano di per sé che essa non avrebbe mai potuto vendere questo prodotto sul detto mercato se non avesse concluso un apposito contratto di fornitura con la Corus e, in seguito, con la Vallourec. Invero, ipotizzando un’evoluzione positiva delle condizioni del mercato britannico dei tubi OCTG, non si può escludere che la Dalmine avrebbe potuto ottenere una licenza di commercio dei tubi filettati “premium” su tale mercato o aumentare la propria produzione di tubi OCTG standard per venderveli. Ne consegue che, sottoscrivendo il contratto di fornitura di cui trattasi, essa ha effettivamente accettato limitazioni alla sua politica commerciale (...)».

115    Alla luce di quanto precede, il settimo motivo deve essere respinto.

H –  Sull’ottavo motivo, vertente su errori di diritto e su uno snaturamento dei fatti per quanto riguarda il contesto economico del contratto di fornitura stipulato tra la Dalmine e la Corus

1.     Argomenti delle parti

116    La Dalmine contesta la valutazione del Tribunale secondo cui le clausole del contratto di fornitura concluso con la Corus sono per loro natura illecite.

117    A tal proposito, la Dalmine spiega, in particolare, la logica commerciale del contratto di cui trattasi, ricorda la consistenza del potere negoziale della Corus rispetto a quello dei potenziali fornitori e ribadisce la sua affermazione secondo cui essa vendeva, nel mercato del Regno Unito, tubi OCTG standard in quantità assolutamente marginali e non vendeva affatto tubi OCTG premium.

118    La Commissione sostiene che tale motivo si risolve nella riproposizione degli argomenti presentati dinanzi al Tribunale per contestare la natura anticoncorrenziale di talune clausole del contratto di fornitura stipulato tra la Dalmine e la Corus e che esso è pertanto irricevibile.

119    In ogni caso, gli argomenti della ricorrente sarebbero privi di qualsiasi fondamento. La Commissione osserva, in particolare, che gli interessi commerciali e il potere negoziale di una delle parti non possono influire sull’illiceità di un contratto contrario all’art. 81 CE.

2.     Giudizio della Corte

120    Come risulta dai punti 111‑113 della presente sentenza, il Tribunale ha constatato in modo debitamente motivato, a giusto titolo e senza snaturare i fatti, che i contratti di fornitura di cui all’art. 2 della decisione controversa erano idonei a incidere sul commercio tra gli Stati membri e potevano impedire, limitare o falsare il gioco della concorrenza all’interno del mercato comune. La ricorrente non può pertanto contestare la valutazione del Tribunale secondo la quale le clausole di detti contratti erano per loro natura illecite.

121    Nella misura in cui la ricorrente invoca taluni interessi commerciali nonché il potere negoziale di una delle parti di tali contratti, si deve osservare, come ha fatto l’avvocato generale nei paragrafi 229 e 230 delle sue conclusioni, che tali censure non sono state sollevate espressamente dinanzi al Tribunale e vanno quindi dichiarate irricevibili nell’ambito del presente ricorso (v., in questo senso, sentenze 1° giugno 1994, causa C‑136/92 P, Commissione/Brazzelli Lualdi e a., Racc. pag. I‑1981, punto 59, e 8 luglio 1999, causa C‑51/92 P, Hercules Chemicals/Commissione, Racc. pag. I‑4235, punto 58). Peraltro, le dette censure non possono in alcun caso essere accolte. Certamente la valutazione della conformità di un comportamento rispetto all’art. 81, n. 1, CE deve avvenire nel suo contesto economico (v., in questo senso, sentenze 6 aprile 2006, causa C‑551/03 P, General Motors/Commissione, Racc. pag. I‑3173, punto 66, e 13 luglio 2006, causa C‑74/04 P, Commissione/Volkswagen, Racc. pag. I‑6585, punto 45). Nondimeno le affermazioni della ricorrente, anche ammesso che siano fondate, non sono atte a dimostrare che il contesto economico escludesse qualsiasi possibilità di concorrenza effettiva (v., per analogia, sentenza 8 luglio 1999, causa C‑235/92 P, Montecatini/Commissione, Racc. pag. I‑4539, punto 127).

122    Pertanto anche l’ottavo motivo deve essere respinto.

I –  Sul nono motivo, vertente su errori di diritto e su un difetto di motivazione circa la gravità dell’infrazione

1.     Argomenti delle parti

123    La Dalmine sostiene che la gravità dell’infrazione addebitata deve essere valutata in funzione delle dimensioni del mercato rilevante, giacché queste ultime costituiscono l’unico parametro strettamente oggettivo. Una valutazione della gravità dell’infrazione che prescindesse da tale criterio oggettivo sarebbe illogica e fondata su elementi estranei alla giurisprudenza, al regolamento n. 17 e agli orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’articolo 15, paragrafo 2, del regolamento n. 17 e dell’articolo 65, paragrafo 5, del Trattato CECA (GU 1998, C 9, pag. 3; in prosieguo: gli «orientamenti per il calcolo delle ammende»). Di conseguenza, il Tribunale avrebbe a torto constatato che la dimensione del mercato interessato era solo uno degli elementi, tra gli altri, rilevanti ai fini del calcolo dell’ammenda.

124    La Dalmine deduce poi argomenti tesi a dimostrare che i criteri fissati dagli orientamenti per il calcolo delle ammende, vale a dire la natura dell’infrazione, l’impatto concreto sul mercato e l’estensione del mercato geografico rilevante, contrariamente a quanto affermato dal Tribunale, non sono stati rispettati dalla Commissione. Essa conclude che l’asserita infrazione non può essere qualificata come «molto grave». Il Tribunale, inoltre, non avrebbe debitamente motivato tale qualificazione, ma si sarebbe limitato a prendere atto delle valutazioni della Commissione, senza pronunciarsi sulla loro pertinenza e sulla loro fondatezza.

125    Infine, la Dalmine addebita al Tribunale di non aver tenuto conto delle dimensioni di ciascuna delle imprese destinatarie della decisione controversa. Essa ritiene che sia contrario a qualsiasi criterio, giuridico ed equitativo, infliggerle una sanzione pari a quella decisa, ad esempio, nei confronti della Nippon Steel, che ha un fatturato annuo molto superiore al suo. Il carattere sproporzionato dell’ammenda che le è stata inflitta sarebbe, peraltro, dimostrato dal fatto che l’importo di base dell’ammenda equivale al 16% delle vendite dei prodotti considerati effettuate nel 1998 sul mercato mondiale, al 38% di quelle effettuate sul mercato comunitario e al 95% di quelle realizzate, durante il periodo di infrazione, in Germania, in Francia, in Italia e nel Regno Unito.

126    La Commissione ricorda anzitutto che, secondo gli orientamenti per il calcolo delle ammende, le dimensioni del mercato rilevante costituiscono solo uno degli elementi da prendere in considerazione per valutare la gravità dell’infrazione.

127    Essa sostiene poi che i criteri fissati da tali orientamenti sono stati correttamente applicati. In particolare, spiega che un cartello può, per la natura dell’infrazione o per il fatto di influenzare una parte consistente del mercato comune, essere qualificato come «infrazione molto grave», anche se riguarda un prodotto le cui vendite non presentano un fatturato particolarmente importante in tale mercato.

128    La Commissione sottolinea infine che dagli orientamenti per il calcolo delle ammende risulta che la diversificazione delle ammende a seconda del fatturato delle imprese coinvolte non costituisce un obbligo bensì una possibilità.

2.     Giudizio della Corte

129    Secondo giurisprudenza costante, la gravità delle infrazioni al diritto comunitario della concorrenza va accertata in funzione di un gran numero di elementi, quali le circostanze proprie del caso di specie, il contesto in cui questo si inserisce e l’efficacia dissuasiva delle ammende, e ciò senza che sia stato redatto un elenco vincolante o esaustivo di criteri da tenere obbligatoriamente in considerazione (sentenza Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione, cit., punto 465, e 28 giugno 2005, cause riunite C‑189/02 P, C‑202/02 P, da C‑205/02 P a C‑208/02 P e C‑213/02 P, Dansk Rørindustri e a./Commissione, Racc. pag. I‑5425, punto 241).

130    Tra i fattori che possono incidere sulla valutazione della gravità dell’infrazione figurano il comportamento di ciascuna delle imprese, la parte svolta da ciascuna di esse nel porre in essere l’intesa, il vantaggio che esse possono aver tratto da quest’ultima, le loro dimensioni e il valore delle merci in questione nonché la minaccia che infrazioni di questo tipo costituiscono per gli scopi della Comunità (v., in questo senso, citate sentenze Musique Diffusion française e a./Commissione, punto 129, e Dansk Rørindustri e a./Commissione, punto 242).

131    Il punto 1, parte A, degli orientamenti per il calcolo delle ammende precisa che «[p]er valutare la gravità dell’infrazione, occorre prenderne in considerazione la natura, l’impatto concreto sul mercato, quando sia misurabile, e l’estensione del mercato geografico rilevante».

132    Pertanto, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, a giusto titolo il Tribunale ha rilevato, al punto 259 della sentenza impugnata, che le dimensioni del mercato rilevante sono solo uno dei fattori pertinenti per valutare la gravità dell’infrazione e stabilire l’ammontare dell’ammenda.

133    Con riguardo poi all’argomento della Dalmine secondo cui il Tribunale ha confermato erroneamente e senza una motivazione sufficiente l’applicazione fatta dalla Commissione degli orientamenti per il calcolo delle ammende e la qualificazione come «molto grave» dell’infrazione, va ricordato che la Commissione gode di un ampio potere discrezionale e che il metodo di calcolo delineato dagli orientamenti prevede vari elementi di flessibilità (sentenza 29 giugno 2006, causa C‑308/04 P, SGL Carbon/Commissione, Racc. pag. I‑5977, punti 46 e 47).

134    Spetta tuttavia alla Corte verificare se il Tribunale abbia correttamente valutato l’esercizio, da parte della Commissione, del detto potere discrezionale (sentenza SGL Carbon/Commissione, cit., punto 48).

135    A tal proposito, va anzitutto rilevato che il Tribunale ha correttamente riassunto, nei punti 263‑265 della sentenza impugnata, l’applicazione ad opera della Commissione dei criteri fissati dagli orientamenti per il calcolo delle ammende:

«263      Al punto 161 [della motivazione] della decisione [controversa], (...) la Commissione si è basata essenzialmente sulla natura del comportamento illecito di tutte le imprese per concludere che l’infrazione constatata all’art. 1 della decisione [controversa] è “molto grave”. Al riguardo essa ha fatto valere la natura gravemente anticoncorrenziale e nociva al buon funzionamento del mercato interno dell’accordo di ripartizione dei mercati sanzionato, la deliberata illegittimità e la natura segreta ed istituzionalizzata del sistema messo in atto per restringere la concorrenza. La Commissione ha altresì tenuto in considerazione, sempre al punto 161, che “i quattro Stati membri in questione rappresentano la maggior parte del consumo degli OCTG e dei linepipe senza saldatura nella Comunità e dunque un vasto mercato geografico”.

264      Al contrario, al punto 160 [della motivazione] della decisione [controversa], la Commissione ha constatato che “l’infrazione ha avuto, di fatto, un’incidenza limitata sul mercato”, dato che i due specifici prodotti che ne erano oggetto, vale a dire gli OCTG standard ed i linepipe “project”, rappresentavano solo il 19% del consumo comunitario degli OCTG e dei linepipe senza saldatura e che grazie ai progressi della tecnologia i tubi saldati potevano soddisfare una parte della domanda di tubi senza saldatura.

265      Quindi, al punto 162 [della motivazione] della decisione [controversa], la Commissione, dopo aver classificato quest’infrazione tra quelle “molto gravi” sulla base dei fattori enumerati al punto 161, ha fatto notare il quantitativo relativamente ridotto delle vendite dei prodotti in questione da parte delle destinatarie della decisione [controversa] nei quattro Stati membri interessati (EUR 73 milioni all’anno). Tale riferimento alle dimensioni del mercato rilevante corrisponde alla valutazione dell’impatto limitato dell’infrazione sul mercato espressa al punto 160 [della motivazione] della decisione [controversa]. La Commissione ha dunque deciso di imporre un’ammenda in funzione della gravità di appena EUR 10 milioni. In realtà gli orientamenti per il calcolo delle ammende prevedono, in principio, per infrazioni rientranti in tale categoria, un importo “oltre i 20 milioni di [euro]”».

136    Dall’analisi effettuata dalla Commissione, quale è stata riportata in breve poc’anzi, risulta che i tre criteri enumerati al punto 1 A degli orientamenti per il calcolo delle ammende sono stati presi in considerazione per stabilire la gravità dell’infrazione. Il Tribunale ha quindi a giusto titolo rilevato, nel punto 260 della sentenza impugnata, che «la Commissione, anche se non ha espressamente menzionato gli orientamenti nella decisione [controversa], ha nondimeno determinato l’importo dell’ammenda inflitta alla ricorrente applicando il metodo di calcolo ivi impostosi».

137    Nei punti 266‑271 della sentenza impugnata, il Tribunale ha esaminato «se l’approccio della Commissione sopra esposto [ai punti 263‑265 della stessa sentenza] sia illegale alla luce dei contrari argomenti della Dalmine», nei termini seguenti:

«267      Per quanto riguarda gli argomenti della Dalmine relativi ai mercati rilevanti, si deve constatare che i punti 35 e 36 [della motivazione] della decisione [controversa] traducono la definizione dei mercati geografici rilevanti quali dovrebbero esistere normalmente, fatti salvi gli accordi illeciti aventi per oggetto o per effetto la loro artificiale scissione. Emerge poi dalla decisione [controversa], letta complessivamente, in particolare dai suoi punti 53‑77, che il comportamento dei produttori giapponesi ed europei sui vari mercati nazionali o, in alcuni casi, sul mercato di una certa regione del mondo era determinato da regole specifiche diverse da mercato a mercato, risultanti dalle trattative commerciali condotte all’interno del club Europa-Giappone.

268      Così, non sono pertinenti e vanno respinti gli argomenti della Dalmine relativi alle ridotte percentuali dei mercati mondiale ed europeo degli OCTG standard e dei linepipe “project” rappresentate dalle vendite di tali prodotti da parte delle otto destinatarie della decisione [controversa]. È, infatti, perché ha avuto ad oggetto nonché, almeno in certa misura, ad effetto di escludere ciascuna delle suddette destinatarie dai mercati nazionali delle altre, compreso il mercato dei quattro maggiori Stati membri delle Comunità europee, a livello del consumo di tubi d’acciaio, che l’infrazione constatata all’art. 1 della decisione [controversa] è “molto grave” nella valutazione ivi espressa.

269      Al riguardo, l’argomento della Dalmine vertente sul ridotto volume delle vendite di tubi OCTG standard e sull’importanza dei tubi saldati per fronteggiare la concorrenza dei linepipe “project” sul proprio mercato nazionale è inconferente, atteso che la sua partecipazione all’accordo di ripartizione dei mercati risulta dall’essersi impegnata a non vendere su altri mercati i prodotti considerati nella decisione [controversa]. Così, le circostanze invocate dalla Dalmine, quand’anche adeguatamente dimostrate, non possono infirmare la conclusione della Commissione in merito alla gravità dell’infrazione commessa.

270      Si deve rilevare, inoltre, che il fatto, cui si appella la Dalmine, che l’infrazione constatata all’art. 1 della decisione [controversa] riguardi solo due prodotti specifici, cioè gli OCTG standard ed i linepipe “project”, e non tutti gli OCTG e i linepipe, è stato esplicitamente definito dalla Commissione, al punto 160 [della motivazione] della decisione [controversa], un fattore di limitazione dell’impatto concreto dell’infrazione sul mercato (v. il precedente punto 264). Del pari, la Commissione fa riferimento, sempre al punto 160, alla crescente concorrenza costituita dai tubi saldati (v. ancora il precedente punto 264). È giocoforza dichiarare, allora, che la Commissione ha già tenuto conto di questi elementi nel valutare la gravità dell’infrazione nella decisione [controversa].

271      Alla luce di ciò occorre giudicare che la riduzione in funzione della gravità dell’importo fissato al 50% della somma minima solitamente applicata in caso di infrazione “molto grave”, riduzione prima menzionata al punto 265, tiene adeguatamente conto dell’impatto limitato dell’infrazione sul mercato nella fattispecie».

138    Si deve necessariamente constatare che, con queste considerazioni, il Tribunale si è pronunciato in modo ragionevole e coerente sui fattori essenziali presi in considerazione per valutare la gravità dell’infrazione e ha risposto sufficientemente agli argomenti dedotti dalla Dalmine. Contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, il Tribunale non si è limitato a prendere atto delle valutazioni della Commissione, ma ha esaminato dettagliatamente la questione, sollevata dalla Dalmine, se la Commissione avesse valutato correttamente, per soppesare la gravità dell’infrazione, gli effetti di quest’ultima sul mercato rilevante. Inoltre, giudicando che l’infrazione di cui all’art. 1 della decisione controversa era in ogni caso «molto grave», in quanto aveva avuto ad oggetto nonché, almeno in certa misura, ad effetto di escludere ciascuna delle otto destinatarie della decisione controversa dai mercati nazionali delle altre imprese considerate, il Tribunale ha sottolineato giustamente la rilevante gravità intrinseca di infrazioni consistenti nella ripartizione dei mercati nazionali all’interno della Comunità.

139    Del resto, come il Tribunale ha rilevato, del pari a giusto titolo, il limitato impatto dell’infrazione sul mercato era già stato preso in considerazione in modo adeguato nella fattispecie, in quanto la Commissione aveva fissato l’ammontare dell’ammenda in funzione della gravità dell’infrazione in soli dieci milioni di euro.

140    Con la sua ultima censura mossa nell’ambito del presente motivo, la ricorrente rimprovera al Tribunale di non aver tenuto conto delle dimensioni di ciascuna delle imprese destinatarie della decisione controversa.

141    Orbene, come la Corte ha già statuito, la Commissione non è tenuta, in sede di determinazione dell’ammontare delle ammende in funzione della gravità e della durata dell’infrazione in questione, a calcolare l’ammenda a partire da importi basati sul fatturato delle imprese interessate. La Commissione può certo tenere conto del fatturato dell’impresa interessata, ma non si deve attribuire un’importanza sproporzionata a tale fatturato rispetto ad altri elementi di valutazione (sentenza Dansk Rørindustri e a./Commissione, cit., punti 255 e 257).

142    Il punto 1 A, sesto comma, degli orientamenti per il calcolo delle ammende corrisponde a tale giurisprudenza. Esso enuncia che «potrà essere opportuno, in certi casi, ponderare gli importi determinati (...), in modo da tener conto del peso specifico e dunque dell’impatto reale sulla concorrenza del comportamento configurante infrazione di ciascuna impresa, in particolare qualora esista una disparità considerevole nella dimensione delle imprese che commettono il medesimo tipo di infrazione».

143    A giusto titolo il Tribunale, nel punto 282 della sentenza impugnata, ha indicato che risulta dall’uso delle espressioni «in certi casi» e «in particolare» in tale comma degli orientamenti per il calcolo delle ammende che una ponderazione in funzione delle dimensioni delle singole imprese non è una fase sistematica del calcolo che la Commissione si è imposta, bensì una possibilità di manovra che essa si è data nei casi che lo richiedono, soprattutto in base alle circostanze della fattispecie. Tale potere discrezionale è, peraltro, espresso anche dall’espressione «potrà essere opportuno» contenuta nello stesso capoverso.

144    Nel punto 283 della sentenza impugnata, il Tribunale ha correttamente tratto da tali considerazioni la conclusione che «la Commissione [ha] conservato un certo potere discrezionale nel ponderare o meno le ammende in funzione delle dimensioni delle singole imprese. Dunque, la Commissione non è tenuta, allorché determina l’importo delle ammende, ad assicurar[si], nel caso in cui siano sanzionate più imprese coinvolte nella medesima infrazione, che gli importi finali distinguano le imprese sulla base del loro fatturato complessivo (...)».

145    Tale valutazione era a maggior ragione adeguata in quanto tutte le imprese destinatarie della decisione controversa erano di grandi dimensioni, circostanza che ha indotto la Commissione a non differenziare gli importi decisi per le ammende (v. punto 165 della motivazione della decisione controversa). A tal riguardo il Tribunale ha constatato in modo pertinente quanto segue:

«284 (...) La Dalmine contesta quest’analisi e rileva di essere una delle più piccole imprese destinatarie della decisione impugnata, dal momento che il suo fatturato nel 1998 era di appena EUR 667 milioni. È giocoforza constatare, infatti, che lo scarto in termini di fatturato complessivo, considerato ogni prodotto, tra la Dalmine e la maggiore delle imprese in causa, vale a dire la Nippon [Steel Corp.], il cui fatturato nel 1998 era di EUR 13 489 milioni, è significativo.

285      La Commissione ha sottolineato, tuttavia, nel controricorso, senza essere smentita dalla Dalmine, che quest’ultima non è un’impresa né piccola né media. Infatti la raccomandazione della Commissione 3 aprile 1996, 96/280/CE, relativa alla definizione delle piccole e medie imprese (GU L 107, pag. 4), applicabile al momento dell’adozione della decisione impugnata, precisa, in particolare, che imprese siffatte devono occupare meno di 250 persone e avere un fatturato annuo non superiore agli EUR 40 milioni, ovvero un bilancio annuo non superiore agli EUR 27 milioni. Nella raccomandazione della Commissione 6 maggio 2003, 2003/361/CE, relativa alla definizione delle microimprese, piccole e medie imprese (GU L 124, pag. 36), questi due ultimi valori sono stati aumentati e fissati, poi, rispettivamente, a EUR 50 [milioni] e a EUR 43 milioni.

286      Il Tribunale non dispone di dati concernenti il numero di dipendenti della Dalmine e il suo bilancio annuale, ma si deve constatare che il fatturato della Dalmine nel 1998 era superiore di più del decuplo al limite previsto nella serie di raccomandazioni della Commissione rispetto a tale criterio. Occorre perciò dichiarare, sulla base delle informazioni prodotte dinanzi al Tribunale, che la Commissione non ha commesso errori nell’affermare, al punto 165 [della motivazione] della decisione [controversa], che tutte le imprese destinatarie della detta decisione erano di grandi dimensioni».

146    Nei limiti in cui la ricorrente menziona anche, al fine di dimostrare il carattere sproporzionato dell’ammenda, la circostanza che l’importo di base di quest’ultima equivale al 16% delle vendite dei prodotti considerati effettuate nel 1998 sul mercato mondiale, al 38% di quelle effettuate sul mercato comunitario e al 95% di quelle realizzate durante il periodo dell’infrazione in Germania, in Francia, in Italia e nel Regno Unito, va ricordato che il limite massimo del 10% di cui all’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 si riferisce al fatturato complessivo dell’impresa considerata e che unicamente l’importo finale dell’ammenda deve rispettare tale limite (sentenze Dansk Rørindustri e a./Commissione, cit., punto 278, e SGL Carbon/Commissione, cit., punto 82). Poiché la Dalmine non ha contestato la constatazione, di cui al punto 287 della sentenza impugnata, secondo cui l’importo dell’ammenda inflitta nella decisione controversa, ovvero 10,8 milioni di euro, rappresentava solo l’1,62% circa del suo fatturato mondiale che, nel 1998, ammontava a 667 milioni di euro, essa non può far valere una manifesta sproporzione tra la detta ammenda e le dimensioni della sua impresa.

147    Non potendo essere accolta nessuna delle censure mosse dalla ricorrente, il nono motivo va disatteso.

J –  Sul decimo motivo, vertente su errori di diritto e su un difetto di motivazione riguardante la durata dell’infrazione e le circostanze attenuanti

1.     Argomenti delle parti

148    La Dalmine sostiene che avrebbero dovuto essere prese in considerazione talune circostanze attenuanti, quali il suo ruolo ridotto e passivo nell’attuazione dell’infrazione di cui all’art. 1 della decisione controversa e la circostanza che l’infrazione è terminata fin dai primi interventi della Commissione. Pur se tali circostanze non dovevano essere prese in considerazione in maniera automatica, la Commissione avrebbe dovuto indicare le ragioni per le quali non ha ridotto l’importo dell’ammenda a tale titolo. Il Tribunale avrebbe dovuto rilevare e sanzionare tale vizio di motivazione.

149    Inoltre, dalla seconda circostanza attenuante addotta risulterebbe che la durata dell’infrazione commessa dalla Dalmine è stata ancor minore e che la sentenza impugnata è contraddittoria in proposito.

150    Infine la Dalmine deduce una violazione del principio della parità di trattamento, in quanto la sua cooperazione durante il procedimento amministrativo non sarebbe stata valutata allo stesso modo di quella della Vallourec.

151    La Commissione ricorda che, in materia di ammende, il Tribunale dispone di una competenza anche di merito e che, nella fattispecie, ha correttamente esercitato tale competenza spiegando dettagliatamente nella sentenza impugnata le ragioni per le quali non potevano essere riconosciute le circostanze attenuanti addotte dalla Dalmine. Nei relativi punti della detta sentenza, il Tribunale avrebbe, in particolare, correttamente constatato che la Dalmine non aveva posto fine all’infrazione a seguito dell’intervento della Commissione e che il grado di cooperazione della Dalmine e quello della Vallourec non erano equivalenti.

2.     Giudizio della Corte

152    Per quanto riguarda anzitutto l’asserita discriminazione operata tra la Dalmine e la Vallourec all’atto della fissazione dell’ammenda, occorre ricordare che, anche se la Corte, nell’ambito di un giudizio di impugnazione, non può sostituire, per motivi di equità, la propria valutazione a quella del Tribunale che statuisce, nell’esercizio della sua competenza anche di merito, sull’ammontare delle ammende inflitte a talune imprese per una loro violazione del diritto comunitario, nondimeno, l’esercizio di siffatta competenza non può comportare, in sede di determinazione dell’importo delle dette ammende, una discriminazione tra le imprese che hanno preso parte ad un accordo o ad una pratica concordata in contrasto con l’art. 81, n. 1, CE (sentenze 16 novembre 2000, causa C‑291/98 P, Sarrió/Commissione, Racc. pag. I‑9991, punti 96 e 97, e Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione, cit., punto 617).

153    Tuttavia, il ricorso avverso una pronuncia del Tribunale deve indicare in modo preciso gli argomenti di diritto dedotti a specifico sostegno del motivo relativo alla violazione del principio della parità di trattamento, a pena di irricevibilità del motivo di cui trattasi (sentenza Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione, cit., punto 618).

154    Nella fattispecie, com’è stato ricordato al punto 19 della presente sentenza, la Commissione ha applicato una riduzione pari al 40% dell’importo dell’ammenda irrogata alla Vallourec e una riduzione pari al 20% dell’importo dell’ammenda inflitta alla Dalmine in considerazione del fatto che queste due imprese avevano collaborato con la Commissione nella fase del procedimento amministrativo.

155    Si deve necessariamente constatare che, nei limiti in cui la ricorrente contesta la valutazione del Tribunale, espressa nel punto 344 della sentenza impugnata, secondo cui «[l]e risposte ai quesiti fornite dalla Dalmine, sebbene siano state di una certa utilità per la Commissione, non fanno che confermare, tuttavia in maniera meno precisa ed esplicita, alcune informazioni già fornite dalla Vallourec mediante le dichiarazioni del sig. Verluca», il suo è un argomento attinente ai fatti e deve quindi essere dichiarato irricevibile. Non compete quindi alla Corte, nell’ambito della presente impugnazione, verificare le constatazioni fatte dal Tribunale nel punto 345 della sentenza impugnata, secondo cui «le informazioni fornite alla Commissione dalla Dalmine prima dell’invio della [comunicazione degli addebiti] non possono essere paragonate a quelle fornite dalla Vallourec e non sono sufficienti a giustificare una riduzione dell’ammenda della Dalmine superiore al 20% già accordatole a titolo di mancata contestazione dei fatti. Invero, anche se tale mancata contestazione dei fatti ha potuto facilitare notevolmente il lavoro della Commissione, non è stato così per quanto concerne le informazioni fornite dalla Dalmine prima dell’emissione della [comunicazione degli addebiti]».

156    Per quanto riguarda, poi, l’argomento della ricorrente relativo al suo ruolo ridotto e passivo nella realizzazione dell’infrazione di cui all’art. 1 della decisione controversa, il Tribunale, nel punto 327 della sentenza impugnata, ha rinviato all’analisi effettuata nei punti 280‑297 della stessa sentenza, secondo cui, in particolare,

«288  (...) si deve ricordare (...) che l’argomento della Dalmine relativo alla marginalità delle vendite di tubi OCTG standard e all’importanza dei tubi saldati per fronteggiare la concorrenza dei linepipe “project” sul proprio mercato nazionale è irrilevante, atteso che la sua partecipazione all’infrazione consistente in un accordo di ripartizione dei mercati risulta dall’essersi impegnata a non vendere i prodotti in causa su altri mercati (...). Così, le circostanze che essa fa valere, quand’anche adeguatamente dimostrate, non possono infirmare la conclusione della Commissione in merito alla gravità dell’infrazione commessa.

(...)

290      Siccome la Dalmine è l’unico membro italiano del club Europa-Giappone, è giocoforza constatare che la sua partecipazione a tale accordo è stata sufficiente ad estenderne l’ambito di applicazione geografico al territorio di uno Stato membro della Comunità. Pertanto si deve affermare che la sua partecipazione all’infrazione ha avuto un impatto non trascurabile sul mercato comunitario. Tale circostanza è infatti ben più rilevante, ai fini della valutazione dell’impatto concreto della partecipazione della Dalmine all’infrazione di cui all’art. 1 della decisione [controversa] sui mercati dei prodotti oggetto del detto articolo, di una mera comparazione dei fatturati complessivi delle singole imprese.

(...)

294      Parimenti, per quanto riguarda l’argomento secondo cui la Dalmine ha svolto un ruolo passivo nell’intesa, comportamento che integrerebbe una circostanza attenuante in conformità al punto 3, primo trattino, degli orientamenti per il calcolo delle ammende, si deve osservare che la detta società non nega di aver partecipato alle riunioni del club Europa-Giappone. (...)

295      Nella fattispecie, la Dalmine non asserisce neppure che la sua partecipazione alle riunioni del club Europa-Giappone sia stata più sporadica di quella degli altri membri dello stesso, ciò che avrebbe potuto eventualmente giustificare l’applicazione di una riduzione a suo favore (...). Essa non adduce, inoltre, né circostanze specifiche né elementi probatori idonei a dimostrare che il suo comportamento nelle riunioni in questione sia stato puramente passivo o gregario. Al contrario, come già è stato osservato al precedente punto 290, il mercato italiano è stato incluso nell’accordo di ripartizione dei mercati solo a motivo della sua presenza nel club Europa-Giappone. (...)».

157    Poiché tale analisi non è inficiata da alcun errore di diritto, a giusto titolo il Tribunale ha considerato che il ruolo della Dalmine nella realizzazione dell’infrazione di cui all’art. 1 della decisione controversa non era stato né ridotto né esclusivamente passivo o emulativo e che quindi non doveva essere riconosciuta alcuna circostanza attenuante a tal proposito.

158    Con riguardo, infine, all’asserita cessazione dell’infrazione fin dai primi interventi della Commissione, giustamente, nei punti 328 e 329 della sentenza impugnata, il Tribunale ha rilevato che «l’“aver posto fine alle attività illecite sin dai primi interventi della Commissione”, di cui al punto 3 degli orientamenti per il calcolo delle ammende, può logicamente costituire una circostanza attenuante solo se esistono motivi per supporre che le imprese in causa siano state incitate a porre fine ai loro comportamenti anticoncorrenziali dagli interventi in questione» e che «una riduzione dell’importo dell’ammenda a tale titolo non può essere applicata nel caso in cui l’infrazione sia già terminata anteriormente ai primi interventi della Commissione o nel caso in cui una decisione definitiva di porvi fine sia già stata adottata dalle imprese interessate prima della detta data».

159    Nella fattispecie, come è stato ricordato al punto 6 della presente sentenza, la Commissione ha deciso di avviare un’indagine nel novembre 1994 e ha effettuato i primi accertamenti nel dicembre 1994.

160    Nei punti 331 e 332 della sentenza impugnata, il Tribunale ha constatato che l’infrazione che ha dato luogo all’ammenda inflitta alla Dalmine, vale a dire l’infrazione di cui all’art. 1 della decisione controversa, era terminata o quantomeno stava per terminare al momento in cui la Commissione ha effettuato accertamenti il 1° e il 2 dicembre 1994. Il Tribunale ha pertanto giustamente concluso che tale cessazione non poteva costituire una circostanza attenuante ai fini della determinazione dell’ammontare dell’ammenda.

161    Da tutto quel che precede risulta che il decimo argomento deve essere respinto.

162    Poiché nessuno dei motivi dedotti dalla Dalmine può essere accolto, il suo ricorso dev’essere respinto.

V –  Sulle spese

163    A norma dell’art. 122, primo comma, del regolamento di procedura della Corte, quando l’impugnazione è respinta, la Corte statuisce sulle spese. Ai sensi dell’art. 69, n. 2, del regolamento di procedura della Corte, che si applica al procedimento di impugnazione ai sensi dell’art. 118 del medesimo regolamento, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché la Commissione ha chiesto la condanna della Dalmine, quest’ultima, risultata soccombente, dev’essere condannata alle spese.

Per questi motivi, la Corte (Prima Sezione) dichiara e statuisce:

1)      Il ricorso è respinto.

2)      La Dalmine SpA è condannata alle spese.

Firme


* Lingua processuale: l'italiano.

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